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Sguardo cattolico e realtà sociale

di Raffaele Iannuzzi (1º settembre 2003)

Osservare la realtà è il gesto originario, destato dallo stupore; la realtà percuote lo spettro visivo dell'osservatore e lo scuote dal torpore, lo ricolloca nel cuore della vita: stupito dalla presenza insieme tangibile e misteriosa del reale, l'uomo ne scruta la forma penetrando fin dentro i suoi interstizi. È il movimento originario, la dinamica empatica necessaria alla conoscenza, l'immedesimazione nella realtà data. Non esistono, in questo contesto dilatato fin oltre la misura dell'immaginazione, dati puri da registrare e semplicemente catalogare, la realtà parla la lingua del possibile, sconfinando dal perimetro del mero fatto, per caricarsi di simboli ed aprire registri imprevisti, come la tonalità di una sinfonia di Mozart, costantemente tesa al trascendimento del dato registrabile, impareggiabile fusione di suoni e significati forse anche retorici, però sempre leggeri come la verità che consola.

Lo sguardo cattolico: un'ipotesi metodologica

La realtà, quando viene osservata, si espande e diventa luogo ineludibile di interrogazione, alveo quasi naturale del Mistero, sottofondo ad un tempo luminoso e chiaroscurale, certo da investigare ma con sguardo rispettoso, docile al messaggio di abbandono trasmesso dagli elementi costitutivi del reale. La realtà deve, essere in primo luogo amata e riconosciuta nella sua ferma positività e solo per un esito ulteriore, un vero dono, conosciuta. Ubi amor, ibi oculus. Lasciare che la realtà si manifesti per ciò che essa è, differendo l'azione violenta della manipolazione, è il primo passo dell'osservatore umile e sereno, un movimento che la tradizione cristiana ha sagacemente definito contemplazione, enfatizzando la profondità misteriosa dell'essere che si apre nella radura della luce, direbbe Heidegger, mimando un denso linguaggio cristiano. L'osservatore, così, si lascia umilmente abbracciare dalla realtà, lascia che essa si congedi da se stessa per attraversare lo spettro di visione ora appena emergente: soltanto a questa condizione, la realtà parlerà la lingua della verità. Lo sguardo dell'uomo che osserva la realtà non può che essere uno sguardo sacro, scaturente da un'apertura religiosa alla vita, da un senso religioso acutamente vivo. Uno sguardo promanante dal senso religioso, ben avvertito del senso ultimo della realtà, penetra la figura oggettiva delle cose facendo presentire un'altra cifra di significato alla ragione, spiazzando la ratio strumentale, già radicalmente decostruita da Horkheimer,1 e delineando un'altra forma di razionalità. Che tipo di razionalità?

Una forma di ragione che riesca a dare ragione della totalità dei fattori in gioco, una ragione come coscienza della realtà nella totalità dei suoi fattori. In questa dinamica di ragionevolezza, emergono in modo imponente due elementi, da un lato, la corrispondenza della realtà al cuore, dall'altro, l'evidenza dettata dal fatto che «la razionalità umana -- in qualsiasi modo si dispieghi -- è messa in moto dalla domanda religiosa e proprio commisurandosi al contenuto di questa domanda accerta la sua grandezza ed il suo limite invalicabile».2 Il senso religioso. quindi, è il vertice della razionalità, poiché riesce a fornire all'uomo la spinta essenziale per aprirsi alla categoria della possibilità, che rimanda la riflessione sempre oltre il perimetro del dato fattuale, allo scopo di attingere il Senso ultimo della realtà. Questa è la parabola della ragione dal pensiero presocratico fino alla forma più tradizionalmente levigata di razionalità cristiana, penso in primis a sant'Agostino ed a san Tommaso d'Aquino.

Certo, la ragione, pur compiendo il severo tragitto indicato dalla domanda religiosa è tuttavia sempre finita e ferita (le conseguenze anche epistemologiche ed intellettuali del peccato originale), è in un certo senso «debole», in quanto non capace di raggiungere totalmente la Realtà del Fondamento e soprattutto in quanto impossibilitata per sua intima costituzione strutturale a porre il Fondamento, cioè, in termini più netti a «porre» Dio.

Nonostante ciò, la ragione aperta costitutivamente alla categoria della possibilità, è in grado di stare di fronte al Mistero, consapevole ad un tempo della sua grandezza e della sua miseria, come lo è l'uomo pascaliano -- la ratio dell'uomo assurge all'acme dello splendore quando contempla Dio. A questo livello, sant'Agostino e san Tommaso si stringono vicendevolmente in perfetta unità.

