Per una Weltanschauung integrale. Vita e pensiero di P. A. Florenskij

1. Introduzione

Che cosa ho fatto della mia vita? Ho contemplato il mondo come un insieme o, più precisamente, come un quadro e una realtà unica, ma in ogni istante o, più precisamente, in ogni fase delle mia vita, da un determinato angolo di osservazione.1

  1. Così scriveva Pavel Aleksandroviè Florenskij a suo figlio maggiore Kirill pochi mesi prima della sua fucilazione avvenuta nel pressi di Leningrado l’8 dicembre 1937. In poche righe egli delinea tutto il percorso intellettuale concreto che lo ha caratterizzato rendendolo uno dei pensatori russi più fecondi e interessanti del Novecento. Innanzitutto da queste poche righe che rappresentano come il manifesto programmatico di tutta la speculazione florenskijana emerge la necessità di avere una visione d’insieme intesa come “contemplazione” cioè non in quanto possesso del mondo ma come relazione fondamentale in cui è l’universo stesso a presentarsi: egli è alla ricerca di una Weltanschauung integrale2 oltre la scienza tale da permettere una comprensione organica di tutto il reale. Tale osservazione viene realizzata nell’ambito della vita vissuta e non sulle astrazioni solo accademiche, sono frutto della stessa storia dell’autore, di “ogni istante”. In ultimo sono segnalati i molteplici punti di vista secondo cui è “contemplata” tale realtà; ogni angolo di osservazione (e sono davvero notevoli e molteplici quelli con cui si cimenta il nostro autore) rappresenta un approccio diverso con il quale Florenskij affronta la realtà: da una visione scientifica, ad una artistica, dalle analisi del linguaggio alla riflessione teologica, dalla matematica alla mistica e tanto altro ancora.3 In lui, però, tutto cerca di armonizzarsi e divenire compatto, le sue analisi partono dall’immediatezza del particolare ma tendono ad unirsi simbolicamente in una dimensione più alta ed ampia che non prescinda però dalla concretezza, perché solo «in ciò che è particolare e concreto deve risplendere ciò che è generale: l’universale».4

Questa è la convinzione di fondo su cui Florenskij ha intessuto la sua trama di vita e di pensatore facendo ben dialogare il concreto vissuto storico con la riflessione teorica mai relegata a distante proposta antiquaria. Tra una rinuncia meramente spiritualistica al mondo frutto di una visione egocentrata e personalistica5 e l’altrettanta deleteria concentrazione sui soli “fatti del mondo”6 si pone la riflessione di questo fecondo pensatore russo che, legando la sua esperienza7 personale a quella religiosa, che per lui significava in primo luogo l’Ortodossia, produce un’avvincente proposta tutta concentrata a dimostrare l’organicità del suo pensiero e la concettualità del proprio vissuto.

In questo tentativo sarà dato spazio principalmente agli scritti di Florenskij come testimonianza diretta di tale ambizioso programma.8

  1. È necessario quindi dare, seppur brevemente, qualche notizia sulla vita e sulle opere, ma soprattutto sul senso globale del percorso intellettuale di questo pensatore così come egli stesso ce ne parla compilando una nota autobiografica per il Dizionario enciclopedico dell’Istituto bibliografico russo Granat.

Pavel Aleksandroviè Florenskij nasce a Evlach (Azerbaigian) il 9 gennaio9 1882 compiendovi lì anche la prima formazione liceale. Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza saranno molto importanti per la sua crescita rappresentando l’incubatrice per tutta la sua futura concezione del mondo. È infatti lui stesso a sostenere che

guardando più attentamente dentro me stesso, trovo ancora qualcosa che ho appreso da quel nostro vivere in due appartamenti collegati da un cortile. Ed è la convinzione ferma, organica, nell’ essere mistico contrapposto all’empirico “apparire”.10

Florenskij cresce in un ambiente certamente non religioso caratterizzato dal positivismo paterno e dall’assoluta indifferenza della madre. Intorno a lui ogni possibile allusione ad una realtà spirituale era consapevolmente eliminata, persino le storie di elfi e magia erano bandite da casa. Tutto era consegnato alla spiegazione scientifica razionale e chiara, eppure quegli occhi di bambino già da allora coglievano la magia nascosta dietro la pura materialità, una magia11 essenziale e logica seppur rispondente ad un diverso piano dell’esistenza. Bastava una pietra, un fiore o anche la visione del cielo per accendere in lui il desiderio dell’infinito che in quelle manifestazioni gli si faceva presente e lo attirava.12

I suoi studi comunque sono improntati prevalentemente alla matematica tali da costruire intorno ad essa la sua prima visione dell’universo: la Weltanschauung scientifica. Se da un lato Florenskij riconosce in essa il merito di avergli stuzzicato l’istinto per la ricerca e una curiosità spinta oltre ogni limite e pure con essa che dovrà lottare allo stremo per non farsi incatenare all’astratta sistematicità delle sue costruzioni e alla tentazione di possesso e di riduzione che è insita nel suo stesso procedere.

Lasciata comunque la casa paterna frequenta l’università di Mosca laureandosi in matematica pura nel 1904 con una tesi dal titolo Le particolarità delle curve piane come luoghi di violazione della discontinuità. Suo mentore e professore è Bugaev13 grande matematico che sarà il primo a presentargli un modo altro di pensare la matematica; altro personaggio di rilievo nei suoi studi scientifici è poi G. Cantor.14 Entrambe queste figure apriranno al giovane Florenskij «nuovi orizzonti per la sua ricerca filosofica ormai del tutto permeata dallo sforzo di arrivare a una visione onnicomprensiva e poliedrica del mondo».15 Il nostro pensatore non volterà mai le spalle alla sua formazione matematica né tantomeno a queste nuove concezioni scientifiche che lo appassionavano.

Florenskij vede nella matematica il primo e indispensabile presupposto della concezione del mondo, ma è proprio nell’autoreferenzialità della matematica che egli individua la causa della sua sterilità culturale.16

Proprio per questo senso di inappagamento dettato dalla matematica, già durante gli studi scientifici Florenskij frequentò alcuni corsi alla facoltà di Storia e Filologia trovando nella filosofia molte affinità con le sue aspirazioni.

Nel 1904, contro ogni aspettativa, abbandona la carriera di promettente scienziato per iscriversi all’ Accademia teologica di Mosca dove continua la sua preparazione sia spirituale che culturale.

Pur senza trascurare gli studi di carattere matematico, all’Accademia egli si dedica a materie che gli sono indispensabili per l’elaborazione di una concezione del mondo ad ampio spettro: filosofia, filologia, archeologia e storia delle religioni.17

Anche qui l’esperienza di vita gli servì come anticamera per la sua riflessione. Dibattuto tra il desiderio della scienza e il desiderio di diventar sacerdote o monaco18 egli fece viva esperienza di una della idee che più gli saranno care nelle sue trattazioni: l’antinomia.19

Procrastinata la decisione a dopo la fine del corso accademico Florenskij completò gli studi nel 1908 con una tesi intitolata Sulla verità spirituale che costituirà il nucleo poi per la famosa opera apparsa quattro anni più tardi La colonna e il fondamento della verità. Insegnò presso la stessa Accademia e i «suoi seminari sono dedicati principalmente a questioni di storia della concezione del mondo».20 Diresse il Messaggero teologico, rivista dell’Accademia, dal 1911 al 1917 e si diede all’approfondimento.

Nel 1911 chiese di essere ordinato sacerdote e il 24 aprile dello stesso anno ricevette il sacramento. Intanto egli si era sposato l’anno precedente con Anna Michajlovna Giacinova con cui avrà cinque figli. Da quel momento in poi niente sarà più lo stesso; Florenskij pone la sua ordinazione come una grazia ricevuta e un grande dono che lo hanno profondamente cambiato.21

Fino alla Rivoluzione d’ottobre lavora intensamente all’approfondimento teologico, filosofico e scientifico secondo le direttive della sua Weltanschauung integrale. Dal 1918 in poi il lavoro si fa sempre più buio e insicuro ma Florenskij non rinuncerà mai ai propri ideali tanto da non smettere mai, fino alla morte, l’abito talare, «anche la Mosca bolscevica lo ricorda mentre teneva lezioni scientifiche in talare e con la croce».22 L’impegno all’Accademia teologica è sempre meno gravoso per l’accresciuta diffidenza del regime nei confronti del pensiero religioso. Risalgono così agli anni Venti le sue profonde e chiare ricerche sul linguaggio e soprattutto sull’arte sia come teorico, e stupende pagine sono da lui dedicate all’arte dell’icona, sia come professore presso gli atelier di stato.

Presa la decisione di non poter mai abbandonare la sua terra e diventare un emigreè questo pensatore russo affronta quindi tutte le conseguenze di questo coraggioso gesto.23 Arrestato una prima volta nel 1928 per poi essere rilasciato grazie all’intercessione dell’ex moglie di Gorkij, viene definitivamente imprigionato nel 1933.

Saranno quattro anni di prigionia duri fino all’internamento nel famoso gulag delle isole Solovski per poi trovare la morte nel dicembre del 1937 nei pressi di Leningrado. Anche questi anni di reclusione ci permettono, grazie alle lettere che Florenskij spedisce alla moglie e ai figli, di capire l’assoluta grandezza di questo autore e la grande caratura morale. In un epistolario fitto ed intenso che per problemi di censura non poteva nemmeno lontanamente accennare a qualche tema spirituale, pena la distruzione, Florenskij riesce comunque ad esprimere nella semplicità delle parole e con i colori e le impressioni a lui più vicine che la realtà più ampia e armonica che lui teorizzava si compiva ora nella sua vita aldilà di ogni sopruso, ingiustizia e dolore. Certo non mancano pagine anche amare e tristi eppure a distanza di più di settant’anni dalla morte mai parole furono più profetiche delle sue.

L’opera della mia vita è distrutta, e io non potrò mai, né vorrò, ricominciare dall’inizio il lavoro di cinquant’anni. Non ne avrò la volontà, perché non ho lavorato per me stesso né per il mio tornaconto, e se l’umanità, per amore della quale non ho mai conosciuto una vita mia privata, ha ritenuto possibile distruggere semplicemente ciò che era stato fatto per il suo bene e che non necessitava che degli ultimi ritocchi, ebbene tanto peggio per l’umanità. Ci provino loro a rifare ciò che hanno distrutto.24

Sarà impossibile ricreare di nuovo ciò che un genio come Florenskij ebbe a creare ma rimane ancora tutto quello che nei suoi 55 anni di vita ha lasciato a disposizione per chi volesse prendere di petto la vita e approcciare una diversa e originale concezione del mondo.

Dal silenzio cui il regime l’ha voluto costringere Florenskij con maggior forza parla proprio in forza di quell’oblio, col silenzio della sua vita.25 Come un’antinomia è proprio quel silenzio a dire più di quello che la parola semplicemente concettuale sappia dire. Come un simbolo debole, quest’uomo innocente, questo “crocifisso”, ha vinto il potere che sembrava immortale del regime comunista e viene a sollecitare le coscienze e le menti dell’uomo contemporaneo che non ha più il coraggio di contemplare l’unità organica del mondo e si è rinchiuso in vane interpretazioni ridondanti, in un’indifferenza senza inquietudine, in un solipsismo senza aperture.

L’autobiografia di Florenskij parla il suo pensiero così come i suoi scritti sembra che respirino la sua vita. Uni-totalità veramente esperita ma che non vuol dire, come molti accusano, sentimentalismo o abdicazione della ragione: il punto è capire che tutta l’ortodossia, e il nostro autore con essa

riprende il suo punto d’avvio dall’esperienza e da ciò che è esperimentabile e con un consenso sempre più ampio oppone a quello analitico-occidentale un pensiero originariamente unitario, includente anche l’esperienza e persino il sentimento, talora accentuando anche il “cuore” come centro della persona rispetto alla “testa”. […] Pensiero unitario o pensiero della totalità significa pensiero, non sentimento. Non si disprezza l’intelletto, ma un intellettualismo unilaterale.26

Accettare e motivare tale cambio di prospettiva, insieme con la non semplice rinuncia a tutto la sistematizzazione teologico-metafisica classica, risulta sicuramente una sfida difficile ma stimolante e foriera di novità.

