Nasus cogitans. Divagazioni sull’intelligenza del naso

1. Un senso negletto

La riscoperta degli odori, connessa nella nostra epoca all’ampia diffusione di oggetti profumati e di pratiche legate al mondo degli aromi, non ha contribuito a diffondere la consapevolezza dell’importanza dell’olfatto per la nostra specie. E d’altra parte l’innaturalezza della vita moderna, contrassegnata dalla cura maniacale del corpo e dalla proliferazione massiccia di sostanze chimiche presenti nei cibi, nelle bevande e nel nostro ambiente, non fa che indebolire la nostra sensibilità olfattiva allontanandoci sempre più dai profumi naturali. Cercherò pertanto di sfatare un luogo comune sul senso più screditato nella nostra tradizione, per riabilitare il naso sottraendolo al misconoscimento cui è stato condannato per troppo tempo.

Condizionati da quella mentalità visivo-acustica che da duemilacinquecento anni ha determinato il nostro modo di sentire e di pensare abbiamo relegato l’olfatto tra i sensi ‘minori’ e ne abbiamo dimenticato l’attitudine intellettiva. A differenza della vista e dell’udito, i sensi ‘nobili’ che la civiltà occidentale ha maggiormente esercitato ritenendoli fonti affidabili di conoscenza e facilmente comunicabili, l’odorato, denigrato dalla filosofia e trascurato dalla ricerca scientifica, ha finito per occupare l’ultimo posto nella gerarchia dei sensi. La scarsa permeabilità linguistica, la variabilità, la fugacità e la ‘privatezza’ delle sensazioni che esso fornisce — che spesso agiscono fuori dalla sfera cosciente — e l’eccessiva compromissione con le emozioni ci hanno indotti a ignorare il modo in cui gli odori influenzano i nostri comportamenti sociali, sessuali, emozionali, alimentari e a sottovalutarne il ruolo fondamentale nella conoscenza del mondo circostante.

Un naso impegnato a odorare porta il marchio dell’animalità, è associato al piacere, al desiderio e all’istinto e per questo guardato con sospetto e con diffidenza. Platone lo accostava alla lussuria e ai piaceri frivoli (Repubblica 373a e 573a) e Kant, il più anosmico dei filosofi, lo definiva il senso «più ingrato e apparentemente meno necessario» (1798: 575), mentre Ch. Darwin e S. Freud — due figure cardine nella storia del pensiero occidentale — hanno unanimemente suggerito che l’atrofia del naso umano sarebbe il prezzo da pagare per l’origine della specie e della sua civiltà, e soprattutto dell’evoluzione dei costumi e della repressione culturale (Darwin 1859; Freud 1929). È di tutta evidenza, infatti, come nella cultura occidentale non ci sia spazio per l’educazione olfattiva: ci insegnano a leggere e a scrivere, a riconoscere forme, colori e suoni, ma non ci educano a distinguere l’odore della cannella da quello del chiodo di garofano. Così l’odorato ha finito col rappresentare l’esatto contrario dell’intelletto e la sua marginalizzazione è divenuta il contrassegno dell’umanità civilizzata. Ma per converso, quasi a sottolineare l’ambiguità di questo senso, nell’immaginario sociale e in molte espressioni colloquiali che riflettono il senso comune l’olfatto ha un nesso privilegiato con la conoscenza, è sinonimo di buon senso, di acume intellettuale (del resto, ‘sagace’ deriva dal latino sagire — fiutare — e ancora oggi è sinonimo di sveltezza cognitiva), di quel ‘sesto senso’ o senso della conoscenza intuitiva celebrato dal più olfattivo dei filosofi, Nietzsche, che non esitava ad affermare «il mio genio è nel mio naso» (1888: 128). Di una persona dotata d’intuito in genere si dice che ‘ha naso’, capacità cioè di cogliere rapidamente ciò che il cervello impiega più tempo a comprendere. Ma ‘avere naso’ significa anche essere capace di riconoscere ciò che altri non percepiscono.

Solo da qualche decennio «l’angelo decaduto», come lo ha drammaticamente denominato Helen Keller (1908: 45) — la notissima cieco-sorda che aveva sviluppato un olfatto straordinario e che tutti ricorderanno almeno per il film Anna dei Miracoli —, è divenuto di moda e se ne è riscoperta tutta la ‘potenza’: basti pensare alle cifre d’affari del settore del profumo e della cosmetica, al largo impiego degli aromi nel settore alimentare e alla crescente consapevolezza della sua funzione nel settore del marketing e nella diagnosi precoce di alcune patologie neurodegenerative o psichiche. Si spiega così il fiorire di pubblicazioni scientifiche, professionali e divulgative sul senso più affascinante, ma ancora oggi il più misterioso nonostante il conferimento del Premio Nobel nel 2004 a due ricercatori statunitensi — R. Axel e L. Buck — per le loro scoperte sui geni dell’olfatto e sulla natura delle serrature biologiche (i recettori olfattivi) con cui catturiamo gli odori (Buck, Axel 1991; Buck 2000).

