Il problema dell’individualità e dell’universalità nella filosofia pratica di Benedetto Croce

1. Introduzione

Il pensiero di Croce condizionò in vario modo la storia culturale del nostro paese ed ebbe, inoltre, una notevole risonanza in Germania (sopratutto per via della teoria estetica), così come nell’area anglosassone. Pur tuttavia, siamo dell’avviso che del sistema crociano, ben noto per la sua dialettica dei distinti, iscritta nei quattro gradi dello spirito (estetico, logico, economico ed etico), si sia, spesso, sorvolato sull’interessantissima teoria pratica, che, pur inserendosi nella storia dell’idealismo moderno, mostra delle prese di posizioni ben diverse rispetto alla visione hegeliana, fichtiana o attualistica, per ciò che riguarda il rapporto esistente tra individualità e universalità nella filosofia pratica. Soffermarsi a riflettere sulla teoria pratica del Croce permette non solo di comprendere l’originale portata speculativa del neo-idealismo italiano, ma anche di comprendere alcuni aspetti teoretici interessanti. Prima di entrare nello specifico del rapporto tra teoretico e pratico (Logico ed Etico) occorre precisare alcuni criteri di ricerca e di metodo da noi adottati.

Nel presente articolo non prenderemo in esame il pensiero crociano nella sua ampia portata, viceversa approfondiremo alcuni centri tematici presenti in opere specifiche, nei quali è possibile cogliere la differenza di atteggiamento filosofico davanti al problema dell’individuo singolo o della persona (intesa al modo di Max Scheler).

È opportuno ricordare sempre che nel pensiero moderno l’idealismo non è mai un movimento filosofico omogeneo, ma sempre un movimento complessamente differenziato: tanto quello tedesco, nel quale Hegel soleva distinguere un idealismo soggettivo (Fichte) da un idealismo oggettivo (Schelling), quanto quello italiano di Croce e Gentile. Infatti ai due importanti filosofi italiani conseguirono due distinte scuole di pensiero: lo storicismo crociano (retto sulla dialettica dei distinti) e l’attualismo gentiliano.1

La trattazione avrà uno scopo prettamente critico-speculativo e non storico. Su tale argomento sono stati scritti moltissimi saggi e articoli da valenti studiosi. Siamo tuttavia convinti che riprendere queste tematiche, proprie della storia filosofica italiana contemporanea, lungi dall’essere fuori moda, sia quanto meno interessante. Abbiamo proposto un percorso di ricerca quindi che chiarisca i nessi concettuali che muovono il complesso rapporto tra concezione della filosofia teoretica e sua realizzazione pratica (etica).

2. L’attività etica e le categorie della filosofia pratica di Croce

Croce elabora la sua Filosofia dello Spirito nei tre volumi dell’opera omonima, attraverso una specifica trattazione delle uniche quattro grandi attività storiche dello Spirito: l’attività estetica, l’attività logica, quella economica e, infine, l’attività etica. Le prime due attività sono proprie del momento teoretico, le altre due attività sono proprie del momento pratico dello Spirito.

Come nella dialettica dei due momenti teoretici c’è un rapporto di dipendenza del secondo momento dal primo (il momento logico in Croce dipende dal momento estetico-espressivo), allo stesso modo c’è un rapporto di dipendenza del momento etico da quello economico, o, in altri termini del dovere universale dalla volontà individuale.Questo rapporto instaurato da Croce è ben diverso dal presupposto kantiano del puro dovere: per Croce il piacere è una parte essenziale dell’azione pratica nella volontà.

Croce, però non vuole fondare un’etica sull’utilitarismo, che correttamente vede superato dalla riflessione kantiana sul dovere (Sollen); egli intende invece comprendere la praticità dell’etica nel comando dell’agire storicamente determinato. Il significato economico, quindi, per Croce non è da intendersi esclusivamente in senso finanziario, bensì, nel senso più ampio di volizione individuale, come il significato di etico è da ricollegarsi alla volizione del’universale.

