L’antisemitismo. Confronto tra due prospettive critiche: Sartre e Adorno-Horkheimer

Mentre l’antisemitismo si manifestava in un’Europa lacerata tragicamente dagli orrori del nazismo, si ebbe l’urgenza di interpretare filosoficamente tale ideologia. In effetti, intorno al 1944-1945 si ebbero due letture significative: la prima da parte di J.-P. Sartre in Francia e la seconda da parte di Th.W. Adorno e M. Horkheimer negli Stati Uniti. Interessante, a nostro avviso, proporre un confronto critico tra le due posizioni.

Occorre anzitutto notare i contesti in cui i suddetti filosofi scrivono. Sartre durante l’occupazione tedesca in Francia aveva aderito alla resistenza e le sue riflessioni sull’antisemitismo tendono ad interpretarlo alla luce di una possibile soluzione politica socialista; Adorno e Horkheimer, invece, si trovavano in esilio negli Stati uniti, e interpretano l’antisemitismo nell’ottica della crisi della ragione occidentale illuministica. Pur nelle differenze, c’è, tra Sartre e i due francofortesi, una comune impostazione marxista in tali analisi, sebbene con dinamiche critiche diverse, come nota puntualmente Galli.1

L’analisi di Sartre prende le mosse dalle basi fenomenologico-esistenziali della sua ricerca. Infatti, nelle prime pagine della sua opera Sartre imposta il discorso notando come l’antisemitismo non sia un pensiero quanto una passione: «L’antisemitismo non rientra nella categoria dei pensieri protetti dal diritto di libera opinione. Del resto è tutt’altro che un pensiero. È anzitutto una passione».2 Tale passione è in sé indeterminata e viene ad essere condizionata dalla concezione ideologica che è presente nel sistema politico specifico, rappresentata in questo caso dalla Francia, divisa tra la repubblica di Vichy e la Francia libera. L’accusa contro gli ebrei francesi è inconsistente per Sartre poiché «la storia di Francia non insegna niente sul conto degli ebrei: sono stati oppressi fino al 1789; poi hanno partecipato come hanno potuto alla vita della nazione, approfittando, certo, della libera concorrenza per prendere il posto dei deboli, ma né più né meno degli altri francesi: non hanno commesso nessun crimine contro la Francia, né l’hanno tradita».3 Quindi il motivo dell’antisemitismo è da ricercarsi in un pregiudizio culturale di una mentalità specifica che ha tre caratteristiche fondamentali:

  1. L’antisemita si considera uomo medio, mediocre e proietta sull’ebreo le virtù di intelligenza e razionalità che lo impensieriscono a tal punto da portarlo all’odio4
  2. L’antisemita concepisce solo l’appropriazione individuale. Sartre scrive: «L’antisemita concepisce solo un tipo di appropriazione primitiva e terrriera, fondata su un vero rapporto magico di possesso in cui l’oggetto posseduto e il suo possessore sono uniti da un legame di partecipazione mistica».5
  3. L’antisemita fugge la responsabilità come fugge la propria coscienza.6

L’antisemita ha bisogno dell’ebreo, per dimostrare la sua presunta identità e la sua forza ideologica, quindi lo proietta culturalmente in una visione del mondo. «L’antisemitismo non è una semplice opinione sugli ebrei, è una concezione del mondo».7 Questa concezione del mondo antisemita cerca di proiettare su un capro espiatorio le responsabilità collettive delle ingiustizie sociali e storiche: l’ebreo è colui che minaccia il senso di proprietà terriera. Sartre analizza, quindi, l’antisemitismo su basi sociali e nota come esso non sia presente tra gli operai.8 La motivazione è che l’operaio ha un rapporto di produzione col mondo per cui non vive un rapporto di antagonismo con gli altri, mentre dall’antisemitismo non è immune il ceto medio (classe borghese che ha compiti di amministrazione, distribuzione, vendita).9 L’ideologia dell’antisemita è elementare: «La sua attività intellettuale si rifugia nell’interpretazione: cerca negli avvenimenti storici la presenza di una potenza malvagia. Da ciò quelle invenzioni puerili e complicate che lo rendono assimilabile ai grandi paranoici».10 Ma l’antisemitismo per Sartre è, dopotutto, la paura di fronte alla condizione umana: l’antisemita è l’uomo che vuole essere tutto fuorché uomo. Notiamo, in sintesi, una lettura del problema ebraico come connesso alla questione della scelta esistenziale. La conclusione del discorso sartriano è che l’ebreo dovrebbe essere libero di essere ebreo e al tempo stesso di essere cittadino di un paese politicamente organizzato.11 Sartre, infatti, propone una soluzione politica del problema nell’ambito dell’instaurazione di una società socialista, in cui si venga a superare la distinzione ebreo e cittadino (tematica che richiama da vicino il Marx della Questione ebraica12).