Occuparsi di naso e di odori, e riflettere sulle proprie esperienze olfattive, significa tener presente che l’odorato, non meno delle altre modalità sensoriali, è una finestra sul mondo tale da offrirci un tipo di conoscenza non ricavabile dagli altri sensi e capace anche di captare particolari altrimenti non percepibili. Partendo da questo assunto, l’obiettivo di questo saggio è quello di richiamare l’attenzione sulla singolarità cognitiva di un senso negletto e poco esercitato, e di sottolineare la sua funzione psicologica e sociale. Mi soffermerò pertanto sull’importanza dell’olfatto nell’intimità e nella seduzione amorosa, nel piacere legato alla degustazione di cibi e di vini, nella categorizzazione sociale, nell’attrazione interpersonale, nella rievocazione di esperienze passate e, non ultimo, nel lavoro dei professionisti che si affidano all’intelligenza del loro naso, come i profumieri-compositori e i sommeliers.

2. Peculiarità cognitive dell’olfatto

Cominciamo da alcune curiosità che denotano la singolarità cognitiva dell’olfatto rispetto alle altre modalità di senso. Anzitutto la sua imprevedibilità legata alla radicale variabilità individuale e intraindividuale: sottoposti alla stessa concentrazione di una sostanza, per es. al profumo di limone, nasi diversi danno risposte differenti, alcuni ne avvertono subito la presenza, altri invece hanno bisogno di una concentrazione della sostanza cinquecento o mille volte superiore, e una persona che un giorno sente perfettamente l’odore di una certa sostanza, l’indomani ha bisogno di un dosaggio molto più alto o viceversa. Data la sostanziale variabilità della soglia di stimolazione intrapersonale, tutt’altro che assoluta, possiamo supporre che se i nostri occhi funzionassero come il naso dovremmo cambiare un paio di occhiali al giorno. Ma la sensibilità agli odori varia biologicamente anche tra sessi differenti, per cui le donne sono in genere più olfattive degli uomini per ragioni ormonali, neurali e culturali (hanno con gli odori quella speciale confidenza che viene sia dalla raccolta e dalla preparazione degli alimenti, sia dai riti della toilette), e persino tra gruppi umani differenti: le persone di colore avendo la mucosa olfattiva più scura vantano un naso più fine, mentre gli albini, mancando del pigmento che dà colore alla mucosa, hanno un odorato poco sviluppato.

L’olfatto è poi la porzione più esteriorizzata del nostro cervello: i recettori olfattivi alloggiati nell’organo periferico (epitelio olfattivo) sono, in effetti, neuroni veri e propri. Questa eccessiva vicinanza con l’esterno li rende però particolarmente vulnerabili, nel senso che l’aggressione di agenti esterni come virus o batteri ne accorcia enormemente il ciclo vitale (variabile dalle quattro alle otto settimane) ed ecco anche perché sono tra i pochissimi tipi di neurone a godere del lusso, non certo superfluo, della neurogenesi permanente. Il naso è inoltre l’unico senso a diretto contatto con il cervello, in particolare con quella parte di esso che controlla emozioni, stati d’animo, istinti e appetiti, incluso quello sessuale, e alcune operazioni della memoria. Gli odori che avvertiamo seguono infatti una scorciatoia: a differenza delle altre informazioni sensoriali non passano dal talamo per un’analisi preliminare ma vanno a stimolare direttamente le aree del cervello viscerale o sistema limbico, una delle zone più arcaiche del nostro encefalo, scatenando comportamenti immediati, risposte istintive, senza attendere il giudizio delle nostra riflessione. Le deboli connessioni con la neocorteccia e con i centri del linguaggio chiariscono poi in parte le ragioni delle difficoltà che tutti noi incontriamo a parlare degli odori (Holley 1999: 185-191; Buck 2000: 625; Brand 2001: 40-3).

