1. Il quadro di riferimento
Il nome di Franz Brentano viene per lo più legato alla ripresa della dottrina dell’intenzionalità degli atti psichici. L’importanza di questa dottrina è facilmente comprensibile considerando, se non altro, la spinta decisiva da essa data all’elaborazione husserliana della filosofia fenomenologica. E se ciò non bastasse a restituire l’idea della profondità e fecondità dell’insegnamento di Brentano, ricordiamo, altresì, che a lui si richiamano alcuni esponenti di spicco della cultura filosofica mitteleuropea di fine Ottocento inizi Novecento, per dare vita a quell’importante scuola di pensiero dalle molte ramificazioni, meglio conosciuta come la Brentanos-Schule.1 Tra i personaggi che, oltre a Husserl,2 hanno raccolto l’eredità teoretica brentaniana, si possono ricordare — tanto per citare qualche nome — Alexius Meinong,3 Kazimierz Twardowski,4 Christian von Ehrenfels, Anton Marty,5 Georg von Hertling, Herrman Schell,6 Carl Stumpf,7 Tomás Masaryk.8 Non a caso Rudolf Haller, attento studioso del pensiero brentaniano, afferma che, se è possibile parlare di tradizione filosofica in Austria, ciò è possibile solo a partire dal quel gruppo di pensatori che a Vienna si è formato sotto la guida di Brentano.9 Non meno significativi risultano in ogni caso anche gli anni di insegnamento a Würzburg, precedente al periodo viennese. D’altronde, è lo stesso Brentano a darcene testimonianza:
Quando nel 1866 mi laureai a Würzburg — racconta infatti il nostro pensatore — la cattedra di filosofia era occupata da un acceso baaderiano […] L’aula dove costui [scil. Franz Hoffmann] teneva le sue lezioni era vuota e sulla porta spiccava la scritta a lettere cubitali tracciata dalla mano di uno sfacciato studente: «Fabbrica di zolfo!».10
E non senza una punta d’orgoglio, Brentano ricorda come, sebbene egli fosse «un imberbe principiante», incomincia a trovare presto ascoltatori assidui e interessati, tant’è che quando sei anni dopo lascerà l’università, così egli scrive,
i rapporti erano mutati a tal punto che in tutta l’università, non esclusa la celebre facoltà di medicina, nessun corso di lezioni era più frequentato di quello della facoltà di filosofia.11
Non sorprende perciò quando Husserl — che com’è noto seguì a Vienna le lezioni di Brentano dal 1884 al 1886 — ammette che senza la sua guida non avrebbe scritto mai una parola di filosofia («ohne Brentano hätte ich kein Wort Philosophie geschrieben»).12 Né meno significativa risulta, tra gli altri, la testimonianza di Alois Höfler, che riconosce in Brentano, il maestro primo fra tutti capace di insegnare ad applicare nelle questioni filosofiche gli stessi criteri rigorosi appresi in matematica e fisica.13 Non sbaglia perciò chi vede il merito maggiore dell’insegnamento brentaniano in quell’incredibile capacità di indicare un severo metodo di ricerca che, senza imporre mai una formula, addita problemi nuovi, avanza ipotesi, orienta verso ricerche particolari.14 A tale riguardo, ancora le parole di Husserl ne rappresentano la più sicura conferma. Egli ricorda che all’inizio andò alle lezioni di Brentano
per semplice curiosità, per sentire almeno una volta l’uomo che nella Vienna di quel tempo faceva così tanto parlare di sé, colui che dagli uni veniva onorato ed ammirato e dagli altri (non proprio pochi) veniva accusato di essere un Gesuita travestito, un bel parlatore, un fariseo, un sofista e uno scolastico […] Parlava con tono suadente, basso, velato, accompagnando la parola con gesti sacerdotali e ponendosi di fronte agli studenti come un profeta di verità eterne e araldo di un mondo celeste.15
Così, Husserl ricava quella convinzione che gli diede il coraggio
di scegliere la filosofia come professione di vita e cioè che anche la filosofia sia un campo di lavoro serio, che anch’essa possa e quindi debba essere trattata con lo spirito della scienza più rigorosa.16
E tuttavia, nonostante queste testimonianze, pensare che Brentano sia stato «forse più che di filosofia, maestro di filosofi» resta, a mio giudizio, riduttivo.17 E allora dobbiamo domandarci: qual è il senso del lavoro filosofico di Brentano? Se si vuole comprendere meglio la sua vicenda intellettuale, a mio avviso, appare opportuna una considerazione dell’insieme dei suoi aspetti, ma soprattutto riproporre una rilettura della sua opera nella prospettiva della tensione tra scienza e fede.18 Simile angolo di visuale non solo permette di verificare la centralità tematica della philosophische Gottesfrage nell’itinerario di pensiero del nostro autore, ma dà modo anche di apprezzare la straordinaria testimonianza di un’esperienza religiosa senz’altro tormentata. Del resto, la sua stessa vicenda umana costituisce la conferma più tangibile di come tale conflitto tra ragione e fede sia così profondamente avvertito e intensamente vissuto.19
Non è a questo punto fuori luogo ricordare brevemente che nel 1864 Brentano prese gli ordini sacerdotali, e che dopo due anni, precisamente il 15 luglio 1866, si abilita per la libera docenza, iniziando così l’insegnamento all’università di Würzburg, e abbiamo visto con quale successo. Quando il Concilio Vaticano primo sancisce il dogma della dottrina dell’Infallibilità papale,20 nella vita spirituale di Brentano tocca il culmine una crisi religiosa, già latente da alcuni anni: i risultati delle meditazioni appaiono sempre più lontani delle certezze della fede. Emerge chiaramente di qui quel dissidio fondamentale della sua personalità: il filosofo Brentano entra in conflitto col teologo, il razionalista col credente.21 Questa crisi si concreta, dapprima nel ritiro nel chiostro di S. Bonifacio presso Monaco in settimane di meditazione e di preghiera, dopo aver lasciato l’esercizio sacerdotale; quindi, approda il Venerdì Santo del 1873 a una decisione radicale e definitiva di abbandonare ufficialmente la Chiesa, lasciando contemporaneamente l’insegnamento affinché i cattolici tedeschi non incontrassero ulteriori difficoltà nei già non buoni rapporti con lo Stato.22
Nel 1878 fu comunque chiamato dal ministro Stremayr all’università di Vienna, grazie soprattutto all’interessamento di Herman Lotze, superando l’opposizione del Cardinale Rauscher. Nonostante la nomina di professore ordinario, Brentano incontra subito le ostilità di parte del mondo cattolico, a partire dal teologo Stahl che invitava di non prestare fede all’«ateo» Brentano, ma anche la Kreuz Zeitung e il Volksfreund non risparmiavano attacchi, che comunque non sortirono affetto, tant’è vero che il celebre zoologo Claus fu costretto a cedere a Brentano la sua aula, dal momento che le sale della vecchia università di Vienna non riuscivano a contenere i numerosi studenti che accorrevano da tutte le facoltà per ascoltare le lezioni del Brentano.
I problemi di Brentano non finiscono comunque qui. Infatti, quando nel 1880 il nostro autore decise di sposare Ida von Lieben, sorella di un suo collega, fu costretto a rinunciare alla cittadinanza austriaca per prendere quella sassone, questo perché la legge dell’impero austro-ungarico proibiva ai sacerdoti ritornati allo stato laicale di sposarsi. La qual cosa gli fece perdere la cattedra di ordinario. Riabilitatosi nell’autunno del 1881, continua a Vienna l’insegnamento come libero docente, sperando sempre di riottenere la cattedra, che mai in realtà riavrà, anche se diverse furono le sue candidature.23 La delusione, cui si aggiunse la morte della moglie e l’assegnazione a Hillebrand della direzione del laboratorio di psicologia sperimentale, un progetto sul quale Brentano aveva a lungo lavorato al progetto, lo portano alla decisione nel 1894 di lasciare Vienna per trasferirsi in Italia dopo una breve fermata in Svizzera. Dopo brevi soggiorni a Roma e a Palermo, Brentano si stabilisce definitivamente a Firenze, prendendo, tra l’altro, anche la cittadinanza italiana. Qui in Italia, il nostro pensatore rimase per venti anni, ma, come è stato scritto, si è trattato di un «soggiorno invisibile» nel senso che la sua fortuna filosofica non sembra aver messo radici in Italia come è avvenuto invece a Würzburg e a Vienna.24 Nel 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia, egli si trasferisce a Zurigo dove morì nel gennaio 1917 oramai malato e cieco.