La visione della realtà, allora, acquista uno spessore infinitamente più tangibile e cogente rispetto al solito distratto «guardare»; infatti, questo contemplare è definito dal riconoscimento della Presenza del Mistero nella carne di un uomo, Gesti di Nazareth, il Tu dal quale lasciarsi avvolgere e, insieme, da abbracciare. La fede è riconoscere una Presenza, dunque è il movimento dell'io verso il Tu Divino, ma è anche la condizione di possibilità di quella particolare forma di razionalità stabilita sulla fiducia, per la quale io, che non sono mai stato negli Stati Uniti, posso affermarne tranquillamente l'esistenza in forza di una sequela certa di testimonianze credibili. Osserva don Giussani: «Quello che A viene a sapere di C, in modo tanto sicuro che lo dice anche a D, lo viene a sapere attraverso B, attraverso un testimone; è una conoscenza indiretta, che si chiama conoscenza di fede: conoscenza di un oggetto, di una realtà attraverso la testimonianza, è un testimone che rende testimonianza».3 La fede, cosi, «non è soltanto applicabile a soggetti religiosi, ma è una forma naturale di conoscenza. una forma naturale di conoscenza indiretta».4 Si tratta allora di «una conoscenza [...] che avviene attraverso la mediazione di un testimone», una «conoscenza per testimonianza».5

La cultura stessa esiste grazie a questa forma di conoscenza, che mediatamente raggiunge il soggetto rendendolo edotto di una realtà altrimenti, cioè per conoscenza diretta, irraggiungibile. «La cultura, la storia e la convivenza umana, si fondano su questo tipo di conoscenza che si chiama fede, conoscenza per fede, conoscenza indiretta, conoscenza di una realtà attraverso la mediazione di un testimone».6 Ecco, la possibilità di uno sguardo cattolico si regge su questo complesso di elementi: il senso religioso come vertice della razionalità, la contemplazione, la fede sia come riconoscimento di una Presenza sia come conoscenza di una realtà attraverso la mediazione di un testimone (questo è l'accento specifico della ratio ecclesiale, che è definita da una logica sensibilmente comunionale).

Facciamo l'ultimo passo in direzione della possibile definizione dì uno sguardo cattolico. A questo punto dell'analisi, urge interrogare Guardini, il quale ha formulato una suggestiva e persuasiva ipotesi sullo sguardo cattolico. Ascoltiamolo ed interveniamo sulla categoria di Weltanschauung:

Alla Weltanschauung interessa l'intuizione, la contemplazione, non l'attività. [...] Weltanschauung è incontro fra il mondo e l'uomo, uno starsi di fronte sguardo nello sguardo, ma appunto sempre un affrontarsi nello sguardo. [...] L'ethos più proprio della Weltanschauung sta proprio nella limpidezza del suo sguardo. [...] La Weltanschauung non fa, ma vede.7

La Weltanschauung, cioè la visione del mondo, occupa la sfera della contemplazione, dilatando il campo visivo dello sguardo, che interviene sulla realtà standole di fronte, non manipolandola, come vorrebbe l'homo faber, ma custodendola e, insieme, arricchendola del suo starle di fronte, non mera passività, bensì un geschehen-lassen, per esprimersi con il linguaggio mistico di Adrienne von Speyr, un lasciar-accadere. Pur essendo uno stare di fronte al mondo, lo sguardo contemplativo della Weltanschauung prende le distanze dal mondo, si spinge oltre, lo supera per lasciare spazio all'accadere della Rivelazione, che riarticola complessivamente la conoscenza della realtà sulla base del Mistero di Dio rivelatosi in Gesù Cristo. Lo sguardo cattolico, in quanto Weltanschauung, abbraccio della totalità delle cose, è nutrito dalla forma dello «sguardo di Cristo», l'unico che riesca a contemplare la realtà nella sua interezza. «Lo sguardo della Weltanschauung è lo sguardo di Cristo».8 Ne consegue il credente possa realmente vedere il mondo soltanto con gli occhi di Cristo, immedesimandosi nella Sua visione, acquisendo i criteri ermeneutici propri dello sguardo contemplativo di Gesù.

