La «metafisica civile» di Augusto Del Noce: ontologismo e liberalismo

1. Introduzione

Uno dei tratti più originali della figura di Augusto Del Noce consiste nella sua non facile «collocazione», sia nel panorama generale della filosofia italiana, sia nell’ambito più ristretto della filosofia cattolica del Novecento. Il problema, ovviamente, «non è imputabile a manchevolezze storiografiche degli autori né ad un loro eventuale pregiudizio antidelnociano. In realtà siamo di fronte a qualcosa di più complesso: ad una difficoltà storiografica che ha radici ben più profonde».1 Insomma le difficoltà vanno colte in rapporto alla natura stessa del pensiero di Del Noce. Indubbiamente, il fatto che non esista «un paesaggio della filosofia italiana del Novecento», di modo che in qualsiasi manuale «e, più in generale, nella convenzione culturale, la partita viene aperta — e subito chiusa — con Croce e Gentile»,2 complica ulteriormente la situazione. E non va certo trascurata l’assenza di una ricostruzione ordinata e interpretativa della filosofia cattolica italiana del secolo scorso; assenza conseguente alla difficoltà di porre gli autori cattolici all’interno della cultura egemonizzata dal neoidealismo, da un lato, e alla tendenza a considerare «cattolica» quella filosofia che fosse, o meno, allineata con l’ortodossia neotomista sancita dall’Aeterni Patris di Leone XIII, prima, e dalla Pascendi dominici gregis di Pio X, poi.3 Entrambi questi fattori spiegano, in parte, la complessità della questione, ma resta vero che le ragioni ultime dell’isolamento’ di Del Noce devono essere rinvenute altrove e, più specificamente, nei risultati stessi della sua ricerca.

Quest’ultima considerazione consente di dare ragione del presente saggio. La prospettiva entro cui ci si muove concerne la definizione, pur con tutte le cautele del caso, del pensiero del filosofo torinese nei termini di un ontologismo cristiano moderno avente in sé un duplice momento esistenziale, e che complessivamente può essere inteso come una «metafisica civile».4 Nella storiografia filosofica delnociana il termine ontologismo indica quella corrente filosofica che accomuna Cartesio, Pascal, Malebranche, Vico e Rosmini. Ma in che senso si può parlare di ontologismo in rapporto alla proposta speculativa delnociana? E quale nesso intercorre, nella sua riflessione, tra ontologismo ed esistenzialismo religioso? Se quest’ultimo può essere considerato, nella più generica delle accezioni, come la linea di pensiero che maggiormente accentua l’aspetto di separazione (tra l’individuo e la comunità, tra Dio e l’uomo, ecc.), e se si tiene presente il carattere di partecipazione che, all’opposto, specifica l’ontologismo, ne viene che la distanza tra queste due tradizioni filosofiche sembra essere davvero incolmabile. Ma Del Noce non è, né può essere considerato, un esistenzialista nel senso suddetto del termine. E tuttavia, assumendo l’ontologismo come figura di un «cattolicesimo nella modernità», si può dare ragione del nesso intrinseco che intercorre, nel suo pensiero, tra l’affermazione della presenza di Dio nell’uomo e il carattere esistenziale che tale affermazione riveste.

Del Noce fu sicuramente un filosofo cattolico, ma alla ricerca di un cattolicesimo, per l’appunto, moderno. E modernità del cattolicesimo vuol dire, nella sua ottica, muoversi all’interno di un orizzonte culturale in cui la fede non può essere ridotta a «foro interno», ad un semplice atteggiamento fiduciale che non tocca la vita vissuta e concreta. Si può anzi sostenere che, per Del Noce, tutto quel complesso di verità e di valori che costituiscono il depositum fidei del cattolicesimo, ancorché richieda da parte del credente un’adesione intellettuale, deve tuttavia essere soggetto al vaglio della storia. Questo atteggiamento discende, a sua volta, dalla messa a fuoco di un dato di straordinaria importanza per il filosofo torinese: l’essenziale storicità della Rivelazione di Dio. Se questo è vero, se è vero, cioè, che Dio si è rivelato nella storia senza peraltro risolversi in essa, allora la questione della sua presenza nel corso degli eventi storici assume una rilevanza decisiva per il credente. Tutto ciò era ben presente nella riflessione delnociana; l’interpretazione della storia, e in particolare della storia moderna e contemporanea, diventa dunque il problema decisivo.

Ecco allora che la riscoperta dell’ontologismo, inteso come linea di pensiero alternativa a quella che vede la modernità come un processo di progressiva immanentizzazione di Dio, consente a Del Noce di indicare una prospettiva in cui quello stesso «deposito» di verità cristallizzato dalla metafisica tradizionale viene ritrovato a partire da un soggetto che anzitutto esiste prima di conoscerlo e che successivamente cercherà nell’esistenza e nella storia la «verifica» della fondatezza dei suoi contenuti. Questo è un primo e fondamentale aspetto della portata esistenziale del pensiero delnociano: la necessità di un pensiero che sappia rendere ragione della propria fede muovendo dall’«oggi» del soggetto esistente.

Giustamente Del Noce è stato definito un filosofo «politico» e non «monastico»;5 e in effetti, è proprio nella considerazione della «politicità» dell’ontologismo delnociano che si chiarisce ulteriormente la portata esistenziale e storica della sua riflessione. Si può dire, in estrema sintesi, che il significato primo della politicità del pensiero di Del Noce concerne la necessità di riunire etica e politica, interiorità ed esteriorità, vita spirituale e storia;6 di tradurre, cioè, la morale nella «polis» affinché questa divenga cultura. E nell’assunzione della storia quale luogo dell’azione umana e, insieme, della Provvidenza divina, si specifica il carattere prettamente moderno della sua riflessione.

2. Il carattere esistenziale della filosofia delnociana

Dalle origini filosofiche nella Torino degli anni ’30 all’incontro con Comunione e Liberazione,7 l’itinerario percorso da Del Noce può essere letto come il cammino di riscoperta del valore metastorico della tradizione cattolica, ove il termine riscoperta ha il significato di verifica su base storica, quindi esistenziale, del dato cristiano: un «riconquistare l’essere a partire dall’esistenza e dalla storia».8 Con ciò non si vuole affatto posizionare Del Noce nella galleria degli autori esistenzialisti; tuttavia nel tentativo blondeliano di fondare una filosofia «religieuse, non par accident, mais par nature»9 — istanza fatta propria da Del Noce — il ruolo dell’esistenza è di fondamentale importanza per il pensiero metafisico, stante l’essenziale storicità della Rivelazione cristiana. In che senso allora egli può essere considerato un filosofo dell’esistenza?

Un primo momento esistenziale si ha nell’assunzione del tema pascaliano della scommessa quale origine di ogni filosofia. Per intendere questo punto è necessario rifarsi, oltre a Šestov e Dostoevskij, al contributo che alla riflessione delnociana diede lo storico della filosofia medievale Gilson.10 Per Del Noce, lo studioso francese ebbe il grande merito di mostrare l’assoluta incompatibilità della filosofia dell’essere con la filosofia del divenire. L’inconciliabilità non riguardava la diversità di soluzioni date ai medesimi problemi filosofici, quanto piuttosto il punto di partenza primo, vale a dire il problema filosofico stesso.

Secondo Gilson ogni filosofia nasce in base alla scelta a favore o contro l’evidenza dell’essere; la metafisica classica si distingue pertanto dalla filosofia moderna proprio a motivo del rifiuto da parte della seconda della suddetta evidenza. Secondo la prima posizione, quella classica, «l’essere ci è dato nell’atto del pensiero come qualcosa di originario che non ha bisogno di ulteriore giustificazione»;11 vi è insomma un atto primo dell’intelletto che «è fondamentalmente un ricevere ed implica una fondamentale passività», e una successiva attività intellettuale che «libera la “species” che è nella cosa in modo che essa possa imprimersi nell’intelletto possibile umano».12 All’opposto si ha invece Cartesio; qui infatti «il dubbio metodico mette in discussione proprio ciò che dal punto di vista classico è il supremamente evidente, l’essere. Ciò che resiste al dubbio non è l’oggetto che cade nell’intelletto ma l’attività pura dell’intelletto, in cui ogni traccia dell’oggetto, ovvero dell’essere, è per quanto possibile sparita».13 Con Cartesio si ha insomma l’affermazione del principio d’immanenza per ciò che esso stabilisce il fondamento dell’essere nell’attività stessa del pensiero. Dall’aver colto questa fondamentale differenza Gilson è condotto a stabilire che non v’è alcuna possibilità di dialogo tra la filosofia dell’essere e la filosofia moderna; da qui la scelta a favore della prima corrente di pensiero, pur se riscoperta in termini decisamente nuovi e affatto lontani dall’impostazione della neoscolastica dei seminari.

Risulta chiaro a questo punto il carattere esistenziale dell’opzione; scegliere a favore dell’evidenza dell’essere significa accettare la realtà, oltreché di Dio, del mondo e dell’uomo; se si sposta il discorso sul piano puramente umano, l’opzione positiva conduce all’accoglienza della realtà umana in quanto tale, dell’uomo nella sua esistenza concreta. L’evidenza, sarebbe da dire quotidiana, mostra che «l’uomo non si è fatto da sé e tuttavia è un ente dotato di coscienza […] che afferma un originario desiderio di felicità e di bene […]. Il mondo così com’è, d’altro canto, contraddice questo desiderio in modo che il desiderio di felicità si trasforma necessariamente in domanda di salvezza».14 L’evidenza mostra insomma un conflitto all’apparenza insolubile tra il desiderio che l’uomo ha di realizzarsi e la sofferenza presente nel mondo che ostacola tale desiderio. Da qui la domanda sul problema del male nella storia e le due risposte che si oppongono a vicenda, il mito di Anassimandro e il mito della Genesi; nell’ottica delnociana il dogma del peccato originale fornisce una, anzi l’unica, spiegazione possibile della realtà esistenziale dell’uomo e del conseguente bisogno di salvezza.

L’opzione non si situa dunque su di un piano puramente gnoseologico; essa è esistenziale nella misura in cui accettare o meno l’evidenza dell’essere significa accettare o meno la realtà; e accettare la realtà vuol dire assumere la condizione umana per ciò che essa è; al contrario, il rifiuto della condizione umana porta necessariamente a considerare la finitezza stessa come male che deve pertanto essere combattuto.

Quest’ultimo rilievo sul carattere esistenziale dell’evidenza consente di cogliere anche il punto di contatto tra Del Noce e i filosofi italiani «dell’esistenza e della libertà» . Ci si riferisce in particolare a Mazzantini, Castelli e Capograssi.15 Il tratto che accomunava i suddetti autori, pur nell’autonomia del percorso di ciascuno di loro, era infatti la critica dell’idealismo moderno in nome del realismo. Ma cosa vuol dire realismo? Del Noce, commentando l’opera di Mazzantini dal titolo La lotta per l’evidenza, intense l’impresa del discepolo di Juvalta nel senso della dissociazione della realtà conosciuta dal fatto del conoscere; una cosa, sia essa sensibile o essenziale, esiste prima che il soggetto la conosca. Lottare per l’evidenza significa allora affermare la datità del reale, il fatto cioè che esistono dei dati che precedono qualsiasi argomentazione.16 E tuttavia, riprendendo la tesi cartesiana della libera creazione delle verità eterne, Mazzantini ne negava l’arbitrarietà, come se Dio avesse voluto imporsi alla libertà dell’uomo; l’evidenza dell’essere era piuttosto una sovrabbondanza, un eccesso amorevole dell’essere nei confronti dell’uomo. In termini simili si esprimevano Castelli e Capograssi, il primo declinando l’evidenza come «grazia persuasiva»,17 il secondo come «autorità» intesa nel senso della vichiana «vis veri», come nozione dell’essere rimasta nell’uomo pur dopo la caduta.18

Si può così dire che Del Noce è esistenzialista a motivo di una scelta a favore dell’evidenza metafisica per l’aspetto che essa implica la scelta ulteriore dell’esistenza umana globalmente considerata e l’affermazione della realtà dell’individuo.

Vi è inoltre un secondo momento esistenziale nella riflessione del filosofo cattolico, peraltro strettamente congiunto con il primo. Esso concerne quel carattere «autobiografico» che ogni filosofia deve possedere;19 un motivo, questo, che egli assunse dal dialogo con Šestov e che ritrovava, seppur con diverse sfumature, anche in Mazzantini e Gilson.