Ma la singolarità del percorso che conduce gli odori dal naso al cervello spiega altresì un altro tratto di unicità di questo senso, cioè la risonanza emotiva e lo straordinario potere evocativo. Gli odori che percepiamo, in effetti, sono sempre carichi di emotività, suscitano stati d’animo associabili alle esperienza individuali, ci disgustano o ci deliziano, ci avvertono di un pericolo o di una presenza gradita, orientano le nostre scelte attrattive o repulsive, ma difficilmente ci lasciano impassibili. Frequentemente illustrato dalla letteratura e dall’arte, e sfruttato dall’aromaterapia che ricorre ad aromi ed essenze per migliorare lo stato di salute fisica ma anche emotiva, spirituale e mentale, il legame tra odori ed emozioni è a tutt’oggi trascurato sia dalla scienza dell’olfatto, sia dalla scienza delle emozioni (cfr. Van Toller 1997). Se è vero che odori ed emozioni si condizionano reciprocamente, è anche vero che le nostre emozioni hanno odori diversi e riconoscibili. Espressioni come ‘fiutare un pericolo’ o ‘sprizzare felicità da tutti i pori’ non sono solo metafore ma a quanto pare hanno un fondamento biologico. Come per moltissime specie animali annusare un pericolo determina uno stato di allarme e provoca la secrezione di sostanze chimiche che modificano l’odore corporeo (i feromoni), segnalando ai cospecifici la presenza di un pericolo, alcuni esperimenti hanno dimostrato che anche gli umani di fronte a una scena di terrore o a un film comico emanano l’’odore della paura’ o l’’odore della felicità’ (Chen, Haviland-Jones 2000).

L’incidenza degli odori sull’umore e sulle emozioni è testimoniata anche sul versante patologico dai casi di anosmia. Le persone che per cause diverse hanno perso l’odorato, e quindi anche il gusto, dipendente in larga parte da esso, lamentano un calo dell’élan vital, la perdita del sapore della vita e dei piaceri che essa sa darci, dai piaceri estetici alla buona tavola, fino ai piaceri sessuali: senza olfatto è come vivere «in una specie di limbo» (Ackerman 1990: 43), osserva un matematico divenuto anosmico, tutto diventa monotono e anonimo e diminuisce l’interesse per la vita. L’eccessiva compromissione del naso con le emozioni non ne giustifica tuttavia la svalutazione cognitiva se pensiamo che il corpo è inseparabile dall’anima, che non si danno pertanto ragioni senza passioni e viceversa, e se con Aristotele condividiamo l’idea che la specie-specificità dell’animale umano risieda nel fatto di essere ‘intelligenza che desidera e desiderio che ragiona’ (EN).

Gli odori hanno ancora l’impareggiabile potere di materializzare i nostri ricordi più intimi, di accendere l’interruttore della memoria, di renderci presenti eventi lontani nel tempo, riportandoci improvvisamente all’infanzia o a un episodio della nostra vita passata rievocato con ricchezza di particolari attraverso una semplice zaffata, che a seconda dei casi ci inonda di nostalgia, di malinconia, di gioia o di tristezza. Niente, insomma, è più memorabile di un profumo, capace di resistere al logorio del tempo come nessun altro dato sensoriale. Questo fenomeno, al contempo comune e speciale, noto come ‘sindrome di Proust’ — da una famosa pagina del primo libro della Recherche, in cui lo scrittore evoca un episodio della sua infanzia legato al sapore e all’odore di un pezzetto di madeleine (1913: 133) —, dimostra la capacità degli odori di attivare la memoria episodica, custode dei nostri ricordi autobiografici. La ricerca scientifica attesta l’assoluta singolarità cognitiva della memoria olfattiva: laddove il passare del tempo affievolisce gli stimoli visivi e verbali, non sembra incidere sugli stimoli olfattivi, la cui speciale codifica olistica (non isolata dal contesto della sensazione d’origine) li rende particolarmente resistenti all’oblio, nonostante vengano immagazzinati per lo più in modo accidentale e involontario (cfr. Engen 1982, 1987; Herz, Engen 1996; Schab 1991; Zucco 2000).

