Martha C. Nussbaum, Giustizia e aiuto materiale, Bologna, 2008.
Il saggio di Martha Nussbaum ripercorre con rapida nettezza alcune fasi divenute luoghi classici della riflessione gius-filosofica occidentale. L’attenzione dell’autrice, infatti, si concentra nel sottolineare l’influenza che un opera come il De officiis di Cicerone esercitò su autori quali Adam Smith1 e, in modo particolare, il Kant dello scritto Per la pace perpetua.2 Viene quindi intrapresa una originale interpretazione di un tale stato di cose, che imputa a questa stessa influenza un esito funesto,3 responsabile dell’attuale diffusa convinzione di una interna inefficacia dei cosiddetti ‘doveri di aiuto materiale’verso l’uomo — «doveri che noi e le nostre istituzioni abbiamo verso le persone che vivono in altre nazioni»4 — che caratterizza molte direzioni della riflessione moderna e contemporanea in tale ambito. A questo proposito, Nussbaum commenta i momenti centrali del De officiis di Cicerone, a partire dalla summa divisio da questi effettuata tra ‘doveri di giustizia’e ‘doveri di aiuto materiale’.5
Secondo Nussbaum, in Cicerone è rinvenibile una teoria generale della giustizia fondata sui presupposti rigorosi della morale stoica,6 che si rivolge costitutivamente a tutti gli uomini, indipendentemente dalle loro appartenenze statuali e cetuali,7 dunque in una prospettiva realmente cosmopolita8 e transnazionale, secondo i canoni universali della legge della convivenza umana.9 Alla base di tale concezione si rintraccia anche la genesi dell’argomento kantiano, del «rispetto dell’umanità, del trattare l’essere umano piuttosto come un fine che come un mezzo».10 Viene chiarito da Cicerone che gli autentici doveri di giustizia costituiscono pertanto «la base per un diritto realmente transnazionale dell’umanità. Poiché l’utile confligge spesso con l’onesto — scrive — abbiamo bisogno di una regola (formula) da seguire».11 La regola generale che propone Cicerone, e che maggiormente influenzerà l’idea di Kant,12 può positivamente descriversi in termini giuridici, si tratta cioè di un diritto che, in quanto tale, vige universalmente come dettato della ragione universale:13 «il diritto universale condanna ogni violazione che, se fosse generale, minerebbe la convivenza umana».14
Nell’analisi di Nussbaum viene pertanto in rilievo il contributo di Cicerone ad una concezione del diritto inteso come universale dovere di giustizia,15 che si realizza quotidianamente nella condotta di ognuno verso l’altro, oltre ogni confine nazionale, esprimendo un interno carattere vincolante «anche quando siamo fuori della sfera del diritto positivo».16
Tuttavia, osserva Nussbaum, in Cicerone appare netta la distinzione tra l’universale dovere di giustizia ed i doveri di effettivo aiuto materiale agli altri, alla cui analisi viene dedicato il capitolo II del saggio. La premessa teoretica di una tale distinzione, che incide negativamente sulla realtà materiale del dovere di aiuto, risiede ancora nella preminente influenza stoica della formazione del testo ciceroniano:17 in generale, infatti, dal pensiero stoico viene accordata un’importanza affatto esteriore alla natura dei beni materiali, giudicati inessenziali alla persona umana.18 In tale ambito, viene ad affermarsi, a differenza dell’universale dovere di giustizia verso l’altro, una particolare gerarchia di doveri di aiuto materiale, basata su una relazionalità discendente:19 le varie specie di legami in cui si trova a coesistere il singolo, esigono cioè diversi gradi di impegno nel dovere di aiuto, dovendosi privilegiare le sfere relazionali più immediate, sia pure, come nota Nussbaum, mai fondate «semplicemente sulla biologia o sull’eredità».20 Vengono pertanto ad individuarsi i contorni di una ‘tavola dei doveri’dettata da una ragione pratica che evita di dissolvere il singolo in una serie infinita di obblighi verso altrettante pretese degli altri (infinita multitudo), pur nel riconoscimento della generale comunanza umana tenuta insieme dalla «forza unificatrice della ragione e della parola».21
