1. Premessa
È nota l’importanza del concetto di riconoscimento all’interno della filosofia hegeliana, ma meno conosciute e meno interrogate sono le sue caratterizzazioni in relazione allo spirito assoluto1 e ancor meno in relazione all’arte. In questa direzione, il merito della lettura definita 'post-kantiana', ovvero la linea interpretativa rappresentata principalmente da Terry Pinkard e Robert Pippin che nel contesto della Hegel-Renaissance tende a considerare la filosofia in relazione a un contesto storico-sociale e come direttamente collegata agli interessi dell’uomo, è stato quello di riconsiderare il riconoscimento in una prospettiva normativa e sociale. Tuttavia – come presupposto dalla ricerca di Italo Testa sull’argomento – «la nozione di riconoscimento attende ancora oggi una messa a punto teorica complessiva, che possa dar conto dei diversi livelli del fenomeno rispondendo insieme alla domanda sulla sua natura».2
Per capire se esista una valenza estetica del riconoscimento e se vi sia ragione di ipotizzare un legame tra arte e riconoscimento, bisogna soffermarsi su ciò che Hegel intende con 'estetica' all’inizio delle Lezioni di estetica. In questa sede Hegel afferma che l’estetica di cui egli si occupa non rimanda alla scienza del 'senso' ossia del «sentire»3 a partire dagli effetti prodotti dalla contemplazione di un’opera d’arte. Egli mantiene però il termine 'estetica',4 poiché, sebbene il nome più appropriato sia quello di 'filosofia dell’arte' o – ancora meglio – 'filosofia della bella arte', il termine gli è di per sé indifferente, a patto che si chiarisca che il contenuto delle lezioni è il regno «del bello».5
2. Gli interessi supremi dell’uomo
Il problema del termine 'estetica' ci porta alla rilevanza del regno del bello e di conseguenza al cuore di questa ricerca; infatti, la distinzione tra arte e arte bella consiste nel fatto che il tipo di arte che può esprimere gli interessi più alti dell’uomo è quella che non ha come scopo la produzione di oggetti secondo il principio dell’utilità. L’arte collegata all’utilità o a uno scopo esterno a essa non potrebbe, secondo Hegel, rappresentare adeguatamente la verità dello spirito e ciò poiché l’arte collegata all’utilità o a uno scopo esterno non è un’arte libera.6 L’arte libera è solo l’arte bella, «libera nei suoi fini come nei suoi mezzi»7e viceversa
solo in questa sua libertà la bella arte è arte vera, ed adempie primieramente al suo compito supremo solo quando si è posta nella sfera comune con la religione e la filosofia, ed è soltanto una specie e un modo di portare a coscienza e di esprimere il divino, i più profondi interessi dell’uomo, le verità più ampie dello spirito.8
L’arte bella esprime gli interessi più profondi dell’uomo nel senso che i popoli hanno riversato nell’arte la propria visione del mondo e, pertanto, nelle opere gli uomini si riconoscono e trovano loro stessi e noi ritroviamo loro; inoltre, grazie all’arte, la forma dello spirito assoluto che più si avvicina alla sensibilità, lo spirito comprende di dover conciliare le opposizioni, tra cui quella che si instaura tra «il sensibile e il transeunte, ed il puro pensiero».9 Il fatto di esprimere, attraverso la rappresentazione sensibile, la verità dello spirito – compito che è svolto pienamente solo dalla filosofia – non significa privare l’arte della propria specificità per metterla al servizio dei compiti della filosofia, al contrario nelle Lezioni ritorna spesso il tema dell’unicità dell’arte e ci si preoccupa della comprensione di un’opera in quanto tale.10 A partire da queste considerazioni sul tendere dell’arte agli interessi più profondi dell’uomo e all’espressione di 'quelle verità dello spirito che tutto abbracciano' è possibile analizzare in cosa consista veramente il bisogno dell’arte per l’uomo. A tal proposito, Hegel afferma che
il bisogno universale e assoluto da cui scaturisce l’arte (secondo il suo aspetto formale) trova la propria origine nel fatto che l’uomo è coscienza pensante, vale a dire che egli fa da se stesso per sé quel che egli è, e quel che è in generale. Le cose naturali sono solo in modo immediato e una volta sola, ma l’uomo come spirito si sdoppia, in quanto egli dapprima è la cosa di natura, ma inoltre è altrettanto bene per sé, si intuisce, si rappresenta, pensa e soltanto attraverso questo attivo esser per sé è spirito. L’uomo perviene a questa coscienza di sé in due modi: dapprima, teoreticamente, in quanto nel suo interno, deve portare se stesso a coscienza di ciò che si muove nel petto umano, […] in secondo luogo, l’uomo diventa per sé mediante l’attività pratica, avendo l’impulso di produrre e insieme di riconoscere (erkennen) se stesso in quel che gli è dato immediatamente, in quel che è per lui esistente esternamente. […] L’uomo compie questo al fine di sottrarre in quanto soggetto libero, al mondo esterno la sua tenace estraneità e di godere nella forma delle cose esclusivamente di una realtà esterna a se stesso..11
In prima istanza la preoccupazione di Hegel è sottolineare che l’uomo è sì un ente naturale ma che, a differenza degli altri enti naturali, pensa e si rappresenta, ovvero è anche un ente spirituale e, pertanto, «come spirito si sdoppia, in quanto egli dapprima è la cosa di natura, ma inoltre è altrettanto bene per sé, si intuisce, si rappresenta, pensa e soltanto attraverso questo attivo esser per sé è spirito».12 A proposito dello sdoppiarsi in quanto spirito, Hegel attribuisce alla modernità la colpa di aver prodotto nell’uomo una scissione per cui egli sente di appartenere a questi due mondi, il mondo del sensibile e dello spirituale, ma in modo contraddittorio per cui «la coscienza erra in questa contraddizione e, sbalestrata da un capo all’altro, è incapace di essere soddisfatta con se stessa nell’uno come nell’altro».13 La modernità ha pensato l’uomo, a causa della sua duplice natura – sensibile e spirituale – come a un essere scisso tra libertà e necessità e il segno di questa scissione, come anche la tensione a superarla, lo si può vedere in ogni attività propria dell’uomo stesso. Inoltre, la sua natura sensibile esige una risposta immediata ai bisogni, ma questo tipo di soddisfacimento si colloca nella sfera del finito e non esaurisce il bisogno nella sua totalità. Infatti,
l’uomo aspira alla soddisfazione ed alla libertà nel sapere e nel volere, nelle conoscenze e nelle azioni. L’ignorante non è libero perché di contro a lui si staglia un mondo estraneo […] L’impulso al desiderio di sapere […] sorge soltanto dallo sforzo di togliere quel rapporto di non libertà e di appropriarsi del mondo nella rappresentazione e nel pensiero.14
Per una soddisfazione completa dei bisogni dell’uomo occorre che il suo volere e il suo sapere trovino 'soddisfazione nel mondo' mediante la conciliazione di «soggettivo ed oggettivo, di libertà interna e di necessità esistente esternamente».15 L’arte dovrebbe operare in modo da permettere alla coscienza di riconoscersi come spirituale senza che ciò comporti una contraddizione con il suo essere anche un ente naturale legato alla corporeità; ciò sembra possibile proprio perché l’arte stessa – e l’opera d’arte – è in sé caratterizzata dalla conciliazione di forma e contenuto, ovvero di sensibile e spirituale.16 L’arte permette all’uomo, in primo luogo, di diventare cosciente di sé ovvero del suo essere unione di naturale e spirituale, del suo essere un soggetto libero e, in secondo luogo, poiché lo spirito deve sempre rendere oggettivo ciò che è in sé, questa nuova coscienza dell’uomo si traduce nella tensione a modificare all’esterno la realtà tramite la propria attività. Un soggetto libero, quindi, per essere veramente tale, deve sempre confrontarsi con ciò che gli è esterno ed estraneo, ma che si rivela invece il tramite necessario per soddisfare un bisogno vitale. A ragione si è detto, a questo proposito, che lo scopo dell’arte in Hegel potrebbe essere formulato riprendendo il detto dell’Heautontimorumenos di Terenzio «homo sum, humani nihil a me alienum puto».17
