La poetica di Cristina Ferrari tra tempo ed eternità

1. Il volto dell’Amato

L’opera poetica di Cristina Ferrari, nata a Trento dove vive e lavora come bibliotecaria, percorre il crinale che separa il tempo dall’eternità, la natura visibile dall’Oltre inattingibile, il divino il cui pensiero soltanto dà gioia vera e profonda. Il volto dell’amato nella memoria dell’autrice si confonde con il Volto del più che Amato, come se il primo fosse un barlume, una figura del secondo: «Nettare d’ape, / è l’amore / che sgorga / dal cuore, / per te, / per i tuoi occhi… / Ed in questo mare / trovo rifugio, / e quiete, / e torno, / silenziosamente, / al Padre»1. Anche la persona cara scomparsa vive per sempre nei suoi versi, come se il passato eguagliasse l’esistenza terrena all’intramontabile, all’essere divino immutabile e indefettibile. Il Salmo 148 esorta tutte le creature viventi e non viventi a lodare il Signore dei cieli perché da Lui sono stati creati; il passo successivo consiste nell’amare il creato in ogni sua manifestazione, dalla più umile a quella più elevata. Alla lode segue il ringraziamento dell’autrice Ferrari: «Grazie Signore / che accendi / l’alba, / rinasce il giorno / dopo la notte, / illumini il cielo / con l’astro solare, / e dopo il buio / segue la luce, / come dopo il dolore / la gioia ancora / irriga l’anima. / Grazie / per l’alternarsi / dei giorni, / delle stagioni, / degli anni, / in cui ci accompagni / alla meta. / Grazie per la vita»2. L’amore è lode in atto, non possiamo non amare ciò che è degno di lode nella sua eccellenza. L’amore per l’innamorato, per il creato e per l’Invisibile sono i tre gradini della scala che conduce al piano superiore conservando quello inferiore in perfetta unità. La poesia può rivelarsi una preghiera in cui creatura e creatore, lode e amore, visibile e invisibile vivono intrecciati. Tutto è bene, tutto è come dev’essere, anche se di tanto in tanto «l’ombra del male»3 intristisce la nostra vita che è «una corsa affannosa, / e poi finisce»4. Evocando S. Giovanni della Croce, Ferrari scrive: «L’amato è per me / il silenzio dei boschi / e il volo degli uccelli, / le corolle dei fiori / e il bianco della neve. / L’amato è per me / il sussurro d’amore / dei cuori, nella notte, / e l’attimo che passa, / colto nel suo restare. / L’amato è / il calore del fuoco / e il viso di chi si ama, / l’amato è il soffio / dell’aria in primavera / al risveglio dei cuori»5. L’amore è il miracolo per cui la persona amata è tutt’uno con la realtà esterna che trasfigura e con la vita che rinnova e fa risplendere ogni giorno, in ogni momento. L’amore è la via che conduce alla fonte da cui discende ogni cosa, la luce che irradia e rende visibili le cose del mondo, il faro che dà una direzione al viaggio di quaggiù: «Eri tulipano, / gelsomino in fiore, / eri spiga di grano, / che offre i suoi frutti, / eri temporale d’estate, / che rinfresca e solleva, / eri passero che canta / la speranza, / aquila che s’invola, / eri la Grazia per me, / di un approdo, / nel mare dell’essere»6. La vita è un aspirare alla vita, è un agognare, è ricerca animata da un desiderio prepotente, che si riflette nella stessa tormentata elaborazione poetica, come se il poeta rispecchiasse nell’anima e nei versi «l’immenso / desiderio / di vita»7. E forse solo il Signore può dare una risposta; forse questa ricerca mira a ritrovare il divino in tutto ciò che vive sulla terra, come se il rumore dell’acqua in montagna, i silenzi in cui il tempo sembra sospeso, fossero echi e risonanze del trascendente e l’uomo potesse trovare la pace e la gioia solo mettendosi sulle tracce dell’Invisibile, meditando e riflettendo su ciò che vede e interpretandolo come segno, premonizione della sua Presenza.