Dunque, nella lettura proposta da Nussbaum, in Cicerone ad un universale dovere di giustizia non corrisponde un universale dovere di aiuto materiale, realizzando una non giustificabile asimmetria tra quanto dallo stesso Cicerone viene descritto come le «due parti di una stessa e unica virtù»,22 e cioè la iustitia e la beneficentia.23 Secondo Nussbaum,24 una lettura più coerente della tradizione stoica dovrebbe imporre la medesima indifferenza sia verso la realizzazione della giustizia, sia per la garanzia degli aiuti materiali, entrambi configurandosi quali elementi esterni, dunque trascurabili ed inessenziali25 per la realizzazione della perfezione interiore alimentata al distacco dell’apatia e dell’atarassia:26 «è incoerente — scrive Nussbaum anche con riferimento a Seneca27 — mettersi a posto la coscienza riguardo ai doveri di aiuto materiale giudicandoli non necessari per una autentica fioritura e, allo stesso tempo, insistere in modo così stringente sull’assoluta inviolabilità dei doveri di giustizia, che sono solo altri modi di provvedere agli esseri umani con dei beni esterni di cui hanno bisogno».28 La critica si fa incalzante («Diciamo a noi stessi che la povertà è solo esteriore, che non incide il nucleo dell’umanità. E invece, com’è ovvio, lo fa»),29 sino ad assimilare la commissione di ‘crimini contro l’umanità’all’omissione di aiuto materiale.30 Nussbaum individua pertanto una responsabilità esattamente giuridica, cui devono rispondere i singoli e le istituzioni collettive, che si collega al dovere di aiuto materiale, inteso come attuazione dell’universale dovere di giustizia, e così esemplifica: «Poiché, di norma, la fame è causata non tanto dalla mancanza di cibo, quanto dalla mancanza del diritto al cibo, si tratta di una questione interamente umana, nella quale è profondamente coinvolto l’assetto della società … Solo perché è difficile a chi attribuire la colpa, ciò non significa che non ci sia stato alcun torto e che non occorra dare un risposta»,31 che realizzi ed attui il principio giuridico, pertanto universalmente valido, del dovere di giustizia.
Il saggio di Martha Nussbaum, dunque, senz’altro ha diversi meriti, tra cui quello di rammentare, con forza, che «attribuire a un essere umano … un livello di vita in cui le facoltà tipicamente umane di scelta e di socialità sono completamente svuotate, è immorale e inammissibile»,32 ma, va aggiunto, rappresenta anche il nucleo di un’attività giuridicamente perseguibile, perché imputabile nel rinvio ad una legislazione universale che renda ovunque vigente il diritto di essere uomini.33
A questo punto, va sottolineato che il lavoro di Martha Nussbaum si riferisce esplicitamente al De officiis, che, se segna un passaggio importante dell’opera ciceroniana, in cui maggiormente, come ricordato, si manifesta l’influenza di una rilettura della morale stoica, tuttavia non ne esaurisce l’impegno speculativo. Esemplificando, infatti, e limitando il riferimento alla riflessione rilevante in ambito giuridico, o giusfilosofico, appare opportuno effettuare un rinvio, almeno, ad alcuni altri luoghi in cui viene ancora discussa la questione, non meramente ideale, del nucleo universale della giuridicità, che, secondo Cicerone, deve trovare una specificazione nei rapporti giuridici, oltre ogni limitato ambito civico o statuale. Si tratta, come scrive Romano, di una «dimensione universale qualificativa dell’incontro con l’altro»,34 cosicché ogni uomo — prosegue Romano citando Cicerone — «non è solo circondato dalle mura, come cittadino di un qualche limitato luogo, ma avrà riconosciuto di essere cittadino di tutto il mondo, come quasi di una unica città»,35 delineando «così una globalizzazione che non riguarda soltanto l’estensione del mercato, ma annuncia il nucleo del riconoscimento incondizionato di ogni soggetto di diritti non confinati in un territorio ed in un tempo».36 Romano segnala come in Cicerone l’universalità del riconoscimento reciproco non si limiti ad una relazionalità parziale, ma si estenda piuttosto al concepimento di una ‘società umana unica’, che supera, nell’effettiva istituzione di rapporti giuridici, ogni tentativo di radicare il riconoscimento nelle relazioni parentali, tra ‘amici, fratelli, affini’, rivolgendosi invece a tutti, perché «tutti … devono essere ricercati per se stessi».37