Questi pochi dati biografici, oltre a testimoniare la singolarità della vicenda personale di Brentano, danno immediatamente l’idea di alcuni tratti della sua personalità: l’interesse e il coinvolgimento nella ricerca della verità,25 il grande coraggio nel sostenerla e nell’affrontare qualsiasi conseguenza alla quale la sua convinzione filosofica lo avesse condotto.26 È bene però che teniamo conto del fatto che, anche quando lasciò la Chiesa, Brentano conservò sempre una sincera e profonda convinzione dell’esistenza di Dio, e potremmo dire con Oskar Kraus che egli è morto aconfessionale, ma certo non ateo («Er ist als Konfessionsloser, aber nicht als Atheist gestorben»).27
2. Caratteri e temi del lavoro filosofico di Brentano
Se insisto sul rilievo del problema metafisico-religioso nella biografia di Brentano, è perché in esso mi sembra di scorgere soprattutto il preannuncio di una delle note essenziali della sua vicenda umana. Non per questo bisogna pensare che tale rilevanza sia solo di ordine personale; al contrario, essa presenta anche una precisa valenza speculativa.28 Qui coglie decisamente nel segno Reinhard Kamitz nel sostenere che Brentano considera il fine più alto del suo lavoro filosofico la dimostrazione del fatto che il corso del mondo e la vita dell’uomo non sono parte di un accadere insensato, dominato da una cieca casualità, ma che c’è un intelletto perfetto che ha tratto dal nulla gli elementi della realtà e ha creato un ordine che pervade tutto l’essere e il divenire; la disciplina filosofica concernente questa problematica — la metafisica o, come Brentano amava chiamarla, la «dottrina della sapienza» — viene da lui designata come la scienza più preziosa dal punto di vista teoretico.29
In definitiva, la profonda idea direttrice che muove la riflessione di Brentano è la convinzione secondo la quale tra tutte le scienze una sola supera tutte le altre dal punto di vista dell’interesse teoretico. Essa è quella che ci spinge fino alla profondità più profonda (bis in die tiefste Tiefe), sino a toccare il fondamento primo (bis zum ersten Grunde vorzudringen).30 Ma ancora più esplicitamente leggiamo in un passo di Religion und Philosophie: «La filosofia è la conoscenza di Dio e di tutto ciò che per essa si può dedurre a riguardo delle cose create (die Weisheit ist die Erkenntnis Gottes und alles dessen, was sich aus ihr für die geschaffenen Dinge ableiten läßt)».31
Le prospettive delineate ci consentono di individuare le profonde radici aristoteliche del pensiero brentaniano.32 Di fatto, l’orientamento filosofico qui espresso è conforme alla concezione aristotelica della filosofia prima (erste Philosophie, próte philosophía), la quale muovendo dalla natura finita del mondo determina il principio primo di tutte le cose (das erste Prinzip aller Dinge), per spingersi fino all’essenza intrinseca ed eterna delle cose.33 Considerata sotto questo aspetto, la filosofia si configura come teologia in senso aristotelico, perché «come Dio è il primo tra tutti gli esseri, la conoscenza di Dio […] è la prima tra tutte le conoscenze».34
Diviene così sempre più evidente il carattere metafisico e religioso del pensiero; soprattutto se lo studio della filosofia ruota «intorno a Dio e la Sua relazione col mondo e le Sue creature»,35 possiamo concludere che tanto la filosofia quanto la religione hanno in comune l’oggetto d’indagine la causa prima e immediatamente necessaria, ovvero Dio.36
La religione — dice lo stesso Brentano — intesa nel vero significato del termine è più vicina alla filosofia di quanto non lo sia nei suoi riguardi tutto quell’insieme di dottrine e pratiche superstiziose che per una certa estrinseca analogia le vengono spesso assimilate quando non pure sovrapposte sino allo scambio.37
Mette conto, a questo riguardo, rilevare come per Brentano, se tra le scienze la filosofia è la più importante, in quanto ha come oggetto quell’essere che più di tutti ha valore, filosofo non è colui che esercita la filosofia come un’arte, ma che della filosofia fa scienza per elevarsi nella sfera delle cose divine.38
Brentano ritiene così di poter denunciare come del tutto arbitraria la divisione tra Naturwissenschaften e Geisteswissenschaften (Philosophia neget oportet, scientias in speculativas et exactas dividi posse; quod si non recte negaretur, esse eam ipsam jus non esset).39 Ora, tenuto conto che l’ideale è la fondazione della filosofia come scienza, ne consegue che la filosofia, se vuole imporsi effettivamente come scienza rigorosa, deve far proprio un metodo essenzialmente identico a quello delle altre scienze («die Philosophie ist eine Wissenschaft wie andere Wissenschaften und muß, richtig betrieben, eine mit der Methode anderer Wissenschaften wesentlich identische Methode haben»).40 Particolarmente significativo è il principio metodologico fondamentale che ci viene data da Brentano fin dalle Habilitationthesen (1866): «Il vero metodo della filosofia è null’altro che quello delle scienze naturali (vera philosophiae methodus nulla alia nisi scientiae naturalis est)».41 E in uno scritto della piena maturità, Meine letzten Wünsche für Österreich (1895), Brentano spiega:
I vari campi del sapere non sono tanti compartimenti stagni, ma piuttosto dei vasi comunicanti. In tutti i periodi di grande ascesa della filosofia questo metodo ha sempre dominato e lì dove esso è stato abbandonato la decadenza fu inevitabile.42
Sarebbe tuttavia errato credere che tale processo di appropriazione si riduca a una «servile adozione del metodo induttivo nella trattazione di tutti i problemi filosofici».43 Osserva correttamente a questo riguardo Oskar Kraus, per metodo delle scienze naturali Brentano non intende certo «avvicinarsi col microscopio all’anima o col cannocchiale al fondamento del mondo», ma trovare «un qualche collegamento tra induzione e deduzione, tra ragione e princìpi dell’esperienza, che si adattino relativamente all’oggetto».44 Ciò che realmente intende il nostro autore è di articolare il processo di conoscenza filosofica sul modello scientifico, quindi un procedimento analogo a quello delle scienze naturali (ein Verfahren nach Analogie der Naturwissenschaft).45
Ora, affermare che la filosofia nel suo significato più autentico è scienza, non significa avere la pretesa di giudicare di ogni cosa, ma invece si intende limitare lo studio di alcuni problemi, col fine di stabilire alcune proposizioni che possano in qualche modo di arricchire per sempre la conoscenza filosofica.46 In questo senso, ha ragione Jan Srzednicki nel dire che Brentano può essere considerato, dunque, come filosofo sistematico, ma «egli non fu realizzatore di sistemi (a system-builder), nel senso che egli non cercò di produrre una risposta filosofica onnicomprensiva (an all-embracing philosophical answer)».47 Come ricorda giustamente Antonio Millán-Puelles, Brentano vive in un’epoca in cui è di moda credere che le scienze finiranno per escludere Dio e che, pertanto, essere ateo ed essere uomo all’altezza del progresso scientifico costituiscono concetti pressoché equivalenti. Immerso nella circostanza di simile ateismo pseudo-positivo, Brentano intende difendere le proprie convinzioni metafisiche, combattendo i suoi avversari sullo stesso terreno scientifico.48
3. L’origine della conoscenza etica
Accertato il senso complessivo e i punti fondamentali del programma filosofico di Brentano, possiamo iniziare a esaminarne la prospettiva morale. A mio avviso, anche nell’etica, almeno nelle sue linee programmatiche, si può cogliere la presenza di Aristotele. Segni evidenti di aristotelismo mi pare di riconoscere in particolare nello spirito eminentemente positivo e scientifico a trattare la morale da un punto di vista puramente umano, lasciando da parte i rapporti che la possono connettere con la divinità.49 Ogni tentativo di ricondurre la conoscenza morale a «una conoscenza fondata su imperativi, e precisamente, imperativi della volontà divina, che ci sarebbero comunicati per rivelazione soprannaturale» viene considerato da Brentano chiaramente inadeguato.50 Una simile etica — chiamata dal nostro pensatore etica teologica (theologische Ethik) — si muoverebbe in un circolo vizioso:
Per ammettere, con coscienza tranquilla, un’etica, la quale pretende di essere valida in quanto rivelazione divina, sia un’autentica rivelazione di Dio, dovrei avere i criteri per i quali viene riconosciuta tale autenticità.51
In altri termini, se si presume di avere davanti una lex aeterna, si deve in ogni caso dimostrare che questa lex sia degna di Dio, cioè s’impone di verificare la sua non contraddittorietà con la lex naturalis. Spiega il nostro autore, la credibilità di un’informazione non dipende esclusivamente dalla credibilità o meno dei testimoni, ma anche dall’intrinseca probabilità dell’informazione stessa.52 Quindi, non si sbaglia nel dire che Dio comanda soltanto cose buone, ma va precisato che queste cose non sono buone perché comandate da Dio, ma comandate da Dio perché buone.53
Fondare la conoscenza etica indipendentemente dalla conoscenza del principio primo di tutte le cose — per così dire, etiamsi daremus Deum non esse — è per Brentano uno dei compiti centrali nei quali deve impegnarsi un’autentica filosofia pratica, in quanto egli è convinto che il sentimento e la volontà hanno proprie leggi in base alle quali è possibile stabilire se una determinata azione è giusta oppure no: conosciamo cosa è bene e cosa è male senza una preliminare riflessione sulla questione della causa prima.
Infatti — scrive lo stesso Brentano —, ciò che è bene (ciò che merita di essere amato) e ciò che è male (ciò che merita di essere odiato), così come il migliore (ciò che merita di essere preferito ad altri), possono essere riconosciuti indipendentemente dalla risposta che viene data alla questione dell’esistenza di Dio.54
Queste, dunque, le premesse entro cui si sviluppa la riflessione brentaniana intorno alla teoria della conoscenza della norma morale. Va detto che a questo tema Brentano dedicò numerose lezioni. Negli anni di insegnamento a Vienna, infatti, egli era solito nel semestre invernale dedicarvi ben cinque ore settimanali. Alle sue lezioni di praktische Philosophie, secondo le testimonianze a disposizione, erano presenti non solo gli studenti di filosofia, ma a questi si univano anche quelli provenienti da altre facoltà, in modo particolare dalla facoltà di giurisprudenza.55 I quaderni e gli appunti che si riferiscono a queste lezioni furono, dopo la morte di Brentano, raccolti dai suoi collaboratori più stretti e trascritti intorno agli anni trenta nell’archivio Brentano di Praga. Una prima opera di revisione e di sistemazione degli scritti venne realizzata da Alfred Kastil, ma il risultato di tutto questo lavoro di riordinamento fu portato a termine solamente nel 1952 con la pubblicazione del volume Grundlegung und Aufbau der Ethik, edizione curata da Franziska Mayer-Hillebrand.56
Altro testo fondamentale nel quale Brentano espone la propria dottrina morale è il volumetto Vom Ursprung sittlicher Erkenntnis, scritto definito da José Ortega y Gasset «folleto genial».57 L’occasione della stesura del testo fu data dall’invito del presidente della Società Giuridica di Vienna a presentare una relazione sul problema dell’esistenza del diritto naturale. La relazione — originariamente intitolata La sanzione naturale del giusto e del morale e che venne letta nella sede della società il 23 gennaio 1883 — fu in seguito arricchita con importanti note e aggiunte dello stesso autore e quindi data alle stampe nel 1889. Nel 1921 Oskar Kraus curò una seconda edizione postuma uscita nella celebre collana «Philosophische Bibliothek» della Felix Meiner Verlag.58
Brentano dà inizio al suo discorso osservando che oggetto e problema dell’etica è la determinazione del giusto fine che, se si vuol rendere infondato l’interrogativo sull’obbligazione o meno del suo perseguimento, allora dev’essere al tempo stesso anche doveroso. Il nostro pensatore ritiene che tale giusto fine sia da individuare nel principio morale fondamentale «scegli il meglio tra il raggiungibile (wähle das Beste unter dem erreichbaren)».59 Scegliere qui significa rinunciare a qualcosa che si può presentare anche come desiderabile e positivo, rinunciare a qualcosa di immediato per qualcos’altro non ugualmente immediato, che però si giudica migliore perché gli si riconosce un valore di universale preferibilità e precedenza sopra ogni altro fine. La condotta giudicata buona non è quella che produce un male minore, ma quella che, rispetto a tutte le altre azioni, viene considerata la migliore (das Beste). Sennonché, osserva Brentano, va rilevato che nella nozione di ottimo, in quanto fine o oggetto a preferenza di altri, vi si riconosce la presenza del concetto di migliore (besser). Quando, poi, ci domandiamo di definire il migliore, per questo termine bisogna intendere qui qualcosa di buono in rapporto a qualcos’altro di buono. Ma tale questione non può essere affrontata senza che sia coinvolta quella sulla nozione di bene (gut).
Con ciò si ricava che la possibilità di fondare il criterio di valutazione etica dell’agire umano inevitabilmente richiede la precisazione del concetto di bene. C’è tuttavia da notare come, per il nostro pensatore, il problema può ritenersi correttamente impostato solo se si affronta la questione di come si perviene a stabilire che qualcosa è buono, anziché cercare di sapere cosa sia il bene (se non addirittura stabilire quali cose siano buone e quali altre no). È per questa strada che il nostro autore avverte che, oltre a qualcosa che può essere buono relativamente a qualcos’altro, vi è anche ciò che è buono per se stesso, in senso stretto, in quanto piace in virtù del suo stesso essere. Così, entro i limiti in cui l’uomo è capace di esperienza di «un amore caratterizzato come giusto», «si genera in lui la conoscenza del fatto che qualcosa è veramente e indubbiamente buono».60 A chiarire meglio l’esistenza di sentimenti giusti, si può ricorrere all’esperienza che si potrebbe esprimere con la frase di Ovidio «video meliora proboque deteriora sequor». Nella consapevolezza di rifiutare ciò che si riconosce come bene, seguire però il peggio, a ben vedere, secondo Brentano non vi si suppone tanto l’opposizione tra sentimento e ragione, quanto l’avvertimento di un’esperienza primaria del bene in sé che si ammette come esatto.61 Ciò vuol dire che il buono in sé si situa a livello del vero. Come nella conoscenza arriviamo alla verità per mezzo di giudizi di evidenza affermativa, anche il concetto di bene lo otteniamo mediante atti d’amore che si caratterizzano come giusti, che possiamo riconoscere, cioè, come esatti.