Per comprendere l’affermazione centrale, ovvero che «il bisogno universale dell’arte è quello razionale, ossia che l’uomo debba elevare a coscienza spirituale il mondo esterno e interno come un oggetto, in cui egli riconosce (wiedererkennt) il suo Sé vero e proprio»,18 bisogna tornare all’inizio delle Lezioni, quando Hegel delimita l’oggetto dell’estetica e difende la sua filosofia dell’arte da alcune possibili obiezioni. Un punto decisivo per il riconoscimento emerge a partire da quando Hegel invita a rifiutare l’idea che l’arte sia solo uno strumento utile al miglioramento morale degli uomini, così come la possibilità che essa possa solo intrattenere e costituire uno svago e circoscrive la sua indagine, come già anticipato, all’arte «libera nei suoi fini come nei suoi mezzi».19 Questa caratterizzazione non sorprende, dal momento che l’arte fa parte dello spirito assoluto, ma il punto è che a partire dalla determinazione dell’arte come arte libera, Hegel costruisce il rapporto tra uomo e spirito in modo significativo per la comprensione del riconoscimento. Egli, infatti, prosegue affermando che l’arte libera condivide con la religione e la filosofia la capacità di esprimere il divino, lo spirito, tuttavia l’arte opera «in una maniera particolare»20 in quanto «rappresenta anche ciò che è supremo sensibilmente e lo avvicina dunque al modo di apparire della natura, ai sensi e al sentimento».21 L’arte, a differenza della religione e della filosofia, quando prende a oggetto ciò che è supremo, il divino, non teme di corromperlo con la materia sensibile e, avvicinandolo a noi tramite il medium sensibile, ci fa percepire che non c’è contraddizione tra sensibile e spirituale:
Ciò in cui il pensiero penetra e che il pensiero innalza innanzitutto come un Aldilà di contro alla coscienza immediata e ai sentimenti correnti è la profondità di un mondo soprasensibile; è la libertà della conoscenza pensante che si sottrae all’Aldiqua, vale a dire alla realtà sensibile e alla finitezza. Lo spirito però è capace di sanare la frattura verso cui procede; lo spirito produce da se stesso le opere dell’arte bella come il primo anello conciliatore tra il meramente esterno, sensibile e transitorio e il puro pensiero, tra la natura e la realtà finita e la libertà infinita del pensiero concettuale.22
Facendo un passo ulteriore, se lo spirito produce le opere d’arte poiché tramite esse è possibile cogliere sensibilmente l’assenza di contraddizione tra sensibile e spirituale, tra libertà e necessità, e se le opere d’arte, quindi, a loro volta manifestano sensibilmente il divino/lo spirito/gli interessi più elevati dell’uomo, l’uomo può allora riconoscere, in questo scambio, la caratteristica universale del suo esistere23 ovvero la libertà.24 Se l’arte apre «un varco attraverso lo spirito»25 e la libertà è la «somma determinazione dello spirito»,26 allora è chiaro che il punto di arrivo del riconoscimento, per l’uomo, deve essere la sua libertà. Per Hegel tutto il processo storico rappresenta lo sviluppo dello spirito assoluto e, in questo suo sviluppo, il guadagno per l’uomo è la coscienza della libertà. Scrive a riguardo John Shannon Hendrix:
in the process the Spirit enters nature, then steps out of the real into consciousness, then detaches itself from its relationship with the real, the particular, in consciousness, and enters into the pure universality of freedom, Absolute Mind, where Spirit attains self-consciuosness, the goal of historical development. Absolute Mind is the continual dialectical process of Spirit realizing itself in self-consciousness in world history.27
L’arte, non più inglobata nella religione come accadeva nella Fenomenologia,28 assume un ruolo di rilievo all’interno quelle pratiche storiche e sociali che conducono l’uomo a ritrovare se stesso29 in ciò che ha prodotto e che gli era diventato estraneo. Ma come ciò sia possibile – il processo dello spirito che si appropria di sé – lo si può comprendere solo a partire dalla natura dell’opera d’arte e da quelle caratteristiche che fanno sì che riconosciamo noi stessi o qualcosa a noi familiare nella rappresentazione.
3. Le potenze universali dello spirito
Nel paragrafo dedicato alle «potenze universali dell’agire», all’interno della trattazione della determinatezza dell’ideale come azione, Hegel affronta questo problema affermando che le potenze che guidano l’azione e che ritroviamo rappresentate all’interno di un’opera rispecchiano i fini assoluti ed essenziali per l’uomo. Queste potenze arrivano spesso a confliggere l’una con l’altra, poiché si trovano nel momento della determinatezza dell’idea; tuttavia, poiché la loro rappresentazione deve esprimere il bello artistico in quanto ideale, queste devono al contempo rispecchiare una razionalità comune. Le potenze, ovvero gli interessi supremi dello spirito e i grandi motivi dell’arte, sono:
Famiglia, patria, Stato, chiesa, gloria, amicizia, ceto sociale, dignità e, nel mondo del romantico, in maniera particolare onore ed amore, ecc. Queste potenze sono varie a seconda del grado della loro validità, tutte quante, però sono in se stesse razionali. Nel medesimo tempo esse sono le potenze dell’animo umano, che l’uomo, appunto perché è uomo, deve riconoscere (anzuerkennen), lasciar operare in se stesso e realizzare.30
Il primo carattere dell’opera d’arte, funzionale al riconoscimento, riguarda quindi la presenza dell’azione. L’arte deve occuparsi nella rappresentazione della 'cerchia dell’agire' dove per 'agire' si intende lo scontro tra azione e reazione che conduce l’ideale alla sua concretezza; è a questo punto che vengono introdotte le potenze dello spirito che sono dette 'potenze universali dell’agire' e che costituiscono contenuto e scopo dell’azione compiuta per mezzo dell’arte. L’opera d’arte ci permette, tramite la rappresentazione sensibile, non solo di assistere allo scontro tra le potenze universali ma soprattutto di riconoscere che queste – così come il loro scontro – costituiscono anche il contenuto dei nostri supremi interessi. Si ritiene, dunque, che tali potenze nel loro venire a determinazione tenderebbero a permanere nell’opposizione e ad apparire come un fattore inessenziale, ma
quei nessi non sono, però, quanto viene stabilito soltanto a livello esteriore, bensì le forze in sé e per sé sostanziali, che, proprio perché racchiudono in sé il vero contenuto del divino e dell’umano, permangono anche come ciò che, nell’agire, incalza verso ciò che finisce col realizzarsi sempre.31
In sintesi, l’arte contribuisce al riconoscimento attraverso la rappresentazione delle potenze universali, facendo emergere che esse costituiscono ciò che anima gli interessi dell’uomo e che, esattamente come avviene nell’opera d’arte, queste possono arrivare a produrre uno scontro all’interno dell’animo umano; contemporaneamente, esse sono anche un qualcosa di razionale ed essenziale. Se, infatti, il loro scontro fosse puramente negativo e immerso nell’opposizione, allora la rappresentazione di tale scontro non avrebbe alcun posto significativo nell’arte poiché la pura opposizione non può far emergere l’ideale, il quale necessita invece della dialettica di azione e reazione.