La memoria olfattiva si sottrae però al potere della parola, ai tentativi di fissarla attraverso il linguaggio: così tutte le volte che riconosciuto con certezza un odore cerchiamo di identificarlo riconducendolo a una classe e designandolo con un nome le parole ci abbandonano. Un’altra specificità del naso, definito non a caso il «senso muto, l’unico privo di parole» (Ackerman 1990: 2), che della sua difficoltà a descrivere gli odori ha fatto il suo punto di forza. Così per sopperire alla mancanza di un vocabolario specifico, la lingua attinge alle sue risorse più creative: metafore, metonimie, perifrasi, analogie, che rinviano in maniera incerta, approssimativa, ma anche poetica, ad altre esperienze sensoriali, alle fonti o a impressioni soggettive. «Quando il linguaggio — osserva E. Cassirer (1923: 170) — cerca d’indicare determinate qualità olfattive, si vede per lo più costretto a seguire la via indiretta delle parole indicanti cose, che esso ha coniato sulla base di altri dati intuitivo-sensibili». Così di un odore diciamo che è ‘dolciastro’, ‘acre’, ‘penetrante’, ‘pungente’, ‘caldo’- ricorrendo a metafore sinestetiche, ovvero a espressioni linguistiche che utilizzano termini riferiti ad una modalità sensoriale per descriverne un’altra — oppure ‘di arancia’, ‘di rosa’, ‘di pesce’, ‘di denti guasti’, o ancora ‘è disgustoso’, ‘inebriante’, ‘mi ricorda l’odore di chiuso dell’armadio della nonna’, ecc. Ma se andiamo ‘a ficcare il naso’ — è veramente il caso di dirlo! — fuori dal mondo occidentale, come ci insegna l’antropologia degli odori, scopriamo l’esistenza di «culture olfattivamente orientate» (Le Breton 2006: 279), che pensano al mondo, si orientano al suo interno e se lo rappresentano prevalentemente in termini olfattivi, di popoli come i Desana che, vivendo nella fitta foresta amazzonica colombiana dove la vista è poco utile, hanno modalità d’esistenza dettate dal naso (non a caso si autodefiniscono wira, cioè ‘popolo che annusa’): l’identificazione delle prede nella caccia, l’orientamento nello spazio, l’individuazione di un nemico, le pratiche religiose, la scelta degli alimenti e anche la loro modalità di cottura sono regolate dagli odori (Classen et al. 1994: 98-122). Le lingue di alcune di queste popolazioni (per esempio nel mondo arabo-musulmano) presentano tra l’altro una ricchezza di termini specifici per gli odori che non trova riscontro nelle lingue dei popoli occidentali, popoli dalla mentalità visivo-acustica e poco attenti agli effluvi invisibili circostanti (cfr. Aubaile-Sallenave 1999). Tale è il caso della lingua africana Kapsiki, parlata dal gruppo etnico dei Kapsiki/Higi, che conta 14 lessemi relativi ad altrettanti odori e ci offre un esempio significativo del valore che tanti popoli diversi dal nostro riconoscono al ‘senso muto’ (Van Beek 1992).

Oltre a farci viaggiare nel tempo, un odore, più di un’immagine o di un suono stuzzica l’immaginazione, ci fa volare con la fantasia — come affermavano anche J. J. Rousseau (1762: 186) e G. Bachelard (1960: 148 ss.)^[1] — e solletica il palato permettendoci di assaporare e di degustare gli alimenti e le bevande come il vino, un privilegio esclusivo degli animali umani, le uniche creature capaci di cuocere i cibi, di gustarli e di apprezzarne l’aroma, ma anche le uniche capaci di pensare gli alimenti e di avere con essi un rapporto simbolico, laddove gli altri animali si limitano a sfamarsi e a dissetarsi. Solo noi umani abbiamo trasformato il mangiare e il bere in un piacere che si concretizza nel rituale della convivialità e in un sentire sapiente inaugurato dal gusto: dopo tutto, il verbo italiano ‘sapere’ deriva dal latino sapere, con il significato di ‘assaporare’, ‘gustare’, ‘avere sapore di’, ‘avere odore’ e ma anche di ‘conoscere’. Pensiamo mai a quanto l’olfatto sia importante per l’apprezzamento dei sapori delle pietanze? Affiancando e arricchendo il lavoro della lingua, il naso nobilita e valorizza la capacità elementare del gusto (limitata a quattro sensazioni fondamentali: dolce, amaro, acido e salato, cui di recente si è aggiunto l’umami, un gusto sapido legato al glutammato di sodio in uso nella cucina asiatica) che è prevalentemente una ‘questione di naso’. Infatti, quando siamo raffreddati perdiamo anche il piacere di assaporare gli alimenti, nonostante la lingua conservi il suo stato normale; e se mangiamo chiudendoci le ali del naso non sentiremo alcun sapore, se non in modo imperfetto (non saremo in grado di distinguere una fetta di di mela da una fetta di pesca). Possiamo affermare dunque che si mangia e si beve col naso oltre che con la bocca: la tentazione stessa del caffé ancora più che dal sapore nasce proprio dal suo aroma intenso.

