1. La liquidità moderna e il nichilismo contemporaneo
Accettando, in linea di massima, la vulgata sociologica contemporanea,1 secondo cui una liquidità agglutinante è l’assioma principale per comprendere la comune condizione di alienazione e frustrazione dell’era contemporanea, si possono trarre alcuni spunti per una riflessione storica e multidisciplinare. Di fronte a tale senso di fluidità onnicomprensiva, di richiami mediocremente immanentistici e in un contesto di positivismo esasperato, in cui ogni riflessione oltre la materia assume il valore di una vuota tautologia o rappresentazione insensata, la persona sembra non avere alcuna scelta che la soddisfazione dei nuovi bisogni (tecno) primari in un «capovolgimento» disordinato della cosiddetta piramide di Maslow.2 Un continuo adattamento alla velocità dei cambiamenti sociali3 e tecnologici nonché delle mode planetarie del consumo è causa naturale di costanti delusioni e di una disaffezione al progetto di lungo termine con la conseguente decostruzione identitaria4 verso forme di appagamento fruibili all’istante, non impegnative, momentanee. Il concetto di obsolescenza, comunemente applicato ad altri ambiti, sembra essersi impadronito dell’identità psicologica collettiva, anche a livello neuro-cognitivo.5 Tale paradigma della modernità si autoperpetua nella suddetta contingenza storica, in cui si è consolidato in maniera radicale un processo iniziato già nel secolo scorso, padre di teorie filosofiche profondamente anti-umane, laddove una certa massificazione morbosa6 ha ridotto, con un ingranaggio tanto sottile quanto subliminale, la «libertà di pensiero» colmando tale insuperabile lacuna con una sorta di narcosi materialistica ed edonista.
Non è affatto un caso che José Ortega y Gasset, eminente filosofo spagnolo e precursore sopraffino di tanti aspetti oscuri della post-modernità, non esitava ad affermare che
si è impadronito della direzione sociale un tipo d’uomo a cui non interessano i principi della civiltà. E non i principi di questa o di quell’altra, ma — secondo quello che adesso si può giudicare — i principi di nessuna. Gli interessano evidentemente gli anestetici, le automobili e altre cose ancora. Però questo conferma il suo assoluto disinteresse verso la civiltà. Giacché quelle cose sono soltanto un prodotto di questa, e il fervore che vi si mette fa risaltare più crudamente l’insensibilità verso i principi da cui nascono.7
L’attualità di questo breve passo, tratto dalla celeberrima opera La Ribellione delle Masse, invita a porsi alcuni interrogativi imprescindibilmente legati alla situazione contemporanea caratterizzata da una sorta di «abulia della volontà».8 Una permanente indifferenza devasta qualsiasi progettualità in un contesto che disorienta e predilige un nomadismo9 insensato alla perenne ricerca di una soddisfazione disimpegnata e, a volte, «arrogante» nella sua futilità. A ciò si aggiunge una lettura dell’analisi economica in cui vi è un completo rifiuto della «concezione della persona» con la costruzione a tavolino di una personalità inesistente10: il cosiddetto «homo oeconomicus».11 Questa astrazione, senza nessuna considerazione delle circostanze ambientali e del sostrato antropologico-spirituale, è una scorciatoia frutto di una serie di riduzioni tanto illegittime quanto epistemologicamente limitate. Il tentativo di imporre, a qualsiasi costo, una legittimazione scientifica e matematica, priva la persona delle sue naturali caratteristiche imbrigliandola nelle fauci di un moderno Moloch, indifferente alla sofferenza e ignaro della storia. In un famoso contributo critico il filosofo ed economista americano M. Rothbard non esitava ad affermare che
negli ultimi anni gli economisti hanno invaso altre discipline intellettuali e, nel discutibile nome della scienza, hanno utilizzato assunzioni incredibilmente semplificate al fine di trarre conclusioni provocatorie e radicali in ambiti di cui hanno poca conoscenza. Si tratta di una forma moderna di «imperialismo economico» nell’ambito dell’intelletto. Quasi sempre, l’influenza di questo imperialismo economico è stato quantitativo e implicitamente Benthamita, in cui la poesia e la puntina da disegno sono ridotti ad un unico livello, e che giustifica ampiamente la cinica frecciata di Oscar Wilde riguardo agli (economisti) che sanno il prezzo di ogni cosa e il valore di nulla. I risultati di questo imperialismo economico sono stati particolarmente ridicoli nel campo del sesso, della famiglia e dell’educazione.12
