La presenza di Nietzsche in alcuni protagonisti della storiografia filosofico-politica del ’900

1.

La filosofia politica del Novecento conosce, tra i «maggiori» autori che teorizzano apertamente un ritorno alla filosofia politica classica ed in particolare a Platone ed Aristotele, una curiosa ed inusuale presenza della filosofia di Federico Nietzsche. Questi autori sono nomi ora noti anche alla pubblicistica politica d’attualità, come Leo Strauss ed Eric Voegelin, mentre per quanto riguarda Hannah Arendt, di solito accomunata ai primi due per le tematiche attinenti alla filosofia della polis, la questione si pone in termini del tutto differenti.

Ma va tenuta presente una differenziazione dei primi due, maggiormente di Leo Strauss, rispetto a tutte le filosofie dellla storia non solo di tipo positivistico-progressivo, ma anche di tipo regressivo ed antimoderno:

  • modello ciclico-biologico (Spengler) in nome della tradizione;
  • modello cattolico-conservatore (Del Noce) in nome della provvidenza;
  • modello magico-eroico (Evola-Guénon) in nome dell’origine;
  • modello neo-gnostico (Topitsch, in parte lo stesso Voegelin) in nome dell’ordine «metafisico».

Scrive Strauss a Löwith il 23 giugno 1935: «Ho appena finito di leggere il Suo libro su Nietzsche… Da vecchio nietzschiano quale… ero, esso mi riguarda direttamente. Le sono molto obbligato di avermi fatto capire il nesso di fondamentale importanza fra nichilismo ed eterno ritorno. Più in generale, non ho mai letto uno scritto in cui il problema di Nietzsche, e il problema Nietzsche, siano presentati con tanta chiarezza e profondità. Direi che la Sua interpretazione di Nietzsche è l’unica a me nota che costringa a fare i conti -non con Nietzsche ma con la verità. Se dunque in ciò che segue mi permetto alcune osservazioni, devo prima dichiarare che io non sono affatto un esperto di Nietzsche; posso dire soltanto che fra i ventidue e i trent’anni Nietzsche mi ha dominato e incantato al punto che gli credevo sulla parola in tutto, per quel tanto che ne capivo- che era solo una parte del suo pensiero, come proprio il Suo scritto mi fa ben vedere. Che in Nietzsche c’è qualcosa che «non quadra», Lei lo ha dimostrato in modo convincente…».1

In una successiva lettera di Löwith ad Eric Voegelin, entrambi in esilio negli U. S. A., del 14 novembre 1944, e come avvalorato nel carteggio tra loro intercorso pubblicato nel 1993, Strauss e Voegelin vengono indicati come i capi della «rivolta» contro la scienza politica contemporanea in nome di una verità metafisica o religiosa.2 Ma in tale quadro che ruolo vi svolge il pensiero di Nietzsche l’»ultimo vero pensatore d’Europa»?

Emigrato negli Usa, Leo Strauss conosce oggi un fortuna inaspettata ed imprevedibile se si pensa che si è dinanzi ad un pensatore accademico, dall’elaborazione severa e rigorosa. Eppure il suo pensiero ha avuto una funzione decisiva nella formazione dell’ideologia «neoconservatrice», asse portante dell’amministrazione Bush al punto tale che gli uomini del presidente sono soliti autodefinirsi «straussianers». Molte sono state, specialmente nell’estate del 2003, le polemiche su tale «appropriazione», del tutto ovvia per taluni, del tutto indebita per altri. Tra i primi Allan Bloom ed Irving Kristol, dediti sull’insegnamento del maestro al ripristino dei valori unificanti di una nazione, sfociante — per i critici di costoro- in un dualismo perenne tra élites di potere conservatrici e masse succubi ed inermi. In Neoconservartism Kristol sostiene che Strauss, da buon «conservatore scettico», distingueva tra un pensiero essoterico o «opinione», rivolto alle masse, ed un pensiero esoterico o «verità» destinato alle élites neo-con. Quest’ultimo attuerebbe un richiamo alle tradizioni religiose ed alle esigenze popolari, come al libero mercato internazionale, creando i presupposti di un’ideologia statuale populistica, ove il richiamo «fondamentalistico» alla religione comporterebbe un critica definita alla separazione liberale tra Stato e Chiesa. All’elemento «profetico», tipico del pensiero di Martin Buber, viene anteposto l’elemento «normativo» scaturente dall’autorità divina in modo assoluto ed «incontrollabile». Su tale linea si sono poi inseriti Daniel Bell, Martin Lipset, Harvey C. Mansfield, James Wilson, William F. Buckley, sino al famigerato Francis Fukuyama. Ma è questo il pensiero di Strauss?

Per Strauss la filosofia antica era esoterica, cioè nascosta da un linguaggio in codice e disposta a svelare i suoi contenuti solo a pochi eletti, predisposti a farlo. «Tutti i filosofi antichi operarono un’esposizione essoterica della verità, distinta dall’esposizione esoterica», cioè un livello essoterico conforme all’opinione (doxa) ed un livello esoterico conforme alla verità per pochi iniziati, le élites. I segreti della filosofia sono politicamente pericolosi, perché, se diffusi, provocano ogni sorta di scollamento sociale. La minaccia cominciò con Socrate, che discusse apertamente sugli dèi e sui costumi sociali. Morto Socrate, le verità fondamentali tornarono ad esser celate, ma con la modernità la tradizione esoterica fu dimenticata e le verità segrete furono definitivamente dis-velate: non esistono dèi, né principii di bene assoluto, i costumi sociali son solo convenzioni al pari delle ideologie. Al culmine della modernità, con l’illuminismo, si generò il relativismo morale: dallo storicismo si giunse sino al nichilismo. Invece le verità maggiori devono esser dis-velate gradualmente e soltanto a poche persone fidate ed interessate (élites).