Il credente sta, appunto con la sua fede e per mezzo di Lui, fuori del mondo, in quell'atteggiamento che è simultaneamente distante e penetrante, che lo nega e gli dà l'assenso, e che costituisce la tensione dello sguardo della Weltanschauung. Soltanto l'uomo che crede vede finalmente il mondo. Lo vede per quello che è».9

Dunque, concludendo questa prima parte della nostra riflessione, possiamo affermare che l'ipotesi di uno sguardo cattolico sulla realtà sociale sia fondata su una concentrazione cristologica della visione fino all'estremo e decisivo punto di immedesimarsi con lo sguardo di Cristo, sempre teso a cogliere la totalità dei fattori del reale.

Ora dobbiamo verificare la solidità di questa ipotesi metodologica applicando lo sguardo cattolico, latore di una definita Weltanschauung, alla realtà sociale, e faremo ciò concentrandoci innanzitutto sull'elemento antropologico e sulla dinamica essenziale della democrazia contemporanea, per così dire «postmoderna», carica di zone grigie e contraddizioni. Per quanto riguarda l'elemento antropologico, leggeremo alcuni passaggi cruciali della Redemptor hominis (1978: da ora in poi: RH); riguardo alla quaestio della democrazia postmoderna, saggeremo alcuni giudizi penetranti contenuti nella Centesimus annus (1991: da ora in poi: CA).

L'uomo redento da Cristo: un'antropologia cristologica

L'antropologia è fondamentale nell'ambito della dottrina sociale della Chiesa, anzi oggi è il centro delle problematiche poiché, per annunciare Cristo, e questo è l'intento principale della riflessione sociale della Chiesa, occorre avere chiaramente definito una visione di uomo e, inoltre, urge sapere a quale tipo di uomo sia comunicato l'annuncio. La nostra epoca è definita «postmoderna», non stiamo qui ad indagare le ragioni pro o contro questa etichetta, parziale e riduttiva come tutte le etichette;10 registriamo piuttosto un fatto: il crollo delle «grandi narrazioni», vale a dire dei discorsi fondativi assoluti ed ideologici.11 Si è creato, dunque, uno spazio di domanda di senso e, in senso lato, religiosa inedito per la Chiesa, poiché l'uomo attinge sempre al suo senso religioso, seppur latente, nei momenti di crisi: non può darsi nella natura umana il vuoto esistenziale permanente. Ebbene, la Chiesa oggi riprende ad evangelizzare le società occidentali (ma non solo) postmoderne con la consapevolezza che la questione antropologica, all'interno del dirompere dilagante della domanda di senso ultimamente religiosa, è decisiva per il destino dell'umanità. Dopo la tragica pretesa delle ideologie totalitarie del Novecento, veri e propri messianismi secolarizzati, di «fare l'uomo nuovo» (Gramsci) e la deriva nihilista attuale, ad essa conseguente, per quanto non meccanicamente né fatalisticamente, emerge la radicale «pretesa cristiana» (Giussani) di annunciare all'uomo l'unica Verità che possa renderlo autenticamente e definitivamente libero, Gesù Cristo. Non una formula ci salverà, ma una Persona, ha riaffermato recentemente Giovanni Paolo Il nella lettera apostolica Novo millennio ineunte. Questa straordinaria verità, l'unica totalmente adeguata al cuore dell'uomo, era già al centro dell'elaborazione della prima enciclica RH. In essa Giovanni Paolo Il tratteggia armoniosamente, come in filigrana, una completa antropologia cristiana che trova la sua radice profonda nell'equilibrato tomismo ricco di fenomenologia del filosofo Karol Wojtyla e nel fecondo deposito dottrinale del Concilio Vaticano II, in particolare la Gaudium et spes.

Chi è l'uomo in Cristo? Ecco la domanda sintetica imponentemente calibrata nelle pagine dell'enciclica. L'uomo in Cristo, perché l'uomo è tale solo in Cristo: «Cristo Redentore [...] rivela pienamente l'uomo all'uomo stesso» (n. 10). Qui viene riecheggiato il contenuto di GS 22: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il Mistero del Padre e del Suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione». L'uomo scopre il suo vero volto in Cristo, è questo il suo itinerario fondamentale, essere in Cristo. In un tragitto spesso così accidentato per l'uomo contemporaneo, la Chiesa accompagna i passi della ricerca di senso e di verità, manifestando in questa azione il suo autentico carisma missionario ed apostolico. Mandato missionario ed apostolico che può essere agevolmente leggibile nel corpus della dottrina sociale della Chiesa, forma critico-sistematica ed esito intellettualmente consapevole dell'impulso di evangelizzazione.12 Il livello peculiarmente antropologico della missione della Chiesa ha un riverbero intenso e significativo sulla società contemporanea e procura a quest'ultima come una ferita, ma salutare, una faglia all'interno della quale inserire il denso messaggio salvifico della Redenzione in Cristo. La libertà dei nostri contemporanei sta subendo uno scacco o, almeno, si sta cacciando in una tragica aporia: la «libertà» come funzione della produzione e del consumo a detrimento della reale libertà di ricercare la verità e di lasciarsi liberare, da essa, la libertà essendo sempre una libertà liberata.

