1. Introduzione
Da un’analisi della figura di Dioniso, quale emerge nelle opere di Schelling e di Nietzsche, risulta una particolare affinità che fa del mito una sorta di metaconcetto delle rispettive speculazioni che ne riassume il procedere, culminando nella promessa di un deus adveniens, che presso Schelling sarà identificato con Gesù e presso Nietzsche con la figura dell’Übermensch. Un tale procedere filologico contribuisce a giustificare quell’amicizia stellare sottesa alle due figure, già individuata e percorsa su altre vie.
2. Un mito complesso
Nessuna divinità del mondo classico fu tanto amata dal primo Romanticismo, e poi dai suoi eredi otto-novecenteschi, quanto Dioniso.
I motivi di questa predilezione, come nota Manfred Frank nel suo Der kommende Gott, sono essenzialmente due: innanzitutto l’affinità con la Grecia di Euripide; come l’epoca del primo Romanticismo rappresenta la reazione a razionalismo dell’Aufklärung, così il culto di Dioniso incarna l’unica forza in grado di contrastare la sofistica imperante nella Grecia classica. Inoltre Dioniso, il ‘nuovo dio’, o il ‘dio venturo’, è il dio dell’avvenire che, al termine di un lungo processo mitico, e in un clima i diffuso razionalismo, trasmette alle nuove generazioni la speranza di una nuova ‘religiosità’.
La figura di Dioniso, come è noto, emerge da una complessità di miti che s’intrecciano nei secoli alle più diverse interpretazioni. Sarà cura di questo capitolo evidenziare il rapporto che intercorre fra il mito di Dioniso e le filosofie di Schelling e di Nietzsche, sottolineando i punti di contatto e verificando le ipotesi di ‘dipendenza’ della dottrina nietzscheana dalla ‘dionisologia’ dell’ultimo Schelling.
Mi sia consentito esporre brevemente il mito. Dioniso nasce dall’unione di Semele (figlia del re tebano Cadmo e della sua sposa Armonia) con Zeus; quest’ultimo cerca in tutti i modi di nascondere la relazione alla gelosa Era, la quale, scoperta la tresca, suggerisce a Semele di chiedere a Zeus, che le si mostrava sempre in sembianze umane, di manifestarlesi nella sua vera natura. Zeus in un impeto d’ira si palesa in forma di tuono e folgore incenerendo l’amante nel cui grembo giaceva il piccolo Dioniso. Ermes, tuttavia, riesce a salvarlo ‘cucendolo’ nella coscia di Zeus. (Si noti come fra le tante interpretazioni etimologiche del nome di Dioniso vi sia quella che lo intende come ‘nato due volte’, o anche come il ‘figlio della doppia porta’: etimologia quest’ultima che si è voluta ritrovare anche in ‘ditirambo’).
Una volta nato, Dioniso è affidato ad Atamante (re di Orcomeno) e a sua moglie Ino da Ermes che, sempre per sviare la gelosia di Era, prescrive loro di vestire il piccolo con abiti femminili. Scoperto l’inganno, Era fa impazzire i genitori adottivi. A questo punto, Zeus per impedire che Dioniso finisca tra le mani di Era, lo trasforma in capretto affidandolo alle Ninfe sul monte Nysa. Anche questa volta Era si avvede dell’inganno e punisce Dioniso con la follia. A partire da questo momento Dioniso vaga per tutta la terra, accompagnato dal suo precettore Sileno e da un corteo selvaggio di Satiri e Baccanti.
Tornato in Grecia, Dioniso è salvato dalla follia dalla nonna Rea che lo inizia ai propri Misteri. La figura di Rea corrisponde, nel mito greco, a quella frigia di Cibele, la madre degli dei, anche lei associata ad un culto orgiastico. La fantasia romantica fu colpita dall’affinità dei due culti, tanto più che alcuni autori vollero vedere in Demetra (quale madre di Dioniso) — come del resto in Semele — una ‘madre degli dèi’ in versione greca.
Come vedremo oltre, in Schelling e Nietzsche ciò preparò l’identificazione di Dioniso col fanciullo delle nozze rituali nei Misteri di Demetra ad Eleusi.
In una versione orfica del mito, Dioniso-Zagreo (il ‘primo dioniso’) è figlio di Persefone e Zeus. Anche in questa versione Dioniso è perseguitato dalla gelosia di Era che incarica i Titani di sbranarlo vivo. I poveri resti saranno raccolti, come vogliono i diversi miti, o da Rea, o da Demetra, o da Zeus che farà assorbire il cuore di Zagreo a Semele fecondandola così del ‘secondo dioniso’, o, come vuole un’ulteriore tradizione, da Apollo il quale li seppellirà vicino al tripode di Delfi.
Come si evince, il complesso di materiali mitologici riferito a Dioniso apre alle più diverse interpretazioni. Eppure, se torniamo all’esposizione del mito di Dioniso figlio di Semele, notiamo che dopo la guarigione e la consacrazione ai Misteri di Rea, Dioniso viene sgominato da Licurgo, re della Tracia, ma se ne vendica in modo atroce gettando nella pazzia lo stesso Licurgo e quanti rifiutano il suo culto, dando il via ad esecuzioni estatiche di uomini e animali, nello scatenarsi della voluttà in strazianti lamenti che riproducono in forma simbolica la passione del dio fatto a pezzi e risorto. In ragione di ciò i commentatori moderni videro con una certa costanza Dioniso come il dio che ha in dispregio il principium individuationis, che manipola e confonde a piacere gli ambiti separati della vita trascinandoli nell’identità indifferenziata, o viceversa — come dio del progresso e dell’evoluzione — separandoli e differenziandoli. Partecipando così dell’unità come della separazione — privilegio unico fra gli dèi —, simboleggia insieme il mito politeistico e il suo superamento.
Dopo questa sintetica ricostruzione del mito di Dioniso, che risulterà utile più avanti, passiamo a giustificare l’asserzione iniziale secondo la quale Dioniso incarnerebbe la reazione ‘religiosa’ al razionalismo dell’Aufklärung. Come si vedrà, la speranza del Romanticismo di una nuova ‘religiosità’ passa per la costituzione di una mitologia o quantomeno per il tramite di una reinterpretazione dei miti in chiave moderna.
Figura determinante nella ‘riabilitazione’ della mitologia è Herder, la cui opera — almeno nella sua essenza — era certamente nota sia a Schelling sia a Nietzsche. Nello scritto giovanile del 1767 Vom neueren Gebrauch der Mitologie, prendendo a pretesto la polemica contro la posizione illuministica espressa da un certo signor Klotz nelle Epistolae Homericae, Herder sostiene che essa non vada semplicemente respinta come irrazionale; si tratta piuttosto di ammettere che la mitologia ebbe a suo tempo un ‘valore religioso’ che oggi non possiede più. Introducendo il concetto di ‘verità storica’, Herder ammette che i miti classici non hanno più valore nella modernità, ma non esclude una riabilitazione creativa del patrimonio storico-mitologico tale che le rappresentazioni mitiche possano acquisire un nuovo significato ed una nuova attualità. Ciò che Herder in definitiva propone è di imparare dai Greci ad essere creativi, senza rinvenire “allegorie là dove gli antichi non si sognavano di vederne, imparando piuttosto l’arte di allegorizzare, da Omero il filosofo e da Platone il poeta”.1 La mitologia per Herder non è un corpo compiuto, bensì un sistema in evoluzione che sopravvive da una generazione all’altra solo nella misura in cui la nuova situazione storico-sociale è in grado di reinterpretarlo. Herder esorta, infine, alla creazione di una nuova mitologia che presuppone due forze spesso in contraddizione fra loro: lo spirito di creazione e lo spirito di finzione, ossia l’analisi della filosofia e la composizione della poesia; un binomio che agisce nell’opera di Schelling per ‘ricomporsi’ nell’ultima fase della sua filosofia, e che in Nietzsche animerà una costante contrapposizione tesa al ‘superamento’ del tradizionale concetto di filosofia.
L’idea di una nuova mitologia è strettamente legata all’ambito estetico-letterario, tuttavia coinvolge dinamiche ben più ampie. Se è vero che l’esigenza di una ‘nuova mitologia’ parte dalla necessità per la poesia di una nuova ‘simbolica’ di riferimento capace di muovere gli animi, è pure evidente che tale comunicabilità universale passa per l’unità spirituale di un popolo, così come un passo di Schelling, estrapolato dalle lezioni di Würzburg del 1804 e che Nietzsche ebbe sicuramente modo di conoscere, sottolinea:
il ritorno di una visione simbolica della natura sarebbe […] il primo passo verso la restaurazione di una vera mitologia; come potrebbe nascere questa se prima no si è formata una totalità etica, se prima il popolo non si ricostituisce come individuo? […] … la mitologia non è possibile nell’individuale, e può nascere solo dalla totalità di una nazione, e da una totalità che abbia nel contempo una precisa identità individuale […] . Solo dall’unità spirituale di un popolo, da una vera vita pubblica, può sorgere una poesia davvero universale — così come soltanto nell’unità spirituale e politica di un popolo la scienza e la religione trovano la propria realtà oggettiva.2
Nelle Vorlesungen über schöne Literatur und Kunst (1801)3 di A. W. Schlegel, conosciute sia da Schelling sia da Nietzsche, la mitologia è posizionata a metà strada tra l’interpretazione inconscia della natura, che troviamo sedimentata nella lingua, e le produzioni libere della fantasia: rappresenta dunque la radice comune della poesia, della storia, della filosofia. F. Schlegel (altra fonte comune a Schelling e a Nietzsche) d’altro canto, nel suo Discorso sulla mitologia (1801), incentra l’argomentare in un contesto poetologico, attraverso le parole di Ludovico nel Dialogo sulla poesia4 reclamando un ‘centro’ come lo fu la mitologia per gli antichi, affermando che tale ‘sostegno’ dovrà essere creato a partire dalle profondità più remote dello spirito: quel qualcosa a cui afferrarsi che l’uomo chiedeva al mito, quel punto fermo, si ritrova per Schlegel nella certezza dello spirito assoluto che trae la sua origine dall’Unità del Soggetto stesso. La filosofia dell’Idealismo, dunque, come ‘soluzione’ e continuazione della mitologia. Nel primo dei fogli preparatori ai Weltalter, Schelling definisce la filosofia come la soluzione dell’enigma di Sais, e perciò — pars pro toto — dell’intera mitologia:
“io sono ciò che era, ciò che è e ciò che sarà, nessun mortale ha sollevato il mio velo”, così l’essere originario nascosto dietro il velo di Iside si rivolgeva al viandante nel tempio di Sais. La nostra scienza [la filosofia] ha ora ritrovato non solo l’essere, ma l’unità dell’essere, dopo essersi vista per lungo tempo come puro sviluppo di pensieri umani.