In una sorta di Abschied vom Deutschland Leo Strauss, in polemica con Carl Schmitt dal tempo di Weimar, sottolinea il nesso tra storicismo, secolarizzazione e nichilismo, mentre Voegelin ritrova la connessione tra età della»decadenza«, gnosi ed ordine politico, dopo un vuoto di ben sette secoli di storia intellettuale. Leo Strauss conosce un «periodo nietzschiano» dal 1922 al 1930, poi dal 1930 al 1973 il ritorno alla filosofia politica classica (è di lui l’autentica reabilitierung) con una kehre situabile tra il 1937 ed il 1939. È nota -degli anni del suo «esser nietzschiani»- l’interpretazione «amorale» che riconnette Spinoza ad un giudaismo esoterico, sotterraneo, in antitesi al giudaismo ufficiale, legalistico, rabbinico, per poter riportare sulla scena l’insondabile Dio biblico «i cui decreti sono eterni, nelle cui mani siamo come la creta nelle mani del vasaio», un Dio «al di là del bene e del male», ove bene e male non sono altro che distinzioni umane, meramente umane, dato che nello stato di natura non vi era né bene né male, né dovere né colpa. La moderna nozione di «ideale», per Spinoza, era un «progetto umano», distinto dalla finalità prescritta all’uomo dalla natura.

Leo Strauss, allora, un caso di sionista illuminato?

È individuabile, allora, un tratto nietzschiano di Strauss: anche la scelta filosofica con la piena intellegibilità dell’intiero, di «tutte le cose politiche», è un atto di fede, una «decisione non evidente», una «volontà di verità o di potenza». A distinguere, però, la filosofia nietzschiana dalla filosofia politica classica è la consapevolezza che «l’essenza della storia sia stata finora malintesa», ora invece vale «il possesso del ‘senso storico’, cioè la consapevolezza che l’anima umana non ha un’essenza o limiti immutabili, ma è essenzialmente storica» .3 Lo storicismo è il principale, vero nemico della filosofia politica, dato che ritiene non possa esserci una conoscenza filosofica delle cose politiche. Soltanto orientandosi verso quel che storia non è, la filosofia poteva esser in grado di opporre un argine al dilagare del cosiddetto «relativismo nichilistico» della modernità. La risposta alla crisi politica e morale dell’Occidente sta nel rilanciare la filosofia politica, ossia «il tentativo di conoscere veramente ad un tempo la natura delle cose politiche ed il giusto o buon ordine politico». La mentalità storicistica non si è, difatti, accorta di come le leggi della storia siano tanto generiche da non poter esser attendibili per finalità pratiche col risultato finale che esse sono quel nichilismo e quel decisionismo che Strauss considera il tratto caratteristico della modernità. La storia della filosofia politica, allora, ha una sua peculiare funzione di «vera comprensione storica», secondo cui occorre comprendere il pensiero del passato esattamente come questo comprendeva se stesso — cercare di comprendere i pensatori del passato come essi comprendevano se stessi. Solo così l’indagine filosofica può porsi al servizio della comunità politica seguendo l’insegnamento socratico.

Non c’è una presenza continua della filosofia di Nietzsche nel carteggio Strauss-Voegelin, ma alcuni rilievi sono significativi. Löwith, scrivendo al filosofo austriaco della possibile stesura di un libro a quattro mani su Nietzsche, avrebbe confessato, nella lettera manoscritta del 14 novembre 1944, conservata presso l’«Eric Voegelin Archiv» dell’Università di Muenchen: »fin dagli anni di scuola Nietzsche è per me il grande evento moderno».4 Con Voegelin, intanto, vennero discusse alcune tesi di Meaning in History:»mi riesce impossibile… non adoperarmi per la verità rappresentata da Nietzsche». Il libro a quattro mani su Nietzsche non vide mai la luce, doveva raccogliere saggi di confronto col pensiero di Pascal, Kierkegaard, Butler, Carlyle ed altri. Il nodo era segnato dal nesso tra paganesimo e Cristianesimo per sottolineare l’evento decisivo «mehr als» germanico della filosofia di Nietzsche.5 Nelle lettere di Löwith del 15 aprile 1935 e di Strauss del 15 aprile 1949, entrambe a Voegelin, si tratta del «popolo paria per eccellenza» secondo la formulazione weberiana, quegli ebrei «razionali ed etici», assimilati in virtù del loro ruolo, in quanto gli ebrei hanno sempre svolto «il compito intellettuale di condurre il popolo alla raison».

Il ripristino del pensiero politico classico, specie di Platone ed Aristotele, significa per Strauss la convinzione che tale filosofia era esoterica, ossia nascosta da un linguaggio cifrato che ne permetteva il dis-velamento dei contenuti solo a pochi eletti prescelti a tale compito. Le verità decisive del mondo dovevano esser disvelate gradualmente, soltanto a pochi «aristocratici» seriamente interessati alle vicende della terra. Per le masse valeva invece un pensiero infarcito di narrazioni mitiche, l’equivalente della doxa ellenica. In fondo i metodi della filosofia, con la loro capacità disvelativa, sono politicamente pericolosi, perché, se diffusi, provocano -per dirla con Mosca- cataclismi politico-sociali. Socrate fu la prima vera minaccia all’ordine costituito, poiché osò discutere apertamente di dèi e di tradizioni, ma con la sua morte tali verità tornarono ad esser velate, mentre le religioni tornarono a controllare ed a «consolare» le aspirazioni delle plebi. Furono, allora, Machiavelli e poi Hobbes i veri artefici della separazione traumatica della politica dalla morale, come dalla religione, creando, attraverso una distinzione tra «interno» ed «esterno», una scienza politica del tutto aliena dai valori. Hobbes completò l’opera «artificializzando» lo Stato al punto tale da farne una «macchina» capace di ricostruire, ma solo su basi nettamente artificiose, pattizie e convenzionali, il nesso tra trono ed altare, tra Stato e chiesa, tra legittimità monarchica e legittimazione religiosa. Hobbes è riuscito a dimostrare che solo «mediante artificio» era possibile ricostruire il nesso di politica e religione destrutturato dalla modernità: l’autenticità veniva cancellata dall’artificialità.

Da tali processi venne aperta la strada all’illuminismo, col suo mito del progresso sfociante nelle tre parole d’ordine della rivoluzione francese, al relativismo liberale ed infine al nichilismo, come denunciato da Nietzsche. La tradizione del pensiero esoterico venne dimenticata e furono disvelate le verità esoteriche: non esistono né dèi, né valori assoluti, le tradizioni antiche sono solo convenzioni. Sentenzia la modernità con le mots di Sartre: «svelare è cambiare, e… non si può svelare che progettando di cambiare».