Gesù Cristo va incontro all'uomo di ogni epoca, anche della nostra epoca, con le stesse parole: «Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi». Queste parole racchiudono una fondamentale esigenza ed insieme un ammonimento: l'esigenza di un rapporto onesto nei riguardi della verità, come condizione di un'autentica libertà; e l'ammonimento, altresì, perché sia evitata qualsiasi libertà apparente, ogni libertà superficiale e unilaterale, ogni libertà che non penetri tutta la verità sull'uomo e sul mondo. Anche oggi, dopo duemila anni, il Cristo appare a noi come Colui che porta all'uomo la libertà basata sulla verità, come Colui che libera l'uomo da ciò che limita, menoma e quasi spezza alle radici stesse, nell'anima dell'uomo, nel suo cuore, nella sua coscienza, questa libertà. Quale stupenda conferma di ciò hanno dato e non cessano di dare coloro che, grazie a Cristo e in Cristo, hanno raggiunto la vera libertà e l'hanno manifestata perfino in condizioni di costrizione esteriore! (RH 12).

Il grave e gravoso limite dell'etica così come si è venuta declinando nell'età contemporanea consiste nella tragica presunzione che l'uomo possa salvarsi da sé, l'autosoteria. Augusto Del Noce ha scritto pagine illuminanti su questa tragica utopia moderna e postmoderna.13 Una simile utopia non può corrispondere alla realtà umana realisticamente concepita, sempre bisognosa di redenzione in quanto sproporzionata rispetto alle sue attese; vi è nel cuore dell'uomo una domanda di Infinito che esorbita ampiamente la possibilità di compimento producibile dalle forze umane -- l'uomo vive costantemente in questa dinamica di attesa-sproporzione ed è proprio questa dinamica a costituire in lui il deflagrare della domanda di compimento, che solo Gesù può evadere completamente.14 È infatti solo l'incontro con Cristo che fa esplodere per così dire le domande fondamentali della vita, presente all'uomo l'Interlocutore adeguato alla forza dirompente del desiderio di compimento. La domanda di Gesù ai suoi: «E voi chi dite che io sia?» trapassa acutamente la vita dell'uomo di ogni tempo, anche del nostro, e diventa il vettore che indica la direzione del cammino; è la dinamica dell'incontro con un avvenimento che ti cambia la vita e le fa scoprire la sorgente inesauribile del compimento. «Sono in Te tutte le mie sorgenti», canta il Salmista. Dopo l'incontro, nasce l'esigenza inarrestabile di convivere con Lui, di «rimanere» nel Suo Amore, per esprimersi con Giovanni.

Allora la scoperta di Cristo come realtà decisiva, cui aderire con tutto il proprio universo, nasce come conseguenza di una convivenza. Allora -- ancora -- quanto più uno sente la propria umanità, prende sul serio le proprie esperienze, intensamente vive la sua esistenza, tanto più quella convivenza con la realtà storica di Cristo sarà rivelatrice del valore dell'incontro fatto. Cristo si propone con una domanda: ma la nostra risposta coincide col riconoscere Lui come unica possibile risposta al nostro umano cammino.15

È proprio all'interno di questa risposta che l'uomo può cominciare, seppur timidamente, a porsi la domanda più drammatica e decisiva: ed io chi sono? Questa domanda poi, nello svolgersi del cammino della vita, si converte significativamente in quella leopardiana: «Ed io che sono?».16 Detto in altri termini: qual è la realtà costitutiva del mio io? Quale la dimensione ontologica del mio essere? Come posso vivere l'esperienza della vita in maniera autentica, cioè connessa saldamente al Fondamento? Questa serie di interrogazioni costituisce la trama problematica della vexata quaestio intorno alla soggettività cristiana capace di espandere la sua libertà liberata nell'ambito sociale ed economico, producendo una reale novità di vita. È il cuore problematico e l'urgenza indifferibile di cui si fa carico la dottrina sociale della Chiesa. «Con l'incarnazione, afferma GS 22, il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo». Commenta Giovanni Paolo II:

La Chiesa ravvisa, dunque, il suo compito fondamentale nel far sì che una tale unione possa continuamente attuarsi e rinnovarsi. La Chiesa desidera servire quest'unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo, perché Cristo possa, con ciascuno, percorrere la strada della vita, con la potenza di quella verità sull'uomo e sul mondo, contenuta nel mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, con la potenza di quell'amore che da essa irradia (RH 13).