In che cosa consiste il carattere «autobiografico» della filosofia? Per Šestov vi è opposizione assoluta tra metafisica e fede; tuttavia non è lecito attestare il filosofo russo su una posizione di puro fideismo irrazionalistico, come se la filosofia non avesse più nulla da dire. È più corretto dire che nella sua prospettiva non esistono verità che non siano guadagnate dall’esistenza. Dal momento che l’uomo non è in grado di cogliere la verità oggettiva, essendo la sua natura decaduta, egli ha l’obbligo di rivolgere la sua ragione all’analisi del dato empirico della realtà, per cercare in essa la verifica di quell’ipotesi sul significato e sul senso del mondo da cui muove. Si ha come un circolo che parte dalla propria esperienza come luogo della formulazione di una visione del mondo e ritorna all’esperienza, all’esistenza concreta e storica, come luogo di verifica dell’ipotesi formulata. Torna così il tema juvaltiano del valore morale dell’atto di pensiero, come anche quello dell’opzione.20

La stessa questione ritorna in Mazzantini e Gilson. Quanto al primo, si consideri il seguente brano tratto da Il problema dell’ateismo, nel momento in cui Del Noce parlava della necessità, per la filosofia cattolica, di fare i conti con l’attualità storica:

il pensare in rapporto all’attualità storica non è negare l’eternità dei problemi metafisici, ma riconoscerla nel loro senso vero. Perché l’esclusione del tema del progresso […] è certamente ciò che caratterizza il pensiero metafisico […]: ma perché quest’esclusione sia valida […] occorre che anche per il pensiero metafisico sia valido un certo concetto di progresso non esprimibile altrimenti che come «esplicazione del virtuale» . L’esclusione del progresso e dello storicismo non può avere altro senso se non quello dell’asserzione che il «problema metafisico è quello che nessun altro può aver risolto per me» e che quindi mi si presenta in termini sempre nuovi […]. Non ho davanti a me una sorta di elenco di problemi già risolti […]: è al contrario nel processo personale di soluzione del problema metafisico, che riconosco nella mia tesi l’esplicazione di una «virtualità» di una affermazione già sostenuta in passato; ed è proprio in questa «esplicazione di una sua virtualità» che la tesi metafisica mi diventa «evidente», liberandosi dalla sempre contingente forma che aveva assunto nelle sue formulazioni storiche.21

Qui si vede chiaramente come Del Noce faccia riferimento al motivo mazzantiniano del progresso come «esplicazione del virtuale», e non sembra inopportuno attribuire ad esso lo stesso significato del tema relativo al carattere autobiografico della filosofia.

Quanto al secondo, è necessario porre attenzione sulla forma del tomismo che Del Noce riscoprì tramite Gilson; esso può essere riassunto nelle seguenti due tesi: unità di filosofia e teologia e metafisica della partecipazione.22 Ora, proprio a partire dalla seconda tesi si può comprendere il carattere «autobiografico», quindi storico-esistenziale, della metafisica. Cosa vuol dire, infatti, metafisica della partecipazione? Essa vuol dire che «La metastoricità e la sovraumanità del vero fanno sì che la sua fissità abbia aspetti di un’ulteriorità nei riguardi di ogni espressione, quindi di inesauribilità come capacità di esprimersi in indefiniti aspetti. Questa tesi deve però essere liberata da ogni aspetto soggettivistico; è la stessa identica verità che in ragione della sua trascendenza viene raggiunta attraverso un’ascesi che ha necessariamente un carattere storico».23 Nota giustamente Riconda: «Ora, in questa insistenza sull’itinerario storico-personale alla verità — vale a dire “autobiografico” […] è certo ravvisabile una nota di pensiero esistenziale».24

I due momenti esistenziali che sono stati evidenziati — l’opzione a favore dell’evidenza e il carattere autobiografico della filosofia — permettono, nella loro unione, di definire il significato e la portata dell’esistenzialismo religioso di Augusto Del Noce. Nella riflessione del filosofo cattolico non vi è soluzione di continuità tra la ricerca di un pensiero capace di vincere la sfida della modernità e la necessità di un’approccio storico-esistenziale alla filosofia; ma si può dire anche che tale filosofia, nel momento in cui egli pone la scelta a favore dell’evidenza, non può non essere la metafisica. Una metafisica che a sua volta ha bisogno di essere riguadagnata integrandola con un’approccio esistenziale che renda conto del problema del male nella storia. Esistenzialismo e metafisica sono dunque intrinsecamente congiunti nella riflessione delnociana, nel senso che il primo rimanda alla seconda e viceversa. Ma, poi, di quale metafisica si tratta? Di quella riscoperta con Gilson? Eppure lo stesso Del Noce ha indicato nell’ontologismo la sua prospettiva filosofica, e anzi la necessità che l’esistenzialismo venga oltrepassato nell’ontologismo. Per risolvere questo apparente «enigma» filosofico, non resta altro da fare che indagare più a fondo il senso ed il significato dell’ontologismo delnociano.

3. L’ontologismo cristiano in Augusto Del Noce: da Cartesio a Rosmini

Dalle pagine conclusive25 de Il problema dell’ateismo emergono alcuni spunti di notevole importanza per il discorso che qui si sta svolgendo. Del Noce pone all’attenzione un fatto: il tratto nuovo che specifica la posizione delle filosofie religiose del secondo dopoguerra nei confronti dell’ateismo. Se in passato si era imposta una visione sostanzialmente critica del fenomeno suddetto, che lo caratterizzava come «costruzione di idoli», ora, all’opposto, prevaleva l’idea dell’«ateismo purificatore» . In tal senso, «l’ateismo viene essenzialmente definito come “scoperta del male” e rivolta contro di esso in nome della “morale”; quindi come distruzione degli idoli filosofici, del Dio inteso come anima del mondo, come natura naturante, come soggetto trascendentale, come spirito della storia, come assioma eterno, come ragione costitutiva».26 L’ateismo veniva così rappresentato, proseguiva Del Noce, come il momento della «morte di Dio», preludio a quello della sua Risurrezione.

Secondo lui la causa che aveva prodotto questa nuova lettura dell’ateismo risiede in quella interpretazione della storia contemporanea che, sottovalutando la filosofia di Marx, ha opposto comunismo, da un lato, e fascismo e nazismo, dall’altro; opposizione tutta a favore del primo, di modo che il comunismo diventa, per esempio in Mounier, l’unico baluardo degli oppressi contro la barbarie del fascismo e del nazismo.27 Ora, è proprio il rifiuto di una siffatta prospettiva storiografica che definisce la posizione del filosofo torinese; nella sua ottica, fascismo e nazismo sono piuttosto «i contraccolpi, in mancanza di un oltrepassamento ideale, in nazioni minacciate, del fallimento del marxismo come rivoluzione mondiale».28

Inoltre Del Noce constata che storicamente il marxismo ha vinto; ma si tratta di una vittoria sui generis, poiché ha coinciso con la sua sconfitta. Realizzandosi a livello storico, il marxismo ha infatti dimostrato tutta la validità dell’analisi di Nietzsche, da un lato, e si è quindi decomposto in materialismo dialettico e socialismo, dall’altro.29 L’insieme di questi due fattori definisce quello che è stato lo scacco del marxismo; ma dal suo fallimento non deriva, ipso facto, la riaffermazione della trascendenza religiosa. E dal momento che entrambe le forme totalitarie, sia di destra che di sinistra, condividono la responsabilità di quel processo di disumanizzazione che connota la storia contemporanea, si pone il problema della forma che necessariamente dovrebbe assumere il tentativo di riaffermare la trascendenza religiosa. Risorgimento come restaurazione dell’umano: è questo il termine nuovo che, secondo Del Noce, dovrebbe essere usato; nella sua accezione, la suddetta categoria è anzitutto filosofica, e indica la riforma di una posizione di pensiero precedente il marxismo.30 Perché il punto è questo: il marxismo è oltrepassabile? Per Del Noce, la risposta a questa domanda è negativa e affermativa allo stesso tempo; da un lato, infatti, il marxismo, in quanto esito ultimo del razionalismo, non si può superare, ma poiché il razionalismo è condizionato da una scelta arbitraria di negazione del soprannaturale, ecco allora che «la ricerca del suo oltrepassamento […] deve partire proprio dall’insuperabilità della sua contraddizione, come disvelamento dell’erroneità di una linea di pensiero».31

Il marxismo non è dunque superabile all’interno del razionalismo, e tuttavia lo è nel momento in cui fosse svelata quella contraddizione di fondo che lo connota e il carattere della sua insuperabilità. Da ciò discende la necessità di riprendere un discorso filosofico pre-marxista che sappia però affermarsi dopo il marxismo, cioè una linea di pensiero anch’essa moderna, ma che non abbia nulla a che vedere con il razionalismo e il marxismo. E questo implica, a sua volta, la rottura di uno schema storiografico che interpretava la storia della filosofia moderna come un processo necessario di radicale immanentizzazione.

A conferma della correttezza della sua diagnosi, Del Noce prese in esame i tentativi di superamento del marxismo elaborati da Croce e Maritain. «Entrambi questi tentativi sono falliti — scrisse il Nostro —, ma l’analisi del loro fallimento merita la più grande attenzione».32

Le cause ultime del fallimento del tentativo crociano, proseguiva Del Noce, «non possiamo trovarle altrove che in un presupposto da Croce tacitamente accolto, quello della storia della filosofia come processo di laicizzazione».33

Quanto a Maritain, il filosofo torinese riconobbe e sottolineò l’aspetto riformistico del suo pensiero, il nesso, cioè, tra la riaffermazione della filosofia cristiana dopo il marxismo e la critica dello schema medievalistico-reazionario; tuttavia, «questa verità è stata da lui ripensata all’interno del commento neotomista di S.Tommaso, e della visione della storia della filosofia che necessariamente ne procede. È in conseguenza di ciò che Maritain è diventato colui che ha aperto la strada […] al neomodernismo inteso […] come alleanza tra il cattolicesimo e […] il marxismo?».34 Per Del Noce il fallimento della proposta maritainiana «riporta alla questione della storia della filosofia come problema, esattamente come per Croce».35

Dopo aver così evidenziato nell’accoglimento acritico di una ben precisa visione storiografica la causa ultima dello scacco di Croce e Maritain, il filosofo cattolico aveva ben chiara davanti a sé la strada da percorrere. Per oltrepassare efficacemente il marxismo è necessario porsi la domanda «se non ci sia una linea filosofica moderna che il marxismo ha totalmente ignorato e che è del tutto irriducibile a quelle che essa ha considerato. L’ha ignorata anzitutto perché era stata ignorata da Hegel, che di un solo ontologista si è occupato nella sua storia della filosofia, Malebranche, e praticamente lo ha escluso dalla storia del pensiero col giudicarne la filosofia come un processo verso lo spinozismo, troncato da esigenze extrafilosofiche».36 Per il filosofo torinese lo «scacco» del marxismo e l’impossibilità del suo superamento all’interno del razionalismo, da un lato, e l’ulteriore fallimento dei tentativi di Croce e Maritain, dall’altro, hanno così posto la necessità di riprendere una linea filosofica moderna che è opposta e alternativa a quella che storicamente si è affermata; e l’accenno all’ontologista Malebranche non può significare altro se non che proprio nell’ontologismo Del Noce abbia individuato quella tradizione filosofica capace di opporsi validamente agli esiti del marxismo.

Per il filosofo cattolico la corrente filosofica suddetta è la linea che da Cartesio giunge a Rosmini, e al suo interno trovano posto Pascal, Malebranche e Vico. Certo, l’accostamento di autori apparentemente così distanti — basti pensare a Pascal e Vico — potrebbe far sorgere più di un dubbio sul grado di plausibilità di una siffatta ricostruzione storiografica; ma secondo il Nostro si tratta di una distanza, per l’appunto, apparente. Pertanto, non sarà superfluo portare ora l’attenzione sulle ragioni che ultimamente giustificano, per Del Noce, questa tesi.

Tra gli scritti giovanili di Del Noce, centrati prevalentemente sulla filosofia francese del ’600, una buona parte di essi riguarda la figura di Malebranche. Questa semplice constatazione, se messa a confronto con il riferimento all’«ontologista Malebranche», poc’anzi evidenziato nell’analisi delle pagine conclusive de Il problema dell’ateismo, potrebbe fare nascere l’equivoco che la questione dell’ontologismo sia stata ben presente nella speculazione delnociana fin dagli esordi filosofici dell’Autore. In realtà, come ha giustamente sottolineato Massimo Borghesi, il punto di partenza «della riflessione di Del Noce non è dato, come si potrebbe pensare, dal tema dell’“ontologismo” e dalla ricerca di una linea ideale “Da Cartesio a Rosmini”, bensì dal problema […] della possibilità, significato e limiti di una “filosofia cristiana per essenza”».37

Questo è un punto che vale la pena evidenziare quando si voglia comprendere il ruolo che l’ontologismo ha avuto nel pensiero del filosofo torinese. In tal senso, è più corretto parlare di un «ontologismo attraverso la storia»38 come cifra del percorso, peraltro non breve, compiuto da Augusto Del Noce.