4. Le determinazioni concrete delle potenze universali
Per fare un esempio di cosa sia una potenza universale dello spirito bisogna pensare a quando nel mito vengono menzionati Amore e Venere, in quanto la loro presenza nel mito non ha il semplice scopo di rappresentare ma anche di farci comprendere che Amore e Venere sono in noi e che, contemporaneamente, non esistono solo nella nostra interiorità. O meglio, le due potenze sono oggetto di una buona rappresentazione artistica quando arriviamo a comprendere la loro presenza sia in noi che fuori di noi in quanto rappresentate, quando riusciamo a percepire il collegamento tra il nostro interno e il nostro esterno, che in questo caso è l’opera e il suo contenuto.
In Omero la rappresentazione agisce in modo da far sembrare apparentemente che gli dei operino in modo diverso dagli uomini, in realtà l’agire dell’uomo e quello degli dei è sempre intrecciato, tant’è che gli dei compiono rispetto all’uomo «soltanto ciò che costituisce la sostanza del suo animo interno».32 Hegel cita alcuni passi dell’Iliade33 a dimostrazione del fatto che, anche nelle rappresentazioni più complesse, – come accade nel caso del monologo interiore di Achille – è sempre presente un collegamento tra interno ed esterno e ciò va a precisare ulteriormente il senso del riconoscimento che viene chiamato in causa in questi passaggi. Continuando, afferma che vi è una sorta di ironia nel fatto che, nonostante la loro apparente serenità, gli dei perdano sempre più di autonomia nel momento in cui si rivelano come potenze proprie dell’animo umano e nel momento in cui la loro presenza serve solo a far sì che «l’uomo, che si trova in loro, sia nondimeno presso di sé».34
Gli antichi non sono gli unici ad aver rappresentato con maestria questo tipo di riconoscimento, in quanto anche nella modernità esiste ancora qualche illustre esempio, come l’Ifigenia di Goethe,,35 opera che viene più volte citata nel corso delle Lezioni di estetica. Nel caso di Goethe forse è ancora più evidente il fatto che col sacrificio di Ifigenia non si assiste a una relazione di comando-obbedienza tra dei e uomini, in quanto la protagonista stessa36 si fa portavoce del riconoscimento e comprende che non vi è differenza tra il volere degli dei e ciò che si trova in lei stessa. Un altro elemento importante per il riconoscimento, all’interno dell’Ifigenia di Goethe, riguarda il momento in cui Oreste riceve dalla dea Atena il permesso di portare la sorella a casa, ponendo fine alla maledizione. L’abilità di Goethe consiste, ancora una volta, nel mantenere il nesso tra interno ed esterno, per cui ciò che scioglie la vicenda non è solo un oracolo divino esterno all’uomo, bensì la 'bellezza morale' di Ifigenia e il legame col fratello Oreste: «riconoscendola, egli, che nel suo animo lacerato non nutre più alcuna fede di aver pace, senza dubbio si infuria, ma altrettanto bene viene guarito […] grazie al puro amore della sorella».37 A questo proposito, nel corso del 20/21 Hegel aveva aggiunto che
Goethe ha avuto di nuovo una bella trovata riguardo al doppio senso dell’oracolo. Tramite ciò Goethe mostra di nuovo che non è la mera esteriorità, l’immagine di legno a dare a Oreste la sua quiete, a conciliare il suo destino, bensì che è sua sorella a compiere ciò, a proteggere tutta la casa. Così su questo versante totalmente materiale anche il rapporto puramente prosaico viene tolto.38
Dal punto di vista dell’azione, l’Ifigenia si contrappone all’Amleto di Shakespeare; Amleto, infatti, viene paragonato, per la sua incapacità di agire, all’anima bella, completamente ripiegata in se stessa, nella sua malinconia.
Ritornando al tema delle potenze universali dello spirto in quanto espressione dell’animo umano, esse devono essere intese innanzitutto come un pathos, non nel senso di una passione generica né di una passione egoistica. L’aspetto più rilevante per il riconoscimento è che il pathos, nel suo senso più elevato, appartiene solo all’uomo; il pathos, come potenza universale, costituisce per l’uomo sia una totalità presente nel suo animo sia una singolarità concreta, in quanto «questa totalità è l’uomo nella propria spiritualità concreta e soggettività di questa, l’individualità umana totale come carattere. Le divinità si trasformano in pathos umano, e il pathos in una attività concreta è il carattere umano».39 Alla fine della parte dedicata al «carattere» che chiude a sua volta il paragrafo sull’azione, Hegel ribadisce che
l’ideale consiste nel fatto che l’idea è reale, ed a questa realtà appartiene l’uomo come soggetto e perciò come un’unità in sé salda. […] L’elemento essenziale è un pathos essenziale in sé determinato, in un petto ricco, colmo, il cui mondo interno e individuale pervade il pathos in maniera tale che giunga a rappresentazione questa compenetrazione e non soltanto il pathos come tale.40
L’ideale dell’arte è dato, quindi, dalla compenetrazione tra l’interiorità dell’uomo e il pathos. In tale compenetrazione, però l’uomo rimane comunque legato all’esistenza determinata, «deve sentirsi perfettamente a proprio agio nell’ambiente del mondo e […] l’individualità deve abituarsi alla natura e a tutte le relazioni esterne, e quindi apparire libera».41 Coniugare l’ideale con la sua realtà oggettiva significa che
entrambi i versanti, la totalità soggettiva interna del carattere e delle sue condizioni e azioni e quella oggettiva dell’esistenza esterna, non rimangono indifferenti l’uno all’altro ed eterogenei, bensì mostrano di armonizzarsi e di coappartenersi reciprocamente. L’oggettività esterna, nella misura in cui è la realtà dell’ideale, deve rinunciare alla propria mera autonomia […] allo scopo di mostrarsi identica a ciò di cui costituisce l’esistenza esterna.42
L’opera d’arte ideale, conciliata con la sua esteriorità, ha valore non solo nel suo sviluppo autonomo, ma anche per il pubblico che nella tradizione classica la vive empaticamente e nella modernità la 'riconosce' come tale. Hegel sostiene infatti che, come gli attori che mentre recitano si rivolgono a noi, anche indirettamente, così «ogni opera d’arte è un dialogo con chiunque le stia di fronte».43 L’artista «crea per il pubblico ed innanzitutto per il proprio popolo ed il proprio tempo, che devono esigere di poter concepire e di percepire l’opera d’arte come familiare».44 Facendo un passo ulteriore, nell’opera d’arte l’uomo si riconosce perché vi trova espresso, con i limiti legati al mezzo sensibile, il suo bisogno e la sua essenza più elevati, ovvero la libertà che lo spinge a sapere e a considerare il mondo come qualcosa di familiare.45 Il fatto che l’opera d’arte possa adempiere a ciò con una dettagliata ricostruzione storica dei luoghi, delle usanze e delle istituzioni è solo l’aspetto minore dell’opera d’arte come forma di autocomprensione; infatti, il vero interesse in essa è dato dalla possibilità di ritrovarvi un contenuto oggettivo che serve agli uomini per la propria realizzazione culturale, ovvero per arrivare a comprendere il significato della propria attività e i bisogni più profondi di un’epoca.