Nelle considerazioni di Romano non si tralascia che in Cicerone non è evitabile il confronto con la sua opera di giurista, dunque del ruolo di interprete non di astratti ideali, bensì di una realtà legislativa, che però non può limitarsi all’interpretazione del dato positivo, ma che si alimenta al compito proprio di ognuno, consistente nella ricerca della ‘virtù’, principalmente della giustizia, da realizzarsi efficacemente ed universalmente, secondo i termini propri della realtà giuridica.38
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Cfr., per esempio, A. Smith, Teoria dei sentimenti morali, Milano, 2008, p. 297. ↩︎
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Cfr. I. Kant, Per la pace perpetua, Milano, 2003, p. 49 ss.; M.C. Nussbaum, Kant and Stoic Cosmopolitanism in Perpetual Peace, a cura di J. Bohmann, Cambridge, 1997, pp. 25-38; Aa.Vv., Aristotle, Kant and the Stoics. Rethinking Happiness and Duty, Cambridge, 1996; K. Reich, Kant und die Ethik der Griechen. Tübingen 1935. ↩︎
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Cfr. M.C. Nussbaum, Giustizia e aiuto materiale, cit., p. 14. ↩︎
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Ivi, p. 16. ↩︎
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Sull’insensibilità di Cicerone rispetto all’altrui indigenza cfr. D.L Stockton, Cicerone, Milano, 1984, p. 169. ↩︎
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Cfr. l’ormai classica raccolta di H. von Arnim, Stoici antichi. Tutti i frammenti, a cura di R. Radice, Milano, 1998. La morale stoica raggiunge un nucleo stabile di riflessione soprattutto attraverso autori come Zenone di Cizio (cfr. ivi, pp. 87-109) e Crisippo di Soli (cfr. ivi, pp. 975-1351). Cfr. anche Ario Didimo Diogene Laerzio, Etica stoica, Roma-Bari, 2008; G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, vol. 2, 1992, pp. 423-443.Tradizionalmente, la filosofia stoica viene ricondotta a tre periodi temporali: per una ricostruzione generale cfr. M. Pohlenz, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, 2 voll., Firenze, 1967; G. Reale, Storia della filosofia greca e romana. Vol. 5, Cinismo, Epicureismo e Stoicismo, Milano, 2004, pp. 421-480; A.A. Long, La filosofia ellenistica. Stoici, epicurei, scettici, Bologna, 1991, pp. 236-274. ↩︎
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Cfr. G. Giliberti, Cosmopolis. Politica e diritto nella tradizione cinico-stoica, Fano, 2002, pp. 15-117. ↩︎
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Cfr. Cicerone, De finibus, III, 19, 62 ss. ↩︎
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Cicerone, De officiis, I, 21. ↩︎
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M.C. Nussbaum, Giustizia e aiuto materiale, cit., p. 24. ↩︎
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Ivi, p. 25. ↩︎
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Secondo Pohlenz, «i concetti kantiani fondamentali … erano già prefigurati nella Stoa», M. Pohlenz, La Stoa, cit., vol. II, pp. 414-415. Cfr. anche G. Marini, La filosofia cosmopolitica di Kant, Roma-Bari, 2007. ↩︎
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Cicerone, De officiis, III, 22. Su questo aspetto dell’opera ciceroniana cfr. M. Pohlenz, Cicero. De officiis III, in Kleine Schriften, Bd. 1, Hildesheim, 1965, pp. 253-291. ↩︎
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M.C. Nussbaum, Giustizia e aiuto materiale, cit., p. 26. ↩︎
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Sul concetto di giustizia in Cicerone cfr. H. Dieter, Der iustitia-Begriff Ciceros, in Eirene, 7, 1968, pp. 33-48. ↩︎
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M.C. Nussbaum, Giustizia e aiuto materiale, cit., p. 29. ↩︎
