Husserl interprete di Kant

1. La fenomenologia come filosofia sui generis

La fenomenologia di Husserl si presenta come una ricerca teoretica che si pone dentro e fuori la filosofia occidentale. Di questo è consapevole lo stesso Husserl, il quale da un lato intende inserirsi nella tradizione filosofica occidentale e dall’altro la sottopone a critica, perché ritiene che non abbia portato a compimento l’intenzione profonda, che aveva mosso i primi filosofi greci. Tale intenzione riguardava la scoperta di un punto di partenza radicale, di un nuovo inizio per la conquista riflessa, teoretica del significato della realtà.1 La filosofia, infatti, non accetta per suo statuto di muoversi a quello che egli definisce «livello naturale», vuole cambiare atteggiamento per andare in profondità, per rispondere alla questione riguardante il senso delle «cose stesse», cioè di tutte le stratificazioni teoretiche, pratiche e culturali, che caratterizzano l’essere umano nel suo tentativo di orientarsi nel mondo. Per tale ragione è necessario un lavoro di scavo, una regressione alla ricerca di un «territorio», come lo definisce Husserl, che può essere considerato un terreno esplicativo. Lungo l’arco della sua indagine filosofica egli ha cercato, individuato e descritto tale territorio, che consente di entrare nella complessità del reale: l’essere umano, la natura e Dio. Secondo la sua impostazione, non è possibile affrontare le questioni riguardanti il senso di tali realtà, se non ci si domanda chi ne ricerca il senso.

Se l’obiettivo è quello di cogliere il senso della realtà, quest’ultima è sempre una realtà per l’essere umano, il quale deve possedere gli strumenti che gli/le consentono di coglierla. In tal modo si delinea il primato della questione della conoscenza umana, non perché tutto si risolva nel conoscere, ma perché il conoscere è lo strumento fondamentale per comprendere come sono fatte le cose.

Husserl giunge a questa convinzione, che lo porrà in continuità con l’impostazione prevalente nella filosofia moderna attraverso una via particolare, quella della nascente psicologia. La sua formazione di matematico lo conduce a chiedersi quale siano il valore conoscitivo e la genesi dello stesso sapere matematico ed egli si rende conto che deve regredire alle operazioni che lo costituiscono. In un primo momento ritiene che la psicologia possa dare una risposta alla sua domanda; infatti, la sua prima opera la Filosofia dell’aritmetica affronta la questione sulla linea dell’interpretazione della psiche proposta da Franz Brentano, le cui lezioni Husserl seguì a Vienna tra il 1884 e il 1886. Egli intende rintracciare la genesi del numero facendola risalire ad una particolare operazione, quella del «legame collettivo», che è un’operazione squisitamente psicologica. Tuttavia, in tal modo, egli indaga le fonti costitutive che riguardano il soggetto e quindi sta entrando in quel territorio che ancora non intravede, ma che cerca, spinto dall’insoddisfazione sia dell’indagine psicologica sia di quella della logica, verso la quale si era rivolto per comprendere il senso della matematica dopo l’aspra recensione alla sua prima opera, mossa dal logico e matematico Gottlob Frege.

Attraverso la psicologia di Brentano, il quale ricerca il significato degli atti psichici non utilizzando gli schemi della psicofisica d’impostazione positivista, ad esempio quella di Wilhelm Wundt, e quindi facendo entrare un’analisi qualitativa, di tipo filosofico nel campo della psicologia, Husserl nel 1907 in L’idea della fenomenologia2 può finalmente dare i risultati del suo iniziale percorso teoretico, annunciando che la sua indagine si configura come una fenomeno-logia, cioè una riflessione-descrizione dei fenomeni che si presentano alla soggettività umana e, primi fra tutti, i fenomeni costituiti dagli atti di coscienza.

La psicologia e la logica avevano preparato la strada verso l’individuazione del nuovo territorio; ma è opportuno ripercorre analiticamente la via intrapresa da Husserl perché il risultato raggiunto è centrale per comprendere gli sviluppi successivi del suo pensiero.

2. Il metodo fenomenologico

Per raggiungere il nuovo territorio, in realtà, Husserl segue molti percorsi. Usando immagini relative agli spostamenti umani nello spazio, si può dire che Husserl combini due tipi di ricerca, quella dell’archeologo e quella dell’esploratore, anzi queste due attività sono usate non solo come metafore, ma come autentici paragoni, in quanto l’elemento che li accomuna, lo stile unitario, è rappresentato dal fatto d’essere atteggiamenti rivolti a raggiungere una meta e ciò caratterizza ogni vita umana, la quale tende sempre ad uno scopo, anche se spesso non è chiaramente delineato, o addirittura se essa è segnata dal fallimento; quando si osserva che una vita è fallita s’intende, infatti, che non si è conseguito uno scopo.