4. La logica dei sentimenti
A questo punto non sarà difficile constatare come il problema morale si ricolleghi ai capisaldi della psicologia descrittiva e alla distinzione operata da Brentano tra fenomeni fisici e fenomeni psichici. Questi ultimi, in particolare, si differenziano dai primi dal loro carattere intenzionale. L’intenzionalità, com’è risaputo, è il carattere mediativo tra soggetto e oggetto proprio dell’atto di conoscere, dimodoché l’oggetto è presente al soggetto come termine del suo atto.62 Si può dire che l’intenzionalità concilia l’immanenza del conosciuto come tale e la trascendenza dell’oggetto come tale. In questo senso, conoscere significa conoscere qualcosa, avere presente come oggetto (Etwas-zum-Objekt-haben), riferirsi a un oggetto, e non un semplice esserne modificati né, tanto meno, creare l’oggetto. Di conseguenza, l’oggetto è qualcosa di dato alla coscienza, è qualcosa di presente a essa, senza per questo risolversi in essa. In questo senso, l’intenzionalità non definisce l’oggetto, ma si limita solamente ad affermarne la presenza nella coscienza, dimodoché esso — l’oggetto — può essere di qualsiasi classe ontica: unica condizione della sua intenzionalità è l’in-esistenza, ovvero la presenza nell’attività cosciente.63
Muovendo da questi presupposti, il nostro pensatore giunge a elaborare una triplice distinzione dei processi psichici tra rappresentazioni (Vorstellungen), giudizi (Urteilen), e moti sentimentali (Gemütstätigkeiten), segnando una netta differenza rispetto alla dottrina delle tre facoltà (Dreivermögenslehre) pressoché unanimamente accettata dopo Kant, ritornando in un certo senso alla tradizione prekantiana, e più precisamente a quella cartesiana (ideae, iudicia, voluntates sive affectus).64 Circa la definizione di rappresentazione Brentano precisa che si deve intendere con questo termine un semplice avere coscienza, un puro avere presente un determinato dato («wir reden von einem Vorstellen, wo immer uns etwas erscheint»).65 Il giudizio non viene concepito come sintesi di soggetto e di predicato, ma non è altro che un riconoscimento affermativo o negativo di una rappresentazione («ein als wahr Annehmen oder als falsch Verwerfen»).66 Il quadro si completa prendendo in considerazione l’ultima classe degli atti psichici, quella cioè relativa agli stati affettivi.67 Se nell’ambito di questa classe rientrano i fenomeni di amore-odio e di interesse per qualcosa, le aspirazioni, nonché gli atti volontari, ciò è teoreticamente legittimato dal loro carattere coscienziale, ovvero giustificato dal fatto di essere in relazione intenzionale con un oggetto. Rispetto al giudizio, che è caratterizzato dall’accogliere (anerkennen) o dal rifiutare (verwerfen) teoreticamente una rappresentazione in ragione della sua verità o falsità, la relazione intenzionale posta alla base della terza classe dei fenomeni psichici corrisponde alle polarità dell’amare e dell’odiare (lieben und haßen), del piacere e del dispiacere (gefallen und mißfallen).68
Ciò che comunque rimane fondamentale è l’analogia che Brentano individua tra la classe dei giudizi e quella degli affetti.69 È qui il perno concettuale dell’impianto speculativo della riflessione morale brentaniana. Le due classi presentano una struttura bipolare assente invece nelle rappresentazioni: di contro alla puntuale presentazione (Vorstellung) si oppone la polarità del riconoscimento e del rifiuto, e quella dell’amare e dell’odio. Nelle due classi è possibile vedere operante un principio di non contraddizione: vero o falso nei giudizi, corretto o incorretto nelle affezioni.70 Secondo Brentano, allo stesso modo in cui è contraddittorio che una stessa cosa sia allo stesso tempo affermata e negata, una stessa cosa non può essere contemporaneamente amata e odiata. Questo significa che la sfera dei moti affettivi è retta dalle stesse leggi che governano la logica: atti di amore e odio possono essere giusti o ingiusti come gli atti del giudizio essere veri o falsi.
Allo stesso modo in cui si distinguono giudizi non evidenti (blinden) da quelli evidenti, così negli atti di amore e di odio si distinguono gli affetti puramente istintivi, da quelli caratterizzati come giusti, vi sono cioè atti che si enunciano da sé come giusti, come tali, evidenti. Oltre agli impulsi istintivi, Brentano individua la presenza di un piacere (o dispiacere), un amore (o un odio) di tipo più elevato; infatti, nel momento in cui avvertiamo in noi un simile amore, sentiamo non solo che il suo oggetto è amato, ma anche che è degno di essere amato e la sua privazione degna di essere odiata. Detto altrimenti, come la correttezza del giudizio poggia sull’evidenza, così nel campo delle attività affettive, una evidenza del ripudiare e del preferire è il criterio del male e del bene.71 Sul concetto di orientamento (Richtigkeit) dell’atto intenzionale nei rapporti di amore e di odio, Brentano fonda la propria definizione di bene: «Chiamiamo qualcosa buono quando l’amore a cui si dirige è giusto. Ciò che merita di essere amato con amore giusto, l’amabile, è il bene, nel senso più ampio del termine».72
Brentano, dunque, riconosce nel movimento dell’animo non solo un semplice avvertimento della presenza di un determinato oggetto nella relazione intenzionale, ma coglie anche l’esistenza di un atteggiamento affettivo nei confronti dello stesso oggetto conosciuto. In altri termini, a ogni rappresentazione si accompagna un sentimento di piacere o dispiacere di natura superiore che si qualifica immediatamente come retto. Oltre l’originaria connessione intellettuale tra soggetto e oggetto fondante il rapporto costitutivo di significato gnoseologico, viene oggettivamente sotteso all’esperienza un significato affettivo sulla base dell’accettazione nella simpatia o del rifiuto nell’avversione. Emblematico, a tale riguardo, il seguente passo della Psicologia dal punto di vista empirico:
L’esperienza mostra che in noi non esistono solo una rappresentazione e un giudizio, ma anche spesso un terzo tipo di coscienza dell’atto psichico, cioè un sentimento che gli si riferisce, un piacere o un dispiacere che esso ci causa.
E il brano prosegue col seguente esempio:
Spesso l’udire un suono non è accompagnato soltanto da una presentazione e da una conoscenza dell’udire, ma anche evidentemente da un sentimento, sia esso di piacere, come nel caso di una voce soave, pura e giovanile, o di dispiacere, come nel caso di un archeggio al violino male eseguito.73
Non è questione di gusto, né di mutevole preferenza, ad esempio, che si dà al conoscere il vero anziché restare nell’ignoranza («wir etwas Gutes und als gut Erkanntes etwas Schlechtem und als schlecht Erkanntem vorziehen»); né il preferire l’esistenza di un bene alla sua non esistenza («wir die Existenz eines al gut Erkannten seiner Nichtexistenz vorziehen oder die Nichtexistenz eines als schlecht Erkannten seiner Existenz vorziehen»); né il preferire un bene a un altro bene che non costituisce già una parte del primo, ma è uguale a una delle sue parti sotto ogni rispetto («wenn ein Gutes einem anderen Guten verzogen wird, welches zwar nicht einen Teil von ihm bildet, aber einem seiner Teile in jeder Hinsicht gleich ist»).74 Si tratta, al contrario, di giudizi morali caratterizzati immediatamente come giusti. A questo riguardo, detto incidentalmente, Sergio Sánchez-Migallón Granados ritiene che in questa tipologia di cose buone e migliori rispetto ad altre, ha il merito di essere probabilmente la prima tavola gerarchica di beni e valori in seno all’etica fenomenologica.75
Resta comunque interessante per noi come tra questi princìpi quello più importante sia il principio della somma (Prinzip des Summierung), per il quale si preferisce la somma dei beni a un solo dei sommandi.76 Nel concreto questo significa che la felicità della propria famiglia deve evidentemente essere preferita alla propria, il benessere della propria comunità preferita a quella della famiglia, il benessere dello stato a quello della città, e quello dell’umanità (Menschheit) a quello dello stato. Promuovere il bene nella forma più piena e nella maggiore estensione possibile è il giusto scopo dell’esistenza, verso il quale dev’essere rivolta ogni azione: ecco, per Brentano, il supremo bene morale (höchste praktische Gut). Alla base del principio della somma vi si trova dunque il comandamento: ama il prossimo tuo come te stesso e ama Dio prima di ogni altra cosa, perché Dio è la totalità di tutti i beni nel massimo grado.77
Per inquadrare il discorso in un contesto più ampio e articolato, significativi risultano, a mio giudizio, alcuni passi dello scritto «Die Sittenlehre Jesu nach den Evangelien» contenuto in Die Lehre Jesu und ihre bleibende Bedeutung.78 È qui che il nostro pensatore, con espliciti riferimenti a passi del Vangelo (Mt 6, 24), afferma, in primo luogo, che «l’intera vita dev’essere ordinata a un unico fine (das ganze Leben muß zu einem Ziel geordnet sein)».79 E questo fine non può essere un bene creato e terreno, non risiede nella vita di qui ma in quella dell’aldilà (Mt 6, 24), ma soprattutto non riguarda la felicità della nostra persona (unserer eigenen Person), bensì quella degli altri, appunto, dell’umanità tutta intera. Tale finalità consiste piuttosto nella visione dell’essenza divina (in der beselingenden Anschauung Gottes) per la quale assomigliamo a Dio e siamo partecipi della sua infinita perfezione (wir seiner unendlichen Vollkommenheit nach Möglichkeit teilhaftig sind).80 Il raggiungimento di tale fine è chiaramente subordinato a diversi comandamenti, ma quello più alto è appunto quello di amare Dio su ogni altra cosa e amare il prossimo come se stessi («man soll Gott über alles und den Nächsten wie sich selbst lieben»).81 Sotto questi riguardi, amare è un cercare, questo è l’amare autentico: è per questa ragione, dice sempre il nostro pensatore, che noi siamo più delle piante e degli animali (Mt 22, 37) e possiamo partecipare della perfezione di Dio (Mt 5, 48).
È molto significativo constatare come Brentano all’idea di umanità arrivi non a partire dal summum bonum, ma l’amore del prossimo trova la propria radice nell’amore di sé, che non si chiude in stesso, ma si apre intenzionalmente all’altro. D’altronde, Brentano ci avverte che il fine ultimo non può essere individuato una volta per tutte, bensì di volta in volta «scelto il migliore tra il realizzabile», tenendo comunque presente che il meglio è ciò che viene per se stesso preferito a un altro bene con un atto del preferire caratterizzato come giusto.82
Quindi, per concludere su questo aspetto, la strada che porta all’umanità è quella che, muovendo dalla cura di sé («Kehre vor der eigenen Türe!»), procede in formazione progressiva in diversi gradi: dalla famiglia alla città, dallo stato alla nazione, fino a giungere, per l’appunto, all’umanità.83 Stando così le cose, nel richiamare la centralità della nozione di umanità — che potrebbe corrispondere nella sua unità a un regno dei fini —, Brentano sembra indicare una direzione ideale intenzionale al nostro tendere, in altre parole sembra suggerire che questa direzione è già insita nel nostro tendere.