Ad uno storicismo di marca hegeliana, anche se raramente Strauss accenna a prender di petto Hegel ed i suoi epigoni, egli contrappone una componente individualistica che inizia con la scuola storica di Von Savigny e che perviene sino a Max Weber, includendo in seguito pure Nietzsche ed Heidegger in una sorta di storicismo radicale o esistenzialistico, anzi Heidegger additato come «il più radicale storicista» per la sua scelta politica del 1933. Sono accostamenti enigmatici di una storia come prodotto di individualità. Strauss pare interessato ad una prospettiva di «conoscenza oggettiva» antitetica a quella della filosofia della storia come escatologia (historismus).

Strauss è critico verso la cosiddetta «storia scientifica» col suo mito del progresso. Infatti l’idea di progresso è la caratteristica della filosofia moderna intrisa di storicismo.6 Per Strauss la «storia scientifica», come «attualizzazione di un potenziale della natura umana», non è un prodotto naturale, bensì il punto d’approdo dell’Occidente formato da una sola, unica esperienza: quella del Cristianesimo, segnata dalla superiorità del presente rispetto al passato. Ma Strauss colloca Nietzsche e la sua fede nell’esperienza storica in un più ampio concetto di storicismo: infatti lo storicismo è il punto d’arrivo della crisi del diritto naturale moderno che ha coinvolto tutta la filosofia trasformandola in mero strumento di lotta politica creando «i nostri mali», i mali della modernità. Ma se storia è la «storia politica», la riscoperta della storia non può esser opera della filosofia, bensì della filosofia politica.

Si attenua ora la profonda distanza esistente nella classicità tra filosofo e sofista, tra re e tiranno, tra pensiero esoterico e pensiero essoterico? Nella modernità non vi è più distanza tra filosofo ed intellettuale. Lo storicismo, affiancato dallo scientismo, è riuscito nell’intento di politicizzare tutto, persino di storicizzare il pensiero stesso, togliendo infine ogni credibilità alla filosofia, l’equivalente della riduzione della conoscenza filosofica ad ideologia tematizzata da Karl Mannheim. Occorre, allora, restituire credibilità alla filosofia quale autentica conoscenza, vera scienza, sì che ogni filosofia non può non esser filosofia politica.»La nozione «Filosofia Politica» non sta a significare la trattazione filosofica della politica, bensì la trattazione politica, ossia popolare, della filosofia, ovvero l’introduzione politica alla filosofia: il tentativo di condurre i cittadini qualificati dalla vita politica alla vita filosofica».7

Cosa cercava, dunque, Strauss nella filosofia politica classica?

Strauss si era proposto di ricercare negli antichi gli elementi costitutivi di una morale «veramente naturale», infatti la filosofia è per sua natura sovversiva perché è «al di là del bene e del male», nel senso che analizza e mette in discussione il significato di ogni terminologia consolidata.

Strauss intendeva inverare il tentativo di Nietzsche di «recuperare l’antichità all’apice della modernità», proponendosi di fronte al cosiddetto nichilismo della modernità di ritrovare negli antichi greci gli elementi costitutivi di una morale «veramente naturale», essendo persuaso, al pari di Nietzsche, che presso gli antichi greci il problema di designare una morale naturale non si poneva affatto, poiché non era mai stato argomento di discussione l’appartenenza dell’uomo alla natura, che era invece il dato su cui il Cristianesimo aveva costruito quel dualismo di morale e natura che la modernità aveva recato al sommo grado, sino al nichilismo. Se pure i filosofi cristiani medievali avevano discettato di naturalità dell’uomo, essi non avevano compreso che la natura non è mai prescrittiva, ma segna semplicemente il limite dell’agire dell’uomo nel mondo. In fondo, come emerge pure dal carteggio tra Leo Strauss e Karl Löwith, uomo e mondo sono in rapporto «completo» ed onniesaustivo, ragion per cui non è possibile trarre dalla natura alcuna normativa su ordinamenti politici e sociali. Ancor meglio, ad un certo punto, in una lettera Löwith scrive a Strauss che gli ordinamenti politico-sociali sono creazioni umane e come tali sono storiche, non «naturali» stricto sensu. Tuttavia le istituzioni storiche sono altresì pienamente naturali, in quanto non si potrà mai negare il fondamento naturale dell’esistenza umana che ne costituisce la debita, necessaria premessa. Di qui la distanza che Löwith prende dall’esigenza straussiana di ritorno all’antica Grecia, certo un mondo nietzschianamente capace di fedeltà alla natura, ma ormai consegnato al mito. Forse Strauss non voleva veder altro nel ritorno all’antichità greca se non un ripristino di una metodologia rigorosa tale da poter superare la distretta della modernità non con metodologie moderne, bensì con gli strumenti di pensiero dell’intelletto naturale della filosofia politica classica di Platone ed Aristotele? Per Strauss l’uomo non tende affatto per natura alla virtù, né tantomeno gli ordinamenti politico-sociali hanno il dovere civico di dover render virtuosi i cittadini. La filosofia politica classica costringe, invero, gli uomini a ripensare i limiti intrinseci delle compagini statuali create dall’agire dell’uomo, ove convergono — come risulta dalla collaborazione alla rivista di Martin Buber «Der Jude»- sia l’insegnamento di Atene sia quello di Gerusalemme8 in una sintesi necessaria e decisiva di tutto quel che, preesistendo al Cristianesimo, religione autenticamente contra naturam, poneva su basi naturali il nesso tra sfera divina e mondo umano.

La ricerca della verità razionale e la fede nella rivelazione costituiscono la base di una soluzione del nodo di una «teologia politica» antitetica alla soluzione di Carl Schmitt. Strauss tenta di non esser costretto a tagliar di netto, simpliciter, il nodo di Gordio di una «teologia politica». Entrambi, lettori di Hobbes considerato l’iniziatore di una concezione liberale dello Stato che esalta la libertà degli individui quale finalità primaria creando la distanza ineliminabile tra pubblico e privato, tra morale e natura, se ne differenziano, però, nel ritrovare il modo di sortire dalla modernità nichilistica. Strauss escogita -o almeno tenta- una soluzione, volgendosi alla classicità ellenica, Carl Schmitt imita la «decisione» di Alessandro Magno che recide con la spada il nodo di Gordio. Contrappone — discutendo con Ernst Jünger- la massa compatta di terraferma dell’Oriente alla distesa di oceani dell’Occidente, come poi in Land und Meer contrapporrà la continentalità germanica all’oceanicità anglosassone, ma alla fine di tutto è pur sempre il nichilismo il destino ineluttabile dell’Occidente. Se la pars dcstruens è comune a Schmitt ed a Strauss, non lo è affatto il modo di fuoruscirne. Per Heinrich Meier, sulle orme del Löwith lettore di Bultmann ed Eric Peterson, la differenza tra Carl Schmitt e Leo Strauss sta nei termini della differenza tra «teologia politica» e «filosofia politica», o meglio tra verità della religione e verità della ragione, tra «rivelazione» e dialettica platonica nella definizione del tema del giusto.9

2.