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Il riferimento centrale è all’insegnamento di Panezio: cfr. Panezio, Testimonianze e frammenti, Milano, 2002. Per l’influenza di Panezio sulla composizione del De officiis ciceroniano cfr. M. Pohlenz, L’ideale di vita attiva secondo Panezio nel de officiis di Cicerone, Brescia, 1970; E. Lefèvre, Panaitios’ und Ciceros Pflichtenlehre. Von philosophischen Traktat zum politischen Leherbuch, Stuttgart, 2001; E. Narducci, Saggio introduttivo, in Cicerone, I doveri, Milano, 2007, p. 10 ss. ↩︎
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Cfr., tuttavia, Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII, 128: «Panezio e Posidonio sostengono tuttavia che la virtù non è sufficiente, ma che occorrono anche buona salute, abbondanza di mezzi di vita, e forza». ↩︎
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Sul punto cfr. anche E. Narducci, Saggio introduttivo, cit., pp. 31-32. ↩︎
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M.C. Nussbaum, Giustizia e aiuto materiale, cit., p. 33. ↩︎
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Ivi, p. 33. ↩︎
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Ivi, p. 19. ↩︎
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Cicerone, De officiis, I, 20. ↩︎
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Cfr. M.C. Nussbaum, Giustizia e aiuto materiale, cit., cap. IV. ↩︎
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Si tratta della nota dottrina degli ‘indifferenti’ (adiafora), su cui cfr. G. Reale, Storia della filosofia greca e romana. Vol. 5, Cinismo, Epicureismo e Stoicismo, cit., p. 431 ss. ↩︎
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Cfr. ivi, p. 469 ss. La dimensione del ‘distacco’ sarà originalmente ripresa da M. Eckhart, Del distacco, in Dell’uomo nobile, Milano, 2008, p. 129 ss., su cui cfr. A. Argiroffi, Identità personale giustizia ed effettività. Martin Heidegger e Paul Ricœur, Torino, 2002, pp. 75-87; A. Saccon, Nascita e Logos, Napoli, 1998. ↩︎
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Sulla formazione filosofica di Seneca, che ebbe tra i suoi maestri lo stoico Attalo, cfr. G. Gentile, Frammenti di storia della filosofia, in Opere, vol. LIII, sez. I. Per una lettura attuale del pensiero di Seneca cfr. G. Reale, La filosofia di Seneca come terapia dei mali dell’anima, Milano, 2004; A. Argiroffi, La filosofia stoico-pragmatica di Lucio Anneo Seneca e il suicidio: contemporaneità dell’antico?, in Eutanasia e suicidio assistito. Atti del Convegno (in corso di pubblicazione). ↩︎
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M.C. Nussbaum, Giustizia e aiuto materiale, cit., p. 43. ↩︎
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Ivi, p. 47. ↩︎
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Cfr. ivi, p. 48. ↩︎
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Ivi, p. 66. ↩︎
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Ivi, p. 75. ↩︎
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Cfr. J. Hersch, I diritti umani da un punto di vista filosofico, Milano, 2008; Aa.Vv., Il diritto di essere uomo, Torino, 1971, a cura di J. Hersch; B. Romano, Diritti dell’uomo e diritti fondamentali. Vie alternative: Buber e Sartre, Torino, 2009, p. 13 ss. ↩︎
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B. Romano, Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, Torino, 2009, p. 132. ↩︎
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Cicerone, Le leggi, in Opere politiche e filosofiche, I, Torino, 2004, p. 463. ↩︎
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B. Romano, Sistemi biologici e giustizia, cit., p. 133. ↩︎
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Cicerone, I termini estremi del bene e del male, in Opere politiche e filosofiche, II, Torino, 2005, p. 427. ↩︎
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Cfr. B. Romano, Male ed ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, Torino, 2009, p. 172. ↩︎