L'uomo di cui si parla non è l'uomo «astratto», ma reale, è l'uomo «concreto», «storico», perché solo di un uomo in carne ed ossa. con un destino che si manifesta e realizza nella storia si può ragionare, con buona pace delle filosofie illuministiche e neoilluministiche che prediligono l'astrazione «uomo» al volto concreto, presente qui e ora, dell'uomo storico. Queste ideologie hanno partorito i totalitarismi del Novecento, depotenziando gravemente la possibilità di rapportarsi al volto, al «tu» concreto dell'uomo che mi sta di fronte: è la tragica ed abissale storia della violenza totalitaria dilagante nel XX secolo, ancora in larga parte da scrivere.17 La Chiesa è quel soggetto comunionale che si incarica di aprire all'uomo storico la pista della salvezza della Redenzione in Cristo, in ogni ambito dell'esistenza, in ogni frangente della vita. La dottrina sociale, a questo livello, è un universo di discorso totalmente imbevuto di evangelizzazione, è la forma dell'evangelizzazione declinata nel contesto globale delle dinamiche interpersonali, sociali ed economiche. Sempre tenendo presente che, nell'esperienza cristiana, non esiste tanto l'astrazione «società» quanto la concretezza determinata della persona. Il mondo sociale descritto dall'intelligenza cristiana è popolato di persone che si muovono da protagoniste nella definizione del proprio destino, mai singolarmente concepito, ma sempre interrelato con la vicenda concreta dell'altro, del tu concreto che mi sta di fronte. In questo senso, la ratio della dottrina sociale della Chiesa non può che essere dispiegata come antropologia personalistica e criterio di intelligenza della realtà del nostro tempo. È così l'io della persona ad emergere, nella sua appassionata tensione all'edificazione di un progetto di convivenza adeguato ai bisogni ed al destino dell'uomo.18 Categorie fondamentali come la «sussidiarietà» (cfr. Pio XI, Quadragesimo anno, n. 80) ed il «bene comune» (di origine squisitamente tomista) sono assolutamente inconcepibili al di fuori di una filosofia sociale e di un'antropologia di impianto personalistico. Ecco perché ho scelto di prendere le mosse da una riflessione di carattere antropologico. L'antropologia è il campo che si sta dilatando nella riflessione del pensiero credente, e ciò per la ineludibile ragione che oggi non si sa più chi sia l'uomo, né quale sia il suo destino e, di conseguenza, i poteri dominanti, di natura reticolare ed espansiva, costruiscono un'immagine di «uomo» interamente dettata da una funzione, censurando totalmente il fine ultimo dell'esistenza umana, la Redenzione in Cristo. Naturalmente, censurato il fine ultimo, anche i fini penultimi vengono come svuotati di senso e ridotti a «progetti» gettati negli areopaghi postmoderni nei quali domina il gioco delle violenze incrociate delle opinioni. Assistiamo oggi ad un brutale processo di omologazione (Pasolini), capace di far impallidire la sottile violenza psicologica dei medici sovietici, vittime i dissidenti, e perfino il gulag. Il nihilismo contemporaneo ha una figlia ben nutrita e desiderosa di emergere: la violenza omologatrice. A questo livello, il giacobinismo ha assunto una veste postmoderna e mediatica, nihilistica e relativistica, ma non ha affatto perso l'antico mordente.

L'ultimo pensiero di Claudio Napoleoni leggeva in questi termini I'«alienazione» di origine marxiana e condivideva gran parte delle tesi considerate esageratamente «pessimiste» (invero, lucidamente realiste) dì Augusto Del Noce.19 Le società liberaldemocratiche del nostro tempo sono ad un bivio: o recuperano la pienezza della verità sull'uomo e sul suo destino oppure sono inevitabilmente votate ad una insignificanza antropologica e direi anche ontologica, che non potrà non causare lo svuotamento progressivo della democrazia.