Il nuovo inizio, la nuova sfera d’essere, come la chiama Husserl nel primo volume delle Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica3 è rintracciato attraverso molti percorsi, che Husserl chiama «vie della riduzione», dove il termine riduzione ha il senso d’eliminazione di ciò che è superfluo per giungere, appunto, alla meta. E mentre si percorre il cammino molte cose sono messe da parte, l’eliminazione non è distruzione, ma è accantonamento e non utilizzazione. Husserl, che era un matematico, assimila il suo percorso ad un procedimento usato nel calcolo matematico, quello della messa in parentesi, dove, però, ciò che è tra parentesi continua a vivere anche se non è attivato.

Preliminare è, infatti, procedere a sgomberare il terreno dall’atteggiamento di ricerca prevalente alla fine dell’Ottocento in tutta Europa e certamente molto presente in Germania, quello proprio del Positivismo, che rivendicava, in nome della ricerca scientifica di tipo sperimentale, il primato di ciò che concreto, nel senso di sperimentabile, d’accertabile fattualmente. Il «fatto» costituiva, secondo la mentalità positivista, il punto iniziale d’avvio per qualsiasi ricerca e ciò poteva rappresentare anche un avvio valido — si pensi all’importanza attribuita nella storiografia al documento, come fatto concreto dal quale iniziare una ricerca —, ma se il fatto era considerato come punto di partenza nell’ambito della filosofia, si tradiva il significato stesso della ricerca filosofica, che ha sempre avuto di mira il senso del fatto e non la constatazione fattuale.

La novità del punto di vista di Husserl — ed anche dei suoi numerosi discepoli — si chiarisce proprio con riferimento alla dilagante mentalità positivista nel tentativo d’essere fedeli nei confronti dello spirito della ricerca filosofica, quindi di una tradizione ininterrotta, che egli conosce attraverso Franz Brentano, studioso di Aristotele e di questioni metafisiche, come quella riguardante l’essere, oltre che interessato alla nuova scienza, la psicologia. E la tradizione filosofica ha ricercato il senso del fatto andando oltre tutte le formazioni culturali, che spesso si fermano alla superficie della realtà.

La prima riduzione è, pertanto, secondo Husserl, quella che mette fra parentesi tutto ciò che ostacola l’evidenziazione di ciò che è essenziale, perché ogni «cosa», materiale, intellettuale, spirituale ha un’essenza che si offre alla visione, al coglimento dell’intuizione intellettuale. Certamente le cose del mondo fisico non si offrono immediatamente a tale intuizione nella loro totalità, perché sono colte per adombramenti, ora da un lato, ora dall’altro e, quindi, è necessario procedere per approssimazioni, ma ciò non significa che non possano essere comprese. Tuttavia, sia che la visione sia adeguata o non adeguata, può essere trasformata in un vedere eidetico che è, appunto, offerente attraverso l’intuizione — Husserl usa il termine greco eidos per indicare l’essenza, e quelli tedeschi Wesen ed Essenz.

Naturalmente nell’ambiente filosofico positivista la proposta di Husserl fu considerata come un ritorno al passato, ad un platonismo accettato acriticamente. Egli osserva che le essenze o le idee di cui parla non sono oggetti in senso metafisico, ma oggetti in senso logico-gnoseologico, i quali sono usati dalle stesse scienze — si pensi alla matematica — e si trovano alla base delle formazioni logiche, in particolare della logica formale.

Qui Husserl affronta la questione movendo dal processo d’elaborazione intellettuale delle scienze teoriche e pratiche, che caratterizzano la cultura Occidentale e che sono tanto esaltate dai positivisti. E scrive: «In questo senso, la qualità acustica do, che nella serie dei suoni è un membro numericamente unico, oppure il numero 2 nella serie numerica, o anche la figura del cerchio nel mondo ideale delle formazioni geometriche, qualunque proposizione nel “mondo” delle proposizioni, in breve, qualunque elemento ideale, è appunto un “oggetto”».4

E aggiunge di non aver inventato il concetto generale d’oggetto, di cui tutti si servono e quelli che lo negano sono ciechi — la loro è una «cecità dell’anima» — perché non vogliono ammettere che ci siano essenze e intuizioni d’essenze.

Il ribadire ciò non rappresenta una novità nella tradizione filosofica; non a caso dietro la riduzione eidetica si scorgono le figure di Platone e Aristotele, anche se per Husserl, il quale non si è formato in una specifica corrente di pensiero, ma si potrebbe definire un autodidatta, si tratta più di una riscoperta che di una ripresa. D’altra parte la presa di posizione del Positivismo relativa al rifiuto della conoscenza essenziale è affermata, a suo avviso, sul piano filosofico e contraddetta sul piano scientifico, perché le stesse scienze della natura si servono, se non altro, delle matematiche sia quelle «materiali» come la geometria, sia quelle «formali» come l’aritmetica e l’analisi. Poiché tutto ciò si mostra con evidenza, è possibile, secondo Husserl, enunciare un principio fondamentale, un principio di tutti i principi, secondo il quale «ogni intuizione originariamente offerente è una sorgente legittima di conoscenza, che tutto ciò che si dà originalmente nell’“intuizione” [Intuition] (per così dire in carne e ossa) è da assumere come esso si dà ma anche nei limiti in cui si dà».5