5. Il senso dell’agire etico
In senso complessivo si può dunque dire che l’intento principale della riflessione morale di Brentano è fondare un’etica giusta (orthós): un’etica né come autonomia né come eteronomia, bensì come ortonomia (die Ethik nicht autonom, noch heteronom, sondern orthonom).84 Si vuole allora eliminare ogni residuo teologico dall’ambito morale? Così dovrebbe essere se si limita la considerazione entro i confini della conoscenza del principio etico fondamentale.85 Bisogna, però, precisare che la riflessione morale di Brentano sembra dominata da una forte istanza metafisica laddove si affronta la questione intorno alla natura del fondamento della legge morale. Si delinea, così, un orizzonte in cui il primato teologico diviene fondamento di continuità tra metafisica e morale, stando anche a quanto lo stesso pensatore riconosce: «Si può fondare l’etica senza la metafisica, ma non si può condurla al fine senza la metafisica».86 Sostenendo che il fine giusto da perseguire è «il meglio tra il raggiungibile», Brentano, per sua stessa ammissione,
ha tacitamente presupposto che dalla prosecuzione della vita, tanto del singolo quanto di tutta l’umanità, ci si possa aspettare più bene che male. Perché, se fosse diversamente, la vita dovrebbe essere considerata piuttosto come danno.87
Resta, tuttavia, il fatto di come giustificare, ovvero di come sia possibile dare un senso positivo alla vita. Per far fronte a un simile impegno non appare sufficiente un approccio di tipo storico. Il tentativo di pervenire a una risposta ottimistica a una domanda sul senso della vita basandola sulla storia del mondo, è destinato al fallimento: «Chi si colloca, com’è il caso di Schopenhauer, su un’esperienza storica così breve, arriverà presto al pessimismo e alla negazione della vita».88 Un ottimismo senza Dio non è, dunque, frutto della ragione, ma ingenua credenza in un’ideale di progresso, un ottimismo dominato da un istinto puramente cieco.
Se la risposta all’interrogativo sul senso della vita non ci può pervenire dalla storia, la questione dipende invero in modo fondamentale da cosa è da aspettarsi nel futuro.89 In fondo, non si fa altro che presupporre che l’uomo prenda posizione sul problema del fine del mondo che, a sua volta, ingloba il problema della sua causa prima. Quindi, l’etica «è costretta (genötigt ist) a rivolgersi alla metafisica».90
Sebbene per Brentano i princìpi della conoscenza etica siano indipendenti della dimensione di Trascendenza, l’etica appare, tuttavia, profondamente connessa alla questione dell’esistenza di Dio. Alla luce della risposta che viene data alla questione metafisica, si può avere una prospettiva morale completamente distinta. Non c’è dubbio che la teoria dei beni sia indipendente da questo assunto:
Se io faccio dipendere l’etica dalla posizione che si prende sul problema di Dio, non voglio con ciò attenuare o addirittura ritirare la precedente affermazione che i suoi principi conoscitivi non sono toccati dalla disputa tra il teismo e l’ateismo. Che possa darsi solo una morale teistica o nessuna, è falso. Ciò che è buono e ciò che è meglio è conosciuto da noi indipendentemente da tutte le riflessioni metafisiche; non così però ciò che è utile o dannoso, cioè quello che giova o nuoce al meglio che si può raggiungere; e neppure la risposta al problema dell’utilità della vita.91
Prosegue Brentano:
La naturale conoscenza filosofica è sufficiente a costruire la giusta etica. E se uno, il quale non crede a una religione come verità rivelata e neppure a Dio, è anche un individuo spregevole, egli è tale per proprio calcolo.92
Pertanto, «chi agisce male non può rendere responsabile di ciò l’uso della ragione; egli è da biasimare, infatti, non perché segue la ragione, ma perché non la segue».93 E se di fatto, molti atei sono ottimisti, questo è dovuto più a un loro impulso vitalistico che a una concezione del mondo scientificamente fondata (Weltanschauung der Einsicht).94 Porre la propria vita a servizio del bene ha la necessità di una risposta alla domanda che chiede «che viene dopo?» (was dann?). La risposta è possibile soltanto se fondata sull’etica di Dio: soltanto Lui ci fornisce la certezza dell’ordine finalistico del mondo e ci garantisce che tutte le cose si dirigono verso un fine razionale; solo Dio ci consente di sperare in una sopravvivenza personale delle anime, anche dopo la dissoluzione di questo mondo terreno, ponendo così la nostra vita sotto la legge della responsabilità irradiata nell’eterno. Ora, trasferire la massima felicità nella vita dell’aldilà non significa per Brentano affatto negare che un certa felicità sia possibile nella vita terrena: «La speranza di una felicità superiore che ci possiamo aspettare nell’al di là può valere solo come accrescimento della felicità che troviamo sulla terra».95 E qui, Brentano cita subito dopo un passo del Goethe che dice: «Chi non è convinto di ciò [dell’immortalità dell’anima] vive come un ospite avvilito sulla terra oscura (wer nicht von dieser sich überzeugt habe, als ein trüber Gast auf der dunkel Erde lebe)».96
Si potrebbe dire, per concludere su questo punto, che, pur mantenendo salda la separazione tra conoscenza dei princìpi etici e teologia rivelata, Brentano nel contempo individua una dipendenza tra sapere etico e sapere metafisico. I problemi posti dall’agire etico sono più estesi e profondi da quelli posti dalla conoscenza etica, anche se basata su un’immediata percezione di ciò che è buono. In altri termini, la conoscenza della correttezza di un’azione non è di per sé sufficiente a stabilire se quella stessa azione sia anche dotata di senso, la qual cosa può essere conosciuta solo a partire da un’indagine metafisica. La significanza o meno di un’azione scaturisce, pertanto, dalla consapevolezza che essa è inserita in un processo di una totalità fondata su un’intelligenza eterna. Nella prospettiva della prassi, quindi, la presenza di una dimensione metafisica arricchisce e completa l’orizzonte cognitivo dell’agente.97
6. Umanità e moralità: un bilancio
Vorrei a conclusione del presente intervento esporre delle considerazioni su quanto finora si è detto, riprendendo le linee fondamentali qui delineate sullo sfondo del tema del convegno, Umanità e moralità. Intanto, va notato che nella prospettiva etica brentaniana il significato da dare al concetto di umanità coincide con quello di disposizione morale, una interiore sensibilità rivolta a informare l’azione di alti valori e di larga comprensione, di disponibilità e di amore verso il prossimo, la cui consistenza è esaltata e rafforzata in Dio. Non siamo pertanto di fronte a una simpatia spontanea e immediata dell’uomo per i suoi simili, ma — sotto certi riguardi — il fine morale per eccellenza.
Ma il presupposto che precede la riflessione morale e sul quale gli autori il più delle volte sorvolano, è che la vita morale consiste nel vivere secondo ragione e quindi in perfetta consonanza con le strutture ontologiche dell’uomo e del mondo in cui vive.98 Per il nostro pensatore le leggi del mondo fisico sono l’opera di un sommo legislatore, che prescrive alla natura regole da seguire, alle quali l’uomo, in quanto dotato di conoscenza, deve obbedirvi. Sotto certi aspetti, la legge eterna è inscritta, trascritta nel nostro cuore: se la conoscenza è la misura della bontà o la malvagità del nostro volere, lo si deve a questa legge che poi altro non è che la ragione divina splendente in noi per via di partecipazione.99 Questa posizione sembra — almeno in prima battuta — molto vicina a quella di san Tommaso, per il quale «la luce della ragione che è in noi, può dunque indicarci il bene e regolare la nostra volontà, in quanto essa è la luce del suo volto, ossia derivata dal suo volto».100 Dobbiamo però ricordare che Brentano resta fermamente convinto che la naturale conoscenza filosofica è di per sé sufficiente alla fondazione di una giusta etica. Quindi, e qui la distanza rispetto alla prospettiva tommasiana si fà decisiva, a Brentano rimane difficile accettare la conclusione cui giunge l’Aquinate, vale a dire, dal momento che la bontà del volere umano dipende dalla legge eterna, molto più che dalla legge umana, «appunto perciò, là dove la legge umana fa difetto, si deve ricorrere alla legge eterna».101
A questo proposito si noterà come, accanto all’esigenza, che si potrebbe definire cartesiana, di fondare un sistema unitario del sapere determinare sulla base dell’immediata certezza dell’oggetto intenzionale,102 vi si trova allo stesso tempo l’aspirazione a riallacciare l’uomo, con tutta la sua dignità, ai valori eterni e alla dimensione trascendente di Dio. In fondo, se la ripresa della dottrina dell’intenzionalità degli atti psichici consente di fondare l’oggettività della conoscenza e della norma morale — nella misura in cui l’identità tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto rende l’esperienza interiore come unmittelbare, untrügliche Evidenz103 —, Brentano mantiene ben ferma la distinzione tra fenomeno psichico e quello fisico, limitando, conseguentemente, lo studio della manifestazioni della vita cosciente al campo psichico.
Su questo punto, com’è noto, Husserl corregge il proprio maestro, sostenendo che l’oggetto intenzionale, così come viene formulato da Brentano, «non è né mentale, né extra mentem, in generale non è nulla».104 Secondo Husserl, perciò, bisogna cominciare col rifiutare la dicotomia tra fisico e psichico, con l’eliminare i residui empiristico-naturalistici dell’intenzionalità, per trarre così dagli atti intenzionali un apriori essenziale che prescinda dalla fatticità empirica e psicologica. In Brentano, invece, l’esperienza coscienziale è, sì, il luogo della rivelazione della sfera dei valori, delle costruzioni culturali, della complessità assiologica e culturale del mondo trascendentale, tale orizzonte rimane però relegato nel contesto della ratio cognoscendi, che sottende in ogni caso una ratio essendi. In effetti, l’atto psichico non ha né può avere realtà ontologica che, al contrario, va attribuita unicamente al soggetto pensante (Denkenden), vale a dire a un persistente centro trascendentale di riferimento dei fatti coscienziali, a un’originarietà irriducibile della persona.105 L’io pensante — un’elementare presenzialità trascendente la soggettività, un punto geometrico (seméion) fondamento dell’estensione (diástasis) — si configura dunque quale condizione, presupposto di ogni fatto di coscienza, che pare preannunciare un orientamento personalistico nell’itinerario speculativo brentaniano.106
In conclusione mi sembra di poter dire che per troppo tempo, il pensiero di Brentano sia stato interpretato in modo paradossale. Se è vero che egli è noto al grande pubblico per la dottrina dell’intenzionalità e al fatto che a essa si richiama Husserl, questo fatto ha reso quasi d’obbligo da parte di chi voglia occuparsi di problemi gnoseologici, e della fenomenologia in particolare un omaggio a Brentano. Il fatto è che «poi è diventato altrettanto naturale il sentirsi in diritto di trapassare rapidamente dal Maestro allo scolaro», trascurando così gli altri aspetti del pensiero del Maestro, di un pensiero tutt’altro che trascurabile, anzi ricco di motivi interessanti.107
Testo della relazione tenuta all’Università di Roma «Tor Vergata» in occasione del Convegno Umanità e moralità (19-20 ottobre 1999).