Attività economiche, nell’accezione crociata, sono le scienze pratiche, naturali, le scienze tecniche, le istituzioni politiche, statali, bancarie etc… Viceversa per Gentile tutto è etico: lo Stato etico è infatti la Totalità concreta di fronte a cui l’individuale si annulla di per sé stesso.

Il momento etico, su cui noi ci soffermeremo in particolar modo nel presente articolo, è quello inerente alla volizione dell’universale, ma in modo distinto dal momento logico speculativo, momento che viceversa in Gentile si identifica con l’atto etico.

Studiando attentamente le riflessioni filosofiche crociane sull’attività pratica dello spirito, emerge un’interessante, quanto originale nel vasto panorama dell’idealismo, teoria della non spiritualità del sentimento. Croce infatti sostiene il sentimento è propria attività della sensibilità umana nel campo estetico (intuizione-sentimento del bello), ma non in quello meramente pratico, dove invece è la volizione ad avere valore teoretico; il filosofo partenopeo non vuole misconoscere la dignità dei sentimenti in sé stessi, ma vuole negarne il valore filosofico in rapporto all’analisi delle attività pratiche dello Spirito; difatti egli scrive:

La teoria sentimentalistica della pratica rappresenta un passo innanzi rispetto alla teoria intellettualistica, perché il il germinanre dell’indeterminatezza è progresso rispetto alla cattiva determinatezza e prepara una nuova e più ampia determinatezza. Ma in questa maniera d’intendere il valore di quelle formole si racchiude la risoluta negazione di esse, ove tendano a persistere dopo aver adempiuto l’ufficio loro, e a mantenere accanto alla conoscenza e all’azione una terza forma generale dello spirito: il sentimento. Nessun fatto dello spirito, ossia nessuna manifestazione di attività, si può addurre che, esaminata non superficialmente, non si risolva in un atto di fantasia, d’intelletto e di percezione, cioè di teoria […] ovvero un’atto di volizione utilitaria o etica.2

Ora esamineremo con specifica attenzione il capitolo crociano sull’etica come volizione dell’universale, mettendo in luce l’importanza che ha l’individuo nella filosofia di Benedetto Croce.

Ovviamente la lettura critica che offriremo di queste pagine non può prescindere dal rapporto dinamico che le attività distinte dello spirito hanno tra di loro, in quanto nella filosofia crociana la distinzione non è divisione, le attività sono distinte pur nell’unità assoluta dello spirito universale e storico.

Croce, riprendendo una nota polemica contro le etiche eteronome avviata da Kant nella Kritik der praktischen Vernunft, nel primo capitolo critica l’etica materiale e quella formalistica, di cui la concezione kantiana è la più nobile formulazione. Infatti Croce è dell’avviso che occorra far chiarezza terminologica sui termini e suggerisce:

Nel procedere a mettere ordine in questa matassa alquanto arruffata, daremo in primo luogo a quelle due parole il significato che loro tocca più di solito nella terminologia filosofica, cioè intenderemo per formale l’universale, e per materiale il contingente; e in questo solo e non in altro significato diciamo che il principio dell’Etica non è materiale, ma formale.3

Croce prosegue sostenendo che la moralità non si deduce dalle azioni particolari, ma dalla volizione dell’universale, cioè dalla consapevolezza dello Spirito di poter agire universalmente, pur nelle particolarità economiche concrete in cui si trova storicamente. Qui si nota la complessità della posizione crociana, che sembra dibattersi tra l’imperativo formale kantiano e il concreto storico, la realtà contingente medesima a cui non vuole rinunciare speculativamente. Croce poco più avanti esprime un concetto innovativo, problematico, che occorre chiarire nell’ottica della sua concezione idealistica:

La morale considera gli individui non mai per sé stessi, ma sempre nella loro relazione con l’universale; nel quale aspetto non c’è uomo che meriti di essere salvato o di essere sopresso […] Nessun individuo va trattato come fine, ma tutti come mezzi per l’universale morale, dal quale soltanto ricevono dignità di fini.4

