1. Le prime opere
Il primo giudizio che troviamo in Maritain sul marxismo, risale al 1920, nel saggio Réflexions sur le temps présent.1 A proposito del bolscevismo e delle simpatie che esso suscita presso un certo numero di persone, Maritain distingue tre momenti. Nel primo: l’immaginazione del pubblico si rappresenta i distruttori dell’ordine costituito come dei puri demoni e il loro operato come un male puro. Nel secondo: ci si accorge, col tempo, e mediante informatori, di un disinteresse sospetto che questi demoni sono anch’essi degli uomini, capaci di coraggio e di spirito di sacrificio e che usano mezzi orribili per conseguire i loro obiettivi, soltanto per dedizione al loro ideale; e ci si accorge anche che il loro operare comporta intenzioni e realizzazioni impegnate e ardite. Si dimenticano i loro misfatti o li si guardano come accidenti trascurabili. Questo secondo momento, per il Nostro, è particolarmente pericoloso per la ragione, dato che i candidi potrebbero lasciarsi andare a giudicare l’avvenimento, non tanto secondo il valore delle cose fatte, ma secondo l’interesse soggettivo degli attori che le compiono. Nel terzo momento, tuttavia, Maritain pensa che la ragione giudichi dapprima ciò che è, e contemporaneamente condanni gli operatori di distruzione molto più duramente che non l’opinione del popolo. La storia, giudizio del mondo, sicuramente rimprovererà al bolscevismo non tanto di non avere ideale, ma piuttosto il suo stesso ideale. Il ricordo dei crimini compiuti scompare in fretta; e così pure il regime, fondato sulla negazione del diritto naturale, dopo i primi eccessi potrà, per necessità di vita, attenuare o addirittura negare nella pratica i dogmi, che invoca in teoria; ma potrà perdere il principio spirituale sua autentica forma animatrice solo scomparendo assieme a esso. Infatti il bolscevismo è anticristiano, in modo essenziale, nel suo principio stesso. In quanto esso, mascherato da una ideologia capace di commuovere anche i peccatori più incalliti e di attirare a sé le generosità deviate, è lo sforzo più intelligentemente attivo per porre praticamente l’umanità nell’ateismo, instaurando contemporaneamente la città senza Dio, una città cioè, che ha come suo ultimo fine una perfezione umana esclusivamente terrena, e che fa dell’Uomo e della Scienza umana, secondo la grande idea hegelianeggiante di K. Marx, il Signore onnipotente che governa la Storia. Non di meno tuttavia, è chiaro, continua Maritain, che è lo stesso ordine sociale borghese a suscitare queste forze di distruzione; dato che anch’esso ha rinnegato il rapporto fra Dio e uomo, optando esclusivamente per quest’ultimo; e non vi può essere né ordine né giustizia là dove manca l’ordine e la giustizia tra l’uomo e Dio. Già in questo primo lavoro si possono notare due affermazioni del filosofo, che anche nelle opere successive permarranno essenziali e che verranno adeguatamente sviluppate; esse sono l’essenzialità dell’ateismo al marxismo e la presenza, al suo interno, di elementi e di valori cristiani, ormai snaturati però; e sarà questo fatto a indurre Maritain a definire il marxismo l’«ultima eresia cristiana».
Nel 1922 il Nostro, nel capitolo VII di Théonas2, che è un saggio scritto in forma dialogica, per bocca di Philonous, che nel dialogo fa sempre la parte dell’entusiasta dell’ultima favola, contesta la posizione dello storicismo, secondo cui la storia è tutto e implica di conseguenza la riduzione di ogni dimensione umana, compreso il suo essere e la sua salvezza, a vicende puramente storiche.
Philonous propone al suo allibito interlocutore un progetto di riconciliazione e di ordine universale a cui invita tutti gli uomini: il nostro tempo aspira a forme di integrazione sociale sempre più rispondenti alle esigenze della giustizia; per questo molti aspirano al comunismo, ora questo comunismo è già stato realizzato dai monaci. Perché non possono, dunque, associarsi a un comune proposito di trasformazione del mondo, loro che già hanno così anticipato da tempi immemorabili ciò verso cui il Progresso ci porta inarrestabilmente?
«Si potrebbe giungere a una osmosi tale da bolscevizzare il cristianesimo e da cristianizzare il bolscevismo, e dalla quale potrebbe risultare un’unione santa degli uomini, che sarebbe la più perfetta espressione dell’ideale moderno».3 In altre parole passando oltre le differenze oggettive che separano gli uomini e cioè il loro particolare rapportarsi alla verità, passando oltre le differenze dogmatiche, filosofiche che li dividono, si potrebbe giungere a un’unione di tutti gli uomini, per l’uomo e per mezzo dell’uomo, costituita sulla buona volontà di ciascuno, indipendentemente dalle rispettive convinzioni personali. Gli uomini converrebbero così in un abbraccio fraterno, quali che siano le loro diversità, e verrebbe prendendo forma in contrasto assoluto con l’antico tipo di unità, eminentemente rappresentato dalla chiesa cattolica, e che pretendeva adunare tutti gli uomini attorno a una verità e per un bene che sono sempre stati in realtà un sogno di contraddizione, la concezione moderna della «Città di Dio».4
In questa analisi maritainiana vediamo attribuiti al pensiero contemporaneo due temi essenziali: il primo consistente nella realizzazione escatologica di una città perfetta, attuata esclusivamente da e per gli uomini qui sulla terra; il secondo concernente invece l’organizzazione delle strutture temporali della nuova società, in cui gli uomini si trovano di fatto a collaborare insieme impiegando una volontà d’azione, che muove però da punti di vista filosofici e religiosi diversi. Subito Maritain si preoccupa di far rilevare come fuori dalla luce dell’essere stesso sussistente, che è, sì, principio di pace, ma anche e nello stesso tempo segno di contraddizione, non può esserci unità; e quindi per realizzare l’unità perfetta di cui parla Philonous ci vuole un intervento divino, che unisca proprio perché è mistico, non è del tempo, né può nel tempo essere realizzato: la città perfetta è insomma un termine sovra storico. Quest’ultima affermazione anticipa tutta la critica che il filosofo francese nelle sue opere successive muoverà alla naturalizzazione dell’idea evangelica del Regno di Dio, a tutto il perfettismo del pensiero moderno, a partire dal razionalismo in cui esso è nato, attraverso l’illuminismo, per culminare poi nella risoluzione materialistica di esso a opera di Marx.
2. Umanesimo integrale: cronistoria dell’opera; il capitolo secondo
Giungiamo così, nella nostra ricerca di ciò che Maritain ha detto del marxismo, al testo chiave per l’interpretazione di questo argomento, cioè a Umanesimo integrale5, libro che è forse il più noto nella copiosa produzione del Nostro. Quest’opera è stata ricavata da sei lezioni tenute nell’agosto del 1934 ai corsi estivi dell’università di Santander in Cantabria, Spagna. Con l’aggiunta di un’introduzione e di un nuovo capitolo il testo fu pubblicato in Francia nel 1936.