L’Occidente, per Nietzsche, è il passaggio dal nichilismo in sé al nichilismo per sé, dal nichilismo incompleto a quello radicale, favorito da un Cristianesimo ormai esangue. La dissoluzione del soggetto è il contrappunto alla proclamazione rivoluzionaria dei diritti dell’uomo: Nietzsche è l’erede di De Maistre che ironizza sulla categoria di uomo in quanto tale.

Esaminando innanzitutto il carteggio intercorso tra Strauss e Voegelin e poi di entrambi con Karl Löwith,10 autore di un famoso volume sulla filosofia di Nietzsche apparso nel 1935, si trae l’indicazione di un’originale lettura nietzschiana. Questa lettura vien poi confermata negli scritti e nei loci dedicati da Strauss e Voegelin a Nietzsche. Essa si snoda per Strauss intorno al tema dello storicismo: Nietzsche darebbe vita ad uno storicismo alternativo a quello hegeliano; mentre per Voegelin vien privilegiato nel filosofo sassone uno «storicismo della decadenza», quasi a voler completare il tema individuato da Strauss. Con «decadenza» s’intende un periodo «considerato distruttore dei valori estetici di un’età precedentemente considerata perfetta», ove s’assiste al «venir meno d’ogni sorta di freni morali e spirituali» per la «totale mancanza di risorse etico-spirituali». Strauss, discutendo con Voegelin, distingue, pertanto, il concetto di «cesarismo» da quello di «tirannide», infatti «quando la decadenza è pervenuta al suo apogeo e così pure la battaglia di tiranni d’ogni genere, allora vien sempre il Cesare, il tiranno risolutivo, capace di por fine alla stanchezza della lotta per l’egemonia». «Dopo aver assunto su di sé la più grande responsabilità politica», Nietzsche «non può mostrare ai suoi lettori o seguaci, o schiavi o strumenti, un cammino verso la responsabilità politica», perché non riesce a concretizzare un’alternativa alla distruzione d’ogni valore assoluto… . La filosofia politica classica, invece, esprimeva giudizi di valore sul bene e sul male, sulla giustizia e sull’ingiustizia, essendo caratterizzata dal fatto che era posta direttamente in relazione con la vita politica. Infatti, non a caso, la scienza politica moderna non è più interessata a ciò che costituiva il problema-guida della filosofia politica classica: la questione del miglior ordine politico, un tema caro a Voegelin. Il tema del miglior ordinamento politico è in relazione ad una reale controversia politica, ossia l’ordinamento interno della polis, sventando il pericolo della guerra civile non in maniera artificiosa come per Hobbes, bensì in forza del «suo diretto rapporto con la vita politica», essendo essenzialmente pratica.

«La crisi della modernità è in primo luogo la crisi della filosofia politica moderna», la modernità vista come «secolarizzazione» della fede biblica, della «rivelazione biblica», che dopo l’atrofia della fede ebraico-cristiana ne conserva pensiero, speranze, tradizione in un nuovo progetto di mondo che a Strauss appare articolato in una «immensa varietà» di progetti particolari, la «nuova scienza politica», che ritrova unità solo nel comune rigetto della filosofia politica classica. Questa «immensa varietà» dà conto delle mille soluzioni proposte per i problemi politici del presente, ma senza esito alcuno se non infine il rigetto stesso della politica. Strauss parla apertamente di «tre ondate della modernità» in The Three Wawes of Modernity11: 1) Machiavelli ed Hobbes; 2) l’illuminismo e Rousseau; 3) infine Nietzsche che influenza pensatori come Max Weber, Carl Schmitt ed Heidegger. Soltanto nella 1º ondata permane qualcosa della virtù della filosofia politica classica, mentre la riscoperta del «senso storico» rappresenta il punto di contatto tra la 2º e la 3º ondata, ove Strauss pare enfatizzare il ruolo di un Nietzsche anti-Hegel in nome di un «nuovo sentimento dell’esistenza», una «filosofia dell’avvenire» superomistica. Ma la modernità è anche, per dirla con Voegelin e Topitsch, capostipite del «neo-gnosticismo» (secolarizzazione=neo-gnosticismo), che dal tempo di Gioacchino da Fiore e dalla Riforma protestante, trae il fine della storia come «terza età», secolarizzando il messaggio cristiano per un «nuovo progetto del mondo», di un uomo nuovo artefice volontario del proprio futuro, che sappia risolvere in toto le alienazioni umane. Spengler, il «Nietzsche dei poveri», ha prodotto col suo libro «un documento sulla crisi della modernità», ma il nodo non è affatto morfologico, bensì sta tutto nella crisi della conoscenza valutativa, la sola capace di dirimere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto. Invece, come nota Voegelin, tutto il pensiero politico moderno è una lotta tra filosofia e gnosticismo. Nietzsche è, allora, colui che si è opposto allo storicismo hegelianeggiante per «ristabilire la possibilità della pratica, cioè di una vita umana che abbia un futuro non privo di senso ed un valore non già pre-determinato». Chi non rammenta di Nietzsche «il mio compito è cambiare le valutazioni»,»non ci son fatti, ma solo interpretazioni»? Chi non ricorda degli aforismi, la «catena di pensieri» di Also sprach Zarathustra, «che io non possa essere se non lotta e divenire, scopo e contraddizione degli scopi»?