Su questo punto capitale si è diffuso con grande acutezza e realismo Giovarmi Paolo II nella Centesimus annus.

La crisi antropologica della democrazia nella Centesimus annus

Lo sguardo cattolico, di cui ho cercato di delineare i contorni, è acutamente operante nella lettura in chiave antropologica della democrazia presente nella Centesimus annus. Qui la chiave ermeneutica è nettamente antropologica, tanto che viene osservato che «l'errore fondamentale del socialismo è di carattere antropologico» (n. 13). Ma anche l'errore fondamentale della democrazia è di carattere antropologico; le società occidentali sano pervase profondamente da una crisi di senso che non può lasciare tranquille le coscienze cristiane più avvertite. Osserva Giovanni Paolo II: «L'esperienza storica dell'Occidente, da parte sua, dimostra che, se l'analisi e la fondazione marxista dell'alienazione sono false, tuttavia l'alienazione con la perdita del senso autentico dell'esistenza è un fatto reale anche nelle società occidentali» (n. 41). Il concetto di alienazione qui considerato è ricondotto

alla visione cristiana, ravvisando in esso l'inversione tra i mezzi e i fini: quando non riconosce il valore e la grandezza della persona in se stesso e nell'altro, l'uomo di fatto si priva della possibilità di fruire della propria umanità e di entrare in quella relazione di solidarietà e di comunione con gli altri uomini per cui Dio lo ha creato. È, infatti, mediante il libero dono di sé che l'uomo diventa autenticamente se stesso, e questo dono è reso possibile dall'essenziale "capacità di trascendenza" della persona umana. [...] È alienato l'uomo che rifiuta di trascendere se stesso e di vivere l'esperienza del dono di sé e della formazione di un'autentica comunità umana, orientata al suo destino ultimo che è Dio (ibidem).

Dunque, la persona umana costituisce il fulcro ermeneutico della critica antropologica del modello occidentale. È proprietà enfaticamente esaltata di questo modello l'agnostícismo che reca con sé il relativismo scettico, due corni che imprigionano la realtà della persona in un simulacro simbolico dal quale far uscire uno straziante grido di dolore, ogni volta che l'offesa alla vita umana deborda dall'umanamente concepibile. Agnostico e scettico relativista, l'uomo contemporaneo è la maschera di vita che subisce più che produrre spontaneamente il nihilismo. L'uomo oggi è «soggetto», ma nel secondo senso di «soggetto a» -- una vittima del modello occidentale a cui la Chiesa guarda con trepidazione mista ad ansia pastorale. E l'uomo nella sua interezza ad interessare la Chiesa, non le strutture socioeconomiche, queste ultime sono ultimamente una concrezione oggettiva e storicamente determinata del lavoro umano, questo sì realmente da valorizzare, conoscere e difendere. «Non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica e riconosce che la vita dell'uomo si realizza nella storia in condizioni diverse e non perfette» (CA 41). Esiste il peccato originale (cfr. CA 25) e l'uomo, ferito e finito, non può pretendere di costruire un modello sociale perfetto, in cui il male sia reso impossibile: ciò vale tanto per i messianismi secolarizzati quanto per gli agnostici e relativisti «democratici». Entrambi, infatti, censurano il peccato originale, i primi per «eccesso» di ideologia e di strutturazione sociale, i secondi per «difetto» di progettazione e negazione di qualsiasi finalità trascendente l'uomo. Occorre dirlo con fermezza: neanche la democrazia per così dire «postmoderna» è il migliore dei mondi sociopolitici possibile; è certamente il meno peggio, ma su questa realtà è opportuno non versare troppa apologetica né diretta né «indiretta» (Lukács). La destrutturazione ontologica della persona e delle forme di vita personali nella postmodemità20 può condurre al tragico incunabolo di un totalitarismo «molle» (Del Noce), quasi liquefatto nei residui delle forme di convivenza, ma non per questo meno subdolo e pericoloso. Osserva Giovanni Paolo II:

Oggi si tende ad affermare che l'agnosticismo ed il relativismo scettico sono la filosofia e l'atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti son convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia (CA 46).