Adorno e Horkheimer, invece, rifletterono sull’antisemitismo con categorie diverse, pur mostrando talune analogie con le riflessioni del filosofo francese. L’opera forse più famosa dei due filosofi, Dialektik der Aufklärung, affronta infatti la tematica in un capitolo specifico dal titolo Elementi dell’antisemitismo. Se le analisi dell’antisemitismo proposte dai francofortesi presentano alcune peculiarità concettuali proprie delle categorie speculative della dialettica decostruttiva del pensiero francofortese, vi sono alcune analogie significative con il discorso sartriano; riteniamo che tale confronto sia utile per comprendere come la questione antisemita possa essere studiata in varie prospettive.

Il discorso sull’antisemitismo viene studiato da Adorno e Horkheimer a partire dal rapporto problematico tra la ratio votata al dominio e la realtà sociale in cui quella si determina: l’antisemitismo è uno dei significativi momenti della decadenza della ragione moderna sul piano sociale e culturale. A noi qui interessa approfondire soprattutto le categorie argomentative utilizzate dai due filosofi. Nella Dialettica dell’illuminismo viene anzitutto sottolineata la duplice natura dell’antisemitismo: «per i fascisti, gli ebrei non sono una minoranza, ma l’altra razza, il principio negativo come tale […] Diametralmente opposta è la tesi che gli ebrei, privi di caratteristiche nazionali o razziali costituirebbero un gruppo solo per le loro opinioni e tradizioni religiose».13 I due filosofi francofortesi creano un parallelo tra antisemitismo e dominio.14 Analogamente a Sartre, Adorno e Horkheimer coniugano gli aspetti ideologici dell’antisemitismo con una concezione originariamente totalitaria del mondo umano: Sartre parla di concezione olistica del mondo; Adorno e Hokheimer scrivono che «fra antisemitismo e totalità c’è sempre stato fin dall’inizio, il rapporto più intimo. La cecità investe tutto perché non comprende nulla».15 Tale affermazione richiama il culto dell’ideologia della totalità come struttura identica a se stessa che, nella concezione dialettica francofortese, fa violenza al particolare, al diverso. L’ebreo è, in tal senso, in se stesso il «diverso». E tuttavia il suo essere diverso è anche strettamente imparentato con la struttura del dominio: l’ebreo è colui che si rende complice di un sistema in cui la ragione economica snatura la mimesi con la natura.

Per chiarire questo assunto occorre ricordare come l’analisi dell’antisemitismo proposta in Dialettica dell’illuminismo si determini su due livelli concettuali:

1) Rapporto ratio-natura.

2) Rapporto mimesi-progresso.

Mentre per Sartre, come abbiamo precedentemente osservato, l’antisemitismo è una passione piuttosto che un pensiero, per i francofortesi l’antisemitismo è un pensiero dialetticamente inserito nella logica dell’Aufklärung e delle sue possibilità negative. Il rapporto ratio-natura è problematico per via del formarsi di una società in cui la ragione viene ridotta all’ambito della strumentalità tecnica; di conseguenza, ogni realtà che non può essere ricondotta a un modello ideologico è in sé stessa innaturale, perversa, profondamente «ebraica». Gli ebrei infatti hanno avuto una storia diversa rispetto agli altri popoli, perché da un punto di vista teologico hanno superato la fase mimetica con la natura attraverso il divieto di farsi immagini dell’assoluto.16 Tale elemento non è esente dalla dialettica inesorabile di ratio e dominio: la logica dell’ebreo è essa stessa il prodotto dei condizionamenti storici del dominio e anche per questo motivo finisce per diventare vittima della società fascista. Qui è la particolarità dell’interpretazione francofortese dell’antisemitismo e la sua differenza rispetto a quella di Sartre. L’antisemitismo è per i francofortesi uno degli esiti della storia occidentale, per Sartre è invece una possibilità inautentica della scelta esistenziale della coscienza.