Stabilita questa regola generale, si procede alla descrizione essenziale di tutto ciò che ci si presenta, con risultati certamente più o meno validi, perché, se teoreticamente tutto è riducibile ad essenza, di fatto una conoscenza essenziale immediata di tutta la realtà non è possibile, soprattutto della realtà naturale, come si è detto, altrimenti la ricerca non avrebbe ragione di esistere. È necessario notare, però, che ci sono territori ancora inesplorati e non solo nella realtà in cui siamo immersi, ma anche relativamente all’essere umano che ricerca. Per solito si contrappone o si stabilisce una relazione fra l’io e il mondo, come affannosamente ha fatto la speculazione dell’età moderna, ma il nodo è proprio questo: in quale modo raggiungere autenticamente tale correlazione. Se si permane in quello che Husserl definisce atteggiamento «naturale» — consistente nel ritenere la realtà come esistente e nell’assumerla come tale, perché mi si offre —, non si riesce a comprendere veramente il nesso che si cerca e si è sempre assaliti da dubbi sulla validità della conoscenza. Ed è a questo punto che Husserl si riferisce a Cartesio, cogliendo la sua intenzione profonda, ma anche i limiti della sua presa di posizione. La «tesi» dell’atteggiamento naturale, cioè il «porre» il mondo come esistente, non può essere rovesciata in antitesi, cioè la negazione del mondo, come sembra emerge nel dubbio universale cartesiano, secondo Husserl. Si tratta, piuttosto, di utilizzare ancora una volta l’operazione di messa fra parentesi per cambiare atteggiamento, tale operazione viene da Husserl definita epoché. Nel tentativo di metterne in risalto l’originalità, Husserl così si esprime: «Facendo questo, come è in mia piena libertà di farlo, io non nego questo “mondo”, quasi fossi un sofista, non metto in dubbio la sua esistenza, quasi fossi una scettico; ma esercito l’epochè “fenomenologica” (che mi vieta assolutamente ogni giudizio sull’esistenza spazio-temporale)».6 Si tratta di non ritenere il mondo della nostra esperienza o quello descritto dalle scienze come un terreno ultimo di conoscenza e in quest’operazione non sono coinvolti solo i pregiudizi, ma le scienze già costituite, le stesse teorie filosofiche ed anche noi stessi. La radicalità di tale operazione fa sorgere il dubbio che si tratti di un atteggiamento scettico; Husserl, però, insiste nel sottolineare che la messa fuori circuito non riguarda il mondo come eidos, ma solo l’attualità, l’esistenza intesa non in senso metafisico, piuttosto l’esistenza fattuale di cui parlano i positivisti; ciò consente di conquistare «una nuova regione d’essere finora non delimitata nella sua peculiarità».7

Ci si avvicina a questa sfera attraverso la constatazione della presenza, rilevata già a livello dell’atteggiamento naturale dell’io, dei vissuti e della coscienza; infatti, ognuno di noi, ogni io vive una serie di atti sempre mutevoli e continui di cui ha un immediata consapevolezza;8 rispetto a questa sfera di atti vissuti consapevolmente è possibile procedere ad un’analisi essenziale, per coglierne il senso. Tale sfera non è toccata dalle messa fra parentesi del mondo, né dalla messa fra parentesi dell’io concreto, empirico, esistente in senso psicologico, rimane come il terreno ultimo dal quale iniziare per risalire poi, dopo averlo analizzato, alla concretezza esistenziale ed empirica del mondo fattuale, che riceve in tal modo il suo senso proprio.

L’operazione di disvelamento di una sfera sempre ricercata dai filosofi, ma mai veramente raggiunta, può essere considerata come conducente alla dimensione «trascendentale». Husserl è consapevole che l’uso di alcuni termini-chiave per la sua ricerca possa trarre in inganno il lettore che li associa ad altre posizioni filosofiche, dalle quali derivano; pertanto sottolinea che essi «vanno intesi esclusivamente secondo il senso chiarito dalla nostra esposizione, e non già qualunque altro senso dato dalla tradizione o dalle abitudini terminologiche del lettore».9

Questo è un punto cruciale per la comprensione dell’analisi fenomenologica, che non sempre è stata colta secondo le intenzioni del suo iniziatore. Molti fraintendimenti, infatti, si sono verificati, molti tradimenti nei confronti delle indicazioni del maestro.

Esaminiamo la configurazione di questo territorio per capire l’utilizzazione di alcuni termini come io, coscienza, vissuti e trascendentale.