Il primo scritto in cui l’Autore accenna all’idea di un filone cristiano nel pensiero moderno è il saggio dal titolo Problemi del periodizzamento storico. L’inizio della filosofia moderna, del 1954; qui, infatti, egli afferma che tra «il periodo dei Santi e il periodo laico della storia della filosofia c’è il periodo dei grandi cristiani: Cartesio-Pascal-Malebranche-Leibniz-Vico».39 Ma questa sequenza, fa notare Borghesi, non deve trarre in inganno perché non si tratta «della prima enucleazione del filone ontologista della Riforma cattolica quale Del Noce presenterà successivamente. Impediscono questo riconoscimento la presenza del protestante Leibniz; il fatto che Del Noce non tratti affatto di “ontologismo”; l’assenza di ogni valutazione di Vico come punto di superamento dell’“anistoricità” cartesiana».40 Del Noce non è ancora giunto a quella che sarebbe stata la sua ricostruzione dell’ontologismo cristiano e, anzi, l’analisi della voce Ontologismo, da lui redatta per l’Enciclopedia Filosofica nel ’57, conferma piuttosto quanto fosse critico il giudizio sull’ontologismo, «considerato, neotomisticamente, come il contenuto metafisico dell’idealismo moderno».41

Il principale risultato degli studi che egli aveva condotto anni addietro sulla filosofia di Malebranche era stato quello di aver messo in chiaro «come la sua filosofia rappresenti entro l’intera tradizione del pensiero cristiano in senso trascendente, la massima rottura tra il Dio filosofico e il Dio religioso, mentre perseguiva lo scopo di realizzare la massima unità e ciò in relazione alla forma che deve assumere entro il pensiero cartesiano la teoria classica delle verità eterne».42 Ora, un primo dato certamente significativo che emerge dallo scritto summenzionato, è che Del Noce considera la filosofia di Malebranche l’atto di nascita, per così dire, dell’ontologismo. Secondo il filosofo cattolico «non si può […] parlare di un vero e proprio ontologismo nella filosofia medievale».43 L’ontologismo è dunque «moderno»; inoltre, e come conseguenza della sua genesi malebranchiana, esso ha un chiaro connotato idealistico.

Ma in che misura la filosofia di Malebranche, e quindi l’ontologismo, può essere interpretata in senso idealistico? Qui sono da tener presenti i due fattori che spiegano, per Del Noce, l’esito fallimentare del cartesianesimo, cioè di quell’atmosfera culturale al cui interno si muoveva lo stesso Malebranche: da un lato, un potenziale idealismo — perché gli atteggiamenti richiesti per la fede e la ragione sono resi come «assolutamente opposti»,44 e, dall’altro, l’errata teoria delle verità eterne, distante tanto dall’esemplarismo agostiniano quanto da quello tomista. Ora, il punto è questo: la suddetta teoria cartesiana implica la contraddizione tra l’idea di Dio, presente nella mente umana, e la sua realtà oggettiva. Malebranche tenta allora di superare questa contraddizione, e a tale scopo introduce la tesi secondo cui soltanto la visione in Dio può spiegare la conoscenza naturale; ma in tal modo, egli «porta alla sua conseguenza estrema il motivo critico-gnoseologico idealistico del cartesianesimo nell’affermare che il valore oggettivo dell’idea non deriva dal fatto che l’idea è la copia della cosa, ma al contrario dal fatto che la cosa è necessariamente copia dell’idea».45 In sintesi Malebranche, pur muovendo da un’istanza «realistica», giunge ad una posizione diametralmente opposta.

Secondo Del Noce un tale esito — raggiunto oltretutto inconsapevolmente — misura anche la distanza che intercorre tra Malebranche e Agostino. Apparentemente le loro posizioni sono affini; anzi, «è innegabile che molti passi agostiniani sembrano autorizzare la legittimità di uno sviluppo in senso ontologistico»; tuttavia, «si tratta di vedere se tale sviluppo ne metta in migliore luce il motivo essenziale o se invece non possa realizzarsi che infrangendone l’unità».46 «Quell’unità — commenta Borghesi — tra Dio come Saggezza e Dio come Persona, tra Ragione e Amore, che costituisce ciò che è proprio della tradizione e che si segmenta, nella modernità, nella contrapposizione tra il Dio “prigioniero” delle verità eterne (Malebranche) e il Deus absconditus come Dio della carità (Pascal)».47 All’interno dell’universo cartesiano veniva così operata la frattura dell’agostinismo: Pascal e l’esistenzialismo religioso, da un lato, Malebranche e l’ontologismo idealistico, dall’altro.

Nella voce Ontologismo vi sono altri due punti che meritano di essere sottolineati. Il primo di essi riguarda il parallelismo che Del Noce instaura tra Malebranche e Caraballese, a motivo del tratto idealistico che specifica l’ontologismo del secondo. Se il pensiero di Malebranche può esser considerato lo sviluppo del criticismo cartesiano, la posizione di Caraballese rappresenta invece la prosecuzione radicale «della seconda rivoluzione idealistica, il criticismo kantiano, tale da eliminare così l’idealismo classico tedesco e il suo finale rovesciamento antimetafisico come il positivismo. Il tratto comune delle due essenziali forme di ontologismo è dunque di essere una difesa della metafisica entro l’idealismo moderno».48 Un giudizio, questo del filosofo cattolico, che individuando il carattere proprio dell’ontologismo nella connessione di metafisica e idealismo, comporta, da parte sua, una posizione di implicito rifiuto.

Ciò nonostante, il capitolo sull’ontologismo «moderno» non era da considerarsi chiuso. Emerge, infatti, un terzo motivo di riflessione che è altamente significativo, ed è il giudizio di Del Noce sull’ontologismo di Gioberti, quale tentativo di separare Malebranche da Cartesio, ontologismo da idealismo. Tale dissociazione è compiuta da Gioberti «in raccordo con Vico. Gioberti riconosce Malebranche e Vico come suoi autori (cfr. Protologia, I, Torino, 1857, pp. 187, 489) e, in verità, egli mira a un mutuo compimento del loro pensiero. L’infusione del vichismo permette il passaggio dall’ontologismo statico dell’essenza a quello dinamico dell’atto creatore; la ricomprensione ontologistica, per converso, porta ad escludere dal vichismo tutto ciò che poteva sembrare prestarsi a sviluppi immanentistici».49 La connessione tra Malebranche e Vico sembra persuadere Del Noce, mantenendo però un aspetto problematico concernente la ricomprensione ontologistica di Vico operata da Gioberti. E d’altra parte, proseguiva l’Autore, proprio su questo motivo si appuntarono le critiche dei neotomisti e di Rosmini; in tal senso l’opera rosminiana è da considerarsi come «la più rigorosa critica dell’ontologismo che sia stata compiuta nella tradizione agostiniana».50

Giunti a questo punto, quale considerazione di carattere generale è possibile fare a proposito del rapporto tra Del Noce e l’ontologismo? Un dato risulta in modo piuttosto evidente: nella voce Ontologismo non vi è la benché minima traccia di quella linea Cartesio-Rosmini che per Del Noce rappresenta il filone del «cattolicesimo nella modernità» . Non solo egli prende implicitamente le distanze dall’ontologismo di Malebranche, ma, oltretutto, non emerge alcun accenno di continuità tra il filosofo francese, Vico e Rosmini; quanto a questi ultimi, poi, Del Noce sembra addirittura escluderli dal novero degli ontologisti.51

Eppure, a distanza di solo un anno dalla redazione della voce Ontologismo, egli scrisse un articolo che di fatto segna una «svolta» nel suo rapporto con l’ontologismo. Il testo in questione s’intitola Pensiero cristiano e comunismo: «inveramento» o «risposta a sfida»?, dedicato a Felice Balbo, uno dei più autorevoli esponenti della sinistra cristiana dell’epoca. In opposizione alla veduta del suddetto autore, che indicava nel realismo biblico antidealistico la via di una possibile alleanza tra cattolicesimo e comunismo, Del Noce osserva: «Nel richiamarsi al pensiero biblico contro il pensiero ellenico non ci si può non riferire all’unico precedente che questa posizione abbia nella storia della filosofia moderna: al pensiero di Pascal come rifiuto di quel che c’è di greco (di platonico, di ontologistico) nell’agostinismo».52 La prospettiva della sinistra cristiana rimandava dunque «al ’600 e ai suoi sviluppi cattolici del cartesianesimo, quello di Pascal e quello di Malebranche. Che in tutta la storia del pensiero cattolico francese abbia prevalso il primo è cosa di dominio comune. Che il secondo sia stato invece continuato nella linea classica del pensiero cattolico italiano moderno (Vico, Gioberti, Rosmini) è tesi, finora, di pochi; ma ci si può domandare se nel platonismo di questa linea, e nel suo possibile sviluppo, non si possano trovare degli elementi per una giusta impostazione del rapporto tra cattolicesimo e politica».53 Appare subito notevole la distanza che separa questo articolo del ’58 dalla voce Ontologismo dell’Enciclopedia Filosofica. L’ontologismo di Malebranche è ora suscettibile di essere continuato nella linea del pensiero cattolico italiano; questa corrente, inoltre, sembra essere in grado di risolvere la questione del rapporto tra cattolicesimo e politica in modo migliore di quanto non abbia fatto la filosofia francese.

Del carattere di novità di questa lettura delnociana se ne ha conferma indiretta ne Il problema dell’atesimo,54 allorquando Del Noce medesimo prende le distanze dalla sua interpretazione dell’ontologismo quale risulta dallo scritto del ’57. Il mancato approfondimento del pensiero di Vico, «in cui vedevo allora la continuazione del tema del verum factum già presente nell’occasionalismo ma non nell’ontologismo»,55 lo aveva indotto a sostenere la tesi che l’ontologismo fosse innanzitutto moderno, poi idealistico, e che non si potesse parlare, per esso, di uno sviluppo storico interno; era cioè impossibile intendere l’ontologismo alla stregua di una «essenza» filosofica moderna. «Penso ora invece — dice il Nostro — che l’ontologismo cristiano conosca nei secoli dell’età moderna un reale sviluppo e che solo dopo la sua definizione in rapporto a Rosmini si possa veramente trattare della tradizione dell’ontologismo in s. Agostino e nel pensiero medievale».56

Anche la voce Occasionalismo, essa pure dell’Enciclopedia Filosofica, testimonia degli sviluppi delnociani di quegli anni in merito alla questione dell’ontologismo. Qui, infatti, Del Noce tematizza esplicitamente il nesso tra l’occasionalismo di Malebranche e quello successivo di Vico. Restano però ancora non chiariti due punti: se e in che misura si possa parlare di Vico in chiave ontologista, e in che modo si potrebbe ricollegare l’ontologismo alla tradizione medievale tramite Rosmini. Verso la fine degli anni ’50, la ricostruzione di un quadro unitario della linea Cartesio-Rosmini era dunque ben lungi dall’essere completata. Oltretutto, vi era il «problema Pascal»; nell’articolo del ’58 sulla proposta di Balbo, dove Del Noce abbozza la linea Malebranche-Vico-Gioberti, la filosofia religiosa del pensatore francese appare antitetica alla corrente dell’ontologismo cristiano, a causa del suo carattere decisamente antiplatonico. «Certo non è un caso — commenta Borghesi — che la riflessione delnociana ruoti, tra il 1962 e il 1964, proprio attorno al problema Pascal».57 Nei saggi58 che Del Noce ha dedicato al teorico del pari, viene così a precisarsi una nuova lettura del rapporto Pascal-ontologismo. Essa si fonda sulla messa a fuoco del legame tra l’esistenzialismo religioso di Pascal e la teoria cartesiana della libertà divina. Per Del Noce, l’argomento ontologico e la teoria della libertà divina, che in Cartesio coesistevano, sono in realtà due motivi tra loro inconciliabili.59 Ecco allora che la filosofia religiosa di Pascal può esser letta come la radicalizzazione del secondo motivo a discapito del primo, mentre l’ontologismo di Malebranche è la diretta conseguenza dell’operazione inversa. In tal modo viene gettato un ponte tra Cartesio e Pascal e tra questi e Malebranche. La filosofia di Pascal rappresenta cioè il cartesianesimo liberato dall’argomento ontologico (e dal molinismo presupposto, essendo Pascal giansenista); l’ontologismo di Malebranche, a sua volta, è «la riconferma di Cartesio dopo Pascal: così quella certa riconferma malebranchiana dell’argomento ontologico […] avviene dopo che si è concesso che la tesi della libertà divina rende impossibile una conoscenza razionale così della natura come dell’essenza di Dio».60

Ma per Del Noce, il passaggio da Pascal a Malebranche, cioè dall’esistenzialismo religioso all’ontologismo, «non è però a senso unico. Anche quest’ultimo, nella sua formulazione malebranchiana che richiede la subordinazione del Dio religioso al Dio filosofico, deve essere corretto alla luce del criticismo pascaliano. L’esistenzialismo teologico impedisce cioè all’ontologismo di risolversi in razionalismo».61 Giustamente Borghesi ha sottolineato quest’ultimo punto della riflessione delnociana; perché secondo il filosofo torinese occorre distinguere, in Pascal, la critica dell’argomento ontologico come «deterrente» antirazionalista, dalla possibile accettazione dell’ontologismo in chiave agostiniana. E dell’esistenza di una tale linea di pensiero Del Noce si dimostra affatto persuaso: «C’è pure nella tradizione — scrive il Nostro — e si riaffermerà dopo Pascal, da Malebranche fino a Rosmini, una corrente religiosa che procede da s. Agostino e che, con termine approssimativo per gli equivoci che può generare, si suol chiamare ontologismo […]. Non si può dire che la critica di Pascal si applichi anche ad essa, né d’altra parte che il suo pensiero le si approssimi».62 In tal modo la filosofia di Pascal diveniva suscettibile di conciliazione con l’ontologismo rosminiano quale ricomprensione non razionalistica di Malebranche.

