Declinazioni del tema dell’«incontro» in Guardini

1. Gnoseologia dell’incontro

Come si sa, il concetto di «incontro [Begegnung]» riveste un ruolo fondante nella prospettiva speculativa di Guardini.1 Tant’è che egli lo colloca all’origine stessa del pensare filosofico:

la meditazione e la riflessione ne esplorano la profondità, il lavoro del pensiero gli dà ordine e forma. Quanto più un uomo è vivo e sempre nuova ed originale la sua comprensione del mondo, tanto più frequentemente egli è protagonista dell’avvenimento dell’incontro.2

O anche lo vede come «ciò che precede la formazione di ogni teoria»,3 coincidendo con il momento in cui noi entriamo in relazione con il fenomeno, prima, dunque, di procedere a qualsiasi tematizzazione di esso. Ora, il concetto di «incontro» presenta, nel pensatore italo-tedesco, diverse declinazioni, a partire dalla messa a punto relativa a esso in ambito gnoseologico. Iniziamo con l’enuclearla. Nel testo che costituisce la cornice teorica entro cui si sviluppa l’intera riflessione di Guardini, Lopposizione polare [Der Gegensatz, 1925],4 egli sostiene che due sono gli atteggiamenti conoscitivi fondamentali dell’uomo. In un caso, egli, «posto “di fronte” all’oggetto», lo risolve in «equivalenze logiche» (segni), per poi metterlo in relazione, di nuovo, con altre equivalenze (concetti, giudizi). Nell’altro, attualizza l’oggetto nella coscienza nel «modo della presentificazione [Vergegenwärtigung]».5

Conoscenza è quel rapporto in cui il soggetto possiede la realtà che incontra, senza afferrarla; è avere l’oggetto nella forma della coscienza o, più esattamente, nella forma della verità.6

Qui, il conoscere si configura, letteralmente, come un «co-nascere»: un sentire, dall’interno, l’oggetto come «generato nel processo conoscitivo».7 Ebbene, fra i due atteggiamenti in questione deve vigere un rapporto di coordinazione, tale che la conoscenza stessa possa configurarsi, appunto, come un «incontro», ossia come «una relazione vivente di assimilazione»:8 «assimilazione», la quale, una volta che è stata raggiunta, ci permette di attingere non una universalità formale, ma una «formalità riempita».9 In altre parole, la via dell’«universale permanente», cui ci fa accedere il primo atteggiamento, e quella del «particolare effimero», cui ci fa accedere il secondo, non possono essere percorse isolatamente, ma l’una ci è data, sempre e comunque, insieme con l’altra, per cui, a essere richiesto, è «un atto di conoscenza che si diriga verso entrambi i poli, cioè che stia in equilibrio tra l’aspetto universale e l’aspetto concreto».

Possiamo scoprire l’essenza nel particolare soltanto se nello stesso tempo non perdiamo di vista la sua posizione nell’universale.10

Ora, è proprio a queste condizioni che noi possiamo accedere conoscitivamente al «concreto-vivente». Quest’ultimo, infatti, poiché è un qualcosa che, all’esterno, cresce e si evolve in modo ordinato, in base a «un criterio architettonico», a «una forma [Gestalt] presente e operante dall’interno»,11 può essere raggiunto dalla conoscenza solo a patto che essa stabilisca «una connessione immediata con l’oggetto». In tal modo, il conoscere si configura come «una specie di tocco, di presa, di coglimento»,12 come quel «toccare» e «afferrare» che si dà come un «vedere»:13 un «atto offerente» o intuizione sovrarazionale, la quale si distingue, da un lato, dal semplice sentire e, dall’altro, dal concetto, giudizio o dimostrazione.

L’atto conoscitivo specifico, che coglie il concreto in quanto tale, […] deve essere dotato di concretezza vivente, […] deve essere nella sua struttura stessa concreto-vivente ed essere diretto per essenza a questa concretezza.14

A conferma poi del fatto che il modo in cui ci apriamo la via alla conoscenza del «concreto-vivente» si dà come un vero e proprio «incontro», dal profilo, in qualche modo, personale, Guardini lo configura anche in termini sponsali: ne parla come di «una specie di generazione», indotta da due congiunti che si uniscono fra loro nel segno dell’«amore per la verità».15 In questa strettissima compenetrazione fra oggetto e atto che lo coglie, il pensatore italo-tedesco dà prova così di far uso di un concetto di fenomeno inteso non come un’apparenza dietro la quale si cela qualcos’altro, ma come ciò la cui essenza si dispiega proprio «nella continua tensione tra il suo rivelarsi e il nostro comprenderlo»:16 un concetto di fenomeno il quale, più che a Husserl, sembra rinviare a Scheler.17 Il secondo, rispetto al primo, ha insistito più marcatamente, infatti, sul carattere di automanifestatività del fenomeno, il quale, nella nostra disposizione intenzionale, trova un luogo preordinato ad accoglierlo. Scheler ha sottolineato, inoltre, che il modo in cui il fenomeno stesso ci si fa presente è nella forma dell’annuncio. In tal senso, esso è un qualcosa che, interferendo con il nostro «ordine del cuore», non solo ci informa, ma anche, e soprattutto, ci trasforma. E proprio in riferimento a tutto ciò, Guardini ci ricorda che «incontrare» una cosa è altro dall’imbattersi semplicemente in essa:

vediamo una cosa, ne percepiamo la caratteristica peculiare, la grandezza, la bellezza, la necessità – e subito, come un’eco vivente, qualcosa risponde in noi stessi, si ridesta, s’innalza, si sviluppa.18