Questo nuovo territorio può essere compreso attraverso l’immagine di una lastra sulla quale si fissa ciò che viviamo, in un continuo fluire di iscrizioni. Uso il termine lastra per indicare che tale sfera esiste, ma non è facilmente individuabile, anzi proprio a causa della sua trasparenza è sempre sfuggita alla ricerca, anche se è sempre presente. Sulla superficie della lastra si danno, in un primo momento, i prodotti «finiti», gli atti vissuti già configurati, i quali, però, sono il frutto di un processo genetico che deve essere studiato attraverso uno scavo «archeologico». Dei vissuti configurati abbiamo consapevolezza e ciò giustifica il termine «coscienza», che non vuol dire conoscenza di secondo grado, cioè riflessione; l’essere-cosciente-di-se-stesso, usando la bella e precisa espressione di Edith Stein, si presenta come una luce che accompagna il flusso dei vissuti e che lo illumina per farlo presente. La riflessione si fonda sulla «coscienza originaria» che rende possibile la conoscenza della coscienza che accompagna i vissuti.10 La coscienza, pertanto, non è una scatola che contiene i vissuti, piuttosto è la modalità che caratterizza la lastra, su cui s’iscrivono progressivamente nella loro purezza gli atti vissuti; essi rimandano agli atti umani concreti, ma sulla lastra appaiono nella loro struttura essenziale di atti vissuti a diversi livelli e in varie modalità dall’io, che può essere esaminato in modo essenziale e strutturale come presente in ogni io concreto. La lastra ha, pertanto, una funzione «trascendentale», perché è il luogo che consente il rilevamento di senso dal punto di vista conoscitivo, non crea nulla, registra, e questa registrazione ha un valore universale, avviene in tutti gli esseri umani e trascende la singola esperienza, ma consente la conoscenza della singola esperienza. È questo l’uso kantiano del termine che, però, si riferisce ad un territorio molto diverso da quello individuato da Kant, diverso dall’io penso di cui parla quest’ultimo, ma anche dall’io penso di Cartesio.

In realtà nel delineare questo territorio, Husserl si riferisce esplicitamente ai filosofi dell’età moderna come Cartesio e Kant, riconoscendo che si erano avvicinati molto ad esso, ma non erano riusciti ad individuarlo in maniera piena e decisiva. Per tale ragione egli descrive il percorso che qui è stato indicato come «via cartesiana», cioè quella via che entra nel soggetto umano cercando di raggiungere gli strati più profondi, per cogliere un punto di partenza, che non è propriamente soggettivo, ma che, pur stando dalla parte del soggetto, consente di capire come sono fatti sia il soggetto sia l’oggetto, ponendosi come un terzo momento intermedio, il quale serve da congiunzione, ma anche da superamento dell’opposizione tradizionale fra soggetto e oggetto.

Tale via è quella «maestra» esaminata da Husserl; egli si comporta come l’esploratore, che ha trovato un sentiero sicuro e diretto ed arriva ad una meta, ad un luogo, che deve, però, analizzare attraverso un lavoro di scavo ed è per questo che diventa archeologo. Prima di iniziare questo scavo, è opportuno indicare che esistono altre «vie» che egli percorre per giungere a quella meta, anzi nella sua opera La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Husserl si rimprovera per aver proposto la via cartesiana, che ritiene essere una via «troppo rapida» e ciò ha compromesso anche la comprensione della novità della meta raggiunta, la quale è stata assimilata alle proposte del passato e confusa con esse.11

Le vie più lunge e più tortuose, ma forse proprio per questo più convincenti nei confronti di coloro che osservano con scetticismo il delinearsi di questo percorso, di questo met-odo — che conduce per una via, un sentiero, secondo l’etimologia dell’espressione greca meta-odon — sono quelle che muovono non da un’esperienza diretta, ma dalla giustificazione di strutture culturali già sedimentate come le scienze che si sono configurate nell’età moderna, quelle che Husserl definisce anche ontologie positive, come è stato messo in risalto da alcuni interpreti, quali Iso Kern e Rudolf Boehm.12 Particolarmente importante in questo contesto si presenta la psicologia, che è stata in verità preliminare anche alla stessa via cartesiana, perché ha suggerito a Husserl l’approccio più diretto al suo percorso. Mi è sembrato opportuno indicare, sulla base dei testi husserliani, anche un’altra via quella che muove dall’intersoggettività per giungere al «terreno» individuato dall’analisi fenomenologica.13

Il lavoro di ricognizione delle vie della riduzione non è fine a se stesso, infatti, serve non solo ad individuare la «sfera d’essere» sopra descritta, ma, poiché tale sfera è una fonte in senso gnoseologico, consente la giustificazione della conoscenza umana riguardante tutta la realtà e, in particolare, la giustificazione dei modi attraverso i quali l’essere umano si mette in contatto con la realtà ultima, cioè con Dio. Avevo, infatti, già notato nel mio Husserl — Sul problema di Dio che ogni via della riduzione sfocia in una serie di osservazioni sul problema «metafisico», per usare l’espressione tradizionale, che riguarda la realtà ultima, quella divina. Il medium è rappresentato sempre dalla sfera d’essere dei vissuti e, per questa ragione, è necessario seguire pazientemente i percorsi proposti da Husserl per arrivare ai vissuti e muovere, poi, da essi per capire come si configura quella realtà.

3. Husserl e Kant

La descrizione della genesi della fenomenologia husserliana è preliminare al confronto fra questa e il criticismo kantiano. È opportuno, però, a questo punto ripercorrere le tappe dell’incontro di Husserl con il pensatore di Könisberg perché si può notare un’interessante trasformazione da un atteggiamento di rifiuto ad uno di accettazione, non della posizione kantiana presa nella sua totalità, ma di un aspetto fondamentale che, tuttavia, secondo il fenomenologo, deve essere approfondito e superato.