Il capitolo secondo, intitolato «Un nuovo umanesimo», è il passo in cui il filosofo tratta più diffusamente e più compiutamente del problema del marxismo. Di esso è quindi giocoforza dare un’esposizione più attenta e particolareggiata. Maritain inizia con l’analizzare il significato religioso del comunismo sovietico, che è l’esempio più tipico di una forza storica «di forma espressamente ateistica».6 Il Nostro si chiede per prima cosa come mai «le soluzioni sociali comuniste riguardanti l’organizzazione del lavoro nel mondo e della comunità temporale non possano essere separate dall’ateismo, che è una posizione religiosa e metafisica».7 La risposta subito data è che il comunismo nel suo spirito e nei suoi principi è un sistema completo di dottrina e di vita, che pretende di svelare all’uomo il senso ultimo dell’esistenza, e che tenta di rispondere a tutti i quesiti fondamentali posti dalla vita; è insomma una religione: «E delle più imperiose e sicure d’essere chiamata a sostituire tutte le altre religioni; una religione atea della quale il materialismo dialettico costituisce la dogmatica e il comunismo come regime di vita è l’espressione etica e sociale».8
In questo modo l’ateismo non è una conseguenza del sistema sociale, ma ne è il principale presupposto. Basandosi infatti su precedenti studi di A. Cornu, esposti nel libro K. Marx, de l’hégélianisme historique (Alcan, Paris 1934), Maritain sostiene che dal punto di vista storico l’ateismo si trova al punto di partenza del pensiero di Marx. Questi insomma è stato ateo prima di essere comunista ed è l’idea madre dell’ateismo di Feuerbach che, trasferita dall’ordine della critica religiosa all’ordine della critica sociale, ha determinato l’adesione di Marx al comunismo. La genesi di questo in Marx non è di ordine economico come per Engels, ma di ordine filosofico e metafisico; l’uomo essendo alienato da se stesso dall’idea di Dio, nella quale egli proietta la sua essenza, e dalla religione, è alienato allo stesso modo da se stesso e dal suo lavoro dalla proprietà privata.
In un primo momento Marx, seguendo Feuerbach, ha concepito l’alienazione dovuta alla proprietà privata sul tipo dell’alienazione dovuta alla religione, poi è stato condotto, contro Feuerbach, a considerarla come primaria di fatto e condizionante l’altra (materialismo storico); bisogna far cessare (comunismo) l’alienazione del lavoro: da ciò si avrà come corollario (ateismo) la cessazione dell’alienazione religiosa.
I comunisti non si rendono conto che la dottrina in cui essi militano è una religione e una fede; non si avvedono di ciò perché in quanto a religione esso è ateo, in quanto a fede il comunismo si presenta come l’espressione della scienza. Della religione il comunismo mostra diversi caratteri: l’intolleranza verso altri credi, come in ogni religione fermamente dogmatica; il proselitismo, che nasconde il pericolo di suscitare nei fedeli l’odio religioso, dato che si tratta di una religione ordinata esclusivamente per fini terreni, è facile che ogni piccola divergenza della linea di partito ferisca il senso del sacro nei suoi fedeli; la stessa fede nella rivoluzione comunista presuppone in vero un «universo totale di fede e di religione sul quale essa si edifica».9
Tra gli elementi originari del comunismo vi sono anche, sottolinea Maritain, elementi cristiani; l’idea stessa di comunione, che è la forza spirituale del comunismo e che si vuole realizzare quaggiù nel mondo terreno, è idea chiaramente di origine cristiana. E sono virtù cristiane, quelle che Chesterton chiama «virtù impazzite»10 e cioè: lo spirito di fede e lo spirito di sacrificio, tutte energie religiose dell’animo, che il comunismo suscita nei suoi adepti e di cui ha bisogno per sopravvivere.
Il filosofo francese rileva poi un fenomeno tipico del pensiero comunista, quale si è costituito dalla seconda metà dell’800 ai suoi giorni, cioè la rivolta di tutte queste energie di origine cristiana di cui è costituita l’ideologia marxista contro non solo il mondo cristiano (con tali termini il Nostro designa qualcosa di temporale, che si riferisce all’ordine non della religione, ma della civiltà e della cultura), ma, ed è qui la tragedia, contro lo stesso cristianesimo. Ciò è accaduto essenzialmente per colpa di un mondo cristiano infedele ai suoi principi, che ha relegato la verità e la vita divina nelle cose del culto, abbandonando le cose della vita sociale, economica e politica alla carne, sottratta alla luce di Cristo. Marx ha quindi ragione quando definisce la società capitalistica come una società anarchica, dove la vita si definisce come un gioco di interessi particolari. Niente è più contrario infatti allo spirito cristiano: «Di qui il risentimento»11 contro coloro i quali non hanno saputo realizzare la verità di cui erano portatori, risentimento che si ripercuote contro la stessa verità. Marx a questa situazione ha reagito di conseguenza compiendo un «processo di sostituzione».12
Il primo compito che il filosofo di Treviri si assunse fu quello di procedere a una esecuzione radicale dell’idealismo sia come dottrina metafisica sia come semplice affermazione del valore immateriale in genere; in breve egli ha fatto del marxismo un immanentismo realistico assoluto. In un certo senso Marx appare come il più conseguente degli hegeliani; perché se «tutto ciò che è razionale è reale» e se la realtà storica assorbe interamente e assolutamente tutto l’ordine ideale, allora il rovesciamento che, al seguito di Feuerbach, Marx ha fatto subire alla dialettica hegeliana è giustificato; e di conseguenza il movimento dialettico deve assorbirsi interamente nella materia, cioè nella realtà storica privata di ogni elemento trascendente e considerata anzitutto nelle sue primordiali concrete infrastrutture.
Maritain riconosce al materialismo marxista una superiorità rispetto a quello volgare e a quello dei materialisti francesi del XVIII secolo e a quello meccanicistico, perché ha una qualità tutta hegeliana, e perché confondendosi con un immanentismo perfetto riveste ai suoi occhi di metafisico un carattere di profondità e di reale. Per tentare di illustrarci la portata di tale materialismo il Nostro ricorre alla distinzione aristotelica della causalità formale e della causalità materiale: dato che Hegel aveva misconosciuto la causalità materiale, Marx, procedendo da una percezione in qualche modo vendicatrice dell’importanza della causalità materiale, cioè, dei fattori materiali che si attuano nel corso della natura e della storia, pone tale causalità materiale al primo posto e integrandola con la dialettica ne fa l’«attività madre».13 Così pure nell’ordine storico e sociale essa rappresenterà il processo delle attività di ordine economico. A esso Marx farà svolgere il compito capitale e primariamente determinante.
Maritain ci mette in guardia dall’interpretazione più comune del materialismo storico, secondo la quale tutto il resto, tutta l’ideologia della vita spirituale, le credenze religiose, la filosofia, l’arte etc…non sono che un epifenomeno dell’economia. Tale interpretazione, che pure non va trascurata, rischia di essere troppo superficiale, dato che Marx vedeva le cose con maggiore profondità. In lui, ad esempio, possiamo riscontrare un primo impulso spiritualistico, tutta la sua critica alla società capitalistica, che opprime l’uomo sino a renderlo merce, è frutto di tale impulso; a dispetto insomma di certe sue formule egli ha sempre creduto a un’interazione tra fattori economici e sovrastrutture: «l’economico considerato a sé non era per lui l’unica energia della storia».14 L’errore di Marx tuttavia è stato quello di concettualizzare la sua intuizione più profonda (l’intuizione delle condizioni d’alienazione provocate dal capitalismo alla forza lavoro e la conseguente disumanizzazione del lavoratore e dell’imprenditore) in una metafisica monistica e antropocentrica, dove il lavoro diventa l’essenza stessa dell’uomo, in cui l’uomo è chiamato a liberarsi dall’illusione religiosa dimenticando egli stesso Dio. Se dunque lo stato di sfruttamento dell’uomo sull’uomo deve cessare, non è in nome della persona umana, ma in nome dell’uomo collettivo e del lavoro collettivo; l’uomo in definitiva deve deificare in se stesso «il titanismo della natura umana».15 E anche se il fattore economico non è per Marx l’unico fattore determinante, resta comunque il fatto che è esso a determinare primariamente, attraverso le contraddizioni economiche e i conflitti di classe, lo svolgersi dell’evoluzione della storia umana. Ciò comporta la svalutazione delle altre sovrastrutture relegate a funzioni secondarie e marginali; ma non poteva accadere diversamente dato che è stata eliminata, con ogni trascendenza in generale, la trascendenza che dà consistenza alle altre sovrastrutture: religione, metafisica, scienza, belle arti etc. Da allora esse per esistere nella storia sono condizionate dall’economico, derivando da esso il loro senso e perdendo così ogni autonomia propria. Senza dubbio, aggiunge Maritain, tutti i condizionamenti di ordine materiale influiscono sulle attività di ordine spirituale, ma ciò non autorizzava Marx a scambiare un condizionamento materiale per una ragione primariamente determinante.
