Michela Marzano, La fedeltà o il vero amore, Il melangolo, Genova 2011.
La fedeltà si può intendere in modi diversi. Comunque la si intenda (affidabilità, rettitudine, veridicità), suscita sentimenti opposti a seconda che sia messa alla prova la propria fedeltà o quella della persona da cui essa è pretesa. Non è vero forse che gli esseri umani pretendono più fedeltà dal prossimo di quella di cui sono disposti a dare prova? La fedeltà è un implicito: si dà per scontata nel momento in cui si sottoscrive un contratto, quando si legge un bollettino di borsa o un documento qualsiasi, oppure nell’atto di sottoscrivere un contratto, se ci si unisce in matrimonio o ci si vincola con un patto d’amore. La fedeltà inerisce naturalmente alla prassi corrente della vita quotidiana e parlarne, estrapolandola dalla viva corrente dei rapporti con gli uomini e con le cose, esprime già di per sé un sospetto relativamente alla sua reale consistenza. La fedeltà diventa un problema quando si è traditi o si tradisce. In questo senso si può dire che il pensiero è strettamente imparentato con il rimorso o il sospetto. Se si è tentati di tradire, l’impegno di fedeltà può essere percepito come un giogo che ci si è lasciati imporre troppo alla leggera. Se si è stati traditi, la fedeltà è riesumata nella sua effigie più insopportabile, quella del suo opposto, per biasimare l’infedeltà come il male assoluto. Si biasima l’infedeltà quando la si subisce, perché lede i nostri interessi. Ma l’obiezione etica vale in entrambi i casi: la fedeltà diventa argomento esplicito e se ne prende coscienza quando emerge l’infedeltà. La fedeltà diventa un dovere solo quando è violata e diviene esplicita nella forma della sua negazione. Altrimenti essa è celata alla vista e alla coscienza, celata nella profondità delle cose stesse. Parlare di fedeltà sembra dunque possibile solo nell’orizzonte della sua violazione.
Il significato della fedeltà in tutte le sue accezioni è quello di corrispondenza: dei comportamenti a una promessa, degli adempimenti a un contratto, di un resoconto storico ai fatti accertati. Dinanzi all’evidenza dell’infedeltà, si può sempre ricordare che, a ben riflettere, la vita è fluida e imprevedibile, quindi le nuove circostanze possono condurre o addirittura inclinare all’infedeltà persone che si sono impegnate solennemente a rispettare determinati impegni. Tutto è soggetto a mutamento, a partire dagli stessi soggetti che s’impegnano, mutuamente o meno, ad essere fedeli. Perché esigere la fedeltà quando nella natura dominano l’infedeltà, il mutamento, la sproporzione, la non corrispondenza? La risposta può essere una sola: la vera fedeltà è quella di cui non si parla, ma si vive e si sperimenta nei rapporti di ogni genere. Come l’amore, anche la fedeltà è eterna finché dura. Se la fedeltà è la conseguenza di un sentimento autentico, qualora il sentimento si rivelasse fatuo o finisse, il tradimento potrebbe semplicemente rivelare il mutato corso sentimentale, e allora l’infedeltà non sarebbe uno scandalo, ma la semplice registrazione della nuova situazione interiore. Sembra dunque che si parli di fedeltà perché a un certo punto appare l’infedeltà, che sarebbe quindi il vero problema, in quanto minaccia permanente. L’infedeltà è temuta a causa di una distorsione cognitiva: si presuppone che la fedeltà sia una necessità morale, quasi intrinseca alle cose stesse (concetto in sé mostruosamente ibrido, perché se fosse intrinseca non sarebbe mai violata), poi si prova orrore dinanzi alla sua trasgressione. Se si potesse dimostrare che regna l’infedeltà ovunque nella natura e tra gli uomini, sarebbe la fedeltà a fare problema. Ad esempio chi promette fedeltà a una persona che in seguito si rivela un criminale, sa bene che avrebbe ragione a ribellarsi a chiunque lo richiamasse all’obbligo di fedeltà. Ci sono effettivamente situazioni in cui è l’infedeltà a rappresentare un valore e un merito, come nel caso in cui un uomo cambiasse la destinazione dei propri beni perché è venuto a conoscenza di gravi fatti riguardanti il destinatario, fatti di cui era all’oscuro quando aveva deciso il beneficiario della propria donazione.