Ma non è sufficiente riconoscere l’essere originario come l’Uno: bisogna riconoscerlo secondo quelle tre divisioni. Perché esso è uno come l’uno e come il molteplice, o come ciò che era, che è e che sarà.5
Ma il riconoscimento dell’essere originario in Schelling rimane in proiezione verso il futuro, verso colui che è sempre venturo e nel quale si compirà l’Unità del passato, del presente e del futuro, il Dioniso adveniens — come vedremo, esoterica manifestazione per l’avvento del Figlio.
La rinascita della mitologia che, come detto, accompagna la nuova speranza religiosa fu condizione per l’avvento di Dioniso nella cultura romantica. Dioniso è il dio che rinasce e libera, che riporta all’Uno ciò che era separato nell’individualità. Ma Dioniso è soprattutto il dio che viene, che è sempre venturo, il dio del futuro; questa prospettiva volta al futuro coincide con la speranza ‘religiosa’ di un ritorno all’Unità.
Come scrive Ernst Behler — studioso di F. Schlegel e di Nietzsche —, nel saggio comparso su Nietzsche-Studien del 1983, i fratelli Schlegel costituiscono un’importante fonte per il concetto di ‘dionisiaco’ in Nietzsche, come fenomeno “eines rauschhaften überindividuellen Einheitsgefühls und unendlichen lebenskraft der Natur”, che per F. Schlegel costituisce il fondamento della lirica e del dramma.
Se le lezioni sulla letteratura e sull’arte di A. W. Schlegel — che per di più era collega di Ritschl (il maestro di Nietzsche) all’Università di Bonn- - costituiscono un costante riferimento per Nietzsche, tanto che nella definizione di ‘coro’, Nietzsche parte proprio criticando la posizione sostenuta da Schlegel, le suddette lezioni, come precisa J. E. Wilson nel suo Schelling und Nietzsche, sono una fonte (Quelle) importante anche per la Filosofia dell’arte di Schelling che costituisce l’inizio della suo ‘dionisologia’.
Determinante nel nostro percorso è la posizione assunta da F. Schlegel nel Saggio sullo studio della poesia greca nei riguardi del mondo preomerico. Nella ricostruzione proposta da Schlegel, la ‘preistoria orfica’ del ‘dionisiaco’ (della quale Schlegel si può definire la scopritore ancor prima di Creuzer), precede la storia ellenica vera e propria dell’apollineo; vedremo più avanti come Schlegel sia il primo ad utilizzare la suddetta contrapposizione nell’ambito estetico e come essa sia stata poi ripresa da diversi commentatori.
La nostra analisi, tuttavia, si appunta sulla figura di Dioniso in Schelling e Nietzsche. Se l’attenzione di Schelling per Dioniso si può far rientrare in un più generale interesse per la mitologia che lo condurrà ad un’originale interpretazione della stessa, l’immagine del dio (contrapposto ad Apollo o isolato) si fa strada nella mente di Nietzsche a partire dai suoi studi filologici, accompagnandolo dalla Nascita della tragedia fino ai ‘biglietti della follia’ come un meta-concetto che ne ripete l’intera filosofia.
Entrambi, tuttavia, si accostano a Dioniso attraverso un mutato approccio al mondo classico che fa capo all’opera di F. Creuzer Symbolik und Mitologie. Superando le concezioni dei classicisti contemporanei (come Schiller, Goethe e Winkelmann), secondo cui era ‘ellenico’ solo il mondo sereno del mito e dei poemi omerici, Creuzer individua un ambito pre-mitico (simbolico) come una totalità momentanea che scaturendo dal fondo oscuro dell’essere, viene poi organizzato e narrato nel ‘discorso’ del mito. Accogliendo queste tesi, bisognava dunque riconoscere come aspetti della religione antica anche le profondità dei Misteri, i culti funerari e le dottrine dell’immortalità dell’anima, l’ebbrezza e l’estasi.
Creuzer fu tra i primi commentatori romantici a contribuire all’accostamento del culto di Dioniso ai Misteri. Presupposti per tale accostamento, ritenuto dalla scienza filologica del tutto privo di fondamento, furono, come sottolinea Max Baeumer,6 l’identificazione delle diverse figure di Dioniso in un ‘selvaggio’ sincretismo e la coincidenza di Demetra — accostata al culto della frigia Cibele — con la Madre degli dèi in versione greca: la Madre della Terra. Nel capitolo della Symbolik ‘Von Ceres und ihren Mysteren’, Creuzer sostiene che Demetra-Persefone, rappresentando l’unica realtà divina, incarna l’idea di una rinascita spirituale per il tramite del parto di Iacco-Dioniso. Non si vuole qui discutere la legittimità delle asserzioni di Creuzer, quanto piuttosto evidenziare le conseguenze che esse produssero nelle prospettive di Schelling e di Nietzsche, Creuzer non fu il solo a identificare Demetra con la Madre della Terra, si pensi ad esempio a Novalis o a Hölderlin; in generale si può dire che la fantasia romantica venne colpita dalla vicinanza dei culti di Dioniso e quelli di Demetra ad Eleusi.
Nel suo excursus sulla formazione del concetto di ‘dionisiaco’, Baeumer evidenzia come in Creuzer cominci a maturare l’accostamento di Dioniso alla dissoluzione del principium individuationis quale figua ingannevole dell’Unità originaria, tema sempre presente nella ‘dionisologia’ nietzscheana. È certo che la lettura di Creuzer e la ‘fede’ schopenhaueriana di Nietzsche si fusero nell’immagine di Dioniso che emerge a partire dalla Nascita della tragedia.
Se Nietzsche durante la stesura della Nascita prese più volte a prestito dalla biblioteca di Basilea il III volume della Symbolik (dedicato a Dioniso e ai Misteri), Schelling — come Hegel e Hölderlin — conosceva molto bene il testo cui ora facciamo riferimento, tanto più che già lo scritto Sulle divinità di Samotracia è denso di rimandi più o meno critici al capolavoro di Creuzer, che troveranno seguito soprattutto nelle lezioni sulla Filosofia della Mitologia e sulla Filosofia della Rivelazione.
3. Dioniso nella mitologia di Schelling
Prima di entrare nello specifico della ‘dionisologia’ schellinghiana, è necessario chiarire l’originale concetto che Schelling ha della mitologia. Quella che egli descrive come ‘Mitologia’ non vuol essere l’interpretazione di un contenuto fantastico. Il processo mitologico corrisponde ad un processo teogonico che succede alla caduta dell’Urmensch. Escluse le interpretazioni poetiche e allegoriche, Schelling eleva a verità la Mitologia che si pone come processo necessario, connesso alla caduta del monoteismo originario e all’avvento del politeismo quale rappresentazione della disgregazione dell’unità originaria. Il processo mitologico è momento oggettivo della coscienza e, in quanto opera di una collettività e non di una sola persona, assimilabile ad un “processo naturale”.
La caduta dell’Urmensch, che è unità delle forme-potenze divine e quindi Dio-divenuto (gewordene Gott), è il tentativo dell’uomo originario di essere ciò che non gli è dato di essere. L’Urmensch si trova libero come Dio
con la sola differenza — grande e fondamentale, ma che egli può conoscere solo attraverso l’esperienza — che Dio per la sua natura è il prius delle potenze, l’uomo invece è signore delle tre cause solo in quanto conserva e non distrugge l’unità nella quale esse sono poste in lui. […] Il suo tentativo di operare con le potenze in modo simile a Dio fa sì che l’uomo, scacciato dall’interiorità in cui era stato posto rispetto alle potenze, cada appunto nell’esterno regime di quelle potenze.7
La caduta dell’uomo originario è un dato di fatto storico e apre un processo teogonico extradivino necessario, non deducibile a priori, bensì comprensibile solo sulla base dell’esperienza.
Nel processo mitologico operano le stesse potenze che avevano generato l’uomo originario, tuttavia ora, nel tempo della caduta, si assiste ad un processo esterno a Dio. Con la caduta, l’uomo ha rimesso in azione il principio dell’inizio (Anfang) che era destinato a riposare in lui per volere di Dio. L’uomo ha però intravisto nella sua libertà la possibilità di ri-attivare il principio:
questo momento della coscienza, nel quale quella possibilità non è certo ancora altro che possibilità, ma già attira a sé la volontà, questo momento è quindi contraddistinto nella Mitologia da un essere femminile […], Persefone8
Persefone nel suo essere duplice (già i Pitagorici la definivano? õÜò), dapprima del tutto interiore, ma poi una volta abbandonato il suo essere sostanziale, soggetto esso stesso alla necessità del processo, si chiarirà come principio della Mitologia solo al termine della stessa.
La mitologia di Schelling si apre con la signoria di Urano (epoca A) che corrisponde al periodo religioso dello Zabismo: qui il principio appare alla coscienza come signore del cielo. Quando però il principio inclina a diventare passivo come materia di un ‘possibile’ soggiogamento questo principio diventa femminile e assume le fattezze di Urania (epoca B) con la quale assistiamo al primo fondamento della Mitologia (Grundlegung) , poiché lo Zabismo di per sé è ancora non-mitologico.