Nel periodo che si può considerare «pre-fenomenologico», Husserl subì l’influenza antikantana del suo maestro Brentano. Nel frattempo, egli stava elaborando la sua tesi sul calcolo delle variazioni con Weierstrasse a Berlino e lì ascoltò le lezioni sull’etica di Friedrich Paulsen, un pedagogista seguace di Kant. Si recò, poi, a Halle dove ottenne la libera docenza in filosofia con Carl Stumpf, uno psicologo anch’egli critico nei confronti di Kant per il fatto che quest’ultimo non si fosse interessato alla psicologia.

Poiché l’influenza di Brentano e di Stumpf erano state determinanti per Husserl, il suo interesse per Kant all’inizio del suo percorso fu inesistente. Quando, però, nel 1896, dopo le critiche mossegli da Frege e l’influenza di Paul Natorp, Husserl si allontana dallo psicologismo, egli si orienta verso la ricerca delle condizioni ideali della possibilità di una scienza in generale e comincia a tenere lezioni su Kant, prima a Halle e poi a Gottinga; pian piano sente l’esigenza di confrontarsi con Kant, perché il percorso, che autonomamente andava facendo, lo conduceva a trattare gli stessi problemi, dei quali si era interessato il filosofo di Könisberg.

Questo mi pare un punto importante per la comprensione della genesi della fenomenologia; infatti, Husserl giunge autonomamente alla scoperta del suo metodo, che poi confronta con i pensatori dell’età moderna, riconoscendoli come suoi «precursori» e scegliendoli a posteriori come suoi maestri, cioè Cartesio e Kant. Tuttavia, proprio perché, in verità, non sono suoi maestri, è anche molto critico nei loro confronti. Le sue Meditazioni cartesiane del 1929 rappresentano la valutazione critica della filosofia di Cartesio, e, per quanto riguarda Kant, numerosi suoi testi dimostrano la lontananza di Husserl.

Il testo più ampio è costituito dall’elaborazione di una conferenza su Kant e l’idea di una filosofia trascendentale, tenuta il primo maggio 1924 in occasione delle celebrazioni kantiane presso l’Università di Friburgo. Poiché si tratta di un testo «celebrativo», Husserl, piuttosto che esporre obiezioni esplicite alla filosofia di Kant, contrappone la propria posizione. Certamente il filo conduttore è il termine «trascendentale» che, d’altra parte, egli prende proprio dalla tradizione kantiana per individuare un nuovo territorio, da lui interpretato, come si è già detto sopra, in modo diverso da Kant. E la diversità emerge, tuttavia, più fortemente in altri scritti di Husserl, più incisivi nel delineare la lontananza del suo peculiare «idealismo trascendentale» dal Criticismo.

Mi propongo di sottolineare alcuni punti di accettazione e di contrasto riguardo alla posizione di Kant, così come Husserl li delinea, per poi procedere ad un confronto autonomo al di là delle intenzioni di Husserl, confronto che nasce anche da alcune sue affermazioni, attraverso le quali si può notare la diversità dei risultati delle sue analisi.

4. L’idea della filosofia trascendentale.

Metto a confronto alcune affermazione husserliane, che appaiono addirittura in contrasto fra loro, affermando, alcune, la vicinanza, altre la lontananza dal Criticismo. Nel testo del 1924 si legge: «In effetti, la mia ripresa del termine kantiano “trascendentale”, pur con tutta la distanza dai presupposti di fondo, dai problemi-guida e dai metodi di Kant, si basava fin dall’inizio sulla convinzione ben fondata che a questa nuova scienza fondamentale andassero ricondotti tutti i problemi sensati elaborati teoricamente da Kant e dai suoi successori sotto il titolo di problemi trascendentali (almeno in quelle formulazioni che raggiungevano una chiarezza ultima)».14

In questo testo si stabilisce una continuità con la posizione kantiana, ma ben diverso è l’atteggiamento di Husserl in uno scritto del 1917: «Tutte le filosofie che muovono da Leibniz sono affette dal controsenso del dogmatismo filosofico e gnoseologico, e quindi anche la critica della ragione di Kant»15, infatti, Kant non sfugge all’accusa di psicologismo, perché: «Una teoria trascendentale della conoscenza può essere svolta soltanto nell’ambito di una teoria universale della conoscenza e questa “soltanto” come pura scienza della coscienza».16 Un residuo di piscologismo si trova, in particolare, nel presupposto kantiano relativo alle «facoltà» presenti nell’essere umano, che non sono adeguatamente giustificate e che conducono ad un antropologismo.17