Il saggio di Michela Marzano affronta in particolare il tema della fedeltà in amore. La fedeltà non può essere intesa propriamente come un obbligo assoluto, fondato sulla presunzione di una cieca perseveranza e di una improbabile immutabilità, tuttavia neppure l’infedeltà sistematica è concepibile o accettabile. Se è vero che la fedeltà non può intendersi come una specie di arresto del tempo, è tuttavia ineludibile la domanda se sia possibile di fatto vivere senza alcuna forma di fedeltà. L’uomo è un essere che vive nel tempo ed è consapevole di essere esposto al mutamento. La sua condizione lo rende insofferente all’immobilità, ma al tempo stesso gli fa desiderare la continuità e la costanza. La contraddizione svela una sorta di egotismo degli esseri umani, i quali «vorrebbero essere sicuri della fedeltà altrui, senza bisogno di essere fedeli sempre: poter mentire, senza che si menta loro, tradire, senza essere traditi, riconsiderare un giuramento, senza che gli altri riconsiderino il proprio» (p. 21). Hannah Arendt, citata dalla Marzano, riconosce pienamente il valore irrinunciabile della promessa, con cui ci si impegna rispetto al futuro, ci si sottomette a un ordine che si dà a se stessi, ci si premunisce dalle inadempienze altrui e ci si mette al riparo dalle proprie contraddizioni: «Senza essere legati all’adempimento delle promesse, non riusciremmo mai a mantenere la nostra identità; saremmo condannati a vagare privi di aiuto e senza direzione nelle tenebre solitarie della nostra interiorità, presi nelle sue contraddizioni e ambiguità» (p. 27). Ma che cosa si promette, realmente, quando si promette? Si promette che saranno rispettati gli impegni presi, ma quando questi impegni sono stati presi in virtù di un sentimento, la promessa non può riguardare l’obbligo di provare lo stesso sentimento. Questo è il tallone d’Achille di ogni promessa dettata dall’amore. Il giuramento di fedeltà in amore è impossibile, poiché nessuno può promettere la costanza del proprio sentimento. Si può pretendere la fedeltà e far valere l’obbligo di rispettare gli impegni presi, salvo l’insorgere di ostacoli indipendenti dalla volontà dell’obbligato, solo quando non sono in gioco i sentimenti e la coercizione obbligante riposa su un mero contratto. Julie in Giulia o la nuova Eloisa intende il patto di fedeltà non come promessa di amore eterno, promessa di cui nessuno è padrone, bensì solo come «verità, sincerità, schiettezza inviolabile» (p. 28).
La volontà di essere fedeli in amore non può essere imposta da alcuna necessità esteriore, da alcun vincolo preordinato; può essere solo costruita e perseguita giorno per giorno. Quando la vita sentimentale segue strade sue e imprevedibili, l’obbligo contrattuale, la promessa fatta in un passato più o meno remoto, diventa una prigione soffocante: volerla rispettare a tutti i costi la trasforma in un adempimento di facciata, generatore di profonda infelicità e di insostenibili conflitti interiori. Per questo la fedeltà richiesta da un contratto è in antitesi a quella voluta in rapporto al legame di amicizia o amore che lega due persone, come l’interesse si contrappone al disinteresse, la coercizione alla spontaneità. La fedeltà, insiste Marzano, presuppone il riconoscimento dell’altro; essa si mantiene viva e si alimenta giorno dopo giorno, senza che sia richiesta o pretesa formalmente: «C’è una volontà comune di prolungare il più possibile il legame, ma in nessun caso vi è l’intenzione di rinchiudersi in una relazione pretenziosamente invulnerabile a rischio di ignorare le proprie fragilità e quelle altrui» (p. 29). È naturale che gli amanti si giurino fedeltà eterna, ma spesso non ci si rende conto, nell’esaltazione della passione, che nessuno è in grado di dare garanzie riguardo la propria passione; inoltre si fa torto ai propri sentimenti e si tradisce la nobiltà del legame se si pretende di ridurre la fedeltà all’adempimento di una dichiarazione sottoscritta solennemente. La fedeltà non si può proclamare e poi ritrattare, sostiene Marzano, perché