Contemporaneamente ad Urania fa la sua comparsa Dioniso (A²), che in questa posizione non è che il dio tebano che corrisponde alla seconda potenza la cui determinazione è quella di soggiogare il primo principio che poneva l’uomo fuori di sé e di liberarlo, da ciò l’epiteto di liberatore.
La terza epoca C è caratterizzata dall’effettivo conflitto tra il dio liberatore e il principio resistente. In questa epoca Schelling individua due momenti: nel primo la coscienza oppone una rigida resistenza al dio liberatore nella caratterizzazione di quel dio unico, rigido, immobile, che è Urano però qui nella forma di Crono (dio reale), cui si oppone Eracle quale rappresentazione di Dioniso (in posizione servile rispetto a Crono).
Ma anche Crono, come Urano, diventa femminile permettendo, nella forma di Cibele, l’apertura del secondo momento dell’epoca C nella quale il dio reale si offre ad un superamento che non è più solo possibile ma anche reale.
La quarta epoca D costituisce il vero e proprio soggiogamento (Überwindung) e il sopraggiungere della terza potenza con la pluralità degli dei.
Nelle tre potenze è contenuto per Schelling il senso esoterico della Mitologia: mentre il politeismo degli dei dell’Olimpo è la mitologia essoterica, la vera mitologia, esoterica, è quella dei Misteri. Essi sono, per Schelling, un prodotto naturale e necessario del processo mitologico stesso e hanno lo scopo di liberare della materialità in senso generale, ma soprattutto dalla materialità della mitologia. I Misteri costituiscono la chiave di lettura del processo mitologico che permette il trasferimento della coscienza dal regno delle pure forme materiali a quello delle pure forme spirituali. Schelling opera, infatti, una divisione fra divinità materiali e divinità spirituali o causanti, questi ultimi sono per l’appunto il contenuto dei Misteri che coincide con la triade dionisiaca che ritroviamo anche in Nietzsche.
Nel processo mitologico tracciato da Schelling, Dioniso compare per la prima volta nella seconda epoca B come dio liberatore (A²) nella figura del figlio di Semele e di Zeus (ossia il II Dioniso). Questa apparizione risale al tempo di Urania. Dioniso agisce qui sulla coscienza provocando ebbrezza e orgasmo in piena tensione (Spannung) contro il dio reale:
Semele è la coscienza che all’avvicinarsi di Zeus — quando Dioniso dunque si realizza del tutto in essa — viene annullata. Ma anche il Dioniso nato dall’annullamento della madre mortale è ancora nascosto nei lombi di Zeus, resta cioè ancora nel segreto della coscienza fino all’ultima crisi, con la quale è posta l’idea completamente perfetta di Dioniso, veramente ellenica.9
Dioniso sorge però lentamente, il suo apparire trova resistenza in Licurgo, re degli Edoni, in Penteo, re di Tracia, in Orfeo che come Penteo verrà dilaniato dalle Menadi.
Orfeo rappresenta la coscienza che si oppone al dio liberatore, il passato che contrasta al tempo nuovo sopraggiungente con Dioniso. Ed è appunto questa coscienza ciò che viene lacerato dal politeismo di Dioniso. […]10
Egli rifiuta di riconoscere Dioniso (la potenza che distrugge questo principio) dichiarando Elios, o, come venne immaginato più tardi, Apollo, il dio più grande. Per questo viene dilaniato dalle Menadi, e cioè l’ebbrezza dionisiaca vince sul principio retrivo della coscienza, che nonostante la sua opposizione, o piuttosto a causa di essa, viene lacerata, dispersa in una pluralità.11
In poesia, a Orfeo, l’oscuro (ancor meglio ‘che arreca oscuramento’), Schelling oppone l’esprimente Omero, testimone dell’ultima crisi di tutto il processo mitologico, Messia del Paganesimo.
Ma il Dioniso tebano, figlio di Semele, non ha per Schelling alcun legame con la dottrina dei Misteri. Gli stessi Orfici non avrebbero in alcun modo influenzato la dottrina dei Misteri, piuttosto si videro anzi superati da questi dando vita a mysteria privata.
Gli dèi causanti (spirituali) sono il vero contenuto dei Misteri. In definitiva, per Schelling, i Misteri sono la ‘coscienza’ della Mitologia e contenuto della Mitologia sono gli dèi causanti, nella particolare dottrina che vede questi ultimi uniti in uno stesso Dio, ossia manifestazioni diverse dello stesso Dioniso.
Il dio cieco o reale, venendo del tutto superato da Dioniso e ricondotto nel suo in sé, è uguale a colui da cui è superato, ed è egli stesso Dioniso, come nella coscienza egiziana Tifone, superato, diventa Osiride. Egli è soltanto Dioniso della prima potenza, così come quello che finora abbiamo chiamato semplicemente Dioniso appare come Dioniso² (della seconda potenza). Il terzo poi, il dio essente come spirito, che viene considerato come la vera e propria fine, come quello che fin dall’inizio doveva (sollte) essere, questa terza personalità che il primo Dioniso, nel separarsi dall’essere, lascia per così dire al suo posto nell’essere, non è quindi che un’altra forma del primo, è quindi anch’esso Dioniso, Dioniso della terza potenza.12
Zagreo è il primo Dioniso, il vero dio reale, ‘il Dioniso sotterraneo’, figlio di Zeus e di Persefone. Persefone, in quanto primo movente del processo mitologico, inizio soggettivo, è riconosciuta come la madre, ossia come colei che pone il primo Dioniso, il movente oggettivo del processo.
Il secondo Dioniso è il figlio di Semele, il dio tebano, non è strettamente connesso ai Misteri. Egli resta certamente pura causa, ma rientra nella cerchia degli dèi materiali in quanto è causa del trasferirsi dell’Uno, cioè causa della pluralità degli dèi. Zagreo, l’essente solamente, rinunciando all’essere, diventa Grund dell’essere, giacché egli, distruttore di ogni cosa concreta, deve scomparire affinché il singolo possa vivere:
Il Dioniso che scompare diventa distributore dell’essere nello stesso senso nel quale un morente lascia la sua eredità che altri si spartiscono, e come Ade altrove è chiamato ‘dispensatore di ricchezze’ […] .
In questo dio divenuto ora benefico e propizio alla ricca cioè vari, vita, è del tutto realizzato il secondo Dioniso (che dapprima poteva apparire solo nella tensione con lui), che è a lui del tutto identico; questo quindi, che era festeggiato al di fuori dei Misteri in particolare nelle feste bacchiche, nei misteri in qualche modo scompare e non è più considerato come un dio particolare, ma ancora identificato con quel dio superato.13
Ma questo stesso dio rinuncia a se stesso in quanto tale per porsi in una terza forma, come lo spirito essente e persistente. Si tratta di Iacco, il terzo Dioniso, il dio dei Misteri di Demetra.
Dunque il processo teogonico esposto nei Misteri riposa sui tre momenti dell’unico Dioniso:
- Il principio non-spirituale (il dio reale Zagreo)
- Il principio che nega il principio non-spirituale e quindi relativamente spirituale (il secondo Dioniso, il ‘liberatore’, non propriamente inserito nei Misteri)
- Il principio spirituale posto tramite la negazione del non-spirituale (Iacco, il terzo Dioniso)
Al dio maschile, la cui triade è stata esposta, Schelling accosta la trinità femminile composta da Persefone, Demetra e Kore.
Di Persefone si è detto che costituisce il principio della coscienza, Demetra è invece la ‘coscienza’ che sta in mezzo tra il dio reale e quello liberatore. Demetra passa dalla tristezza per la mancanza della figlia alla speranza dell’Unità da raggiungersi con la generazione di Iacco. Come si evince Demetra è posta in parallelo al Dioniso tebano, il secondo Dioniso.
Kore, infine, sta nello stesso rapporto con Persefone nel quale Iacco sta con Zagreo, essa è la Persefone risorta in una forma più alta; Kore è la vergine che nella dottrina dei Misteri andrà in sposa a Iacco.
I tre Dioniso all’interno della dottrina dei Misteri erano considerati come i signori del mondo. In particolar modo, Iacco veniva pensato come il futuro signore del mondo. Rappresentato in forma di bambino al seno di Demetra per indicarlo come il non-ancora-cresciuto, Iacco in qualche misura è l’anticipazione esoterica della nascita del Figlio di Dio, di Gesù. Ad avvalorare questa tesi, Schelling sottolinea la comune ‘invisibilità’ (das Unscheinbare) della sua nascita.14
Inoltre per Schelling, Iacco è oltre la coscienza mitologica, la trascende, e appartiene a quell’intera coscienza esoterica che si è liberata proprio attraverso la pluralità degli dèi posta fuori di sé. In quanto Iacco è posto dopo Zagreo e Bacco, egli appare in rapporto a quelli che già esistono e sono già adulti come bambino, come colui che deve ancora venire, come futuro.
La fine della Mitologia, nell’interpretazione schellinghiana, precipita nella Rivelazione: ma mentre le rappresentazioni della Mitologia sono prodotti di un processo necessario, la Rivelazione viene pensata come qualcosa che presuppone un atto fuori della coscienza e un rapporto che la più libera delle cause, cioè Dio, dà alla coscienza umana liberamente.
Mitologia e Rivelazione stanno tra loro come processo essoterico e storia interiore. Nel processo c’è mera necessità, nella storia c’è libertà. La Mitologia ha prodotto in se stessa anche un alcunché di esoterico (nei Misteri), ma anche questo è solo un prodotto del processo esterno. La scienza, in quanto trapassa dalla Mitologia alla Rivelazione, trapassa con ciò in un dominio totalmente diverso.15
4. Dioniso e il dionisiaco in Nietzsche
A mio avviso, la figura di Dioniso cui Nietzsche giungerà intorno al 1870 e che non abbandonerà per tutta la sua riflessione filosofica, è il risultato dell’interesse del giovane studente di Pforta per la mitologia classica e per la mitologia germanica e nordica in generale.