E ancora:

Ogni volta che l’uomo incontra una cosa, subito si risveglia in lui la […] sensazione […] di una particolare affinità. Alcunché di collegato con questa cosa ne avverte in lui l’appello, vi risponde e si sforza di fare di quella forma un’espressione del proprio essere.19

Al riguardo, Guardini preferiva parlare, piuttosto che di «atto conoscitivo», di «incontro conoscitivo», per il fatto che, nel conoscere un oggetto, non si tratta tanto di metterlo a tema «correttamente e interamente», quanto di aprirsi la via verso «ciò che soltanto nella conoscenza di esso posso divenire».20

2. Antropologia dell’incontro

Anche l’antropologia filosofica e teologica di Guardini, come – lo si è appena visto – la sua gnoseologia, si colloca sotto il segno del concetto di opposizione polare.21 Si parte dal fatto che, essendo l’uomo, in quanto essere creato, «dato a se stesso in “forma-di-inizio”», egli è naturalmente aperto e predisposto verso tutto «ciò che gli verrà incontro».22 Ne discende che, nell’atto in cui incrociamo originariamente una cosa, quest’ultima ci si dà, propriamente, sotto il profilo di un ob-jectum o Gegen-stand: essa, andando a occupare lo spazio di fronte a noi nella distanza che, in tal modo, si apre, si costituisce così come un polo cui l’io, essenzialmente, co-appartiene.23

Da questo incontro sorge il mondo.24

Ne discende che l’io è «il vivente polo opposto rispetto al mondo», il quale esiste, propriamente, per me, come «ambiente che mi circonda», «al quale appartengo», «che incontro, nel quale agisco».25 Io e mondo, determinandosi reciprocamente nel segno del loro «incontro», possono essere visti, in tal modo, come due vere e proprie «soggettività dialoganti», dove il secondo, «pur non cessando di essere oggetto in quanto realtà impersonale, assume il carattere di “segno” che rivela, di “dato” che rimanda, di “parola” pronunciata verso e per qualcuno».26 Acquisito il dato relativo alla polarità fra io e mondo, vediamo, ora, meglio in che modo Guardini concepisce il secondo, il quale, appunto, «esiste solo nella sfera dell’incontro».27 Ebbene, egli lo definisce come un «intero» che è attraversato da quella tensione in virtù di cui esso, come, da un lato, è «forma [Gestalt]», totalità dell’esistente, ed è ugualmente diffuso ovunque, così, dall’altro, giunge a concentrarsi puntualmente in me. In questo secondo caso, mondo si dà come un sinonimo di «esistenza [Dasein]».

Il mondo […] è più delle cose. È quell’intero, entro il quale compaio io […]. E non compaio soltanto come una qualsiasi altra entità che si presenti, bensì in modo essenziale.28

Di fronte al mondo come un tutto dato sta, dunque, l’uomo o, meglio, l’io e tale frontalità è indice di una qualità radicale, assoluta. A partire da essa noi ci costituiamo, propriamente, come persone. In merito a ciò, Guardini parla anche di un duplice movimento, di «un gioco ininterrotto di atti di cui è tutta fitta la nostra vita quotidiana»: uno di «uscita», verso il fuori e l’esteriorità, e un altro di «rientro»,29 verso l’intimità del nostro io. Un duplice movimento che segna la nostra conquista della nozione del tempo, nonché di un concetto vivente e relazionale di limite.

L’autentico limite è come la pelle: essa respira, sente.30

Coessenziale all’atto in cui ci costituiamo come persone è poi quel rapporto che ci apre all’«incontro» con altre persone. E ciò proprio perché noi non siamo monadi chiuse in se stesse e autosufficienti. L’io, infatti, «attua in assoluto il proprio “essere-io”», costituendosi come «una realtà unica e irripetibile, che appartiene a sé», solo se «gli sta di fronte […] il “tu”»:31

la chiarezza del mio sé si risveglia soltanto nell’incontro con l’altro.32

E ancora:

Ogniqualvolta entro in un reale rapporto col «tu», il mondo per me trova il suo centro.33

Come a dire che «l’uomo si trova per essenza nel dialogo».

La […] vita spirituale è orientata ad essere partecipata, condivisa.34

E quando si parla di partecipazione la si deve intendere non solo in senso orizzontale, ma anche in senso verticale, in rapporto alla Persona assoluta: Dio.

Senza di essa la persona finita non può esistere. Non solo perché Dio mi ha creato e in ultima istanza trovo solo in Lui il senso della mia vita, ma perché io sussisto soltanto diretto a Dio. […] Il mio essere «io» […] consiste essenzialmente nel fatto che Dio è il mio «tu».35

E ancora:

L’uomo non esiste che in quanto riferito a Dio, perciò il suo carattere viene definito dal modo stesso in cui egli concepisce questa relazione, dalla serietà con cui la considera, dall’azione che, in base ad essa, egli compie. […] Dio è la realtà che fonda ogni altra realtà, anche l’umana.36

Guardini chiama eros quel «movimento attraverso il quale la vita umana si stacca dall’iniziale centro di gravità per trovare una nuova direzione e un nuovo punto di riferimento in altro», aggiungendo che, nel caso in cui questo altro è una persona, allora, il movimento in questione prende il nome di «amore».37 Quando si dà quest’ultimo, però, ecco che al movimento che si dirige in avanti se ne aggiunge un altro, completamente opposto, che si ritrae indietro.