non è una parola, ma un atto che si compie nel tempo, senza certezze precostituite, senza argini predeterminati, con la propria presenza, e con un’attenzione che l’altro non ha bisogno di esigere. La relazione autentica si nutre di una fedeltà implicita, non dichiarata, non messa in discussione, ma neppure presupposta o data per scontata. Promettere o impegnarsi sui propri sentimenti per il futuro può conseguire l’effetto di un sostanziale disimpegno nel costruire la relazione, come se la promessa fatta una volta esautorasse dal lavoro di edificazione e approfondimento del rapporto con la persona alla quale si è fedeli. La fedeltà è la conseguenza del sentimento, non della promessa; e i sentimenti non sono in potere di nessuno. Anche etimologicamente la fedeltà rinvia alla fiducia, senza la quale non è possibile alcuna fedeltà. Una fiducia, tuttavia, che non potrebbe essere incondizionata e cieca a qualsiasi evidenza in contrario, giacché anche la fiducia deve potersi confermare e alimentare ogni giorno. «Se l’assenza di fiducia rende una relazione impossibile, voler cancellare la possibilità stessa del tradimento equivale a inserirla in un immobilismo mortifero, a trasformarla in un rapporto di potere, a soffocarla» (p. 40). Come ogni cosa di questo mondo, anche l’amore più promettente e profondo può appesantirsi di incomprensioni e conflitti; ogni legame presenta il rischio di indebolirsi e persino di dissolversi. Vana, superficiale, infantile è dunque la pretesa di poter mettere al sicuro il rapporto mediante la proclamazione di indissolubilità di un vincolo eterno, giacché in tal modo ci si esonera dalla vita, si fa terra bruciata al sentimento, generando insincerità forzata, aridità interiore e menzogna permanente. Chi fa della fedeltà un obbligo a priori, costruisce una gabbia in cui non entra l’altro nella sua specifica alterità, ma solo una sua immagine statica e deformata; il mancato riconoscimento dell’alterità conduce all’intolleranza di qualsiasi atteggiamento, episodio o debolezza che non rientri nello schema in cui la fedeltà precostituita si chiude come in una prigione. La cosa più difficile è amare l’altro nella sua differenza irriducibile e inconoscibile. Letale al rapporto d’amore è la pretesa della trasparenza reciproca assoluta, della fusione perfetta, dell’assenza di zone d’ombra o di segreti; si costruisce così una falsa immagine dell’altro di cui si perde di vista l’alterità, la differenza e l’evoluzione indipendente nel tempo come persona viva. Un’immagine falsa dell’altro può generare solo un rapporto falso, inautentico, che soffoca o misconosce l’imprevedibile e mutevole articolarsi dei desideri, delle attese, delle volontà, che in ultima istanza commette l’errore di non considerare il carattere storico del rapporto d’amore, come di qualsiasi relazione tra esseri umani. Adagiarsi pigramente in una fiducia assoluta può esprimere il comune desiderio di sistemarsi una volta per tutte, deponendo le armi dell’iniziativa, della verifica e della messa in discussione, ma non può contribuire, di per sé, all’evoluzione positiva del rapporto, in accordo con l’attesa programmatica. L’affidabilità assoluta e vincolante trasforma l’altro in un automa, per quanto sia più difficile nutrire una fiducia ragionevole, che non pretende di murare viva la persona della cui fedeltà si vuole la certezza. Gli amanti possono commettere l’errore di ignorare nel partner quel che vale per tutti gli esseri umani: «L’io non smette di cambiare e subisce le ferite del tempo» (p. 45). La vita è ricerca di senso e la realizzazione delle proprie mete non avviene con un cammino lineare, bensì con interruzioni e cambiamenti di rotta. La fedeltà quindi non può sussistere come obbligazione a priori, non è un punto di partenza, ma solo il risultato di una determinazione della mente e del cuore che si traduce in atti e comportamenti. Penelope, ricorrendo all’inganno della tela, sceglie ogni giorno di mantenersi fedele al proprio amore, con pazienza e forza di volontà, in piena libertà.