L’amicizia con Pinder e Grug, compagni nell’associazione filosofica “Germania”, lo spinge ad entusiasmarsi al tema di “Prometeo”. Nel 1859 compone tre poesie dedicate all’eroe tragico ed un poema palesemente ispirato da Goethe; il tema appassionerà Nietzsche fino alla redazione della Nascita della Tragedia, tanto che vorrà sul frontespizio dell’opera la stessa effige di Prometeo che si libera dalle catene.
In questi anni, Nietzsche è un lettore attento del Manfred di Lord Byron e dell’Edda, il ciclo di saghe relative ad Ermanarico, re degli Ostrogoti. In quest’epopea, ciò che sembra colpire il giovane Nietzsche è il tema della strage familiare e della vendetta, elementi che ritroverà nella tragedia greca. Il Manfred, d’altro canto, costituisce per Nietzsche la continuazione del tema prometeico; mentre colà si assisteva alla “ribellione” all’autorità divina concludentesi tuttavia nel pentimento di fronte agli déi, in Byron, come anche nei Masnadieri di Schiller (altra lettura di Nietzsche in questo periodo), l’obiettivo della “ribellione” non sono più gli déi, ma la religione e la virtù. Inoltre, e ciò va sottolineato, nel Manfred e nei Masnadieri la “ribellione” si emancipa dal pentimento, tratteggiando personaggi che agli occhi di Nietzsche appaiono titanici — “Fast übermenschlich” —, e che, accostati alla figura di Prometeo, aprono la strada alla futura idea dell’Übermensch.
Tornando all’interesse di Nietzsche per la mitologia eroica germanica, in esso è possibile ravvisare una prima, indiretta influenza di Wagner. Nelle riunioni della “Germania”, Pinder aveva svolto relazioni sul Tristano e Isotta, sulla Faust-ouberture e su L’oro del Reno; da ciò Nietzsche probabilmente trasse le suggestioni per i futuri temi della sua filosofia come la “morte di Dio”. Come nota Carlo Gentili è significativo che “l’incontro tra mitologia nordica e mitologia greca avvenga sul terreno della ribellione all’autorità divina”,16 che — diversamente dal Prometeo — nella saga germanica si traduce immediatamente nella “morte degli dèi”.
La continuità con la linea del Prometeo e del Manfred è determinata dall’interesse per l’Empedocle di Hölderlin, che Nietzsche non esita a definire ‘il mio poeta preferito’. Nietzsche in un breve scritto del 1861 dedicato all’opera di Hölderlin, definisce la morte di Empedocle “una morte causata dal divino orgoglio, dal dispregio per gli uomini, dalla nausea della terra, dal panteismo”. Nel 1869, poi, prepara un dramma dal titolo Empedocle, che voleva andare al di là dell’interpretazione di Hölderlin. Nietzsche, che conosceva Empedocle sia dal poema del poeta sia dagli scritti di Diogene Laerzio, associa al filosofo — protagonista del dramma — oltre a Pausania (già presente nei resoconti di Diogene Laerzio e nella rielaborazione di Hölderlin), Corinna, poetessa tessala e maestra di Pindaro. Più tardi, nell’elaborato nietzscheano, Empedocle diverrà Dioniso e Corinna Arianna, personaggio chiaramente ispirato da Cosima Wagner. Come è noto, la figura di Empedocle sarà poi decisiva nella stesura dello stesso Zarathustra.
Altro elemento della produzione hölderliniana che colpirà la fantasia di Nietzsche è l’accostamento delle origini germaniche alla Grecia classica. Rispetto ai suoi contemporanei, Hölderlin non si limita a derivare il mondo germanico da quello ellenico, ma colloca nell’oriente greco (la Ionia, la terra di Omero) il luogo di una stirpe eletta che ha tra le sue ascendenze la stirpe germanica. L’elaborazione di questo fondamento ha luogo, in Nietzsche, nella Nascita della Tragedia e nella figura di Dioniso, nella quale Nietzsche vuole vedere la rinascita dello spirito germanico.
Se è vero che l’interesse per la cultura classica è contaminata in Nietzsche dall’attenzione rivolta alla mitologia germanica, il mutato atteggiamento rispetto allo studio dell’antichità si ha a partire dagli anni di Basilea. Qui matura la volontà di passare alla cattedra di filosofia (desiderio, come si sa, frustrato) qui le amicizie di Burckardt e Bachofen contribuiscono a indirizzare su nuovi binari la lettura nietzscheana del mondo classico. Si fa strada in questi anni la figura di Dionisio, e il mondo sereno dell’olimpo che Nietzsche aveva studiato sui banchi del liceo di Pforta e aveva apprezzato attraverso le letture di Schiller, Goethe e Winckelmann, via via si disgrega per effetto di un mutato approccio all’antichità il cui capostipite era il già citato Creuzer. Anello di congiunzione fu senza dubbio Bachofen, allievo di Schelling e docente a Basilea, del quale Nietzsche, durante la stesura della Nascita, aveva preso a prestito la Gräbersymbolik. Gli interessi teologici di Bachofen erano rivolti al mondo preolimpico che tanto aveva colpito la fantasia, forse un po’troppo libera, di Creuzer; inoltre il fatto che fosse stato allievo di Schelling potrebbe indurre a ritenere Bachofen una “fonte” — quantomeno orale — per la figura di Dionisio in Schelling.
La vocazione filosofica di Nietzsche nasce dal bisogno di ripensare i fondamenti della filologia, e inizialmente, si rivolge al problema dell’interpretazione filosofica dell’origine della tragedia greca con il grande tema di Dionisio che accompagnerà, quest’ultimo, tutta la riflessione filosofica di Nietzsche.
Come nota von Reibnitz nel suo Kommentar zu Friedrich Nietzsches “Die Geburt der Tregödie aus dem Geiste der Musik”, Nietzsche aveva potuto apprendere la condizione dionisiaca dalla lettura della Geschichte der griechischen Literatur (1841) [presa in prestito da Nietzsche presso la biblioteca universitaria di Basilea l’8 gennaio e il 26 aprile del 1870] di Karl Otfried Müller, anch’egli certamente influenzato dall’opera di Creuzer.
Müller descrive Dionisio come un dio in cui si manifesta il ciclo vegetativo della natura: “il dio multiforme della natura che fiorisce, appassisce e si rinnova”, il cui culto, oscillante fra gioia e dolore, mostrava molte somiglianze con le religioni dell’Asia Minore. Sebbene rimanga escluso dalla venerazione riservata agli dèi dell’Olimpo, Dionisio non manca di suscitare una grandissima influenza sulla formazione della nazione greca producendo effetti nell’arte e nella poesia. Questi effetti hanno un tratto in comune, ossia quello di manifestare un violento eccitamento dell’animo, un superiore slancio della fantasia e una selvaggia sfrenatezza nel piacere e nel dolore.
Come nota Reibnitz, sottolineando la corrispondenza dei passi con il testo nietzscheano, Müller collega esplicitamente il culto di Dionisio con la nascita della tragedia. In particolar modo giudica di notevole importanza “il fatto che la parte lirica, il canto del coro, fosse l’elemento più originario”; il coro commenta il destino del dio esprimendo i suoi sentimenti, e “questo canto corale apparteneva alla classe del ditirambo”. Come avverrà per i ditirambi e, più tardi per le tragedie, il canto corale si trasferirà da Dionisio agli eroi. Questo ha, per Müller, una spiegazione di carattere teologico: gli dèi sono infatti per loro natura superiori al destino, e dunque al dissidio fra gioia e dolore, mentre Dionisio e gli eroi vi sono assoggettati. Dionisio rivelerebbe, in questo senso, una natura più vicina a quella degli eroi che a quella degli dèi. I dolori di Dionisio costituiscono lo sfondo stabile e autentico del commento del coro. Questo motivo viene palesemente ripreso nel paragrafo 10 della Nascita della Tragedia che si apre affermando che “è tradizione incontestabile che la tragedia greca, nella sua forma più antica, aveva per oggetto i dolori di Dionisio, e che per molto tempo l’unico eroe presente sulla scena fu appunto Dionisio”. Le figure più famose del teatro greco — Prometeo, Edipo, etc… — “sono soltanto maschere di quell’eroe originario”.
Nietzsche certamente apprese elementi sulla condizione dionisiaca anche dal saggio di J. Barnays17 Grundzüge der verlorenen Abhandlung des Aristoteles über Wirkung der Tragödie, pubblicato in due parti fra il 1857 e il 1858. Qui l’esperienza del dionisiaco appare filtrata attraverso i concetti aristotelici di “comprensione” e “terrore” che costituiscono per Barnays sia le vie d’accesso tramite le quali il mondo esterno penetra nella personalità umana sia lo slancio dell’elemento patetico dell’anima che si scaglia contro l’apparente armonia. Con la dottrina della catarsi, Aristotele non farebbe altro che trasferire alla tragedia gli effetti dei riti consacrati a Dioniso “il cui primo avvicinarsi trasferiva gli uomini in un autentico stato di rapimento”. Yorck von Wartenburg, altra fonte nietzscheana, riprenderà le tesi di Barnays sulla catarsi aristotelica nello scritto Die Katharsis des Aristoteles und der Oedipus des Sophocles. Ma più importante è l’attenzione rivolta all’estasi dionisiaca definita come il “perdersi nel dominio delle potenze della natura” ottenuto attraverso l’eccitazione e l’intensificazione degli effetti del dolore e del piacere. Uno degli attributi fondamentali di Dioniso — ho lýsios, il ‘liberatore’ — rinvia alla capacita di produrre la liberazione attraverso l’estasi, che presuppone l’intensificazione del dolore stesso: coloro che venivano iniziati al culto di Bacco venivano scossi con immagini di terrore, si abbandonavano a dolori che distruggevano l’individualità per trasferire l’anima fuori di sé. Sono temi che accompagneranno costantemente il ‘dionisiaco’ di Nietzsche, la sopportazione del dolore espresso dalla ‘visione’ dionisiaca del mondo, l’estasi che libera al superamento e infine la rinascita. Come si è accennato sopra, la funzione dell’estasi dionisiaca è la distruzione dell’individualità, la rottura del principium individualitionis. Il mito orfico del Dioniso smembrato, in definitiva, viene riletto alla luce della formula schopenhaueriana sullo sfondo della distinzione tra volontà in sé e volontà determinata. È evidente nella descrizione della condizione dionisiaca, soprattutto nella Nascita della Tragedia, il costante ricorso alla filosofia di Schopenhauer, in special modo al III libro del Mondo come Volontà e Rappresentazione. Il primo paragrafo della Nascita della Tragedia si apre enunciando la polarità di ‘apollineo’ e ‘dionisiaco’, i due fondamentali impulsi artistici unificati della tragedia. In questa contrapposizione rivive la coppia di plastico e musicale, modello costante dell’estetica di Schopenhauer e del Romanticismo in generale. Nietzsche aveva certamente presenti i passi del filosofo, ma durante la stesura della Nascita, fu sicuramente decisiva la frequentazione di Tribschen, dimora di Wagner, tanto più che Nietzsche decise di dedicare a lui l’opera stessa.