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Per avere un quadro d’insieme della cosiddetta «scuola brentaniana», vanno ricordati i lavori di F. Mayer-Hillebrand, «Franz Brentano Einfluß auf die Philosophie seiner Zeit und der Gegenwart», Revue Internationale de Philosophie, 20 (1966) 78, pp. 273-394; M. Lenoci, «Husserl», in A. Bausola (a cura di), Questioni di storiografia filosofica, vol. 4, tomo I, La Scuola, Brescia 1978, pp. 13-41 (in particolare § 2 «Brentano e la sua scuola», pp. 14-18); M. Lenoci, «Franz Brentano e la sua scuola», in S. Vanni Rovighi (a cura di), Storia della filosofia contemporanea, La Scuola, Brescia 1980, pp. 385-403; J.M. Werle, «Franz Brentano und seiner Schüler. Aspekte fruchtbaren und problematischer Beziehungen», Brentano Studien, II (1989), pp. 91-101; J.K. Nyíri, «Ungarn und die Brentano-Schule: Ein Überblick», Brentano Studien, V (1994), pp. 13-23; e B.M. Mezei, «The Brentano-School and Hungarian Philosophy», Existentia, III-IV (Budapest, 1993-94), pp. 647-657. ↩︎
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Sul tema dei rapporti tra Brentano e Husserl, si vedano M. Brück, Über das Verhältnis Edmund Husserls zu Franz Brentano, vornehmlich mit Rücksicht auf Brentanos Psychologie, Triltsch, Würzburg 1933; Th. de Boer, «Franz Brentano als erfgenaam van de scholastiek en erlater van de fenomenologie», Algemeen Nederlands Tijschrift voor Wijsbegeerte en Psychologie, 59 (1967), pp. 13-28; B.M. Mezei, «Pszichologista volt-e Franz Brentano?» [È Brentano uno psicologista?], in F. Brentano, Az erkölcsi ismeret eredete, fordította és a bevezetö tanulmány írta [traduzione ungherese di] B.M. Mezei, Kossuth Könyvkiadó, Budapest 1994, pp. 5-32; e R.D. Rollinger, Husserl’s Position in the School of Brentano (Husserl’s positie in de school van Brentano), Utrecht University, Utrecht 1996. ↩︎
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Sui rapporti tra Brentano e Meinong, si veda Roderick M. Chisholm, Brentano and Meinong Studies, Rodopi, Amsterdam 1982. Relativamente alla «Teoria dell’oggetto»: D. Jacquette, «The Origins of “Gegenstandstheorie”: Immanent and Trascendent Intentional Objects in Brentano, Twardowski and Meinong», Brentano Studien, III (1990-91), pp. 177-202; e R. Haller, «Psychologische Grundlagen der Gegenstandstheorie Meinongs», Brentano Studien, VI (1995-96), pp. 31-41. ↩︎
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Su questo tema si vedano gli studi di I. Dambska, «François Brentano et la pensée philosophique en Pologne: Casimir Twardowski et son École», in R.M. Chisholm — R. Haller (hrsg. von), Die Philosophie Franz Brentanos. Beiträge zur Brentano-Konferenz (Graz, 4.-8. September 1977), Rodopi, Amsterdam 1978, pp. 117-129; F. Modenato, «Atto, contenuto, oggetto: da F. Brentano a K. Twardowski», Verifiche, 13 (1984), pp. 55-78; J. Czerny, Brentanizm i jego recepcja w filozofii europejskiej, US, Katowice 1987; e Id., Kazimierz Twardowski: wspóltwórca brentanowskiego programu filozofii, Polska Akademia Nauk. Oddzial w Katowicach. Komisja Filozofii i Socjologii. Zaklad Narodowy im. Ossolinskich, Wroclaw 1990. ↩︎
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Sulla questione importanti i due studi di O. Kraus, «Zur Phänomenognosie des Zeitbewußtseins. Aus dem Briefwechsel Franz Brentanos mit Anton Marty nebst einem Vorlesungsbruchstück über Brentanos Zeitlehre aus dem Jahre 1895», Archiv für die gesamte Psychologie, 75 (1930), pp. 1-22; Id., «Ein Wort zur Abwehr über Jodl, Marty und Brentano», in A. Marty, Gesammelte Schriften, Bd. II, M. Niemeyer, Halle 1920, pp. ix-xiv. Di rilievo anche i recenti lavori di P. Spinicci, «Brentano und Marty: Deskriptive Sprachanlyse und Casus-Theorien», Brentano Studien, II (1989), pp. 103-116; B. Smith, «Brentano and Marty: An Inquiry into Being and Truth», in Mind, Meaning and Metaphysics. The Philosophy and Theory of Language of Anton Marty, M. Nijhoff, Dortrecht 1990. ↩︎
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Sul tema dei rapporti Brentano-Schell si vedano: J. Koch, «H. Schell und F. Brentano», in F.J. von Rintelen (hrsg. von), Philosophia Perennis. Festschrift für J. Geyser zum 60. Geburtstag, Bd. II, Habbel, Regensburg 1930, pp. 337-348; ed E. Winter, Franz Brentanos Ringen um eine neue Gottessicht. Nach dem unveröffentlichten Briefwechsel Franz Brentano — H. Schell, Rohrer, Brünn-Wien-Leipzig 1941. ↩︎
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Cfr. M. Kaiser-El-Safti, «Carl Stumpfs Wirken für die deskriptive Psychologie», Brentano Studien, VI (1995-96), pp. 67-102. ↩︎
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Circa i rapporti Brentano-Masaryk si vedano i due studi di O. Kraus, «Die Grundzüge der Welt- und Lebensanchauung T.G. Masaryk», Slavische Rundschau, 2 (1930), pp. 161-168; Id., «T.G. Masaryk und Franz Brentano», Die drei Ringe, 9 (1933), pp. 158-162. Si vedano, inoltre, i lavori di V. Hudecková, «Prispevok k wymedzeniu vzlakov T.G. Masaryka a F. Brentano», Sbornik Praci Filosofické Fakulty Brnenske University. Rada filosofická, 18 B16 (1969), pp. 86-93; J. Jirasek, «Z korespondence Franze Brentana a T.G. Masaryka», Sbornik Praci Filosofické Fakulty Brnenske University. Rada filosofická, 18 B16 (1969), pp. 94-103; e J. Novák, «Masaryk and the Brentano School», in J. Novák (ed.), On Masaryk, Rodopi, Amsterdam 1988, pp. 27-38. ↩︎
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R. Haller, Studien zur österreichischen Philosophie. Variationen über ein Thema, Rodopi, Amsterdam 1979. Sempre dello stesso autore, Id., Fragen zu Wittgenstein und Aufsätze zur österreichischen Philosophie, Rodopi, Amsterdam 1986. Di particolare interesse possono risultare anche gli studi di E. Morscher, «Brentano and his Place in Austrian Philosophy», Grazer philosophische Philosophie, 5 (1978), pp. 1-9; e P. Kampits, Zwischen Schein und Wirklichkeit. Eine kleine Geschichte der österreichischen Philosophie, Wien 1984. Segnaliamo, inoltre, le due raccolte di saggi curata dallo studioso ungherese J.K. Nyíri (hrsg. von), Von Bolzano zu Wittgenstein. Zur Tradition der österreichischen Philosophie, Hölder-Pichler-Tempsky, Wien 1986; e J.K. Nyíri (ed.), Austrian Philosophy in Studies and Text, München 1981. ↩︎
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F. Brentano, Über die Zukunft der Philosophie, mit Einl. u. Anm. hrsg. von O. Kraus, F. Meiner Verlag, Leipzig 1929 (ed. orig. A. Hölder, Wien 1893), pp. 14-15. ↩︎
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Ibidem. Si veda anche L. Gilson, Méthode et métaphysique selon Franz Brentano, J. Vrin, Paris 1955, pp. 51-58. ↩︎
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M. Brück, op. cit., p. 3. ↩︎
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A. Höfler, «Franz Brentano in Wien», Süddeutsche Monatshefte, (Mai 1917), p. 321. ↩︎
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Cfr. M. Puglisi, «Prefazione del traduttore», in F. Brentano, La classificazione delle attività psichiche, trad. it. di M. Puglisi, R. Carabba, Lanciano 19312, p. 8 (ed. orig. 1913). ↩︎
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O. Kraus, Franz Brentano. Zur Kenntnis seines Lebens und seiner Lehre. Mit Beiträgen von C. Stumpf und E. Husserl, Beck, München 1919, p. 154 (cit. da L. Albertazzi, Franz Brentano: un filosofo mitteleuropeo, in F. Brentano, La psicologia dal punto di vista empirico I, trad. it. a cura di L. Albertazzi, Laterza, Bari 1997, p. vi). ↩︎
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Ibidem. Cfr. anche M. Brück, op. cit., p. 160: «Senza la minima esitazione era la sua intima certezza di essere sulla giusta via e di fondare la sola vera filosofia scientifica. Si sentiva chiamato interiormente e dall’alto a sviluppare più da vicino questa filosofia entro i rigorosi principi fondamentali da lui considerati già sicuri. Desidero indicare questa convinzione semplicemente senza dubbi della propria missione come il fatto originario della sua vita senza la quale non si comprende la personalità di Brentano né giudicare facilmente». ↩︎
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F. Sirchia, «Filosofia e Religione nel pensiero di Franz Brentano», Rivista di Filosofia Neo-scolastica, 56 (1964), p. 680. ↩︎
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G. Koepgen, «Die Religionsphilosophie Franz Brentanos und der organische Aufbau der katholischen Apologetik», Theologie und Glauben, 55 (1931), p. 33. ↩︎
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Su questo episodio, si veda F. Brentano, Die Lehre Jesu und ihre bleibende Bedeutung. Mit einem Anhang: Kurze Darstellung der christlichen Glaubenslehre, mit Einl. hrsg. von A. Kastil, F. Meiner, Leipzig 1922, pp. xxv-xxvi. Sulla vita di Brentano si veda, tra gli altri, A. Marty, «Franz Brentano. Eine biographische Skizze», in Gesammelte Schriften, M. Niemeyer, Halle 1916, Bd. I, pp. 97-103; W. Baumgartner — F.-P. Burkard, «Franz Brentano: Leben — Werke — Wirkung», Information der Bayerischen Julius-Maximilians-Universität Würzburg, 4/22 (1988), pp. 10-17; W. Baumgartner — F.-P. Burkard, «Franz Brentano Bibliographie», in W.L. Gombocz (hrsg. von), Internationale Bibliographie zur österreichischen Philosophie, Rodopi, Amsterdam 1990, pp. 54-159; e W. Baumgartner, «Franz Brentano, ein europäischer Denker», in K. Feilchenfeldt — L. Zagari (hrsg. von), Die Brentano. Eine europäische Familie, M. Niemeyer, Tübingen 1992, pp. 115-128. ↩︎
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Quando in Germania si sviluppò il dibattito intorno la dottrina dell’Infallibilità del Papa, Brentano su invito del von Ketteler, allora vescovo di Magonza, scrisse un pro-memoria per la conferenza di Fulda che riassumesse una serie di punti contro tale dottrina. Cfr. F. Brentano, «Einige Bemerkungen über die Frage: Ist es zeitgemäß, die Unfehlbarkeit des Papstes zu definieren?», in O. Volk, Quellen und Beiträge zur Geschichte der Universität Würzburg, Neustadt/Aisch 1969, pp. 133-225. ↩︎
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Cfr. A. Kastil, Die Philosophie Franz Brentanos. Eine Einführung in seine Lehre, A. Francke, Bern 1951, p. 11. ↩︎