L’analisi condotta sulla filosofia di Pascal e la messa in luce del rapporto che intercorre tra questi e Malebranche consentirono dunque a Del Noce di giungere ad una nuova e significativa tappa della sua riflessione sull’ontologismo.

Ma è soprattutto con l’approfondimento di Vico, e successivamente di Rosmini, che il filosofo torinese, dopo il ’58, fu in grado di prospettare un possibile sviluppo della suddetta corrente di pensiero.

L’approfondimento di Vico comportò la chiarificazione del nesso che legava la sua filosofia a quella di Malebranche. Secondo Del Noce il pensiero di Vico rappresenta «l’estensione alla storia della filosofia di Malebranche, contro avversari che questa non aveva affrontato, Machiavelli, Hobbes, Bayle».63 E, ancora: «il pensiero di Vico rappresenta un momento ulteriore nello sviluppo della ripresa malebranchiana dell’ontologismo; questa ulteriorità esprimendosi nella critica della struttura significativa del cartesianismo, entro cui Malebranche aveva contenuto la riaffermazione dell’ontologismo».64 Queste affermazioni, tratte da Il problema dell’ateismo, testimoniano dell’effettivo processo di maturazione della riflessione delnociana a proposito di Vico, soprattutto se confrontate con le acquisizioni che Del Noce aveva esposto nei due scritti del ’58 sopra ricordati.

In sintesi, la tesi principale del discorso delnociano quale risulta da Il problema dell’ateismo, è questa: Vico è colui che deve essere considerato «l’unico continuatore rigoroso di Malebranche» in rapporto a due temi principali della filosofia malebranchiana, l’occasionalismo e l’ontologismo.65 Ciò che in fondo consente a Del Noce di sostenere una simile tesi è la sua interpretazione dell’occasionalismo secentesco. Secondo lui vi è un aspetto di questa corrente di pensiero che la rende «totalmente irreducibile alle forme precedenti che l’associano invece all’arbitrarismo teologico»;66 esso consiste nella presenza, al suo interno, del tema del verum factum, così che è possibile «tracciare una linea di sviluppo Geulincx-Malebranche-Vico».67 E in tal senso, la sua storia può essere intesa come «lo sforzo di espungere dal cartesianesimo tutti i motivi suscettibili di avere uno sviluppo illuministico o empiristico (o al limite materialistico) o spinoziano».68 È così che «In Geulincx si deve forse vedere l’estremizzazione dell’antigassendismo cartesiano; in Malebranche, certamente, insieme l’anti-Locke e l’anti-Spinoza. In Vico, del pari certamente, soprattutto l’anti-Bayle».69 Il rapporto di continuità che in tal modo si instaura tra Vico e Malebranche, Del Noce lo riassume in questi termini: «è lo stesso principio del verum factum, liberato attraverso la connessione con l’ontologismo dalla possibilità di un rovesciamento scettico, che porta Malebranche all’affermazione dell’insuperabilità razionale del dubbio sulla realtà del mondo esterno, e invece Vico a quella della “teologia civile”».70

Precisato in tal modo il rapporto tra Vico e Malebranche, Del Noce fu in grado di proporre, verso la metà degli anni ’60, una storia dell’ontologismo cristiano moderno come ripresa e sviluppo di una corrente di pensiero che affondava le sue radici in S. Agostino e nella tradizione medievale. Storia che si delineava nell’ambito del «cartesianesimo religioso», e che vedeva in Pascal «la critica rigorosa del momento preilluminista di Cartesio, coincidente […] con un radicale antiumanesimo; […] nell’affermazione malebranchiana dell’ontologismo, […] un oltrepassamento dell’antiumanesimo pascaliano, ma che si accompagna con l’inizio dell’idealismo moderno e con un’inflessione nel senso del futuro razionalismo teologico; nella critica vichiana […] la piena riaffermazione dell’umanesimo cristiano separato dall’eresia rinascimentale, e insieme la separazione dell’ontologismo dall’idealismo e dal razionalismo teologico»,71 per poi culminare nella filosofia italiana del Risorgimento.

Veniva così a prospettarsi una linea di pensiero religioso all’interno della modernità che Del Noce ha definito, complessivamente, come la «riaffermazione dell’umanesimo dopo la critica pascaliana»,72 cioè come «la possibilità speculativa di liberare insieme l’umanesimo dal naturalismo pelagiano e il pensiero religioso da un ascetismo astorico».73 In tal modo, la storia dell’ontologismo cristiano moderno assume l’aspetto di una «progressiva ricucitura di quella ferita che si apre, nel corso del ’600, tra razionalismo teologico (ontologista) e esistenzialismo religioso, frattura tra due aspetti compresenti in Agostino che trovano, entro il modello cartesiano, la loro incompatibile opposizione».74

Per Del Noce, la ricomposizione di esistenzialismo religioso e ontologismo, cioè la ripresa dell’autentico agostinismo, si deve essenzialmente all’opera di Vico e Rosmini, poiché le loro filosofie hanno avuto la funzione di liberare la prospettiva agostiniana dal contesto razionalistico in cui era inserita. Significativo, in tal senso, è lo scritto del ’67 dal titolo A proposito di una nuova edizione della «Teosofia» di Rosmini; qui Del Noce indica nella filosofia dell’abate roveretano «la più rigorosa forma di ontologismo, separato da razionalismo» e, allo stesso tempo, «la più rigorosa critica dell’ontologismo, nel senso di posizione esposta al rovesciamento in razionalismo e in immanentismo».75

Ciò non toglie, tuttavia, che il discorso sull’ontologismo non fosse suscettibile di ulteriori sviluppi. Se la riproposizione della linea Cartesio-Rosmini era condizione necessaria per impostare correttamente la questione dell’oltrepassamento del marxismo, essa non era però sufficiente «a mostrare la possibilità e la forma dell’attuale riaffermazione di questa filosofia».76 A tale scopo era necessario affrontare un altro «problema»: Giovanni Gentile.

4. L’ontologismo oltre l’attualismo: la proposta speculativa di Augusto Del Noce

Nel 1964, parallelamente alla pubblicazione de Il problema dell’ateismo, Del Noce diede alle stampe il saggio dal titolo Appunti sul primo Gentile e la genesi dell’attualismo, poi riutilizzato senza sostanziali modifiche nell’opera postuma che il filosofo torinese dedicò al massimo esponente del neoidealismo italiano.77 L’importanza di questo saggio risiede nel fatto che in esso Del Noce formula un’interpretazione dell’attualismo visto come «la forma necessaria, l’unica veramente coerente, che l’hegelismo deve assumere, per potersi riaffermare come filosofia dell’immanenza del divino, così dopo il marxismo come dopo l’ontologismo […], realizzando la coincidenza singolarissima del marxismo dissociato dal materialismo e della filosofia cristiana, o anzi della filosofia cattolica […] dissociata da platonismo e da filosofia antica in genere».78 Sulla base di questa affermazione si comprende appieno il motivo per cui il filosofo torinese considerasse imprescindibile, in rapporto alla questione della riaffermazione dell’ontologismo nell’attualità, il confronto tra la posizione di Vico e Rosmini e il pensiero del filosofo di Castelvetrano.

Secondo lui è necessario portare la massima attenzione sui primi scritti di Gentile, La filosofia di Marx, del 1898, e Rosmini e Gioberti, del 1899, poiché in essi è contenuto, anche se in fase embrionale, tutto l’attualismo. Le due opere sono l’una complementare all’altra, come due facce di un’unica medaglia, unite insieme da quella che Del Noce considera la chiave di volta dell’intero impianto gentiliano: la critica della dottrina dell’intuito.79 Il nesso che le unisce è talmente stretto che si potrebbe congiungerle in un solo libro, intitolato La critica della religione nella filosofia tedesca e la sua riaffermazione nella filosofia italiana; in tal senso egli fa notare la vicinanza delle date, come a dire che Gentile le ha pensate insieme; inoltre sottolinea che mentre la prima parte de La filosofia di Marx risale al 1877, ed è perciò di poco anteriore al Rosmini e Gioberti, la seconda parte — che è il primo commento al mondo delle Glosse a Feuerbach — fu scritta, invece, dopo il Rosmini e Gioberti, a motivo del fatto che «attraverso lo studio della filosofia apparentemente più opposta alla marxiana, Gentile aveva ricevuto gli stimoli ultimi per chiarificare il suo pensiero rispetto allo “scheletro di sistema” che ravvisava nelle Tesi».80 Significativa è l’affermazione che subito segue: «Attraverso la considerazione di questa complementarietà si può arrivare alla definizione del posto di Gentile nella storia del pensiero […]: per un verso la sua opera può essere presentata come “inveramento” del marxismo […], in realtà come momento della sua necessaria decomposizione; e come immanentizzazione del rosminianismo, continuazione, in questo, dell’opera giobertiana».81

L’analisi delnociana dell’attualismo come critica della teoria dell’intuito è di notevole importanza, soprattutto perché a partire da essa si potrà intravvedere in che cosa si caratterizza, a livello teoretico, l’ontologismo per Augusto Del Noce.

Da questo punto di vista il filosofo torinese porta l’attenzione sulla parentela intellettuale che intercorre, secondo lui, tra Gentile e Jaia. Una parentela che va ben oltre il fatto, da tutti risaputo, che Gentile sia stato allievo di Jaia, e attraverso lui, di Spaventa; per Del Noce il rapporto tra i due filosofi è insomma molto più stretto, al punto che Jaia è da considerarsi «il Socrate di Gentile».82 A questa tesi egli giunge in seguito alla lettura, nel 1964, di uno scritto dello Jaia intitolato L’intuito nella conoscenza, del 1894. In esso l’autore spingeva all’estremo la critica kantiana dell’intuizione intellettuale, cioè la critica di quella dottrina gnoseologica che intendeva la conoscenza come intuito, e questo come il rispecchiamento di una realtà preesistente all’atto conoscitivo. In sintesi si trattava di abbandonare l’idea che assimilava il conoscere al vedere, posto che per lo Jaia i termini di intuito e visione erano equivalenti.83 Ma ciò significava criticare anche la posizione di coloro — positivisti e neokantiani di allora — che pur rifiutando la metafisica, in realtà erano tornati al di qua del criticismo kantiano, poiché in essi permaneva quella dicotomia di fondo tra soggetto e oggetto, tra pensiero e natura o tra pensiero e storia, che era tipica della vecchia metafisica. Ora, la tesi di Del Noce è che dove terminò Jaia iniziò Gentile. «Lo spirito della filosofia moderna- scrisse il Nostro — era già per lo Jaia l’eliminazione assoluta del misticismo, connesso alla teoria dell’intuito. Il tratto originale del suo pensiero era che la critica dell’intuito non colpiva soltanto i platonici ma gli stessi positivisti; fedelissimo a questo punto, Gentile sussume sotto la categoria generale del naturalismo così le filosofie di ispirazione platonica come le empiristiche e le positivistiche. La critica radicale della teoria dell’intuizione intellettuale […] doveva portare non già al positivismo, ma all’idealismo assoluto».84

Qual’era il nocciolo della questione? Nella prospettiva gentiliana ogni concessione al realismo escluderebbe la realtà del pensiero, quindi del soggetto; secondo il filosofo torinese, egli è così condotto all’affermazione che la realtà è pensiero, altrimenti il pensiero non è. In tal senso, l’attualismo di Gentile si configura come l’estensione radicale della critica della teoria dell’intuito. Ed è proprio sulla base di tale motivo che per Del Noce si capisce appieno il significato delle opere giovanili di Gentile. Secondo il filosofo cattolico, Gentile vede nel pensiero di Marx la miglior critica della dottrina dell’intuito, inficiata però di quel materialismo che lo «costrinse» a ridurre la prassi ad attività sensitiva. A loro volta, Rosmini e Gioberti erano stati i più radicali critici del sensismo, mossi tuttavia dalla volontà di riaffermare l’intuizione intellettuale come base del conoscere. Nell’interpretazione delnociana, ciò spinge il filosofo di Castelvetrano al tentativo di conciliare Marx e Gioberti, dissociando il primo dal materialismo e il secondo dall’ontologismo: nasce così una filosofia nuova rispetto all’hegelismo, al marxismo e al pensiero cattolico.85 Funzionale all’affermazione del neoidealismo è la riforma della dialettica hegeliana; per Del Noce, Gentile attua tale progetto «inverando» e sintetizzando sia il marxismo sia l’ontologismo. Ciò che andava eliminato era il residuo oggettivistico comune ad entrambe le correnti di pensiero.