Come si evince dall’Epistolario di Nietzsche, la frequentazione di Wagner risultò decisiva nell’elaborazione nella stesura dell’opera pubblicata nel 1872. Nella lettera a Rohde del 16 luglio del 1872, Nietzsche scrive che a ispirargli la figura di Dioniso fu il quadro di Bonaventura Genelli “Dioniso fra le Muse”, appeso ad una parete in casa Wagner; ma ancor più decisiva fu la lettura del Beethoven che Wagner terminò di scrivere nel 1870 e subito regalò a Nietzsche, il quale prontamente ricambiò con La Visione dionisiaca del Mondo. Wagner con un’audace lettura dell’estetica di Schopenhauer intende la polarità di plastico e musicale come un’applicazione di ciò che Schopenhauer chiamava “doppia conoscenza”, ossia la presenza simultanea di una “conoscenza interna” che coglie senza mediazioni l’atto di volontà, e di una “conoscenza esterna” rivolta al fenomeno. Sulla base di questa posizione, Wagner individua due modalità di espressione artistica: nella prima, propria delle arti plastiche, la volontà individuale rimane sulla superficie senza che le leggi dell’individuazione vengano abolite; nella seconda, d’altro canto, l’attività artista comporta il pieno dissolversi della volontà individuale nella Volontà unica. Si tratta di elementi che troveranno posto nella Nascita della Tragedia sotto i “concetti” di apollineo e dionisiaco.
Come è noto, non fu cero Nietzsche il primo ad utilizzare la contrapposizione di Dioniso ad Apollo. Già Friedrich Schlegel nel già citato saggio Sullo studio della poesia greca, composto fra il 1795 e il 1797 utilizza le due divinità contrapposte:
Sofocle ha in sé armonicamente fuse la divina ebbrezza di Dioniso, la profonda sensibilità di Atena e la pacata sobrietà di Apollo. La sua poesia ha il magico potere di strappare il nostro spirito alle sue catene e di trasporlo in un mondo superiore: con dolce violenza essa seduce i cuori e li trascina nel suo moto irresistibile. Ma essendo un gran maestro nella rara arte della misura, egli sa raggiungere la più alta parsimonia anche nell’uso più felice di una forza tragica immensa. Per quanto violente, le emozioni che egli suscita non toccano mai l’orrido o lo sgradevole.18
E ancora in un altro passo:
il segreto della vera poesia è di essere insieme ebbra e sobria, e non in momenti diversi ma nello stesso momento. E in ciò si distingue l’entusiasmo apollineo dall’entusiasmo dionisiaco. Rappresentare un contenuto infinito — ossia un contenuto che si oppone nella forma, che sembra distruggere ogni forma — e rappresentarlo nella più compiuta, nella più finita della forme: è questo il compito supremo dell’arte.19
Come avverrà per Creuzer, in Schlegel lo stadio simbolico precede quello pre-mitico, e per esemplificare questo passaggio sono chiamati in causa Apollo e Dioniso. La distinzione apollineo-dionisiaco passerà inoltre, attraverso la mediazione di Müller, a Bachofen, a Nietzsche e al suo amico Rhode.
Altra fonte per la ‘coppia’ fu, come suggerisce Janz nella sua Vita di Nietzsche, l’opera di Michelet La Bible de l’Humanité. Pubblicata nel 1864, è probabile che Rhode abbia suggerito nel 1866 a Nietzsche il testo nel quale compare in ambito differente la polarità apollineo-dionisiaco. A Tribschen, Michelet era certamente argomento di discussione, come si evince dal diario di Cosima Wagner.20
Tornando per un momento a Bachofen, secondo Baeumler21 è il tramite che da Creuzer porta a Nietzsche e a Rhode. Anche per Bachofen il simbolo precede il mito, e quest’ultimo non fa altro che svolgere la storia che il simbolo concentra in un atto. La simbolica è il lato misterico, estatico, dionisiaco della religione; nella sua versione apollinea essa condensa invece immagini articolate e distinte che, nel momento stesso in cui lo rappresentano, proiettano il loro contenuto in una più serena lontananza: il mito è Dioniso interpretato da Apollo. Nietzsche riprende il tema di Bachofen (già presente in Creuzer) per affermare che è con l’istituzione della tragedia che la religione dionisiaca ha garantito al mito greco ormai in declino un’ultima tardiva fioritura, prima che il ‘socratismo estetico’ soppiantasse in modo definitivo il pensiero religioso. Sarà poi nell’emancipazione dallo stesso ‘socratismo’ (apollineo) che Dioniso potrà rinascere e portare al ‘superamento’.
Seguiamo dunque la traiettoria di Dioniso all’interno della filosofia di Nietzsche. Già nelle conferenze del 1870 compaiono i temi cardine della Nascita della Tragedia. Nietzsche si accosta a Dioniso ancora nell’ambito della ricerca ‘filologica’; sono questi gli anni che segnano il passaggio definitivo alla filosofia. È proprio l’indagine sull’origine della tragedia a spingere il giovane professore di filologia oltre i confini della propria disciplina, ed è lo spirito dionisiaco da cui nacque la tragedia, oltreché la necessità della sua rinascita, a richiedere un approccio differente.
Nella conferenza Il dramma musicale greco tenuta a Basilea il 18 febbraio 1870, Nietzsche rinviene la nascita del dramma nelle grandi feste dionisiache; un impulso primaverile, un sentimento tumultuoso, anima quegli straordinari cortei dionisiaci:
questa è la culla del dramma. Esso non comincia per il fatto che qualcuno si camuffi e voglia suscitare in altri un’illusione: esso nasce piuttosto quando l’uomo è fuori di sé e crede di essersi trasformato per incantesimo. Nello stato di ‘essere fuori di sé’, di estasi, si richiede solo un passo ulteriore: non ritorniamo in noi stessi, ma piuttosto entriamo in un altro essere, comportandoci così come individui trasformati per incantesimo. In estrema analisi è di qui che proviene il profondo stupore suscitato dalla vista del dramma: il terreno vacilla, viene meno la fede nell’indissolubilità e nella rigidità dell’individuo.22
Il tema dell’estasi dionisiaca sarà una costante nel pensiero di Nietzsche, assumendo le forme della rottura del schopenhaueriano principium individuationis e il mistico ritorno all’Unità fino al 1876 — anno in cui Nietzsche abbandona le tesi del ‘maestro’ —, per poi rappresentare la via di accesso alla ‘santificazione’ della Volontà e al suo ‘superamento’.
Già in questa conferenza troviamo conferma della lettura dell’opera di A. W. Schlegel da parte di Nietzsche, il tema è quello del coro tragico. Criticando le asserzioni di Schlegel, secondo le quali il coro rappresenterebbe lo ‘spettatore ideale’, Nietzsche riconduce il dramma al coro stesso:
In origine la tragedia non era altro se non una lirica obiettiva, un canto che si levava da uno stato di determinati esseri mitologici, i quali si presentavano nei loro costumi. Dapprima un coro ditirambico di uomini, travestiti da Satiri e da Sileni, dovette spiegare che cosa l’aveva condotto ad una tale commozione: esso accennava a qualche elemento particolare, tratto dalla storia delle lotte e delle sofferenze di Dioniso, subito compreso dagli ascoltatori.23
Bisogna ricondurre la conferenza al suo intento; ciò che Nietzsche vuole dimostrare in questo breve scritto è l’origine musicale del dramma. Nel dramma greco l’accento era posto sul pathos più che sull’azione ed era la musica vocale — il vero linguaggio universale per Nietzsche — a colpire immediatamente il cuore dello spettatore, il quale, per la sua particolare posizione, in qualche modo necessitava di un tale espediente. Quando sedeva sui gradini del teatro per gustare il dramma, lo spettatore aveva ancora i sensi freschi e mattutini: ciò che lo spingeva a teatro non era la noia, bensì “la volontà di liberarsi a ogni costo, per alcune ore, da se stesso e dalle proprie miserie”.
La musica giocava un ruolo fondamentale, essa era utilizzata per “convertire le sofferenze del dio e dell’eroe nella più forte compassione degli ascoltatori”, giacché costituiva l’immediata rivelazione dello spirito dionisiaco. Nella Nascita della tragedia si sottolinea più volte il privilegio assegnato alla musica, palesemente ispirato dalla filosofia di Schopenhauer e dalla lettura del Beethoven di Wagner:
il simbolismo cosmico della musica non può essere in alcun modo esaurientemente realizzato dal linguaggio, perché si riferisce simbolicamente alla contraddizione e al dolore originari del cuore dell’uno primordiale, e per tanto simboleggia una sfera che è al di sopra di ogni apparenza e anteriore a ogni apparenza.24
La musica, dunque, nella sua sfrenatezza che ripete le forze primordiali, ha il compito di liberare dall’individuazione per ricondurre all’Unità, rivelando l’essenza di Dioniso.