Queste affermazioni hanno qualcosa di inquietante se prese di per sé stesse, ma nell’ottica storicista crociana si spiegano perché in Croce la storia è giustificatrice e non giustiziera ed il giudizio pratico è esso stesso storico. Per quanto Croce tenterà poi di salvaguardare l’individuale, da idealista non lo può assolutizzare, ma lo vede solo nel suo rapporto con l’universale morale. La massima dell’azione morale certamente, come insegnò Kant, è quella dell’universalizzazione della norma, però nell’ottica crociana, immanentista, non si può disgiungere la formalità dell’imperativo dall’agire concreto che spesso appare storicamente contraddittorio. Ovvio che per Croce, una volta che si pensi l’individuale nell’universalità della massima morale, non lo si può pensare come strumento di violenza o di tortura (come la frase citata prima, decontestualizzata dall’intera filosofia crociana, farebbe supporre), poiché sarebbe contraddittorio in sé stesso, proprio in virtù del rapporto che ha con la seconda massima kantiana.

La massima non la si può trovare fuori dalla sfera etica, ma in questa stessa, nel concreto della sua storicità, in quanto per Croce il giudizio pratico stesso è storico in ogni sua determinazione; non esistono così morali assolute, se non quella propria dell’attività etica dello spirito nella sua concretezza individuale. L’attività etica è quindi volizione dell’universale, cioè di quelle norme di azione pratica tese a un bene universale, cioè sentito come tale. Vediamo in ciò una possibile vicinanza tra l’etica del Croce e la filosofia etica di Franz Brentano, in cui si afferma che Il bene è ciò che è amato con «retto amore». Croce condividerebbe questa affermazione, poiché nel suo trattato, pur misconoscendo al sentimento un valore teoretico, vede nell’attività etica il momento dell’amore (volizione) per l’universale, come il movente intenzionale dell’etica.

L’etica crociana quindi formula a livello teorico l’identità tra volizione e azione, in quanto l’azione è pensata in rapporto alla volontà dello spirito; in ogni attività spirituale (anche teoretica) la volizione è infatti un tutt’uno con l’azione (ad esempio: un pittore che vuole dipingere, dipinge e compiendo l’opera realizza la sua volontà estetica). Sostanzialmente siamo di fronte ad un superamento delle etiche intenzionaliste, a favore di un’etica idealistica, ma al tempo stesso fortemente volontaristica, che vuole superare il dualismo astratto proprio delle filosofie morali del pensiero moderno. Infatti Croce scrive:

La distinzione tra volizione e azione non si può affermare se non in forza e a documento di una veduta metafisica dualistica, di uno spiritualismo astratto che ha per termine correlativo la materia come entità e sostanza; ma è tolta via dalla veduta idealistica, la quale non conosce se non una sostanza unica, e questa poi non veramente come sostanza, ma come spiritualità e soggettività.5

L’azione quindi è l’elemento particolare, individuale della dialettica spirituale concreta. Quindi per Croce il momento individuale diviene determinante nell’azione, fondando la distinzione tra questa e l’accadimento. Leggiamo infatti:

L’azione è l’opera del singolo, l’accadimento è l’opera del Tutto: la volontà è dell’uomo l’accadimento è di Dio. O per mettere questa preposizione sotto forma meno immaginosa, la volizione dell’individuo è come il contributo ch’egli reca alle volizioni di tutti gli altri enti nell’universo […] sono perciò inesatti i concetti delle azioni che riescono e delle azioni che non riescono, delle azioni che si concretano pienamente nel fatto e delle azioni che si concretano solo in parte o niente del tutto.6

L’individuo, quindi, concretamente si trova ad agire e pensare in rapporto ai contesti storici in cui è inserito; non è l’azione di per sé, oggettivamente data, ad aver valore, ma la volontà etica che la ha compiuta, il senso etico dei valori in essa presenti. Sostanzialmente, a nostro avviso, è presente qui una critica al pensiero positivistico o naturalistico, a quel pensiero che identifica l’azione con l’accadimento, quasi in modo deterministico. Croce quindi critica ogni etica intenzionalistica che astrae dalle condizioni storiche concrete in cui si attua l’attività etica dello spirito; in tal senso è degno di nota e importante notare la riflessione presente sui concetti di «fine e mezzo»:

Il fine in universale è dunque il concetto stesso di volontà, e considerato nell’atto singolo come questo o quel fine, è nient’altro che questa o quella volizione determinata. Donde anche una migliore definizione del rapporto di esso col mezzo, che si suole empiricamente ed erroneamente concepire quasi parte della volizione e di azione al servigio di un’altra parte di esse. Un atto volitivo è unità inscindibile, e solo per comodo pratico si può darlo come diviso. Nell’atto volitivo, tutto è volizione; niente è mezzo e tutto è fine. Il mezzo non è altro che la situazione di fatto, dalla quale l’atto volitivo prende le mosse […] il mezzo è il dato che non ha bisogno di giustificazione il fine è il voluto e deve giustificarsi in sé medesimo.7

L’innovatività di Croce è nello svincolare l’etica dall’idealismo astratto e ricondurla alla concreta e determinata attività umana storicamente presente; ovvio che in questa prospettiva il fine non è l’universale solo pensato, ma l’universale che si realizza nell’opera degli individui concreti. L’individuo, quindi, in modo ben diverso che nell’idealismo hegeliano (che sotto questo aspetto Croce critica) non si dissolve nell’universalità, ma si concretizza storicamente, prende la propria energia vitale, pratica in quanto essere che pensa, vuole e agisce concretamente. Gentile, come vedremo successivamente, al contrario riprende in pieno il tema hegeliano, sostenendo il dissolvimento dell’individualità nell’eticità concreta dello stato etico.

Nel capitolo quarto dell’Etica, Croce argomenta una delle teorie più interessanti da lui formulate sul rapporto teoretico-pratico, la teoria dell’errore, sostenendo la natura pratica e non teoretica di esso. In realtà egli parte dall’identificazione di intenzione e volizione, poiché la volizione è sempre legata al particolare, giammai all’universale astratto del concetto; il particolare è l’economico (inteso come ciò che è utile all’uomo in quanto individuo o in quanto comunità), quindi non ha senso parlare di volizione dell’universale: per Croce esso significherebbe noluntas, quest’ultima non ha per lui senso poiché in ogni attività spirituale c’è intenzionalità e volizione, che sono un tutt’uno.

Quest’aspetto è degno di nota anche in sede etica e morale, poiché qui interviene la questione della coscienza etica, dove ognuno è chiamato responsabilmente a prendere coscienza della propria volontà morale, che è libera e non costretta da una struttura assoluta (non a caso Croce, come approfondiremo, polemizzerà duramente col suo amico-rivale Gentile sul tema dello stato, sostenendone la natura prettamente economica e non etica).

L’errore quindi è dato non da presupposti concettuali o teoretici, ma dall’applicazione di categorie pratiche a concetti teoretici e viceversa, cioè, in termini sintetici, dal sovrapporre sistemi dialettici distinti tra di loro. La preoccupazione crociana è quella di adottare un sistema critico che metta in luce la specificità dell’individualità determinata storicamente senza astrarla dai suoi contenuti storici. Ne consegue che l’errore è connesso semplicemente all’attività pratica umana (economica o etica); l’azione quindi può sbagliare, ma l’intenzionalità dell’azione no, come nel caso della volizione non sbaglia essa, sbaglia invece la valutazione pratica che l’uomo si trova a considerare. Questo punto, apparentemente sofistico, ha invece una portata concettuale molto ampia: esso rappresenta l’essenza stessa della filosofia crociana, una filosofia che non pretende di stabilire sistemi onniscienti o assoluti, ma che intende rapportare l’universale astratto al concreto delle attività umane e delle loro specifiche realtà.