Il punto d’arrivo delle due opere suddette è pertanto «l’immanentizzazione della filosofia cattolica del Risorgimento».86 Un termine, quest’ultimo, che in Gentile «acquista il significato di una vera e propria categoria filosofica, nell’opposizione così a rivoluzione come a reazione, o come senso adeguato che la parola riforma può assumere».87 Quella di Gentile è una filosofia religiosa che partendo dal rifiuto della trascendenza giunge alla più rigorosa forma di teologia dell’immanenza. La critica della dottrina dell’intuito comporta, come conseguenza prima, la scomparsa di ogni datità. Cosa resta dunque? «Eliminata ogni realtà presupposta — scrive Del Noce — resta l’Io, unico, assoluto, infinito, universale. […] In ragione della liberazione da ogni sostanzialità è Atto puro, nel senso di divenire puro […]. È pura creatività senza essere che crei, libertà assoluta».88 L’Io gentiliano è Io assoluto, dunque Dio. In tal modo Del Noce vede nell’attualismo una filosofia che solo apparentemente si occupa di problemi logico-gnoseologici, ma che in realtà sfocia nella teologia; Gentile è il «teologo di una “teologia moderna” che segue alla metafisica della mente anziché alla metafisica dell’essere».89 Ma il carattere teologico dell’attualismo segna anche la distanza che intercorre tra Gentile e il pensiero di Jaia e Spaventa. Egli ha certamente sviluppato i germi già presenti nei due filosofi suddetti, «ma, rispetto ai temi filosofici dell’hegelismo italiano, la sua è una trasfigurazione religiosa. Il che vuol dire: non si può separare in lui il filosofo dal riformatore religioso e politico».90

Quest’ultimo giudizio di Del Noce è estremamente significativo. Il tratto che accomuna Gentile e la scuola spaventiana era la lotta contro il realismo; tuttavia, mentre per gli hegeliani di Napoli ciò significa combattere contro la trascendenza, per Gentile, all’opposto, dire realismo (fosse esso di matrice platonica, aristotelica, neoplatonica, scolastica, ecc.) vuol dire ateismo. Il suo pensiero rappresenta «la lotta più radicale entro l’immanentismo contro l’ateismo […]. Lotta, a mio giudizio, destinata a dar prova di un’impossibilità e tuttavia esperienza di pensiero che resta […] esemplare e definitiva».91 Nell’ottica delnociana il problema centrale di Gentile, il perno attorno al quale ruota tutta la sua riflessione, è la necessità di promuovere un vero e proprio programma di restaurazione religiosa. In tal senso, il filosofo torinese considera di estrema importanza il significato che la categoria di Risorgimento assume nell’impianto filosofico gentiliano. Il Risorgimento pensato e voluto dal filosofo di Castelvetrano non è sinonimo di rivoluzione, come invece lo intende Spaventa, ma, per l’appunto, di restaurazione religiosa. Lungi dall’essere una categoria politica di tipo reazionario, il termine Risorgimento ha un’accezione precipuamente filosofica, e indica la riaffermazione di quella tradizione religiosa, il cattolicesimo, che l’illuminismo ha corroso e destabilizzato. Da un lato, Gentile si pone in continuità con il filone del risorgimentalismo cattolico; dall’altro, per la posizione di assoluto idealismo a cui perviene, ne rappresenta la più compiuta immanentizzazione. Il «suo» cattolicesimo è infatti religione dello Spirito, come spiritualismo epurato, allo stesso tempo, dal naturalismo e dal soprannaturalismo.

Di una siffatta posizione di pensiero Del Noce parla in termini di assoluta unicità nella storia della filosofia, perché mai è stata affermata la tesi secondo cui «portando l’immanentismo alle conseguenze ultime si giunge ad affermare la posizione religiosa autentica, sottraendola alle obiezioni così degli atei come dei panteisti».92 Una posizione, quella di Gentile, che in quanto afferma l’immanentismo, in tanto vuole opporsi a quella forma di teismo che parla di Dio come oggetto, e che perciò, naturalizzandolo, lo espone alle critiche dell’ateismo e del panteismo. Insomma la sua filosofia vuole essere «la critica più radicale del materialismo e del sostanzialismo in nome di un’interiorizzazione del divino. Da questo punto di vista l’attualismo può essere definito come l’agostinismo dell’in te ipsum redi radicalmente separato dal platonismo, un agostinismo in cui vengono escluse le idee divine».93

Secondo Del Noce, la singolarità di Gentile consiste nel fatto che questi pensa l’attualismo come l’unica via affinché il cristianesimo possa riaffermarsi. Il suo scopo è la restaurazione religiosa; l’idealismo assoluto, lo strumento per compierla; l’immanentismo come laicismo è il risultato, ove per laicismo è da intendersi non il superamento della religione, bensì la sua purificazione.94 Elemento decisivo di questo programma filosofico-religioso è la riforma della dialettica hegeliana e, funzionale ad essa, lo sviluppo della critica della dottrina dell’intuito; critica che consente a Gentile di fondere insieme il marxismo dissociato dal materialismo e il risorgimentalismo cattolico dissociato da ontologismo e platonismo. L’attualismo, sintesi di filosofia della prassi e filosofia della creazione, è pertanto caratterizzato, secondo Del Noce, dalla sostituzione del primato della contemplazione con il primato dell’azione: «come Marx passò dalla filosofia speculativa di Hegel al primato dell’azione, attraverso la mediazione della sinistra hegeliana e di Feuerbach, così Gentile passò, attraverso la mediazione di Gioberti, dal primato della contemplazione affermato dalla filosofia rosminiana al primato dell’azione. In questo passaggio Marx dovette sostituire alla filosofia cristiana di Hegel l’ateismo assoluto […]. Gentile, sostituisce alla teologia cristiana di Rosmini una filosofia religiosa dell’azione come interiorizzazione del divino, benché questa interiorizzazione abbia dovuto essere per lui sinonimo di immanentizzazione».95

5. Il cardine dell’ontologismo delnociano: la questione del realismo

Da quanto fin qui esposto si evince con chiarezza il motivo di tanto interesse da parte di Del Noce nei confronti della filosofia di Gentile. La questione della riaffermazione dell’ontologismo quale figura del «cattolicesimo nella modernità» implicava, e non poteva essere altrimenti, il confronto serrato con Gentile. Come ha giustamente notato Carlo Arata, «per Del Noce il proporsi, meglio il riproporsi della metafisica quale “meditazione teistico-ontologistica” deve fare i conti con quel “passaggio obbligato” che è costituito dall’attualismo gentiliano quale sola forma radicale e coerente della “teologia moderna” dell’Immanenza».96 Era insomma obbligato il confronto con il filosofo che aveva tentato di conciliare proprio quelle due direzioni della filosofia moderna — l’immanentistico-ateistica e la trascendente — che per Del Noce non erano, per l’appunto, unificabili. Si può dire, anzi, che il suo interesse per Gentile fosse motivato, a tal proposito, dalla necessità di mostrare l’impossibilità di quella sintesi: «praxis non si media con tradizione. Perché praxis è dissoluzione di ogni sostanza […], perché essa non è capace di tramandare valori».97

Ma è proprio a partire dallo scacco dell’attualismo che Del Noce vede la possibilità della riattualizzazione dell’ontologismo cristiano moderno. Questa riattualizzazione — commenta Borghesi — richiedeva non la ricomprensione di Rosmini attraverso Gioberti, come voleva Gentile, ma, al contrario, l’affermazione di un «Rosmini dopo Gioberti», di un Rosmini «stimolato certamente dalle obbiezioni giobertiane, ma insieme inflessibile critico» del suo ontologismo.98 In tal senso, la definizione di Del Noce come «un Gentile metafisico»99 è in grado di caratterizzare al meglio il rapporto di vicinanza e opposizione che intercorre tra i due filosofi. Infatti, se Gentile separò l’agostinismo dal platonismo e dalla trascendenza per ritrovare il divino così immanentizzato nell’interiorità, Del Noce all’opposto, recupera il platonismo e la trascendenza tramite Rosmini. Inoltre, se l’attualismo si caratterizza per l’abbandono del realismo, in ciò avendo la pretesa di porsi come baluardo antiateistico, il filosofo torinese vede invece nella riaffermazione del realismo l’unica via percorribile per pensare una filosofia cristiana moderna e post-marxista. Ed è proprio il realismo il tratto che meglio qualifica la portata speculativa dell’ontologismo cristiano di Augusto Del Noce. Da questo punto di vista la sua proposta filosofica può essere considerata non solo come il tentativo di indicare la via dell’oltrepassamento del marxismo, ma anche, e forse soprattutto, come radicale antitesi dell’attualismo gentiliano.

Resta ora da vedere quale significato abbia, nella prospettiva delnociana, la categoria di realismo. In tal senso, vi è un aspetto che è opportuno evidenziare fin da subito: cioè che in Del Noce il termine suddetto ha una duplice valenza: gnoseologica, da un lato, e, congiuntamente con essa, politica, dall’altro. Su questo punto ha particolarmente insistito Claudio Vasale, facendo notare come vi sia «un rapporto nodale fra il realismo gnoseologico, connesso all’intuito, e il realismo politico cristiano, connesso al principio vichiano dell’eterogenesi — la provvidenza — combinato con quello pascaliano del pari, entrambi rinvianti al tema […] della libertà».100

Ma come si caratterizza, in Del Noce, l’accezione propriamente gnoseologica del realismo? A tal proposito, un utile suggerimento lo fornisce l’Autore medesimo nelle pagine del Giovanni Gentile dedicate all’analisi del rapporto tra l’attualismo e la filosofia di Gilson.101 Del Noce considera l’opera del «filosofo attraverso la storia» Etienne Gilson come «l’esatto rovescio, certo inconsapevole, ma proprio per questo tanto più interessante, del pensiero gentiliano».102 Rovescio perché entrambi i pensatori asseriscono, da punti di vista opposti, che idealismo e realismo diventano posizioni coerenti solo a condizione di escludere ogni possibile compromesso con l’avversario. E in tal senso egli sostiene la tesi secondo cui «l’opera del tomista Gilson si situa nella storia della filosofia contemporanea esattamente dopo lo scacco dell’attualismo gentiliano».103 Riassumendo il pensiero dello studioso francese Del Noce fa notare come per Gilson idealismo e realismo siano due posizioni di pensiero radicalmente opposte e inconciliabili. «Non c’è — commenta il Nostro — una verità dell’idealismo che il realismo debba salvare. Si tratta invece di spiegare la genesi dell’errore idealistico».104 Errore che in ultima istanza consiste nel ridurre il soggetto conoscente alla conoscenza o, il che è lo stesso, nella riduzione della realtà del soggetto all’attività del pensiero. Questo non è più considerato come un attributo dei soggetti esistenti. Ma, si chiede a questo punto Del Noce, «che cosa significa quella fedeltà al pensiero realista che importa non si possa arrivare a separare il pensiero dal soggetto esistente che conosce? Affermare che “non enim proprie loquendo intellectus cognoscit, sed homo per utrumque” (De Veritate, q. 2, art. 6 ad 3)».105 In effetti, prosegue Del Noce, affermare il realismo significa riportare la conoscenza all’uomo come al solo soggetto conoscente concretamente esistente. E ciò vuol dire individuare nel conjunctum — cioè nell’unità di anima e corpo — il punto di partenza per impostare correttamente un discorso gnoseologico. In tal modo viene recuperata la realtà del corpo e perciò cadono «certi problemi come quello della realtà del mondo esterno, non suscettibile di soluzione altrimenti che nella risoluzione della realtà nel pensiero; in una risoluzione in cui si perde l’esistenza».106 Infatti, l’esistenza del mondo esterno, posta la distinzione tra conoscenza e soggetto umano conoscente, non è affatto evidente né dimostrabile; al contrario, nella prospettiva secondo cui l’uomo conosce attraverso l’intelletto e i sensi, la suddetta esistenza è un’evidenza. Dal punto di vista della realtà del mondo esterno il realismo è fondato sull’evidenza della conoscenza sensibile. Ma vi è anche un altro aspetto che permette di cogliere l’opposizione tra idealismo e realismo: cioè che «l’idealismo non riesce a raggiungere il soggetto finito esistente, l’uomo, insomma»;107 e ciò perché anche la realtà del soggetto è tutta risolta nel pensiero. «Nell’intepretazione di Gilson — conclude Del Noce — il tomismo si presenta dunque come una filosofia della totalità, come rifiuto di ridurre la realtà a una delle sue parti, per spiegare il tutto a partire dalla parte. […] L’affermazione del realismo si trova perciò connessa necessariamente con quella dell’unità sostanziale dell’anima e del corpo e con quella dell’uomo come conjunctum quale soggetto conoscente».108 Del Noce vede così nella filosofia di Gilson l’esatto contrario di quello che era il difetto principale dell’attualismo, cioè l’impossibilità di rendere conto della realtà ontologica del finito.