Tale rivelazione viene già argomentata nello scritto La visione dionisiaca del mondo composto fra giugno e luglio del 1870. Qui il canto delle feste di Dioniso rappresenta la novità per il mondo greco-romano. Dioniso si serve della sua musica per liberare e ricondurre all’Unità:
il dio, ho lýsios, ha liberato ogni cosa da sé stessa, ha trasformato tutto. Il canto e la mimica di masse così eccitate, in cui la natura si presentava come voce e movimento, era qualcosa di assolutamente nuovo e inaudito per il mondo greco-romano.25
E poi nella Nascita:
solo partendo dallo Spirito della musica possiamo riuscire a comprendere la gioia per l’annientamento dell’individuo. […] per brevi attimi siamo veramente l’essere primigenio stesso e ne sentiamo l’indomabile brama di esistere e piacere di esistere: la lotta, il tormento, l’annientamento delle apparenze ci sembrano ora necessari, data la sovrabbondanza delle innumerevoli di esistenza che si urtano e si incalzano alla volontà del mondo.26
L’annientamento delle apparenze cui si allude nel passo sopra citato rappresenta il superamento dell’apollineo intervenuto, nella costituzione dell’opera tragica quale principium individuationis, a moderare e organizzare le forze dionisiache. La coppia Apollo-Dioniso quale fonte dell’arte dei Greci compare con chiarezza, nell’opera di Nietzsche, per la prima volta (sebbene fosse già stata accennata nella conferenza Socrate e la tragedia tenuta a Basilea il 1º febbraio 1870) proprio ne La visione dionisiaca del mondo. Dioniso e Apollo sono gli stati opposti di Sogno ed Ebbrezza. In Grecia, rispetto all’Asia, l’impulso sfrenato dell’ebbrezza dionisiaca viene idealizzato nel sogno apollineo.
Fu il popolo apollineo a incatenare con la bellezza quell’istinto strapotente: esso ha sottoposto al giogo gli elementi più pericolosi della natura, le sue bestie più feroci. Si ammira al massimo la potenza idealistica della grecità, quando si confronta la sua spiritualizzazione delle feste di Dioniso con quello che è sorto preso altri popoli della stessa origine.27
L’equilibrio dionisiaco e apollineo si manifestò nella tragedia attica,
il mito dice che Apollo ha di nuovo ricomposto Dioniso sbranato. Tale è l’immagine di Dioniso rigenerato da Apollo, salvato dalla sua lacerazione asiatica.28
Rispetto al mito, siamo qui al secondo Dioniso, quello nato da Semele. Come Schelling, Nietzsche collega il mito orfico di Zagreus e il Dioniso figlio di Semele. Ma lo spirito dionisiaco della tragedia soccomberà dinanzi all’apollineo, nel tempo degli dèi olimpici. Una rinascita tuttavia si annuncia, nella figura del terzo Dioniso. Si tratta di Iacco, ‘il dio che viene’.
5. Una possibile Abhängigkeit?
Come notò Otto Kein nel suo lavoro del 1935 Das Apollinische und Dionisische bei Nietzsche und Schelling (al cap. 3.3)29 — senza tuttavia voler vedere in Schelling una fonte diretta per Nietzsche — nel paragrafo 10 della Nascita della tragedia Zagreo e Iacco, oltre alla madre di quest’ultimo, Demetra, si trovano nella stessa posizione e con il medesimo significato attribuiti da Schelling nella Filosofia della Rivelazione: in Schelling come in Nietzsche, Iacco — der kommende Gott — rappresenta la liberazione come il ritorno all’Unità.
Manfred Frank sostiene nelle sue opere Der kommende Gott (1982) e Gott im Exil (1988) di aver rinvenuto in Nietzsche una sicura dipendenza (Abhängigkeit) dall’opera di Schelling, a proposito della dottrina di Dioniso e dei Misteri di Eleusi:
Anche senza citarlo espressamente, La Nascita della Tragedia si attiene per l’essenziale al discorso di Schelling:
Ma in verità quell’eroe è il Dioniso sofferente dei Misteri, quel dio che sperimenta in sé i dolori dell’individuazione, e di cui mirabili miti narrano come fanciullo fosse fatto a pezzi dai Titani e come poi in questo stato venisse venerato come Zagreus. Con ciò si significa che questo sbranamento, la vera e propria sofferenza dionisiaca, è come una trasformazione in aria, acqua, terra e fuoco, e che quindi dobbiamo considerare lo stato di individuazione come la fonte e la causa prima di ogni sofferenza, come qualcosa in sé detestabile (Nascita della Tragedia, par. 10).
In Schelling leggiamo:
Ne deriva quindi che la storia delle sofferenze di Dioniso non era solo un argomento di poesia accessibile a chiunque, ma veniva probabilmente rappresentata, messa in scena da certi Misteri, i quali si svolgevano di notte, prendevano il nome di Nyktelie (Plutarco, De Iside et Osiride, 35). Nel trattato De ei apud Delphos, lo stesso Plutarco dice di Dioniso (cap. 9): la sua dolorosa metamorfosi nelle forme della natura viene rappresentata come una sorta di smembramento, diaspramos e diamelismos: e il dio a cui accade tutto questo viene chiamato Dioniso e Zagreo. (Filosofia della Rivelazione)
Non sono però solo queste cripto-citazioni a svelare in Nietzsche un lettore (critico) di Schelling. Nietzsche riprende infatti anche l’identificazione tra i Misteri dionisiaci e quelli di Demetra, e l’idea del terzo dio, del dio che viene, sino ad affermare, con Schelling, che il terzo Dioniso rinasce da Demetra:
[Demetra] cerca la figlia perché cerca il dio, il dio unico, quello che ha colmato per intero la sua coscienza; al suo posto è subentrata quella pluralità di dèi dalla quale essa si sente ora ferita, perché in esso non vede altro che i resti del dio perduto, di quel dio che vorrebbe raccogliere e riportare all’unità. Nemmeno il dio che libera (il secondo Dioniso) può guarirla; perché questi è la causa dell’essere ora diviso fra molti. […] Demetra non si placa, non rinuncia al suo rapporto esclusivo con il dio reale se non diventando la potenza generatrice, la madre del terzo, dello spirito che si pone al di sopra di ogni molteplicità solo come momento sotto di sé. Ma perché la pacificazione e la riconciliazione siano perfette, devono essere accompagnate dalla coscienza che questo uno spirituale, di cui essa diventa madre, coincida con quell’uno reale o sostanziale […]; così veniva rappresentato la situazione nei misteri, dai quali risulta che […] alla scomparsa sotterranea del primo dio (tais orais kai tois aphanismois) fa seguito immediatamente un ritorno ed una rinascita (anabiosi skai palinghenesia). Anche il racconto confuso di Diodoro Siculo conferma che la terza potenza non è se non il ritorno della prima, là dove dice che il Dioniso fatto a pezzi dai Titani figli della terra rinasce nuovamente da Demetra (palin hypo Demetros ex arches neon ghennethenai). Che sia proprio la nascita di Iacco a placare e a riconciliare Demetra risulta anche da un particolare marginale del racconto: che cioè lo sguardo della dea addolorata e corrucciata si rasserena la prima volta quando una delle sue ancelle le ricorda che essa partorirà ancora, diventerà madre ancora una volta e appunto madre di Iacco […] A questo punto alludeva l’azione scenica (Filosofia della Rivelazione):
il prototipo dell’azione scenica da cui nasce anche la tragedia. Ora, in Nietzsche leggiamo poco dopo il passo citato in precedenza:
In quell’esistenza in quanto dio smembrato, Dioniso ha la doppia natura di un demone crudele e selvaggio e di un dominatore mite e dolce. Ma la speranza degli epopti [ossia gli iniziati di Eleusi, ammessi alla visione del Santissimo] si appuntava su una rinascita di Dioniso, che noi dobbiamo ora presentire come la fine dell’individuazione: per la venuta di questo terzo Dioniso risuonava il fremente canto di giubilo degli epopti [la iache] . E solo in questa speranza appare un raggio di gioia sul volto del mondo dilaniato, smembrato in individui: ciò è simboleggiato dal mito attraverso Demetra, immersa in un’eterna tristezza, che per la prima volta si rallegra quando le si dice che può ancora una volta generare Dioniso. Nelle considerazioni citate abbiamo già riuniti tutti gli elementi di una visione del mondo profonda e pessimistica, e insieme con essi una dottrina misterica della tragedia: la conoscenza fondamentale dell’unità di tutto ciò che esiste, la concezione dell’individuazione come causa prima di ogni male, l’arte come lieta speranza che il dominio dell’individuazione possa essere spezzato, come presentimento di una ripristinata unità (Nascita della Tragedia).
L’interpretazione schellinghiana di questo episodio è così unica che Nietzsche non può avere attinto ad una fonte diversa. È vero che Nietzsche modifica in vari punti l’impostazione romantica, ma no la rinnova nella sostanza.30
Ci siamo permessi questa lunga citazione per sottolineare due punti cruciali e incontrovertibili. Da una parte, la medesima posizione dei ‘tre’ Dioniso in Schelling e Nietzsche (aspetto quasi certamente dovuto alla lettura dell’opera di Creuzer); dall’altra, la comune e originale interpretazione del mito di Demetra e dei Misteri di Eleusi in relazione a Dioniso.
Nel III Dioniso vediamo risorgere dai morti e da penose sofferenze il Dioniso primordiale (Zagreus), quello che all’inizio del processo si smembrava simbolicamente nella molteplicità: la sua rinascita è celebrata in Iacco, detto anche ‘liber’, il libero, il figlio, il fanciullo.