Ciò che distingue il marxismo, non è tanto l’insegnare la preponderanza dell’economico (che è l’elemento capitale della dottrina di Marx), dato che altre scuole avevano già detto questo, commettendo lo stesso errore, ma è il far dipendere tutte le forme di vita, con tutti i loro valori, non negate, ma rese vassalle, da questo assoluto materiale in movimento dialettico. «Per tornare al lessico nozionale di Aristotele, diciamo che la causalità materiale è diventata così la causalità puramente e semplicemente primaria».16 Ecco compiuto il primo atto del processo di sostituzione, la riabilitazione cioè della causalità materiale.
Occupiamoci ora del secondo momento del processo di sostituzione operato dal filosofo di Treviri: inserendo nella materia il dinamismo della dialettica hegeliana, si avrà che il processo economico, con tutte le energie da esso generate, e anzitutto con le energie della coscienza rivoluzionaria, deve condurre all’impero della ragione, all’eliminazione dello sfruttamento, alla vittoria dell’uomo sulla necessità, alla presa di possesso della sua storia. L’uomo sociale diventa il dio padrone assoluto della storia e dell’universo. L’incontro del messianismo giudaico e hegeliano di Marx e del messianismo russo appare, sotto questo punto di vista, singolarmente significativo.
Nel terzo momento del processo di sostituzione Marx attribuisce al proletariato il ruolo di mediatore della redenzione e la teoria della lotta di classe di conseguenza diviene una rivoluzione. Il proletariato ha la funzione di messia in quanto è privo del peccato originale dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo ed essendo al gradino più basso della storia è portatore della liberazione umana, è la vittima messianica, il cui trionfo sarà la vittoria definitiva su tutto ciò che opprime l’umanità e come una resurrezione dei morti. Berdiaeff ama segnalare la presenza di questo elemento escatologico nel pensiero comunista rivoluzionario; nel seno stesso della storia avverrà una liberazione totale e definitiva, tale da dividere in due i tempi. Si supererà così il passo dal regno della necessità a quello della libertà.
Il processo di sostituzione si compirà così in tre tempi; tutto ciò che si riferiva a un valore cristiano è ormai sostituito; Dio è respinto in modo assoluto per principio e in virtù di un dogmatismo metafisico assoluto, non in nome della persona umana (umanesimo razionalistico e deistico), ma in nome dell’uomo collettivo, nel quale e mediante il quale la natura umana deve trovare il suo compimento. Di conseguenza la concezione sociale di Marx non potrà essere che un monismo dell’umano collettivo; ed è proprio questo carattere che fa del comunismo non una soluzione economica relativa, ma bensì il valore di una esigenza storica assoluta.
Così i temi sociali del comunismo appaiono come la conclusione di un ateismo originario posto come principio di un umanesimo essenzialmente concepito come un umanesimo ateo. Questo umanesimo marxista deve essere visto come il frutto perfetto dell’immanentismo hegeliano, una volta che la dialettica hegeliana capovolta sia passata dall’idea al reale, cioè all’uomo sociale e storico; esso consiste in definitiva nel rivendicare per l’uomo, una volta liberato coll’abolizione della proprietà privata, quella sovrana indipendenza nel dominio della natura e nel governo della storia che già, al tempo della coscienza alienata, la religione attribuiva a Dio.17
Il fatto che l’economia marxista e la sociologia marxista subiscano il primato e la determinazione di una data metafisica atea, realistico-dialettica, immanentistico-assoluta non costituisce, secondo Maritain, una smentita al materialismo marxista. Essa è solo una smentita apparente; se guardiamo infatti ciò che di più profondo vi è nella dottrina marxista, notiamo che questa metafisica non può esservi relativizzata dall’economico.
La metafisica marxista non è una sovrastruttura momentanea perché, allo stato immanente e vissuto, si trova incarnata nel proletariato. Ed è così che, una volta realizzatasi la rivoluzione universale, si vedranno valori metafisici quali la giustizia, la libertà (considerati sino allora come ideologia piccolo-borghese) incarnarsi con una pienezza e legittimità in qualche modo infinite. Esse non saranno più espressioni di ideologie o filosofie, ma saranno vissuti nella e dalla umanità liberata dal proletariato. La chiave qui ancora è il presupposto di una metafisica immanentistica assoluta.
Le analisi precedentemente condotte permettono al filosofo francese di individuare una contraddizione all’interno del marxismo: da un lato l’infinità del processo dialettico, dall’altro l’arrestarsi del dinamismo dialettico nella società comunistica, dove cesserà la disputa tra l’uomo e la natura e tra l’uomo e l’uomo, risultato che, usando una terminologia cristiana, può esprimersi come regno di Dio nella storia. Questo secondo aspetto della contraddizione corrisponde, secondo il filosofo francese, a: «Un impulso anteriore al marxismo stesso e più forte della logica del divenire hegeliano, a un impulso che deriva da profonde tendenze spirituali immanenti al socialismo in generale».18 Infatti il socialismo, molto prima della scoperta del materialismo storico, si nutriva di sentimenti cristiani, come del resto è spiegato dalla storia delle sue origini filosofiche; anche se mescolava a essi le sue rivendicazioni sociali e temporali dominate da una psiche, che soppiantava praticamente il cristianesimo, sviando, per farne cose del tempo, realtà che per la fede cristiana sono essenzialmente al di là della storia e del tempo. In questo ultimo caso l’umanesimo socialista si rivela una continuazione dell’umanesimo borghese; in quanto per l’umanesimo borghese Dio non è che il garante della potenza demiurgica dell’uomo nella ricerca della prosperità, divenendo così un’idea e tutta la realtà, una volta riconosciuta a Dio, passa ora all’uomo. Anche nel rifiuto dell’ascetismo cristiano l’umanesimo socialista si rivela l’erede dell’umanesimo borghese non capovolto questa volta, ma semplicemente continuato. L’umanesimo borghese ricusa infatti il principio ascetico e pretende sostituirlo col principio tecnico e tecnologico, perché aspira a una pace senza conflitti che progredisce all’infinito. Nella misura in cui rimane legato a un tale ottimismo, l’umanesimo socialista si fa esso stesso dell’uomo un’idea debole e leggera, razionalistica e borghese.
«Reintegrando, contro questo utopistico idillio, il valore del conflitto e della guerra come condizione del movimento stesso della storia, la dialettica marxista ha dato al socialismo una presa sull’esistenza e una forza che gli mancava sino ad allora, pur trasmettendogli di questo conflitto e di questa guerra immanente alla storia una concezione brutalmente univoca».19 Ma il marxismo rimane nello stesso tempo, come abbiamo visto, tributario del messianismo utopistico inerente dalle origini alla tradizione socialista. Maritain passa poi a trattare del problema dell’ateismo dal punto di vista filosofico e dottrinale; secondo il Nostro una concezione autenticamente filosofica della volontà umana ci insegna che l’ateismo non può essere vissuto nelle sue radici metafisiche. La volontà infatti va per natura al bene come tale, al puro bene; dato che agisce, agisce per un fine ultimo, che non può essere se non un bene che la soddisfi in modo assoluto. Ora, dove è realmente questo bene, se non nell’essere che è per se stesso la pienezza infinita del Bene? «Così ogni volontà, anche la più perversa, desidera Dio senza saperlo».20 L’ateismo marxista darà una smentita alle condizioni sopra enunciate, sostiene Maritain, o non si infrangerà piuttosto contro esse? Il comunismo russo ha capito la gravità del problema, ed è precisamente per questo che ha intrapreso la creazione di una nuova umanità; si tratta di creare un essere umano che sia esso stesso il dio senza alcun attributo sovratemporale della storia e del suo dinamismo titanico; un essere umano che è necessario prima disindividualizzare, e la cui gioia sarà di dedicarsi al tutto, d’essere un organo della comunità rivoluzionaria, attendendo il giorno in cui troverà, nel trionfo dell’Uomo collettivo sulla natura, una personalità trasfigurata. Nella misura in cui però i teorici marxisti dell’URSS elaborano una metafisica, essi ritornano a una specie d’ilozoismo e la loro linea generale filosofica richiede che si attribuisca alla materia qualcosa come l’anima e la libertà; né potrebbe essere altrimenti, dato che si è inserita la dialettica nella materia.