Il punto che ora si vuole sottolineare è che una siffatta concezione del realismo consente, secondo il filosofo torinese, il recupero del Cartesio filosofo della libertà come libero arbitrio, in ciò seguendo le indicazioni che gli studi cartesiani di Laporte gli hanno suggerito. «L’intento di Del Noce — nota Paris — è di recuperare questo nucleo originario del cartesianesimo [il tema della libertà] dimostrando come esso sia bloccato entro una prospettiva razionalista e trovi invece pieno sviluppo entro il quadro del realismo cristiano».109 Partire dall’unità sostanziale di anima e corpo, cioè dal conjunctum, significa infatti riconoscere alla volontà un ruolo ben preciso in rapporto al processo conoscitivo. Secondo la teoria del libero arbitrio vi è un nesso tra volontà, intelletto e libertà, nesso che del Noce ha esposto ne L’attualità di Malebranche. La volontà è anzitutto amore naturale di Dio e desiderio della felicità e del bene; ciò vuol dire che ogni uomo ha inscritto in sé, nella sua natura, non il desiderio di beni finiti, bensì del sommo bene, di Dio stesso. Ed è proprio a causa di questa inclinazione naturale vero il bene assoluto, commenta Del Noce, «che noi siamo capaci di amare i beni finiti. Ma appunto perché si tratta di un’inclinazione verso il bene assoluto, i beni finiti non possono essere per noi motivi invincibili della nostra azione. Se dunque li amiamo è perché noi abbiamo il potere di determinarci verso di essi. La libertà è questo potere di determinazione».110 Intesa in tal modo la libertà ha un fine, non è pura e semplice indifferenza o creatività senza senso, ed è fondata sulla trascendenza della volontà rispetto ai beni finiti. È pur vero però che «la volontà è per se stessa una potenza cieca e non può voler nulla senza conoscenza»: ed è qui che entra in gioco l’intelletto. Intelletto concepito come potenza sostanzialmente passiva che accoglie e assume i dati provenienti dall’esperienza (concezione, questa, che è poi il nocciolo della teoria dell’intuito). Ma come interagiscono tra loro intelletto e volontà? «La passività dell’uno — scrive Paris — è compensata dall’attività dell’altra che interviene come direzione dell’attenzione, permettendo il passaggio dal conoscere — come pura registrazione passiva della realtà — all’affermare come facoltà attiva della volontà. Vi è quindi unità profonda tra lo strumento della ragione e l’individuo come persona, in altri termini affermare il realismo dirà Del Noce significa ripartire dal “conjunctum”, dall’unità profonda di anima e corpo, ridando alla ragione una definizione meno logico-astratta e più esistenziale».111

Del Noce può in tal modo recuperare il motivo cartesiano, già sottolineato da Malebranche, del «valore morale della conoscenza, per l’ascesi della volontà che essa implica»,112 per leggervi quindi «la caratteristica più affascinante della modernità, l’affermazione della libertà irriducibile, vertiginosa, che può assumere un aspetto distruttivo di rivolta metafisica, oppure definire con maggiore chiarezza il carattere esistenziale del realismo cristiano».113 Libertà intesa, per l’appunto, come libero arbitrio, cioè come capacità di sospendere il giudizio: come esperienza, quindi, del «dubbio». Una libertà che è sempre presupposta all’affermazione della realtà e da cui dipende il riconoscimento della verità che è nel soggetto; in tale prospettiva «la verità necessita per essere colta e affermata, da un lato un atteggiamento di attenzione che ci dispone ad accoglierla, dall’altro la luce di un’evidenza che illumina l’intelletto e soddisfa la tensione naturale della volontà verso il bene».114 Insomma il punto è questo: nell’ottica delnociana non è possibile affermare la verità senza la libertà. Ancorché abbia i caratteri dell’evidenza la verità, affinché sia realmente vera, dev’essere accettata, accolta come tale: necessita quindi di un’opzione che, a sua volta, dovrà essere verificata sul terreno dell’esperienza storica. Non per nulla il filosofo torinese indicò nella scelta contro la verità, sotto la forma del rifiuto della datità o, se si vuole, della finitezza stessa come male, il tratto precipuo del razionalismo, del marxismo e dell’attualismo.

Il realismo gnoseologico riaffermato da Del Noce è strettamente congiunto con la ripresa del tema del libero arbitrio e con il riconoscimento della finitezza e della dipendenza dell’uomo. Si tratta di una posizione di pensiero non risolvibile sul piano puramente teorico, ma che si gioca «al livello della sfida esistenziale»,115 e che anzi diventa «una posizione esistenzialmente insostenibile se non trova compimento in un’evidenza che intervenga dall’esterno a illuminare e soccorrere la ragione».116

Un dato importante da segnalare è che pur non essendo di estrazione neoscolastica Del Noce vede nel tomismo «il punto di riferimento privilegiato per definire i caratteri della posizione realista».117 E se questo è vero, è allora necessario sgombrare il campo da un equivoco, rinvenibile in più di un interprete del pensiero delnociano, che cioè alla riaffermazione dell’ontologismo consegue in Del Noce l’esclusione o, se si vuole, il rifiuto, per l’appunto, del tomismo. «Un’interpretazione questa — nota Borghesi — però condannata ad isolare Il problema dell’ateismo e Riforma cattolica e filosofia moderna tanto dalla riflessione precedente, in cui l’influenza del “tomista” Carlo Mazzantini è costantemente presente, quanto dalla successiva in cui, alla luce di Gilson, l’apprezzamento per il pensiero di Tommaso diviene una costante. In realtà l’ontologismo, così come lo intende Del Noce, ha come sua antitesi il neotomismo intendendo con questo termine “non già il pensiero di s. Tommaso, ma il commento neotomista di s. Tommaso, caratterizzato dalla considerazione dell’ontologismo come suo avversario essenziale”».118 Non vi è dubbio che Del Noce intenda lo sviluppo dell’ontologismo cristiano moderno, e in particolare l’opera matura di Rosmini, come un ritorno alla posizione autenticamente agostiniana; ma attraverso s. Agostino è il ponte verso s. Tommaso che può essere riaperto.119 E ciò che rende possibile l’incontro tra l’Aquinate e Rosmini è, secondo Del Noce, proprio il «tomismo esistenzialista»120 di Gilson. In tal modo è possibile delineare un diverso svolgimento della filosofia moderna; oltre alla linea dell’immanentismo radicale vi è «anche quella verso la conciliazione con la tradizione (da Cartesio a Rosmini e oltre, appunto verso la riscoperta del tomismo)».121 Si può così rilevare una profonda coerenza nello sviluppo dell’intera riflessione delnociana e mostrare come «il giovanile progetto di coniugare assieme Blondel e Tommaso, agostinismo e tomismo, non sia mai stato abbandonato da Del Noce. Esso si articola, nella sua fase matura, nella necessità di unire assieme Blondel, Rosmini, Tommaso, l’esistenzialismo religioso richiedendo l’ontologismo e questi, a sua volta, il realismo gnoseologico».122

Si è affermato che la categoria di realismo, in rapporto a Del Noce, è suscettibile di essere interpretata anche in chiave politica. L’illustrazione delle ragioni che in ultima analisi giustificano una simile proposta permetterà oltretutto di inquadrare, seppur per sommi capi, la questione del rapporto tra cattolicesimo, liberalismo e democrazia nel pensiero del filosofo torinese.123

Per comprendere il carattere politico del realismo delnociano occorre riprendere la sua concezione del libero arbitrio. Per Del Noce vi è un «nesso inscindibile tra l’affermazione del libero arbitrio e il valore positivo che c’è nel liberalismo».124 Se questo è vero, è chiaro allora «che siamo in presenza di una vera e propria reinterpretazione del liberalismo storico in età democratica».125 Qual’è la concezione delnociana del liberalismo? Già fin dal 1957 egli pone la necessità di una ricerca finalizzata alla dissociazione del liberalismo dallo storicismo, con particolare riferimento allo storicismo di matrice crociana;126 ciò implica ricollegare il liberalismo «all’idea di assolutezza (e trascendenza) della verità, fondata sopra un criterio di evidenza che non sia intesa in senso “costringente”».127 Di fronte alla sfida rappresentata dal marxismo s’impone il problema di superare la crociana «religione della libertà» e il suo derivato etico-politico, quest’ultimo essendosi risolto in uno scacco. Per questo motivo Del Noce riscopre il fondamento etico-religioso della libertà. «Donde l’approdo — scrive Vasale —, meglio, il recupero, di A. Rosmini, nel quale ritrova, insieme, la fondazione e l’esaltazione della libertas minor e l’antiperfettismo».128 È proprio nella filosofia dell’abate roveretano che Del Noce vede la possibilità di fondare un liberalismo antiperfettistico, cioè centrato sul «postulato del peccato» e non sul «postulato del progresso».129 In tal senso, non stupisce affatto il giudizio del filosofo torinese a proposito dell’opera rosminiana Princìpi della Scienza Morale: «la più grande opera etica di tutti i tempi, o certamente la più grande dei secoli moderni».130 In essa Del Noce trova la miglior sintesi sul rapporto tra libertà (soggettività) e morale (oggettività), articolate in modo tale che «la contingenza e la libertà del soggetto, tratti costitutivi dell’epoca moderna, si rapportino alla necessità dell’essere senza sentirla come un’imposizione».131 Insomma quella di Rosmini è una posizione che permette di coniugare cattolicesimo e liberalismo mostrando il volto, ad un tempo, moderno e liberale del cattolicesimo stesso.