Prima di approfondire tale percorso critico occorre, a nostro avviso, chiarire il significato della mimesi nella Dialettica dell’illuminismo. La ragione umana è legata alle fasi pre-logiche del pensiero sociale (in tal senso la riflessione francofortese richiama qualche elemento del pensiero di Levi Bruhl). La fase pre-logica (mitica) prevedeva una immedesimazione del mito con la forza primordiale ad esso connessa: l’elemento mitico quindi appare già come un tentativo di codificare in rapporti di forza antropomorfizzati la natura che intimorisce l’uomo. Tale mimesi viene perseguita nella storia della società occidentale mediante un passaggio strutturale dalla fase magica a quella razionale. È proprio nell’incapacità di realizzare questa mimesi che si configura l’antisemitismo: come violenza aperta della ratio strumentale. La ragione strumentale tenta di pianificare la società in modo univoco, come se questa fosse riconducibile ad un solo elemento ideologico. Di conseguenza l’ebreo, uomo senza terra, diviene l’elemento scomodo, l’elemento che nega il fondamento stesso del mito, in quanto orizzonte concettuale in cui si determina l’identità del dominio stesso. La ragione nemica del mito, in realtà ne cerca la mimesi, cerca l’identificazione totale con il mito, con l’altro da sé, attraverso la prassi del dominio. Tale dominio deve escludere la trascendenza per rendersi immanente, ciò che esprime il bisogno originario del pensiero mitico. Uno dei motivi fondamentali dell’antisemitismo è da ricercarsi, per i due francofortesi, proprio nell’inversione del rapporto tra divino e umano: l’antisemita cerca di idolatrare il potere, ciò che lo personifica; l’ebreo invece è colui che nega l’identificazione di Dio con un qualunque potere (secondo il Talmud) ed è questa negazione nell’ottica dell’antisemita a renderlo colpevole delle ingiustizie sociali. Analogamente a Sartre, Adorno e Horkheimer mettono in evidenza la concezione totalizzante e totalitaria del mondo propria dell’ideologia antisemita e al tempo stesso ne riconoscono la necessità storica: l’antisemitismo è, infatti, l’espressione dell’illuminismo nel suo culmine paradossale.

Il rapporto ratio-natura, nell’ottica francofortese, si gioca tutto sulle categorie ideologiche (nel senso marxiano del termine) che determinano i comportamenti sociali umani. La civiltà è il prodotto di varie reificazioni che il soggetto umano subisce, sia come coscienza spirituale sia come coscienza sociale. Nota acutamente Iolanda Poma: «Ma la regressione moderna in forme di comportamento irrazionali dimostra che ciò che si nasconde, non per questo si cancella. La censura delle pulsioni di tipo mimetico porta dunque ad una loro esplosione violenta, che travolge chi sembra essere alla origine della loro stessa repressione, ritenuto per lo stesso motivo esente da quella proibizione: nella nostra storia recente questo soggetto è stato identificato con il popolo ebraico».17 Ovviamente l’approccio dialettico della lettura francofortese non si limita a notare questa identificazione ideologica ma tenta di cogliere gli aspetti funzionali dell’antisemitismo. Mentre Sartre, abbiamo visto, tenta di mostrare l’infondatezza sul piano esistenziale ed etico dell’antisemitismo come scelta, Adorno e Horkheimer cercano di comprendere come tale infondatezza possa divenire sistema politico e ideologia.

La ratio con il suo potere di controllo totale, vorrebbe identificare l’altro da se stessa, in un modello di società pianificata (la società nazionalsocialista). Questa società non è di per sé assurda, ma volge l’idea di conciliazione sociale nel suo opposto e costituisce, in tal senso, l’espressione della falsità storica presente nell’ideologia della società capitalistica. Nell’aforisma III del capitolo «Elementi dell’antisemitismo», infatti, leggiamo: «L’antisemitismo borghese ha uno specifico fondamento economico: il travestimento del dominio in produzione». Anche Sartre, essendo legato alla filosofia marxista, analizza l’antisemitismo in rapporto a fattori economico sociali, ma la sua attenzione si rivolge alle singole persone che manifestano idee antisemite in rapporto anche al loro lavoro e al significato sociale del medesimo. Adorno e Horkheimer, invece, tentano di comprendere quali fattori storico-sociali del capitalismo conducono all’antisemitismo: «Il lavoro produttivo del capitalista, che egli giustificasse il suo profitto col rischio dell’imprenditore, come nell’epoca liberale, o con lo stipendio del direttore, come avviene oggi, era l’ideologia che copriva la sostanza del contratto di lavoro e la natura rapinatrice del sistema economico complessivo. Per ciò si grida: al ladro! e si indica l’ebreo».18 Sartre aveva collegato l’antisemitismo a determinati comportamenti e passioni di soggetti legati a determinati contesti sociali ed economici, Adorno e Horkheimer tentano invece di indagare l’antisemitismo in rapporto al modello di produzione capitalistico e alla sua impostazione ideologica generale.19