L’ateismo metafisico sorto dalla sinistra hegeliana ritorna così a poco a poco alle proprie sorgenti, al vecchio panteismo hegeliano. In realtà la questione per l’ateismo marxista rimane di ordine etico piuttosto che metafisico: è questione di vivere l’ateismo nella sua traduzione etica, cioè di ricusare Dio come fine e come regola della vita umana. Ma d’altra parte qualunque siano le forze dell’educazione e della propaganda verrà il giorno, afferma con forza Maritain, in cui i problemi fondamentali si porranno di nuovo. Verrà un giorno in cui un successore di Lenin proclamerà che l’ateismo è un prodotto della decadenza borghese. Ma allora la Russia sovietica avrà compiuto una nuova rivoluzione e, per salvare la prima, trasmutato i suoi valori.
Lo sforzo di Marx, come più tardi quello di Freud, è stato quello di denunciare la menzogna della falsa coscienza dell’uomo del liberalismo borghese; il quale ricopre e dissimula non solo gli interessi economici e gli interessi di classe, ma in generale tutto quel mondo dell’amore egoistico di sé, dell’irrazionale e del demoniaco; che fa d’altra parte grande uso di moralismo e di spiritualismo, è animato da una devozione verso verità e virtù di ordine naturale, ma le vuota del loro contenuto prezioso rendendole mitiche, perché le ha separate dal Dio vivente, perché è deista e ateo, ed è lui che ha insegnato l’ateismo ai suoi eredi comunisti. Quest’uomo borghese, che dispiace alla coscienza cristiana tanto quanto alla coscienza comunista, il comunismo vuole mutarlo meccanicamente ed esternamente, con mezzi tecnici e sociali, con la propaganda e la pedagogia. E perciò aggredisce non solo quest’uomo borghese, ma l’Uomo nella sua stessa natura e nella sua dignità essenziale, in quanto immagine di Dio.
Crediamo che una giusta critica del marxismo, conclude il Nostro, debba proporsi di distinguere certe intuizioni vere dai falsi principi e dalle concettualizzazioni erronee che le hanno deformate fino dagli inizi.
Marx ha veduto l’importanza essenziale del regime di produzione nell’evoluzione: c’è nel materialismo storico una verità mal formulata e che una filosofia, la quale applicasse al movimento della storia i principi dell’ilomorfismo potrebbe salvare: ma in Marx è sciupata, come abbiamo visto, da un monismo ateo di origine hegeliana. Marx ha visto egualmente il carattere usuraio che lo spirito capitalistico ha impresso all’economia moderna; e ha concettualizzato questa intuizione in una teoria erronea del plus-valore. Ha visto che la lotta di classe è la conseguenza effettiva del sistema capitalistico e che il grande compito storico dei tempi moderni sarà l’emancipazione sociale del proletariato; ma ha bloccato questa intuizione con un messianismo di guerra sociale inespiabile e una falsa filosofia dell’uomo e del lavoro, la quale conduce a socializzare l’essere umano tutto intero.21
Maritain quindi precisa che, nonostante la preponderanza del marxismo sul socialismo degli anni Trenta, le due espressioni umanesimo marxista e umanesimo socialista non sono identificabili, in quanto la seconda ha un significato molto più ampio della prima. Infatti non tutti i tipi di socialismo sono necessariamente atei. Ma anche nelle sue forme non marxiste, il socialismo muove da una concezione dell’uomo, del lavoro e della società che risente di errori e di deficienze alla quale solo nuove sintesi potranno porre rimedio. C’è nell’umanesimo socialista un grande slancio verso verità che non si potrebbero trascurare senza gran danno della dignità umana; crediamo, continua il Nostro, che l’errore fondamentale di una filosofia atea guasti questo slancio e con ciò disumanizzi le diverse concezioni morali e sociali elaborate da questo umanesimo, in modo che sarebbe un errore illusorio sovrapporre semplicemente l’idea di Dio o le credenze religiose all’umanesimo socialista. È necessaria invece una rifusione generale; ma crediamo anche, continua sempre il filosofo francese, che ciò che chiamiamo umanesimo integrale è capace di salvare e di promuovere, in una sintesi fondamentalmente diversa, tutte le verità affermate o presentite dall’umanesimo socialista, unendolo in modo organico e vitale a molte altre verità. Ed è per questo che Maritain ritiene che l’espressione umanesimo integrale sia qui particolarmente adatta.
Per quanto grandi siano stati i suoi errori e le sue illusioni, il socialismo è stato nel XIX secolo una protesta della coscienza umana e dei suoi istinti più generosi contro mali che gridavano verso il cielo. Era certo una grande opera quella d’istituire il processo della civiltà capitalistica e di svegliare, contro potenze che davvero non perdonano, il senso della giustizia e il senso della dignità del lavoro; il socialismo ha avuto l’iniziativa di questa opera. Ha condotto una lotta aspra e difficile, nella quale si sono profusi innumerevoli sacrifici e della più commovente qualità umana: i sacrifici dei poveri. Lo si può criticare efficacemente solo rimanendogli su molti punti debitori.22
Ma nonostante tutto ciò Maritain deve con rammarico constatare che gli errori di filosofia generale e di filosofia sociale, da cui il socialismo dipende originariamente, hanno sciupato in esso infinite risorse e vanno via via aggravandosi col suo ingrandirsi e finché dureranno, lo separeranno sempre più radicalmente dal pensiero cristiano. In quanto che questi errori sono in esso primordiali e dipendono tutti dal misconoscere l’eterno nell’uomo. Secondo Maritain infatti per modificare radicalmente la società, non bastano meccaniche trasformazioni da un regime di produzione di tipo capitalistico a uno collettivistico; ciò non è sufficiente. Occorre soprattutto una trasformazione sostanziale, che operi all’interno dell’uomo. E la via per ottenere ciò è ancora, secondo il Nostro, un riallacciarsi alla spiritualità del messaggio cristiano.
3. Gli altri passi di Umanesimo integrale dove J. Maritain parla di Marx e del suo pensiero
Seppure meno diffusamente, in altri punti di Umanesimo integrale, Maritain parla di Marx e del suo pensiero. Egli si occupa nel capitolo IV del problema dell’ideale storico e della libertà nel pensiero marxiano,23 anticipando così una problematica, che sarà discussa in modo più ampio e diffuso nel saggio Per una filosofia della storia.24 Come ogni grande uomo d’azione Marx credeva nel libero arbitrio, anche se dal punto di vista speculativo la sua filosofia gli interdiceva questa credenza troppo scopertamente cristiana e riduceva la libertà dell’uomo alla spontaneità di una energia vitale che, prendendo coscienza del movimento della storia, diveniva una forza più efficace e più profonda di questa. Ma se il pensatore rivoluzionario è così come un profeta e un titano della storia, lo è in quanto rivela la storia a se stessa, scopre il senso del suo movimento e dirige nel medesimo senso lo sforzo delle volontà umane. L’uomo dunque per il pensatore di Treviri non è un prodotto passivo dell’ambiente, è attivo, agisce nell’ambiente per trasformarlo, ma nel senso fissato dall’evoluzione economica e sociale. Egli insomma ha visto molto fortemente, quasi tragicamente, che la storia foggia l’uomo, invece di essere dall’uomo foggiata. Ma se avesse avuto un’idea metafisica giusta della libertà umana e capito che l’uomo è dotato di una libertà mediante la quale può, più o meno difficilmente ma realmente, trionfare sulla necessità nel suo cuore, avrebbe capito che l’uomo, anche se non può piegare a suo arbitrio la storia, può anche far sorgere nella storia correnti nuove, le quali, componendosi con le condizioni preesistenti, completano la determinazione del senso della storia, che non è fissato in precedenza dall’evoluzione; in esso gli interventi di libertà possono farsi luce, la fatalità ha il sopravvento solo e nella misura in cui l’uomo rinuncia alla sua libertà.