2. Percorso di Weltanschauung integrale

Riprendendo la dichiarazione programmatica di Florenskij citata all’inizio bisogna ora entrare nel cuore degli argomenti solamente adombrati. Sarà quindi necessario chiarire in che maniera si compia la “contemplazione” della natura e secondo quali modi sia possibile esperirla e comunicarla. Poi sarà la volta di far luce sul senso di quella “visione d’insieme” che si vuole al tempo stesso globale ma non metafisica, onnicomprensiva ma non ridotta allo schema del soggetto: apparirà, quindi, la religione come unica via per il pensiero dell’Uni-totalità. Infine bisogna rendere evidente come tale pensiero completo non sia frutto di una pura astrazione ma scaturisca originariamente da “ogni istante” e “fase” della vita vissuta; Florenskij non dimenticherà mai che è solo il particolare concreto che contiene quel senso ulteriore nascosto alla semplice analisi matematico-metafisica e che riconosce nel simbolo la sua caratteristica propria. Preliminare a tutto risulta quindi l’accantonare la visione analitico-scientifica in favore della Weltanschauung integrale florenskijana, perché

la concezione del mondo che egli elabora si delinea per contrappunto a partire da alcuni temi tenuti saldamente insieme da una peculiare dialettica e non si presta perciò a essere riassunta e sistematizzata. Essa ha una struttura di carattere organico, non logico, dove le singole formulazioni non possono essere estrapolate dal materiale concreto.27

  1. La natura.28 Fin dall’infanzia Florenskij restò colpito dalla bellezza e organizzazione della natura. Ciò che più lo attrae non è tanto la meccanica della natura, la sua struttura, quanto il suo aspetto più misterioso e stupefacente. È uno sguardo incantato quello del nostro autore che cerca di non inglobare tutto sotto uno schema bello e confezionato ma vuole lasciarsi innanzitutto prendere dalla “contemplazione” dell’universo che è anzitutto esperienza immediata e sensibile. Vi è una sorta di rispetto per ciò che lo circonda e per l’aura di mistero che pervade la realtà, a tal punto da fargli affermare che

l’esistenza è fondamentalmente misteriosa e non desidera che i suoi misteri vengano svelati dalla parola. La superficie della vita di cui si può ed è concesso parlare è molto sottile; al resto, alle radici della vita e forse all’essenziale, si addicono le tenebre sotterranee.29

Essere in vero contatto con la natura significa rispettarne la sua misteriosità intrinseca che nessuna regola matematica o schema scientifico può scalfire. Lo sguardo alla natura va ben al di là della mera osservazione della superficie per dedicarsi al suo senso più alto e ampio. Questo nuovo senso però non si può dare in una dialettica da “scienziato e cavia”: la natura è un organismo e quindi va trattato come qualcosa di più di semplice utilizzabile.

Lo scarto iniziale per poter avere una nuova visione consiste nell’abbandono del punto di vista analitico30 per uno più globale e completo; non si trattava però nemmeno di fare una sintesi astratta e generalizzata astenendosi dal contatto con il mondo materiale. La verità della visione dipendeva dal grado di approfondimento che si riusciva a raggiungere più che dall’estensione che si poteva coprire.31 Alla semplice analisi che al massimo poteva rendere visibile solo le superfici si affiancava un’attenzione alla forma, alla trama di rimandi simbolici che in Florenskij significava non fermarsi alla apparenza ma accogliere quell’oltre, quelle tenebre misteriose senza cercare di risolverle in un qualche schema soggettivo. La sfida consiste appunto nel tener presente che la natura non potrà mai essere completamente assunta da qualsivoglia intelletto eppure appartiene sostanzialmente ad ogni essere umano a partire già dalla sua corporeità.32

La contemplazione della natura diventa così lo specchio per esperire la verità perché, per Florenskij, «la cosa più vera era l’osservazione della natura».33 È ancora una verità non tematica quella che viene dalla natura eppure dice già qualcosa di essenziale: la verità non appartiene esclusivamente all’uomo, non è una sua costruzione né resta a suo solo appannaggio.

Ma di quale verità si sta andando in ricerca? Bisogna comprendere che, pur nella non linearità, Florenskij riesce a disegnare una trama per cui ogni elemento della natura si lega all’altro non secondo un ordine precostituito dal soggetto, bensì l’osservatore deve lasciarsi prendere da quello che risulta essere il “parallelismo universale34 e seguirne le tracce presenti intorno e dentro di lui. Non più una catena di causa ed effetto ma si manifesta invece una relazionalità reciproca tra gli eventi e i fatti, tra il precedente e il seguente che non lascia nulla nello stato in cui era prima. Sono i dettagli simbolici che recano la traccia dell’unione reciproca tra gli essenti secondo un senso più profondo.

Il coraggio di una visione altra della natura consiste nell’abbandonare la presunta visione scientifica per una Weltanschauung infantile,35 sì perché «la percezione infantile, infatti, è più di tipo estetico rispetto a quella di un adulto, più scientifica, o quantomeno pseudoscientifica».36 Estetica significa, in questo caso, la capacità, per chi contempla la natura senza alcuna mira di possesso, di essere davvero in grado di coglierne il senso al solo colpo d’occhio: la visione estetica ha meno materiale su cui riflettere ma sicuramente ha una prospettiva più ampia. Tale visone dell’infanzia è proprio quella che caratterizzerà anche la visione integrale florenskijana ma mentre in quest’ultimo caso i termini sono più chiari e decisamente rivolti all’ambito teologico nella visione infantile tutto assume caratteri più sfumati ed allusivi, magici.

Mentre la visione scientifica deve essere necessariamente completa in ogni suo aspetto, la Weltanschauung dell’infanzia ha proprio nel incompletezza un suo carattere peculiare che non ne inficia affatto la logica interna. Tale nuova visione consente di esperire quella che è la vita37 dell’universo nelle sue più complesse articolazioni nei suoi componenti più che nelle sue leggi generali. Infatti

nella percezione infantile la preminenza delle cose sullo spazio rende il mondo di gran lunga più articolato di quanto lo sia per un adulto. […] La comprensione scientifica del mondo fiacca la differenza esteriore tra i fenomeni, rendendoli estranei l’uno all’altro persino quando essi sono qualitativamente identici, così che il mondo, privato di una vivace varietà, non solo non si unifica, ma al contrario si disperde. La percezione infantile supera la frammentazione del mondo dal di dentro.38

Il coraggio di questo cambio di prospettiva consiste per l’uomo nel non assurgere più a modello incontrastato e a regolatore universale ma a protagonista in campo, trasformarsi in giocatore da arbitro o spettatore che era. Esperire il mondo è molto più che osservarlo, «si tratta di una percezione mistica del mondo»39 che ogni essere umano deve al contempo accogliere e trasmettere, farne i conti con la propria mente e insieme riconoscere che va ben al di là di ogni ragione .40 Non potendo qui dedicare molto spazio al portato estremamente problematico del termine “mistica” voglio solo dire che Florenskij lo intende come percezione immediata e concreta che non annichilisce però il procedere della ragione ma si pone in piena sintonia con essa, seppur sintonia antinomica per il motivo che la percezione mistica non annulla lo iato presente tra le cose ma lo conserva dinamicamente nell’accostamento.41

La differenza sostanziale tra queste due visioni consiste nella loro diversa capacità di approfondimento, per la Weltanschauung scientifica l’importante è dilatarsi nello spazio, orizzontalmente, fino a costruire un complesso di norme quanto più generale e comprensivo possibile, essa vive di fatti e schemi. La Weltanschauung dell’infanzia, invece, ha una spiccata predilezione per la temporalità, non le interessa il possesso delle cose, ma ne vuole comprendere il senso, ha una prospettiva eminentemente verticale affine all’eternità.42

Per Florenskij il cuore della natura resta quindi l’aver tematizzato e fatto esperire il mistero quale momento imprescindibile per capire la relazione sostanziale tra l’uomo e il mondo,43 un mistero che abbraccia ogni relazione. Il mistero, e qui bisogna davvero operare un cambio di prospettiva, «ci abita e ci costituisce intimamente, contribuendo a definire quel processo di oggettivazione nel quale siamo quotidianamente immersi»;44 in tal senso si può parlare di una ragione del mistero come incontro con il totalmente altro, con una presenza da accogliere, ascoltare e contemplare. Nessuna confusione però si instauri tra mistero e inconoscibile, perché il mistero ha sempre una sua propria forma che è quella del simbolo allusivo ma essenziale e comunicante mentre l’inconoscibile resta sempre e solo il totalmente distante. La natura si esprime in simboli e con essi si può andare sia oltre la sensibilità che oltre la nuomenicità del reale:

ora vedo con occhi diversi il quadro interno della mia anatomia e vedo come esso sia avvolto da figure simboliche che aleggiano di fronte a me in un’altra dimensione, rispetto a quella delle percezioni sensoriali.45

Il compito della “contemplazione della natura” è proprio quello di far apparire nuove possibilità alla ragione umana per comprendersi come parte di un’unità più ampia di quella meramente fisica, come membra di un organismo ben più ampio e più complesso di quello che una visione meccanicistica può solo lontanamente immaginare, per questo la visione scientifica deve rendere il passo alla religione come l’unica capace di poter concepire ed esprimere questa prospettiva ulteriore.

  1. La religione. La nuova visione della natura diventa, per Florenskij, eminentemente una visione religiosa.46 Ma cos’è religione per il nostro autore? Prima di essere quel determinato evento storico-simbolico che è il culto e l’Ortodossia,47 essa è una nuova categoria del pensare che tenta di rispondere alle nuove esigenze nate dalla differente visione della natura. La religione rappresenta quel tentativo di Weltanschauung integrale perché vuole essere innanzitutto un metodo e un approccio più che una professione di fede, secondo cui rendere possibile l’armonizzazione delle tante antinomie che la contemplazione del mondo rende evidenti senza risolverle in un qualsivoglia sistema.

Prima di una vera e propria fede storica la religione assurge a linea guida per la formazione di un’umanità diversa, infatti lo stesso Florenskij afferma

che non esistano le religioni ma che esista la Religione. La religione cambia continuamente volto all’umanità, e continuamente differente è il suo valore nei diversi suoi sembianti. Ma le forze che la formano sono simili.48

Chiara era nel nostro autore la convinzione che la religione non consistesse affatto nella costruzione di norme o schemi generali di vita ma invece tutto contribuisse al servizio dell’umanità49 concreta e vivente al fine di renderla una comunità completa di relazioni profonde e complesse. Per meglio comprendere questo speciale carattere della religione mi rivolgerò brevemente alle acute analisi di un articolo molto interessante di Florenskij: Cristianesimo e cultura.50

La cultura51 tenta di staccarsi completamente da ogni riferimento alla trascendenza e alla religione. Per Florenskij questo prima di essere un problema dottrinale è anzitutto un problema esistenziale: gli uomini stanno rinunciando palesemente ad ogni visione uni-totale della realtà.52 Tale distacco può seguire diverse strade e “riduzioni”. Vi è innanzitutto la riduzione moralista che è la palese «rivolta contro Dio»53 per cui viene meno il principio generale dell’azione riconoscibile nell’ontologia cristiana. Tale riduzione porta ad un estremo relativismo e soggettivismo in cui ogni relazione interpersonale diventa mero scambio e commercio.54

Avanza poi la riduzione scientista secondo cui Dio altro non è che «l’ipotesi con la quale si rattoppano i buchi del nostro sapere e in generale della nostra cultura».55 Tale concezione non tiene conto che la religione in quanto tale vive di una totalità vivente che è rappresentata da tutto l’universo colto come un insieme a cui ogni uomo sente interiormente di appartenere seppur non può spiegarne la motivazione.

La terza riduzione è quella filosofica che corre il pericolo di riportare tutto il contesto della Verità alla sola costruzione soggettiva. Per Florenskij emblema di tale riduzione è la filosofia kantiana «per la quale non è la Verità che determina la nostra coscienza, ma è anzi la nostra coscienza che determina la Verità».56 Il rischio resta quello di costruire un puro modello astratto senza alcun legame con l’oggettività materiale posta di fronte all’uomo.