I problemi pratici si risolvono praticamente e non teoreticamente proprio perché è l’individuale ad essere al centro dell’attenzione filosofica crociana. Occorre, a tal proposito, ricordare che Croce nella sua Logica come Teoria del concetto puro sostiene l’identità tra giudizio individuale e giudizio determinante.

È interessante notare la concretezza speculativa con cui Croce riconduce la dimensione etica della coscienza umana, una concretezza che è simile a quella proposta da Heidegger in Sein und Zeit riguardo alla tematica del cosiddetto Umgang (tradotta dal Chiodi con il termine commercio intramondano); questa dimensione viene quindi rapportata all’intenzionalità originaria dell’agire umano con queste parole:

L’uomo, prima di risolversi, cerca di vedere chiaro intorno in sé e intorno a sé, e fintanto che dura la ricerca, fintanto che non si scioglie il dubbio, la sua volontà rimane sospesa […] Un uomo discende cautamente per la china pericolosa di una montagna coperta di ghiaccio: metterà o no il piede su quella crosta, di cui egli non sa e non può sapere la resistenza? […] Ciò che deve essere noto per poter formare la volizione, non è ciò che sapremmo se fossimo in situazione diversa da quella in cui siamo (e nella quale di conseguenza anche la volizione sarebbe diversa); ma ciò che possiamo sapere nella situazione in cui realmente ci troviamo.8

La coscienza etica per Croce non è perfetta nella sua azione, ma lo può essere nella sua intenzione, rapportando quest’ultima alla situazione storico- esistenziale a cui si connette; di conseguenza l’errore di valutazione sarebbe

Dato dall’indebito trasferimento di una forma teoretica in un’altra o di un prodotto teoretico in un altro diverso […] Dal pari il filosofo che risolva un problema filosofico con metodo fantastico e da artista, ovvero con metodo storico, naturalistico e matematico, in cambio di un filosofema dà fuori un mito o un fatto contingente universalizzato o un’astrazione scambiata per concretezza, ossia un errore filosofico. Ed errore filosofico è anche trasportare i concetti filosofici da un ordine all’altro, e trattare l’arte come se fosse filosofia e la morale come se fosse economia».9

In questa riflessione emergono già elementi originali dell’idealismo crociano, non sovrapponibili all’idealismo hegeliano o a quello attualistico, dal quale Croce prenderà le debite distante; per Hegel, come per Gentile, tutto si risolve in filosofia, nel senso che la filosofia è il sapere assoluto autoriflettente dello spirito, davanti a cui l’arte e la religione, come le altre attività umane (pratiche, giuridiche etc…) si risolvono pienamente. Croce, al contrario, intende la filosofia come scienza dei concetti puri, anzi del concetto puro, la quale però ha un suo specifico ambito, dal quale non è lecito per essa staccarsi: essa può riflettere in sede teoretica su problemi di tipo etico ed economico, ma non può risolverli in astratto, essa kantianamente può guidare l’agire pratico, ma non pretendere di sostituirlo.

Nel V e VI capitolo dell’opera presa in considerazione, il filosofo italiano approfondisce le tematiche della volizione, dell’azione e del giudizio pratico, che qui metteremo in confronto con il capitolo IV della sezione II, dove Croce tratta degli abiti volitivi e dell’individualità, al fine di mettere in luce, sinteticamente, l’idea di individualità liberale del Croce, ben diversa da quella dell’individuo nell’etica gentiliana di cui parleremo nel paragrafo seguente del presente articolo.