Il terribile errore di Marx è di aver creduto che per sfuggire al fato, era necessario sfuggire a Dio. A spese della libertà contrastata sì, ma reale, sopra tratteggiata, il filosofo tedesco cerca una libertà illusoria infinitamente più ambiziosa, che fa della libertà umana l’unico spirito della storia, di una storia che nessun Dio trascendente governa dall’alto; e quando la volontà umana sarà uscita dal suo stato di alienazione, la storia tutta andrà dove la volontà umana vuole, sarà il dio della storia, renderà la storia una sovrana assoluta.
Concludendo, possiamo affermare che il marxismo non rifiuta la nozione di ideale storico, ma solo al prezzo di una contraddizione; il marxismo infatti ha per ideale storico una filosofia dell’azione trasformatrice del mondo, ma come può l’uomo agire sul mondo senza porsi uno scopo che non sia già fissato dall’evoluzione economica e sociale, ma che dipende invece dalla propria scelta personale? Uno scopo insomma dove non s’inscrive soltanto il movimento del reale, ma anche la sua libertà creatrice che diriga quest’ultimo? La nozione d’ideale storico, sanamente intesa, corrisponde a una filosofia realistica, che comprende che lo spirito umano presuppone le cose e lavora sulle cose, ma le conosce solo impadronendosene per trasferirle nella propria vita, e che le trascende per trarre da esse sia nature intelligibili oggetto di conoscenza speculativa, sia temi intelligibili pratici e direttivi dell’azione, alla categoria dei quali appartiene ciò che chiamiamo un ideale storico completo.
Maritain tratta poi, nel capitolo V di Umanesimo integrale, della proprietà dei beni terreni.25 Per lui la questione si risolve col dare a ogni persona la possibilità reale e concreta di accedere, in vari modi, ai vantaggi della proprietà privata dei beni terreni, dato che il male consiste nel fatto che questi vantaggi sono riservati a un piccolo numero di privilegiati.
Tale modo di porre il problema si trova in Proudhon e anche, per accidente, in Marx; ma la soluzione marxista è falsa nel suo principio, perché fa consistere in ultima analisi l’essenza dell’uomo, alienata dalla proprietà privata e reintegrata grazie al comunismo, puramente nella comunione al bene comune, caratteristico della vita politica.
In molti passi degli scritti giovanili e nelle tesi su Feurebach, Marx fornisce preziose indicazioni che mostrano il fondo metafisico del suo comunismo, che ignora i valori più elevati della persona umana. A Marx sfugge completamente tutto l’universo della persona come individuo — persona. Di qui la debolezza congenita del suo umanesimo. Di qui la sua concezione stranamente monistica e immanentistica del lavoro stesso, considerato come una specie di sostanza comune e assoluta, in cui si attualizza l’essenza dell’uomo, e che non è messa in rapporto per sé né a oggetti né a beni specificati, né all’attività creatrice della persona come tale con le sue proprie esigenze. Il filosofo francese passa quindi a criticare la nozione socialista o comunista di coscienza di classe.26 Da una parte vi è in essa un errore di origine liberale e borghese, ed è in questo che Proudhon e Marx rimangono piccolo-borghesi, e che fa dell’affrancazione della classe operaia un ultimo episodio della lotta della libertà contro il cristianesimo e la chiesa, reputati forze di asservimento e di oscurantismo. Dall’altra c’è un errore di origine rivoluzionaria ed escatologica, che è il concetto marxista della lotta di classe e il compito messianico devoluto al proletariato. Ma, svincolata da questi errori e considerata in se stessa, la presa di coscienza, di cui si tratta, appare un progresso storico considerevole, agli occhi del Nostro; significa infatti l’ascesa verso la libertà e la personalità, prese nella loro realtà interiore e nella loro espressione sociale, di una comunità di persone la più vicina alle basi materiali della vita umana e la più sacrificata: la comunità del lavoro manuale. Il marxismo insomma ha sì attivato questa presa di coscienza, ma l’ha nello stesso tempo deformata profondamente.
Maritain infine tratta nel capitolo VI del compito storico del proletariato dal punto di vista marxista e dal punto di vista cristiano.27
Senza cadere nel messianismo marxista, un cristiano può riconoscere che c’è una visione profonda nell’idea che il proletariato, innocente di ogni colpa del sistema capitalistico, è portatore di riserve morali fresche, che gli assegnano una missione nei confronti del mondo nuovo; missione che sarà veramente di liberazione, se la coscienza che il proletariato ne prende non sarà falsata da una filosofia errata.
Il cristiano rimprovera al marxista una falsa concezione insieme materialista e mistica del lavoro, che rende il lavoro non solo un’alta dignità, ma la più alta per un essere umano, forse la sua essenza. E rimprovera anche al marxismo una falsa concezione del conflitto delle classi. Che le classi esistano e senza unità organica fra loro, è questo un fatto dovuto alla struttura capitalistica e che sia necessario superare il conflitto, su tutto ciò il cristiano e il marxista sono d’accordo. Ma come superare tale conflitto? Per il marxista mediante una guerra carnale che costituisca il proletariato in città militare, in Gerusalemme della rivoluzione volontariamente trincerata fuori della comunione del rimanente degli uomini e che schiacci e distrugga l’altra classe. Per il cristiano, mediante una guerra spirituale e una lotta sociale e temporale che deve essere condotta da tutti coloro che riunisce un eguale ideale umano, e nel movimento stesso della quale il conflitto in oggetto è già superato. Per il cristiano, ciò che fa il legame e l’unità di coloro i quali devono lavorare a un rinnovamento temporale del mondo, è prima, a qualunque classe, razza o nazione appartengano, una comunità di pensiero, d’amore e di volontà, la passione di un’opera comune da compiere ed è una comunità non materiale-biologica come quella della razza o materiale-sociologica come quella della classe, ma veramente umana. Maritan afferma che l’idea di classe e quella di proletariato sono qui trascese.