Ciò che Hegel chiama la 'vera oggettività dell’opera d’arte' è, dunque, ciò che permette all’uomo di appropriarsi di un’epoca, in cui trova riflesse le proprie considerazioni e aspirazioni, sentendo in questo modo che la realtà esterna non gli è estranea. L’oggettività dell’opera agisce facendo apparire questo bisogno dell’uomo nella totalità delle componenti dell’opera d’arte, anche in quelle di minor importanza, per mezzo del pathos: «la vera oggettività ci rivela dunque il pathos, il contenuto sostanziale di una situazione e la ricca, potente individualità, nella quale i momenti sostanziali dello spirito sono vivi».46 Se si verifica ciò «un’opera d’arte è in sé e per sé oggettiva, tanto nel caso in cui i dettagli esteriori siano storicamente esatti quanto in caso contrario».47 Ciò che consente all’uomo il riconoscimento, dunque, non è tanto l’aspetto esteriore composto dalle dettagliate ricostruzioni storiche, perché esse si occupano di un aspetto mutevole a seconda delle epoche, il quale, appunto perché mutevole, non può essere la base per il riconoscimento. Invece, «il fondamento perenne è sempre l’elemento umano dello spirito, che è in generale quel che permane davvero e ha forza e il cui effetto non può mancare, dal momento che questa oggettività costituisce anche il contenuto e il compimento del nostro interno».48
5. La ricerca dell’universale
Dopo aver presentato la vera oggettività dell’opera, Hegel passa alla «considerazione soggettiva dell’arte», presentata all’inizio della seconda parte sulle forme particolari dell’arte. In questa parte, Hegel intende riprendere l’ideale artistico in quanto tale, fornendo una spiegazione 'soggettiva' che tiene conto del bisogno di riconoscimento tramite l’arte, per poi arrivare a spiegare la differenza che dà origine alla suddivisione in simbolico, classico e romantico:
Se noi intendiamo discutere del primo apparire dell’arte simbolica in maniera soggettiva, possiamo rammentare la massima secondo cui l’intuizione artistica in generale, così come quella religiosa – o piuttosto ambedue allo stesso tempo – e la stessa ricerca scientifica, hanno origine con la meraviglia. L’uomo che ancora non si meraviglia di niente, vive in una condizione di ottusità e di torpore. Nulla suscita il suo interesse e nulla per lui esiste, visto che per sé non si è ancora separato e liberato dagli oggetti e dalla loro singola esistenza immediata. All’opposto, colui che non si meraviglia più di nulla, valuta l’intera esteriorità come qualcosa di cui egli stesso è venuto a capo.49
Per Hegel, dunque, l’origine soggettiva dell’arte deve essere rintracciata nella meraviglia e ciò vuol dire che l’arte stessa – il bisogno di essa e poi l’intuizione artistica – non può sorgere in colui che vive ancorato all’immediatezza del legame con la natura, cioè quando si è pienamente immersi nell’esteriorità. Si tratta in questo caso della contrapposizione tra arte e natura che conduce Hegel ad affermare la 'superiorità' del prodotto artistico su quello naturale50 ad indicare che la meraviglia che porta all’arte non può presentarsi in un animo che non ha ancora operato una prima riflessione nei confronti dell’esteriorità immediata.
Tuttavia, la meraviglia non sembra poter toccare nemmeno chi ha compiuto una riflessione tale da aver raggiunto l’assoluta libertà e autocoscienza. Tale condizione potrebbe essere spiegata in analogia a quanto viene sostenuto da Hegel a proposito delle potenze universali dello spirito. Egli precisa che, nonostante le divinità della tragedia interferiscano con le vicende dell’uomo, è solo quest’ultimo il vero artefice della trama e colui a cui vanno riferite le potenze universali. L’animo degli dèi non è animato dal conflitto fra tali potenze e infatti, quando la loro presenza non è più necessaria nelle vicende degli uomini, gli dèi «fanno ritorno, beati, all’Olimpo».51 Dunque, la meraviglia
giunge ad apparire soltanto laddove l’uomo, sottratto al primo e più immediato rapporto con la natura e al legame diretto, meramente pratico del desiderio, si ritrae spiritualmente dalla natura e dalla propria esistenza singola, cercando e scorgendo nelle cose un che di universale, di in sé essente, di duraturo.52
Non solo la meraviglia non si ha qualora il soggetto sia immerso nel rapporto immediato con la natura, ma – secondo la determinazione dell’arte in quanto libera nei suoi mezzi e nei suoi fini –53 bisogna escludere anche quel rapporto pratico che mira all’utilizzo dell’oggetto per uno scopo esterno all’oggetto stesso. Affinché si dia arte deve subentrare in primo luogo la separazione rispetto alla natura, per cui l’uomo può arrivare a comprendersi come un ente non esclusivamente naturale. In secondo luogo, proprio in virtù di questa separazione, la realtà esterna esercita nuovamente un fascino nei confronti dell’uomo che, in questo modo, è sospinto nuovamente verso di essa, al fine di riconoscersi in ciò che ha di fronte e di strappare all’esistenza il suo carattere transeunte. Questo atteggiamento nei confronti della realtà esterna si realizza con le stesse caratteristiche e finalità che animano anche l’attività artistica e cioè l’uomo è sospinto verso l’opera per cogliere in essa una verità duratura.
Si ritiene che uno dei caratteri più importanti del concetto di riconoscimento nell’arte si collochi proprio in questa volontà di ottenere qualcosa di universale per mezzo dell’opera. Ciò viene precisato da Hegel nei termini di una ricerca di qualcosa di duraturo, come prevedibile dal fatto che in questa fase l’uomo ha preso le distanze dalla natura e dal suo carattere mutevole e transeunte; questo passaggio potrebbe in parte ricordare il momento della Critica del Giudizio in cui Kant fa della bellezza il simbolo della moralità. Pur tenendo presente le principali differenze tra la filosofia dell’arte kantiana e quella hegeliana, il richiamarsi di Hegel a Kant è inevitabile e il confronto a proposito del legame tra bellezza e moralità permette di precisare quale sia il senso del riconoscimento che è sotteso all’analisi della filosofia hegeliana dell’arte. Nel §59 della Critica del Giudizio, alla fine della «Critica del Giudizio estetico», Kant afferma che
il bello è il simbolo del bene morale. […] Anche sotto questo punto di vista (di una relazione che è naturale in ognuno, ed ognuno esige dagli altri come un dovere) esso piace con la pretesa al consenso universale, mentre in esso l’animo si sente come nobilitato ed elevato sulla semplice capacità di provar piacere dalle impressioni dei sensi, ed apprezza il valore degli altri secondo una massima simile del loro Giudizio.54
Nonostante in Kant l’accento sia posto sul piacere estetico mentre Hegel mira a considerare l’arte in quanto attività dello spirito, si ritiene che vi siano delle affinità tra le due riflessioni a partire proprio dal bello come simbolo di moralità. Il valore universale del bello in Kant è appunto fondato sul fatto che il bene deve essere inteso come simbolo del bene morale, in virtù della possibilità dell’accordo tra il mondo della natura e quello della libertà. In altri termini
giustificando la validità universale del piacere per il bello sulla base della sua connessione a uno stato d’animo in cui si dà accordo delle nostre facoltà conoscitive in vista della conoscenza egli poteva interpretare l’esperienza della bellezza (della natura) come un’esperienza del nostro essere in armonia con il mondo.55
6. L’origine dell’arte secondo il punto di vista soggettivo
Per quanto riguarda la visione di Hegel, egli distingue tra l’origine dell’arte da un punto di vista soggettivo – punto di vista in parte già anticipato a proposito della meraviglia da cui sorge l’arte – e l’origine della stessa secondo una prospettiva oggettiva. Il punto di vista soggettivo chiama in causa il riconoscimento in quanto in esso si assume che attraverso l’arte l’uomo possa percepirsi come un ente sia naturale che spirituale, senza contraddizione. Ciò è possibile in quanto «in questo ricongiungersi appare immediatamente il fatto che i singoli oggetti naturali […] non vengono concepiti nella loro immediatezza isolata, bensì vengono sublimati nella rappresentazione»;56 attraverso l’arte gli enti naturali rappresentati, che costituiscono per l’uomo uno stimolo a riconoscersi, «acquisiscono per la rappresentazione la forma di un’esistenza universale che è in sé e per sé».57 Poiché Hegel sta introducendo le forme particolari dell’arte e in particolare il simbolico, qui il riconoscimento risente già di questo cambio di prospettiva dall’ideale alle sue determinazioni particolari, infatti il bisogno per l’uomo di ritrovarsi in ciò che ha di fronte viene presentato con i tratti tipici del 'simbolismo del sublime' tant’è che egli afferma che