In sintesi, il filosofo torinese considera la ripresa del libero arbitrio come conditio sine qua non della libertà politica. Mosso dalla ricerca, negli anni ’60, di un fondamento «liberale» della democrazia, egli non lo trova «nel liberalismo storico, quale cioè si è storicamente affermato nella sua linea vincente», bensì «in un “liberalismo etico” — opposto non solo, ovviamente, a quello dell’autodefinizione gentiliana, per un verso, e crociano, per l’altro, ma anche in qualche modo a quello classico ottocentesco —, dove “etico” sta secondo l’accezione tradizionale, ossia nel senso appunto della libertà come libero arbitrio […], facente capo all’individuo-persona e alla sua responsabilità».132 La libertà politica non può che fondarsi sulla libertà morale, cioè sulla «scelta che si imputa all’individualità del soggetto, che ne risponde di fronte ad una norma o a un’autorità».133 In tal senso occorre sottolineare la centralità della categoria di responsabilità: che non significa, ovviamente, autonomia, ma piuttosto riconoscimento della dipendenza dell’uomo da un ordine oggettivo di verità e valori, cioè, in ultima analisi, da Dio. Se per Del Noce la libertà ha un ruolo decisivo nell’accoglimento della verità, è vero anche l’opposto: nella misura in cui si afferma e si richiede la responsabilità, la libertà, a sua volta, «si fonda sulla verità trascendente e quindi su Dio ed è il nome che prende il realismo gnoseologico […]. Realismo gnoseologico che allora diventa il presupposto neovichiano di quello politico».134 È dunque possibile applicare al liberalismo di Augusto Del Noce, quale programma di un «nuovo umanesimo politico cristiano»,135 il termine di realismo politico, nel duplice senso «che i limiti della politica discendono dai limiti dell’uomo (antiperfettismo) e dunque la riformabilità della politica è subordinata alla virtù dell’uomo (perfettibilismo etico-politico); e nell’altro senso conseguente, che i princìpi e valori trascendenti, le “verità eterne”, possono perché debbono e debbono perché possono realizzarsi nella storia, diventare mondo […] e perciò politica».136 Un programma, questo, che si presta ad essere posto sotto la voce di «liberalismo cattolico», a patto però di non assumere tale espressione come sinonimo di «cattolicesimo liberale», né di intenderla come il progetto politico di chi voglia contemperare due esigenze affatto diverse e distanti tra loro. Per Del Noce come per Rosmini si tratta piuttosto di «riconoscere che è il cristianesimo stesso a portare con sé caratteri fondamentalmente liberali».137

Il liberalismo politico di Augusto Del Noce è allora e innanzitutto fondato su un liberalismo etico-religioso perché centrato sulla realtà dell’individuo; questi, e solo questi, ha il diritto-dovere, ad un tempo, di «tradurre» nella storia i princìpi e i valori trascendenti e di combattere contro il male che è dentro di sé come possibilità sempre reale: lo spazio in cui si attua tale lotta è ciò che si chiama libertà civile o politica, come insieme delle condizioni che devono essere garantite nella e dalla democrazia — che per Del Noce era un fatto, non un valore in sé — affinché il soggetto possa svolgere al meglio tale compito. La prospettiva è quella di un «liberalismo antiperfettistico e insieme riformato, perciò, sulla libertas minor, cioè sulla morale e sulla metafisica tradizionale recuperate in termini moderni o meglio postmoderni (il vero ontologismo in senso filosofico, la democrazia dei valori, in senso politico), liberalismo di cui trova l’unico esempio in Rosmini».138

L’analisi del realismo politico di Augusto Del Noce ha consentito di mettere in evidenza la portata revisionistica del suo pensiero in rapporto alla questione del liberalismo. Ma essa, unitamente all’insieme delle considerazioni fin qui svolte, permette anche di chiarire il significato dell’espressione «metafisica civile» qualora questa venga applicata all’ontologismo cristiano delnociano. Come ha notato Vasale, la metafisica di Del Noce «più che fondare la libertà, si fonda sulla libertà in quanto oggetto di opzione».139 Alla scuola di Pascal e Šestov, il filosofo torinese riconosce l’assoluta centralità del tema dell’opzione, quindi della libertà: se il recupero del pensiero tradizionale comporta l’affermazione del primato dell’essere — di un essere che è autoevidente e che è dato all’uomo nell’atto del pensiero, ciò nondimeno il soggetto non è costretto all’assenso, bensì può, e in un certo senso «deve», scegliere tra l’accettazione o il rifiuto della suddetta evidenza. Ma per Del Noce «il criterio dell’evidenza inteso come testimonianza che l’essere dà su se stesso deve portare in ultima analisi […] a riconoscere l’evidenza della paradossalità della situazione umana, segnata dalla contraddizione tra l’esigenza di salvezza e l’impossibilità di conseguirla con i propri mezzi, ossia al riconoscimento dello status naturae lapsae».[^140] Asserire il primato dell’essere implica il riconoscimento della precarietà della condizione umana, cioè del fatto che l’uomo non può salvarsi da solo. Ecco allora che «la riproposizione di una filosofia dell’essere può avvenire solo se all’evidenza della contraddizione si aggiunga un altro genere di evidenza, che possiamo definire della grazia come risposta alla natura decaduta».[^141] Ed è proprio il tema della grazia la chiave di lettura con cui si può meglio intendere l’aspetto propriamente «civile» o «politico», quindi esistenziale e storico, dell’ontologismo delnociano. Se, infatti, l’evidenza dell’essere si pone su un piano anzitutto intellettivo, quella della grazia deve invece porsi sul piano storico: è nella storia, ma si potrebbe dire solo nella storia, che l’uomo può fare esperienza di un aiuto soprannaturale. Per Del Noce ciò è richiesto dall’essenziale storicità della Rivelazione cristiana e, oltretutto, dall’esigenza di raccogliere la sfida lanciata dal marxismo, che proprio nella storia aveva posto il banco di prova della sua «scommessa». La «metafisica civile» di Augusto Del Noce si configura pertanto come una filosofia cristiana che implica e richiede un nesso indissolubile tra pensiero ed esperienza, interiorità ed esteriorità, onde una «propria e personale» riaffermazione del pensiero tradizionale in grado di tradursi, per sua natura, in una «polis» realmente degna dell’uomo.


  1. P. Serra, Augusto Del Noce. Metafisica e storia, Napoli, ESI, 1995, pp. 21-22. ↩︎

  2. AA.VV., Percorsi e figure. Filosofi italiani del ’900, a cura di S. Natoli, Genova, Marietti, 1998, p. 7. ↩︎

  3. P. Prini, La filosofia cattolica italiana del Novecento (1996), Bari, Laterza, 1997, p. VII. ↩︎

  4. In questa direzione si sono mossi Tito Perlini, nel suo saggio Esistenzialismo religioso e teologia civile in Augusto Del Noce, in AA.VV., Percorsi e figure…, op. cit., pp. 187-258, e Pietro Prini, nel suo volume sulla filosofia cattolica italiana del Novecento, già citato. ↩︎

  5. V. Possenti, Modernità e metafisica in Augusto Del Noce, in AA.VV., Augusto Del Noce. Il pensiero filosofico, a cura di D. Castellano, Napoli, ESI, 1992, p. 45. ↩︎

  6. Sul rapporto tra etica e politica nel pensiero di Del Noce, cfr. C. Vasale, Etica e politica in Augusto Del Noce, in AA.VV., Augusto Del Noce. Il problema della modernità, Roma, Edizioni Studium, 1995, pp. 193-223. ↩︎

  7. Sulla storia del dialogo tra Del Noce e il movimento di d. Giussani cfr. G.F. Lami, Introduzione a Augusto Del Noce. Dall’essenza ontologica alla teodicea dell’essere: la scuola critica di un filosofo della tradizione, Roma, Antonio Pellicani Editore, pp. 189 e ss. Sulla portata «esistenziale» che tale incontro ebbe per Del Noce cfr. M. Borghesi, Il problema politico dei cattolici in Augusto Del Noce, in AA.VV., Filosofia e democrazia in Augusto Del Noce, a cura di G. Ceci e L. Cedroni, Roma, Cinque Lune, 1993, pp. 155-158; R. Buttiglione, Augusto Del Noce. Biografia di un pensiero, Casale Monferrato, Piemme, 1991, pp. 68 e 108; A. Paris, Augusto Del Noce e Piero Martinetti: un confronto sul significato della libertà, in AA.VV., Augusto Del Noce e la libertà. Incontri filosofici, a cura di C. Vasale e G. Dessì, Napoli, SEI, 1995, p. 59. ↩︎

  8. R. Buttiglione, Augusto Del Noce…, op. cit., p. 113. ↩︎

  9. A. Del Noce, Da Cartesio a Rosmini. Scritti vari, anche inediti, di filosofia e storia della filosofia, a cura di F. Mercadante e B. Casadei, Milano, Giuffrè, 1992, p. 414 (d’ora in avanti quest’opera sarà citata con la sigla D.C.A.R.). L’espressione francese è tratta da uno studio sulla filosofia dell’azione di V. Delbos. ↩︎

  10. Del Noce ha dedicato allo studioso francese i seguenti saggi: La riscoperta del tomismo in Etienne Gilson e il suo significato presente, in AA.VV., Studi di filosofia in onore di Gustavo Bontadini, Milano, Vita e Pensiero, 1975, pp. 454-474; Gilson e Chestov, in AA.VV., Esistenza, mito, ermeneutica, scritti per Enrico Castelli, in «Archivio di Filosofia», 1980, pp. 315-326; Fede e filosofia secondo Etienne Gilson, in AA.VV., S. Tommaso nella storia del pensiero, Atti dell’VIII Congresso Tomistico Internazionale, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1982, pp. 301-307. In occasione del centenario della sua nascita, Del Noce scrisse un articolo su Gilson dal titolo Così Gilson tolse i sigilli a S. Tommaso, pubblicato su «Trentagiorni», n. 6, giugno 1984, pp. 52-54. ↩︎

  11. R. Buttiglione, Augusto Del Noce…, op. cit., p. 91. ↩︎

  12. Ivi, p. 92. ↩︎

  13. Ivi. ↩︎

  14. Ivi, p. 103. ↩︎

  15. Cfr. A Del Noce, Juvalta e Mazzantini, in AA.VV., La filosofia di Carlo Mazzantini, Roma, Edizioni Studium, 1985, pp. 95-123, ora anche in A. Del Noce, Filosofi dell’esistenza e della libertà. Spir, Chestov…, a cura di F. Mercadante e B. Casadei, Milano, Giuffrè, 1992, pp. 547-589 (d’ora in avanti quest’opera sarà citata con la sigla F.E.); Idem, Senso comune e teologia della storia nel pensiero di Enrico Castelli, Edizioni di «Filosofia», Torino, 1954, pp. 15, ora anche in F.E., pp. 593-610; Idem, Enrico Castelli e la crisi del moderno, in «Il Tempo», 20 marzo, 1977, ora anche in F.E., pp. 611-615; Idem, L’autorità come valore costitutivo del mondo umano, in AA.VV., Due convegni su Giuseppe Capograssi. (Roma-Sulmona 1986). L’individuo, lo stato, la storia. G. Capograssi nella storia religiosa e letteraria del novecento, a cura di F. Mercadante, Milano, Giuffré, 1990, pp. 541-570, ora anche in F.E., pp. 627-657. Per un approfondimento del tema dell’evidenza in Mazzantini e dell’influsso che esso ebbe in Del Noce, si rimanda a A. Rizza, Mazzantini e Del Noce, in AA.VV., Augusto Del Noce…, op. cit., pp. 225-252. ↩︎

  16. F.E., p. 566. ↩︎

  17. Ivi, p. 599. ↩︎

  18. Ivi, p. 636. Sul tema dell’autorità in Del Noce cfr. A. Del Noce, Autorità, in Enciclopedia del Novecento, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Firenze, 1976, v. I, pp. 416-426, e anche il corso di lezioni universitarie dal titolo Sul concetto di autorità, da lui tenuto nell’a.a. 1977-’78, ora pubblicato in G.F. Lami, Introduzione a Augusto Del Noce, op. cit., pp. 315-356. ↩︎

  19. R. Buttiglione, Augusto Del Noce…, op. cit., p. 101. ↩︎

  20. Ivi, pp. 101-102. ↩︎

  21. P. A., p. 78. ↩︎

  22. G. Riconda, Incontri del pensiero italiano con il pensiero russo: Augusto Del Noce e Leone Chestov, in «Annuario Filosofico», n. 8 (1992), p. 421, nota 19. ↩︎

  23. U. Spirito — A. Del Noce, Tramonto o eclissi dei valori tradizionali?, Milano, Rusconi, 1971, p. 150. ↩︎

  24. G. Riconda, op. cit., p. 416. ↩︎

  25. Cfr. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo (1964), Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 549-577 (d’ora in avanti quest’opera sarà citata con la sigla P. A.). ↩︎

  26. Ivi, p. 553. ↩︎

  27. Ivi, p. 556. ↩︎

  28. Ivi, p. 557. ↩︎

  29. Ivi, pp. 566-567. ↩︎

  30. «Considerato come categoria filosofica, il termine di Risorgimento ha infatti il senso di Restaurazione, non di un precedente stato di fatto, ma di un ordine di valori; del ritrovamento e sviluppo nuovo di principi permanenti, in relazione a nuovi avversari: della purificazione, in occasione di problemi nuovi, di una tradizione. Oggi, della tradizione dell’homo sapiens contro le eresie del pensiero europeo ispirate all’idea dell’homo faber» (P. A., p. 575, nota 23). ↩︎