Per Nietzsche è «un sentimento dell’esistenza storica come necessariamente tragica che rende quasi impossibile una soluzione politica del problema dell’umanità, dato che vi è lotta tra uomo e natura». Ora il «processo storico è inteso come incompiuto», pur se intriso di «elementi razionali», ossia la storia si libera quale palestra di competitività e creatività umana, ove tutti gli ideali e tutte le ideologie chiedono spazio e legittimità. Diversamente da Hegel, Nietzsche non crede affatto che certe inferiorità degli uomini siano dovute alla natura, quanto piuttosto «all’eredità del passato, o della storia come si è finora sviluppata». Per aprire «la via alla realizzazione dell’ideale ultimo» Nietzsche nega la naturalità dell’uomo ed afferma che «il ritorno del passato, dell’intero passato, deve esser voluto se il Superuomo è possibile». La natura conosce qui una riduzione a volontà di verità o di potenza, ma con la conseguenza letale di una concezione della politica come agire vago ed indeterminato recato all’estremo -per Strauss- dall’avalutatività di Max Weber. Se Hegel aveva reso cristiano il saeculum secolarizzando il mondo, Nietzsche rappresenta per Strauss, come per Voegelin, uno «storicismo decadente», in cui l’ottimismo della fede nel progresso infinito vien ora sostituito da un processo di relativizzazione d’ogni principio tradizionale. Si toglie alla storia ogni carattere d’oggettività per sostituirla con la libera creatività, con la «progettualità» del mondo. La «distruzione» della validità universale dei principii e dei valori schiude la via alla libera progettualità di un uomo che ha coscienza di come tutto sia relativo e, perciò, crede di poter «originare» nuovi valori. Nietzsche par proprio voler «insegnare che l’essere è essenzialmente o radicalmente misterioso e che il difetto fondamentale della metafisica è l’assunzione che l’essere è come tale intelligibile». Come scrive Strauss a Löwith il 20 agosto 1946:»la filosofia è il tentativo di sostituire le opinioni sul tutto con una autentica conoscenza del Tutto».12 Ma Nietzsche sognava veramente «una ripresa dell’antichità al culmine del moderno» o piuttosto, per dirla con Löwith, solo un ritorno ai presocratici?

Perché mai Nietzsche, specie nei Frammenti postumi, attacca la «decadenza»? Auspicava un «ordine nel disordine», col suo accanimento contro la morale cristiana? «La corrosione della civiltà occidentale ad opera dello gnosticismo è un processo lento», sentenzia Voegelin, la decadenza si caratterizza nel venir meno d’ogni sorta di freni morali e spirituali. Al culmine della modernità la decadenza è in agguato: essa è «la conseguenza del disordine dell’anima», che si manifesterà quale dis-ordine del Potere, cui Voegelin vorrebbe contrapporre un «ordine trascendente». Come Strauss, Voegelin parla anch’egli per Nietzsche di storicismo, uno «storicismo della decadenza» appunto, distruttore dei valori di età precedenti «perfette», quindi decadenza come mancanza di risorse spirituali, non a caso proprio dal machiavellismo «inizierebbe quell’invisibile catena della Decadenza», che genera la modernità, che «è un movimento della società occidentale che si sviluppa in opposizione alla tradizione classica e cristiana». Se decadenza significa mancanza di risorse spirituali, allora la Politica si riduce a mera dialettica tra dominanti e dominati, a meri apparati di politica amministrativa. »La miseria della scienza politica… poteva esser risolta solo con l’aiuto di una nuova filosofia della coscienza», tesa ad elaborare una nuova teoria politica adatta a far sì che i nodi problematici dell’ordine umano nella società e nella storia «scaturiscano dall’ordine della coscienza». La decadenza sta, allora, nella mancanza di un legame tra politica e metafisica, dato che per Voegelin il passaggio può avvenire soltanto dall’»ordine della coscienza» all’»ordine politico». Basterà rileggere Nietzsche per comprendere che il disordine o caos «sarà allora la realtà che si lascerebbe vedere quando le linee cominciano ad offuscarsi» in conseguenza del sopraggiunto dis-ordine dell’anima. Scrive Voegelin in Ordine e Storia:»l’ordine dell’anima del filosofo è come criterio per la natura dell’ordine della polis», infatti l’»ordine divino del cosmo» si riflette e si estende nella restaurazione dell’»ordine dell’anima» dell’uomo. Come per Nietzsche ci si trova in Voegelin dinanzi ad una estetica della decadenza:»la questione sociale è una conseguenza della decadenza», anzi colui che usa la decadenza come mezzo per ottenere potere è il genere d’uomo che «trova un interesse vitale nel rendere malata l’umanità». Come sortirne? Come rovesciare le sorti dell’umanità e favorire il sorgere di un «nuovo ordine politico» ancorato a valori assoluti?

Strauss e Voegelin vedevano nell’impresa di Nietzsche il grave rischio dell’impossibilità di attingere il «vero» essare dell’uomo entro la selva delle interpretazioni. Nell’inautenticità del presente giunto ai «limiti dello storicismo», per Strauss non restava altro da fare che riattingere l’ideale integro di umanità custodito dall’antica Grecia. Alla fine, stando a Löwith, Strauss sognava solo un ritorno ad un’integrità umana mai esistita, neppure in un’epoca che avrebbe goduto di un accesso privilegiato alla verità. Costante è la preoccupazione, esposta da Strauss in Diritto naturale e storia (1950), comune pure a Voegelin, che «l’intiera filosofia nella sua essenza è stata negli ultimi secoli completamente politicizzata. In origine la filosofia era la ricerca di un ordine eterno… . poi essa è diventata un’arma e pertanto uno strumento». Strauss trae, quindi, da Nietzsche una sorta di «contromovimento» rispetto alla modernità a partire dalla riscoperta dell’Ellade, ripristina un blocco che comprende l’intiera episteme classica, sia greca sia ebraico-cristiana: il vitale oscillare dell’Occidente tra la sua radice biblica (Gerusalemme) e la sua radice filosofica (Atene), tra una legge che prescrive «una vita di obbediente amore» ed un codice che impone «una vita di libera ricerca». L’ultimo Nietzsche attribuisce a merito dell’ebraismo pre-Esodo il senso della terra e della realtà, che lo avvicinano alla grecità e lo distaccano nettamente dall’ascetismo cristiano. Occorre «ritradurre l’uomo nella natura» come insegnavano i Greci, per Nietzsche il «popolo dell’otium»?