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«Nato in una famiglia cattolica — racconta Brentano —, fui condotto ad accettare lo stato ecclesiastico, ma ho dovuto più tardi separarmi dalla Chiesa. Solo il desiderio di servire più alti interessi mi condusse a questo passo, e il procedimento delle mie ulteriori convinzioni mi fece riconoscere l’impossibilità di poterle raggiungere per la via che avevo dapprima intrapreso» (F. Brentano, «Die Lehre Jesu und ihre bleibende Bedeutung», cit., p. XV). La presa di posizione di Brentano, non poteva non provocare tra i suoi contemporanei aspre critiche, ma anche illazioni di ogni genere, come quelle secondo cui Brentano fosse stato determinato a lasciare l’abito ecclesiastico per orgoglio e per desiderio di prendere moglie, altri invece lo pensarono impazzito, mentre c’era chi lo vedeva farsi fondatore di una nuova religione (M. Puglisi, «Franz Brentano», Bilychnis, 7 (1921), p. 6). La decisione di Brentano non poteva, inoltre, non avere anche importanti ripercussioni sull’atteggiamento dei suoi allievi: Carl Stumpf, che lasciò il seminario ed effetti sulle convinzioni religiose anche di Hermann Schell e Anton Marty. Ben diverso fu invece l’atteggiamento di Georg von Hertling che manifestò una posizione fortemente ostile nei confronti del maestro: «Non voglio essere il Melantone di questo Lutero» (O. Kraus, «Franz Brentano», in Neue österreichische Biographie III, Wien 1927, p. 107). C’è chi, come Mario Puglisi, vede nell’ondeggiamento che il distacco dalla Chiesa determinò fra i suoi allievi un indubbio giovamento dal momento che contribuì «a purificare la sua scuola» (M. Puglisi, «Franz Brentano», Bilychnis, 7 (1921), p. 6). ↩︎
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Precisamente nel 1884, 1885, 1890 e 1893. Pare, tra l’altro, che Brentano dovesse essere chiamato dall’università di Monaco di Baviera, ma sembra che qui la sua nomina incontrò l’opposizione del cugino Georg von Hertling. ↩︎
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L. Albertazzi — R. Poli, «Introduzione. Brentano: il puzzle incompleto», in L. Albertazzi — R. Poli (a cura di), Brentano in Italia. Una filosofia rigorosa contro il positivismo e attualismo, Edizioni Angelo Guerini, Milano 1993, p. 11. Sul significato da attribuire al soggiorno italiano di Brentano, si vedano, oltre i vari contributi del volume appena citato, E. Riondato, «L’aristotelismo di Franz Brentano e il suo influsso sulla cultura filosofica italiana», Atti del Convegno internazionale di studi italo-tedeschi, Merano-Bolzano 1965, pp. 341-345; A. Santucci, «Franz Brentano in Italia», Teorie e Modelli, 3/1 (1986), pp. 3-35; R. Giannetti, «La presenza di Franz Brentano in Italia agli inizi del Novecento», Rivista di Filosofia Neo-scolastica, 1 (1987), pp. 66-102; e M. Martini, «“Sittliche Erkenntnis” bei Brentano und ihre Weiterwirkung in Italien», Brentano Studien, I (1988), pp. 121-128. ↩︎
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H. Schlögl, «Franz Brentano», Zeitschrift für die österreichischen Mittelschule, 3 (Wien 1925), p. 117: «Un puro interesse teoretico, una dedizione mai venuta meno alla causa della scienza pervase tutta la sua persona. Fu questo il primo segno distintivo della sua spiritualità, la forza operante della sua ricerca come del suo insegnamento». ↩︎
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Si confronti quanto detto da M. von Pidoll, «Zur Erinnerung an Franz Brentano», Monatshefte für päd. Reform, Franz Brentano Sonderheft (Wien 1918), p. 446: «La sua vita […] è stata caratterizzata da un contenuto, da un Leitmotif solo, la lotta per la conoscenza della verità unita al proposito di operare in armonia con ciò che risultava essere il vero». Si veda anche M. Puglisi, «Franz Brentano. Notizie e ricordi», Bilychnis, 7 (1921), p. 3: «La radice di questo travolgimento dovrebbe ricercarsi — come di poi tutta la sua vita ne rese testimonianza — nell’interesse che egli aveva per la verità, nell’indomabile coraggio per sostenerla, nell’affrontare qualsiasi conseguenza alla quale la sua inesorabile logica lo avesse condotto». ↩︎
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F. Brentano, Über die Zukunft der Philosophie, cit., p. 168. ↩︎
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In questo senso, convengo con Francesco Sirchia quando afferma che per Brentano il problema di Dio «fu della massima importanza vitale oltre che speculativa» (F. Sirchia, op. cit., p. 649). ↩︎
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A conferma della paradossalità degli studi brentaniani, tuttavia, lo stesso Kamitz ammette che, poiché le ricerche metafisiche di Brentano vanno annoverate tra le parti meno influenti della sua dottrina, opta per presentare «quelle, che tra tutte le teorie di Brentano, che esercitarono il maggior influsso sui filosofi successivi», nella «convinzione che si possa mostrare più facilmente la grandezza di Brentano e il suo ruolo nella storia della filosofia evidenziando quelle teorie mediante le quali egli ha stimolato o improntato in misura particolare il pensiero dei filosofi posteriori» (R. Kamitz, «Franz Brentano», in E. Coreth — W.M. Neidl — G. Pfligersdorffer — H.M. Schmidinger (hrsg. von), Christliche Philosophie im Katholischen Denken des 19. u. 20. Jh., Bd. I, Styria, Graz-Wien-Köln 1987, trad. it. a cura di G. Mura — G. Penzo, La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, Città Nuova, Roma 1993, pp. 429-430). ↩︎
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F. Brentano, Religion und Philosophie, mit Einl. u. Anm. hrsg. von F. Mayer-Hillebrand, A. Francke, Bern 1954, p. 17. Scrive a questo riguardo François Marty: «[…] la seule voie de salut pour l’humanité; encouragement à l’action, soutien de la vie morale, consolation par la doctrine du monde le meilleur possible, de l’immortalité de l’âme, ce sont là les “benédictions” promises par la philosophie» (F. Marty, «Compte rendu de F. Brentano, Religion und Philosophie», Archives de philosophie, 20 (1957), p. 297). ↩︎
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F. Brentano, Religion und Philosophie, cit., p. 100. E ancora: «Tra i beni il cui possesso onora veramente il possessore — scrive Brentano a Lady Paget nel maggio del 1901 — noi assommiamo la conoscenza e questa più di ogni altro; non esitiamo a chiamarlo “saggio”. Sommo è il sapere il cui oggetto è sommo. Ora somma realtà è Dio conoscibile per le opere sue […] Certo l’essere suo non ci permette di comprenderlo compiutamente e in modo adeguato, perché l’infinito Bene trascende ogni determinazione concettuale. Solo analogicamente è possibile dire alcunché a suo riguardo, però sempre per negative determinazioni; di guisa che, secondo la sentenza di Aristotele, possiamo dire che l’intelletto umano essere simile all’occhio della civetta che meno vede lì dove più intensa è la luce. Ciò malgrado si rende evidente il superiore valore di codesto apprendimento del Sommo Bene. Di fatti, come Aristotele insegna, nessun altro sapere al mondo procura maggiore felicità all’uomo a nessuno lo fa più beato» (ivi, p. 89). ↩︎
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Risulta difficile tracciare l’itinerario di pensiero del Nostro senza una adeguata considerazione del significato dell’incontestabile influenza esercitata sul suo pensiero dalla filosofia aristotelica. Per una prima introduzione al problema si vedano gli studi di R. George, «Brentano’s Relation to Aristotle», Grazer philosophischen Studien, 5 (1978), pp. 249-266; B. Smith, «The Soul and Its Parts. A Study in Aristotle and Brentano», Brentano Studien, I (1988), pp. 75-88; F. Volpi, «War Brentano ein Aristoteliker? Zu Brentano und Aristotele’s Konzeption der Psychologie als Wissenschaft», Brentano Studien, II (1989), pp. 13-29; M. Antonelli, «Auf der Suche nach der Substanz. Brentanos Stellung in der Rezeption der Aristotelischen Ontologie im 19. Jahrhundert», Brentano Studien, III (1990-91), pp. 19-46; e D. Münch, «Die Einheit von Geist und Leib. Brentanos Habilitationsschrift über die Psychologie des Aristoteles als Antwort auf Zeller», Brentano Studien, VI (1995-96), pp. 125-144. ↩︎
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Cfr. Aristotele, Metaph. I, 2, 983a. Qui vale comunque il giudizio di É. Gilson, Lo spirito della filosofia medievale, trad. it. di Pia Sartori Treves, Morcelliana, Brescia 19642, (ed. orig. L’esprit de la philosophie médiévale, J. Vrin, Paris 1932), pp. 525-526: «Le opere di Fr. Brentano contengono una ricostruzione insieme storica e sistematica di Aristotile, che avvicina molto la sua dottrina al cristianesimo. È lo sforzo più interessante che sia fatto in questo senso». ↩︎
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F. Brentano, Religion und Philosophie, cit., p. 90. Sul concetto di theología in Aristotele teniamo comunque presente della sua «difficoltà di una interiore contraddizione» ravvisata da W. Jaeger, La teologia dei primi pensatori greci, La Nuova Italia, Firenze 1961, p. 6. ↩︎
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H. Bear, «Reviews of F. Brentano, Religion und Philosophie», Journal of Philosophy, 53 (1956), p. 616. ↩︎
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F. Marty, op. cit., p. 297: «La religion idéale aurait la même but que la philosophie […] l’objet commun [de] la philosophie, considérée dans son but ultime, et [de] la religion: la cause première et immédiatement nécessaire, Dieu». ↩︎
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F. Brentano, Religion und Philosophie, cit., p. 12. Non molti, dunque, gli studi dedicati alla riflessione metafisica del Brentano. Eccezione a questo stato degli studi brentaniani è rappresentato da alcuni lavori: M. Puglisi, «Wisdom and religion according to Franz Brentano», Personalist, 16 (1935), pp. 68-72; L.H. Sarebensky, Franz Brentano als Religionsphilosoph, Zürich 1937; J. Hemlein, Die Kritik der Offenbarung bei Franz Brentano, Freiburg i.Br. 1947; M. Cruz Hernández, «El problema de Dios en la filosofía de Brentano», Revista de Filosofía, 12 (1953), pp. 345-358; A.J. Burgess, «Brentano as philosopher of religion», International Journal for Philosophy of Religion, 5 (1974), pp. 79-90; G. Hennemann, «Religion und Philosophie in der Sicht Franz Brentanos», Zeitschrift für Religions- und Geistesgeschichte, 29 (1977), pp. 29-37; ed E. Tiefensee, Philosophie und Religion bei Franz Brentano, A. Francke, Tübingen 1998. ↩︎
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F. Brentano, Über die Zukunft der Philosophie, cit., p. 131: «Nostri maestri e guide saranno allora — spiega Brentano — tutti coloro che nel campo della filosofia si sono sottoposti a un lavoro veramente scientifico, a una ricerca particolare positivamente fondata, oppure che hanno dato un attivo e proficuo esempio negli altri campi del sapere, applicandosi a coltivare felicemente un campo scientifico ancora poco elaborato». Cfr. M. Puglisi, «Franz Brentano», cit., p. 12. ↩︎