Che questa presa di posizione permanga, nonostante le asserzioni di fedeltà, anche nel testo del 1924, è confermato proprio dal fatto che, dopo l’iniziale disponibilità, Husserl non si riferisce più a Kant, ma espone le linee fondamentali della sua fenomenologia per mostrare, in realtà, la diversità con le analisi kantiane. È vero, infatti, che egli continua a scrivere: «Se io potessi, andando oltre la generalità dell’idea di una filosofia trascendentale, addentrarmi ancora nei contenuti particolari delle teorie di Kant, allora ci sarebbe naturalmente molto da dire a sua gloria»;18 ma, in realtà, qui si sta riferendo alla filosofia trascendentale tout court e quindi a Kant solo come un iniziatore di un percorso, a suo avviso, ancora pieno di oscurità e di incertezze, che doveva essere perfezionato in modo radicale, avendo lasciato Kant alle generazioni future il compito di tale purificazione;19 e Husserl si sente, ora che ha elaborato la sua proposta fenomenologica, colui che ha cominciato a realizzare tale compito. Esso consiste nel «purificare e chiarire perfettamente, per mezzo di una radicale esplorazione della soggettività trascendentale, come campo d’origine di ogni metodo, questo senso nuovo, trascendentale, della filosofia».20

La chiarificazione consiste in un approfondimento che prende una via totalmente diversa da quella kantiana nell’analisi della soggettività, come si è iniziato ad indicare sopra, e che, per tale ragione, conduce a risultati completamente diversi anche con riferimento ai grandi temi metafisici, trattati da Husserl in modo diverso da quello proposto da Kant, ed ai temi etici. E’, quindi, sul versante gnoseologico-metafisico e su quello etico che il contrasto con Kant appare evidente, proprio perché le analisi condotte da Husserl danno risultati diversi.

È opportuno, allora, in primo luogo esaminare lo sviluppo delle analisi husserliane per costare la diversità delle scoperte di Husserl. Come si è già notato, è proprio la dimensione coscienziale dei vissuti che costituisce la novità della posizione husserliana e su questa ci si deve brevemente soffermare.

5. L’analisi dei vissuti: immanenza e trascendenza

Per comprendere che cosa siano i vissuti, è necessario procedere ad alcune esemplificazioni. Nell’atteggiamento naturale noi abbiamo esperienze che iniziano a livello percettivo; se isoliamo essenzialmente il nostro modo di vivere questa esperienza, mettendo tra parentesi tutti gli elementi contingenti, ci rimane il puro percepire come atto da noi vissuto, anzi come atto che è possibile che tutti vivano. Prendere l’atto nella sua purezza vuol dire esaminarlo in se stesso come atto vissuto, così come è registrato sulla lastra, accompagnato dalla coscienza dell’atto stesso.

Il vissuto percettivo, come altri vissuti che possono essere isolati nell’analisi, quali il vissuto rimemorativo, quello immaginativo, quello giudicativo, si presenta come un vissuto caratterizzato dall’essere coscienza di, quindi, dall’essere rivolto intenzionalmente a qualcosa di afferrato. Il qualcosa, al quale si è diretti, può essere immanente, nel caso in cui la cosa a cui si è diretti è la stessa percezione interna oppure può essere trascendente, nel caso in cui è diretto su cose esterne. Il rapporto con la cosa esterna è particolarmente significativo perché, mentre il vissuto percettivo è immanente anche se diretto in maniera trascendente, la cosa (in un esempio proposto da Husserl il foglio di carta percepito) è trascendente ed è colta attraverso il rapporto percepire-percepito che risulta immanente;21 tale rapporto è denominato da Husserl con i termini greci, usati in modo del tutto nuovo di noesis e noema. È opportuno notare che immanenza e trascendenza si spostano continuamente seguendo l’andamento analitico; i vissuti, in quanto tali, sono tutti immanenti, possono essere diretti in modo immanente, quando hanno per oggetto altri vissuti o in modo trascendente, quando si riferiscono ad oggetti esterni a loro volta trascendenti, ma l’oggetto si scinde in oggetto trascendente esistente e immanente in quanto noema presente nella coscienza, cioè percepito, ricordato e così via.

Finora si è parlato di vissuti intenzionali, ma è bene osservare che non tutti i vissuti sono intenzionali, ci sono quelli chiamati da Husserl «momenti effettivi presenti nel flusso dei vissuti» che non possiedono il carattere dell’intenzionalità, cioè di essere coscienza di qualche cosa. Se si percepisce un foglio bianco, il bianco del foglio non è coscienza di qualcosa, pur presentandosi come latore, cioè portatore di intenzionalità in quanto contenuto che presenta il bianco del foglio.

Questo punto è molto importante e sarà sviluppato in seguito.

Tutto quello che è stato detto finora sui vissuti, è stato reso possibile grazie ad un vissuto particolare e specificamente umano, il vissuto della riflessione, per cui ogni vissuto può diventare, come si è visto, oggetto di una percezione interna e oggetto di una riflessione, teoretica o valutativa. I vissuti rispecchiano tutte le operazioni, tutte l’esperienze, tutta la costituzione del soggetto umano e della realtà naturale, ma le connessioni di senso avvengono solo fra i vissuti stessi: l’essere come realtà e l’essere come coscienza sono correlati, ma distinti.