2. Il trascorrere del tempo, la caducità del mondo

Il trascorrere delle stagioni, il passare inesorabile del tempo e dell’amore, la stessa turbolenza degli stati d’animo testimoniano la caducità del mondo, che parrebbe contraddire la sua bellezza. Il tempo è una «ruota crudele» che fa passare ogni cosa, tanto che il poeta vorrebbe fermarlo e vivere in un presente interminabile. Ma «sfumano incerti pensieri / sulle ali dei desideri, / sussurra il tempo / che tutto ha un termine, / una fine. Solo, trafigge il cuore, / come un raggio di luce, / questo struggente anelito / di Resurrezione»8. Incrollabile è la fede nella Provvidenza divina e nella salvezza del Cristo Redentore. Liberato del futuro, il poeta si concentra sul passato, come se il ricordo del passato, dell’infanzia felice, fosse un rifugio sicuro dal male del mondo. Ma anche questo scorrere della nostra vita, questo perdersi nel tempo di ogni essere vivente e di ogni esperienza, sono parte della bellezza del mondo. Sappiamo che tutto è destinato a finire, ma non per questo perde valore ciò che scompare per sempre. Con accenti montaliani, Ferrari così vede il tempo: «Non come pietra / sul letto / di un fiume, / ma come / erba falciata, / fiore reciso, / grido strozzato, / ti giunga / il mio senso / struggente del tempo»9. Come la sofferenza rende più viva la gioia, la sera fa risplendere il giorno, la morte rende intelligibile la nascita, così il tempo breve, troppo breve in cui si distende l’esistenza di ogni cosa si rivela prezioso nonostante il suo incalzare fatale, la sua indifferenza impietosa per tutto ciò che travolge e fa scorrere in un luogo protetto e sicuro: il passato. Il presente possiamo viverlo, ma si dilegua nella sua evanescenza inafferrabile; lo ritroviamo con la memoria nel passato, dove possiamo solo rimpiangerlo, ma non viverlo. Il passato dura per sempre, ma dentro di noi, emergendo di tanto in tanto «da profondità ignote, / da anfratti nascosti». Il passato è immortale, come il Signore è indefettibile. Proprio per l’impossibilità di modificarlo, in virtù del fatto che lo siamo stati e perciò è intimamente nostro, il passato ha qualcosa di sacro, che ci parla e ci guida: «Se ascolti, parla / la saggezza, / la voce di Dio / dentro la nostra vita. /Il passato è una via / che ci riporta a casa. / Rifulge / sempre d’una / bellezza particolare, / come qualcosa di sacro. / E ripercorrerne la strada / è nostalgia e piacere, / per l’anima»10.