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F. Brentano, Über die Zukunft der Philosophie, cit., pp. 136-137. ↩︎
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F. Brentano, Meine letzten Wünsche für Österreich, cit., p. 32. ↩︎
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F. Brentano, Über die Zukunft der Philosophie, cit., p. 136. ↩︎
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F. Brentano, Meine letzten Wünsche für Österreich, Cotta, Stuttgart 1895, p. 32. Da qui prende le mosse la formulazione di quelle che vengono indicate da Brentano come «le quattro fasi della filosofia», sul cui principio viene fissato un criterio di interpretazione storiografica. Cfr. F. Brentano, Die vier Phasen der Philosophie und ihr augenblicklicher Stand, mit Einl. u. Anm. hrsg. von O. Kraus, F. Meiner, Leipzig 1926 (ed. orig. Cotta, Stuttgart 1895); e Id., Vom Dasein Gottes, mit Einl. u. Anm. hrsg. von A. Kastil, F. Meiner Verlag, Hamburg 19802 (ed. orig. Leipzig 1929), pp. 85-89. Sulla teoria delle quattro fasi si possono consultare i seguenti studi, B. Petronievics, «Kritische Bemerkungen zu Brentanos Schrift “Die Vier Phasen der Philosophie”», Philosophia, 3 (Beograd, 1937), pp. 179-187; É. Gilson, «Franz Brentano’s interpretation of medieval philosophy», Medieval Studies, 1 (1939), pp. 1-10; L. Gilson, Méthode et métaphysique selon Franz Brentano, cit., pp. 25-56; J.M. Werle, Franz Brentano und die Zukunft der Philosophie: Studien zur Wissenschaftsgeschichte und Wissenschaftssystematik im 19. Jahrhundert, Rodopi, Amsterdam 1989; e M. Lenoci, Il metodo della filosofia di Franz Brentano, Vita e Pensiero Solari, Peschiera Borromeo 1992. ↩︎
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O. Kraus, «Über die Mißdeutungen der Relativitätstheorie», in R. Fürth (hrsg. von), Naturwissenschaft und Metaphysik. Abhandlungen zum Gedächtnis des 100. Geburtstages von Franz Brentano, Rohrer, Brünn-Leipzig 1939, Bd. I, p. 76. ↩︎
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Ibidem. In questa prospettiva la scienza naturale non ci obbliga che si proceda ovunque in maniera uniforme. «Al contrario — continua Brentano — essa ci ammaestra e ci esercita sul come modificare i nostri procedimenti in linea con la particolare altura degli oggetti e inoltre ora ad accrescere le nostre pretese, ora a ridurle, per conseguire là dove il maggiore successo, per raggiungere qui felicemente ciò che è scientificamente possibile, rinunciando all’impossibile» (F. Brentano, Über die Zukunft der Philosophie, cit., p. 35). Sempre sulla linea interpretativa di Kraus si veda anche A. Marty, «Franz Brentano. Eine biographische Skizze», in Gesammelte Schriften, Berlin 1916, I, 1,4, pp. 97-103. A questo proposito riteniamo che possono risultare interessanti anche le considerazioni di E. Utitz, «Franz Brentano», Kant-Studien, 22 (1917), pp. 220-222. ↩︎
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F. Brentano, Über die Zukunft der Philosophie, cit., p. 45. Più concretamente, Brentano intende che il metodo sia articolato in vari momenti, ma che nel complesso «il metodo [delle scienze naturali] esige che noi si proceda dal più semplice al più complesso. Solo in tal modo è possibile che al nostro lavoro arrida il successo, un successo ricco, dato che ogni progresso nella conoscenza dei dati più elementari, seppure impercettibile e in sé non appariscente, finisce con l’essere, a seconda della sua forza, sproporzionatamente grande» (F. Brentano, Untersuchungen zur Sinnespsychologie, Duncker & Humblot, Leipzig 1907, p. 79). ↩︎
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Cfr. M. Puglisi, «Prefazione» a Franz Brentano, La classificazione delle attività psichiche, R. Carabba, Lanciano 1913, p. 17. ↩︎
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J. Srzednicki, Franz Brentano’s Analysis of Truth, M. Nijhoff, The Hague 1965, p. XVI. E ancora prima leggiamo: «Brentano was a systematic philosopher, in the sense that he presented his views in an orderly manner and considered it important to work out the significant regularities, where the significance was to be seen in relation to the whole of the problem considered at the moment, and ultimately, in relation to the entire field in which the probleme arose». ↩︎
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A. Millán-Puelles, «Teología de Brentano», in F. Brentano, Sobre la existencia de Dios, Rialp, Madrid 1979, p. 15. Sulla questione del positivismo di Brentano suggeriamo la consulatazione di R. Haller, «Franz Brentano, ein Philosoph der Positivismus», Brentano Studien, I (1988), pp. 19-30; A. Kastil, «Franz Brentano und der Positivismus», Wissenschaft und Weltbild, 2 (1949), pp. 272-282; D.F. Lindenfeld, The Trasformation of Positivism. Alexius Meinong and European Thought, 1880-1920, Berkeley-Los Angeles 1980. ↩︎
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Valgono qui le considerazioni d Leon Ollé-Laprune: «Egli non trova in Dio la legge della vita; egli non ha giudice, se non la propria ragione, e il suo fine sembra essere egli medesimo, quantunque in un certo senso sia quello al di sopra di lui» (L. Ollé-Laprune, Essai sur la Morale d’Aristote, Paris 1881, p. 203, cit. da G. Zuccante, Aristotele e la morale, Vallecchi, Firenze 1966, p. 124). ↩︎
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F. Brentano, Vom Dasein Gottes, cit., p. 7. Riprendo qui la mia traduzione del capitolo «L’interesse teoretico e pratico del problema di Dio», pubblicato nella sezione antologica del mio studio Brentano. Le prove dell’esistenza di Dio, Studium, Roma 1998, pp. 105-116. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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A chiarire la propria idea Brentano fa questo esempio: «Se un bidello mi annuncia che, terminata la lezione, mi aspetta fuori della porta un collega straniero che è venuto in visita in questa università, io non metterò in dubbio quanto egli mi dice. Se la stessa persona mi desse la stessa comunicazione, ma riferendosi a un collega defunto, io non crederei a ciò che sta dicendo, pur essendomi nota la serietà e l’onore di questa persona. Mi sforzerò, piuttosto, di cercare un’altra ipotesi che mi risulti appropriata a spiegare un’informazione così peregrina» (ibidem). ↩︎
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F. Brentano, Vom Dasein Gottes, cit., p. 7. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Lo stesso Husserl, del resto, seguì i corsi di Filosofia pratica per due volte, sia nel semestre 1884-85 che in quello del 1885-86 (cfr. O. Kraus, Franz Brentano, cit., p. 153). ↩︎
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F. Brentano, Grundlegung auf Aufbau der Ethik, mit Vorw. u. Anm. hrsg. von F. Mayer-Hillebrand, A. Francke, Bern 1952. Per un approfondimento del problema si veda, oltre ai testi già citati: H. Margolius, Die Ethik Franz Brentanos, F. Meiner, Leipzig 1929; O.J. Most, Die Ethik Franz Bretanos und ihre geschichtlichen Grundlagen, Helios, Münster i.W. 1931; P. Juhay, Brentano értékelmélete [La teoria dei valori in Brentano], Vác 1930; M. Losacco, «Sull’origine della conoscenza morale secondo Franz Brentano», Sophia, 1 (1933), pp. 34-45; P. Martinetti, «La teoria del valore di Franz Brentano», Rivista di Filosofia, 29 (1938), pp. 362-366; A. Bausola, Conoscenza e moralità, Vita e Pensiero, Milano 1968; T. Czezowski, Etyka jako nauka empirvczna, Torun 1969; H. Buczynska-Garewicz, «La logica dei sentimenti. La teoria dell’amore e dell’odio in Franz Brentano», Archiwium Historii Filozofii i Mysli Spol-eczenj, 18 (1972), pp. 39-70; H. Rutte, «Brentano’s antinaturalistische Grundlegung der Ethik», Grazer Philosophische Studien, 5 (1978), pp. 149-168; F. Modenato, Coscienza ed essere in Franz Brentano, Patron, Bologna 1979, pp. 173-193; L.L. McAlister, The development of Franz Brentano’s Ethics, Königshausen & Neumann, Amsterdam-Würzburg 1982; G.C. Kerner, «Emotions are judgements of value», Topoi, 1 (1982), pp. 52-56; C.-Y. Park, «Untersuchungen zur Werttheorie bei Franz Brentano», Brentano Studien, Sonderband 1, J. Röll, Dettelbach 1991; e J.M. Palacios, «Brentano en las inmediaciones del valor», Revista de Filosofía, 4 (1990), pp. 239-245; Id., «Brentano contra Kant. Sobre el imperativo categorico», Pensamiento, 197 (1994), pp. 213-234. ↩︎
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J. Ortega y Gasset, «¿Qué son los valores?», Revista de Occidente, 4 (1916), pp. 39-70 (ristampa in Obras Completas, vol. VI, Revista de Occidente, 1947, p. 320, nota 1). ↩︎
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F. Brentano, Vom Ursprung sittlicher Erkenntnis, mit Einl. u. Anm. hrsg. von O. Kraus, F. Meiner, Leipzig 1921 (ed. orig.: Duncker & Humblot, Leipzig 1889); trad. it. parziale di A. Bausola, Sull’origine della coscienza morale, La Scuola, Brescia 1966. ↩︎
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Si veda in merito lo studio di W. Baumgartner, «Bemerkungen Satz “Wähle das Beste unter dem Erreichbaren”», in Der Mensch und die Wissenschaften vom Menschen. Akten des XII. Deutschen Kongreß für Philosophie (Innsbruck 1981), hrsg. von G. Frey — J. Zelger, Solaris-Verlag, Innsbruck 1983, Bd. II, pp. 683-690. ↩︎
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F. Brentano, Vom Ursprung sittlicher Erkenntnis, cit., pp. 23-24. ↩︎
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Cfr. H. Rodríguez Sanz, «El problema de los valores en la teoría del conocimiento moral de Franz Brentano», Acta Salmanticensia, Filosofía y Letras IV, 1 (1948), pp. 13-14. ↩︎
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«Ogni fenomeno psichico — scrive Brentano nel passo sicuramente più noto del La psicologia dal punto di vista empirico — è caratterizzato da ciò che gli Scolastici del Medioevo hanno chiamato l’intenzionale (o meglio mentale) inesistenza di un oggetto, e ciò che noi, sebbene con non totalmente espressioni indubitabili, vorremmo chiamare la relazione a un oggetto, l’orientamento a un oggetto (dove qui non si deve intendere una realtà), o l’immanente oggettività» (F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt I, cit., p. 115, trad. it. cit., p. 154). ↩︎
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Si definisce perciò l’inesistenza intenzionale come oggettività immanente (etwas innerlich Gegenständliches), cfr. F. Brentano, Deskriptive Psychologie, hrsg. von R.M. Chisholm und W. Baumgartner, F. Meiner Verlag, Hamburg 1982, p. 22. ↩︎