Non ci si deve affatto turbare se, nell’estremizzazione di tali assunti, perfino la coscienza è stata ridotta a un orpello psicologico. Fortunatamente alcuni si sono resi conto che tale «riduzionismo» ha assunto le forme tentacolari di una ideologia secolarista e apparentemente lontana da qualsiasi dialogo costruttivo. Nel corso degli anni la critica a tale «descrizione fittizia»13 proviene da più fronti in quel tentativo di allontanarsi dai «caratteri portanti nelle interpretazioni della vita economica sia marxiste che ortodosse».14 Come è stato brillantemente dimostrato da A. W. Dyer,15 già T. Veblen aveva compreso, in modo forse ironico, il dramma esistenziale dell’uomo moderno dilaniato dalla sua «inconsistenza individuale» nell’arena industriale della produzione e del consumo, in una sorta di attrazione fatalmente inevitabile.16
Veblen, con pungente sarcasmo e profonda inquietudine, delinea a tinte fosche l’immagine di una personalità, psicologicamente instabile, perennemente all’inseguimento dei suoi propri prodotti e, alla finte, profondamente insoddisfatta. Sembra che in quella disperazione l’uomo vada ad oscurare se stesso toccando, molto spesso, le profondità dell’assurdo. Il paradigma sociologico di Veblen si spiega in una riduzione meccanicistica delle relazioni umane provocate dall’allora incipiente automazione industriale su grande scala:
È vero: le abitudini di pensiero, generate dal sistema delle macchine nell’industria e dall’organizzazione meccanicamente standardizzata della vita quotidiana sotto questo nuovo ordine così come la scienza materiale sono di un tale carattere che inclinerebbero l’uomo comune a «valutare» ogni uomo e pensare in termini di performance tangibile piuttosto che nei termini della consuetudine legale e antica.17
Il processo di devoluzione dall’uomo economico18 ad una personalità profondamente «sradicata» dalla sua stessa natura ci pone di fronte alle sfide del nichilismo contemporaneo, in cui è chiaro il presupposto di evitare, in ogni modo, le «domande ultime»19 in un contesto di delega irrazionale, disimpegno massificante e apatia totalizzante.20 Tale aspetto sta diventando tanto allarmante che ogni descrizione «apocalittica» di George Orwell sarebbe soltanto una mera introduzione.
2. Il Nulla o la prospettiva di senso
Non vi è dubbio che sono state dipinte le caratteristiche peculiari di un uomo assurdo, come acutamente definito — sulla scia dell’esistenzialismo e della fenomenologia europea — da Albert Camus21 nella sua celebre opera ispirata al mito di Sisifo.22 L’uomo assurdo ha un rapporto ambiguo con se stesso: pur trovandosi in una sorta di perenne travaglio, o fugge volontariamente le domanda sull’esistenza, il suo valore e il suo fine o si assuefà «violentemente» all’assurdità della vita. Entrambe queste premesse, senza dubbio di natura nietzschiana, sembrano non avere altra conclusione che un pessimismo dilaniante di matrice gnostica, scettica e nichilista come abbondantemente rintracciabile negli scritti di E. Cioran23 o di P. Pia,24 a cui Camus dedicò la sua opera. Siamo qui però ad un bivio: da una parte il Nulla, con il conseguente annichilimento della ragione; dall’altra, la possibilità auspicabile di un approccio costruttivo che sappia liberare, almeno parzialmente, l’uomo dai suoi lacci e dargli la possibilità di lasciare libera la sua creatività25 e la sua dignità in una «prospettiva di senso».26 In un contesto di «costante rinnovamento», in cui i richiami della coscienza non sono volontariamente oscurati, la persona diviene lungimirante, pronta ad accettare le sfide e la sofferenza, contemplativa, aperta a riscoprire le virtù e a comprendere l’altro in una visione dialogica.27 Nel passaggio, che porta dalla de-costruzione ad una possibile ri-costruzione, l’individuo forma e plasma la sua propria traiettoria senza porsi in antitesi con la sua peculiare condizione umana accettando, inoltre, la propria limitatezza:
Le manifestazioni privilegiate che mostrano la persona in atto sono il rispetto, la responsabilità, e soprattutto la disponibilità. Quest’ultimo concetto comprende gli altri due, e viene ad essere la caratteristica essenziale della persona: è l’attitudine a offrirsi alle circostanze che si presentano, sempre diverse, per offrire il dono del senso, un segno distintivo, un destino, il destino personale. Ecco allora che il ruolo della persona è essenzialmente creativo, perché è in qualche modo il principio del proprio essere.28
Ci troviamo di fronte all’homo viator, secondo l’accezione metastorica e metafisica di Gabriel Marcel.29 Questo uomo incarna non solo l’intima esigenza di infinito ma anche la volontà propositiva e propulsiva di prendere parte attivamente alla propria esistenza in un processo tanto misterioso quanto reale che dalla corporeità porta alla speranza e all’assoluto.30
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Cfr. Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000. ↩︎
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Cfr. J. Heydner, Die klassische Kritik Maslows. Theorie und neue Erkenntnisse, GRIN, München 2006. ↩︎