Nella misura in cui io dò libertà all’essere, visto dapprima come oggetto, di assumere l’atteggiamento dell’«io» che si presenta movendo dal proprio centro, e gli consento di divenire il mio «tu», trapasso anch’io, dall’atteggiamento del soggetto che utilizza o lotta, in quello dell’«io».

Non appena l’io si dirige, autenticamente, verso il tu, accade, infatti, che «qualcosa sboccia»: si dissolve quello schermo che è dato dall’«“oggettività cosale” dell’atteggiamento con cui si agisce».

Guardando come «io» verso l’altro, divengo aperto e mi «mostro». Tuttavia il rapporto rimane incompiuto, se non si avvia lo stesso movimento anche a partire da là, in quanto l’altro consente a me di divenire il suo «tu».38

E ancora:

L’incontro si fa compiuto, quando anch’egli [l’altro] mi concede tutta la sua attenzione.39

Ciò che qui si innesca è, cioè, una vera e propria dialettica del «riconoscimento», nel senso che il primo «io», nel movimento con cui va incontro verso la responsabilità dell’altro, si fa carico, a sua volta, della propria responsabilità e può apparire, solo così, ai suoi occhi lo abbiamo appena visto come quella realtà unica e irrepetibile che appartiene a se stessa.

3. Etica e pedagogia dell’incontro

In chiave etica, anche il bene, per Guardini, è dotato di un profilo «concreto-vivente». In tal senso, esso è un qualcosa che noi «penetriamo», «abbracciamo»: è un che di positivo, anzi, una «positività pura e semplice», oltre la quale «non posso spingermi», che «esiste in sé» e che presenta un carattere cui si accede intuitivamente. Che è dotato di un «contenuto infinito» e che è indice di una «semplicità perfetta».40 Il bene è, inoltre, un qualcosa che ci domanda imperativamente di essere tradotto in atto, richiesta [Anspruch] il cui significato dipende, per noi, dalla situazione in cui, di volta in volta, ci troviamo.

Il bene non diventa realtà, se non lo attuo.

E attuarlo significa non tanto procurare il semplice adempimento di una legge, di una norma, quanto infondere vita semplicissima e infinita in una realtà finita e umana, la quale consegue, in tal modo, «una pienezza di senso eterna»:

fare il bene equivale perciò ad una vera creazione.41

Una creazione che si configura, però, al contempo, anche come una forma di obbedienza: obbedienza che è una «risposta alla chiamata della coscienza».

L’uomo deve obbedire non perché sia immaturo, ma perché è uomo, […] perché l’essere chiamati alla moralità non è la constatazione di una validità in astratto, ma un incontro personale; obbedienza significa che l’uomo compie questo incontro.42

Poiché il mondo ci si offre sempre, in parte, come incompiuto, noi, raccogliendo le sollecitazioni che ci vengono dall’ambiente che ci circonda e portandole a compimento nel segno di quell’«incontro» in cui consiste l’attività morale, imprimiamo, proprio così, a esso, l’«impronta del bene».43 Abbiamo visto come, per Guardini, il fenomeno della libertà vada inquadrato nel contesto della tensione dell’uomo verso la pienezza dell’essere e la compiuta realizzazione di sé: tensione che mette radici nel profilo personale della nostra relazione con le cose, gli altri uomini e Dio. Ebbene, è proprio nel segno dell’obbedienza che l’uomo concreto entra in relazione con ciò che ha valore ed è investito di un significato spirituale: obbedienza che si mostra come «il momento opposto e complementare a quello spontaneo “protendersi” e “afferrare” le cose che, a prima vita, sembrerebbe l’unica strada a disposizione per raggiungere la soddisfazione». Ora, è proprio in questo «distacco da sé» ciò in cui «consiste linizio e la fine di ogni educazione», ossia è qui che si decide quello che, per Guardini, è «il compito pedagogico per eccellenza»: la «trasformazione delcarattere”, della disposizione psichica complessiva dell’individuo, in “persona”»,44 ossia in soggetto che, nel farsi letteralmente carico del rapporto io-tu, vincendo qualsiasi forma di attaccamento a se stesso, nonché abbandonando ogni pretesa di potersi autoaffermare da solo, diventa, in tal modo, a tutti gli effetti, libero, rendendosi interamente disponibile all’«incontro».

[Che l’altro da estraneo divenga per me un Tu] dipende in primo luogo dal dono di un incontro, e in secondo luogo dalla mia volontà e dalla mia disponibilità a rinunciare all’ingenua pretesa del mio Sé di essere l’unico e incontrastato centro del mondo.45

4. Religiosità dell’incontro

Più di una volta abbiamo visto come l’accesso al «concreto-vivente» si dia, per Guardini, intuitivamente e come esso sia, da noi, «afferrato in primo luogo […] dallo sguardo».46 Ebbene, tutto ciò deve valere anche sul piano dell’esperienza religiosa. Nel fenomeno religioso, infatti, viene a espressione un qualcosa che si può senz’altro «vedere», un modo d’essere che si manifesta da se stesso, nell’insieme delle altre particolari determinazioni: lo statuto creaturale di tutte le cose, ciò per cui esse sono opera di un fattore, ossia non sono semplicemente formate, ma create.