4. Le opere dal 1942 al 1957 dove Maritain tratta del marxismo
Il libro Cristianesimo e democrazia28 è stato scritto dal Nostro nell’estate del 1942, in un momento molto critico quando l’esito della guerra era ancora assai incerto. In questa ora così grave per l’umanità, si era però verificato un fatto nuovo molto significativo: nazioni a regime democratico-liberale si erano alleate con la Russia sovietica contro la barbarie nazista. Nel capitolo intitolato «Il problema comunista»29 Maritain esamina appunto questa nuova situazione storica, alla luce della sua filosofia politica. Alla domanda quale sarà l’atteggiamento delle nuove élites di giovani, che si ispirano alla filosofia democratica, di fronte ai comunisti e alla nuova situazione creata da una parte dall’eroismo del popolo russo e dall’altra dall’azione che i comunisti, a fianco degli altri gruppi di resistenza, svolgono contro l’oppressione nei paesi invasi, e dall’infierire delle persecuzioni da parte di governanti filonazisti, che fanno dei comunisti dei martiri della patria e chiamano comunisti tutti coloro che combattono per la libertà, Maritain risponde che, mentre nel nazismo vede l’ultima tappa di una reazione implacabile contro il principio democratico e contro il principio cristiano, nel comunismo vede invece l’ultima tappa della distruzione interna del principio democratico, dovuta al rinnegamento del principio cristiano. Il comunismo infatti, a detta del Nostro, trova il suo posto nel processo di emancipazione dell’uomo, nel punto storico di convergenza dei principi di errore frammisti a quel processo. La sua dottrina non è riformabile ed è logicamente legata all’ateismo. Se fosse soltanto un sistema economico, si potrebbe anche concepire un comunismo cristiano; si è visto qualche cosa di simile nelle comunità dei primi cristiani e lo si vede ancora negli ordini religiosi. Ma il comunismo non è soltanto un sistema economico, è una filosofia della vita fondata sulla negazione coerente e assoluta della trascendenza divina, un’ascesi e una mistica del materialismo rivoluzionario integrale, tematiche queste già affrontate nelle opere precedenti e che troveranno ulteriori approfondimenti in quelle successive. Tuttavia proprio a causa della nuova situazione e dei capovolgimenti storici che essa comporta, e poiché il comunismo è una degenerazione totalitaria e ateistica della democrazia stessa e del suo slancio umanistico, vi è la probabilità che una rinascita del pensiero e dell’azione democratica riconcili con la democrazia, col rispetto delle cose dell’anima, coll’amore della libertà e col senso della dignità della persona non certo l’ortodossia marxista e la disciplina del partito comunista, ma molti comunisti per sentimento e molti di coloro che un senso di ribellione contro le ingiustizie sociali rende inclini al comunismo.
In linea di massima l’atteggiamento più adatto da tenere nei confronti dei comunisti, secondo Maritain, è quello di comprendere che i comunisti non sono il comunismo, e che essi hanno altamente meritato, a prezzo del sangue versato per la liberazione comune, il diritto di partecipare al lavoro di ricostruzione come compagni di combattimento, ma nello stesso tempo di rifiutare ogni fronte comune unico, ogni irreggimentarsi o sottomettersi alle manovre di partito. Pur esigendo che la forza delle leggi che proteggono la libertà si opponga ai propositi di violenza, da qualsiasi parte essi vengano, tale atteggiamento esige che si accetti francamente la cooperazione dei comunisti e la loro partecipazione al compito comune, conservando tuttavia una completa autonomia nei loro riguardi; solo allora si avrebbe la possibilità di vedere trasformata in una gara, aspra senza dubbio, nel campo del lavoro costruttivo la lotta fra il comunismo e i suoi avversari, che conterebbero sull’attitudine di ogni successo, colto nel bene e nella giustizia e nello sforzo teso a rimediare alla miseria umana, a testimoniare di sé, sicuri che una democrazia pienamente decisa alla giustizia sociale e ai cambiamenti che essa esige, risoluta a farla finita con l’egemonia del denaro, non solamente è in grado di togliere al comunismo i suoi pretesti, ma ha la forza di trascinare nella sua scia e di ricondurre al suo ideale la maggior parte di coloro che erano attirati dal comunismo.
La crisi della civiltà30 è un breve saggio in cui l’autore francese tenta una sintesi delle cause che hanno condotto l’umanità alla catastrofica crisi della seconda guerra mondiale. La crisi, secondo Maritain, è il risultato del processo di secolarizzazione dell’uomo cristiano e della civiltà cristiana, sviluppatosi progressivamente nei secoli moderni, nello sforzo di portare l’uomo dell’antica cristianità indietro verso il regno dell’uomo e solamente dell’uomo, e di mantenere le apparenze cristiane, mentre si sostituisce il vangelo con la ragione umana e la bontà umana.
Storicamente la disgrazia è venuta dal fallimento della ragione filosofica che, mentre si addossava l’antica eredità teologica per appropriarsela, si trovò incapace di mantenere la propria pretesa metafisica e la propria giustificazione del cristiano secolarizzato e fu costretta a declinare verso un diniego positivistico di questa stessa giustificazione. La ragione umana ha perduto la sua pretesa sull’essere e si è fatta capace solo di studiare matematicamente i fenomeni sensibili, costruendo le tecniche corrispondenti: in un campo in cui ogni assoluta realtà, ogni assoluta verità e ogni assoluto valore sono naturalmente esclusi.
Maritain classifica poi i vari processi di secolarizzazione, sviluppatisi in modo decisivo nel XIX secolo, nella tendenza razionalistica, intendendo con questo termine un deterioramento della ragione umana, che adora se stessa come suprema e unica regola dell’essere e del vero, e in ciò che si può definire umanesimo antropocentrico o concezione antropocentrica dell’uomo e della cultura. Così lentamente a causa di tali processi sorgerà l’uomo secondo il modello del fariseismo borghese, questo rispettabile uomo convenzionale in cui il XIX secolo credette tanto a lungo e che Marx, Nietzsche e Freud si glorieranno di aver smascherato, sfigurando però con lo stesso gesto anche l’uomo.
Sempre fin dai giorni di Bacone e di Cartesio, enormi promesse sono state fatte all’uomo, predicandogli una scienza progressiva, che gli avrebbe automaticamente portato una completa felicità di sollievo e di riposo, una beatitudine terrestre. La scienza libererà l’uomo e lo renderà padrone e dominatore di tutta la natura.
Un autentico e necessario progresso lo condurrà a quella beata Gerusalemme, che le nostre mani costruiranno attraverso la trasformazione della vita sociale e politica e che sarà il regnum hominis, nel quale diverremo i supremi dominatori della nostra storia, a quel regno il cui splendore ha suscitato la vivificante energia dei grandi rivoluzionari moderni. Ebbene ciò non è avvenuto come è stato dimostrato dalla storia. Avendo rinunciato a Dio, perché sufficiente a se stesso, l’uomo ha perduto la sua anima. Egli ha cercato invano se stesso e percorrendo in tutti i sensi l’universo, nel tentativo di ritrovarsi, trovò delle maschere e, oltre le maschere, la morte.
Per il filosofo francese due sono le correnti ideologiche che hanno condotto la civiltà all’apice della contraddizione. Da una parte il continuarsi, l’aggravarsi e l’esasperarsi dell’umanesimo antropocentrico lungo la traiettoria che esso seguiva sin dalle origini, cioè delle illusioni razionalistiche: l’uomo solo, e per sempre solo, lavora alla sua salvezza; l’espressione tipica di questa tendenza è il marxismo. Dall’altra parte abbiamo il razzismo nazista, che è lo sviluppo che scaturisce dall’estrema reazione contro ogni specie di umanesimo e razionalità. Esso è l’espressione del misticismo dell’istinto e della vita che odia la ragione. La sua demoniaca religiosità fu più irrimediabile dello stesso ateismo, perché cercò di pervertire la stessa natura di Dio, di fare persino di Dio un idolo. Per quanto forti invece possano essere alcuni aspetti pessimistici del marxismo, esso rimane razionalistico, tanto è che per esso il movimento proprio della materia è un movimento dialettico. Se l’uomo solo, e sempre da solo, lavora per la sua salvezza, essa è puramente temporale e deve essere compiuta senza Dio e anche contro Dio, considerato come l’alienazione di sé e come schiavitù. Tale salvezza esige la rinuncia della personalità e la organizzazione dell’uomo collettivo in un solo corpo, il cui destino è di conquistare il supremo dominio sulla materia e sulla storia umana.