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Cfr. P. Virilio, Vitesse et Politique, Galilée, Paris 1976. ↩︎
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«Il postumanismo non è una filosofia tesa semplicemente a rivalutare le alterità animali nel loro valore di pluralità ontica e di significato referenziale, né va banalizzata come ennesimo tentativo di affermazione di un continuismo darwiniano o di un riduzionismo biologico. Se si modifica il modo di considerare le alterità è prima di tutto la dimensione umana che viene interpretata differentemente. A decadere è in primis l’idea di un’essenza uomo, di un prototipo riconoscibile, di un’identità statica ancorché antropo-poietica; per contro si afferma una concezione dell’umano come cantiere aperto, come nucleo aggregativo di referenze esterne, come sistema ibrido che ha valore in quanto dinamico e sempre in uno stato di non equilibrio. Il postumanismo è pertanto una critica al pensiero dicotomico, essendo quest’ultimo basato sulla costruzione identitaria per divergenza e per opposizione, con realizzazione di categorie infondate, funzionali solo a validare l’ipotesi di partenza. In altre parole il modello si autosostiene: sono i presupposti che reggono le conclusioni, se cadono questi è l’intero paradigma a crollare. Attraverso la decostruzione della dicotomia umano vs non-umano emerge fatalmente una diversa interpretazione della dimensione umana. Se la conoscenza è referenziata, cioè fondata su un <credito referenziale> offerto dalle alterità, l’umano diviene un progetto non un principio.» R. Marchesini, «Ruolo delle alterità nella definizione dei predicati umani», in P. Barcellona, F. Ciaramelli, R. Fai (ed.), Apocalisse e Post-umano. Il crepuscolo della modernità, Dedalo, Bari 2007, p. 43. ↩︎
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«Mirrors neurons, which are after all only a special type of motor neurons, most likely implement an implicit form of understanding the intention of the other people. This implicit understanding, however, may be the basis for more explicit forms of understanding other’s people mental state, what is typically calles mindreading. How does the implicit process of understanding other’s minds translate into the explicit process of mindreading? One possibility is that to understand other people’s mental states explicitly, we need to embody what they do, or at least we need to simulate such embodiment process, which is what mirror neurons seems designed to do. Thus the implicit understanding of the people’s minds may represent the foundational aspect of explicit mindreading. This is consistent with behavioral data that have suggested that we understand and empathize with others through the body and its actions. Social psychology studies have indeed revealed that the more we tend to imitate others, the more we tend to empathize with them. This behavioral data suggest a functional link between imitation and empathy that suggests functional links between neural systems important for imitation and neural systems important for emotion processing. Thus, mirror neuron areas involved in imitation may interact with limbic areas, specialized in emotion processing, to support a stimulation-based form of empathy.» M. Iacoboni, «Mirroring as a Key Neural Mechanism of Sociality», in G.R. Semin- G. Echterhoff (eds.), Grounding Sociality. Neurons, Mind, and Culture, Psychology Press-Taylor & Francis Group, New York 2011, p. 20. ↩︎
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Cfr. G. Marcel, Man Against Mass Society, Henry Regnery Company, Chicago 1962. ↩︎
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J. Ortega y Gasset, La ribellione delle masse, Nuove Edizioni Italiane, Roma 1945, pp. 55-56. ↩︎
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«El temor de perder las ideas es un signo mortal; no que las ideas se van a perder, es que se va a escapar de nuestro dominio la inteligencia, que no podemos tener ideas cuando queramos porque la inteligencia no quiera fijarse en los objetos. […] Es también síntoma de la abulia o debilitación de la voluntad, porque en este padecimiento la vida retrograda, no podiendo vencer la pereza, que le impide continuar asimiándose elementos nuevos para renovar la vida al compás del tiempo». A. Ganivet, Epistolario. Obras Completas, 3ª ed., vol. 10, Victoriano Suárez, Madrid 1944, pp. 26-27. ↩︎
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Cfr. Z. Bauman, Life in Fragments. Essays in Postmodern Morality, Basil Blackwell, Cambridge, MA 1995. ↩︎
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Cfr. S. Zamagni, Catholic Social Thought, Civil Economy and the Spirit of Capitalism, pp. 16-17, http://www.ordosocialis.de, 2007. ↩︎
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Si veda S. Caruso, Homo Oeconomicus. Paradigma, critiche, revisioni, Firenze University Press, Firenze 2012 ↩︎