3. Riconoscere ‘a naso’

Di questo senso incuriosisce anche quel suo essere ‘estremo’, che è poi un paradosso: da una parte, l’olfatto è il senso il più primitivo e più grezzo, quello che più d’ogni altro dice la nostra natura animale, la nostra vita viscerale ed emozionale e i nostri piaceri più ‘densi’; dall’altra parte, è il più raffinato e sofisticato, l’unico che ci permetta di penetrare nell’intimità delle persone, di aspirarne gli stati d’animo e di inalarne gli odori più ‘indiscreti’, di scoprire e di mettere a nudo alcuni aspetti della natura più profonda delle cose, delle situazioni, dei luoghi, degli alimenti e delle bevande come il vino, aprendoci persino le porte della nostra intimità. La doppia valenza del naso si riflette anche nelle reazioni che scatena negli umani: per un verso, noi tendiamo ad annullare il nostro odore personale, la ‘firma chimica’ (passaporto olfattivo) assolutamente unica che indossiamo e che ci identifica con certezza non inferiore a quella delle impronte digitali — rendendoci riconoscibili al nostro compagno o ai nostri familiari — attraverso un eccesso di pulizia e di pratiche igieniche; per un altro verso, cerchiamo di sostituire o di dissimulare il nostro odore con detergenti profumati, deodoranti e profumi artificiali, che tuttavia non riescono mai ad annullarlo. L’odore personale, di cui siamo consapevoli solo quando subisce significative alterazioni a causa di una patologia, di un cambiamento dell’umore, di una forte emozione o di una particolare alimentazione, non sfugge tuttavia ai nasi prodigiosi di persone cieche e ancora di più cieco-sorde, dotate di una raffinatissima capacità di riconoscimento olfattivo. Nella sua autobiografia Helen Keller racconta come le informazioni olfattive le svelassero persino il carattere delle persone:

gli odori umani sono altrettanto svariati e riconoscibili quanto le mani e le facce (…). Alcune persone hanno un odore vago, non sostanziale, che aleggia loro intorno, eludendo ogni sforzo d’identificazione. Qualche volta m’imbatto in taluno a cui manca uno specifico odore personale, e di rado trovo questa persona vivace o interessante. Colui, invece, che esala un odore pungente possiede grande vitalità, energia e vigore di mente. Le esalazioni maschili sono generalmente più forti, più vivide, più distintamente differenziate di quelle femminili. Nell’odore dei giovani vi è qualcosa degli elementi, come di fuoco, di tempesta, di mare. Esso vibra di ardimento e di desiderio […] . Mi domando se altri hanno osservato che tutti i bambini esalano il medesimo odore, puro, semplice, indecifrabile, come la loro dormiente personalità (1908: 51-3).

L’unicità dell’odore individuale è dimostrata da un’evidenza a tutti nota: indossato da persone diverse, un medesimo profumo interagisce con i singoli odori corporei e sortisce effetti differenti. Ecco perché è ingenuo pensare che i profumi possano mascherare gli odori naturali. Si aggiunga che le nostre scelte non sono casuali, giacché siamo in genere inclini ai profumi più affini alla nostra biochimica.

Gli odori scortano inoltre ogni momento della nostra esistenza, dato che ogni respiro comporta necessariamente un’annusata. L’olfatto pertanto non può essere volontariamente disattivato, per questa ragione Kant lo definiva un senso «contrario alla libertà» (1798: 578-9). E anche se avvertiamo gli odori in modo confuso, essi parlano comunque del mondo che ci circonda e, al di là della nostra consapevolezza, condizionano precocemente i nostri comportamenti socio-emozionali e le nostre relazioni interpersonali. Ci sono odori evocativi come quello di borotalco dell’infanzia, odori che preferiremmo non sentire come gli effluvi di un autobus affollato in piena estate, odori che ci rassicurano e ci consolano come quelli dei nostri affetti più cari. Proprio grazie alla tempestiva attivazione dell’olfatto nella vita prenatale e proprio grazie alle esperienze e alle preferenze olfattive acquisite nel grembo a contatto con gli aromi degli alimenti graditi dalla madre (che non essendo metabolizzati conservano il loro odore originario), fin dal prime ore di vita un neonato riconosce la sua mamma anzitutto dall’odore, quello del seno, del collo e del latte, molto simile all’odore del liquido amniotico che lo ha cullato e nutrito. L’importanza dell’odore nella creazione dei legami d’attaccamento tra madre e figlio e nella creazione di un dialogo ‘profumato’ tra i due è attestata peraltro dalla prontezza esibita, a sua volta, dalla madre nel riconoscere a naso il suo neonato già poche ore dopo la nascita. Così, gli indici olfattivi svolgono un ruolo cruciale nella nostra ontogenesi, segnando ‘l’esordio’ della socialità e della cognizione: il primo linguaggio intimo tra madre e bambino sarebbe quindi affidato al naso e alla straordinaria capacità dell’odore di penetrare nella memoria già dall’esistenza prenatale .