[T]utto ciò che esiste dipende da qualcosa che sta al di là di sé e con il quale sta in un rapporto qualitativo. Non è soltanto «natura», qualcosa che si comprende a partire da se stesso, ma «opera». E questo in un senso radicale assoluto: «creaturalità». […] Questo «modo» viene «visto» […] dall’occhio nel quale la forza dello spirito vivente, e cioè del suo grado supremo, della sua ricettività religiosa, è operante.47

Ma il punto è che non sono solo io a «vedere» un’essenza, è anche quest’ultima che «guarda» e lo fa verso l’esterno:

guarda, ed è il suo guardare che rende possibile il mio, anzi, lo sollecita.

Essa, per il semplice fatto che è quel che è, «colpisce la ricettività del mio occhio». Abbiamo così due movimenti – uno «sguardo verso l’esterno» e uno «sguardo verso l’interno»48 – il cui intreccio è decisivo tanto per il venire in primo piano dell’essenza, quanto per la comprensione di essa. Ora, per Guardini, un tale «vedere» mette radici – agostinianamente – nel cuore e inizia – lo si è già visto prima a proposito dell’amore – con un gesto di rinuncia: quello con cui noi, «andando incontro» all’oggetto intenzionato, gli facciamo letteralmente spazio, riconoscendogli il diritto all’esistenza in proprio. Nell’«incontro», infatti, a misura in cui un qualcosa ci si fa avanti, noi lo accogliamo, innanzi tutto, «“prendendo le distanze” dalla realtà», ossia atteggiandoci in rapporto a essa in quel «libero star-di-fronte»49 che la “lascia-essere”.50 Ed è così che, essendo chiamati-fuori dalla sfera dell’immediatezza del nostro vivere, ci allontaniamo da noi stessi, avventurandoci nella direzione di ciò che ci chiama:

un importante fattore [dell’«incontro» è] […] ciò che si chiama “religiosità”. […] [In esso] non si fa presente soltanto ciò che è essenziale ed unico, ma anche il mistero. […] [N]ell’attimo dell’incontro, [si può] guadagnare una nuova, più profonda dimensione, quella religiosa. Allora, tutto si fa mistero. E l’uomo risponde al mistero stupendosi, rendendo grazie, avvertendo come una scossa o un turbamento.51

Guardini riconosce che l’uomo, proprio nell’atto in cui si rimette al mistero, «dà spazio al divino». In tal modo, egli, consentendo a una tale «venuta» di «avvicinarsi al suo cuore», vive nel segno del «costante incontro con una realtà che solo così è completa».52 In sintesi, tre sono i movimenti intenzionali attraverso cui, per Guardini, si articola l’esperienza religiosa: essa si dà come «un trascendimento verso l’alto, in direzione dell’altro», come «un raccogliersi in direzione della profondità interiore, verso l’intimità più profonda» e, infine, a coronamento della circolarità virtuosa descritta dai due movimenti precedenti, come un «estendersi verso la comunità degli uomini, in un incontro che si fa colloquio fondante con il Tu divino». A proposito di questo terzo momento, Guardini ci ricorda che Dio ci si fa visibile, appunto, «solo nell’incontro»: «incontro [che] è grazia», nel senso che «avviene solo se Dio vuole, e con la medesima assoluta libertà che lo caratterizza»:

l’uomo acquista la sua vera natura solo in quell’incontro con Dio che avviene nella grazia.

E questo «incontro» con Dio a tal punto è, per noi, decisivo che è proprio nella sfera di esso che si decide la realizzazione della nostra stessa essenza.

L’uomo non ha una «natura» così come ce l’hanno la pianta o l’animale. […] L’uomo esiste in una modalità diversa, molto dinamica e arrischiata: ciò che egli deve essere si realizza autenticamente solo quando incontra Dio.53

5. Estetica dell’incontro

Vediamo ora in che modo il tema dell’«incontro» rivesta un ruolo centrale anche nell’estetica di Guardini.54 Ebbene, collocandosi nel punto di vista dell’artista, egli afferma che quest’ultimo sperimenta l’opera che viene creando come lo spazio di una tensione polare fra l’«oggetto», di consistenza empirica, su cui egli lavora e l’essenza ideale che è custodita in esso:

l’uomo viene toccato dall’essenza […] e si sente stimolato a farla balzare in primo piano. […] [N]ella «forma» concreta.55

Forma in cui si traspone interamente il contenuto e contenuto in cui si traspone interamente la materia.

Ogni scelta d’una parola, ogni vibrazione del ritmo, ogni bilanciamento dei pesi della composizione è di per sé il processo, l’immagine, il sentimento.56

L’immagine, in sé conchiusa, è posta così in produttiva tensione con l’«intero», in modo che «in essa risuoni la totalità»:

in ogni autentica opera d’arte è il «mondo» in assoluto a farsi presente.57

Sia chiaro, però. Non un altro mondo accanto a quello che a noi è già noto. Piuttosto, una «nuova creazione» all’interno dell’«unico e identico mondo, ma inserito entro una nuova origine».58

[Attraverso l’esperienza dell’autentica opera d’arte,] si fa presente «il tutto», «l’intero», «l’essenziale». Il puro e semplice essere-qui-e-ora dell’esistenza, con la sua ovvietà, è come sospeso, e s’apre una profondità, che viene da lontano; ciò che sembrava ovvio diventa nuovo, e colma di stupore.59

L’artista, nell’atto stesso in cui dall’apparenza dell’oggetto fa scaturire l’essenza di esso, rende manifesta, inoltre, anche la sua propria essenza di uomo. E tutto ciò in modo tale che i due aspetti «non solo sono concomitanti, ma anzi fusi l’uno nell’altro»: come l’«oggetto» «acquista una nuova pienezza di senso» e da «prodotto parziale, casuale», diventa «simbolo del tutto», così l’artista, a contatto con esso, «giunge alla coscienza e allo sviluppo di se stesso».60

[L’artista] porta in superficie l’essenza dell’oggetto […]. Allo stesso tempo egli traspone nell’oggetto la propria essenza.61

L’artista, cioè, nel sentire qui, in questo momento, la cosa, sente così anche se stesso e questo «autosentire fluisce nell’ob-jectum», per cui, mentre egli si esperisce nella cosa, questa prende vita nella corrente della sua esperienza.