Iacco, il III Dioniso, è per Schelling il dio che deve venire, ma che è gia in potenza in Zagreo. Così scrive nella Filosofia della mitologia:
non è altro che simbolo del futuro, anzi, dell’immancabile futuro, dunque di ciò che ancora non è ma che deve essere, la terza potenza è però in sé la potenza futura e anche nella dottrina dei misteri viene sempre rappresentata come non ancora essente ma ventura.»31
Una volta chiuso il cerchio del processo, tutto sarà Dioniso:
affinché la coscienza venga del tutto tranquillizzata sull’unità scomparsa nella pluralità (superata nella pluralità) — e affinché il processo venga avvertito come teogonico nel senso più alto — questo terzo deve essere posto insieme nella coscienza in modo tale da essere spiritualmente uno stesso con quell’uno divenuto invisibile, sostanziale, e in modo che sia appunto questo che rivive in quel terzo. In questo modo soltanto tutto è ora Dioniso.32
Questo concetto viene ripetuto quasi letteralmente in un frammento di Nietzsche scritto fra il 1870 e il 1871 (7 [61]):
l’individuazione — e poi la speranza nella nascita dell’unico Dioniso — tutto sarà allora Dioniso.
E poco dopo (7 [97]):
esiste un solo Dioniso…
I ‘tre’ Dioniso in Schelling e in Nietzsche sono un’unica divinità, come voleva l’interpretazione ancor più ampia di Creuzer. Ma in Schelling e Nietzsche c’è di più; Zagreo, il secondo Dioniso (Bacco) e Iacco sono tre manifestazioni dell’unico Dioniso ordinate cronologicamente e ontologicamente ad esemplificazione di un processo teogonico e di formazione della coscienza — teoretica in Schelling, morale in Nietzsche.
Ma l’aspetto filologico che ora ci preme sottolineare riguarda il legame di Dioniso e Demetra. Il mito di Demetra è noto. Persefone (poi Kore, la ‘fanciulla vergine’) viene rapita da Ade e, per intercessione di Zeus, può tornare dalla madre Demetra solo una volta all’anno, in primavera, col germogliare del grano. Ora, Ade è il ‘dio reale’, impenetrabile alla coscienza, il principio oscuro, pre-conscio, rappresenta la prima età degli dèi orfici, in cui l’Uno o il dio reale — Urano/Elohim — governa il mondo. Il suo destino è però di aprirsi al principio spirituale, al divenire e al politeismo nell’età inaugurata da Crono/Jahweh, e di entrarvi poi in una terza età, quella degli dèi dell’olimpo.
Demetra, nel parallelo femminile, occupa una posizione intermedia fra Estia ed Era. Da un lato essa è ancora soggetta al dio reale dei primordi, dall’altro essa inclina alla spiritualizzazione e al progresso. La figlia Persefone rappresenta l’emancipazione di Demetra dal ‘dio reale’, tuttavia il dio nascosto continua ad esercitare su Demetra un potere quasi magnetico che si manifesta nel rapimento di Kore. Demetra non può placare la sua nostalgia selvaggia per la figlia perduta, cioè per il suo legame originario con l’unico dio:
Ora, come può essere mitigato questo struggimento di Demetra, consolato il suo dolore, placata la sua furia? […] Solo in quanto al posto del dio trapassato venga per lei il dio che non morirà più, il dio che resta, il dio cui spetta di diritto l’essere […]
Per la coscienza, la compensazione per la perdita del dio che non doveva esistere e che perciò regredisce dall’essere al non essere, può darsi solo nel dio che è destinato ad esistere, a cui spetta l’essere. Questo dio non può che essere Dioniso, infatti, questi non è che la mediazione del dio destinato ad esistere con la negazione di quello che non deve esistere. […]
La Demetra separata da Persefone, ossia la coscienza purificata da ogni materialità, diviene (al termine del processo) colei che pone, ossia, espresso in modo mitologico, colei che partorisce, la madre di questo terzo Dioniso […] e il contenuto principale delle celebrazioni nei Misteri, e soprattutto dei più sacri, quelli eleusini, è appunto la nascita e la venuta, o, per usare un’espressione solenne, l’avvenire, il futuro, l’avvento di questo terzo Dioniso.33
In Nietzsche si legge:
Demetra si rallegra nuovamente, sperando in una nuova nascita di Dioniso. Questa gioia — come annunciatrice della nascita del genio — è la serenità greca.34
Ossia, la speranza per la nascita del III Dioniso s’incarna nelle divinità dell’Olimpo, mentre la vera e propria nascita di Dioniso riconduce all’Unità dei primordi.
È opinione diffusa tra gli studiosi di filologia classica che non sussistano effettivi legami tra i misteri di Demetra e il culto di Dioniso. Sconosciuto all’autore dell’Inno e ai documenti epigrafici del V sec. a. C., Dioniso comincia ad apparire in rapporto ad Eleusi nelle fonti letterarie e nelle decorazioni della ceramica attica della seconda metà dello stesso secolo. L’Antigone di Sofocle esalta il Dioniso tebano ricordando, fra i luoghi in cui si manifesta la sua potenza divina, ‘le valli di Deo eleusina’; di fatto, i riti notturni delle Thyiades sono compiuti in onore del dio Iacco. La prima menzione di Dioniso in un contesto eleusino si pone dunque sotto il segno dell’identificazione con quella figura che assolve una funzione primaria nella prassi rituali dei misteri come ‘guida’ degli iniziati nel corso della pompé che si svolgeva fra Atene ed Eleusi.
Nonostante la tendenza assai frequente nella tradizione letteraria ad avvicinare o assimilare Dioniso a Iacco, di cui il luogo sofocleo costituisce l’esempio più antico, l’originaria distinzione dei due personaggi è una realtà di cui gli stessi autori antichi mantennero sempre coscienza. In letteratura, il rapporto di Dioniso col mondo eleusino si configura essenzialmente sotto il profilo dell’assimilazione al daimon demetriaco Iacco, che è il solo ad essere presente nella vita cultuale.
Il Wilamowitz, che come è noto rivolse le più aspre critiche alla Nascita della tragedia, non criticò l’identificazione tra le orge dionisiache e quelle eleusine. Erwin Rohde, che difese Nietzsche in una Replik, non riprese tuttavia nella sua opera maggiore, Psiche, l’interpretazione nietzscheana delle eleusinie, ritenendo Iacco completamente distinto da Dioniso, così come d’altronde lo concepiva il culto attico. Seguendo la dottrina orfica, Rohde poneva inoltre una distinzione chiara fra le due divinità e Zagreo.
Così non fece invece Jakob Burckhardt, il quale, nelle lezioni sulla Griechische Kulturgeschichte tenute a partire dal 1869, associava le sofferenze e la morte ciclica di Dioniso alle sofferenze e al ritorno di Kore; secondo Burckhardt, il ritorno alla vita di Kore e di Iacco era diventato per i Greci il simbolo di un Aldilà felice.
Il fatto è comunque che in Schelling e Nietzsche questa identificazione conduce al III Dioniso inteso come colui che viene per ricondurre all’Unità.
M. P. Nilson nella sua Geschichte der griechischen Religion del 1941 ritiene che la concezione dei Misteri si sarebbe trasformata a partire dal IV sec. a. C.; non si tratterebbe di una falsificazione, bensì dell’evoluzione di un nucleo di pensiero che darà luogo fra l’altro all’idea del Messia come Fanciullo divino.
Uno degli aggettivi che si attribuiscono a III Dioniso è liknites, ossia colui che giace nella cesta (liknon). Si tratta di una sorta di setaccio usato per il vaglio dei cereali che, per la sua forma veniva usato anche come culla per i neonati. Lo stesso appellativo liknites si trova riferito al Fanciullo mistico e ciò in parte sicuramente portò all’identificazione delle due divinità.
Il vaglio era dunque la culla di Iacco, anche in questo modo indicato come bambino. Se Loro mi domandano perché fosse stato scelto per culla un vaglio, non saprei rispondere altro che: anche Iacco doveva essere indicato come il principe della pace; il vaglio è l’immagine di un’occupazione pacifica. Nello stesso tempo, inoltre, doveva essere così indicata l’invisibilità della sua nascita, cioè il fatto che egli non appariva ancora quale avrebbe dovuto essere; e per una apparentemente mirabile, ma in sostanza naturale prolessi, il vaglio è ciò che, in relazione ad una nascita più altae molto più sacra, è divenuto in seguito la mangiatoia.35
Dioniso bambino non sarebbe altro, agli occhi di Schelling, che l’anticipazione mistica — esoterica — di quella che sarà la essoterica manifestazione del Salvatore (soter): attributo, quest’ultimo, di cui lo stesso Dioniso già si fregiava.
Anche in Nietzsche trova conferma la teoria che la dottrina dionisiaca sia passata tramite i misteri, trovando la propria evoluzione nel cristianesimo. Leggiamo questo interessante passaggio tratto dai Frammenti del 1870:
[L’elemento dionisiaco] si rifugia nei misteri. Erompe nel cristianesimo e genera una nuova musica.36
La critica che Nietzsche rivolge al cristianesimo a prima vista impedisce di accostare la nascita del III Dioniso a Gesù. Tuttavia un’analisi più attenta del ‘Gesù di Nietzsche’ permette di considerare il problema sotto un’altra prospettiva. Innanzitutto bisogna sottolineare l’aspetto religioso che Nietzsche assegna all’avvento del III Dioniso in polemica con Schopenhauer. Come ho accennato nelle prime pagine di questo capitolo, l’abbandono delle tesi schopenhaueriane da parte di Nietzsche, risalente al 1876, contribuisce a indirizzare la teoria del ‘dionisiaco’ nella direzione del ‘superamento’.
In un frammento del 1888 così scriveva Nietzsche:
(32) DIONISIACO: nuova via ad un tipo di divino; la differenza tra me e Schopenhauer sin dal principio.37
Poco prima leggiamo un passaggio fondamentale:
compresi che il mio istinto seguiva una direzione contraria a quella di Schopenhauer: tendeva a giustificare la vita, anche ciò che aveva di più terribile. La formula che avevo fra le mani era il dionisiaco. […] Schopenhauer non giunse a divinizzare la volontà.38
Il congedo che Nietzsche prese dalle tesi schopenhaueriane è accompagnato dall’allontanamento dall’amico di una volta Wagner. Umano, troppo umano è lo scritto che marca chiaramente il passaggio alla nuova fase. Ciò che colpì subito Wagner fu la posizione di Nietzsche nei confronti dell’arte. Essa non era più la tendenza metafisica per eccellenza, giacché rappresentava ormai una fase ‘superata’ dell’educazione dell’umanità, pensata come un processo di illuminazione in cui il ruolo dominante, a quel tempo della speculazione nietzscheana, apparteneva alla scienza.