Croce esamina con attenzione diversa da quella ad esempio dell’etica normativa kantiana la natura delle passioni umane, che egli non identifica con semplici stati d’animo, intendendole invece come abiti volitivi. Egli infatti scrive:

Giustificata, sebbene sempre di carattere empirico, è anche la distinzione che si suole porre tra gli affetti, gl’impulsi, i desideri da un lato, e le passioni dall’altro, considerando queste non già come il singolo e istantaneo desiderio o impulso, che spinge a una singola azione, ma come inclinazione o abito di desiderare e volere in un certo indirizzo […] Codeste passioni o abiti volitivi non sono rigidi e fissi, perché niente di rigido e fisso v’è nel campo del reale […] Gli abiti non sono categorie, né sono pensabili come concetti distinti, ma sono il simile nel dissimile, dissimile anch’esso in sé stesso, e nondimeno in certo modo discernibile da altri gruppi di fatti dissimili […] E in essi ha fondamento l’individualità, intesa come concetto empirico, nel qual caso non designa nient’altro che un complesso di abiti più o meno duraturi e coerenti».10

Croce poi passa in rassegna importanti critici ai moralisti che, in ogni tempo, hanno deriso le passioni o ne hanno trattato in modo falso, con un impeto argomentativo che ricorda il Nietzsche di Zur Genealogie der Moral. Croce guarda con ironica acutezza la presunzione dei moralisti tradizionali di poter trascurare la dimensione della passione:

Che cosa pretenderebbero gli ingenui? Che le passioni sgombrassero di colpo, al primo cenno reciso, il nostro animo? Credono forse che siano tenere erbette o fiorellini, che un bimbo ha attaccato alla superficie delle zolle? E, nel tentativo di strapparle, è giusto allora che si avvedano che esse sono invece piante rigogliose e tenaci, profondanti le loro intricate e ramificate radici assai addentro nel terreno […] Gli abiti, dunque, non meno che i singoli atti volitivi onde furono e sono costruiti, in quanto si oppongono alle nuove sintesi volitive possono essere, e sono di continuo, vinti e modificati.11

Il realismo speculativo del Croce è qui ben evidente: egli diffida di tutte quelle filosofie morali che pretendono di stabilire massime astratte decontestualizzate (l’unica che sembra invece difendere, sebbene ricontestualizzandola criticamente, è quella dell’imperativo categorico kantiano). Ciò non significa che è impossibile una massima di orientamento etico universale, poiché ciò sarebbe contraddittorio rispetto alla natura stessa della volizione etica (volizione dell’universale), solo che non è filosoficamente corretto stabilire categorie normative rigide sui comportamenti che investono le sfere individuali libere. Se ne deduce che per Croce l’individualità è centro dell’agire, nella sua complessa dinamica dialettica, e che essa non può essere annullata nell’universalità dello Stato né tanto meno delle religioni assolutistiche, che vorrebbero predeterminare o negare il libero agire degli uomini. La centralità dell’argomento in questione è trattata con lucida chiarezza dal Croce in questi termini:

Ogni individuo, a seconda delle circostanza tra le quali viene al mondo, è fornito, come si dice, da natura, di certi abiti determinati; e altri ancora ne acquista lungo la vita, a causa delle condizioni di fatto attraverso le quali passa e delle operazioni che compie. Quegli abiti, che ha fin dal nascere, sono le attitudini, disposioni e tendenze che si chiamano naturali; e gli altri quelle che si chiamano acquisite. L’individuo non è in effetti, come si avvertito, se non questi gruppi di abiti.12

L’individuale quindi è concepito come centro di libertà responsabile e cosciente che ha in sé facoltà legiferante; qui è il punto centrale e il distacco di Croce dall’idealismo tradizionale hegeliano, a cui invece Gentile, con la sua teoria dello stato etico, tornerà.

3. Il Concetto di Legge come prodotto dell’individuale nella sua volizione universale

Una delle sezioni più interessanti dell’opera crociana è la terza, intitolata Le Leggi. Croce, riprendendo una tesi cara al contrattualismo lockiano, sostiene che il principio della legalità è fondato sulla concretezza dell’agire individuale e non sull’astrazione della legge sociale; questo punto è fondamentale per comprendere la teoria liberale della politica crociana, ma anche il suo presupposto ontologico e religioso, la fede nella libertà come telos umano. La legge non assume il suo senso nello Stato in quanto tale, ma nell’individuo concreto, storicamente operativo, che conforma (o non conforma, trasgredendo) la sua volontà etica e pratica alla Legge medesima. È chiaro allora perché Croce intenda lo Stato solo nella fase meramente economica, e non in quella etica. Lo Stato, infatti, coerentemente alla teoria liberale tradizionale, deve limitare la sua azione ai rapporti giuridici, senza entrare nella sfera delle libertà individuali, o comunque senza determinarle strutturalmente; esso quindi dovrebbe essere il prodotto di un’utilità comune e non porsi come Dio o incarnazione immanente dell’Assoluto (come l’attualismo chiaramente sostiene). In un saggio successivo dal titolo Politica in Nuce Croce scriverà con ironia anti-gentiliana:

