Recensione a Domenico Felice (curatore), Leggere «Lo spirito delle leggi» di Montesquieu

Domenico Felice (curatore), Leggere «Lo spirito delle leggi» di Montesquieu, Mimesis, Milano-Udine 2010.

Leggere Lo spirito delle leggi di Montesquieu è una silloge di diciotto saggi che sono apparsi in tre volumi collettivi progettati e curati dal medesimo studioso, Domenico Felice, nell’arco dell’ultimo decennio: Leggere l’«Esprit des lois». Stato, società e storia nel pensiero di Montesquieu (Napoli, Liguori, 1998); Libertà, necessità e storia. Percorsi dell’«Esprit des lois» di Montesquieu (Napoli, Bibliopolis, 2003); Politica, economia e diritto nell’«Esprit des lois» di Montesquieu (Bologna, Clueb, 2009).

Innanzitutto, sorge spontaneo chiedersi quale sia il motivo di riproporre nuovamente questi contributi all’attenzione degli studiosi di Montesquieu, e, a livello più generale, di chi si occupa del pensiero filosofico del XVIII secolo. In effetti, bisogna riconoscere che l’Esprit des lois, pubblicato nel 1748 presso l’editore Jacques Barrillot di Ginevra, non esaurisce affatto la propria portata all’interno dell’œuvre del Président, ma influenza in maniera originale e innovativa il mondo della cultura europea dell’Età moderna.

Già in questa constatazione sulla rilevanza europea dell’Esprit des lois risiede uno dei motivi che ha portato Felice alla pubblicazione di questa raccolta di saggi: nell’«Introduzione» egli si spinge ad affermare che «pare giunto il momento di riconoscere all’autore dell’Esprit des lois in via definitiva (cosa peraltro avvenuta in passato) la metaforica qualifica — solitamente attribuita all’autore del Leviathan o a quello del Contrat social — di Galileo o di Newton della scienza politica, ossia di vero fondatore di tale branca del sapere nell’età moderna».

Un altro importante motivo sembra concernere il piano della storiografia italiana: se l’Esprit des lois ha goduto di un’innegabile fortuna nella nostra penisola nel corso del XVIII e del XIX secolo, la prima metà del Novecento ne registra al contrario un’attenuazione, se non un vero e proprio declino, e ciò a causa del panorama intellettuale che era dominato dalla filosofia idealistica crociana. Bisogna aspettare gli inizi della seconda metà del cosiddetto Secolo breve perché si intensifichino gli studi sull’opera di Montesquieu, e uno dei testi che inaugurano questa stagione di rinnovato interesse è Montesquieu e la scienza della società (1953) di Sergio Cotta, di cui Leggere Lo spirito delle leggi di Montesquieu ripropone un saggio che s’interroga sul nesso tra «separazione dei poteri» e «libertà politica».

In Italia, d’altronde, l’interesse nei confronti del pensiero del Président, oltre a non essersi limitato al mero mondo accademico — Felice ricorda i dibattiti dell’Assemblea Costituente in merito alla teoria della distribuzione del pouvoir nelle diverse puissances — , da allora non è più venuto meno, come la ricca letteratura su Montesquieu mostra nella maniera più esemplare.

Possiamo affermare, di conseguenza, che il secondo motivo che giustifica la scelta del curatore di proporre degli studi esclusivamente italiani risiede nel valore di tali studi all’interno del panorama europeo che si occupa di Montesquieu. In altre parole, con questa raccolta il curatore attribuisce agli intellettuali italiani un ruolo di primo ordine nella promozione e nel rilancio della riflessione filosofica del Président, e in particolare dell’Esprit des lois.

En passant, non dovrebbe destare stupore che Domenico Felice sostenga una tesi che appartiene al piano della storiografia: infatti, oltre ai suoi studi sulla crainte, il principio del dispotismo, lo studioso italiano ha rivolto le proprie ricerche all’influenza esercitata dal pensiero politico di Montesquieu sul contesto nazionale italiano: basti ricordare, in questa sede, Montesquieu in Italia (1800-1985). Studi e tradizioni (Bologna, Clueb, 1986), e Pour l’histoire de la réception de Montesquieu en Italie (1789-2005) (Bologna, Clueb, 2006).

Accanto alla convinzione dello spessore filosofico di Montesquieu, e alla rivalutazione della letteratura critica italiana della seconda metà del Novecento su questo Autore, è doveroso osservare la struttura dell’opera in analisi.

«Le forme di Governo», «Le Forme della Libertà», «L’Uomo e il suo Ambiente», «Economia e Società», «Religione e Politica», «Diritto e Storia»: queste le parti in cui vengono trattati alcuni dei temi di maggiore rilievo dell’Esprit des lois. Non sarà passato inosservato come esse ripropongano la suddivisione in sei parti dell’opera.

In effetti, la decisione, da parte del curatore della silloge, di presentare tre contributi per ciascuna delle sei parti dell’Esprit des lois è intrinsecamente legata all’opinione che il Nostro ha espresso, in più occasioni, a proposito della partizione interna del suo Chef-d’œuvre. Come è noto, Montesquieu non si esime dal manifestare una viva resistenza alla soppressione di tale suddivisione nell’editio princeps del 1748,1 e, inoltre, definisce apertis verbis l’edizione del 1750 come «la plus exacte»2 — come ricorda Domenico Felice, si tratta dell’unica edizione settecentesca in cui compaiano questa partizione.

In questa recensione ci siamo soffermati sui diversi motivi teorici che hanno portato alla composizione di Leggere Lo spirito delle leggi di Montesquieu: essi ci sembrano sufficienti a salutare con favore la pubblicazione di quest’opera, che appare imprescindibile e agli specialisti del pensiero del Président, e agli studiosi del Secolo dei Lumi.

Altro discorso sono gli spunti di attualità che questo Autore continua a suscitare ancora oggi, e che i saggi che compongono la raccolta in analisi contribuiscono ad alimentare: si pensi, ad esempio, al principio dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura che negli ultimi anni della vita politica italiana è stato sovente oggetto di acceso dibattito. A questo riguardo, riteniamo che Leggere Lo spirito delle leggi di Montesquieu si indirizzi anche a tutti quegli intellettuali che vedono nella moderazione un valore necessario per la salvaguardia e lo sviluppo di una vita politica sana e all’insegna di un’idea di giustizia tutt’altro che astratta.

È proprio Montesquieu, in effetti, a essere definito, nelle celebri parole di Voltaire, «Le plus modéré et le plus fin des philosophes»3 — come opportunamente ricorda Felice al termine dell’«Introduzione» — , e ad avere affermato: «Je le dis et il me semble que je n’ai fait cet ouvrage que pour le prouver: l’esprit de modération doit être celui du législateur».4

Federico Bonzi


  1. Cfr. la lettera di Vernet a Montesquieu, 4 settembre 1748, in OC, III, p. 1130. ↩︎

  2. Cfr. la lettera di Montesquieu a Grosley, 8 aprile 1750, in OC, III, p. 1297. ↩︎

  3. Cfr. Voltaire, Lettres à S. A. Mgr le prince de ****, sur Rabelais et sur d’autres accusés d’avoir mal parlé de la religion chrétienne, in Voltaire, Mélanges, Paris, Gallimard, 1961, p. 1206. ↩︎

  4. Montesquieu, De l’Esprit des lois (Paris, Garnier, 1973), t. 1, XXIX, 1. ↩︎