L’uomo diviene una particella dell’universo sociale e vive attraverso la coscienza collettiva dell’universo; la sua felicità e libertà consistono nel servire il lavoro dell’insieme sociale. In un universo che è in se stesso un tutto economico e industriale, il lavoro umano essenziale e primordiale consiste nel dominio industriale della natura al fine di ridistribuire i suoi beni alla comunità come un tutto. C’è in questo una sete di vera comunione, ma la comunione è ricercata nell’attività economica, nella pura produttività, che considerata come il locus proprius dell’attività umana, è soltanto una parola della decapitata ragione, non più ordinata alla conquista della verità, ma immersa in un demiurgico compito di costruzione e dominio delle cose. La persona umana è sacrificata al titanismo dell’industria, che è il dio della comunità industriale. Se è vero che nella dialettica della cultura, il comunismo è lo stato finale del razionalismo antropocentrico, si comprende che in virtù dell’universalità inerente alla ragione (anche della ragione divenuta pazza) il comunismo sogni una emancipazione universale e pretenda di sostituire all’universalismo del cristianesimo il proprio universalismo terrestre. Invece il razzismo nazista, con le sue basi irrazionali e biologiche, respinse ogni universalismo e ruppe la materiale unità dell’umana famiglia per imporre l’egemonia di una sedicente razza superiore. È proprio in conseguenza di tale contrasto che il totalitarismo comunista e quello razzista, così simili sotto molti aspetti nella tecnica sociale e politica, ad esempio, e negli autentici caratteri del totalitarismo, sono destinati a lottare uno contro l’altro, in virtù della differenza esistente tra le loro basi storiche e ideologiche.
Secondo Maritain il razzismo deve essere considerato come l’ultimo passo di una implacabile reazione sia contro il principio cristiano che contro il principio democratico; e il comunismo va considerato come l’ultimo passo dell’interna distruzione del principio democratico, dovuta al rifiuto del principio cristiano. Il comunismo è posto dal Nostro nella linea del movimento di emancipazione dell’uomo come il punto di incontro e la catastrofe degli errori di tale movimento. Come dottrina è immutabile e sostanzialmente legata all’ateismo; se fosse soltanto un sistema economico, forse potrebbe essere valutato diversamente e sarebbe possibile concepire un comunismo cristiano; si è visto qualcosa di simile sia nelle primitive comunità cristiane che negli ordini religiosi di tutti i secoli. Ma il comunismo non è semplicemente un sistema economico; esso è una filosofia della vita, fondata su un’assoluta e coerente negazione della trascendenza divina, una morale e mistica disciplina dell’integrale materialismo rivoluzionario.
Giudicando la situazione che si è creata nel decennio che va dal 1935 al 1945 e la portata storica che essa implica, Maritain giunge alla conclusione che poiché il comunismo è una totalitaria e ateistica catastrofe della democrazia e dei suoi impulsi umanistici, sebbene il nazi-razzismo sia senz’altro più irrimediabilmente distruttivo, da esso non ci si può aspettare alcuna rigenerazione umana. Se la descrizione fatta più sopra è esatta, è chiaro, termina il Nostro, che l’unica via di rigenerazione per la comunità umana è una nuova scoperta dell’immagine vera dell’uomo, è uno sforzo decisivo verso una nuova civiltà cristiana, una nuova cristianità. Si deve insomma costruire un nuovo mondo di autentico umanesimo e di autentica ispirazione cristiana.
Il breve saggio La signification de l’athéisme contemporain31 risale al 1949. In esso Maritain tratta più diffusamente del problema dell’ateismo contemporaneo; tale problema già affrontato in altre opere dall’autore riceve qui una trattazione più organica e diffusa.
Per l’argomento da noi trattato è sufficiente riportare un solo passo,32 nel quale il filosofo francese chiarisce quale sia il vero compito della chiesa e dei cristiani e dove tratta del mito della rivoluzione.
Il cristianesimo e la chiesa non hanno avuto il mandato di dare la felicità agli uomini, ma quello di condurli alla verità; non di realizzare la giustizia e la libertà nella società politica, ma di portare all’umanità la salvezza e la vita eterna. Indubbiamente però la chiesa e il cristianesimo hanno pure, come compito secondario, quello di ravvivare le energie di giustizia e di amore nelle profondità dell’esistenza temporale, così da rendere questa esistenza più degna dell’uomo. Ma il successo di un tale compito dipende dal modo col quale il messaggio divino è ricevuto, e proprio qui ci troviamo di fronte alle responsabilità del mondo cristiano, ossia dei gruppi sociali di denominazione cristiana che operano nella storia profana.
È un’assurdità rimproverare ai cristiani, come accade spesso, di non avere battezzato la «rivoluzione», di non avere dedicato ogni loro attività alla «rivoluzione». Il mito messianico della «rivoluzione» è una perversione e laicizzazione dell’idea del Regno di Dio, che può riuscire a sconvolgere la storia umana, e far fallire le rivoluzioni particolari, autentiche e autenticamente progressive, che devono via via succedersi finché durerà la storia umana. Ma non è né un controsenso né un assurdo rimproverare ai cristiani nel mondo di essere venuti meno al compimento di talune di queste rivoluzioni particolari, richieste in questo o quel tempo determinato; e più generalmente di essere dei peccatori, e questo i cristiani lo sanno bene che tradiscono sempre più o meno il cristianesimo. Soprattutto non è un controsenso rimproverare a troppi che nei tempi moderni hanno reso a Dio, nel quale essi credevano di credere, dei doveri puramente formali, di essere stati in realtà degli atei pratici.
Nel 1957 esce a New York On the Philosophy of History che verrà poi pubblicato in Francia col titolo Pour une Philosophie de l’histoire.33 È un breve saggio che è al tempo stesso sintetico e molto aperto a ulteriori progressi; su di esso riportiamo questa osservazione presa da H. Bars: «Vi è un notevolissimo contrasto tra questa filosofia della storia così bene fondata e contemporaneamente così poco presuntuosa e la sicurezza un po’ elementare del marxismo, il quale spiega tutto con i mali portati dal capitalismo e giudica tutto dal termine finale della storia come se potesse porsi aprioristicamente da questo punto di vista».34
In questo saggio Maritain afferma che la nozione marxista della storia deriva direttamente da Hegel, attraverso il ben noto rovesciamento;^[35] e infatti la dialettica marxista è la stessa dialettica hegeliana che passa dal mondo dell’Idea al mondo della materia. Marx insomma permea la materia di un movimento logico e dialettico rendendola così attiva: «la materia in auto-movimento di Marx e di Engels, e il loro materialismo storico, non sono che prodotti della dialettica hegeliana, messa coi piedi interra (come diceva Engels) mentre prima si teneva sulla testa».35 Inoltre la filosofia della storia di Marx non è altro che la stessa filosofia della storia di Hegel, con l’aggiunta di essere diventata atea invece che panteistica e antropoteista. Il Nostro accusa poi Hegel di aver misconosciuto l’incidenza della «libera iniziativa umana sulla storia umana».36
Analoga colpa è attribuibile anche a Marx, con la sola attenuante di aver lasciato maggiore spazio non tanto alla volontà dell’uomo, ma alla volontà collettiva e alle energie collettive. Il filosofo di Treviri infatti insiste spesso sul fatto che gli uomini costruiscono la loro storia, ma non secondo libertà, bensì entro condizioni di loro scelta; essi cioè agiscono nella storia entro condizioni ereditate e imposte dal passato. La libertà dell’uomo allora altro non è che un’energia vitale che, presa coscienza del moto della storia, ne diviene una componente-forza tra le più efficaci. Ecco allora che il pensatore rivoluzionario è così simile a un profeta che rivela la storia a se stesso, orientando verso questa stessa direzione lo sforzo della volontà umana. Ma non c’è per l’uomo, continua Maritain, la possibilità di esercitare libere scelte, né tanto meno di modificare o di orientare il movimento della storia; mentre per il cristiano l’uomo è dotato di una libertà mediante la quale, in quanto persona, può nel suo cuore più o meno difficilmente vincere la necessità. E anche se non può a suo capriccio piegare il corso della storia, può sempre far sorgere in essa correnti di pensiero nuove, che si oppongano a quelle preesistenti, giungendo così a determinare, almeno in parte, l’orientamento di un dato periodo storico. L’unica parvenza di libertà invece che Marx lascia all’uomo è quella di riconoscere il movimento della storia e di riconoscersi in esso.