La storia del romanzo La principessa di Clèves consiste essenzialmente nell’incontro di Mademoiselle de Chartres, già sposa del principe di Clèves, con il duca di Nemours, di cui si innamora alla follia. E tuttavia, nonostante la sua passione sia ricambiata, rimane rigorosamente fedele al marito; ma si tratta di una fedeltà puramente esteriore, per quanto “perfetta”, risultato dell’adempimento perfetto della legge morale, che esige fedeltà assoluta alla promessa, senza tener conto delle turbolenze sentimentali. Madame de Chartres, commenta Marzano, in effetti ancora non sa che cosa sia l’amore quando si vincola al principe di Clèves con la promessa di matrimonio. Di conseguenza la principessa si limita a un rispetto puramente formale del dovere coniugale, ma non è realmente fedele, poiché non costruisce uno spazio di intimità con il marito, nei confronti del quale non ha slancio d’amore, ma freddezza. Si tratta di una fedeltà sterile e inutile, che si rifiuta di «mettersi alla prova in una relazione di coppia dove l’intimità va costruita» (p. 54). Prigioniera dell’illusione di una falsa fedeltà e autosufficienza, madame de Chartres costruisce la propria infelicità con un’obbedienza formale a un ideale astratto, che la obbliga a ritirarsi dal mondo e a vivere una condizione di scissione e inautenticità. Non può esservi alcuna fedeltà senza spontaneità e intimità, senza condivisione. Una falsa fedeltà, che non rischia nulla perché chiusa in se stessa, senza rapporto con la vita e neppure con la persona alla quale la fedeltà è promessa. Una fedeltà unilaterale, intesa come fedeltà formale all’altro, che tuttavia misconosce completamente la fedeltà a se stessi come esseri viventi, se ha senso parlare di fedeltà a se stessi: a quale se stesso? Al se stesso che ha aderito a un patto iniziale, a una promessa di fedeltà assoluta, oppure al se stesso di una passione strana e presto estinta? Dilemma artificioso, che converrà superare passandovi tra le corna: la fedeltà costruita in uno spazio di intimità e condivisione non può essere intesa né come vincolo formale precostituito, né come auscultazione permanente dei propri tumulti sentimentali. In entrambi i casi infatti la fedeltà è falsa, perché unilaterale e subita passivamente. La libertà sentimentale non è cedimento alle casuali sollecitazioni di stimoli esterni, né alle passioni effimere. Che cosa fa Don Giovanni se non fissarsi su se stesso, nella ripetizione e riproduzione di un cliché? Don Giovanni è un solipsista incapace di incontrare l’altro: «Il solo luogo che attira il suo sguardo è uno specchio dove contemplare all’infinito la propria immagine» (p. 70).
Il concetto di tradimento è problematico. Secondo Vladimir Jankélévitch, ricorda Marzano, “un amore infedele” è una contraddizione, come “cerchio quadrato”. L’amore non è compatibile con le mezze misure, esige tutto o niente. Gli amanti sono coinvolti anima e corpo, il rapporto d’amore è esclusivo per definizione. Ma è proprio così? Non è forse vero, si chiede Marzano, che l’arrivo di un terzo può impedire o mettere in pericolo la condivisione solo quando l’amore è divenuto possessivo, soffocante e quindi inautentico? (p. 77). Anche se il futuro non può essere ipotecato, l’esclusività «preserva il legame, alimenta il rapporto e trasforma il luogo della coppia in accettazione: alimenta l’intimità» (p. 88). L’esclusività è inscindibile dall’amore. L’idea di una fedeltà a più persone contemporaneamente è illusoria e autodistruttiva, è come “guardarsi in uno specchio rotto”, immaginando che gli altri possano contribuire all’evoluzione sentimentale, mentre in realtà la frattura è destinata ad allargarsi, dal momento che, ancora una volta, questa fedeltà plurima è concentrata su se stessa, non elabora seriamente alcuno spazio di intimità e fedeltà autentica. Il rapporto con più persone contemporaneamente è narcisistico, rispecchia una frattura dell’io destinata a sfuggire al controllo, mantenendo il soggetto nell’isolamento da se stesso, dai propri sentimenti autentici, dalla vita vera, dal mondo. Come l’amore, la fedeltà è assoluta ed esclusiva, se ha da essere autentica. Il matrimonio diventa un inferno quando viene meno la fiducia, non si accetta la differenza, si pretende la chiusura al cambiamento, viene meno ogni meraviglia in presenza dell’altro, non si realizza realmente alcun incontro. Allora il legame precostituito diventa un carcere infernale, anziché il luogo di realizzazione della felicità di entrambi. Commentando la Sonata a Kreutzer di Lev Tolstoj, la confessione di un uomo geloso che uccide la moglie per punirla del tradimento, vero o presunto, Marzano scrive che un matrimonio o un rapporto d’amore non può fondarsi solo sulla passione sensuale: «Appena il desiderio carnale si esaurisce, niente tiene più legati gli sposi, eccetto l’obbligo» (p. 91). E questa è la premessa di ulteriori violenze, alle quali si è costretti quando ci si sente in trappola. Nessuna relazione sopravvive se si cristallizza, rimane statica, non si nutre di avvicinamento, infatti «la presenza è frutto di un movimento verso sé e verso l’altro» (p. 92). Dinamico, fragile, ma anche disposto ad accettare la delusione e le ferite del cambiamento, il rapporto basato sulla fedeltà autentica è una promessa aperta al futuro, senza tuttavia la pretesa di determinarlo. La prossimità di cui si nutre va ripetuta ogni giorno, attivamente, ogni volta come se fosse la prima, con la stessa persona. «Solo la ricerca infinita della novità inaridisce, perché in questo genere di ricerca si riproducono, con persone diverse, gli stessi gesti, senza capire che solo con le stesse persone i gesti possono essere diversi» (p. 93).