Infine appare una riduzione storicista per cui al posto di Dio assurge il mondo con il suo procedere incrollabile e autonomo. Il pericolo di tale concezione consiste nel portare ad assoluto il contingente storico e renderlo norma vincolante, far diventare “cultura” solo ciò che è “cultura del nostro tempo”.

Di fronte a questi attacchi la religione deve rispondere con un atteggiamento accogliente e disponibile e non facendosi impelagare nella lotta; la religione, secondo Florenskij, è appunto questo sguardo onnicomprensivo che vede unione lì dove la semplice appercezione vuole solo paradosso, legge l’antinomia come una opportunità e non solo come pietra d’inciampo. Per questo la religione, e il cristianesimo in particolare, non si può accontentare della sola dottrina perché «l’umanità contemporanea ha bisogno di una cultura cristiana, non posticcia ma seria, realmente di Cristo e realmente cultura».57

Eccoci quindi giunti alla vera novità della religione: essa presenta la natura, contemplata prima, come un unità organica e vivente a cui l’intera umanità si rivolge e in cui trova uno spazio di confronto e di armonia. La religione è quello spazio senza spazio e tempo senza tempo in cui l’infinito si presenta nella sua struttura antinomica all’uomo come ciò che gli appartiene più propriamente e come ciò che lo trascende da sempre presentandosi sotto le spoglie della molteplicità del reale: Unità nella molteplicità.58

L’unità59 di cui parla Florenskij non è «un’unità a sé stante, raggiunta ad ogni costo, ma piuttosto di una vita nella verità e nell’amore»;60 essa deriva dalla natura, precedentemente presentata, e non da qualsiasi visione analitico-scientifica. L’unità è un Corpo che vive e perciò possiede tutti i tratti di una vita, con le sue difficoltà e contraddizioni, eppure esso resta inscindibile, legato al senso più forte dato dal sentimento religioso, seppur non ancora tematizzato.

Se colta nella sua peculiarità la religione per Florenskij va ben oltre il cristianesimo storico per diventare stimolo all’unità e sua concreta realizzazione.

Senza rinunciare a nulla di ciò che è proprio a ogni singola Chiesa, i cristiani devono issare, innanzitutto, il vessillo del cristianesimo e mostrarlo come un appello al mondo cristiano perché impari a conoscersi e sappia finalmente edificare una cultura cristiana; e attorno a questa bandiera si riunirà allora tutto il gregge di Cristo.61

L’altro punto su cui basare questa Weltanschauung integrale è costituito dall’umanità perché non è possibile costruire un’unità vivente senza tener presente l’uomo nella sua positività concreta. Perché secondo le stesse parole del nostro autore «non tardai a comprendere il culto dell’umanità, della benevolenza quale atto di divinizzazione dell’uomo».62

La religione è quindi la presa di coscienza che il mondo è intessuto di legami che vanno al di là del visibile e del sensibile e che in tali legami si manifesta il senso più vero di ogni uomo. Tale senso è rappresentato da quell’unità organica che ogni uomo sperimenta in se stesso, con l’altro da sé e con l’universo circostante; in questo riconoscimento dialettico e non più possessivo emerge con tutta la sua carica l’idea di umanità che diviene il fulcro e il centro di ogni riflessione, un’umanità concreta che, facendo i conti con le proprie antinomie, scopre in se stessa la traccia profonda del divino e tenta di dare un nuovo volto alla realtà circostante. Il pensiero della Weltanschauung integrale non può realizzarsi senza un uomo che si sente capace di saper reggere il peso e la responsabilità di questo gravoso compito, spinto dal sentimento che lo unisce misteriosamente ad ogni altro uomo e all’altro per eccellenza che è Dio.

La religione unisce, nell’uomo, quei due mondi,63 quello della trascendenza e quello dell’immanenza, mai assimilabili l’uno all’altro eppure così connaturati tra loro, come un confine discreto ma necessario per poter osservare la vera essenza del mondo e la sua più propria natura.

Il passo successivo sarà quello di far passare l’esperienza della religione nei canali concreti e quotidiani della vita, senza smarrirne l’intima vocazione all’uni-totalità.

  1. Il particolare. Come si è evinto già dai precedenti punti, ogni passo non elimina ne conclude l’altro bensì lo approfondisce e lo dilata. In Florenskij il particolare diventa emblema di ciò che richiama ad un mondo altro e diverso,64 esso diventa la possibilità di poter concretamente unire i due mondi: un simbolo.

Per tutta la vita ho pensato, in sostanza, a una sola cosa: al rapporto tra fenomeno e noumeno, al rinvenimento del noumeno nei fenomeni, alla sua manifestazione, alla sua incarnazione. Sto parlando del simbolo. E per tutta la vita ho riflettuto su un solo problema, il problema del SIMBOLO».65

Il simbolo è per il nostro autore non una semplice evocazione, ma l’unica realtà possibile oltre che esperibile,66 una realtà oggettiva diversa sia dall’inconoscibile noumeno che dall’organizzazione tutta soggettivistica del fenomeno. Il simbolo esprime la contemplazione della natura e la religione come un compendio organico indipendente da ogni precomprensione; per questo

il fenomeno — bi-unitario, spirituale-materiale — , il simbolo, mi è sempre stato caro nella sua immediatezza, nella sua concretezza, con la sua carne e la sua anima. In ogni vena della sua carne io vedevo, volevo vedere, cercavo di vedere e credevo di poter vedere l’anima, la sola sostanza spirituale; e tanto salda era la mia convinzione che la carne non fosse solo carne, che non fosse solo materia inerte, solo esteriore, quanto lo era la convinzione opposta, e cioè che fosse impossibile, inutile e presuntuoso pensare di vedere quest’anima incorporea spogliata del suo velo simbolico.67

La peculiarità del simbolo è quella di non ridurre le due realtà, la fenomenica e il mistero, ma di farle esistere contemporaneamente senza sottomettere l’una all’altra. Il simbolismo florenskijano è un tentativo di costruire una riflessione concreta ma globale, organica ma rivolta alla unità, volgendosi contro quel pensiero riduttivistico per cui «il positivismo mi disgustava, ma non meno mi disgustava la metafisica astratta».68 Un tentativo assai coraggioso perché se da un lato Florenskij cercava di “vedere l’anima” egli voleva “vederla incarnata”.69 Il simbolo deve dunque districarsi tra la sua forma particolare che mai può barattare per un concettualismo piano e analitico e la sua brama di totalità e unità, di infinito, che è inscritto nella sua stessa natura evocativa.

Stando così le cose è naturale che il simbolo risponde ad un tipo di logica del tutto diverso da quella del pensiero filosofico-scientifico classico. Esso parte innanzitutto dall’accoglienza del mistero70 come fondamentale per una visione unitaria. Per una visione scientifica il mistero va svelato, risolto, ma mai assolutamente accolto come parte del sistema: il mistero nella concezione analitica uccide il pensiero.

Ma solo il mistero nasconde ciò che di più vero circonda l’uomo, «là dove c’è una deviazione dal consueto, è là che va cercata la confessione spontanea della natura».71 Si apre così una nuova visuale in cui viene messo in discussione lo stesso procedere scientifico, visto come non essenziale,72 per far posto ad un procedere non certo arbitrario ma sicuramente altalenante e antinomico. Alla Weltanschauung scientifica, che Florenskij vedeva ben rappresentata dal padre, egli contrapponeva la sua nuova visione dell’infanzia, fiabesca.

Nella concezione di mio padre l’idea della continuità era il baluardo e il fulcro della visione scientifica del mondo, della scientificità, mentre l’anima del fiabesco, secondo lui, era l’idea inversa: la discontinuità.73

L’argomentazione florenskijana sulla discontinuità mostra come accanto all’oggettività incondizionata riguardante la verità e il reale, vi sia l’esigenza di una completezza, che rinunci all’univocità e affronti i problemi che insorgono quando si intende correlare l’intuizione con la consequenzialità dei sistemi di pensiero formalizzati, la vita concreta con le sue analisi astratte. Il simbolo è l’unico capace di essere espressione della discontinuità riuscendo al contempo ad essere concreto e reale pur evocando una dimensione altra e trascendente.

Con la discontinuità il simbolo può contemplare anche l’altro grande concetto cardine per la riflessione del nostro autore: l’antinomia, perché è proprio nelle profondità misteriose del simbolo

nella sostanza stessa, in quella misteriosa profondità dove gli adulti temono di guardare e non vogliono farlo, e dove non facevano guardare neanche me, là le leggi dell’uguaglianza e della contraddizione non valevano, mentre valevano altre leggi: l’uguaglianza del contraddittorio e la contraddittorietà dell’uguale; la cosa non è la cosa stessa, ma qualcos’altro che è la cosa.74

Entrambe queste idee, la discontinuità e l’antinomia, sono ciò che di più originale abbia potuto offrire Florenskij alla riflessione contemporanea, riuscendo nel suo progetto di inserire organicamente la vita reale nel tessuto della ragione pensante, il mistero nelle pieghe dell’apparenza, il tutto senza alcuna cessione a ciò che di più peculiare ogni categoria contiene.

Il simbolo non tende a spiegare75 né a dare conto della regolarità della natura76 quanto a presentare il reale così com’è nelle sue trame misteriose e nelle sue relazioni non sempre spiegabili analiticamente ma comprensibili comunque sotto un altro aspetto. Esso presenta l’essenza più profonda, la forma.77 Questo è il compito del simbolo ma anche la sfida più alta per non correre rischio di lasciarsi trascinare nella costruzione di una nuova realtà simbolica, altra tra la trascendenza e l’immanenza, ed invece rendersi disponibile ad essere una possibilità di comunicazione, mai esistente di per se stessa, eppure al di là della semplice unione di questi due mondi: un nuovo esistente ma senza un essere suo proprio se non quello della possibilità. Sì, la possibilità di mettere insieme ciò che insieme non và, la possibilità di unire due dimensioni altrimenti mai congiungibili, la possibilità di conservare sia l’antinomia sia l’unità, entrambe in atto, la possibilità di mettere insieme il dato sensibile corporeo con la traccia misteriosa del divino.

Nei meandri del corporeo c’è il mistero, che dietro il corporeo si cela ma che corporeo non è, e il corporeo del mistero non solo non cancella il mistero stesso, ma anzi in determinate occasioni può esserne a propria volta cancellato.78

3. La traccia continua della Trinità

Florenskij apre con le sue interessanti riflessioni un nuovo ambito su cui andare a ricostruire ogni perduta certezza. Egli non è solo un pensatore che demolisce le costruzioni del passato ma cerca anche di formarne delle nuove, la sua concezione non volta le spalle alla concettualizzazione per rinchiudersi in una riduzione solipsistica e astratta ma è sempre in ricerca di piste alternative che portino a differenti e più universali visioni.

Al grido di «come è possibile la ragione?»79 egli tenta, con l’ardore del ricercatore instancabile, di trovare nuove strade al pensiero per potersi esprimere in maniera più organica e completa. La lotta contro il pensiero scientifico, in lui, non si arresta con la distruzione e messa in dubbio del suo procedere e delle sue analisi, cerca, invece, di mostrare come un’altra razionalità sia possibile ed anzi auspicabile. La contemplazione della natura, il senso religioso e l’attenzione al simbolo altro non sono che modelli per reinterpretare la realtà oltre le categorie metafisico-scientifiche.

Eppure sembra sfuggire ciò che leghi intimamente tutti questi passaggi, pare che Florenskij nel suo annuncio di un pensiero del concreto sia nuovamente caduto nella tentazione intellettualistica dal lui tanto contrastata. Sembra mancare una traccia concreta su cui basare questa Weltanschauung integrale. Sembra, ma non è così. Tutto il pensiero florenskijano è percorso da un’idea sempre presente e vitale che lega intimamente ogni sua riflessione, ogni suo passo: essa è il concetto della Trinità.

