Recensione a Philip Zimbardo, L’effetto Lucifero. Come si diventa cattivi?

Philip Zimbardo, L’effetto Lucifero. Come si diventa cattivi? Raffaello Cortina Editore, Milano 2008.

Il libro del professor Zimbardo è il resoconto dettagliato del suo esperimento di psicologia sociale avvenuto nel 1971, nonché una mirabile riflessione di filosofia morale sul bene e sul male. Nell’agosto di quell’anno nel dipartimento di psicologia dell’Università di Stanford fu ricostruito un finto carcere in cui giovani volontari, dietro compenso economico, furono scelti per simulare i ruoli di prigionieri e di agenti penitenziari. Questi giovani erano borghesi istruiti e simili tra loro per vari aspetti. Nessuno volle essere una guardia, pertanto i ruoli furono assegnati a caso, tirando una moneta. Nessuno commise reati che giustificavano una detenzione o una punizione e nessuno portò con sé nell’esperimento patologie o segni di violenza, autoritarismo e sottomissione. Nell’arco di due settimane il professor Zimbardo e il suo gruppo di studio volevano scoprire se ci sarebbero state trasformazioni o se i ragazzi avrebbero mantenuto la loro apparente indistinguibilità. Le trasformazioni ci furono, e fin da subito. L’esperimento diventerà teatro di inquietanti abusi che a distanza di anni Zimbardo metterà in relazione, in questo libro, con quelli perpetrati nel carcere di Abu Ghraib in Iraq dai riservisti americani della polizia militare. Dopo appena tre giorni gli studenti avevano già ampiamente interiorizzato il loro ruolo, coloro che impersonavano le guardie mostrarono la mentalità e la brutalità (psicologica e verbale, non fisica) tipica di alcune autentiche guardie carcerarie e coloro che impersonavano i prigionieri, con poche eccezioni, divennero totalmente remissivi nei confronti dell’autorità. Già al quinto giorno Zimbardo si renderà conto che il potere della situazione creata stava offuscando ogni parvenza di moralità e di decenza. Di fronte alle immagini delle guardie che costringono i detenuti a giochi sessuali che simulano atti di sodomia, il professore deciderà di chiudere l’esperimento. Da quello che accadde a Stanford Zimbardo ne trasse una lezione illuminante. Egli comprese come i cattivi sistemi e le cattive situazioni possono indurre brave persone, normali e sane, a comportarsi in maniera malvagia. Non si deve quindi parlare di “mele marce”, ma di “cattivi cesti”. Il punto di vista tradizionale e rassicurante della disposizione individuale viene spostato e focalizzato sul potere delle forze situazionali che possono modificare il comportamento attraverso l’assegnazione di ruoli, regole, norme, anonimato delle persone e del contesto, processi di deindividuazione di chi esercita l’autorità, processi di deumanizzazione di chi subisce l’autorità, pressioni conformistiche, identità di gruppo e dispersione della responsabilità. Certamente è più facile credere in una presunta essenza e immutabilità del Bene e del Male, aggrappandoci ad una natura umana di qualità divina, a valori morali e razionali che ci rendono giusti e saggi e che ci danno l’illusione dell’invulnerabilità nei confronti delle forze situazionali e sistemiche. Da una parte dunque noi, i buoni, dall’altra loro, i cattivi. Ma ciò che dimostra l’esperimento carcerario di Stanford così come altri esperimenti di psicologia sociale è che tutti possiamo essere sedotti e indotti a perpetrare il male diventando irrazionali e antisociali e mettendo in discussione la nostra stabilità individuale e la nostra etica. Saperci vulnerabili e contagiabili in realtà ci rende più consapevoli e più forti, e pertanto può portarci ad evitare, impedire e modificare situazioni negative. Zimbardo però chiarisce un punto: capire il male non significa giustificarlo. «Individui e gruppi che si comportano immoralmente o illegalmente devono comunque essere ritenuti responsabili, anche giuridicamente, della loro complicità e dei loro reati. Tuttavia, nel determinare la gravità della condanna, si deve tener conto dei fattori situazionali e sistemici che hanno causato quel comportamento» (p. 350). In definitiva Zimbardo ci invita a tenere gli occhi sempre aperti sapendoci fragili. Nonostante la potenza e la costrizione della situazione dobbiamo mantenerci vigili, informati e critici per resistere alla pressione di tale forza. Comprendere come funzionano certe influenze sociali significa difendersi da cattive tentazioni, dall’assoggettamento passivo, dal conformismo, dalla compiacenza, dalla facile propaganda e da ogni forma di coercizione politica.