Scrive Strauss a Jacob Klein il 5 settembre 1933:» Pochi giorni fa mi è giunto un libretto dalla veste tipografica sfarzosa: la conferenza su Nietzsche e Kierkegaard tenuta da Löwith a Tubinga. Gli ho spedito una critica distruttiva, anche se condotta in modo suaviter».

Per Strauss Löwith, sulla scia di Nietzsche, avrebbe dovuto distaccarsi da ogni illusione veritativa sul presente:»un uomo è tale poichè realizza l’universale nella sua normalità». Löwith replica nella lettera del 13 luglio 1935:»ma Lei ha torto se pensa che Nietzsche o chiunque di noi «moderni» possa semplicemente scrollarsi di dosso la gabbia dei «presupposti moderni» e dunque -in linea di principio- «ripetere» l’antichità antica. Il massimo che un moderno «può» fare è per l’appunto ciò che ha tentato di fare Nietzsche -nel capitolo di Zarathustra sulla liberazione dal volere ossia dall’»era» («Es war»). Dato però che io non voglio nulla di utopico, di radicale e di estremo, e d’altra parte non voglio neppure accontentarmi di una qualche «mediocrità», mi resta soltanto come criterio critico-positivo la distruzione sistematica di tutti quegli estremisti, in un ritorno all’ideale- originariamente altrettanto antico- di modo e misura».13

Strauss pare proporre un «accordo ragionevole» tra uomo e mondo, tra uomo e natura, tale da poter subentrare alla «smodatezza senza radici» nietzschiana. A suo modo sulle orme di Nietzsche, per Strauss «il processo storico è da intendersi come incompiuto».

3.

Ma l’interpretazione nietzschiana di Strauss non s’arresta qui. Infatti è indicativo un breve saggio postumo, l’unico interamente dedicato a Nietzsche, Note on the Plan of Nietzsche’s «Beyond Good and Evil» (1973), apparso postumo prima in rivista nel 1973, poi come il cap. 8 degli Studies in Platonic Political Philosophy (1983). Dopo una prima parte dedicata al rapporto tra filosofia e religione, nella seconda l’opera di Nietzsche è tutta sul nesso tra politica e morale. «L’alternativa fondamentale è quella tra il dominio della filosofia sulla religione o della religione sulla filosofia: non è quella, come invece fu per Platone o Aristotele, tra vita filosofica e vita politica; per Nietzsche, a differenza che per i classici, la politica appartiene fin dal principio ad un piano inferiore rispetto a quello della filosofia o della religione. Nella prefazione [del capitolo sulla religione] egli [Nietzsche] dichiara che il suo precursore par excellence non è un politico, e neppure un filosofo, bensì l’homo religiosus Pascal (cfr. aforisma 45)». Ora il filosofo assume il ruolo del pensatore ateo sì, ma «un ateo che aspetta un Dio», rivelatore di un’inaudita differenza qualitativa tra una dottrina esoterica nascosta da un linguaggio in codice, dis-velabile solo a pochi eletti, ed una dottrina essoterica rivolta alle masse.14 «Il filosofo del futuro è un erede della Bibbia. Egli eredita quel rendersi profondo dell’anima, che è il risultato della fede biblica in un Dio che è sacro. Il filosofo del futuro, in quanto distinto dal filosofo classico, sarà occupato dal sacro. Il suo filosofare sarà intrinsecamente religioso. Ciò non vuol dire che egli creda in Dio, il Dio biblico. Egli è un ateo, ma un ateo che aspetta un Dio, che non ha ancora rivelato se stesso».

Pur se immemore di una «originaria politicità della filosofia», il filosofo platonico non può esimersi dalla responsabilità civile dinanzi alla sua città, infatti Platone, per Strauss, riteneva che ogni Stato abbisognava di filosofi, ossia «uomini al di sopra dei pregiudizi della nazionalità e che conoscono esattamente il momento in cui il patriottismo cessa di essere una virtù», che «non sono soliti soccombere al pregiudizio della loro religione nativa». In fondo, anche se ogni «vita contemplativa» è superiore alla vita politica, poiché nessuna teoria filosofica può giustificare «autenticamente» una società civile presente o futura, come recita l’adagio straussiano, »ogni filosofia è sempre filosofia politica», vita contemplativa e vita politica alla fine paion proprio inestricabilmente congiunte.

Forse, a differenza di Platone ed Aristotele, -nota Strauss- «la politica appartiene, per Nietzsche, fin dal principio a un piano inferiore rispetto a quello della filosofia o della religione»? Trattasi di un pensiero ateo ed élitario nel caso di Strauss? Sulle orme platoniche i «filosofi del futuro», la «nuova aristocrazia europea», scaturita dal «pensare nietzschiano» e tale da dettar legge al pianeta, gli «aristocratici ribelli» quali «spiriti liberi» del «ritradurre l’uomo nella natura», hanno il compito di assorbire, integrare ogni religione «positiva», storica, ogni vario «senso del sacro»? O costoro non son altro che filosofi-sacerdoti di casta, esponenti di una «teocrazia del nulla», che incarnano un rischio mortale per la politica e per la filosofia? Nella polarizzazione tra Atene, una «vita di libera ricerca», e Gerusalemme, una «vita di obbediente amore», trova spazio una decisione in base ad un atto di fede, di volontà, che richiama il «radicalismo aristocratico» attribuito a Nietzsche da Georg Brandes (F. Nietzsche o del radicalismo aristocratico, 1899), ove, a partire da Al di là del bene e del male, si perviene ad attribuire a Nietzsche un «pensare élitario» che giunge sino al paradosso. Sulle orme del ruolo svolto dal banchiere di Bismarck, Gerson Bleichröder, un»genio del danaro e della pazienza», si sottolinea il peso egemonico degli Junkers del Brandeburgo e della «aristocratica ufficialità» prussiana, destinati all’incontro coi capitalisti ebrei al punto di dar vita ad una «cooptazione del Capitale ebraico nella razza dei signori» mediante matrimoni misti tra i rampolli degli Junkers e le giovinette ebree. Per Nietzsche, anticristiano più che antisemita, Paolo di Tarso è lo spartiacque tra ebraismo e cristianesimo, trovando espressione in lui «quell’istinto sacerdotale degli ebrei» che rende l’ebreo un «letterato congenito», che ha sempre rivestito il ruolo sovversivo di condurre il popolo alla raison illuministica. Di qui Strauss, pur manifestando simpatia per l’isola aristocratica, la Gran Bretagna, ricava l’attesa di un terzo regno: la grande Germania di cui trattasi nell’aforisma 251 di Al di là del bene e del male. Il sinolo di ebraismo e filosofia costituisce il nucleo dell’esoterismo di Leo Strauss, ossia la convinzione, sulle orme di Spinoza, che tra le dottrine filosofiche ed i miti, comprese le ideologie che fondano le società, non vi è altro che un’irriducibile opposizione.