Questo è di nuovo incontro, e anche da esso sorge mondo. Di nuova specie.62

Ora, la bellezza è proprio ciò che scaturisce da questo «incontro», dal coincidere in un tutt’uno dell’essenza dell’oggetto e dell’essenza dell’uomo: coincidenza che fa sì che «l’opera d’arte risplend[a]».

Allora è superata la pesantezza del primo dato, del semplice contenuto come pure del mero materiale. Tutto è vivo e leggero, tutto è «forma».63

Naturalmente, nella modalità dell’«incontro» si trova non solo il creatore dell’opera d’arte, ma anche il fruitore di essa. La contemplazione estetica consiste, infatti, in un «raccogliersi, […] guardare con sensi desti e anima aperta, […] rivivere»: «riprodurre l’incontro che […] sta al fondo [dell’opera d’arte]». In tal modo, in chi contempla, «qualcosa accade»: egli «accede a un’altra condizione»,64 in cui i legami che occultavano la sua anima si diradano, in cui si produce un’autochiarificazione del suo essere, non teoretica, ma nel segno di un’illuminazione profonda e istantanea. In altre parole, il fruitore, partecipando all’evento che nell’opera d’arte si consuma, fa esperienza nel trapasso dalla realtà immediata allo spazio della rappresentazione di un’autentica liberazione, grazie a cui egli gode di pace, di benessere e di gioia.

[Ecco il] dono squisito che l’opera d’arte elargisce: la sua pace. […] [L]e cose st[an]no nell’interiorità del cuore che si è aperto, e il cuore parl[a] attraverso la molteplicità liberata delle cose65

Il punto è che tutto ciò vale per la bellezza non solo artistica, ma anche naturale. Parlando della contemplazione estetica di un paesaggio, Guardini scrive, infatti, che ciò che, in questa circostanza, ci si fa presente è «una totalità, le cui parti sono in relazione reciproca» e dove, quel che le collega, è dato dalla «capacità penetrativa di chi contempla».

Il tutto entra in una prospettiva che lo articola, e che è il sentire vitale della personalità che contempla. […] Questo paesaggio non è conchiuso in sé […]. È un mondo […] al quale colui che vive dà forma []: esso non è assolutamente qualcosa di saldo, bensì scaturisce costantemente dall’incontro dell’uomo vivo, e cioè in trasformazione, con il mondo, mutando continuamente forma.^[66]


  1. Cfr. M. Farrugia, «L’incontro: realtà fondante nel pensiero di Romano Guardini», in Rassegna di teologia, 1991, n. 6, pp. 582-604. ↩︎

  2. R. Guardini, Lincontro. Saggio di analisi della struttura dellesistenza umana, in Id., Persona e libertà. Saggi di fondazione della teoria pedagogica, a cura di C. Fedeli, tr. it. di A. Fabio, C. Fedeli e G. Sommavilla, La Scuola, Brescia 1987, pp. 27-47: p. 34. ↩︎

  3. R. Guardini, Luomo. Fondamenti di una antropologia cristiana [= Opera omnia, vol. III/2], a cura di M. Borghesi, in collaborazione con C. Brentari, tr. it. di C. Brentari, Morcelliana, Brescia 2009, p. 88. ↩︎

  4. È proprio questo il motivo che fa da filo conduttore al nostro vol.: Romano Guardini: concretezza e opposizione, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2014. ↩︎

  5. R. Guardini, L’opposizione polare. Tentativi per una filosofia del concreto-vivente, in Id., Scritti di metodologia filosofica [= Opera omnia, vol. I], a cura di H.-B. Gerl, tr. it. di A. Anelli, Morcelliana, Brescia 2007, p. 201. ↩︎

  6. R. Guardini, Luomo, cit. alla nt. 3, p. 103. Qui, Guardini ribadisce che la conoscenza è quella «modalità dell’incontro con il mondo […] che porta alla realizzazione della verità». ↩︎

  7. R. Guardini, Lopposizione polare, cit. alla nt. 5, p. 201. Proprio in tal modo, Guardini intende, ad esempio, la dottrina platonica della reminiscenza, la quale sarebbe fondata, appunto, su quel modo di sperimentare il processo della conoscenza come «un emergere [di essa] dall’interno» (ivi, nt. 178). ↩︎

  8. Ivi, pp. 200 e 221. Circa questa idea della conoscenza come una forma di «incontro», Guardini, in una lettera a J. Laubach del 21 novembre 1967, scrive quanto segue: «La teoria degli opposti è la teoria del confronto, che non avviene come lotta contro un nemico, ma come sintesi di una tensione feconda, cioè come costruzione dell’unità concreta». Si può leggere in H.-B. Gerl, Introduzione a Scritti di metodologia filosofica, cit. alla nt. 5, pp. 15-40: p. 22. Sull’«incontro», in Guardini, concepito, in un primo tempo, negli Anni Venti del Novecento, in termini di «opposizione [Widerstand]» e poi, successivamente, come «un “dono”, una “forma di grazia”», cfr. B. Gegner, Guardinis Bildungslehre. Beiträge zur Wirkungsforschung, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1985, p. 102. ↩︎