Le cose naturali ci sono date sempre secondo continui approcci percettivi e quindi per «adombramenti», ma il vissuto che rivela tutto ciò è il vissuto percettivo, in sé chiaro come vissuto; esso certamente non si adombra, perché fa parte dell’essenza della cosa spaziale darsi per adombramenti, mentre ciò è escluso per il vissuto, ecco perché i vissuti si offrono allo sguardo della percezione interna e della riflessione come evidenti ed indubitabili, mentre le cose esterne sono sempre coglibili con difficoltà e richiedono una serie di approcci, come si vedrà in seguito. Tuttavia, nonostante queste difficoltà, Husserl insiste nel dire che la cosa spaziale, pur nella sua trascendenza, è conosciuta come presente in carne ed ossa, non c’è una mediazione simbolica o segnica, che si sostituisce alla cosa; il segno e il simbolo corrispondono a particolari modalità rappresentate dai vissuti corrispondenti.

6. Per una filosofia fenomenologica

È opportuno ritornare sulle brevi indicazioni ora proposte per isolare alcuni temi che costituiscono a mio avviso la differenza fondamentale fra Husserl e Kant.

Iniziamo proprio dall’ultima questione ora ricordata, quella relativa al mondo esterno. Se si esamina la Critica della Ragion pura è chiaro che Kant non mette in dubbio l’esistenza di una realtà esterna rispetto al soggetto umano, ma la considera in se stessa «pensabile» e non «conoscibile». Anzi si potrebbe dire che, dal punto di vista noumenico, esistono in Kant tre modalità, corrispondenti alle tre parti della Critica della Ragion Pura. A livello dell’Estetica trascendentale, si delinea la realtà che si può definire «naturale» e che oggetto delle scienze fisico-matematiche; nell’Analitica trascendentale, il noumeno è corrispondente alla realtà adombrata dall’io penso, quindi si tratta dell’essere umano e della sua anima, e a livello della Dialettica trascendentale i due precedenti temi sono ripresi nelle idee del mondo e dell’io, ad essi si aggiunge il noumeno rappresentato dalla realtà divina. Come è noto, Kant conclude sostenendo l’insufficienza della ragione umana a rintracciare l’esistenza delle realtà corrispondenti alle tre idee, in cui i noumeni si configurano, e tenterà per vie diverse nelle altre due Critiche di raggiungere tali realtà; quindi l’anima umana, Dio, il mondo della natura e la sua finalità saranno oggetto di una nuova trattazione, che usa vie teoretiche divergenti da quelle consolidate nella tradizione metafisica classica, come il giudizio sintetico pratico nella Critica della Ragion Pratica e il giudizio riflettente nella Critica del giudizio- meglio sarebbe dire nella Critica della Facoltà di Giudizio.

Totalmente diversa è la posizione di Husserl. Nel testo citato del 1924 egli discute proprio la questione del mondo; l’aspetto noumenico di questa realtà, peraltro indagata da Kant esclusivamente sotto il profilo della conoscenza scientifica, scompare in Husserl. Poiché quest’ultimo rivendica il diritto dell’esperienza, sostiene che: «la nostra vita in stato di veglia è, comunque sia stata e sarà, un esperire e poter-esperire continuamente “il” mondo, la totalità della realtà».22 Ciò che Husserl sottolinea è, piuttosto, l’imperfezione di tale conoscenza, che ci spinge sempre a ricercare ulteriormente: «D’altro canto, il nostro esperire è e resta sempre imperfetto. In esso noi afferriamo solo frammenti di mondo, ed anche questi soltanto da lati particolari, e i lati a loro volta mai in modo definitivamente adeguato».23

È possibile, però, spingerci sempre oltre e non accontentarci, e pure non esiste una validità ultima, ma tutto ciò non comporta alcuno scetticismo e alcun relativismo; ciò che è conosciuto è conosciuto validamente e ed è esistente realmente: «Questa ovvia e ben nota imperfezione non disturba però la nostra convinzione secondo la quale noi conosciamo tramite l’esperienza il mondo stesso, ed è essa a testimoniarci originariamente un’esistenza reale»24 e in modo intersoggettivo, proprio perché gli esseri umani possiedono strutture conoscitive in comune. Certamente si pone il problema della concordanza fra quello che ci sembra di conoscere e le cose stesse perché: «L’esperienza può diventare anche discordante, farci cadere nel dubbio e nell’inganno».25 Questa non è, tuttavia, una situazione definitiva: «In ogni caso però è possibile l’istituzione della concordanza permanente, del complesso dell’esperienza; e solo in essa si compie, come cosa ovvia, una conoscenza dello stesso mondo esistente priva di dubbi in modo completo e permanente».26

Qui Husserl non sta parlando della conoscenza scientifica del mondo, come fa Kant nella Critica della Ragion Pura, ma della nostra conoscenza quotidiana e contemporaneamente della conoscenza teorica, quella proposta in primo luogo dalla filosofia. E se la teorizzazione dipende da noi, non dipende da noi l’esistenza del mondo: «Ciò che noi produciamo così in modo puramente soggettivo, in noi e nel nostro pensare “evidente” sulla base dell’esperienza reale e possibile, ci serve come norma per la nostra conoscenza del mondo — come norma di verità per il mondo stesso, così come esso è in sé e per sé; poiché ovviamente il mondo è ciò che è, in sé e per sé, sia che viviamo che se moriamo, sia che lo conosciamo che non lo conosciamo».27 Questa è la posizione che Husserl chiama «realismo trascendentale» nelle Meditazioni Cartesiane.