Riguardo alla dialettica ratio-natura e ai suoi legami di psicologia sociale, è interessante il discorso dell’aforisma VI del capitolo in questione, nel quale si afferma che: «l’antisemitismo si basa sulla falsa proiezione. Essa è l’opposto della vera mimesi, ma profondamente affine alla mimesi repressa e forse (anzi) il tratto morboso in cui in essa si cristallizza. Se la mimesi si assimila all’ambiente a sé. Se per quella l’esterno è il modello a cui l’interno aderisce e si adegua, e l’estraneo diventa familiare, questa traspone all’esterno l’interno pronto a scattare e configura anche ciò che è più familiare come nemico».20 Le riflessioni sulle percezioni, legate alla tradizione della Gestalt, mettono in luce il fatto che la coscienza soggettiva si percepisce in base alla mediazione delle percezioni che proietta sul mondo, eppure la ragione va oltre: «Non già nella certezza illesa del pensiero, nell’unità pre-logica di percezione e oggetto, ma nella loro antitesi riflessa si annuncia la possibilità della conciliazione. La distinzione ha luogo nel soggetto, che ha il mondo esterno nella propria coscienza e tuttavia lo riconosce come altro. Onde l’atto di riflettere che è la vita stessa della ragione si compie come proiezione consapevole. Ciò che è morboso nell’antisemitismo, non è il comportamento proiettivo come tale, ma la mancanza, in esso, della riflessione».21 Il soggetto proietta negli altri le sue stesse «paranoie» al punto tale da porre il suo ego assolutizzato al centro di tutto: «Nell’un caso come nell’altro il soggetto è al centro, i mondo è solo un’occasione per il suo delirio; diventa l’insieme — onnipotente e impotente — di tutto ciò che il soggetto proietta su di esso […] Poiché il paranoico percepisce il mondo esterno solo nella misura corrispondente ai suoi ciechi scopi, è capace solo e sempre di ripetere il suo sé alienato in mania astratta».22 Nelle pagine successive si mette in luce il fatto che il paranoico (come tutti i grandi dittatori) proietta ossessivamente false immagini al di fuori di sé e quindi non può che proiettare un meccanismo di coazione ideologica di terrore: «Il Sé che proietta ossessivamente non può proiettare altro che la propria sventura, dal cui motivo, annidato in lui, è tuttavia rescisso nella propria assenza di riflessione Onde i prodotti della falsa proiezione, gli stereotipi del pensiero e della realtà, sono schemi di sciagura. Agli occhi dell’Io che affonda nell’abisso senza senso di se stesso, gli oggetti diventano allegoria di perdizione, in cui è racchiuso il senso della propria rovina».23 Effettivamente tale era l’atteggiamento di Hitler quando attribuiva agli ebrei la colpa della guerra, quand’era stata la politica aggressiva del suo Reich contro la Polonia a scatenarla.

L’atteggiamento paranoico indicato come atteggiamento proprio dell’antisemita è simile al rifiuto dell’antisemita di scegliersi come uomo nel progetto esistenziale di Sartre; entrambi scelgono una falsa totalità ideologica perché sono impossibilitati a riflettere come soggetti consapevoli e responsabili del proprio per sé. I francofortesi, a differenza di Sartre, colgono l’antisemitismo nel contesto più generale del momento sociale e ideologico dell’epoca tardo-industriale: «Se, in una fase storica primitiva, giudicare consisteva in un atto di rapida distinzione, che metteva subito in moto la freccia avvelenata, lo scambio e la prassi giudiziaria non erano rimaste nel frattempo senza effetto. L’atto di giudicare era passato attraverso lo stadio della ponderazione, che offriva, al soggetto del giudizio, una certa garanzia di non essere identificato brutalmente col predicato. Nella tarda società industriale si regredisce all’esecuzione acritica del giudizio».24