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M. Rothbard, «The Hermeneutical Invasion of Philosophy and Economics», Review of Austrian Economics, n. 3 (1989), p. 45 (traduzione nostra). ↩︎
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«Traditional economic theory postulates an “economic man”, who, in the course of being “economic” is also “rational”. This man is assumed to have knowledge of the relevant aspects of hs environment which, if not absolutely complete, is at least impressively clear and voluminous. He is assumed also to have a well-organized and stable system of preferences,and a skill in computation that enables him to calculate, for the alternative courses of action that are available to him, which of these will permit him to reach the highest attainable point on his preference scale. Recent developments in economics, and particularly in the theory of the business firm, have raised great doubts as to wheater this schematized model of economic man provides a suitable foundation on which to erect a theory. […] I shall assume that the concept of “economic man” […] is in need of fairly drastic revision […]. Broadly stated, the task is to replace the global rationality of economic man with a kinf of rational behavior that is compatible with the access to information and the computational capacities that are actually possessed by organism, including man, in the kinds of environments in which such organisms exist.» H.A. Simon, «A Behavioral Model of Rational Choice», in The Quarterly Journal of Economics, Vol 69, N. 1, February 1955, p. 99. ↩︎
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A. W. Dyer, «Prelude to a Theory of Homo Absurdus: Variations on Themes from Thornstein Veblen and Jean Baudrillard», Cambridge Journal of Economics, n. 21-1 (1997), p. 45 (Abstract). Nella stessa pagina si legge: «The social and psychological characteristics of absurdus are drawn from Thorstein Veblen’s ironical and existential insights into business culture. […] Veblen uses irony to describe and explore the type of despair that results from a dichotomy between industrial and pecuniary practices and frames the experience of absurdity in this culture. Jean Baudrillard’s critique of Marxism in The Mirror of Production is discussed as an example of the contemporary relevance of Veblen’s approach. Beyond its theoretical uses, absurdus is described as a therapeutic response to escapism born of despair». ↩︎
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Cfr. A.W. Dyer, Work, Creativity and Habit: T. Veblen’s Theoretical Contribution to Economics, University of Meryland, Baltimore 1982. ↩︎
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Cfr. J. Baudrillard, Le Miroir de la production ou l’Illusion critique du matérialisme historique, Galilée, Paris 1985. ↩︎
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T. Veblen, «The Vested Interests and The Common Man» , in T. Veblen, The Vested Interests and The State of The Industrial Arts, B.W. Huebsch, New York 1919, p. 170 (traduzione nostra). ↩︎
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«Gli agenti economici, cioè le sorgenti di azione economicamente rilevanti, non sempre sono individui in carne ed ossa. Anzi molte decisioni economicamente rilevantissime provengono da persone giuridiche, cioè da personae fictae potenzialmente immortali, fortemente auto-referenziali e del tutto esonerate, se non proprio da qualunque responsabilità, almeno dal sentimento umano della responsabilità; organizzazioni complesse che sembrano congegnate apposta per suscitare in coloro che le dirigono identificazioni affettive di tipo «onnipotente». Solo da poco il decision-making di tali soggetti artificiali comincia a essere indagato in profondità con gli strumenti concettuali della psicologia sociale e della dinamica di gruppo, ma una cosa è certa: esso non rassomiglia né alle decisioni razionali dell’homo oeconomicus classicamente inteso […],né alle decisioni ragionevoli dell’homo oeconomicus in versione moderata e corretta.» S. Caruso, op. cit., p. 76. ↩︎
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«Che cosa so?»; so poi qualcosa? Ci sarà mai un sapere che si distingue dall’incertezza e dall’ignoranza? È possibile una vera e propria presa di posizione? Esiste quello che si chiama realizzazione del senso? In qualche modo, chiunque eserciti l’attività filosofica fa quest’esperienza e in modo tanto più opprimente se intervengono anche la delusione personale, il fallimento delle opere intraprese, l’ansia e la malattia - e da chi non andrebbero questi cupi visitatori? Anche questo però è ammaestramento. La possibilità del dissolvimento del senso fa parte dell’esistenza. L’esistenza è tale che molte cose in essa non hanno proprio più senso, o, per lo meno, non hanno più un senso che possa essere comprensibile all’animo. Abbiamo detto, a proposito dell’età adulta, che in essa il compito consiste nel riconoscere l’assoluto nella trama delle realtà contingenti; ora invece si tratta di salvaguardare il senso in mezzo ai processi di disintegrazione che lo scoraggiano e lo indeboliscono. E una filosofia che non abbia tenuto testa a questo pericolo non è una filosofia autentica.» R. Guardini, Le età della vita, Vita e Pensiero, Milano 1992, p. 91. ↩︎