L’unico schema capace di risolvere l’evpoch,, posto che sia possibile soddisfare alle esigenze della scepsi, è la Trinità uni sostanziale e indivisibile, l’Unità triipostatica e consostanziale.80

Il Deus-Trinitas è colto da Florenskij come la risposta prima (ed anche ultima) della ricerca filosofica dell’uomo, della sua ricerca “amante della verità”,81 una ricerca sempre legata all’esperienza viva, all’oggettività e alla concretezza dell’esistente, ancorata non alla metafisica dei concetti ma a quella della vita.

Ma come può rispondere la Trinità alle tre istanze presentate prima, in che modo ne diventa l’unione e la sintesi? Volgiamo in particolare lo sguardo ad uno dei capolavori di Florenskij, La colonna e il fondamento della verità.

  1. Per Florenskij è la Trinità stessa che pervade con la sua logica ulteriore l’intero universo, è essa che apre le porte al mistero relativizzando il processo analitico conoscitivo in favore di uno più ampio e simbolico.82 Partendo dalla constatazione che l’illusione scientifica di poter spiegare tutto resta appunto solo un’illusione, un’ipotesi sempre potenziale,83 che per sua natura lotta contro l’inspiegabile, il mistero, per poterlo ingabbiare nei suoi schemi, non resta che rivolgersi ad un diverso tipo di pensiero che riesca nell’impresa di mettere insieme l’evidente con il trascendente.

Il primo passo consiste appunto nel ritrovare le tracce trinitarie nella realtà che circonda l’uomo e che si trovano lì dove il raziocinio tende alla sconfitta, dove lo schematismo assoluto fallisce. Non vi è però alcun abbandono della ragione in favore di uno spiritualismo astratto e miracolistico, Florenskij intende invece costruire un nuovo tipo di razionalità che sposi insieme l’intuizione immediata della verità con il discorso concettuale dell’intelletto. Da una parte l’intuizione apre le porte all’infinito per poi ritornare, con il discorso, alla realtà concreta di relazioni facendo diventare così quel bagliore passeggero dell’intuizione motivo di vita e di conoscenza, senza più cadere nell’indefinibilità delle sue analisi, dall’altro il discorso riconosce un principio altro dalla sua catena causale e astratta.84

Per superare la logica duale e apprensiva della conoscenza85 la contemplazione della natura deve avvenire secondo una logica trinitaria secondo cui non vi è più alcuna costruzione ideale della verità ma

la verità contempla se stessa attraverso se stessa e in se stessa, e ogni momento di questo atto assoluto è assoluto, è la verità. La verità è la contemplazione di sé attraverso l’altro nel terzo.86

La traccia trinitaria presente nella natura, nelle sue pieghe più profonde, permette di cogliere la radice da cui tutto nasce e si muove, i fatti più che le deduzioni, e in questo percorso emerge la vita dell’universo con tutto la sua carica misteriosa che però non assurge più a nemica della razionalità quanto la potenzia e la rende capace di trascendersi verso una visione globale. Tutta la natura si esprime secondo un piano trinitario ed è immagine della stessa Trinità pur non perdendo la sua connotazione essenziale.87

  1. La Trinità oltre a rendere accettabile la comunanza tra il mistero naturale e l’uomo permette altresì di coglierne questa stessa natura come un insieme organico e unitario. Come Padre, Figlio e Spirito sono tre ipostasi ma un sola sostanza88 mantenendo sempre sia il carattere relazionale della molteplicità sia quello totale dell’unità così attraverso di essa è possibile riconoscere nel reale sia la sua più concreta pluriformità sia la sua più segreta e organica unione.89

Bisogna trascendere i confini del raziocinio stesso e penetrare nel campo dove hanno radice il raziocinio e tutte le sue norme, occorre cioè raggiungere con l’esperienza una sintesi del non relativo e della relazione, del primario e del derivato, della quiete e del moto, dell’unità e dell’infinitezza, ecc.90

Se attraverso la scoperta della logica trinitaria è stato possibile arrivare fino alla radice più profonda della realtà, attraverso il passaggio alla religione si giunge a una visione unitaria e sintetica che parte dall’esperienza dell’uomo di sentirsi parte di quella molteplicità, per certi versi discontinua, che è la natura. La Weltanschauung integrale tiene insieme, come si è visto, il polo della ragione e quello dell’intuizione spirituale e questo permette una visione prospettica di tutta la realtà, dalle sue forme più esteriori a quelle più essenziale; la grandezza di tale concezione risiede nel fatto che tutti i momenti non sono subordinati tra loro ma ognuno deriva ed è origine dell’altro, la realtà mostra già in sé il mondo altro della trascendenza e il mondo trinitario divine possibile solo in e attraverso il contatto con la natura: «i confini della fede e del sapere si fondono, crollano le mura di cinta del raziocinio, tutto il raziocinio si trasforma in una sostanza nuova».91

L’ontologia trinitaria della religione è la chiave per leggere l’uni-totalità del reale, essa rappresenta quell’orizzonte veritativo a cui attingono tutte le altre verità relative.92 Accettare tale ontologia significa uscire da una concezione solipsistica della realtà per affidarsi ad un principio più alto che è Dio, una divinità, però, non distante ma in relazione essenziale con l’uomo e a sua disposizione.

L’inizio della fede è la rinuncia al monismo nel pensiero in favore di Dio. L’ininterrotta continuità monistica è la bandiera del raziocinio ribelle della creatura che si stacca dal suo Principio e Radice e si polverizza nell’autoaffermazione autodistruzione. Viceversa la discontinuità dualistica è la bandiera dell’intelletto che perde se stesso a favore del suo Principio.93

Florenskij concepisce l’unità espressa dalla religione come una svolta epocale contro il monolitico pensiero del soggetto che attraverso la Trinità subisce il suo definitivo scacco; tale pensiero non è più in grado di dare risposte soddisfacenti per l’uomo in cerca di quel senso ulteriore che sente appartenergli più profondamente di ogni altra cosa. In tal modo la ragione procede non più per analisi e schemi ma come per invocazione, si rivolge a “qualcosa o a qualcuno” affinché possa trovare un suo significato, cerca la verità oltre il proprio sentire e costruire, nella misteriosità dell’universo, operando quasi una pascaliana scommessa.94 Bisogna rinunciare alla tranquillità di un pensiero sempre sotto controllo, sempre piano per dedicarsi ad una viva riflessione in cui l’altra parte non è solo un oggetto da apprendere o conquistare ma la verità essenziale che da un lato permea lo stesso soggetto ma dall’altro lo trascende inevitabilmente. La verità non è più semplicemente qualcosa da apprendere ma qualcuno da conoscere ed esperire, la Trinità. Mi sembra opportuno lasciar sintetizzare alle stesse parole di Florenskij questa fondamentale idea.

Io cesso di essere io, il mio pensiero cessa di essere mio; con un atto inattingibile rinuncio all’autoaffermazione Io=Io. Qualcosa o qualcuno mi aiuta a uscire dalla mia chiusura. […] Qualcosa o qualcuno spegne in me l’idea che io sia il centro della ricerca filosofica e io metto al suo posto l’idea della verità stessa. Io non sono nulla, ma rinuncio alla sola cosa che mi sia data, rinuncio a questo mio unico possesso, sacrifico alla verità l’unica cosa in mio potere, la sacrifico non per forza mia bensì per la forza della verità stessa. […] Metto nelle mani della verità stessa il mio destino, la mia ragione, l’anima della mia ricerca che è l’esigenza dell’attendibilità. In suo favore rinuncio ad una dimostrazione.95

  1. Resta da vedere come ora nella Trinità trovi posto tutta la trattazione sul simbolo. La domanda è cioè come possa assurgere Ella stessa a simbolo senza correre il rischio di diventare un essenza così ampia e forte tale da annichilire totalmente quel contatto tanto fecondo tra i due mondi fino a ridurlo in una monodimensionalità trascendente. Come il simbolo dice chiaramente di riferirsi sia alla realtà che immediatamente richiama sia a quella che evoca da lontano così anche la Trinità deve trovare in sé il modo per rendersi al contempo presente ma non in maniera assoluta, ombra concreta che non svela tutta la sua reale essenza.96

Il simbolo trinitario per eccellenza che riesce in questo arduo compito è la Sofia, la Sapienza divina.97 Essa nella concezione florenskijana è il simbolo concreto dell’unione tra questo mondo umano e il mondo divino, essa

è il Logos costitutivo del creato e quindi il contenuto costituito di Dio Logos, il “contenuto psichico” di Lui, eternamente creato dal Padre attraverso il Figlio e compiuto nello Spirito Santo: Dio pensa “mediante le cose”.98

La Sofia è il pensiero di Dio che non prescinde mai dalle sue creature, è segno del suo amore infinito che si autolimita pur di conservare la libertà dell’uomo; altresì la Sofia è anche la ragione umana nel momento in cui si apre all’esperienza della Trinità, del mistero del mondo altro. Grazie a questo simbolo vivente Dio può presentarsi quasi come non onnipotente, alla mercé dell’uomo, disponibile alla relazione ma anche al rifiuto, passibile di essere attivato come di essere messo da parte. Ma in virtù di questo simbolo vivente l’uomo scopre la parte più nascosta del suo essere senza per questo appropriarsene, diviene capace di vivere davvero la relazione con l’altro alla pari, si convince che la propria materia è eterna propria perché materia e non a prescindere da essa.99

Dio nel simbolo sofianico smette i tratti caratteristici dell’essere metafisico proprio della visione scientifica per indossare quelli di un essere-relazione, persona concreta e vivente che richiede di essere conosciuto ed esperito come tale più che essere analizzato come un concetto. Questa la profonda intuizione di Florenskij: rendere a Dio la sua potenza nel mentre lo consegna interamente nelle mani dell’uomo. L’unico modo per ottenere questo cambiamento consiste nel fare dell’amore100 più che dell’essere il tratto caratteristico della divinità e perciò come tale disposto ad ogni sacrifico, finanche il più alto, cioè la sua stessa negazione. L’amore diventa un concetto filosofico e teologico più che un semplice sentimento, è espressione di quella dinamicità relazionale che contraddistingue sia l’uomo che il Deus-Trinitas.

La Sofia, invece sul versante naturale rappresenta

la Grande Radice della creatura totale […] . Per lei il creato penetra nell’intimo della vita triadica e ottiene la vita eterna dall’unica Fonte della vita. La Sofia è l’essenza originaria del creato, l’Amore creatore di Dio “che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo della Spirito Santo” (Rm. 5, 5).101

La Sofia è proprio l’amore che eternamente crea poiché «tutto esiste solo in quanto partecipa del Dio-amore, della Sorgente dell’essere e della verità».102

Entrare con Florenskij nell’idea della Sofia significa giungere al più alto grado di conoscenza e di esperienza del divino, nel cuore della fede che abbraccia tutto il reale, infatti

il discorso della fede non è affatto quello della teologia e la fede ricopre la sua conoscenza della verità dogmatica di vesti simboliche, di un linguaggio figurato che ammanta di contraddizioni successive la verità e profondità supreme della contemplazione.103

Avere l’ardire di mettere proprio queste vesti simboliche significa avere un viva esperienza della Trinità e del mondo nel suo significato più profondo. Si può scegliere tra la calma di una riflessione assolutamente astratta e analitica e il rischio di chi vuole incontrare una verità non pre-costituita. Con Florenskij non si può più parlare di un dissidio tra ragione e fede, tra intuizione immediata e discorso razionale, ma tra solipsismo egoistico ed utopico e relazione fondamentale all’altro uomo e all’Altro nella Trinità. Non deve mai abdicare una tra la ragione e la fede ma insieme devono collaborare per costruire quello spazio veramente vitale in cui ogni uomo può riconoscere se stesso e l’altro nella sua radicale antinomia: essere materiale ed essere trascendente nello stesso tempo e nel medesimo modo, partecipi ugualmente dei due mondi.

4. Conclusione

Dialogare con il pensiero florenskijano non è stato, non è e non sarà mai facile. Ogni sua riflessione sgorga da un puro esercizio della ragione ma è anche frutto della più concreta esperienza esistenziale. Per questo motivo può risultare indigesto al teorico puro che cerca risposte chiare e precise espresse secondo i metodi canonici, mentre a chi si “accontenta” della sola intuizione immediata può sembrare troppo intellettuale. Per i primi Florenskij appare un mare magnum senza senso né compattezza, ogni sua affermazione sembra ridondante e senza addentellati scientifici; persino il suo stile appare più poetico che contenutistico. Per i secondi sembra che la sua esperienza sia solo mentale, frutto di una costruzione a tavolino e non una vera vita mistica, troppo impegnato com’è a ricercare anche le ragioni della propria fede.