per un verso l’uomo si contrappone alla natura e alla oggettività in generale come fondamento e le celebra come potenze, per l’altro verso, però, parimenti soddisfa il bisogno di esteriorizzare e contemplare il sentimento soggettivo di qualcosa di superiore, essenziale, universale in quanto oggettivo.58
L’aspetto che riguarda più da vicino il riconoscimento coinvolge nuovamente la ricerca di qualcosa di universale, per cui l’attività artistica dell’uomo, pur riflettendo le esigenze dei diversi periodi storici in cui è collocata, presenta un valore universale e duraturo che è appunto quello di permettere all’uomo di trovare se stesso nella realtà esterna, non percepita più come estranea. Nel distinguere tra una forma di pre-arte – in cui in realtà si colloca l’inizio del simbolico stesso – e l’arte vera e propria, Hegel sintetizza quanto appena affermato: «l’arte comincia nel momento in cui riesce a cogliere in un’immagine queste rappresentazioni secondo la loro universalità e il loro essenziale essere in sé, riportandole a intuizione per la coscienza immediata, e le pone per lo spirito nella forma oggettiva dell’immagine».59 Il porre per lo spirito tali rappresentazioni secondo il loro valore universale nell’oggettività dell’immagine costituisce il momento del dispiegarsi dell’attività artistica come attività dell’uomo e per l’uomo, ovvero come attività dell’artista rivolta anche a un fruitore, secondo il principio per cui l’opera d’arte costituisce un 'per noi'.60 A proposito dell’essere 'per noi', Oscar Meo sostiene che nell’idea che l’opera d’arte debba parlare alla nostra soggettività, diventando totalmente nostra61 vi siano le premesse per precisare il ruolo del riconoscimento. Egli afferma in relazione al 'per noi' proprio dell’opera che «il punto cruciale della sua apertura offerente nei confronti del fruitore è costituito dalla fondamentale Anerkennung, da parte di quest’ultimo, che lo stesso contenuto spirituale anima sia lui sia l’opera d’arte».62 Inoltre
quello che l’opera esige non è di essere incorporata, non di essere divorata, ma di essere lasciata sussistere nel suo essere, così da offrirsi ad un attingimento autenticamente universale e comunitario […] In altri termini, essa esige una Anerkennung, un riconoscimento […] Nella contemplazione estetica l’atto di libera fruizione, proprio perché lascia intatto l’oggetto e non dipende da interessi egoistici o da necessità soggettive, è portatore di un’istanza positivamente interpersonale e fondamento di un riconoscimento comunitario.63
È proprio in questa prospettiva che ci si interroga sul fatto che Hegel potesse in qualche modo aver ereditato la formula kantiana della bellezza come simbolo di moralità. La relazione tra uomo e opera d’arte è possibile tramite il processo di reciproca Anerkennung che implica a sua volta la reciproca libertà di soggetto e oggetto, rafforzando in questo modo la prospettiva intersoggettiva. Questo tipo di Anerkennung, dunque, non è quello classico della Fenomenologia e del rapporto servo-padrone poiché «il meccanismo psicologico su cui si innesta la spirale bisogno-soddisfazione-bisogno (o bisogno-rinuncia-bisogno) è, per l’appunto, contrassegnato dalla negatività: ad esso, e solo ad esso, si oppone sul piano estetico […] la positività della conciliante armonia della bellezza».64 Per capire il significato di tale affermazione ci si può rivolgere alle forme particolari dell’ideale, a partire dall’inizio dell’arte – ovvero il sorgere del simbolico – che è legato alla religione e a cui la rappresentazione artistica sembra inizialmente far eco. Tuttavia, man mano che l’ideale artistico emerge e si particolarizza, l’opera si separa sempre più dai suoi primi caratteri religiosi e già in questa prima determinazione dell’ideale come simbolico si può cogliere che, a differenza della Fenomenologia, l’opera d’arte interessa a Hegel per la propria autonomia e non è più in quanto momento all’interno della religione. Per usare le parole di Hegel, tale cambiamento può essere sintetizzato affermando che
nella religione è l’assoluto in generale che si porta a coscienza, benché in base alle sue più astratte e povere determinazioni. L’arte […] compare solo nel momento in cui l’uomo non contempla immediatamente l’assoluto esclusivamente negli oggetti realmente esistenti, e si accontenta di questo genere di realtà del divino, bensì qualora la coscienza produca a partire da se stessa tanto la concezione di ciò che è per lei l’assoluto nella forma di quel che in se stesso è esterno, quanto l’oggettivo di questo rapporto più o meno conforme.65
Nella differenza tra il modo di rapportarsi all’assoluto della religione e quello dell’arte si coglie che l’unicità dell’arte e la sua separazione dalla religione sono guidate dall’esigenza di sottrarsi a un rapporto di mera ricezione dell’assoluto. Rapportarsi all’assoluto per mezzo dell’arte significa ora 'produrre' nel senso di portare a espressione i supremi interessi dell’uomo – il divino, l’assoluto appunto – e trovare per questo contenuto una forma in grado di far valere l’armonia non contraddittoria della bellezza e di far sentire all’uomo che la realtà esterna non gli è più estranea.
7. Le forme particolari del classico e del romantico
Il modo in cui questo viene manifestato dalle due forme particolari successive, il classico e il romantico, si rivela ancora più utile per comprendere in cosa consiste il legame tra arte e riconoscimento. Per quanto riguarda il classico, tale forma particolare si è manifestata nel mondo greco per la sua capacità di aver posto a oggetto la libertà e, dal punto di vista dell’arte, le manifestazioni del classico sono state le più adeguate a esprimere l’ideale come compenetrazione armonica tra spirito e apparenza. Tuttavia, questo legame tra spirito e apparenza non esaurisce il processo di riconoscimento; al contrario è necessario per lo spirito ritornare dalla realtà esteriore di nuovo in se stesso e questo movimento di ritorno inaugura l’arte romantica. Il momento del passaggio dalla forma d’arte classica a quella romantica, attraverso la religione rivelata, rispecchia quindi il percorso dello spirito dall’esteriorità all’interiorità e ciò si riflette anche sul sistema delle singole arti in cui si passa da forme in cui l’elemento sensibile è preponderante, come accade con la scultura, a forme come quelle del romantico caratterizzate da una progressiva spiritualizzazione intesa sia come dematerializzazione sia, soprattutto, come autentico momento del riconoscimento dello spirito con se stesso.
Rispetto a quanto accadeva nel classico e nella scultura in particolare, nel romantico la verità dello spirito non è più esprimibile semplicemente attraverso la corporeità, in quanto la verità è ora completamente contenuta nell’interiorità della soggettività e da un punto di vista tematico nella rappresentazione vengono accolti i momenti del dolore e della morte provenienti dalla rivelazione. Per i Greci la morte non era un tema centrale tanto quanto lo erano, ad esempio, la colpa e il destino; dall’analisi delle forme artistiche riconducibili al classico è emerso infatti che la morte non suscitava timore o preoccupazione,66 mentre diventa un problema centrale dal Cristianesimo alla modernità in quanto la soggettività spirituale diventa predominante, tutto è ormai ricondotto a essa e alle sue aspirazioni. Il passaggio principale che giustifica l’applicazione del concetto di riconoscimento anche a questa fase dell’attività dello spirito riguarda la trattazione dello spirito in sé e per sé e l’introduzione del concetto di amore.