Nonostante codeste esaltazioni e codesto dionisiaco delirio statale e governamentale, bisogna tener fermo a considerare lo Stato per quello che esso veramente è: forma elementare e angusta della vita pratica, dalla quale la vita morale esce fuori da ogni banda e trabocca, spargendosi in rivoli copiosi e fecondi; così fecondi da disfare e rifare in perpetuo la vita politica stessa e degli Stati.13

Il concetto che ne è a fondamento è l’idea di legalità giuridica e etica come prodotto di volontà individuale che si fa universale nella società umana come unione libera di individui (e non come coazione). Croce sostiene:

La legge è un atto volitivo che ha per contenuto una serie o classi di azioni. Questa definizione esclude anzitutto dla concetto di legge una determinazione che di solito è considerata essenziale, la determinazione di società; ossia estende il concetto di legge al caso dell’individuo isolato». Eppure la definizione di società appare da un punto di vista filosofico pratico, come antinomica in quanto: «… sarà bene avvertire che la parola società ha due significati, uno empirico e l’altro filosofico, e che escludendo dal concetto di legge il primo, non intendiamo e non potremmo escludere l’altro. La realtà è unità e molteplicità insieme, e il processo del reale è effettivo in quanto gl’individui sono in relazione. Senza molteplicità non si avrebbe né conoscenza né azione né arte né pensiero né utilità né moralità: l’individuo isolato, cioè avulso dalla realtà che lo costituisce e che egli costituisce, è qualcosa di astratto, epperò di assurdo.14

Osserviamo quindi una concreta riflessione del Croce sulla differenza che l’individuale e la sua realtà assume in un contesto universale quale è quello della Legge, la quale è sempre astratta per definizione; al fine di realizzarla occorre ricordurla alla concretezza della situazione storica particolare.15 Ne consegue che una concezione radicalmente liberale come quella del Croce non può proporre, al contrario di quella di Gentile,16 una legge o Stato etico in cui gli individui si risolvono e si completano, poiché è la libertà come concreta realizzazione dello Spirito ad essere l’unica e vera finalità, non lo Stato in quanto Stato.

La massima evangelica della legge fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge viene ripresa filosoficamente dal pensiero autenticamente liberale di Croce, seppur in un’ottica storicistica di immanenza assoluta dello Spirito, nel quale risulta sempre problematica una concreta elaborazione di una concezione etica non relativistica.17

L’attività pratica trova il suo senso nella giusta valutazione dell’utile e del buono, sostanzialmente in una mediazione non astrattamente intellettuale di questi due valori. In questo senso si potrebbe accostare la teoria della filosofia pratica crociana al pensiero di Scheler e della sua Etica materiale dei valori, nel senso che entrambi pensano la pluralità dei valori non essenzialmente come un relativismo,18 ma anzi come un segno dell’autentica autonomia pratica della coscienza personale e sociale dell’umanità.

4. Bibliografia essenziale

Tenendo presente la mole sterminata di studi pubblicati su Benedetto Croce, ci riferiamo in tale sede solo agli studi più importanti; per un’ampia bibliografia sul pensatore napoletano si veda il prezioso testo introduttivo di Paolo Bonetti, Introduzione a Croce, Bari 2005, pp. 195-245.