La grandezza di Florenskij è però rappresentata proprio da questa sua assoluta unicità. L’antinomia stessa vive in lui e in ogni sua produzione così da renderlo affascinante e stimolante. Capire la sua esistenza aiuta a comprenderne il suo pensiero e viceversa: non è possibile scindere scienza e vita.

Lasciare una possibilità alle sue analisi di penetrare i nostri cuori e le nostre menti vuol dire scommettere con lui che il senso dell’universo sia oltre il meramente visibile, oltre l’immediato e si celi al di là di ogni controllo, al di sopra di ogni meccanismo, che non sia qualcosa, ma qualcuno: Dio ovvero la Trinità.

La cosa che rende più affascinante questa proposta è poi il punto di partenza. Florenskij non dà mai per scontata la sua Weltanschauung integrale, né parte dall’intuizione diretta di Dio con un percorso dall’alto. Tutto invece ha inizio nel contingente, dal basso, dalla natura contemplata come traccia invisibile della presenza divina, dalla religione come senso unitario dell’uomo, e dal simbolo come linguaggio e spazio ulteriore in cui esperire completamente la relazione tra l’umanità e la divinità.

Il cammino trinitario del nostro autore è tutto votato a rintracciarne le impronte profonde fin nelle pieghe più nascoste del reale. Ogni riga della sua ricca produzione e ogni singolo momento della sua esistenza sono stati un prendere di petto la concretezza della vita affrontandola con spirito di verità e coerenza. Florenskij non ha mai cercato scampo in un soluzione comoda ma riduttiva, ha scelto l’esaltante riflessione sulla Trinità come sintesi del suo pensiero discontinuo, ha optato per la testimonianza del martirio pur di essere coerente con i principi in cui credeva.

Si può essere più o meno d’accordo con le sue proposte ma non si può ignorarle, esse restano una domanda sempre aperta per ogni uomo che voglia sul serio affrontare il problema del senso. Oltre ogni risposta, da una fossa comune nei pressi di Leningrado, Florenskij grida ancora al mondo: «COME È POSSIBILE LA RAGIONE?». La proposta del nostro autore è quella di cercarla oltre le sconfitte e i limiti scientifici, oltre la banalità e l’orrore del male, oltre l’indifferenza, oltre l’immediato visibile nell’esperienza concreta, nella contemplazione di ogni particolare e di lì partire per trovare il senso nuovo, il senso più alto, il senso dell’altro mondo che ri-dona senso anche a questo mondo, in una parola: la Trinità.


  1. P. A. Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 20062, p. 379. ↩︎

  2. Weltanschauung è un termine che ricorre spesso il Florenskij, esso significa visione d’insieme, globale e unitaria. Egli riconosce diversi tipi di Weltanschauung da quello di tipo analitico-scientifica a quella di tipo fiabesca e infantile per giungere a quella integrale propria di un pensiero teologico e filosofico maturo che rintraccia in ogni ambito studiato il segno di un’unità più alta e densa di significato. «Florenskij assunse a scopo della propria vita l’apertura di nuove vie per una futura e globale visione del mondo». Id., Avtoreferat [Nota autobiografica], in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 5. ↩︎

  3. L’ampia produzione di Florenskij conta oltre mille testi ed articolo e solo in questi ultimi anni è stato possibile anche in Russia un lavoro specifico di lettura e stampa delle sue opere. Non si dimentichi che solo nel 1991 furono restituiti alla famiglia tutto l’archivio con i suoi scritti sequestrati dal KGB all’atto dell’arresto. ↩︎

  4. Id., Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 20062, p. 381. ↩︎

  5. Florenskij non avrebbe mai potuto pronunciarsi per un pensiero meramente astratto e privo di alcun aggancio con la vita concreta. Essenziale resta sempre l’esperienza. «Raccontano cha attualmente in Occidente si impara a nuotare in palestra, sdraiati sul pavimento; allo stesso modo si può diventare cattolici e protestanti sui libri, senza contatti con la vita, nel proprio studio. Per diventare ortodossi, invece, bisogna immergersi di colpo nell’elemento ortodosso, vivere dell’ortodossia. Non esistono altri metodi». Id., La colonna e il fondamento della verità, Rusconi, Milano 19982, p. 40. Su questo punto e sulla riflessione in generale sulla categoria dell’esperienza nell’ortodossia rimando a K. C. Felmy, La teologia ortodossa contemporanea. Una introduzione, Queriniana, Brescia 1999, pp. 15-48. ↩︎

  6. Ma persino il pensiero strettamente positivista si è accorto dell’impossibilità di una costruzione solamente analitica e razionale che possa spiegare ogni addentellato dell’universo, per mantenere il proprio valore esso deve trovare una convalida al di fuori del sistema stesso, in un qualche principio trascendente. «Credere in Dio vuol dire vedere che i fatti del mondo non sono poi tutto». L. Wittgenstein, Quaderni 1914-1916, in Id., Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino 19682, p. 173. ↩︎

  7. «Il concetto di esperienza è indubbiamente uno dei concetti chiave del pensiero di Florenskij, in quanto ogni sua attività filosofica, teologica o scientifica nasceva dall’incontro/dialogo personale con la realtà viva e concreta. Si può anzi dire che le sue esperienze di vita rappresentano i luoghi originari di nascita di quelle intuizioni ed ispirazioni originali di pensiero, dalle quali, come da un seme, è cresciuto l’albero di tutta la sua opera». L. Zak, Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P. A. Florenskij, Città Nuova, Roma 1998, p. 67. ↩︎

  8. La produzione di e su Florenskij è ampia e svariata sia in italiano che in altre lingue oltre il russo. Per una più completa visione e bibliografia rimando ai seguenti testi: G. Lingua, Oltre l’illusione dell’Occidente. P. A. Florenskij e i fondamenti della filosofia russa, Zamorani, Torino 1999; M. Silberer, Die Trinitätsidee im Werke von Pavel A. Florenskij. Versuch einer systematischen Darstellung in Begegnung mit Thomas von Aquin, Augustinus Verlang, Würzburg 1984; R. Slesinski, Pavel Florenskij. A Metaphisycs of Love, St. Vladimir’s Seminary Press, New York 1984; S. Tagliagambe, Come leggere Florenskij, Bompiani, Milano 2006; N. Valentini, Pavel A. Florenskij: la sapienza dell’amore. Teologia della bellezza e linguaggio della verità, EDB, Bologna 1997; Id., Pavel A. Florenskij, Morcelliana, Brescia 2004; L. Zak, Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P. A. Florenskij, Città Nuova, Roma 1998; M. Žust, À la recherche de la Vérité vivante. L’experience religieuse de Pavel A. Florensky (1882-1937), Lipa, Roma 2002. Per quanto riguarda le opere di Florenskij qui più utilizzate riporto adesso la citazione completa per poi citarle secondo l’abbreviazione posta tra parentesi: P. A. Florenskij, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Mondadori, Milano 2003 (Ai miei figli); Id., Avtoreferat [Nota autobiografica], in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007 (Avtoreferat); Id., La colonna e il fondamento della verità, Rusconi, Milano 19982 (CFV); Id., Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 20062 (Non dimenticatemi). ↩︎

  9. Data da riferirsi al calendario giuliano, usato in Russia prima della Rivoluzione del 1917. La data corrisponde al 21 gennaio del calendario gregoriano. ↩︎

  10. P. A. Florenskij, Ai miei figli, p. 65. Quest’opera scritta negli anni venti del Novecento può ben rappresentare da sola come il nostro autore intendesse la vita e soprattutto la sua infanzia e fanciullezza e come ne facesse da lì derivare ogni suo successivo passo. È il lascito che un padre dona ai suoi figli al fine di poterlo meglio comprendere oltre l’immediatezza, per coglierne le motivazioni di fondo e poter dare un vero sguardo d’insieme alla vita dell’avo. E niente di più alto poteva lasciargli se non le sue esperienze dell’infanzia, «l’univa vera eredità “materiale”, culturale e spirituale della quale dispone». N. Valentini, Geometrie dell’anima, tra fiaba e scienza, in Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Mondadori, Milano 2003, p. 16-17. ↩︎

  11. La categoria dell’idealismo magico teorizzata da Novalis viene fatta propria dallo stesso Florenskij nello spirito della sua costruzione di una metafisica concreta e simbolica. Esso ha lo scopo di trasfigurare l’universo, ossia contemplare la natura per mezzo di un’attività che si fonda evidentemente sul riconoscimento della materia come portatrice in sé dell’essenza divina. Il nostro autore contrappone proprio tale visione magica a quella superficiale della scienza e degli adulti. «Imparai presto a vivere con due teste: in superficie con la testa degli adulti, accogliendo le leggi della logica, e in profondità con la mia testa di bambino, percependo il mondo da seguace dell’idealismo magico». P. A. Florenskij, Ai miei figli, p. 222. ↩︎

  12. «Tutto quel che mi circondava, quel che solitamente non pare e non viene riconosciuto essere misterioso, oggetti e fenomeni abituali e quotidiani, avevano per me una certa qual profondità di ombre, una sorta di quarta dimensione, e mi si presentavano immersi nelle tenebre profetiche di un quadro di Rembrandt». Ibidem, p. 74-75. ↩︎

  13. N. V. Bugaev (1837-1903) fu una conoscenza personale di Florenskij. Padre della nuova ritmologia egli colpì il nostro autore soprattutto per le sue idee sulla discontinuità, che sono state anche il tema della sua tesi di laurea. Innanzitutto il pensiero di Bugaev apriva un nuovo percorso per eliminare la scissione tra l’ambito del pensiero scientifico-filosofico e l’ambito della religione, tale strada si apriva dalla teoria degli infiniti e dall’accettazione della crisi della continuità matematica vista come pensiero arido e improduttivo. La teoria della discontinuità invece affiancava alle astratte teorie la concretezza del pensiero dell’uomo. Cfr. Id., Su un presupposto della concezione del mondo, in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007. ↩︎

  14. G. Cantor (1845-1918) ha molto influenzato il pensiero di Florenskij per ciò che riguarda la sua teoria degli insiemi transfiniti e la correlata teoria dell’infinito attuale e potenziale. Cfr. P. A. Florenskij, I simboli dell’infinito (Saggio sulle idee di G. Cantor), in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007. ↩︎

  15. L. Zak, Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P. A. Florenskij, Città Nuova, Roma 1998, p. 136. «Noi che abbiamo visto l’alba della “nuova arte”, siamo ora alle soglie della “nuova scienza”. E solo quando essa verrà fondata potremo apprezzare degnamente l’attività di profeti quali Georg Cantor e Nikolaj Bugaev». P. A. Florenskij, Su un presupposto della concezione del mondo, in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 24. ↩︎

  16. P. A. Florenskij, Avtoreferat, p. 10. ↩︎

  17. Ibidem, p. 4. ↩︎

  18. Presso gli ortodossi è possibile essere ordinati sacerdoti sia da nubili che da sposati. Nel primo caso la via da intraprendere è quella del monastero e della vita separata; nel secondo caso viene richiesto prima che l’uomo si sposi e poi che possa chiedere di essere ordinato. Florenskij aveva accarezzato l’idea di intraprendere la vita monastica ma ne fu dissuaso, o meglio, gli si consigliò di procrastinare la decisione fino alla fine degli studi all’Accademia. ↩︎