Il pensatore francese ribadisce di nuovo un concetto già esposto nel libro Les degrès du savoir37cioè che «le leggi della natura sono necessarie, mentre il corso degli eventi naturali è contingente».38
Se ciò è vero nel campo della natura, è ancora più vero nel campo della storia; nel corso degli eventi storici infatti si deve trattare anche del libero arbitrio, che dal punto di vista della metafisica cristiana risulta centrale per l’interpretazione della storia, in quanto l’esistenza del libero arbitrio è una caratteristica essenziale dell’uomo, e quindi della sua storia. Ma le filosofie di Hegel, di Marx e di Comte presuppongono invece una certa metafisica o una certa antimetafisica, che sogna di superare l’alternativa libertà-determinismo, e che, di conseguenza, non riconosce in pratica la realtà del libero arbitrio nell’uomo. Da ciò il continuo tentativo da parte di questi autori di far posto alla libertà umana, nelle loro ricostruzioni della storia, storia umana come auto-sviluppo che risulta, in ciascuna sua fase, determinato da leggi necessitanti, siano esse dialettiche o fenomeniche, tentativo mai rigorosamente fondato, perché sin dall’inizio la loro metafisica nega l’esistenza della libertà umana. «Riconosciamo allora che nessuna filosofia della storia può essere autentica se la filosofia generale, che essa presuppone e di cui è parte, non riconosce l’esistenza del libero arbitrio e l’esistenza di Dio».39 Senza la prima di queste due condizioni infatti non possiamo comprendere come l’uomo possa incidere almeno in parte sul fluire della storia; senza la seconda condizione, negando cioè l’esistenza di Dio, non si potrà: «Guardare la storia come governata dall’alto, e come continuamente modellata e rimodellata dai divini eterni disegni, che traggono partito dal male con cui la libertà della creatura guasta la storia umana e che utilizzano le perdite per più grandi guadagni».40
Troviamo infine un’ultima differenza fondamentale, posta da Maritain, tra la filosofia cristiana della storia e le filosofie della storia di Hegel, Marx e di Comte. Queste filosofie siano esse dialettiche o positivistiche hanno però un carattere comune: descrivono l’evoluzione come puramente immanentistica o atea e nel fare ciò cadono in una contraddizione manifesta: «Da un lato esse insistono sul fatto che il divenire è l’unica realtà e che il processo di cambiamento continua senza fine; dall’altro si presentano come rivelazione ultima e definitiva, alla fine dei tempi, del significato di tutta la stori».41
La filosofia della storia cristiana invece, secondo il Nostro, è immune da tali contraddizioni in quanto:
La fine è al di là del tempo e quindi il movimento della storia non può mai raggiungere, all’interno del tempo, uno stato finale e definitivo o un’autorivelazione definitiva e finale. Un filosofo cristiano della storia non potrà mai istallarsi, come hanno fatto Hegel, Marx e Comte, al termine del tempo. E i cristiani non potranno neppure riposarsi nel tempo. Fino a quando il mondo esisterà il cristiano dovrà sempre essere alla ricerca di nuovi progressi e di nuovi miglioramenti, di una maggiore giustizia e fraternità sulla terra, e di una attuazione più completa e più profonda del vangelo quaggiù.42
Maritain passa quindi a trattare di un problema più strettamente politico, che esula un po’da quanto fino ad ora abbiamo ricavato da Per una filosofia della storia, per questo lo affrontiamo per ultimo. In un passo del libro il filosofo francese43 sostiene la possibilità di vedere realizzata una rivoluzione secondo lo spirito di E. C. Péguy, che era stato un vecchio rivoluzionario prouhdoniano, che sosteneva: «la rivoluzione sociale sarà morale o non sarà affatto»,44 una rivoluzione cristiana insomma, è stata cancellata dalla storia. Il dramma storico è già stato rappresentato; ci troviamo ora a un’altra tappa della storia. Il dovere attuale dei cristiani non è di sognare una rivoluzione sociale cristiana, ma di operare affinché prevalga l’ideale cristiano in ideali giustamente progressivi, grazie ai quali il mondo non comunista realizzerà i cambiamenti richiesti con la medesima giustizia sociale, che è stata il vero lievito della rivoluzione comunista, senza che l’ideologia di quest’ultima le permettesse di appellarsi a essa.
Maritain aggiunge infine che la rivoluzione comunista potrà ancora estendersi, ma gli agitatori comunisti sono ora uomini del passato, che ormai non hanno più nulla di nuovo da dire. Agendo contro l’ideologia e la rivoluzione comunista, gli uomini non combattono contro una novità, ma contro un minaccioso passato. La rivoluzione comunista ha perso ormai la sua forza viva storica.
-
J. Maritan, Antimoderne, cap. V, Desclée de Brower, Paris 1922. ↩︎
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Théonas, ou les entretiens d’un sage et deux philosophes sur diverses matières inégalement actuelles, Desclèe de Brouwer, Paris 1932. ↩︎
-
Ivi, pp. 117-118. ↩︎
-
Ivi, pp. 218-219. ↩︎
-
Humanisme integral.Problèmes temporels et spirituels d’une nouvelle chrétienté, Fernand Aubier, Paris 1936, (Umanesimo integrale, traduzione di G. Dore, Roma 1946). ↩︎
-
Ivi, p.37. ↩︎
-
Ivi, p.38. ↩︎
-
Ibid. ↩︎
-
Ivi, p. 40. ↩︎
-
Ivi, p. 41. ↩︎
-
Ivi, p. 43. ↩︎
-
Ibid. ↩︎
-
Ivi, p. 44. ↩︎
-
Ivi, p. 46. ↩︎
-
Ibid. ↩︎
-
Ivi, p. 49. ↩︎
-
Ivi, p. 50. ↩︎
-
Ivi, p. 51. ↩︎
-
Ivi, p. 54. ↩︎
-
Ivi, p. 55. ↩︎
-
Ivi, p. 71. ↩︎
-
Ivi, p. 76. ↩︎
-
Ivi, pp. 106-108. ↩︎
-
On the Philosophy of History, edited by J. W. Evans, New York 1957, ( Per una filosofia della storia, traduzione di E. Maccagnolo, Brescia 1967). ↩︎
-
Ivi, p. 148. ↩︎
-
Ivi, p. 182. ↩︎
-
Ivi, pp. 184-185. ↩︎
-
Cristianesimo e democrazia, traduz. di L. Frapiselli, Milano 1953. ↩︎
-
Ivi, pp. 62-65. ↩︎
-
La crisi della civiltà, in »Humanitas» II°, 1946 n. 7-8, pp. 688-696 e 799-804. Sunto dei temi sviluppati dall’autore in un indirizzo al Seminario Latino-Americano in « Social Studies», Washington 23 agosto 1942. ↩︎
-
La signification de l’athéisme contemporain, ed. Desclée de Brouwer, Paris 1949. ↩︎
-
Il significato dell’ateismo contemporaneo, traduz. di T. Minelli, Brescia 1950, pp. 38-39. ↩︎
-
Per una filosofia della storia, traduz. di E. Maccagnolo, Brescia 1967. ↩︎
-
H. Bars, Il pensiero politico di J. Maritain, Brescia 1965, p. 92. ↩︎
-
Ibid. ↩︎
-
Ivi, p.29. ↩︎
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Distinguer pour unir ou les degrés du savoir, Desclée de Brouwer, Paris 1935. ↩︎
-
Per una filosofia della storia, (op. cit.), p. 33. ↩︎
-
Ivi, p. 34. ↩︎
-
Ivi, p. 35. ↩︎
-
Ivi, p. 124. ↩︎
-
Ivi, p. 125. ↩︎
-
Ivi, p. 56. ↩︎
-
Ibid. ↩︎