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Si legga L. Demichelis, «La nostra vita è una giostra», TTL-La Stampa (21.11.2003) p. 4. ↩︎
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«Zur Entstehungszeit des Essays lagen bereits erste literarische Arbeiten Camus’ vor, in denen sich seine Grunderfahrung des Widerspruchs zwischen materieller Not und glücklichen Naturerleben manifestierte. Durch die zunehmende Beschäftigung mit der sozialen Umwelt drängte sich in Camus’ Bewusstsein die negative Seite dieses Widerspruchs, die Erfahrung materiellen Elends, seelischer Vereinsamung und geistiger Orientierungslosigkeit, immer stärker in dem Vordengrund. Dieses komplexe Mangelerlebnis belegt Camus mit der generalisierenden Bezeichnung Absurdität.« B. Sändig, Albert Camus. Autonomie und Solidarität, Königshausen und Neumann, Würzburg 2004, p. 58. ↩︎
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Si veda J.M.H. Reid- L. Poggi, Dizionario della Letteratura Francese, Gremese Editore, Roma 2002, pp. 69-70. ↩︎
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Cfr. B. Mattheus, Cioran: Portrait eines radikalen Skeptikers, Matthes & Seitz, Berlin 2007. ↩︎
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Cfr. R. Grenier, Pascal Pia, ou, Le droit au néant, Gallimard, Paris 1989. ↩︎
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«The particular form that an individual human action takes is determined by factors that include those making up the specific environmental conditions as well as those that have shaped the character and values of the actor. The conception of sciences of human action recognizes that the form of action as it unfolds in its historical reality is the result of influences that range from the physiological to the religious, the social to the geographical.» I. M. Kirzner, The Economic Point of View. An Essay in the History of Economic Thought, Sheed & Ward, Kansas City 1960, p. 149. ↩︎
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«C’è sempre stata una letteratura che è essenzialmente filosofia (a cominciare dal poema di Parmenide per continuare con i dialoghi platonici, le Confessioni di Sant’Agostino, i Diari di S. Kirkegaard) ma ora si tratta di filosofia che è essenzialmente letteratura: espressione dell’impensabile proprio come Kafka, Ionesco e Beckett esprimono nel teatro il «senso dell’assurdo». La «filosofia dell’assurdo» - sia quando si proclama esplicitamente tale (Nietzsche, Rensi, Cioran) che quando accetta implicitamente di esserlo - ha certamente una sua grandezza (a parte l’immensa incisività culturale, che ci obbliga, nel dialogo filosofico, a fare i conti inevitabilmente con Descartes, con Kant, con Hegel) e anche un suo valore logico; non però - ripeto - il valore ascrivibile alla logica della verità (la logica aletica, quella che ha dato origine alla filosofia e ne è sempre l’anima, l’unica sua giustificazione), bensì un valore ipotetico-deduttivo che rende tale filosofia assai simile alla matematica: e, infatti, laddove la base assiomatica non è costituita dal senso comune (ossia dai principi primi della verità) ma da meri postulati, talvolta non solo giustificabili ma anche arbitrari e impensabili, il sistema di logica formale che si sviluppa ha solo la funzione di manipolazione di simboli; in altri termini, non è un modo per progredire nella conoscenza della verità, ma un modo di costruire nuove strutture simboliche.» A. Livi, Il principio di coerenza. Senso comune e logica epistemica, Armando Editore, Roma 1997, pp. 13-14. ↩︎
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Cfr E. Baccarini, «La persona come struttura dialogica», Dialeghestai. Rivista telematica di Filosofia, 1-1999 (https://mondodomani.org/dialegesthai/emilio-baccarini-04). ↩︎
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P. Scarafoni, Amore salvifico: una lettura del mistero della salvezza. Uno studio comparativo di alcune soteriologie cattoliche, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1998, p. 34. ↩︎
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Cfr. G. Marcel, Homo Viator. Introduction to a Metaphisics of Hope, Harper & Brothers, 1962. ↩︎
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Cfr. G. Marcel, The Mystery of Being. Faith and Reality, The Harvill Press, London 1951. ↩︎