Sebbene non vi prestiamo attenzione, durante tutta la vita noi umani stabiliamo legami e avversioni anche attraverso il naso, dai legami d’amicizia ai legami di coppia, ai rapporti professionali, fino a quelli con persone di un’altra categoria sociale (per es., il povero, la prostituta, l’omosessuale) o di un’altra etnia. Quando incontriamo una persona la annusiamo, come fanno gli animali: non a caso, in genere giudichiamo gradevole l’odore delle persone amiche e sgradevole o indesiderato quello di persone sconosciute o che a pelle non ci piacciono, probabilmente anche per il loro odore. Per non parlare poi della funzione semiotica svolta dall’odore personale nei rapporti amorosi, dove appunto l’odore diventa un ingrediente fondamentale del desiderio e dell’attrazione sessuale. Perché un uomo e una donna si scelgono? Non c’è bisogno di scomodare la scienza per sapere che il partner si sceglie anche sulla base di un’affinità stabilita attraverso il naso e che gli odori sono agenti essenziali del gioco seduttivo e della vita sessuale: la compatibilità tra due anime e i loro corpi è anche frutto di un’alchimia olfattiva. Ci accorgiamo di amare una persona quando di lei gradiamo gli odori più indiscreti e più intimi. Quando invece il profumo del partner non ci piace più è l’indizio di un’intesa ormai logora. Nel bene e nel male, gli odori agiscono sulla nostra vita sessuale rafforzando i legami intimi e favorendo l’abbandono, oppure suscitando repulsione e fastidio. Test clinici dimostrano come all’interno di un coppia il non gradimento dell’odore del compagno possa determinare il fallimento della relazione (Schiffman, 1997: 164). Senza contare poi che amare una persona modifica sia il nostro odore, sia la nostra percezione dell’odore dell’altro. Cogliendo i legami dell’olfatto con il desiderio, Rousseau affermava che «esso ha nell’amore effetti notissimi; il dolce profumo di un gabinetto da toilette non è una trappola così debole come si pensa; io non so se si deva felicitare o compiangere l’uomo saggio e poco sensibile, che l’odore dei fiori portati dalla sua amante sul seno non abbia mai fatto palpitare» (1762: 186-7).

Per non parlare del significato erotico attribuito al naso per la sua forma sporgente assimilabile ad altre protuberanze: infatti, nel linguaggio metaforico il naso assume spesso un significato fallico. Nella Grecia antica gli uomini con un grande naso erano considerati particolarmente virili, al punto da consolidare l’usanza, cui fa riferimento Virgilio nell’Eneide, di punire gli adulteri con la sua amputazione. Ma al di là di quelle che possono sembrare delle pure divagazioni, sul nesso biologico tra il naso e il sesso non mancano comunque evidenze scientifiche (cfr. Cavalieri, 2009: §§ 2. 3. e 2. 6.). Curiosamente, anche l’atto del concepimento è frutto di una seduzione di tipo chimico: un team di scienziati israeliani e americani ha scoperto che l’arma impiegata dall’ovulo maturo per condurre verso di sé gli spermatozoi è una molecola odorosa dispersa nell’organo sessuale femminile, un profumo di ‘vita’ che sedurrà uno spermatozoo e uno solo (cfr. Soldera 1995: 27-8).

4. Nasi intelligenti

Benché l’atto del fiutare ci assimili alle bestie e ci rinvii alle nostre origini animali, il nostro naso ‘pensa’, ‘riconosce’, ‘categorizza’, ‘giudica’, ‘crea’, ‘parla’ e contribuisce ai piaceri dell’esistenza. D’altronde, pur essendo classificati come una specie microsmatica, cioè poco olfattiva, noi umani siamo gli unici animali capaci di comporre gli odori per creare un profumo, di apprezzarne le qualità estetiche, capaci di descrivere a parole gli aromi di un vino o di una pietanza. Se la nostra sensibilità olfattiva è all’incirca duecento volte inferiore a quella di un cane, la straordinaria duttilità dell’odorato agli apprendimenti e alle influenze dell’ambiente fa tuttavia sì che esso si possa sviluppare con l’esercizio a qualunque età. Basta metterlo alla prova per accorgersi di quali prodezze è capace la mente umana. Una chiara evidenza della plasticità, ma anche dell’intelligenza e della genialità del naso, ci viene da una professione poco conosciuta e riservata a un’élite, i cosiddetti ‘nasi’, nel senso dei ‘nasi’ per antonomasia: i creatori di profumi.