Potremmo concludere notando che nelle due letture, pur emergendo notevoli analogie tematiche, si manifesta una differenza centrale sul rapporto tra individuo e totalità: per Sartre attraverso la scelta responsabile del per-sé è possibile evitare l’antisemitismo (in una prospettiva di società socialista ovviamente); per Adorno e Horkheimer è possibile solo in una società che oltre a mutare il modello produttivo del lavoro e della circolazioni delle merci, istituisca un pensiero intersoggettivo che non rifiuti l’altro, che si riconcili con la natura negata dalla logica della Herrschaft.


  1. M. Horkheimer — Th.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Torino 1997, p. XXXIX. ↩︎

  2. J.-P. Sartre, L’antisemitismo, Milano 1982, p. 9. ↩︎

  3. Ibid. p. 11. ↩︎

  4. Ibid. p. 17. ↩︎

  5. Ibid. p. 18. ↩︎

  6. Ibid. p. 21. ↩︎

  7. Ibid. p. 22. ↩︎

  8. Ibid. p. 26. ↩︎

  9. Sartre, successivamente, nota come «la chiesa del medioevo [abbia] tollerato gli ebrei, invece di assimilarli con la forza o farli massacrare, in quanto compivano una funzione economica di prima necessità (non potendo possedere terre né servire gli eserciti, praticavano il commercio del denaro, che un cristiano non poteva maneggiare senza contaminarsi)», ibid. p. 49. ↩︎

  10. Ibid. p. 32. ↩︎

  11. Ibid. cap. II. ↩︎

  12. Acutissime le riflessioni di Sartre sul rapporto tra l’antisemita e il democratico rispetto alla questione ebraica: «Mentre l’antisemita vorrebbe annientare l’ebreo come uomo, il democratico vorrebbe superare l’ebreo come ebreo e renderlo cittadino; si compie comunque violenza sull’ebreo stesso», ibid. p. 34. ↩︎

  13. M. Horkheimer — Th.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 182. ↩︎

  14. Ibid., p. 185. Sul rapporto tra dominio e soggettività nella genesi dell’antisemitismo cfr. ibid., p. 185: «Il comportamento antisemitico si scatena in situazioni in cui gli uomini accecati e privati della soggettività vengono liberati come soggetti». ↩︎

  15. Ibid. p. 186. ↩︎

  16. «Gli ebrei hanno superato e conservato l’adeguazione alla natura nei puri doveri del rito. Cosi le hanno serbato memoria conciliatrice, senza ricadere, con il simbolo, nella mitologia. Perciò figurano agli occhi della civiltà avanzata, come arretrati e troppo avanti insieme». Ibid., p. 201. ↩︎

  17. I. Poma, «Il sogno totalitario in Th.W. Adorno», in Il male politico, a cura di R. Gatti, Roma 2000, p. 126. ↩︎

  18. M. Horkheimer — Th.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 188. ↩︎

  19. Negli aforismi IV e V Adorno e Horkheimer esaminano criticamente il rapporto ideologico-sociale della sovrastruttura religiosa (in un’ottica chiaramente marxista); il cristianesimo è superamento dell’aspetto arcaico della religiosità che persiste nell’ebraismo (le categorie interpretative sono di chiara origine hegeliana), eppure tale superamento conduce ad una repressione dell’ebraismo sul piano storico sociale, poiché: «esso (il cristianesimo) spezzò l’autoconservazione — nell’ideologia — come ultimo sacrificio, quello dell’uomo-Dio; ma così facendo abbandonò alla profanità la realtà svalutata». Ibid., p. 192. Adorno e Horkheimer interpretano l’elemento ideologico del cristianesimo storico separandolo da quello spirituale di pensatori come Pascal o Kierkgaard. Anche nel discorso sartriano si trova un’affermazione polemica analoga: «non è esagerato sostenere che sono stati i cristiani a creare l’ebreo», J.-P. Sartre, L’antisemitismo, cit., p. 50. ↩︎

  20. M. Horkheimer — Th.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 202. ↩︎

  21. Ibid. p. 204. ↩︎

  22. Ibid. p. 205. ↩︎

  23. Ibid. p. 206. ↩︎

  24. Ibid. p. 216. ↩︎