3. La creazione come volto del creatore

La gioia, per quanto fragile e precaria, sembra annullare la differenza tra la vita e la morte: «La vita / e la morte, / si sfiorano / quando la gioia / raggiunge / il limite, / oltre cui / precaria appare / e fragile»11. L’amore non è attaccamento morboso, per questo non si tramuta in attonita disperazione quando finisce o si disperde lungo il cammino. L’amore sopravvive alla morte nella forma dello stesso desiderio dal quale è sbocciato: «Il tuo amore / è come / pruno / selvatico, / nella tua / assenza / è aspro il frutto. / È come fiume / che scorre sui sassi, / è la bianca schiuma, / si forma / e si disperde / nell’acqua. / Ma questo /essere e sparire, / aumenta il desiderio, / perché vivere / è morire / e poi risorgere»12. Non c’è spazio per futili lamenti, sterili proteste o lacrime di condanna. L’amore rende la vita un incanto: «Mani / che si intrecciano / visi / che si sfiorano, / poi si lasciano, / deve apparire il cielo. / E l’amore / è incontrarsi / e lasciarsi, / si / scorge / il sole, / la luce, / il chiarore dell’aurora. / E gira / il tempo, / ruota / e clessidra, / conta gli attimi, / gioco della vita, / amore eterno. / Incontrarsi, / lasciarsi, / intrecciarsi, /sciogliersi: / sottile diletto, / incanto del vivere»13. L’amore è la sola cosa che può dare significato alla nostra vita: «Tutto ha un senso, / quaggiù / se c’è l’amore»14. Il tempo che passa, la vita che scorre suscita l’impressione di una forza che trascina, di uno slancio impetuoso che dà impulso alle cose e ai cuori: «E l’anno scorre via, / e trascorre la vita / come un giovane auriga, / sul cocchio»15. Ma è inutile nascondersi «il dolore / per questo tempo che passa, / che scorre, lascia / traccia / di giorni perduti, / di sguardi, / di volti, / parole, / affidate al vento / della nostra esistenza»16. I fenomeni della natura non sono eventi impersonali, governati dalle leggi della fisica secondo la concezione meccanicistica, ma messaggeri in cerca di un destinatario. Come il vento che soffia, sibila e rumoreggia mettendo in movimento i pensieri: «La sua voce / nasconde / un lamento, / quasi / strozzato richiamo. / E avverto / qualcosa, / che viene / di lontano»17. Anche l’ulivo legnoso e tortuoso, simbolo di pace, è un messaggero: «Forse tu sveli / che la vita / rimanda / sempre oltre, / altrove / corre / il filo / delle attese»18. L’osservazione di piante e animali della vita quotidiana non è mai senza risonanze ideali e sentimentali. Ecco come il «pallido elleboro», «fiore / d’inverno / umile e prezioso» ricorda «un tempo acerbo, / fra rami spogli / di febbraio»19, e le rondini alzandosi in volo nel «cielo roseo / d’estate» volteggiano in «ampi giri / canti / della mia anima»20. Lo sguardo poetico scopre il senso di ogni cosa nel mondo. I paesaggi della montagna trentina, così familiare all’autrice (Daone, Tione, Val di Brenta, Stenico, Lomaso, il lago di Vallagola…), testimoniano direttamente il Creatore: più si sale, più si è vicini al Signore. L’intima sorgente fa sentire il poeta tutt’uno con il creato: «Scorre l’acqua / della cascata bianca, / spumeggiante, / nasce dalla sorgente, / ed è per me / come dall’anima. / Turbinosa, / balza sui sassi, / erode la roccia, / come il flusso / della vita, / scuote chi vi si accosta. / Intimo gaudio / nel movimento fluido, / lenisce, accarezza / l’anima. / Fiori sulle bordure, / rallegrano, / con i vivaci colori. / Anch’io mi perdo / in quella / festa di luce, / a cui fa corona il bosco»21. L’acqua di sorgente «tumultuosa, / spumeggiante»22 evoca il flusso della vita, animata da una forza superiore che scende dall’Alto. In montagna lo sguardo incontra sempre qualcosa di aurorale, di originario, di incontaminato, «l’originaria innocenza / perduta / nei compromessi / della giornata»23. E solo un’anima ancora candida, non deturpata dalle brutture del mondo, non ancora ingaglioffita dai tatticismi pragmatici e dai vili compromessi degli agglomerati urbani, può riuscire a vedere l’intima sorgente, a salire l’altura da cui sgorga: «Chi salirà il monte del Signore? Chi ha mani innocenti e cuore puro» (Salmo 24, 3). E Cristina Ferrari: «Dove, Signore, / se le metropoli / risucchiano il respiro, / alveari anonimi / dell’anima asfittica, / dove, se gli uomini /insanguinano il suolo natale, / dove, Signore, trovarti, / in un cielo non più stellato, / ma inquinato dalle ciminiere?»24.

4. Il simbolismo della Montagna

René Daumal nella sua opera onirico-metafisica dal titolo Il Monte Analogo, pubblicata nel 1952, evoca il simbolismo della Montagna, ricordando la sua presenza in tutte le culture come legame tra la Terra e il Cielo.25 Il Monte tocca la regione degli immortali ed ha la sua base nella regione dei mortali. Ecco perché il Monte è un mediatore: è la via percorsa all’ingiù dalla divinità per rivelarsi all’uomo e percorsa all’insù dall’uomo per incontrare Dio. Nell’antico testamento patriarchi e profeti s’incontrano con Jahwe su alture: il Sinai e il Nebo di Mosè; nel nuovo testamento: il Monte degli Olivi e il Golgota. La montagna del Purgatorio di Dante rappresenta plasticamente lo sforzo di purificazione ed elevazione. Francesco Petrarca, nella Lettera a Dionigi di Borgo San Sepolcro, rievoca l’ascensione al Monte Ventoso (che ebbe luogo il 26 aprile 1336 giornata del venerdì santo, donde il parallelismo tra il poeta e Cristo durante la sua salita al Golgota) fatta in compagnia del fratello Gherardo. Gherardo Petrarca, che avrebbe preso i voti monacali nel 1343, sale senza difficoltà perché è libero dalla schiavitù dei beni materiali, mentre Francesco è appesantito dai peccaminosi piaceri della Terra. La montagna, dunque, come luogo di elevazione e purificazione, come scenario di epifanie, come simbolo della coniunctio oppositorum, ma anche come simbolo della sfida al superamento di un ostacolo che agli scettici appesantiti dal vizio può apparire insormontabile. In una poesia dedicata a Giovanni Prati, Cristina Ferrari ricorda il poeta nativo di Dasindo che «cantò le greggi, / il profumo dei pascoli / e si inebriò / dei colori forti / del suo Trentino» anelando sempre di poter rivedere «il verde dei campi, / e il cielo azzurro / del suo Lomaso»26 mentre era trattenuto a Milano dalle «battaglie per la patria». Nell’opera di Cristina Ferrari la limpidezza dello sguardo poetico evoca i quadri di Giovanni Segantini o di Gino Bellante, dove le poche ombre sono al servizio della luce, che dilaga e risplende a testimoniare una presenza Altra in tutto ciò che cade sotto gli occhi. Gli accenti leopardiani,27 montaliani28 e quasimodiani29 che si possono cogliere qua e là sono in perfetta sintonia con la semplicità cristallina dei versi di Cristina Ferrari, la cui esperienza poetica aspira a mostrare il volto delle cose e la vita dell’anima con atteggiamento fenomenologico e senza curarsi della metrica: una scelta consapevole, fatta con l’intenzione di fare del verso un cannocchiale acuto e sensibile, puntato sui corpi e sulle anime.