  9. R. Guardini, Lopposizione polare, cit. alla nt. 5, p. 206. Sull’«incontro» fra conoscenza intuitiva e conoscenza concettuale come ciò che consente a Guardini di valorizzare quella «percezione simbolica della realtà che accompagna il lavoro logico del concetto», cfr. M. Borghesi, Romano Guardini. Antinomia della vita e conoscenza affettiva, Jaca Book, Milano 2018, p. 13. Non diversamente, A. López Quintás, Romano Guardini y la dialectica de lo viviente. Estudio metodologico, Ediciones Cristianidad, Madrid 1966, scrive che il modo guardiniano di intendere la conoscenza come una forma di «incontro» è proprio ciò che fa di essa «un protofenomeno dell’esistenza, una realtà originaria che dobbiamo accettare come un dono, un’esperienza primordiale che ispira ogni possibile analisi posteriore» (pp. 186-187). ↩︎

  10. R. Guardini, Lettere dal lago di Como. La tecnica e luomo, tr. it. di G. Basso, Morcelliana, Brescia 1993, p. 28. ↩︎

  11. 1R. Guardini, Lopposizione polare, cit. alla nt. 5, p. 74. Sul «concreto-vivente» come ciò che «non […] si può pensare in concetti e giudizi astratti, ma [che] può essere visto solo quale “forma”», dove questo «vedere» «non ha nulla a che fare […] col semplice vedere sensibile», ma è uno «sguardo alla figura dell’essere», un «essere colpiti dalla presentazione del valore», attraverso cui «la parte [è compresa] per mezzo del tutto e il tutto a sua volta per mezzo di ogni elemento», cfr. R. Guardini, Linizio. Un commento ai primi cinque capitoli delle Confessioni di Agostino, tr. it. di D. Perron, Jaca Book, Milano 1973, p. 44. ↩︎

  12. 1R. Guardini, Lopposizione polare, cit. alla nt. 5, pp. 77-78. ↩︎

  13. In R. Guardini, Ansia per luomo, vol. II, tr. it. di A. Babolin, Morcelliana, Brescia 1969, il «nocciolo del vero vedere [Sehen]» è definito, con linguaggio squisitamente fenomenologico, come «l’intuizione dell’essenza che si manifesta nell’elemento individuale» (p. 145). ↩︎

  14. R. Guardini, Lopposizione polare, cit. alla nt. 5, p. 79. ↩︎

  15. Ivi, pp. 214-215, nt. 187. ↩︎

  16. A. Casole, «Opposizione polare e fenomenologia realista nella filosofia di Romano Guardini», in Idee, 2006, n. 61, pp. 139-145: p. 143. Sull’«incontro», inteso da Guardini in chiave conoscitiva, come momento che trascende la sfera del rapporto soggetto-oggetto e in cui è attivo il circolo ermeneutico che si dà «fra la precomprensione, volta a volta data, e l’orizzonte del dischiudersi dell’oggetto», cfr. G. Henner, Die Pädagogik im Denken Romano Guardinis, Schöningh, Paderborn-München-Wien-Zürich 1990, p. 87. ↩︎

  17. Cfr. R. Gamerro, Romano Guardini filosofo della religione, Istituto Propaganda Libraria, Milano 1981, il quale scrive: «L’incontro soggetto-oggetto è, per Guardini, come […] per Scheler, un fenomeno originario» (p. 82). ↩︎

  18. R. Guardini, Lopera darte, tr. it. di F. Tomasoni, Morcelliana, Brescia 1998, p. 33. ↩︎

  19. R. Guardini, Formazione [Bildung] liturgica, a cura di F. Messerschmid e H. Waltmann, Morcelliana, Brescia 2008, p. 86. In questo testo ecclesiologico, del 1923, il concetto di «incontro» trova la sua prima chiara formulazione. ↩︎

  20. R. Guardini, Logica e conoscenza religiosa, in Id., Filosofia della religione. Esperienza religiosa e fede [= Opera omnia, vol. II/1], a cura di S. Zucal, in collaborazione con A. Aguti, tr. it. di A. Aguti, G. Colombi e M. Baronchelli, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 207-240: p. 235. ↩︎

  21. Al riguardo, L. Negri, Lantropologia di Romano Guardini, Jaca Book, Milano 1989, scrive quanto segue: «Per meglio comprendere il significato antropologico del pensiero di Guardini, non si può fare a meno di affrontare la tematica dell’opposizione polare» (p. 23). Sull’antropologia di Guardini, cfr. anche E. Biser, Esplorazione dellumano. Profilo dellantropologia guardiniana, in Aa. Vv., La Weltanschauung cristiana di Romano Guardini, a cura di S. Zucal, EDB, Bologna 1988, pp. 161-184. ↩︎

  22. R. Guardini, Lincontro, cit. alla nt. 2, p. 46. Circa il fatto che la presente definizione dell’uomo, fornitaci da Guardini, lo porta naturalmente a riflettere sul tema della nascita e della rinascita, cfr. S. Zucal, Filosofia della nascita, Morcelliana, Brescia 2017 (cap. XII: «Romano Guardini. Nascita e fiducia»), pp. 509-527. ↩︎