Sin dalla notte dei tempi gli uomini hanno provato e suscitato emozioni cospargendosi di sostanze aromatiche e di unguenti che spalancano mondi nascosti sollecitando la nostra fantasia, turbandoci e affascinandoci, esattamente come ci accade di fronte ad un’opera d’arte. Simbolo del lusso per eccellenza, il profumo, con i suoi ingredienti preziosi e la sua complessità strutturale, è da sempre espressione della volontà umana di distinguersi e quindi comunicazione: indossarlo significa comunicare la propria presenza, un po’ come fanno gli animali, e per farlo bisogna scegliere un profumo che rappresenti la nostra personalità. L’arte della profumeria oltre a investire la dimensione emotiva della percezione olfattiva, apre una finestra privilegiata sull’indagine dei processi cognitivi coinvolti appunto in questa forma di percezione ed è perciò un ambito interessante per esplorare il nesso tra l’emozione e la cognizione (Holley 2002): «un naso è innanzitutto talento, immaginazione, fantasia, genialità. Parte da un’emozione per associarla all’idea di un odore, sente in anticipo il profumo che vuole creare, prevedendo l’accordo tra le note» (Tonatto, Montrucchio 2006: 4).

Al pari degli enologi, i profumieri, devono aver sviluppato una competenza olfattiva (un ‘sapere’ che è anche un ‘saper fare’ sensoriale), cioè un’expertise, frutto di una lunga formazione personale e professionale che prevede l’acquisizione di altissime abilità tecniche e scientifiche nonché di una certa competenza artistica, trattandosi di un mestiere in cui scienza e arte si fondono perfettamente; e poi, ancora, viaggi per il mondo a caccia di odori sconosciuti, di idee nuove, di ‘immagini’ e di suggestioni olfattive e anche di ingredienti naturali. Insomma, fatta salva una certa sensibilità di base, nasi ‘si diventa’ attraverso anni e anni di apprendistato olfattivo, un passaggio obbligato in cui si mette a punto una solida memoria olfattiva, immagazzinando migliaia di odori che devono essere riconosciuti e discriminati, per poi essere combinati (o anche scissi, quando si deve interpretare una formula), fino a realizzare il profumo tanto vagheggiato.

Il creatore di profumi si affida alle sue straordinarie capacità di percezione, di attenzione, di memoria e di immaginazione olfattiva, al giudizio e all’intelligenza del naso e ovviamente al suo genio olfattivo, per cercare di fermare un’emozione e un ricordo nel profumo che sta creando, e per provocare in chi lo indosserà risposte emozionali, sensazioni di benessere e di armonia. Questi «esteti dell’olfatto» (Le Breton 2006: 273), compositori di odori come i musicisti lo sono dei suoni, i cuochi dei sapori, e i pittori dei colori, capaci di evocare un odore anche in sua assenza, capaci cioè di annusare con l’immaginazione, si creano prima un’immagine nella mente per giungere, dopo innumerevoli approssimazioni, alla formula conclusiva e finalmente alla sua realizzazione pratica, con l’intento di trovare l’armonia o l’equilibrio tra le diverse note, tra i diversi accordi composti — proprio come accade a un musicista — attorno a un tema: «la profumeria è parente prossima della musica — afferma Sophia Grojsman, un ‘naso’ brillante di origine russa — (…). In un certo senso, creare un aroma è un po’ come comporre musica, perché c’è la stessa necessità di trovare gli accordi giusti» (cit. in Ackerman 1990: 52-3). Un ‘naso’ deve avere sviluppato una memoria olfattiva eccezionale, la capacità di rappresentarsi mentalmente gli odori che rientreranno nella composizione di un profumo e quindi di giudicare idonee certe componenti scartandone della altre. Prima ancora di miscelare gli ingredienti, egli ‘sente nella testa’ il profumo che dovrà creare, se lo costruisce mentalmente attingendo alla sua straordinaria memoria e immaginazione olfattiva. Insomma, come osserva Edmond Roudnitska, uno dei più grandi profumieri-compositori del ventesimo secolo, la profumeria «è una materia astratta» (1980: 21), così com’è astratta per la maggior parte delle persone la nozione di ‘profumo’.