  19. «Sacerdozio o scienza: questa contrapposizione gli rodeva l’anima non meno di quella fra Dio e famiglia. Così si sviluppò dentro di lui il “senso vivo dell’antinomicità”». La concezione dell’antinomia insieme con quella trinitaria costituisce il cuore del pensiero florenskijano. L’antinomia è la constatazione dell’inconciliabilità del reale, dell’impossibilità di qualsiasi sintesi astratta o ideale, eppure non è la resa al caos di fronte a cui si rimane impotenti. Il senso vivo dell’antinomia consiste nell’esperire insieme la pluriformità della realtà ma anche la sua intima unione, essa non è un terzo che si oppone tra l’unità e la molteplicità ma è proprio il fecondo rapporto che si instaura tra queste due realtà e le fa coesistere senza sottomettere l’una all’altra. E come si vede anche questo concetto apparentemente teoretico si basa su una profonda esperienza di vita. Infatti anche il paradosso sacerdozio o scienza si risolse nella viva antinomia di sacerdozio e scienza. «Così si risolse la prima contrapposizione. Dal giorno dell’ordinazione la teologia e la scienza di padre Pavel sarebbero passate al vaglio dell’esperienza dell’altare, sarebbero state vissute dentro la vita della Chiesa». Igumeno Andronik (A. S. Trubačev), La vocazione di Florenskij, La Nuova Europa 5 (2007), p. 51-52. ↩︎

  20. P. A. Florenskij, Avtoreferat, p. 5. ↩︎

  21. Si legge in un appunto autografo del 23 aprile 1916: «Che cosa avrei fatto, come avrei potuto vivere senza la vocazione sacerdotale? Come mi sarei agitato, quanto sarei stato infelice… quanto avrebbero avuto a soffrire per causa mia Anna e i bambini. Anche ora, non è che tutto vada bene, ma in quel caso saremo periti tutti. Certo, ho avuto sofferenze, contrasti anche a causa del ministero sacerdotale, ma che cosa sono mai, in confronto al dono della grazia!». Cit. in Igumeno Andronik (A. S. Trubačev), La vocazione di Florenskij, La Nuova Europa 5 (2007), p. 62. Ancora più toccante resta la memoria di un suo caro amico, il filosofo e teologo Bulgakov: «Ma tutto quello che si può dire dello straordinario talento scientifico di padre Pavel, come anche della sua originalità, in virtù della quale poteva sempre dire la sua, come una qualche rivelazione su tutto, è tuttavia secondario e di poca importanza se non si riconosce in lui la cosa più importante. Il centro spirituale della sua personalità, il sole che illuminava tutte le sue doti era il suo sacerdozio». S. N. Bulgakov, Il sacerdote Pavel Florenskij, in S. N. Bulgakov, Lo spirituale della cultura, Lipa, Roma 2006, p. 148. ↩︎

  22. S. N. Bulgakov, Il sacerdote Pavel Florenskij, in S. N. Bulgakov, Lo spirituale della cultura, Lipa, Roma 2006, p. 150. ↩︎

  23. «È come se la vita gli avesse offerto la scelta tra le Solovski e Parigi, ma egli scelse… la patria, benché si trattasse delle Solovski, volle fino alla fine condividere la sorte del suo popolo. Padre Pavel non poteva e non voleva internamente diventare un emigrato, nel senso di un distacco volontario o involontario dalla patria. Lui stesso e il suo destino sono la gloria e la grandezza della Russia, e nello stesso tempo il suo più grande delitto». Ibidem, p. 153. ↩︎

  24. P. A. Florenskij, Lettere, p. 252. ↩︎

  25. «L’attuale opera di padre Pavel non sono più i libri da lui scritti, le sue idee e le sue parole, ma è egli stesso, tutta la sua vita, che se n’è andata per sempre da questo mondo in quello futuro. E solo coloro che credono e sanno che la vita della creatività prosegue oltre la tomba, che anche là è possibile partecipare alla vita di qui, queste persone hanno la speranza cristiana di incontrarlo nella patria eterna, nella Russia incomprensibile, nel secolo futuro, nel quale niente di veramente prezioso si perderà, ma si moltiplicherà, e le opere del giusto lo seguiranno…». S. N. Bulgakov, Il sacerdote Pavel Florenskij, in S. N. Bulgakov, Lo spirituale della cultura, Lipa, Roma 2006, p. 154. ↩︎

  26. K. C. Felmy, La teologia ortodossa contemporanea. Una introduzione, Queriniana, Brescia 1999, p. 36. ↩︎

  27. P. A. Florenskij, Avtoreferat, p. 6. Cifra e simbolo della differenza tra le due visioni è la contrapposizione tra la cultura rinascimentale, frutto della cultura scientifica e perciò frammentaria, astratta, superficiale e tendente al soggettivismo e la cultura medioevale che invece si distingue per organicità, concretezza e oggettività. ↩︎

  28. Il titolo di questo sottoparagrafo e dei prossimi ricalcano le intestazioni dei capitoli centrali (III - IV - V) di Ai miei figli che ne rappresentano anche l’anima. Mi è parso opportuno, nella fedeltà ai suoi stessi scritti indicata in precedenza, conservare il suo stesso procedere e gli stessi termini fondamentali. ↩︎

  29. P. A. Florenskij, Ai miei figli, p. 103. ↩︎

  30. «La mia vista non era di tipo analitico, non estrapolava - acuendoli - singoli elementi; quel che coglievo era soprattutto la forma». Ibidem, p. 110. ↩︎

  31. «La verità non si ottiene con speculazioni schematiche, per quanto convincenti possano sembrare a chi ci circonda, e neppure con seguire la moda e col far chiasso, ma con l’immedesimazione profonda col mondo, con la verifica tenace e la crescita organica». Id., Lettere, p. 372. ↩︎

  32. A volte la riflessione filosofica e teologica ha tralasciato proprio la concezione del corpo come elemento comune di appartenenza dell’uomo con l’universo ma ancor di più come organo di relazione e partecipazione alla vita. «Il nostro corpo è infinitamente più profondo di quanto lo ritenessero il materialismo e il positivismo da un lato e lo spiritualismo astratto dall’altro. Alla sua base la fisiologia è assolutamente mistica, è la base della religione dell’umanità tutta. E se il corpo, inteso quale energia morfopoietica della vita è l’involucro o una manifestazione dell’anima che ci separa dal mondo, quale materia morfopoietica esso è l’involucro del mondo o la manifestazione del mondo che separa il mondo da noi. […] Il nostro corpo esperisce misticamente il mondo intero. E c’è un nesso tra le parti del mondo e gli organi del corpo, tra gli aspetti della vita corporea e le energie cosmiche: se tale legame non esistesse, non esisterebbero nemmeno le relative parti del mondo, né nella nostra percezione, né nel nostro pensiero, né nella nostra parola; in altri termini, in questo senso non esisterebbe neppure il mondo. Ma in questo rapporto con noi può essere solo ciò che avevamo già da prima, nel rapporto della realtà stessa con noi. I rapporti empirici sono lastricati di nessi mistici. E solo la presenza in me del mondo - come del mio corpo - dà modo di spiegare la possibilità della conquista empirica del mondo, della sua assimilazione, della sua organizzazione tecnica. I concetti relativi al mondo di cui disponiamo, tutti gli schemi della rappresentazione dei suoi processi, i termini, i numeri, le categorie, i predicati più palesemente astratti, insomma tutto ciò che potremmo o avremmo potuto esprimere o pensare sul mondo - per non parlare, è ovvio, della poesia e delle immagini artistiche o musicali -, tutto ciò è decisamente e assolutamente antropomorfo, tutto ciò riflette l’uomo stesso e la sua struttura, la sua struttura esterna e i suoi processi interni che, a propria volta, simboleggiano la nostra struttura interna e i moti interni del nostro spirito. La matematica, l’astronomia, la fisica ecc., per non parlare dell’arte, sono riflessi luminosi dello spirito che illumina, sistematizza, organizza, assimila e vivifica il nostro stesso corpo, per quanto devastato dal male». Id., L’incarnazione della forma. L’azione e lo strumento - Lo strumentario, in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 207. ↩︎

  33. Id., Ai miei figli, p. 114. ↩︎

  34. «Ogni percezione rimandava a un’altra, e nella mente si formava una sorta di sistema in cui quanto era eterogeneo si correlava per dettagli piccoli ma, a mio parere, significativi. Piante, pietre, uccelli, animali […], fenomeni atmosferici, colori, odori, sapori, corpi celesti ed eventi sotterranei si intrecciavano tra loro in legami multiformi, andando a formare il tessuto del parallelismo universale». Ibidem, p. 125. ↩︎

  35. Proprio Florenskij usa questo termine per differenziare la sua concezione sulla natura da quella usuale e accademica, essa rispondeva alla maggiore radicalità dei bambini, alla loro maggiore propensione ad un pensiero al tempo stesso ontologico cioè chiaro e deciso ma non arrogante o inclusivo. «Il giudizio dei bambini è ontologico. Ragion per cui per me non esistevano l’arte bella e l’arte brutta, ma l’arte e la non-arte, e il mio giudizio era onesto e non fasullo». Ibidem, p. 123. ↩︎

  36. Ibidem, p. 126. ↩︎

  37. «Il mondo viveva e io comprendevo quel suo vivere». Ibidem. ↩︎

  38. Ibidem, p. 126-127. ↩︎

  39. Ibidem, p. 127. ↩︎

  40. Nel suo capolavoro Florenskij affronta tale problema da punto di vista della dottrina della conoscenza postulando l’intima correlazione tra l’intuizione diretta della verità con il discorso su tale verità. Per essere esperita in ogni sua piega ed essere concepita nonché comunicata la verità non può essere altro che intuizione-discorso. Cfr. P. A. Florenskij, CFV, p. 51-86. ↩︎

  41. «Forse, dunque, la specificità della conoscenza immediata del mistico consiste proprio nel fatto che, nell’atto della conoscenza, il soggetto sciente e la sostanza conosciuta si uniscono in una bi-unità indivisibile che non si fonde». Id., Non considerò un rapimento, in Id., La mistica e l’anima russa, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2006, p. 123-124. ↩︎

  42. «La quarta coordinata - il tempo - era per me tanto viva da perdere il proprio carattere di mala infinità e da divenire accogliente e delimitata, rasentando l’eternità. Ero abituato a vedere le radici delle cose. Tale abitudine visiva fecondò poi l’intero mio pensiero e ne determinò il tratto fondamentale: la tendenza a muoversi in verticale e lo scarso interesse per l’orizzontale». Id., Ai miei figli, p. 140. ↩︎

  43. «Sia la natura che l’uomo sono infiniti, e per questo loro essere infiniti, e in quanto equipollenti, essi possono essere reciprocamente parte l’una dell’altro. Dirò di più, essi possono essere parte di se stessi e parti equipotenti tra sé e con l’intero. L’uomo è parte del mondo, ma allo stesso tempo egli è complesso tanto quanto lo è il mondo. Il mondo è parte dell’uomo, ma anche il mondo è complesso tanto quanto lo è l’uomo». Id., L’incarnazione della forma. L’azione e lo strumento - Macrocosmo e microcosmo, in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 210. ↩︎

  44. N. Valentini, Geometrie dell’anima, tra fiaba e scienza, in Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Mondadori, Milano 2003, p. 32. ↩︎

  45. P. A. Florenskij, Ai miei figli, p. 142. ↩︎

  46. Fin dall’infanzia il sentimento religioso si contrapponeva a quello scientifico-familiare come due modi contrapposti di approcciarsi al reale: da un lato il cammino analitico della scienza dall’altro quello simbolico della religione. «In me c’era l’eccitazione repressa del sentimento religioso: ne ero stato tagliato fuori in modo tanto efficace che con la forza della mia inclinazione interiore innalzavo ancora di più il muro che era stato eretto tra me e la religione. Tanto maggiore era la mia esigenza religiosa, tanto più io, sul cammino a me indicato, mi allontanavo mea sponte dall’eventualità di appagarla». Ibidem, p. 159. ↩︎

  47. Sia il culto che la religione Ortodossa sono punti cardini imprescindibili per comprendere il pensiero di Florenskij in quanto rappresentano quel suolo privilegiato in cui il simbolo diventa più puro e più fruibile. Lo spazio cultuale della liturgia e della preghiera ortodossa manifestano quella via d’accesso al divino che la contemplazione della natura aveva aperto. Il culto è un tempo privilegiato perché tange l’eterno, mette in contatto i due mondi della trascendenza e dell’immanenza senza risolverli l’uno nell’altro, in esso si neutralizza sia la potenza inclusiva della ragione umana sia la potenza, pure essa inclusiva al sommo grado, della divinità: viene celebrato l’incontro reciproco e amante. L’Ortodossia si esprime poi eminentemente nell’esperienza ecclesiale che secondo Florenskij rappresenta l’apice di ogni fede religiosa veramente aperta alla relazione interumana e di conseguenza alla relazione con la divinità. ↩︎