  1. Cristina Ferrari, Echi lontani, Edizioni Cronache Italiane, Salerno 2009, p. 51. ↩︎

  2. Cristina Ferrari, Fiori sul sentiero, Edizioni Cronache Italiane, Salerno 2018, p. 14. ↩︎

  3. Ivi, p. 74. ↩︎

  4. Ivi, p. 52. ↩︎

  5. Ivi, p. 53. ↩︎

  6. Cristina Ferrari, Lungo il cammino, Edizioni Cronache Italiane, Salerno 2015, p. 27. ↩︎

  7. Cristina Ferrari, La mia clessidra, Edizioni Cronache Italiane, Salerno 2011, p. 13; Cfr.: Cristina Ferrari, Lungo il cammino, cit., p. 143. ↩︎

  8. Cristina Ferrari, Lungo il cammino, cit., p. 149. ↩︎

  9. Cristina Ferrari, Luce fra i rami, Edizioni Cronache Italiane, Salerno 2007, p. 6. ↩︎

  10. Cristina Ferrari, Lungo il cammino, cit., p. 57. ↩︎

  11. Ivi, p. 36. ↩︎

  12. Ivi, p. 9. ↩︎

  13. Ivi, p. 15; cfr.: Cristina Ferrari, Lungo il cammino, cit., p. 19. ↩︎

  14. Cristina Ferrari, Echi lontani, cit., p. 31. ↩︎

  15. Cristina Ferrari, Luce fra i rami, cit., p. 18. ↩︎

  16. Cristina Ferrari, La mia clessidra, cit., p. 24. ↩︎

  17. Ivi, p. 27. ↩︎

  18. Ivi, p. 35; cfr.: p. 43; cfr.: Cristina Ferrari, Lungo il cammino, cit., p. 151. ↩︎

  19. Cristina Ferrari, Luce fra i rami, cit., p. 51. ↩︎

  20. Cristina Ferrari, Echi lontani, cit., p. 11. ↩︎

  21. Cristina Ferrari, Dall’intima sorgente, Latmag Editore, Bolzano 2017, p. 9. ↩︎

  22. Ivi, p. 64. ↩︎

  23. Cristina Ferrari, Lungo il cammino, cit., p. 167. ↩︎

  24. Ivi, p. 162. ↩︎

  25. René Daumal, Le Mont Analogue, 1952, trad. it., Il Monte Analogo, a cura di Claudio Rugafiori, Adelphi, Milano 1968, 8° edizione 2013. ↩︎

  26. Cristina Ferrari, Dall’intima sorgente, cit., p. 54. ↩︎

  27. Cfr. ad esempio: Cristina Ferrari, Lungo il cammino, cit., p. 27. Al nichilismo di Leopardi che vede nella vita un naufragio da cui si può essere «salvati» solo con la poesia, Ferrari oppone la visione opposta di un approdo certo attestato dalla fiducia incrollabile nel Signore. ↩︎

  28. Cfr. ad esempio: Cristina Ferrari, Luce fra i rami, cit., p. 6. ↩︎

  29. Cfr. ad esempio: «Ed è subito giorno», (Cristina Ferrari, La mia clessidra, cit., p. 46; ID., Lungo il cammino, cit., p. 46). Per Quasimodo tutto sembra inabissarsi nella sera, per Cristina Ferrari “tutto inneggia / alla vita” (Ibidem) con l’indefettibile speranza della Resurrezione. Cfr. inoltre: Cristina Ferrari, Lungo il cammino, cit., p. 149. ↩︎