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R. Descartes, Meditazioni sulla filosofia prima, III Meditazione. Sulla teoria della classificazione delle attività psichiche di Brentano si veda, tra gli altri, A. Bausola, «La classificazione dei fenomeni psichici secondo Franz Brentano», Rivista di Filosofia Neo-scolastica, 59 (1967), pp. 457-497. ↩︎
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F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt II, cit., p. 34. ↩︎
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Ibidem. A questo riguardo, riporto qui il giudizio di Benedetto Croce: «Il Brentano, risalendo in certo modo a Cartesio, costruisce diversamente la dottrina delle tre facoltà, determinandole come rappresentazione (alla quale fa corrispondere l’attività estetica e l’arte), giudizio (al quale fa corrispondere la scienza) e amore e odio (al quale corrisponde la pratica): ciò che si suole chiamare “sentimento”, sottomesso ad analisi, si scopre sempre, a volta a volta, o rappresentazione o amore e odio. Nella dimostrazione dell’inconcepibilità di questa forma dello spirito, il Brentano resta forse inferiore al Krug; ma ha il merito di avere sostituito alcune determinazioni positive alla vaga parola “sentimento”, sebbene l’ufficio che questo vocabolo ha esercitato ed esercita nello svolgimento del pensiero filosofico sia, a nostro parere, più ricco e importante di quanto al filosofo austriaco, a cagione del suo indirizzo empirico, riesca a vedere» (B. Croce, Filosofia della pratica. Economica ed etica, in Filosofia dello spirito, Laterza, Bari 19506, p. 109). ↩︎
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Il nostro autore ritiene che la tematizzazione possa essere fatta risalire sia al voluntates sive affectus di Cartesio, ma anche alla nozione di órexis di Aristotele. ↩︎
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Qui sia Cartesio che Spinoza usano i termini amor e odium. Si potrebbe però usare, come suggerisce Cesare Goretti, i termini simpatia e avversione, perché «meglio indicano la comunione o l’avversione fra noi e le cose» (C. Goretti, «Il saggio del Brentano sulla origine della conoscenza», Rivista di filosofia, 25 (1934), p. 145, nota 2). ↩︎
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Cfr. U. Melle, «Zu Brentanos und Husserls Ethikansatz: Die Analogie zwischen den Vernunftarten», Brentano Studien, I (1988), pp. 109-120. ↩︎
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Cfr. W. Baumgartner, «Bemerkungen Satz “Wähle das Beste unter dem Erreichbaren”», cit., p. 684. Inoltre, O. Kraus, Die Werttheorien. Geschichte und Kritik, Rohrer, Brünn-Wien-Leipzig 1937, pp. 167 ss.; e A. Kastil, op. cit., capitolo ottavo («Vom Sittengesetz und von der Freiheit des Willens»), pp. 241-273. ↩︎
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Se l’oggettività della verità è riconducibile al fatto che un giudizio evidente non può essere contraddittorio, allora il bene è impossibile che sia caratterizzato da stati affettivi contraddittori. Ora, quando Brentano afferma che l’amore giusto è quello corretto, qui sostiene che l’analogia avviene non tanto con i giudizi assertori, bensì con quelli apodittici (cfr. A. Kastil, op. cit., p. 245). ↩︎
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F. Brentano, Vom Ursprung sittlicher Erkenntnis, cit., p. 27. ↩︎
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F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt I, trad. it. cit., p. 211. ↩︎
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Cfr. F. Brentano, Vom Ursprung sittlicher Erkenntnis, cit., pp. 26-28; e Id., Grundlegung auf Aufbau der Ethik, cit., pp. 211-214. ↩︎
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S. Sánchez-Migallón Granados, Influjo y valoración de la Etica de Franz Brentano, eunsa, Pamplona 1997, p. 397. ↩︎
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Cfr. J. Pavlík, «Brentano und Masaryk Auffassung der Ethik», in J. Zumr — T. Binder (hrsg. von), T.G. Masaryk und die Brentano Schule, Praha-Graz, 1992, pp. 82-93. ↩︎
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Cfr. F. Brentano, Vom Ursprung sittlicher Erkenntnis, cit., p. 35. ↩︎
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F. Brentano, «Die Lehre Jesu und ihre bleibende Bedeutung», cit., pp. 1-19. ↩︎
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Ivi, p. 1. ↩︎
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Cfr. ibidem. Vedi anche Mt 5, 8. ↩︎
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Ivi, p. 2. ↩︎
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F. Brentano, Vom Ursprung sittlicher Erkenntnis, cit., pp. 24-28. Del resto, scrive Brentano in Vom Dasein Gottes che la volontà morale consiste nello scegliere come fine ultimo il meglio possibile («Denn sittlich will, wer als letzten Zweck das Bestmögliche erwählet») (F. Brentano, Vom Dasein Gottes, cit., p. 291). ↩︎
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Secondo Ján Pavlík, il carattere anti-totalitario della tradizione filosofica austriaca diviene particolarmente esplicita se mettiamo a confronto l’aristotelismo di Brentano con quello di Hegel e Marx: la sintesi di aristotelismo e cartesianesimo operata da Brentano pone in essere una modalità di filosofare individualistico che pare avere riscontri nella nuova era del pensiero europeo (J. Pavlík, «Philosophy, “Parallel Polis” and Revolution: The Case of Czechoslovakia», B. Smith (ed.), Philosophy and Political Change in Eastern Europe, Monist Library of Philosophy, La Salle Ill. 1993, p. 75). Si veda anche J. Pavlík, K filosofickým východiskum politiky a kultury v Cechách, Univerzita Pardubice, Pardubice 1996. ↩︎
-
A. Kastil, op. cit., p. 248. ↩︎
-
Cfr. P. Gregoretti, «Sul rapporto tra conoscenza etica e metafisica. Riflessioni sulla proposta di Franz Brentano», in E. Berti (a cura di), Tradizione e attualità della filosofia pratica, Marietti, Genova 1988, pp. 211-225. Si veda anche Id., «Empirismo ed intuizionismo nell’etica di Franz Brentano», in La filosofia nella Mitteleuropa, Atti del Convegno del 1974, Istituto per gli incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1981, pp. 47-52. ↩︎
-
F. Brentano, Grundlegung und Aufbau der Ethik, cit., pp. 228-230. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
F. Brentano, Vom Dasein Gottes, cit., p. 8, trad. it. cit., p. 113. ↩︎
-
F. Brentano, Grundlegung und Aufbau der Ethik, cit., pp. 228-230. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
F. Brentano, Lettera a Salvatori (Zurigo, 14-5-1916), trad. it. di L. Albertazzi, in Brentano in Italia, cit., p. 309. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
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Cfr. P. Gregoretti, «Sul rapporto tra conoscenza etica e metafisica», cit., pp. 218-222. ↩︎
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Presuppone una concezione classica della realtà e della vita, e tale concezione non viene contestata e messa in crisi né dell’umanesimo a oltranza, né dalla comprensione panica. Sul significato di queste ultime espressioni, si veda A. Rigobello, Oltre il trascendentale, Fondazione Ugo Spirito, Roma 1994, pp. 174-175. ↩︎
-
Agostino d’Ippona, De ordine, II, 8, 25: «Haec autem disciplina ipsa Dei lex est, quae apud eum fixa et inconcussa semper manens, in sapientes animas transcribitur; ut tanto se scient vivere melius, tantoque sublimius, quanto et perfectius eam contemplantur intelligendo, et vivendo custodiunt diligentius». ↩︎
-
Summa theologica, Ia IIae, 19, 4, Resp. ↩︎
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Ibidem. Sul rapporto di continuità e discontinuità tra Brentano e san Tommaso, si veda J.M. Rubert y Candau, «La critica de Brentano a Santo Tomás y el fundamento fenomenológico de la moral», in Thomistica morum Principia, Communicationes V Congressus Thomistici Internationalis, Officium libri catholici, Roma 1960, pp. 162-168. ↩︎
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Circa la questione del cartesianesimo in Brentano si veda B.M. Mezei, «Brentano, Cartesianism and Jan Patocka», Brentano Studien, V (1994), pp. 69-87. Cfr. anche J. Patocka, Prirozeny svet jako filosoficky problém, Praha 1992. ↩︎
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F. Brentano, Die Lehre vom richtigen Urteil, cit., p. 154: «La sicurezza del giudizio della percezione interna poggia sul fatto che il giudicante stabilisce col proprio oggetto non tanto un rapporto di semplice causalità, quanto piuttosto un rapporto di reale identità». ↩︎
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E. Husserl, Logische Untersuchungen, II/1, M. Niemeyer, Halle 19284, p. 373. ↩︎
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Questi problemi sono stati affrontati nei recenti lavori di K. Mulligan — P. Simons — B. Smith, «Objektivität und Evidenz», in Aa.Vv., Vom Wahren und Guten. Festschrift für Balduin Schwarz zum 80. Geburtstag, Salzburg 1982; B. Smith, «Constrains on Correspondence», in Aa.Vv., Traditionen und Perspektiven der analytischen Philosophie. Festschrift für Rudolf Haller, Wien 1989; e A. Rojszczak, «Wahrheit und Urteilsevidenz bei Franz Brentano», Brentano Studien, V (1994), pp. 129-147, articolo che riprende parzialmente il suo Magisterarbeit, Id., Wahrheit und Urteilsevidenz bei Franz Brentano, vorgelegt von A. Rojszczak, Uniwersytet Jagiellonski, Kraków 1992. ↩︎
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Per questo tema mi permetto di rinviare ai miei studi A. Marocco, «Oltre l’orizzonte della coscienza intenzionale in Franz Brentano», Idee, XII/34-35 (1997), pp. 179-200; Id., «Lo originario como horizonte de la esperanza desde la perspectiva moral de Brentano», in La filosofía del siglo XX: Balance y perspectivas, Atti VII Congreso Nacional de Filosofía (Lima, 3-7 de agosto de 1998), traducción de K. Ahumada González; e Id., Persona e intenzionalità. Kant e Brentano: prospettive a confronto, (in corso di stampa presso la UUP). Si veda su questo particolare aspetto, anche la posizioni di M. Buzzoni, «Brentano. Sprache, Ontologie und Person», Brentano Studien, I (1989), pp. 153-187, in particolare pp. 154-155; e R.M. Chisholm, «The formal Structure of the Intentionality. A metaphysical Study», Brentano Studien, III (1990-91), pp. 11-17. ↩︎
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A. Bausola, «Intenzionalità, verità ed evidenza secondo Franz Brentano», cit., p. 275. ↩︎