  48. Ibidem, p. 162. «Avere una fede è meglio che non averne nessuna. Si può e si deve essere totalmente devoti alla propria confessione; ma non si può negare che aderire a una confessione, quale che essa sia, è meglio che non aderire a nessuna. […] Il cielo, da cui tutti ricevono la luce, non appare omogeneo sulle loro teste, e tuttavia è un unico cielo. Vederlo, magari anche attraverso una fessura, è meglio che non vedere nulla. Questo cielo è Dio. Avere una fede qualsiasi è meglio che non averne nessuna, poiché la fede dà un autentico contatto con il mondo spirituale». Id., Note sull’ortodossia, L’Altra Europa 1 (235) 1991, p. 25-26. ↩︎

  49. «Umanità: era questa la parola preferita di mio padre, quella con cui voleva rimpiazzare il dogma religioso e la verità religiosa. Nell’umanità, nella benevolenza, egli scorgeva il regolatore universale di ogni sorta di rapporti sociali e personali da sostituire alla religione, al diritto e alla morale, l’unica cosa da predicare e instillare». Id., Ai miei figli, p. 166. Questa concezione paterna sarà sposata dallo stesso Florenskij a cui però non affiancherà il rifiuto della categoria storica della religione (Ortodossia) intesa come unica capace di rendere concreto questo senso alto di umanità. ↩︎

  50. Id., Cristianesimo e cultura, L’Altra Europa V (215) 1987 (da ora in poi citato come Cristianesimo). Questo interessante articolo, scritto all’incirca negli stessi anni di Ai miei figli, risulta di notevole attualità nel dibattito tra la cultura e la religione e voleva essere un tentativo di smascherare le mire autonomiste di una cultura aggressiva ma anche i rischi che la religione corre nel momento in cui non si pone in dialogo con le altre forze spirituali del tempo contemporaneo. ↩︎

  51. Si intende qui come cultura tutto ciò che ha a che fare con la riflessione e quindi spazia dalla matematica alla filosofia all’arte e alla tecnica. La cultura rappresenta il mondo del pensiero che si sta sganciando da qualsiasi riferimento a quell’oltre di senso che, per Florenskij, è rappresentato dal cristianesimo. ↩︎

  52. «La situazione in cui è venuto a trovarsi il mondo della cultura non è però qualcosa di casuale o che si sarebbe prodotto da un giorno all’altro, è piuttosto l’esito inevitabile dell’indirizzo che questo mondo ha seguito ormai da diversi secoli, sforzandosi in ogni modo - nella maggioranza dei casi in maniera non pienamente cosciente - per erigere un muro tra sé e la Fonte della vita eterna». Id., Cristianesimo, p. 49. ↩︎

  53. Ibidem. ↩︎

  54. «La logica della storia ci ha posti di fronte a un dilemma ineludibile: o rinunciare a quell’ultimo residuo di cristianesimo che è la “morale cristiana”, o rinunciare a tutto il corso della precedente cultura anticristiana e riconoscere francamente che un Dio, al quale siamo disposti a concedere in noi stessi e nella nostra vita solo un angolino per lasciare poi che tutto il resto se ne vada per “la sua strada” (At. 14,16), non è già più nella nostra coscienza Dio». Ibidem, p. 50. ↩︎

  55. Ibidem. ↩︎

  56. Ibidem, p. 51. ↩︎

  57. Ibidem, p. 53. ↩︎

  58. La questione dell’evn kai, polla, (uno e molti) è centrale nell’opera di Florenskij che la riprende dall’idealismo di marca platonica. Il nostro autore riteneva infatti Platone uno dei più grandi pensatori della storia nonché uno dei primi ad aver postulato non tanto il mondo delle idee ma piuttosto l’idealità del reale, quella stessa presenza nelle trame concrete della vita del nesso ideale più ampio e trascendente. «vEn non è solo ed esclusivamente ev,n (uno), ma è allo stesso tempo polla, (molti) e addirittura pa-n (tutto). Dall’ ev,n (uno) che noi vediamo qui e ora si tendono innumerevoli fili verso l’altro, verso il pa-n (tutto), verso l’esistenza universale, verso la pienezza dell’essere. Queste vie sono le vie della vita stessa: sono nervi, arterie che si dipartono dal fenomeno isolato e solitario dell’ev,n (uno), fino a farne un organismo vivo, una creatura viva. Sembra che l’ev,n (uno) sia qualcosa di chiuso in se stesso di piatto. Ma queste è solo apparenza. Esaminatelo attentamente, vedrete che non è affatto chiuso in se stesso e non è nemmeno piatto. Anzi, esso è circondato da una ghirlanda i cui rami si intrecciano con i rami di altre esistenze e spande intorno un fragrante profumo. Ha una profondità che si estende con lunghe radici fino a penetrare negli altri mondi, e dai quali riceve la vita. La sua tonalità sonora non è quella del secco e isolato diapason, ma è una viva armonia che si incarna in un insieme di toni melodici, alti, svariati… L’ev,n (uno) è infinitamente più grande e più ricco di contenuti di quanto non sia razionale. […] La vera realtà, l’idea, non è un’esistenza isolata, ma “mi,an… dia. poll?n [un’(idea) attraverso molte]”, come la definisce Platone, oppure ancora “ev,n kai. polla, (uno e il molteplice)”, come egli afferma, alludendo chiaramente alla questione fondamentale di tutta la filosofia greca. […] Sentire questo “mi,an… dia. poll?n”, sentire questo “ev,n kai. polla,”, ecco qual è la percezione del mondo che sta alla base dell’idealismo». Id., Il significato dell’idealismo, Rusconi, Milano 1999, p. 66-67. ↩︎

  59. Florenskij, procedendo nella riflessione, pone l’unità ecclesiale (Sobornost’) come il punto più alto per concepire l’umanità, in questo momento non è possibile affrontare anche il suo pensiero ecclesiologico, basti ora rammentare che la Chiesa per lui rappresenta un’idea ontologica non riducibile alle singole chiese storiche ma come Corpo formato dalla vita di ogni uomo e riunito in Cristo. «La vita sobornica della Chiesa universale non è la somma della vite dei singoli uomini e neppure di quelle delle singole Chiese: l’intero è maggiore della somma delle parti». Id., Cristianesimo, p. 57. ↩︎

  60. Ibidem, p. 56. ↩︎

  61. Ibidem, p. 62. ↩︎

  62. Id., Ai miei figli, p. 193. ↩︎

  63. «Secondo le prime parole del Genesi, Dio “creò il cielo e la terra” (Gn. 1,1) e questa divisione di tutto il creato in due parti è sempre stata considerata fondamentale. Così nella confessione di fede chiamiamo Dio “Creatore delle cose visibili e delle invisibili”, Creatore così delle visibili come delle invisibili. Questi due mondi - il visibile e l’invisibile - sono in contatto. Tuttavia la differenza tra loro è così grande che non può nascere il problema del confine che li mette in contatto, che li distingue ma altresì unisce. Come si può intenderlo? Qui come nelle altre questioni metafisiche il punto di partenza è ciò che noi già sappiamo dentro di noi. Sì, la vita della nostra anima ci dà il punto d’appoggio per conoscere questo confine che mette in contatto i due mondi, infatti anche in noi la vita nel visibile si alterna alla vita nell’invisibile, sicché c’è un tempo, sia pur breve, sia pure concentrato al massimo, talvolta fino all’atomo di tempo - quando i due mondi si toccano e ci diventa contemplabile perfino questo congiungimento». Id., Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, Milano 200610, p. 19. ↩︎

  64. «Quanto era particolare, insolito, mi pareva foriero di un altro mondo e incatenava il mio pensiero, o meglio la mia immaginazione». Id., Ai miei figli, p. 200. ↩︎

  65. Ibidem, p. 201. ↩︎

  66. «Il fatto è che per me il rapporto tra ciò che riluce e ciò che traluce, tra cosa e scorza, non è mai stato esteriore. Non ho mai cercato di contemplare quest’unità spirituale al di fuori e indipendentemente dalla sua manifestazione. Respingevo con tutto me stesso la scissione kantiana di noumeni e fenomeni […]. Al contrario, in questo senso sono sempre stato un platonico, un onomatodosso: il fenomeno era per me un fenomeno del mondo spirituale, e il mondo spirituale oltre il proprio manifestarsi era da me concepito come non-manifestato, come esistente in sé e per sé e non per me». Ibidem, p. 201-202. ↩︎

  67. Ibidem, p. 202. «Non parto da affermazioni e supposizioni generali astratte, ma seguo la strada della sintesi e dell’approfondimento dei casi concreti specifici, i quali cerco di cogliere in tutta la loro concretezza. Fin quando io stesso, con le mie mani, non ho pesato, sminuzzato, effettuato le analisi, calcolato, non capisco un fenomeno. Posso, sì, parlarne e ragionarne, ma non è ancora diventato mio. Ecco, proprio questo lavoro “grossolano” porta via tempo ed energie. Non è che non possa, ma non voglio permettermi di accostarmi ai fenomeni in modo “generale” e astratto. Se passassi sopra a questo mio sentimento, nessuno, probabilmente, lo noterebbe; ma dinanzi al decorso astratto del pensiero, a me stesso viene un senso di disonestà e di ciarlataneria, e proprio così vedo la maggior parte delle generalizzazioni fatte dagli altri ricercatori. Invece, in ciò che è particolare e concreto deve risplendere ciò che è generale: l’universale». Id., Lettere, p. 380-381. ↩︎

  68. Id., Ai miei figli, p. 202. ↩︎

  69. Cfr. P. A. Florenskij, Ai miei figli, p. 202. ↩︎

  70. «Il pensiero del mistero si conficcava nel cervello come un raggio di sole, come una macchia di luce; e dico nel cervello proprio perché con la sua forza e la sua incontra stabilità quel desiderio prendeva tutto l’organismo come un riflesso, fisiologicamente». Ibidem, p. 208. ↩︎

  71. Ibidem. ↩︎

  72. «Era proprio là dove il corso quieto della vita veniva violato, dove il tessuto della causalità consueta si lacerava che vedevo la garanzia della spiritualità dell’essere». Ibidem, p. 210. ↩︎

  73. Ibidem, p. 212. «Mio padre riteneva che proprio l’idea della discontinuità fosse l’abisso che si apriva tra la visione del mondo della sua generazione e la mia, la Weltanschauung del prodigio, della fiaba, a cui tendevo». Ibidem, p. 204. Abbiamo già visto come proprio l’idea della discontinuità è una delle concezioni cardine del pensiero religioso, filosofico e scientifico di Florenskij. ↩︎

  74. Ibidem, p. 222. Florenskij dedica un intero capitolo (la lettera sesta dal titolo La contraddizione) della sua opera maggiore proprio al tema dell’antinomia. Essa è l’unica capace di far esperire la verità, anzi di più è essa stessa la verità. «Infatti si può credere solo all’antinomia, perché ogni giudizio non antinomico viene semplicemente accettato o respinto dal raziocinio, visto che non trascende i confini del suo isolamento egoistico. Se la verità fosse non antinomica, il raziocinio, muovendosi in cerchio nel proprio campo, non avrebbe un punto d’appoggio, non vedrebbe l’oggetto extrarazionale, e quindi non avrebbe lo stimolo ad abbracciare l’eroismo della fede». Id., CFV, p. 195. ↩︎

  75. «Per la concezione scientifica del mondo spiegare significava - ai miei occhi - distruggere l’interezza concreta del fenomeno, dimostrarne l’illusorietà. Quel che cercavo io, invece, era la constatazione dell’intero concreto e la conferma che il fenomeno fosse di fatto individuale e non riconducibile a null’altro». Id., Ai miei figli, p. 235. ↩︎

  76. «La regolarità era il mio nemico; venuta a conoscenza di una qualche legge della natura, la mia mente tormentata dall’ansia, da un senso di limitatezza e di mesta oppressione riacquistava serenità solo quando saltava fuori un’eccezione alla legge stessa». Id., p. 234. ↩︎