«Tutti i filosofi antichi operarono un’esposizione essoterica della verità, distinta dall’esposizione esoterica». In nome proprio di un pensiero esoterico Strauss tendeva a riconnettere Spinoza ad una sorta di giudaismo sotterraneo, in quanto nel Dio di Spinoza vi era una più completa e profonda ricomprensione del Dio biblico, il «razionalismo» dell’insondabile Dio biblico, un Dio «al di là del bene e del male»: nello «stato di natura», nella dimensione naturale, non vi è né bene, né male, ed ancor più né colpa, né dovere. Il Tractatus spinoziano, seppur travisato da Hermann Cohen, è il perno anticipatore di trattati teologico-politici dei secoli successivi, particolarmente dell’Otto-Novecento. Ma con Nietzsche si riafferma una «nuova forma» di ateismo, forse un modello per Strauss? Eppure l’uomo non è riuscito a rimpiazzare la natura nel corso dei secoli, di qui allora per Strauss la necessità di tornare alla filosofia politica classica? Lapidario Löwith:»È forse un caso che ogni umanesimo esistito finora abbia concepito se stesso come un ritorno ai Greci?».

4.

Emblematica è anche una conferenza tenuta a New York da Strauss nel febbraio del 1941, Il nichilismo tedesco, ove Nietzsche diviene l’eponimo di una reinterpretazione della modernità, a partire dalla sua concezione dello storicismo, come rilettura della mentalità germanica.

Sosteneva Strauss:»il nichilismo tedesco non è un nichilismo assoluto, un desiderio di distruggere tutto, compreso se stesso, ma un desiderio di distruggere qualcosa di specifico: la civiltà moderna... lo spirito dell’Occidente e, in particolare, dell’Occidente anglosassone… Credo che Nietzsche abbia sostanzialmente ragione quando afferma che la tradizione tedesca è molto critica nei confronti degli ideali della civiltà moderna, e che questi ideali sono di origine inglese… Non c’è alcun altro filosofo la cui influenza sul pensiero tedesco del dopoguerra sia comparabile a quella di Nietzsche, dell’ateo Nietzsche, nessuno ebbe maggiore responsabilità di lui riguardo alla nascita del nichilismo tedesco… . Credo che Nietzsche abbia sostanzialmente ragione quando afferma che la tradizione tedesca è molto critica nei confronti degli ideali della civiltà moderna, e che questi ideali sono di origine inglese».15 Quindi gli ideali della civiltà moderna sono anglosassoni: 1) alleviare le sofferenze umane, migliorandone le condizioni di vita; 2) difendere i diritti dell’umanità; 3) procurare la più grande felicità per il maggior numero possibile di uomini. Non a caso Strauss definiva Gran Bretagna e Stati Uniti i migliori regimi disponibili sulla Terra, a maggior ragione nel momento in cui era in pieno corso una contesa mortale, una lotta all’ultimo sangue per arrestare la «volontà di potenza», di egemonia mondiale del nazismo tedesco. Il nazismo, per Strauss, è solo la forma più celebre, ma altresì più volgare del nichilismo tedesco, che è figlio del militarismo prussiano, ma ancor più della protesta morale di una società ancestrale, chiusa, tradizionale. Solo all’estremo il nichilismo germanico, considerando la Kultur del tutto esaurita, affermerà che la guerra sarà desiderabile come buona in sé e per sé. Ma come si è passati, in Germania, da una società ancestrale e militaristica, quella degli Junkers, in sé refrattaria al nichilismo estremo, ad una vera e propria società nichilistica? Quali emozioni — si chiede Strauss — sono alla base del nichilismo tedesco? Quale ruolo vi svolge la cosiddetta Konservative Revolution di Moeller van den Bruck, Carl Schmitt, Ernst Jünger, Spengler, Heidegger?

I nichilisti sapevano di «esser figli di uomini senza dèi», secondo la felice espressione di Ernst Jünger, ma pur atei non desideravano, debellata la «repubblica di vetro» di Weimar, un mondo senza sacrificio reale, senza sangue, senza sudore, senza lacrime, consideravano invero fondamentali decisione ed eroismo.

«Nietzsche sostenne che il presupposto ateo non solo è conciliabile con una radicale politica antidemocratica, antisocialista, antipacifista, ma è anche indispensabile ad essa: secondo lui perfino il credo comunista è solo una forma secolarizzata di teismo, di fede nella Provvidenza. Non c’è alcuna altra filosofia la cui influenza sul pensiero tedesco del dopoguerra sia comparabile a quella di Nietzsche, dell’ateo Nietzsche».16 Anzi la relazione tra Nietzsche ed il nazismo è comparabile a quella tra Rousseau ed i giacobini francesi, forse «è un paragone ingiusto, ma non si è ingiusti in assoluto». «Il nichilismo è il rifiuto dei principii della civiltà in quanto tali… La distruzione di tutti i criteri spirituali tradizionali». Quindi «un nichilista è colui che conosce i principii della civiltà», anche se solo in modo superficiale. Strauss sottolinea che intende civiltà, non cultura: «il termine cultura lascia indeterminato ciò che si deve coltivare (sangue o terra o spirito), mentre il termine civiltà designa immediatamente il processo con cui si fa dell’uomo un cittadino, e non uno schiavo, un amante della pace e non della guerra». Quindi, per Strauss, civiltà designa una Kultur cosciente dell’umanità, ossia di ciò che rende un essere umano cosciente della ragione. L’umana ragione è attiva in due modi: in quanto regola il comportamento umano, ed in quanto tenta di comprendere tutto ciò che può esser compreso dall’uomo, in quanto ragion pratica ed in quanto ragion teoretica. I pilastri della civiltà sono perciò, per Strauss, la morale e la scienza filosofica.17

