Stefano Scrima, Esistere forte. Ha senso esistere? Camus, Gide e Sartre dicono che…, Il Giardino dei Pensieri, Bologna, 2014.
Sia il titolo che il sottotitolo del recente libro di Stefano Scrima non rispecchiano pienamente l’ampiezza degli argomenti e la profondità delle riflessioni ivi contenute, così come traspare chiaramente sin dall’introduzione. In effetti, il volume ha numerosi ed innegabili pregi: in primis, uno stile conciso ed elegante, che non si attarda su inutili arzigogoli retorici ma che, allo stesso tempo, di riflesso agli autori e alle opere trattati, presta particolare attenzione all’aspetto lirico della parola; in secundis, una struttura concettuale ed argomentativa chiara ed esauriente — ad ogni istante il lettore ha sempre ben presente dove si trova, anche grazie alle utili appendici ai vari capitoli, in cui si riportano le biografie degli autori, dei brevi riassunti dei romanzi citati e delle mini-bibliografie. Altro punto degno di lode è l’approccio per così dire innovativo e non convenzionale dell’autore, il quale non relega la filosofia nei luoghi classici in cui essa si è tradizionalmente manifestata:
La filosofia, che sia indagine su noi stessi e sul mondo o portavoce di una peculiare visione di esso, non ha come mezzo di trasmissione soltanto il (forse ormai desueto) trattato di seicento e passa pagine o la lezione universitaria: oggi sono la televisione, il cinema e l’arte in tutte le sue manifestazioni i veicoli privilegiati. (114)
Un approccio che forse non troverebbe la piena approvazione del sistema accademico-universitario — anche a causa della mancanza di assidui riferimenti alla letteratura secondaria — ma che ciononostante viene portato avanti con coerenza e grande efficacia.
Veniamo ai contenuti. Il libro (123 pagine esclusa la bibliografia) si suddivide in quattro capitoli, a cui si aggiungono la prefazione di Mario Trombino, l’importante e imprescindibile introduzione dell’autore, l’appendice (incentrata sull’analisi del romanzo Hanno tutti ragione di Paolo Sorrentino alla luce di quanto detto precedentemente), un dizionario concettuale minimo e la bibliografia.
L’introduzione è un breve ma denso percorso storico-filosofico ed ermeneutico, nel quale vengono definite le coordinate concettuali in cui si muoveranno le successive riflessioni. Punto di partenza dell’introduzione è la nascita in epoca moderna della distinzione tra soggetto e oggetto, ad opera di René Descartes e, sul versante scientifico, di Galileo Galilei. L’autore sottolinea come, in precedenza,
tra gli antichi non si propose il dualismo soggetto/oggetto perché si pensava esistesse un’unica legge cosmica, umana e naturale, che regolasse il tutto e che la realtà esterna fosse quella che è a prescindere dall’occhio umano. Tra i medievali e i rinascimentali, invece, era l’idea dell’Uno o di Dio a garantire un’unità superiore cui ricondurre i due poli (quello soggettivo dell’uomo e quello oggettivo dell’essere), che si pensavano così come un’unità inscindibile perché emanazione della stessa potenza regolatrice del tutto. (13)
Con il pensiero moderno, invece, questa unità si scinde in dualità: il soggetto conoscente si rende indipendente dall’oggetto conosciuto. Ma — sottolinea a ragione l’autore — non si tratta di una dualità bilanciata, egualitaria, in cui i due poli abbiano lo stesso valore ontologico. Al contrario, in questa scissione viene sancito più o meno inconsciamente l’inizio del dominio del soggetto sull’oggetto:
In tal modo il soggetto (umano) si fa praticamente autonomo, perlomeno metafisicamente — esso è la prima sostanza, in termini logici, l’unica che possa costruire il fondamento di tutte le altre sostanze: senza il soggetto pensante, non ha senso parlare dell’oggetto, definibile solo in quanto pensato — riconoscendo nella facoltà conoscitiva razionale il suo più grande potere. (12)
In quest’ottica, l’opera di Kant e degli idealisti tedeschi si pone come il consolidamento definitivo della sovranità del soggetto. La «rivoluzione copernicana» di Kant, così come tutto ciò che è derivato da essa, ha però la seguente innegabile ambivalenza: «l’uomo diventa sì più autonomo, ma anche più solo». È proprio questo paradigma «autonomia/solitudine» che fonda il pensiero contemporaneo, inaugurato a chiare lettere da Nietzsche, autore con il quale tutti i filosofi contemporanei, volenti o nolenti, sono costretti a confrontarsi — non a caso un’intera sezione del libro è dedicata al «Maestro Nietzsche».
La conclusione dell’introduzione è degna di essere qui riportata, poiché definisce ancora più chiaramente il senso dell’intero lavoro:
Vivere è sì assurdo, ma solo se non prendiamo in mano la nostra vita, se la lasciamo in balia dei venti e dei mari che non siamo noi. La libertà che segue al non-senso dell’esistere è, invero, il dono più prezioso che il caso (o chi per lui) potesse farci. Scopriamo così di non essere obbligati o destinati, bensì i creatori, gli artefici del nostro mondo. E come ci giocheremo quest’unica chance di esistere? Perché non capiterà mai più, in tutta l’eternità, una cosa del genere. Come gestiremo la responsabilità di un tale privilegio? Cosa ci impedirà di non sentirci di troppo, straripanti da quest’esistenza? (17)
Dopo l’introduzione, il lavoro di Scrima si sofferma in prima battuta sull’opera di Sartre, per poi proseguire con quella di Camus e, infine, con quella di Gide — soffermandosi nel quarto capitolo anche su Nietzsche e Caraco. Si tratta di un’analisi accurata e particolare, in cui, per scelta o per necessità, è dato maggior risalto alle opere letterarie, piuttosto che a quelle puramente filosofiche — ad esempio, L’essere e il nulla di Sartre è lasciato (credo a ragione) a margine della discussione, mentre grande rilievo è dato invece ai romanzi (La Nausea e la tetralogia incompiuta I cammini della libertà).
Filo conduttore di questa lodevole analisi è l’avvicendarsi senza sosta dei concetti di esistenza, nichilismo, libertà, responsabilità, senso: esistenza umana che, dopo la morte di Dio, si è aperta irrimediabilmente al nichilismo, senza più possibilità di dissimularlo con volti divini o metafisici; esistenza priva di punti di riferimento morali, che quindi si ridefinisce pericolosamente come libertà e, al tempo stesso, come responsabilità; in particolar modo, come responsabilità di creare e perseguire un senso di cui ormai l’uomo, e non più Dio, è l’unico vero artefice. L’abisso del non-senso resta incolmabile, con esso bisogna necessariamente fare i conti: l’assurdo, definito come tensione costante tra il domandare dell’uomo e l’indifferenza silenziosa del mondo, è allo stesso tempo una condanna e una sfida, così come, in parallelo, la libertà dell’uomo assurdo (e nauseato) rappresenta contemporaneamente la grandezza e la miseria della sua esistenza, per usare un lessico pascaliano.
In ultima analisi, il volume di Stefano Scrima costituisce una significativa e originale analisi filosofico-ermeneutica, la quale si contraddistingue sia nel metodo che nei contenuti. Il suo maggior pregio è stato senza dubbio di aver posto al centro della discussione autori e problematiche ancora troppo spesso ignorati o sottovalutati dal panorama filosofico italiano, avvalendosi di uno stile chiaro, elegante ed efficace.