  77. «Quel che avevo caro, al contrario, era il fenomeno in toto, quanto era concretamente osservabile. Era la forma della sua unità che mi dava pena: per me la forma era la realtà». Id., p. 235. ↩︎

  78. Ibidem, p. 225. ↩︎

  79. Id., CFV, p. 555. Naturalmente la ragione che va ricercando è quella che si fonda sulla conoscenza della Verità esperita come ambito trascendente nell’immanenza concreta. «La ragione brama salvezza; in altre parole, cioè, essa perisce nella sua forma puramente logica, nella forma del raziocinio. […] Scomponendosi in antinomie e morta nella sua esistenza raziocinante, la ragione cerca il principio della vita e della fermezza. In ambito teoretico la salvezza si intende prima di tutto come stabilità dell’intelletto, cioè proprio come risposta alla domanda: come è possibile la ragione?». Id., Ragione e dialettica, in N. Valentini, Pavel A. Florenskij, Morcelliana, Brescia 2004, p. 100. ↩︎

  80. Id., CFV, p. 89. Con altri termini, la Trinità permette di concepire quell’idealismo concreto, tanto caro al pensiero florenskijano, che diventa un vero e proprio sì alla vita, vita sia di pensiero che di esperienza. «Soltanto la Triunità è ev.n kai, polla, in senso proprio e definitivo, cioè in essa soltanto trova una risposta la questione fondamentale di tutta la filosofia. Ed inoltre, proprio nel dogma della Trinità i temi fondamentale dell’idealismo, che già vari pensatori avevano affrontato in modo diverso e con un certo anticipo, si intrecciano in un unicum e risuonano in tutta la loro estrema chiarezza». P. A. Florenskij, Il significato dell’idealismo, Rusconi, Milano 1999, p. 161. ↩︎

  81. La ricerca dei primi filosofi è più vicina all’esperienza religiosa che all’elaborazione speculativa-raziocinante moderna a partire da Cartesio e Kant. Nella sua origine folle la filosofia riconosce e accoglie la magmaticità del pensiero più che i suoi astratti schemi, accoglie le istanze dell’altro più che imporre le proprie. “Il sistema che irrigidisce il pensiero, è in generale una contradictio in adjecto ed è nemico delle profondità vitali”. Id., Il timore di Dio, in Id., Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, Piemme, Casale Monferrato (AL), p. 302. “Il mondo impazzisce e infuria alla ricerca di un qualcosa, mentre ha già in mano l’unica cosa che serve: la chiarezza. La cultura borghese si sta disgregando perché in essa non c’è un’affermazione chiara, un netto «sì» al mondo. Essa è tutta nel «come se», «come se fosse», l’illusionismo è il suo vizio principale. Quando il soggetto si stacca dall’oggetto e gli si contrappone, tutto diventa convenzionale e vuoto, tutto appare un’illusione”. Id., Lettere, p. 281. ↩︎

  82. Nelle analisi florenskijane emerge infatti la crisi dei due capisaldi del pensiero metafisco-scientifico, il principio di identità e quello di ragion sufficiente. La legge d’identità rappresenta per Florenskii la staticità del pensare perché «ogni A, escludendo tutti gli altri elementi, viene escluso da tutti questi, perché se ognuno di essi per A è soltanto non-A, anche A rispetto a non-A è soltanto non-A». Non vi è alcuna relazionalità né alcuna pretesa «all’assoluta universalità», tutto resta autoreferenziale e limitato. «la legge di identità è uno spirito di morte, di vuoto, di annientamento». Id., CFV, p. 62-63. È altrettanto inimmaginabile che la ragione possa funzionare fidandosi esclusivamente della legge di ragion sufficiente perché se la certezza di un giudizio si basa sulla riducibilità ad un altro, tale processo risulta essere un «regressus in indefinitum», poiché non si può conoscere la fine del pensiero inserito esclusivamente nei suoi meccanismo di causa ed effetto. ↩︎

  83. «Il regressus in indefinitum è dato in potentia, non in actu, non come una realtà finita e attuata in qualche tempo e in qualche luogo. La dimostrazione razionale crea nel tempo il sogno dell’eternità, ma non permette di attingere l’eternità. Perciò la razionalità del criterio, l’attendibilità della verità non è mai, come tale, data effettivamente in maniera attuale, nella sua giustificazione, bensì sempre soltanto nella possibilità, in potenza, nella sua giustificabilità». Ibidem, p. 67. ↩︎

  84. «La verità è intuizione-discorso. Per essere dimostrabile (discorsiva), l’intuizione non deve essere cieca, ottusamente limitata, ma deve aprirsi sull’infinito, deve, per così dire, essere parlante, ragionevole. D’altra parte la discursio non deve andare nell’indefinito, deve essere non solo possibile ma reale, attuale». Ibidem, p. 78. ↩︎

  85. La logica classica rispondeva ad una dialettica di soggetto e oggetto secondo la quale era il primo termine a porre in essere e determinare fondamentalmente il secondo che nel migliore dei casi poteva, passivamente, non partecipare né rendersi disponibile alla conoscenza e al possesso. ↩︎

  86. Ibidem, p. 84. ↩︎

  87. In un opera più tarda Florenskij accosta l’immagine della Croce, simbolo della stessa Trinità, alla potenza su cui si fonda il mondo. «La Croce perciò è un essere vivo, ragionevole, consapevole, spirituale, capace di ascoltare le nostre preghiere e di rispondere ad esse con sollecitudine. […] Essa è la forza su cui si fonda il mondo, “che predetermina” il mondo, custode del mondo, guida del mondo, idea del mondo, è la Sofia. Nel suo insieme, come nelle sue parti l’universo è cruciforme e questa forma della Croce penetra l’universo in tutte le direzioni, in tutte le azioni, in tutti i sensi». Id., Il timore di Dio, in Id., Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999, p. 288-289. ↩︎

  88. Il termine chiave dell’unisostanzialità è ovmoousi,a, che esprime proprio il «germe antinomico della concezione cristiana della vita, un nome unico per tre ipostasi. Cfr. P. A. Florenskij, CFV, p. 89-93. Tale termine viene ripreso dalla tradizione patristica e dalle sedimentazioni conciliari ma viene originalmente introdotto nel suo pensiero da Florenskij che lo rende il punto chiave sia per comprendere la Trinità che per superare le aporie del raziocinio. ↩︎

  89. “L’uno e il molteplice «trinitario» non vanno «separati», come rischia una certa teologia, come se l’uno appartenesse a Dio (la teologia!) e il molteplice alla «storia» (l’economia!). ? in Dio stesso che si danno l’uno e il molteplice come momenti costituenti la stessa «realtà-vita» di Dio Uno-Trino”. G. Mazzanti, La Trinità e l’ontologia dell’amore comunionale-ecclesiale. L’amico, il fratello e l’amore universale in Pavel Florenskij, Humanitas 4 (2003), p. 690. ↩︎

  90. P. A. Florenskij, CFV, p. 96. ↩︎

  91. Ibidem, p.100. ↩︎

  92. «Si conosce la verità solo attraverso le verità; per conoscerla bisogna averla e per questo è necessario cessare di essere soltanto se stessi e comunicarsi alla verità». Ibidem, p. 103. ↩︎

  93. Ibidem. Torna qui il tema della discontinuità emblema ora del pensiero che si muove nella Trinità e non più semplice termine matematico. ↩︎

  94. «Forse proprio considerando l’inevitabilità di questa scelta nacque in Pascal l’idea della scommessa con Dio. Da una parte sta il tutto, ma ne siamo malcerti; dall’altra sta il niente e allo stolto sembra qualcosa, ma che ne conosce il valore reale lo considera assolutamente nulla senza quel tutto, ed esso diventa tutto se si trova il tutto». Ibidem, p. 104. ↩︎

  95. Ibidem, p. 106-107. ↩︎

  96. In termini più strettamente teologici è il problema del rapporto tra la Trinità immanente e quella economica. Il primo termine indica il mistero trinitario nella sua dinamica interna, mentre il secondo ne indica la relazione con l’uomo e la creazione. Diventa importante per Florenskij tenere entrambe le concezioni insieme senza scadere nello spiritualismo di una Trinità solo immanente o nella razionalità di una Trinità assolutamente economica, così come era nella visione dell’idealismo tedesco. ↩︎

  97. «Il termine Sofi,a viene tradotto con “sapienza” ma non significa affatto una semplice appercezione passiva dei dati, non corrisponde affatto ai nostri termini ragione, conoscenza, scienza, ecc., ma racchiude un’indicazione precisa di creatività […], così che nel renderlo in linguaggio moderno bisognerebbe scrivere Costruttrice, Maestra, Artista e simili». Ibidem, p. 766. Molto lungo sarebbe ora il discorso sul pensiero sofiologico di una certa corrente del pensiero religioso russo, si può riassuntivamente dire che il mondo esprime la sapienza creatrice di Dio che fa da mediatore tra l’Uno e il molteplice. La sapienza si rivela in Cristo e nella Chiesa per il bene del mondo. La sofianicità del mondo ha un’origine trinitaria. È il tentativo di esprimere in modo personale e relazionale l’atto creativo a partire dalla comunione divina e non dall’idea astratta della causa prima. La Sofia divina è auto rivelazione di Dio nel mondo e ha l’Amore come fondamento del proprio essere, quindi, sta nella libertà e non nella necessità. Così dicendo, il mondo divino appartiene non solo all’essere di Dio, ipostatizzandosi in esso, ma anche, in modo non ipostatico nella crerazione. Questa è l’autodeterminazione di Dio fuori di sé. L’essere del mondo è inserito nel circolo d’amore trinitario. La Sofia divina non è solo il progetto divino del mondo, la sua idea o ordine, ma lo stesso fondamento. Secondo questa concezione si riconosce in Dio l’eternità della creazione e la temporalità nell’essere fenomenico del mondo creato. Così il tempo appare come la forma mobile dell’eternità. ↩︎

  98. Ibidem, p. 388 (corsivo mio). ↩︎

  99. «Dal punto di vista di Dio, la ragione della creatura è l’amore autoumiliantesi di Dio per la creatura. Abbiamo così un atto indescrivibile (nel quale si toccano e collaborano l’umiltà ineffabile dell’amore divino e l’audacia incomprensibile dell’amore creato) che penetra nella vita della Trinità divina, che è superiore all’ordine (perché il tre non ha ordine), un amore-idea-monade, un quarto elemento ipostatico che in rapporto a se stesso provoca una variazione nell’ordine (kata, ta,xin) delle Ipostasi della Santissima Trinità, la quale accondiscende a questa correlazione di Sé con la sua stessa creatura e alla definizione di Sé da parte della creatura che ne consegue e perciò “si esaurisce” o “svuota” degli attributi assoluti. Dio rimane onnipotente, ma si comporta quasi come non onnipotente con l’opera delle sue mani non costringe la creatura ma la convince, non la forza ma la prega». Ibidem, p. 385-386. ↩︎

  100. L’amore resta una categoria teologica per Florenskij più che un semplice sentimento, esso esprime il miglior modo per esperire la verità. Si noti, qui solo accidentalmente, come diventi anche uno dei tratti caratteristici delle relazioni interumane che ne permettono la sublimazione verso un rapporto quasi-divino: l’amicizia, frutto dell’amore è immagine visibile dello stesso amore intra-trinitario. «La conoscenza effettiva della verità è pensabile nell’amore e soltanto nell’amore e viceversa, la conoscenza della verità si manifesta attraverso l’amore, chi è con l’Amore non può non amare». Ibidem, p. 113. ↩︎

  101. Ibidem, p. 388. ↩︎

  102. Ibidem. ↩︎

  103. Ibidem, p. 398 (corsivo mio). Per fede Florenskij intende sempre più che il semplice discorso teorico su Dio. La teologia è per lui la mera riflessione accademica senza risvolti sull’esistenza storica immediata. Fede è, invece, esperienza concreta vissuta nella sua dinamica ecclesiale, è cioè un incontro personale sia con Dio che con gli altri uomini. ↩︎