Una democrazia non fondata sulla verità, dunque «senza valori», rischia di trasformarsi in un «apparato ideologico di stato» (Althusser), in una tecnocrazia priva di referenti progettuali concreti, avulsa quindi dal nesso con i soggetti sociali attivi nella società. In questo caso, dunque, la democrazia finirebbe per azzerare la «soggettività della società» (CA 13) al pari del cosiddetto «socialismo reale». La disfatta di quest'ultimo non deve far cantare vittoria troppo sbrigativamente ai corifei della tecnocrazia «democratica», perché il vuoto ontologico di punti di riferimento oggettivi e permanenti declinabili sullo sfondo della verità dell'uomo è già di per sé uno scacco del modello occidentale e della liberaldemocrazia. Il pensiero occidentale liberaldemocratico, se non trova la forza di porre radicalmente la domanda «Chi è l'uomo?» non riuscirà ad uscire fuori dalle strettoie nihilistiche della tecnocrazia dominante. Come ha osservato Grygiel: «La democrazia che non affonda le radici nella dignità ontologica dell'uomo, una democrazia ridotta, allora, a fenomeno culturale e perfino etico, non sarà mai democrazia».21 Non è affatto scontata la relazione bilaterale cristianesimo-democrazia, come pensava Maritain; in realtà, l'avvenimento cristiano risulta sempre un detonatore esplosivo all'interno delle forme socio-politiche, perché la sua logica non risponde ai criteri tecnico-formali delle operazioni politiche e/o della maggioranza. Una corrispondenza interessante tra una certa idea di democrazia e l'avvenimento cristiano si potrebbe intuire solo se il senso religioso, culmine della razionalità, favorisse la crescita dinamica di uno stato veramente «laico», cioè al servizio del «bene comune» secondo la concezione tomistica.22 Questo è un terreno anche antropologico di intervento dell'intelligenza credente, che saggia le possibilità di una ragione spalancata di fronte al Mistero e dunque capace di valorizzare in primo luogo la dignità ontologica della persona ed ultimamente ogni dinamica positiva di edificazione del bene comune. Come si può a questo punto rilevare, il contenuto della critica antropologica della democrazia, espresso dal Magistero di Giovanni Paolo II, ha dislocato la quaestio della democrazia sul terreno della domanda circa l'identità ultima dell'uomo -- «Chi è l'uomo?» che ha sullo sfondo «Ed io che sono?» -- e proietta il compito dei pensiero contemporaneo nell'alveo della fondazione di una logica realistica capace di pensare simultaneamente l'uomo e le condizioni oggettive della stabile convivenza e del bene comune. Ma tutto questo non può realizzarsi al di fuori di un'idea di ragione che trovi nel Mistero il punto terminale di fuga e di sviluppo.

Concludo con una notazione riguardante l'itinerario di Claudio Napoleoni, economista di punta della sinistra, il quale tornò alla fede prima di morire e produsse simultaneamente una critica al marxismo ed al cattolicesimo ridotto a precetti morali (il ricorrente pelagianesimo). In un serrato dialogo con Raniero La Valle, arriva a parlare dell'Incarnazione e della Presenza reale di Cristo nell'ostia (Cristo, osserva Napoleoni, presente «in modo fisico»), e tutto questo argomentare non presenta alcunché di astrattamente teologico, ma è il riverbero drammaticamente affascinante dell'incontro di un uomo con Cristo, un incontro che gli ha spalancato il cuore e la vita al Mistero ed all'intera realtà dell'uomo. La conversazione avrebbe dovuto mantenere toni strettamente «politici», ma ad un certo punto è come slittata genialmente sul terreno del destino e della vita; Napoleoni prende il largo con questa affermazione: «Io credo che il punto centrale del cristianesimo sia l'incarnazione. Questo era il Figlio di Dio». Contro ogni riduzione spiritualistica dell'avvenimento cristiano. E poi, ancora: «la permanenza» del «corpo» di Cristo -- «corpo normale» osserva rettamente l'economista -- «tra noi è il fondamento della Chiesa e della comunità dei cristiani». La Valle non digerisce la ruvida risposta «cattolica» di Napoleoni e soggiunge: «E dell'umanità...» A questo punto, l'economista, come scosso da un sussulto frutto della gratuità di un dono, afferma perentorio: «Innanzitutto della comunità dei cristiani...».23 Ecco il punto: ci troviamo di fronte alla verifica quasi sperimentale dello sguardo cattolico sulla realtà. La soggettività in azione nella società è «innanzitutto la comunità dei cristiani», la Chiesa. La communio è il principio organico della materialità dell'esistenza, la cui «convenienza» è sperimentabile proprio in quanto essa si pone come «un nuovo modo di organizzare la materialità della vita».24 È dunque la Chiesa il soggetto che inaugura il novum del porsi dello sguardo cattolico sulla realtà. Contro ogni spiritualismo ed atteggiamento pietistico, la communio ecclesiale edifica una logica comunionale di intelligenza del reale. Ogni frammento di verità sull'uomo e sulla vita, ogni fattore vitalmente interconnesso al Mistero e perfino apertamente contrastante l'ipotesi cristiana di vita e di convivenza comune, entra in modo vibrante all'interno della sfera della communio. Un Dio che si è fatto un grumo di sangue nel ventre di una donna non poteva che generare una comunione viva, una vita in atto, e la Chiesa è innanzitutto una vita, la vita di Gesù Redentore nella storia. Ma non è questa la verità antica che genera la novità da sempre attesa dal cuore dell'uomo?

[Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in Ragione e realtà il 20 novembre 2002.]

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Per confrontare e approfondire

Note

  1. Eclisse della ragione. Critica della ragione strumentale, Einaudi, Torino, 1969. Testo

  2. Luigi Negri, Cristianesimo e senso religioso, Massimo, Milano, 2001, p. 21. Testo

  3. Si può vivere così? , Rizzoli, Milano, 1994, p. 22. Testo

  4. Si può vivere così? , cit., p. 23. Testo

  5. Si può vivere così? , cit., ibidem. Testo

  6. Si può vivere così? , cit., p. 24. Testo

  7. La visione cattolica dei mondo, Morcelliana, Brescia, 1994. p. 23. Testo

  8. La visione cattolica del mondo, cit., p. 32. Testo

  9. La visione cattolica dei mondo, cit., p. 33. Testo

  10. Sulla questione, sono a mio avviso importanti le riflessioni contenute nel volume di Giuseppe Lorizio, Rivelazione cristiana, modernità, postmodernità, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), 1999, passim. Testo

  11. È ormai classica la diagnosi di Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano, 1985. Testo

  12. Cfr. Rocco Buttiglione, Cinque tesi sulla dottrina sociale cristiana, in La società, 1/1994, pp. 21-30 e Luigi Negri, Il Magistero sociale della Chiesa, Jaca Book, Milano, 1994, pp. 11-30. Testo

  13. Cfr. Il problema dell'ateismo, Il Mulino, Bologna, 1970. Testo

  14. Cfr. Luigi Giussani, Alla ricerca del volto umano, Rizzoli, Mi1ano, 1996, passim. Testo

  15. Luigi Giussani, Il cammino al vero è un'esperienza, SEI, Torino, 1995, pp. 60-61. Testo

  16. Cfr. Angelo Scola, Ed io che sono?, Nuova Compagnia Editrice, Forlì, 1994. Testo

  17. Un abbozzo filosofico, in chiave di critica dell'ideologia, molto rilevante è costituito dal libro di Alain Finkielkraut, L'umanità perduta. Saggio sul XX secolo, Liberal libri, Roma, 1997. Testo

  18. È questa la prospettiva teorica emergente dall'importante lavoro di don Luigi Giussani, L'io, il potere, le opere, Marietti, Genova, 2000, passim. Testo

  19. Cfr. Claudio Napoleoni, Cercate ancora, Editori Riuniti, Roma, 1990. Testo

  20. Cfr. Pedro Morandé, Vita e persona nella postmodernità, in AA. VV. (a cura di Angelo Scola), Quale vita? La bioetica in questione, Leonardo Mondadori, Milano, 1998, pp. 117-141. Testo

  21. Per guardare il cielo. Vita, vita umana e persona, in AA. VV., Quale vita? , cit., p. 357 (si tratta della nota 7). Cfr. anche Joseph Ratzinger, Svolta per l'Europa? Chiesa e modernità nell'Europa dei rivolgimenti, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 1992 e Id., Il significato dei valori religiosi e morali nella società pluralistica, in Communio, numero 127, gennaio-febbraio 1993, pp. 72-89. Testo

  22. Cfr. Luigi Giussani, Assago 1987. Senso religioso, opere, politica, in L'io, il potere, le opere, cit., pp. 165-170. Testo

  23. Cercate ancora, cit., pp. 116-117. Testo

  24. Angelo Scola, Chiesa e politica. Criteri per l'impegno politico dei cattolici, in Avvenimento e Tradizione. Questioni di ecclesiologia, Jaca Book, Milano, 1987, p. 119. Testo