8. Lo spirito in sé e per sé
Nel presentare il concetto di spirito in sé e per sé – che non potrà essere immediatamente compreso nell’arte – Hegel descrive due istanze contraddittorie in cui ricade lo spirito assoluto stesso. Da un lato, infatti, per il proprio essere spirituale esso richiederebbe una realizzazione solamente nell’interiorità della soggettività, dall’altro lato, però, pur elevandosi dall’immediatezza lo spirito assoluto deve oggettivarsi ed essere intuibile anche nella realtà esterna.67 Questo conflitto si manifesta nel romantico in quanto esso è caratterizzato dal dominio della soggettività ma è anche il luogo in cui lo spirito mette in atto delle risposte – delle sue manifestazioni – che gli permettono di non rimanere impigliato nella contraddizione. Per prima cosa Hegel chiarisce il motivo per cui lo spirito in sé e per sé non può essere oggetto dell’arte e cioè poiché la conciliazione può essere realizzata pienamente e poi compresa solo da un punto di vista esclusivamente spirituale; in altri termini il vero in sé e per sé dello spirito determinerebbe un «sottrarsi, nel proprio elemento meramente ideale, all’espressione artistica».68 Tuttavia,
lo spirito […] deve acquisire nella propria conciliazione affermativa, per mezzo dell’arte, un’esistenza spirituale, nella quale non soltanto viene saputo come puro pensiero, a livello ideale, bensì può anche essere sentito e intuito, così, come unica forma che attui la doppia esigenza per un verso della spiritualità e per l’altro verso della possibilità di cogliere e di rappresentare per mezzo dell’arte, non ci resta altro che l’intimità dello spirito, l’animo, il sentimento.69
La conciliazione dello spirito deve essere rappresentata anche sensibilmente, deve essere intuibile nella realtà esteriore, ma poiché la conciliazione stessa deve essere compresa da un punto di vista spirituale, anche la raffigurazione artistica deve avere a oggetto la soggettività spirituale. L’arte avrà dunque a oggetto il sentimento dello spirito, a cui Hegel si riferisce come 'amore' e 'amore religioso'. L’amore è adatto a rappresentare questa condizione dello spirito perché in esso si trovano 'sul versante del contenuto' i momenti che Hegel ha segnalato in questo concetto principale dello spirito assoluto e cioè: il riconciliato «ritorno a se stesso dal proprio altro»70 per cui «questo altro, in quanto altro nel quale lo spirito permane presso se stesso, a sua volta può essere soltanto un che di spirituale, una personalità spirituale».71 Il riconoscimento ottenuto per mezzo del concetto di amore, quale ideale del romantico, si realizza tra due enti di natura spirituale, ovvero lo spirito torna in se stesso a partire dal proprio altro in quanto altro spirituale. Questa è la novità riscontrata nell’ultima forma dell’ideale, in quanto fino al classico la conciliazione si giocava sul rapporto tra spirito e natura, tra interno ed esterno, mentre ora viene chiamato in causa esplicitamente un altro ente spirituale a fare da contrappeso all’attività dello spirito.72
Dal punto di vista della comprensione di sé che l’uomo può ricavare per mezzo dell’opera, si è detto più volte che l’opera d’arte ha una natura intermedia tra il sensibile e lo spirituale: nel caso del romantico è evidente come il lato spirituale abbia un peso maggiore – a causa di quanto si è detto sul dominio della soggettività e sulla necessità dello spirito di riconoscersi attraverso un altro ente anch’esso spirituale – ma, al contempo, poiché ci troviamo ancora nello stadio dell’arte, l’opera fa sì che il contenuto mantenga un legame con il corporeo per cui anche l’esperienza più interna dello spirito con se stesso deve esprimersi esternamente. A questo proposito Hegel afferma che «animo, cuore, sentimento, benché restino spirituali e interni, tuttavia possiedono sempre […] un rapporto con il sensibile e il corporeo»73 ovvero «possono manifestare anche all’esterno la vita e l’esistenza più interna dello spirito, tramite la corporeità, lo sguardo, i tratti del volto o, in maniera più spirituale, mediante il suono e la parola».74 Ciò che potremmo, ad esempio, ricavare dall’arte cristiana potrebbe riguardare il tentativo di dare significato alla sofferenza dell’uomo, o meglio il rapportarsi a opere potrebbe costituire un tentativo collettivo di conciliarci con la sofferenza stessa.75
All’interno del capitolo sulla «cavalleria», Hegel descrive i valori tipici di questa realtà, ovvero onore, amore e fedeltà e insiste sul fatto che lo spirito «deve uscire dal regno celeste della propria sfera sostanziale, guardare in se stesso, e pervenire a un contenuto attuale che appartenga al soggetto in quanto tale».76 Le tre forme qui descritte non devono essere confuse con delle virtù etiche; esse sono piuttosto delle modalità che lo spirito, concentrato in sé, assume di volta in volta nel corso della cavalleria. È evidente allora che in questa parte devono emergere necessariamente i rapporti tra individui determinati; inoltre, e qui interviene una prima differenza tra la parte religiosa del romantico e la sua parte mondana, Hegel afferma che le virtù del Cristianesimo facevano dell’uomo un soggetto libero solo a condizione che egli sacrificasse la propria libertà umana,77 mentre «la libertà soggettiva dell’ambito che adesso abbiamo di fronte senza dubbio non è più condizionata da mera rassegnazione e sacrificio e al contrario è in sé affermativa».78
Per quanto riguarda il tema dell’onore, secondo il senso più moderno del termine non si può dire che questo animasse la poetica degli antichi, mentre caratterizza moltissimo la poesia moderna in quanto essa è «completamente libera, scevra di materia, crea e produce in maniera pura».79 Il modo in cui Hegel descrive l’onore risente direttamente della nozione di riconoscimento nel senso più vero e forse più generale che è possibile ricavare dalle Lezioni, infatti egli afferma che nell’onore romantico «l’offesa non si riferisce al valore concreto, alla proprietà, alla condizione sociale, al dovere ecc. bensì alla personalità in quanto tale e alla rappresentazione che essa ha di se stessa, al valore che il soggetto si ascrive per se stesso»80 Hegel parla, inoltre, della parvenza dell’onore che consiste nel luogo in cui la coscienza affermativa della soggettività infinita finisce per coincidere con il modo con cui essa viene rappresentata, cioè non per come è realmente; tuttavia questa determinazione dell’onore può valere solo a livello generale, mentre l’onore romantico «deve essere valutato come l’apparire e il riflettersi della soggettività in se stessa, apparire e riflettersi che, in quanto parvenza di un infinito in sé, sono essi stessi infiniti».81 Riassumendo, l’uomo, una volta uscito dalla cerchia religiosa e dall’assoluta interiorità, si rivolge nuovamente alla realtà, al mondano, per trovarvi solo la propria infinità e nell’onore egli trova riflessa la propria personalità: «la parvenza dell’onore si trasforma nell’autentica esistenza del soggetto».82 Onore e amore83 diventano poi l’uno l’attuazione dell’altro in quanto
il bisogno dell’onore consiste nel vedersi riconosciuto e nel vedere accolta l’infinità della persona in un’altra. Questo riconoscimento (Anerkennung) è vero e totale, soltanto nel momento in cui la mia personalità non viene puramente rispettata dagli altri in astratto o in un caso isolato concreto e perciò circoscritto, bensì quando io, in base alla mia intera soggettività, con tutto ciò che essa è e racchiude in sé, come questo individuo determinato, quale era, è e sarà, pervado dalla coscienza di un altro e ne costituisco il volere e il sapere.84
Entrambi i soggetti sono accolti per la loro infinità e non soltanto per una fase del rapporto ma anche per ciò che essi continueranno a essere. Per quanto riguarda l’amore, poi, Hegel precisa che lo smarrirsi della coscienza in un’altra è solo «parvenza di sacrificio»85 poiché in realtà è il modo con cui «il soggetto ritrova se stesso e si trasforma in un Sé»:86 ciò costituisce l’infinità dell’amore. Talvolta amore e onore possono entrare in conflitto, oppure l’amore può arrivare a scontrarsi con altri interessi sostanziali, ad esempio con le potenze universali dello spirito87 e si creano delle collisioni all’interno dell’amore stesso; tuttavia Hegel afferma che queste collisioni hanno un valore solo accidentale, specialmente quando sorgono per ragioni che chiamano in causa gli interessi supremi dello spirito. La conflittualità in questo caso conserva un aspetto di «illegittimità, dal momento che è la soggettività in quanto tale a opporsi, con le sue richieste in sé e per sé non valide, a quel che deve esigere di essere riconosciuto a motivo della propria essenzialità».88