Eppure, proprio in tale conferenza, autobiograficamente, Strauss non potè far a meno di dichiarare a proposito della distanza dal nichilismo della sua radicale critica della modernità e, quindi, del suo tanto discusso zurück alla filosofia politica classica: «A titolo di tentativo, ho inizialmente definito il nichilismo come desiderio di distruggere la civiltà presente, la civiltà moderna. [Ma] ho inteso chiarire che non si può denominare nichilista il critico più radicale della civiltà moderna in quanto tale».18

Karl Löwith, secondo il quale per comprendere il suo volume su Nietzsche del 1935 (Nietzsches Philosophie der ewigen Wiederkunft des Gleichen) era necessario aver prima letto due altri autori, uno dei quali era Strauss, ha scritto nell’Autobiografia (1940): «Nietzsche è e rimane un compendio dell’antiragione tedesca o dello spirito tedesco. Un abisso lo separa dai suoi divulgatori senza scrupoli, eppure egli ha preparato loro la strada che lui stesso non percorse».


  1. K. Löwith - L. Strauss, Dialogo sulla modernità, con introduz. di R.Esposito, Roma, Donzelli, 1994, p. 10. Pure L. Strauss, Gerusalemme e Atene, Torino, Einaudi, 1998; Che cos’è la filosofia politica?,a cura di P.F. Taboni, Urbino, Argalìa, 1977. ↩︎

  2. Cfr. L.Strauss — E.Voegelin, Faith and Political Philosophy. The Correspondence between Leo Strauss and Eric Voegelin, 1934-1964, by P. Emberley and B. Cooper, The Pennsylvania State University Press, University Park, Pennsylvania, 1993, pp. 1-18. ↩︎

  3. Cfr. L.Strauss, Die Religionskritik Spinozas als Grundlage seiner Bibelwissenschaft, Berlin, Akademie Verlag,1930 (tr.it.,Laterza,Bari, 2003). La rivalutazione del Tractatus theologico-politicus permette a Strauss di individuare in Spinoza l’ansia di additare la via verso una società libera e repubblicana sulla base di un riesame approfondito del Vecchio e del Nuovo Testamento, considerati intersecantisi sulla via di una sorta di «religione civile», comune a ebrei e cristiani coesistenti in armonia in una repubblica bene ordinata, come si auspicava potesse divenire l’Olanda del tempo. Cfr. S.Nadler,L’eresia di Spinoza, Torino, Einaudi, 2001. ↩︎

  4. Cfr. E. Donaggio, Una sobria inquietudine. Karl Löwith e la filosofia, Milano, Feltrinelli, 2004, pp.29, 153. ↩︎

  5. Cfr. op.cit., p. 182. Pure P.J. Opitz, Eric Voegelins Nietzsche.Eine Forschungsnotiz, in «Nietzsche Studien», 25, 1996, pp. 177-190. ↩︎

  6. Cfr. L. Strauss, Filosofia politica e storia, in Che cos’è la filosofia politica?, cit., pp. 89-115. ↩︎

  7. L. Strauss, Che cos’è la filosofia politica?, cit., pp. 36, 54-55, 81-82, 389-390. «D’altro canto, non è un caso che la filosofia politica moderna si autodefinisca frequentemente «teoria politica» […] ma una scienza puramente descrittiva dal punto di vista dei classici è assurda quanto il tentativo di sostituire l’arte del fare le scarpe, vale a dire scarpe buone e ben fatte, con un museo di scarpe fatte da apprendisti» (pp. 401-402). Anche cfr. L. Strauss, Philosophy as Rigorous Science and Political Philosophy, in «Interpretation: A Journal of Political Philosophy», 2, 1971. Pure S. Drury, The Political Ideas of Leo Strauss, New York, St. Martin’s Press, 1988. Cfr. infine le critiche di Murray N.Rothbard, esponente americano della Scuola austriaca di economia, a Strauss sulla teoria moderna dei diritti naturali in M.N. Rothbard, Diritto,natura e ragione, Soveria M., Rubbettino, 2005, pp. 113-124. ↩︎

  8. Cfr. L. Strauss, Gerusalemme e Atene, cit. Cfr. pure E.Jünger — C.Schmitt, Il nodo di Gordio, Bologna, Il Mulino, 1987. ↩︎

  9. Cfr. H. Meier, Carl Schmitt, Leo Strauss und «Der Begriff des Politischen«, Stuttgart, Metzler, 1988, pp.49-51, 59-60, 75-77, 89-90. ↩︎

  10. Cfr. K. Löwith — L.Strauss, Dialogo sulla modernità, cit.; L. Strauss — E.Voegelin, Faith and Political Philosophy, 1934-1964, cit.; K.Löwith, Nietzsches Philosophie der ewigen Wiederkunft des Gleichen, Berlin, Die Runde Verlag, 1935 (tr.it., Bari, Laterza, 1982). ↩︎

  11. Cfr. L. Strauss, The Three Waves of Modernity, in Political Philosophy, Indianapolis-New York, 1975, pp. 80-89. Cfr. pure R. Cubeddu, Leo Strauss e la filosofia politica moderna, Napoli, E.S.I., 1983, pp. 125-127, 193-198, 223-225. ↩︎

  12. K. Löwith — L. Strauss, Dialogo sulla modernità, cit., p. 28. ↩︎

  13. Ibidem, p. 16. ↩︎

  14. L.Strauss, Note on the Plan of Nietzsche’s «Beyond Good and Evil», in «Interpretation: A Journal of Political Philosophy», 3, 1973. ↩︎

  15. L. Strauss, The German Nihilism, in «Commentaire», 86, 1999 (tr.it. in AA.VV., Nichilismo e politica, a cura di R. Esposito, C. Galli, V.Vitiello, Bari, Laterza, 2000, pp. 112, 133). ↩︎

  16. Ibidem, p. 118. ↩︎

  17. Cfr. op.cit., p. 123. Cfr. H. Rauschning, Die Revolution des Nihilismus. Kulisse und Wirklichkeit im III Reich, Zürich, 1939 (tr. it., Roma, Armando, 19942). ↩︎

  18. Ibidem, p. 124. Löwith riteneva che per Strauss «la trasformazione dell’umanesimo europeo nel nichilismo tedesco forniva la chiave degli attuali accadimenti in Germania». ↩︎