  23. A tal proposito, Guardini, già nel suo Formazione liturgica, cit. alla nt. 19, scriveva che, nel segno di un tale accadimento, l’essenza umana e quella della cosa che viene incontro «crescono insieme per giungere ad una unità colma di vita» (p. 124). ↩︎

  24. R. Guardini, Gli ambiti della creatività umana, in Id., Natura – Cultura – Cristianesimo. Saggi filosofici, tr. it. di A. Fabio, G. Scandiani e G. Colombi, Morcelliana, Brescia 1983, pp. 174-190: p. 17. ↩︎

  25. R. Guardini, Accettare se stessi, tr. it. di G. Pontoglio, Morcelliana, Brescia 1992, p. 8. ↩︎

  26. A. Ascenzi, Lo spirito delleducazione. Saggio sulla pedagogia di Romano Guardini, Vita e Pensiero, Milano 2003, p. 97. Di fatto, in Mondo e persona. Saggio di antropologia cristiana, a cura di S. Zucal, tr. it. di G. Colombi, Morcelliana, Brescia 2000, Guardini parla del rapporto con l’oggetto non-personale come «un rapporto di quasi “io-tu”», dove l’oggetto stesso ci si dà come «un essere con carattere di persona cui posso rivolgere la parola» (p. 165). ↩︎

  27. R. Guardini, Luomo, cit. alla nt. 3, p. 197. ↩︎

  28. R. Guardini, Mondo e persona, cit. alla nt. 26, pp. 90-91. Sui due significati del concetto di mondo, in Guardini, cfr., di lui, Etica. Lezioni allUniversità di Monaco (1950-1962), a cura di H. Mercker, ed. it. a cura di M. Nicoletti e S. Zucal, Morcelliana, Brescia 2001. In un primo senso, esso indica «l’insieme di ciò che esiste indipendentemente dal mio intervento»; in un secondo, «l’insieme di ciò che nasce quando io incontro l’ente» (p. 55). In uno, è opera di Dio, nell’altro, è opera dell’uomo. ↩︎

  29. R. Guardini, Virtù. Temi e prospettive della vita morale, tr. it. di G. Sommavilla, Morcelliana, Brescia 1997, p. 182. ↩︎

  30. R. Guardini, Mondo e persona, cit. alla nt. 26, p. 104. Sul concetto di limite, in Guardini, declinato in rapporto con quello di antitesi e inteso, perciò, nella «sua natura di concetto di relazione»: come «suggerimento di ulteriorità, superamento, inizio di un movimento» o, anche, non come «limite interno», ma come «limite di posizione», cfr. M. C. Lipari, «Antitesi e limite di normatività (attualità del pensiero di R. Guardini)», in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1998, n. 2, pp. 195-244: pp. 235, 195, 236. ↩︎

  31. R. Guardini, Etica, cit. alla nt. 28, p. 235. A proposito del concetto di «autoappartenenza [Eigengehörigkeit]», che qui ricorre, Guardini lo ha presentato come una riformulazione di quello tomista di subsistentia. Cfr. il suo Persona e personalità, tr. it. di O. Brino, Morcelliana, Brescia 2006, p. 28. Sull’«autoappartenenza» della persona come ciò che, in senso proprio, avviene solo «tramite l’incontro con l’altro da sé (valore, Mondo, persona, sacro…), cioè tramite l’uscita dalla propria immanenza», nel segno delle «esigenze della giustizia e dell’amore», cfr. J. G. Ascencio, Il significato antropologico dellesistenza in Mondo e persona, in Aa. Vv., Romano Guardini e il pensiero esistenziale, a cura di J. G. Ascencio, Cantagalli, Siena 2017, pp. 173-196: p. 195. ↩︎

  32. R. Guardini, Pensiero ed elaborazione, in Filosofia della religione, cit. alla nt. 20, pp. 355-373: p. 363. ↩︎

  33. R. Guardini, Possibilità e limiti della comunità, in Natura – Cultura – Cristianesimo, cit. alla nt. 24, pp. 36-54: p. 52. ↩︎

  34. R. Guardini, Mondo e persona, cit. alla nt. 26, p. 167. ↩︎

  35. Ivi, p. 173. ↩︎

  36. R. Guardini, Il potere. Tentativo di un orientamento, tr. it. di M. Paronetto Valier, Morcelliana, Brescia 1954, p. 114. ↩︎

  37. R. Guardini, Luomo, cit. alla nt. 3, p. 300. ↩︎

  38. R. Guardini, Mondo e persona, cit. alla nt. 26, p. 164. ↩︎

  39. R. Guardini, Lincontro, cit. alla nt. 2, p. 34. ↩︎

  40. R. Guardini, La coscienza [Gewissen], tr. it. G. Delugan, Morcelliana, Brescia 1933, pp. 17-18. Sul bene come un «contenuto sommo», «non deducibile da nient’altro, […] al di sopra del quale non sta nulla, neppure la verità», cfr. anche Etica, cit. alla nt. 28, p. 491. ↩︎

  41. R. Guardini, La coscienza, cit. alla nt. 40, p. 21. ↩︎

  42. R. Guardini, Etica, cit. alla nt. 28, p. 485. Su questo punto, Guardini si distacca da Scheler, perché, da come si è appena visto, per lui, è la coscienza, e non l’intuizione emozionale apriorica, l’organo che discerne l’autentico valore nella sua normatività. I due, però, concordano intorno alla tesi secondo cui è l’esperienza morale ciò che gode di una priorità assoluta rispetto alla formulazione dottrinale corrispondente. Cfr. M. Borgesi, Romano Guardini. Dialettica e antropologia, Studium, Roma 1990, pp. 110 e 115. ↩︎