Ma l’attitudine cognitiva del naso e soprattutto la sua linguisticità trovano espressione anche nel lavoro dei sommeliers professionisti. Questi «solisti del naso» (Candau 2000: 53) per imparare a degustare un vino si esercitano a riconoscere e a descrivere le diverse famiglie aromatiche e i relativi sottocomponenti di un vino fino a diventare ‘nasi linguistici’. Nella percezione di un vino l’odorato è il senso in assoluto preponderante e procura l’80’ del piacere della degustazione. Una delle grandi ironie culinarie è che la degustazione di un vino, ma anche di una pietanza, dipenda più dall’odorato che dal gusto: l’odorato è, infatti, il senso principale della degustazione (Peynaud 1980: 27). La degustazione trova il suo naturale completamento in quel complesso compito cognitivo che è la discriminazione e la descrizione delle diverse e fugaci componenti aromatiche e dei sapori di un vino (il bouquet di un vino complesso, determinato dalla presenza di profumi primari, secondari e terziari, legati rispettivamente al vitigno, alla fase di vinificazione, ai processi di affinamento), la fase appunto più complicata ed emozionante della degustazione: trovare le parole giuste che, senza tradirlo, traducano e trasmettano la sottigliezza aromatica del divino nettare è un compito sapiente dei sommeliers, autentici ‘nasi pensanti e linguistici’. Così, se l’atto del bere è generalmente muto, la degustazione, un’abilità specificamente umana, deve necessariamente essere parlante.

Ma da cosa dipende la loro eloquenza descrittiva legata agli odori del vino? Indubbiamente essa non è frutto di una differente sensibilità olfattiva, quanto piuttosto di una diversa formazione, di un esercizio particolare, di un’expertise acquisita, anche nel loro caso, attraverso un lungo tirocinio professionale e avviata con la formazione di una solida memoria olfattiva: un costante lavoro di memorizzazione delle sostanze odorose grazie al quale è possibile individuare, in tempi più o meno brevi, procedendo soltanto per analogia con un odore conosciuto che gli assomigli e che lo evochi, una vastissima gamma di odori. La memoria olfattiva è il pilastro della degustazione: si può riconoscere e identificare solo ciò che si è già sentito. La finissima capacità di discriminazione degli odori si acquisisce comunque col tempo e con l’accumularsi delle esperienze sia in natura e sia in profumeria. Contestualmente è necessaria l’acquisizione di un lessico della degustazione — e specialmente degli odori — stabilito per convenzione, di una terminologia negoziata e codificata ai fini della comprensione reciproca degli esperti e della condivisione di una sensorialità, in cui comunque ciascun professionista non può del tutto astrarsi dalle proprie idiosincrasie percettive, influenzate anche dai ricordi infantili (i più radicati). Pertanto, nella degustazione c’è sempre un margine di soggettività. Di fatto però, il vocabolario della degustazione, tutt’altro che oscuro, trasforma parole abituali in un senso figurato ed evocativo e con esse tenta di accerchiare la verità sempre sfuggente di un vino e della sua storia. Chi, tra gli assaggiatori comuni, direbbe mai di aver ritrovato in un vino interessante sentore di pelliccia bagnata, oppure di liquirizia, di fieno, di cacao, di mandorla, di burro, di cuoio, o ancora di pipì di gatto, di ceralacca, di catrame, di alghe marine? Possono farlo solo i ‘nasi linguistici’.

5. Olfatto e corporeità della conoscenza

Nonostante la nostra scarsa consapevolezza, l’olfatto si configura quindi come uno tra i più efficaci strumenti di comunicazione tra mente e corpo. Lasciar parlare il naso e soprattutto ‘ascoltarlo’ vuol dire quindi riconoscere il valore corporeo della conoscenza, ‘naturalizzare’ il sapere, come si usa dire nel panorama attuale delle scienze della mente, e sottolineare come l’atto dell’annusare implichi un vero e proprio processo di cognizione. E non me ne vogliano i razionalisti ortodossi se sono convinta che usare quest’appendice carnosa così diversa da quella degli altri primati — come l’ha definita lo zoologo D. Morris (1967: 71) — in buona sostanza significhi anche usare la testa! Vorrei concludere pertanto con un invito a ritrovare un senso che abbiamo smarrito molto tempo fa, a scoprire l’intelligenza, il talento del nostro naso e il suo fascino straordinario, ad allenarlo quanto più possibile e a prestare attenzione senza timore o imbarazzo al ricco e variegato universo di odori, di profumi e anche di puzze in cui siamo immersi e che ci offre un accesso unico alla conoscenza del mondo. Impariamo perciò a godere delle gioie e dei piaceri che questo senso sa darci, avvicinandoci al mondo nel modo più diretto, intuitivo, interiore e — perché no? — anche più godibilmente sensuale, cogliendo l’odore fugace: «quel particolare immenso», come lo ha descritto Gaston Bachelard (1960: 153), capace di penetrare nel cuore delle cose e delle persone. Credo che solo così restituiremo all’olfatto il posto che merita.

6. Riferimenti bibliografici

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