L’arte non era più in grado di proteggere dall’orrore dell’abisso, anzi si rivelava nella sua essenza falsificante, e ad essa subentra la scienza, la quale non poteva liberare dal mondo della rappresentazione, risultato di una lunga storia di errori divenuti connaturali all’uomo, ma solo “sollevarci, almeno per qualche momento, al di sopra dell’intero processo” facendoci scoprire che la cosa in sé, di cui sognavano Kant e Schopenhauer, è forse degna di un’omerica risata. All’arte rimaneva il compito di mantenere in vita l’eroe e il giullare che sono in noi, aiutando la scienza a sopportare la consapevolezza dell’errore necessario. È probabile che Nietzsche avesse maturato la separazione dalle tesi estetico-pratiche di Wagner proprio a partire dalla scoperta sul piano pratico dell’irrealizzabilità di un progetto di rinascita della cultura tragica che si sarebbe dovuto fondare sul dispiego della portata più vasta dell’opera wagneriana.
La nuova concezione dell’arte che usciva da Umano, troppo umano non trascinava con sé il ‘dionisiaco’ che anzi rimaneva il fondo abissale dell’esistenza. Il Nietzsche della fin degli anni Settanta si trova a fare i conti con il ‘dionisiaco’ e non se ne libera facendolo coincidere con un qualche fantasmagorico noumeno, né con il Nulla, bensì lo assume come via di santificazione della Volontà originaria e ultima.
Il dionisiaco preparerà, negli anni successivi, ad un nuovo ‘tipo’ di divino che passa per la ‘accettazione-santificazione’ della Volontà come totalità dell’esistenza.
Leggiamo questo passo del 1887:
Con il termine ‘dionisiaco’ si esprime: un impulso verso l’Unità, un dilagare al di fuori della persona, della vita quotidiana, della società, della realtà, come abisso dell’oblio, come traboccamento appassionato-doloroso […]; un’estatica accettazione del carattere totale della vita; la grande e panteistica partecipazione alla gioia e al dolore.39
Questa accettazione totale della vita nei suoi aspetti più drammatici, questo dionysich zu stehen, questo amor fati, deve preparare all’Amore totale, privo di divisioni, proprio dell’Übermensch.
“Mi sembra che tu abbia cattive intenzioni”, dissi un giorno al dio Dioniso: “cioè di mandare in rovina gli uomini”- “Forse” rispose il dio “ma in modo che me ne venga qualcosa”. “Cosa mai? ” chiesi io incuriosito. “CHI mai? Dovresti chiedere. ”
Così parlò Dioniso, e tacque quindi nel modo che gli è proprio, e cioè in maniera tentatrice. —Avreste dovuto vederlo! Era primavera, e tutti gli alberi erano pieni di giovane linfa.40
Il III Dioniso per Nietzsche non è che il precursore del Superuomo. La sua fanciullezza ricorda l’innocenza (die Unschuld) del Fanciullo dell’IO SONO del Così parlò Zarathustra: l’ultima ‘tappa di avvicinamento’, nella formazione morale della coscienza, all’Übermensch.41
Il Dioniso bambino è il precursore del Superuomo, come il semper adveniens, una figura che si annuncia ‘nella storia’, ma che sta sempre al di là della storia stessa; allo stesso modo per Schelling, l’ultimo Dioniso non è che l’anticipazione esoterica dell’avvento del Figlio.
La curiosa posizione di Gesù e del Superuomo nelle filosofie di Schelling e di Nietzsche, in rapporto alle rispettive letture del mito di Dioniso, induce a mio avviso a verificare il legame esistente fra le due figure. È mia opinione che ciò costituisce una prova a suffragio di quell’amicizia stellare che intercorre fra Gesù e l’Übermensch, e che Massimo Cacciari ha voluto illustrare nel saggio Il Gesù di Nietzsche.42
Nelle sue opere e in particolare ne L’Anticristo, Nietzsche oppone Gesù al Cristianesimo, in quanto contrappone Gesù al Cristo, vedendo in quest’ultimo una figura teologica, ‘un artificio ecclesiastico-intellettuale’, che ottenebra il senso della parola di Gesù compromettendola con l’eredità ebraica e con la filosofia ellenica, mentre
Gesù è in Nietzsche figura anti-cristica — ed è come se l’Oltreuomo […] volesse riprenderne la testimonianza, liberarlo da ogni cristologia. Dal punto di vista dell’Oltreuomo, ‘imitare’ Gesù non potrebbe voler dire che annunciare l’Anticristo.43
L’Übermensch di Nietzsche in qualche modo riprende l’Amore senza riserve di quel ‘lieto messaggero’ il cui vangelo — come scrive nell’aforisma 39 de L’Anticristo — morì sulla croce, venendo tradito dalle “kirchlichen Cruditäten di un regno dei cieli” che sta al di là di questa vita.
“la più profonda parola del vangelo, la sua chiave in certo senso” (L’Anticristo, af. 29) risuona al centro del Sermo in monte: avete udito “oculum pro oculo et dentem pro dente”. Ma io vi dico: “Non resister malo” (Matteo 5, 38-39). È la beatitudine che si raggiungere nel non-poter-esser-nemico, nel non poter dir no a nessuna presenza, nell’accogliere tutta la vita come vita vera ed eterna. La vita non viene qui promessa, “ma es ist da, es ist in euch” si dà qui e ora “come vita nell’amore, nell’amore senza riserve e senza esclusioni, senza distanza” (L’Anticristo, af. 29).44
Ma non è questo il superamento di ogni contrasto, di ogni individualità, a cui il III Dioniso ha l’incarico di ri-condurre? E non è questo l’Amore che tutto dona45 (e a nulla si oppone) e che anima l’Übermensch nietzscheano nelle pagine dello Zarathustra?
-
J.G. Herder, Sämtliche Werke, Berlin, 1877-1913, p. 443. ↩︎
-
F.W.J. Schelling, Sämtliche Werke, I/6, Stuttgart, 1856-61, p. 572. ↩︎
-
A.W. Schlegel, cit., Stiehn, Heidelberg, 1971. ↩︎
-
F. Schlegel, cit., tr.it., Einuadi, Torino, 1991. ↩︎
-
F.W.J. Schelling, Die Weltalter, Munchen, 1946, p. 187. ↩︎
-
M. Baeumer, «Das moderne Phänomen des Dionysischen und seine ‘Entdeckung’ durch Nietzsche», in Nietzsche-Studien, 1977, 123-153. ↩︎
-
F.W.J. Schelling, Filosofia della Rivelazione, tr.it, Bompiani, Milano, 2002, p. 585. ↩︎
-
ibidem, p. 639. ↩︎
-
Ibidem, p. 711. ↩︎
-
Ibidem, p. 713. ↩︎
-
Ibidem, p. 719. ↩︎
-
Ibidem, p. 771. ↩︎
-
Ibidem, p. 787. ↩︎
-
Rimando al paragrafo che segue, ove si sottolinea la vicinanza di Iacco e del Figlio di dio. ↩︎
-
Ibidem, p. 883. ↩︎
-
C.Gentili, Nietzsche, Il Mulino, Bologna, 1999, p.43. ↩︎
-
Come Nietzsche, allievo di Ritschl. ↩︎
-
F. Schlegel, Sullo studio della poesia greca, tr. it., Napoli, 1990, p. 124. ↩︎
-
F. Schlegel, Sämtliche Werke, II/4, München, 1958, p. 25. ↩︎
-
In esso si fa menzione in data 12 dicembre 1871 di un’altra opera di Michelet La France davant l’Europe. ↩︎
-
A. Baeumler, Bachofen und Nietzsche, Neue Schweizer Rundschau, Zürich, 1929. Facciamo riferimento in particolar modo al capitolo ‘Ctonio, Dionisiaco, Apollineo’. ↩︎
-
F. Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci, e scritti, 1870-1873, tr.it, Adelphi, Milano, 1991, p. 12. ↩︎
-
F. Nietzsche, cit., p. 19. ↩︎
-
F. Nietzsche, cit., p. 49. ↩︎
-
F. Nietzsche, cit., p. 54. ↩︎
-
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, tr. it., Adelphi, Milano, 1999, p. 111. ↩︎
-
F. Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci, e scritti 1870-1873, cit., p.55. ↩︎
-
ibidem. ↩︎
-
O. Kein, cit., Junker & Dünnhaupt, Berlin, 1935. ↩︎
-
M. Frank, Gott im Exil, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1988, p.55-58. ↩︎
-
F.W.J. Schelling, Filosofia della Mitologia, tr.it.,Mursia, Milano, p. 355. ↩︎
-
F.W.J. Schelling, Filosofia della Rivelazione, cit., p. 771. ↩︎
-
F.W.J. Schelling, Filosofia della mitologia, cit., p. 378-379. ↩︎
-
F. Nietzsche, Frammenti postumi, 1869-1874, tr.it., Adelphi, Milano, 7[55]. ↩︎
-
F.W.J. Schelling, Filosofia della Rivelazione, cit., p. 861. ↩︎
-
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1869-1874, cit., 7[134]. ↩︎
-
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, 12[1]. ↩︎
-
Ivi, 9[42]. ↩︎
-
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, 14[14]. ↩︎
-
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, 2[25]. ↩︎
-
Superfluo, ma dovuto, ricordare che nelle tappe verso il ‘superamento’ non v’è alcun legame dialettico. ↩︎
-
M. Cacciari, Il Gesù di Nietzsche, in Micromega, II, 2000. ↩︎
-
Ivi, p. 200. ↩︎
-
Ivi, p. 195. ↩︎
-
E.C. Corriero, «il dono di Zarathustra», in Dialegesthai, aprile 2007. ↩︎