  43. R. Guardini, La coscienza, cit. alla nt. 40, pp. 22-23. ↩︎

  44. C. Fedeli, Pienezza e compimento. Alle radici della riflessione pedagogica di Romano Guardini, Vita e Pensiero, Milano 2003, p. 130. ↩︎

  45. R. Guardini, Luomo, cit. alla nt. 3, p. 297. ↩︎

  46. R. Guardini, Locchio e la conoscenza religiosa. Considerazioni filosofiche sulla Lettera a Romani 1, 19-21, in Id., Filosofia della religione, cit. alla nt. 20, pp. 531-549: p. 545. Una discussione delle tesi contenute in questo testo, nell’orizzonte di una ricognizione circa il tema della spiritualità dei sensi, si deve a H. U. von Balthasar, Gloria. Una estetica teologica, vol. I: La percezione della forma [Schau der Gestalt], a cura di G. Ruggieri, Jaca Book, Milano 1975, pp. 360-363. Su queste stesse basi, M. Borghesi, Introduzione a Luomo, cit. alla nt. 3, vede indicata, nel testo di Guardini in questione, «la possibilità di una “estetica teologica”» (p. 71). ↩︎

  47. R. Guardini, Locchio e la conoscenza religiosa, cit. alla nt. 46, p. 543. Sull’esperienza della finitezza come ricognizione della «qualità fondamentale di tutto l’essere a noi accessibile»: l’«essere stato creato», Guardini si sofferma anche in una annotazione del suo diario, datata 24 aprile 1945. Cfr. R. Guardini, Diario. Appunti e testi dal 1942 al 1964, a cura di F. Messerschmid, tr. it. di N. Ponzanelli, Morcelliana, Brescia 1983, p. 40. Questo accesso alla cosa in quanto creatura, A. López Quintás, Romano Guardini y la dialectica de lo viviente, cit., lo definisce come «sineidetico» e aggiunge che esso si dà «spontaneamente in rapporto al concreto-vivente quando fra soggetto e oggetto non si interpone il velo dellarbitrarietà egoistica» (p. 273). ↩︎

  48. R. Guardini, Religione e rivelazione, tr. it. di G. de’ Grandi, Vita e Pensiero, Milano 2001, pp. 13-14. ↩︎

  49. R. Guardini, Lincontro, cit. alla nt. 2, p. 30. ↩︎

  50. Circa il fatto che Guardini si richiamerebbe, qui, alle tesi di Scheler relative alla percezione dell’alterità, cfr. M. Borghesi, Locchio e il mondo. I sensi e la conoscenza religiosa in Romano Guardini, in Aa. Vv., Romano Guardini e la visione cristiana del mondo, Gregoriana, Padova 1989, pp. 99-122: pp. 106-108. ↩︎

  51. R. Guardini, Lincontro, cit. alla nt. 2, pp. 40-41. Cfr. anche Etica, cit. alla nt. 28, p. 255. ↩︎

  52. R. Guardini, Hölderlin [= Opera omnia, vol. XXI], a cura di G. Moretti, Morcelliana, Brescia 2014, p. 340. ↩︎

  53. R. Guardini, Luomo, cit. alla nt. 3, pp. 317-318, 321 e 319. ↩︎

  54. A proposito del ruolo centrale che il tema dell’«incontro» riveste nell’estetica di Guardini, J. G. Ascencio, «L’estetica di Romano Guardini (III). La maturità del 1938», in Alpha Omega, 2013, n. 1, pp. 3-38, scrive che esso costituisce quella categoria, per lui, più idonea «per la comprensione dell’arte», in quanto «espressione privilegiata della creatività umana» (p. 11). ↩︎

  55. R. Guardini, Etica, cit. alla nt. 28, p. 763. ↩︎

  56. R. Guardini, Linguaggio – Poesia – Interpretazione, tr. it. di G. Colombi, Morcelliana, Brescia 1971, p. 150. M. Borghesi, Romano Guardini. Dialettica e antropologia, Studium, Roma 1990, individua la chiave di volta dell’estetica guardiniana proprio in questa capacità dell’ente sensibile di «rivelare, manifestare l’interiorità che lo abita» (p. 147). ↩︎

  57. R. Guardini, Etica, cit. alla nt. 28, p. 765. ↩︎

  58. R. Guardini, Gli ambiti della creatività umana, cit. alla nt. 24, p. 189. ↩︎

  59. R. Guardini, Lincontro, cit. alla nt. 2, p. 31. In Etica, cit. alla nt. 28, Guardini definisce questo tipo di esperienza come quello in cui «l’incontro si fa evento» (p. 248). ↩︎

  60. R. Guardini, Lopera darte, cit. alla nt. 18, p. 33. ↩︎

  61. R. Guardini, Luomo, cit. alla nt. 3, p. 198. Qui, Guardini aggiunge che l’artista porta in superficie l’essenza dell’oggetto «solo guardandolo», perché è esattamente in tal modo che si compie l’«incontro» con esso. ↩︎

  62. R. Guardini, Gli ambiti della creatività umana, cit. alla nt. 24, pp. 185 e 188. ↩︎

  63. R. Guardini, Lopera darte, cit. alla nt. 18, p. 39. ↩︎

  64. Ivi, pp. 35-36. ↩︎

  65. R. Guardini, Gli ambiti della creatività umana, cit. alla nt. 24, p. 187. ↩︎