9. Conclusioni
Considerata la tesi 'passatista' dell’arte, viene da chiedersi se sia possibile una qualche forma di riconoscimento per mezzo dell’arte anche per noi contemporanei. Una delle possibili risposte è che l’arte permetta ancora oggi di contrastare la tendenza alla normalizzazione e standardizzazione. Certo dal punto di vista hegeliano l’arte non può conciliare definitivamente le opposizioni, ma questo anziché costituire un limite è piuttosto l’aspetto più positivo dell’arte stessa. A questo proposito si potrebbe sostenere che «l’arte dia corpo, voce e protezione al lato particolare e accidentale dell’esistenza individuale e al desiderio di libera autorealizzazione contro le tentazioni totalizzanti e totalitarie del pensiero e della politica»;89 pertanto è necessario riconoscere – con le parole di Hegel – che «la Bildung generale dell’uomo è in primo luogo la Bildung sensibile e poi in secondo luogo l’intromissione della forma universale nell’apparenza sensibile».90
Per evitare di incorrere in una visione troppo ottimistica sulle possibilità dell’arte, William Desmond in Art an the Absolute ci ammonisce sul fatto che il rapporto di Hegel con l’arte è sia di ammirazione e valorizzazione, sia di critica.91 Egli afferma però anche che questo rapporto ambivalente nei confronti dell’arte serve per pensare in modo meno rigido la subordinazione dell’arte alla filosofia, ovvero in modo tale che questa subordinazione venga vista più come una reciproca apertura. L’argomentazione di Desmond richiama il tema della conciliazione delle opposizioni ma fa leva soprattutto sul tipo di linguaggio usato da Hegel stesso: un linguaggio ricco di metafore, analogie e simboli, ovvero un linguaggio che difficilmente si lascia classificare come parte di una filosofia rigida e astratta. Se si riconducesse la filosofia di Hegel al tipico conflitto antico tra poesia e prosa – in cui andrebbe collocata la filosofia hegeliana – si cadrebbe nell’errore di intendere Hegel come un filosofo della razionalità astratta. La visione hegeliana è esattamente l’opposto nella misura in cui il concetto e l’immagine non costituiscono i due poli di una opposizione ma possono essere compresi come parte di una unità superiore. Proprio per questa unità, che fonda un indissolubile rapporto tra concetto e immagine, sarebbe possibile pensare alla subordinazione dell’arte alla filosofia più come a un intreccio da cui entrambe escono arricchite. Poiché Hegel ha posto la filosofia al vertice del suo sistema, sembra difficile comprendere cosa essa possa guadagnare dall’arte ma, a tal proposito, Desmond ribadisce che «the concept, we may suspect, sometimes secretly draws on the resources inherent in the image, even despite the fact that part of one’s stated aim is to attempt to trascend the image».92
Infine, la riflessione di Desmond è utile per il riconoscimento poiché, per difendere il carattere assoluto dell’arte rispetto a religione e filosofia, egli afferma che l’arte come fenomeno estetico è fatta a partire dall’uomo, grazie alla potenza creatrice dell’uomo e per l’uomo. Ciò non significa accettare una riduzione antropologica dell’arte, nello stesso modo in cui Feuerbach avrebbe considerato la religione; piuttosto, la nozione estetica di riconoscimento «reveals itself as the dialectical self-mediation of man in imaginative form».93 Anche se l’arte si rapporta a oggetti concreti, alla sensibilità e alla molteplicità non significa che essa non sia in grado di cogliere l’assoluto; al contrario per Hegel è in grado di arrivare a una universalità e «prendendo a prestito il singolo elemento […] essa evoca mondi, apre a mondi».94
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Bubbio P.D., 2014: L’Estetica nel dibattito anglosassone contemporaneo sulla metafisica hegeliana, in Farina M. – Siani A.L. (a cura di), L’estetica di Hegel, Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 140-165. ↩︎
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Testa I., 2010: La natura del riconoscimento. Riconoscimento naturale e ontologia sociale in Hegel, Milano-Udine, Mimesis, 2010, p. 22. ↩︎
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Hegel G.W.F., 1835: Estetica, tr. it. a cura di F. Valagussa, Milano, Bompiani, 2012, p. 151. ↩︎
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Ibidem. Al posto del termine 'callistica' che è stato introdotto per rimediare alla inadeguatezza del termine 'estetica'. ↩︎
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Ibidem. In realtà, da Hegel, Schelling, Solger in poi, si continua a usare un termine che non restituisce più il suo significato originario e che è invece «proprio di quella scienza che i filosofi dell’idealismo tedesco hanno superato» (Szondi P., 1986: La poetica di Hegel e Schelling, tr. it. a cura di A. Marietti Solmi, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 1986, p. 19). ↩︎
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Questa affermazione può essere intesa in due modi diversi ma complementari e quindi, da un lato, l’arte di cui Hegel si sta occupando ha una sua scientificità ma si differenzia dalla scienza per il fatto che non «può essere utilizzata come intelletto di cui servirsi di scopi finiti e mezzi casuali». Se venisse utilizzata per scopi finiti, allora trarrebbe origine «non da se stessa, bensì mediante altri oggetti ed altri rapporti» e non sarebbe libera. Cfr. Hegel G.W.F., 1835: Estetica, tr. it. a cura di F. Valagussa, Milano, Bompiani, 2012, p. 163. Inoltre, non solo l’arte nella sua libertà è l’unica arte vera e propria, ma l’arte deve anche presentare all’uomo le «verità dello spirito che tutto abbracciano» (Ibidem) e questa verità è per l’uomo la libertà stessa. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Szondi ritiene in proposito che nella Fenomenologia Hegel non tratti «l’Antigone di Sofocle come un’opera d’arte, ma come un documento dove è fissata la collisione di due periodi della storia dello spirito, e cioè del diritto divino e di quello umano» (Szondi P., 1986: La poetica di Hegel e Schelling, op. cit., p. 23). Per considerare il valore dell’opera in quanto tale bisogna aspettare i corsi sull’Estetica. Hegel arriva a determinare le caratteristiche di un’opera d’arte confutando le rappresentazioni usuali dell’opera d’arte e conclude invece che: «l’opera d’arte non è un prodotto naturale, bensì è prodotta dall’attività umana; è creata essenzialmente per l’uomo […]; ha un fine in sé» (Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op.cit., p. 207). Anche in altri passaggi successivi, come nella trattazione della «oggettività della rappresentazione», Hegel ritorna a confutare le opinioni consolidate sulla natura dell’opera d’arte, come ad esempio l’idea che «nell’opera d’arte ogni contenuto debba assumere la forma della realtà già parimenti esistente». L’opera d’arte ha invece il compito di «far emergere dall’interno alla sua vera forma esterna solo quanto è in sé e per sé razionale» (Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., p. 815). ↩︎
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Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit, p. 221. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Ivi, p. 77. ↩︎
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Ivi, pp. 375-377. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Questo riconoscimento tramite l’arte, per realizzarsi, richiede che l’arte lasci il posto alla religione e alla filosofia, tuttavia fino alla fine del romantico – prima della sua dissoluzione – si possono ancora incontrare forme di riconoscimento che interessano gli individui nei loro legami particolari. ↩︎
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Ross N., 2009: Nothing human is foreign to me: on the role of difference in Hegel’s Aesthetics, in «Philosophy today», 53(4), pp. 337-346. ↩︎
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Hegel G.W.F., 1835: Estetica,op cit., p. 221. ↩︎