  • Gennaro Sasso, Benedetto Croce: la ricerca della dialettica, Napoli, Morano, 1975
  • Nicola Badaloni, Carlo Muscetta, Labriola, Croce, Gentile, LIL, Roma-Bari, Laterza, 1978 (in part. di Muscetta: La versatile precocità giovanile di Benedetto Croce. Profilo della sua lunga operosità, Critica e metodologia letteraria di Croce, Croce scrittore: multiforme unità della sua prosa)
  • Gennaro Sasso, Per invigilare me stesso: i taccuini di lavoro di Benedetto Croce, Bologna, Il Mulino, 1989
  • Marcello Mustè, Benedetto Croce, Napoli, Morano, 1990
  • Giuseppe Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, Milano, Il Saggiatore, 1990
  • Toni Iermano, Lo scrittoio di Croce con scritti inediti e rari, Napoli, Fiorentino, 1992
  • Gennaro Sasso, Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis, 1994
  • Giovanni Sartori, Studi crociani, Bologna, Il Mulino, 1997
  • Pier Vincenzo Mengaldo, Benedetto Croce in Profili critici del Novecento, Torino, Bollati Boringhieri, 1998
  • Karl Egon Lönne, Benedetto Croce: Vermittler zwischen deutschem und italienischem Geistesleben, Tübingen, Francke, 2002
  • Ernesto Paolozzi, L’estetica di Benedetto Croce, Napoli, Guida, 2002
  • A.A.V.V., Croce filosofo. Atti del convegno internazionale di studi in occasione del 50º anniversario della morte: Napoli-Messina 26-30 novembre 2002, Soveria Mannelli, Rubettino, 2003
  • Fabio Fernando Rizi, Benedetto Croce and Italian fascism, Toronto, University of Toronto Press, 2003
  • Manfred Thiel, Benedetto Croce: Italien am Vorabend des Faschismus. Eine analytische Darstellung, Heidelberg, Elpis-Verlag, 2003
  • Carmelo Tramontana, La religione del confine. Benedeto Croce e Giovanni Gentile lettori di Dante, Napoli, Liguori, 2004
  • Sarah Dessi Schmid, Ernst Cassirer und Benedetto Croce, Tübingen, Francke, 2005
  • Giuseppe Gembillo, Benedetto Croce filosofo della complessità, Soveria Mannelli: Rubbettino, 2006
  • Maria Panetta, Croce editore, Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto Croce, 2 voll., Napoli, Bibliopolis, 2006
  • Guido Verucci, Idealisti all’indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant’Uffizio, Laterza 2006
  • Andrea Manganaro, La storia e le storie. Benedetto Croce narratore, in Significati della letteratura, Caltanissetta-Roma, Sciascia editore, 2007

  1. Si veda: E. Garin, Cronache di filosofia italiana, 2 voll., Bari, 1997. ↩︎

  2. B. Croce, La filosofia della pratica: economia ed etica, Bari 1915, pp. 241-251. ↩︎

  3. Ibid. pp. 20-21. ↩︎

  4. Ibid., sez. 2. ↩︎

  5. I. Kant, Kritik der praktischen Vernunft, Frankfurt/M., 1985. ↩︎

  6. B. Croce, La filosofia della pratica: economia ed etica, p. 295. ↩︎

  7. Ibid., pp. 298. ↩︎

  8. Ibid., pp. 52-53 ↩︎

  9. Ibid., pp. 32-33. ↩︎

  10. Cfr. G. W. F. Hegel, La fenomenologia dello spirito, trad. it., Milano 2000, pp. 112-116. ↩︎

  11. B. Croce, La filosofia della pratica: economia ed etica, op. cit., pp. 112-116. ↩︎

  12. Ibid., p. 43. ↩︎

  13. Ibid., p. 156. ↩︎

  14. Ibid., p. 157. ↩︎

  15. Ibid., p. 156. ↩︎

  16. Cfr. A. Lo Schiavo, La filosofia politica di Giovanni Gentile, Roma 1971. ↩︎

  17. B. Croce, La mia filosofia, Milano 1993, p. 208. ↩︎

  18. Ibid., p. 223. ↩︎