  31. Ivi, p. 570. ↩︎

  32. Ivi. ↩︎

  33. Ivi, p. 573. ↩︎

  34. Ivi, pp. 573-574. ↩︎

  35. Ivi, p. 574. ↩︎

  36. Ivi. ↩︎

  37. M. Borghesi, Riflessioni sull’ontologismo in Augusto Del Noce, in AA.VV., Da Cartesio a Hegel o da Cartesio a Rosmini?, a cura di U. Muratore, Stresa, Edizioni Rosminiane Sodalitas, 1997, p. 67. ↩︎

  38. V. Omaggio, Autocritiche del moderno. Giuseppe Capograssi e Augusto Del Noce, Napoli, Editoriale Scientifica, 1998, p. 91. ↩︎

  39. A. Del Noce, Problemi del periodizzamento storico. L’inizio della filosofia moderna, in «Archivio di Filosofia», 1954, pp. 197-198. ↩︎

  40. M. Borghesi, Riflessioni sull’ontologismo…, op. cit., p. 71. ↩︎

  41. Ivi, p. 72. ↩︎

  42. Notizie sulla vita e l’operosità scientifica di Augusto Del Noce, in AA.VV., Augusto Del Noce e la libertà…, op. cit., pp. 183-184. ↩︎

  43. D.C.A.R., p. 488. ↩︎

  44. Ivi, p. 384. ↩︎

  45. Ivi, p. 489. ↩︎

  46. Ivi, p. 491. ↩︎

  47. M. Borghesi, op. cit., p. 72. ↩︎

  48. D.C.A.R., p. 497. ↩︎

  49. Ivi, p. 495. ↩︎

  50. Ivi, p. 487. ↩︎

  51. A tal riguardo, non sembra molto adeguato il giudizio di Innocenti secondo cui «leggendo la voce “ontologismo” scritta da Del Noce per l’Enciclopedia Filosofica, si ha evidenza della cura con cui l’autore presenta favorevolmente l’ontologismo, difendendolo» (E. Innocenti, Pensiero cattolico e ontologismo: la prospettiva di Augusto Del Noce, in AA.VV., Augusto Del Noce. Il pensiero filosofico, op. cit., p. 85). ↩︎

  52. A. Del Noce, Pensiero cristiano e comunismo: «inveramento» o «risposta a sfida»?, in «Il Mulino», n. 5 (1958), poi riprodotto in F. Balbo, Opere: 1945-1954, Torino, Boringhieri, 1966, p. 985. ↩︎

  53. Ivi. ↩︎

  54. P. A., pp. 105-106. ↩︎

  55. Ivi, p. 106. ↩︎

  56. Ivi. ↩︎

  57. M. Borghesi, op. cit., p. 77. Sul punto, è da precisare che Del Noce inizia ad approfondire il pensiero di Pascal già fin dal 1959. A tal riguardo, cfr. A. Del Noce, Pascal e il pensiero contemporaneo, Trasmissione radiofonica «Terzo Programma» del 9 aprile 1959, ora in D.C.A.R., pp. 207-218. ↩︎

  58. A parte il succitato intervento radiofonico, i saggi in questione sono: Intorno all’«antiumanesimo» di Pascal, in AA.VV., Pascal e Nietzsche, in «Archivio di Filosofia», 1962, pp. 41-65, ora anche in D.C.A.R., pp. 219-253, e Il problema Pascal e l’ateismo contemporaneo, in P. A., pp. 377-513. ↩︎

  59. D.C.A.R., p. 247. ↩︎

  60. Ivi. ↩︎

  61. M. Borghesi, op. cit., p. 77. ↩︎

  62. D.C.A.R., p. 229. ↩︎

  63. P. A., p. 486. ↩︎

  64. Ivi, p. 504. ↩︎

  65. Ivi, p. 482. ↩︎

  66. Ivi, p. 488. ↩︎

  67. Ivi. ↩︎

  68. Ivi, p. 489. ↩︎

  69. Ivi, nota 112. ↩︎

  70. Ivi, p. 494. ↩︎

  71. Ivi, p. 90. ↩︎

  72. Ivi, p. 471. ↩︎

  73. F. Botturi, Vico nel pensiero di A. Del Noce, in AA.VV., Augusto Del Noce. Il problema della modernità, op. cit., p. 97. ↩︎

  74. M. Borghesi, op. cit., p. 78. ↩︎

  75. D.C.A.R., p. 541. ↩︎

  76. P. A., p. 576.

    77.Cfr. A. Del Noce, Genesi e significato dell’attualismo, in Idem, Giovanni Gentile. Per un’interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 17-123. ↩︎

  77. Ivi, pp. 92-93. ↩︎

  78. Ivi, p. 49. ↩︎

  79. Ivi, pp. 49-50. ↩︎

  80. Ivi, p. 50. ↩︎

  81. Ivi, p. 23. ↩︎

  82. Ivi, pp. 19-20. ↩︎

  83. Ivi, pp. 23-24. ↩︎

  84. Ivi, pp. 50-51. ↩︎

  85. Ivi, p. 51. ↩︎

  86. Ivi, p. 52. ↩︎

  87. Ivi, p. 31. ↩︎

  88. Ivi, p. 32. ↩︎

  89. Ivi, p. 34. ↩︎

  90. Ivi, p. 159. ↩︎

  91. Ivi, p. 160. ↩︎

  92. M. Tringali, Augusto Del Noce interprete del novecento, Aosta, Le Chateau, 1997, p. 74. ↩︎

  93. A. Del Noce, Giovanni Gentile…, op. cit., p. 176. ↩︎

  94. Ivi, p. 178. ↩︎

  95. C. Arata, La «Filosofia prima» quale meditazione ontologisitca nel pensiero di Augusto Del Noce, in AA.VV., Filosofia e politica nel pensiero di Augusto Del Noce, a cura di A. Savignano, Milano, Giuffrè, 1994, p. 14. ↩︎

  96. P. Serra, Augusto Del Noce…, op. cit., p. 33. ↩︎

  97. M. Borghesi, Riflessioni sull’ontologismo…, op. cit., p. 81. Le espressioni delnociane citate da Borghesi (il corsivo è suo) sono in D.C.A.R., p. 550. ↩︎

  98. M. Veneziani, Del Noce filosofo del revisionismo in Italia, in AA.VV., Augusto Del Noce. Il problema…, op. cit., p. 110. L’autore ha particolarmente insistito sulla simmetria, pur con le notevoli differenze, delle posizioni di Del Noce e Gentile. Secondo Veneziani «l’influenza di Gentile, l’incontro con Gentile non costituiscono eventi minori nell’itinerario di Del Noce. Anzi, egli pensò se stesso come il Gentile dell’Italia postfascista; pensò la sua filosofia come la prefigurazione di un cattolicesimo “politico” di tipo risorgimentale, volto cioè a recuperare l’identità nazionale nell’ambito di una lotta alla secolarizzazione» (ivi, nota 4). ↩︎

  99. C. Vasale, Etica e politica in Augusto Del Noce, op. cit., pp. 209-210. ↩︎

  100. Cfr. A. Del Noce, Giovanni Gentile…, op. cit., pp. 102-106. ↩︎

  101. Ivi, p. 102. ↩︎

  102. Ivi, pp. 102-103. ↩︎

  103. Ivi, p. 103. ↩︎

  104. Ivi, pp. 103-104. ↩︎

  105. Ivi, p. 104. ↩︎

  106. Ivi. ↩︎

  107. Ivi, p. 105. ↩︎

  108. A. Paris, La genesi della modernità e il problema del realismo nel pensiero di Augusto Del Noce, in AA.VV., Filosofia e democrazia…, op. cit., p. 43. ↩︎

  109. D.C.A.R., pp. 334-335. ↩︎

  110. A. Paris, op. cit., p. 44. ↩︎

  111. D.C.A.R., p. 340. ↩︎

  112. A. Paris, op. cit., p. 42. ↩︎

  113. Ivi, p. 44. ↩︎

  114. R. Buttiglione, Augusto Del Noce…, op. cit., p. 112. ↩︎

  115. A. Paris, op. cit., p. 58. ↩︎

  116. A. Paris, op. cit., p. 34. ↩︎

  117. M. Borghesi, op. cit., pp. 78-79. La citazione delnociana è tratta da P. A., p. 92, nota 71 (il corsivo è di Del Noce). ↩︎

  118. Del Noce vedeva la possibilità di riallacciare s. Agostino e s. Tommaso già prefigurata nel pensiero di Vico, nella misura in cui «la sua filosofia come già quella tomista è una filosofia del primato dell’esistenza» (Cfr. A. Del Noce, Vico e la storiografia cattolica, testo inedito, ora in D.C.A.R., pp. 519-530; la citazione è a p. 527). ↩︎

  119. A. Del Noce, Riforma cattolica e filosofia moderna. I: Cartesio, Bologna, Il Mulino, 1965, p. 256. ↩︎

  120. A. Del Noce, La riscoperta del tomismo…, op. cit., p. 470 (il corsivo è mio). ↩︎

  121. M. Borghesi, op. cit., pp. 83-84. L’autore pone in rilievo il fatto che Del Noce stesso ha accennato «alla possibilità dell’accordo di filosofia dell’esistenza, empirismo e ontologismo» (P. A., p. 22). ↩︎

  122. Sull’argomento in oggetto si vedano i contributi di C. Vasale, Etica e politica in Augusto Del Noce, op. cit.; N. Bobbio, Del Noce: fascismo, comunismo, liberalismo, in «Il Ponte», XLIX, n. 6 (1993), pp. 727-744, ora anche in AA.VV., Augusto Del Noce. Il problema della modernità, op. cit., pp. 165-184; V. Omaggio, Augusto Del Noce. Ontologia e storia, in Idem, Autocritiche del moderno…, op. cit. (in particolare le pp. 68-91); T. Perlini, Le figure di Croce e Martinetti nella visione storico-filosofica di Augusto Del Noce, in AA.VV., Augusto Del Noce. Il pensiero filosofico, op. cit., pp. 193-253; D. Settembrini, Borghesia, liberalismo, fascismo, in AA.VV., Augusto Del Noce. Il problema…, op. cit., pp. 127-163; M. Veneziani, Del Noce…, op. cit. In particolare sul tema della democrazia in Del Noce, cfr. E. Berti, Metafisica, politica e democrazia in Augusto Del Noce, in «Coscienza», n. 9 (1992), pp. 3-6; L. Cedroni, Democrazia e filosofia politica in Augusto Del Noce, in AA.VV., Filosofia e democrazia…, op. cit., pp. 109-141; F. Mercadante, Democrazia e critica della democrazia nel pensiero di Augusto Del Noce, in AA.VV., Augusto Del Noce. Il problema…, op. cit., pp. 253-269; P. Serra, Augusto Del Noce…, op. cit. (in particolare le pp. 69-78). ↩︎

  123. P. A., p. 537. Partendo da una tesi di Laporte secondo cui il problema del libero arbitrio era «il problema filosofico per eccellenza, perché comanda e la teoria della conoscenza e la morale e ogni concetto che ci si può fare della persona umana e del suo rapporto a Dio» (J. Laporte, La conscience de la liberté, Paris, Flammarion, 1947, p. 6), Del Noce aggiungeva: «ritroviamo il problema del libero arbitrio al fondo dello stesso problema della libertà etico-politica» (P. A., p. 537, nota 17). ↩︎

  124. C. Vasale, op. cit., p. 204. ↩︎

  125. Cfr. A. Del Noce, Totalitarismo e filosofia della storia, in «Il Mulino», n. 64 (1957), pp. 479-485, ora anche in AA.VV., Il fascismo, a cura di C. Casucci, Bologna, il Mulino, 1961, pp. 359 e ss. ↩︎

  126. C. Vasale, op. cit., p. 204. ↩︎

  127. Ivi, p. 209. ↩︎

  128. P. A., p. 518.

    130.A. Del Noce, Significato presente dell’etica rosminiana, in Idem, L’epoca della secolarizzazione, Milano, Giuffrè, 1970, p. 206. ↩︎

  129. V. Omaggio, Autocritiche del moderno…, op. cit., p. 81. ↩︎

  130. C. Vasale, op. cit., p. 213. ↩︎

  131. V. Omaggio, op. cit., p. 94. ↩︎

  132. C. Vasale, op. cit., p. 214. ↩︎

  133. Ivi, p. 217. ↩︎

  134. Ivi, p. 219. ↩︎

  135. V. Omaggio, op. cit., p. 16. ↩︎

  136. C. Vasale, op. cit., p. 221. ↩︎

  137. C. Vasale, Augusto Del Noce: una «filosofia della libertà e dello spirito», in AA.VV., Augusto Del Noce e la libertà…, op. cit., p. 16. ↩︎

  138. A. Paris, Augusto Del Noce e Piero Martinetti…, op. cit., p. 58. ↩︎

  139. Ivi. ↩︎