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Ivi, p. 161. ↩︎
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Ivi, p. 163. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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In accordo con quanto indicato da Hegel nella Filosofia dello spirito soggettivo; cfr. Hegel G.W.F., 1817: Enciclopedia delle scienze filosofiche, tr. it. a cura di B. Croce, Roma-Bari, Laterza, 2002, § 377. ↩︎
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Ciò avviene nell’arte tramite la bellezza. ↩︎
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Hegel G.W.F., 1835: Estetica, tr. it. a cura di F. Valagussa, Milano, Bompiani, 2012, p. 239. ↩︎
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Ivi, p. 373. ↩︎
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Hendrix J.S., 2005: Aesthetics and the philosophy of spirit. From Plotinus to Schelling and Hegel, New York, Peter Lang Publishing, 2005, pp. 255-256. ↩︎
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Su questo cfr. Pinkard T., 2013: La Fenomenologia di Hegel. La socialità della ragione, tr. it. a cura di A. Sartori e I. Testa, Milano-Udine, Mimesis, 2013; Pippin R.B., 2013: After the beautiful: Hegel and the Philosophy of Pictorial Modernism, Chicago, University of Chicago Press, 2013; Speight A., 2001: Hegel, literature and the problem of agency, Cambridge, Cambridge University Press, 2001. ↩︎
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A questo proposito si ritiene più plausibile l’ipotesi di D’Angelo secondo cui, pur con le notevoli differenze tra l’Estetica e la ristretta trattazione dell’arte nell’Enciclopedia, l’arte non costituisce un intruso nello spirito assoluto in parte anche per questa comunanza di obiettivi, ovvero per il fatto che arte, religione e filosofia costituiscono le vie con cui l’uomo ha tentato di comprendere se stesso. Cfr. D’Angelo P., 1989: Simbolo e arte in Hegel, Roma-Bari, Laterza, 1989. ↩︎
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Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., p. 649. ↩︎
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Ivi, p. 651. ↩︎
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Ivi, p. 661. ↩︎
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Iliade I, v. 190. ↩︎
-
Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., p. 669. ↩︎
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Per queste considerazioni di Hegel cfr. Szondi P., 1986: La poetica di Hegel e Schelling, op. cit.; Kottman P.A. – Squire M. (eds.), 2018: The Art of Hegel’s Aesthetics, München, Wilhelm Fink Verlag, 2018. ↩︎
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Si fa riferimento al momento della conversione di Toante, cfr. Hegel G.W.F., 1835: Estetica, tr. it. a cura di F. Valagussa, Milano, Bompiani, 2012, p. 671. ↩︎
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Ivi, p. 675. ↩︎
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Hegel G.W.F., 1955: Vorlesungen über Ästhetik: Berlin 1820/21. Eine Nachschrift, hrsg. von H. Schneider, Frankfurt a. M., Peter Lang; una traduzione è contenuta in Estetica, op. cit., p. 86. ↩︎
-
Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., p. 687. ↩︎
-
Ivi, p. 707. ↩︎
-
Ivi, p. 727. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ivi, p. 753. ↩︎
-
Ivi, p. 755. ↩︎
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Cfr. anche la tesi contenuta in Pinkard T., 2018: Hegel: Il filosofo della ragione dialettica e della storia, tr. it. a cura di Stefano di Bella, Milano, Hoepli, 2018. ↩︎
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Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., p. 789. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ivi, p. 789. ↩︎
-
Ivi, p. 879. ↩︎
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Nonostante il caso particolare che la figura umana costituisce in quanto prodotto naturale ma contemporaneamente oggetto prediletto di una rappresentazione artistica. Su questo argomento cfr. Peters J., 2015: Hegel on beauty, New York, Routledge, 2015. ↩︎
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Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., p. 659. ↩︎
-
Ivi, p. 879. ↩︎
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Ivi, p. 163. ↩︎
-
Kant I., 1790: Critica del giudizio, tr. it. a cura di A. Gargiulo, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 385. ↩︎
-
Tomasi G., 2016: Arte, in Giuspoli P. – Illetterati L. (a cura di): Filosofia classica tedesca: le parole chiave, Roma, Carocci, 2016, p. 395. ↩︎
-
Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., p. 879. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ivi, p.881. ↩︎
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Il 'per noi' offerto dall’arte non è semplicemente un passaggio da coscienza ad autocoscienza come nel 'per noi' che compare all’inizio della Fenomenologia. Su questo si veda Meo O., 1993: Tragico e fruizione estetica in Kant e Hegel, Genova, Il Melangolo, 1993, pp.7-8. ↩︎
-
Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., p. 789. ↩︎
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Meo O., 1993: Tragico e fruizione estetica in Kant e Hegel,op. cit., p. 26. ↩︎
-
Ivi, p. 16. ↩︎
-
Ivi, p. 40. ↩︎
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Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., 2012, p. 881. ↩︎
-
Almeno fino a Socrate con cui viene inaugurato il problema della soggettività e della sua mortalità. ↩︎
-
Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., p. 1383. ↩︎
-
Ivi, p. 1383. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Per un’analisi delle tre forme particolari cfr. Pinkard T., 2007: Symbolic, classical and romantic art, in Houlgate S., Hegel and the art, Illinois, Northwestern University Press, 2007. ↩︎
-
Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., p. 1383. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Per questa ipotesi ci si rifà sempre a Pinkard T., 2007: Symbolic, classical and romantic art, op. cit., pp. 21 ss. ↩︎
-
Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., p. 1411. ↩︎
-
Ivi, p. 1419. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ivi, p. 1423. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
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Hegel riprende da Hӧlderlin l’idea che l’amore, come l’essere, sia l’unione dei punti vista, di quello soggettivo e di quello oggettivo, del dovere della legge e della particolarità delle inclinazioni; con l’unificazione dei punti di vista «il dovere, la disposizione morale e simili cessano di essere universali, opposti all’inclinazione, e questa cessa di essere particolare, opposta alla legge, la concordanza è allora vita e, come relazione di elementi diversi, è amore» (Hegel G.W.F., 1907: Scritti teologici giovanili, tr. it. a cura di N. Vaccaro ed E. Mirri, Napoli, Guida, 1972, p. 381). ↩︎
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Hegel G.W.F., 1835: Estetica, op. cit., p. 1433. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Come accade quando il soggetto vuole «trovare in quest’unica donna la propria coscienza più elevata e la propria vita […] In questa situazione viene senza dubbio riconosciuta la superiore libertà della soggettività […]. In virtù del volere assolutamente singolo da cui sorge la scelta, questa appare, però, nel medesimo tempo quasi fosse un capriccio» (Ivi, p. 1445). Questo è un esempio di collisione accidentale che può verificarsi all’interno dell’amore e che si conclude con la consapevolezza che se non si perviene al proprio scopo che è quello di essere felici mediante l’amore, non viene compiuto alcun torto nei confronti dell’amore e a nulla vale intestardirsi su una scelta soltanto. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
-
Iannelli F., 2013: Arte, religione e politica in Hegel, Pisa, Edizioni ETS, 2013, p. 229. ↩︎
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Hegel G.W.F., 1837: Lezioni sulla storia della filosofia, tr. it. a cura di R. Bordoli, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 43. ↩︎
-
Desmond W., 1986: Art and the Absolute. A study of Hegel’s Asthetics, New York, SUNY Press, 1986, pp. 4 ss. ↩︎
-
Ivi, p. 16. ↩︎
-
Ivi, p. 40. ↩︎
-
Meo O., 1993: Tragico e fruizione estetica in Kant e Hegel, op. cit., p. 33. ↩︎