Ci si può domandare come questa posizione si accordi con l’altra definizione, data da Husserl alla sua posizione, cioè quella di «idealismo trascendentale». La soluzione di questo problema cruciale si trova nel commento a Kant qualche pagina dopo quelle citate. L’insistenza sul ruolo fondamentale della soggettività deriva dal fatto che, in quanto esseri umani, il mondo, che pure è in sé sia che viviamo sia che moriamo, quando siamo vivi, è un mondo «per noi» e questo «per noi» può diventare un assoluto quoad nos, molto diverso dall’assoluto di Dio.28

L’assolutezza relativa — si potrebbe dire usando un ossimoro — degli esseri umani si costata nel momento in cui si riflette sul fatto che «Certo, l’essere-in-sé del mondo è un dato di fatto indubitabile; ma “dato di fatto indubitabile” non è altro che una nostra asserzione, naturalmente ben fondata; più esattamente: il contenuto di un nostro asserire, fondato su ciò di cui abbiamo fatto esperienza nel nostro esperire reale e possibile, e che abbiamo pensato e compreso con evidenza; […]. Ciò che viene asserito, fondato, compreso con evidenza, in breve conosciuto, ciò che è essenzialmente conoscibile, non trae forse il suo senso dalla conoscenza, dalla sua essenza propria, che è in tutti i suoi gradi coscienza, “vivere” soggettivo?».29

Il riferimento a tale vivere soggettivo non implica che la verità in sé sia un nostro frutto, piuttosto essa è posseduta nella nostra coscienza. Il grande compito è, allora, quello comprendere come accada tale possesso e quali siano le condizioni che lo rendono possibile. È qui che si delinea la funzione del trascendentale, come luogo in cui si rintracciano le condizioni della nostra conoscenza, ma anche le strutture profonde del nostro essere. Il mondo essente in sé ha un senso, che non può essere del tutto diverso dalla formazione di senso prodotta nella conoscenza, ma non si tratta di una semplice «immagine conoscitiva» provocata dall’esterno e ciò a causa della scoperta delle sfere passive della conoscenza, attraverso le quali si costituiscono gli oggetti materiali, come si dirà in seguito. E questo, se è un motivo di contrasto con alcune posizioni realistiche, è anche un motivo di distinzione nei confronti della lettura che Kant dà della formazione della conoscenza.

L’idealismo trascendentale si oppone, in tal modo, solo ad un realismo ingenuo e consiste nel mettere in evidenza il ruolo delle operazioni presenti nel soggetto umano, fonte dell’elaborazione del senso quoad nos. La regressione in quella che si può chiamare, e che qualche volta Husserl chiama, interiorità, avviene in primo luogo in polemica con il positivismo, rivolto tutto all’esteriorità, ma anche con lo psicologismo che non coglie validamente le strutture dell’interiorità stessa, e infine contro Kant, il quale, pur avendo attuato lo spostamento nella soggettività attraverso la sua rivoluzione copernicana, non ha, poi, portato a compimento la sua operazione e, non analizzando esattamente il senso di quelle strutture, non è riuscito a vederne le potenzialità conoscitive in una direzione, che si potrebbe largamente definire metafisica.

Rispetto al mondo esterno, si tratta di confutare lo scetticismo di Hume: «L’autentica filosofia trascendentale, sia sottolineato in anticipo con decisione, non è né apertamente né occultamente, una dissoluzione della conoscenza del mondo e del mondo stesso in finzioni, quindi, in termini moderni, una filosofia del “come se”».30 Allora, come interpretare validamente la distinzione kantiana fra realtà conosciuta attraverso le nostre forme e la realtà in sé? Husserl, il quale si riferisce, al contrario di Kant nella Critica della Ragion Pura, alla nostra conoscenza intesa in senso globale e non solo alla conoscenza scientifica, la quale è un caso particolare della conoscenza generale, sostiene che tale distinzione è falsa, piuttosto si tratta della difficoltà di afferrare la realtà esistente in un modo totale e perfetto: «… una casa effettivamente esperita ed esistente è data alla coscienza in molti modi soggettivi diversi, in un orientamento e in una prospettiva che mutano, con gradi mutevoli di chiarezza e distinzione, con differenze nel modo di attenzione ecc.».31

Se è così, ma si manifesta in noi il desiderio di cogliere la realtà nella sua pienezza, un oggetto ancora sconosciuto non è altro che l’oggetto pensato come appartenente all’orizzonte aperto della nostra conoscenza possibile. Rimane, quindi, la tensione tra conoscenza reale imperfetta, con i suoi numerosi modi di intenzione vuota e di intuizione riempiente, e la conoscenza idealmente perfetta. In tal modo Husserl accetta e corregge Kant, accetta la sua «idea» di mondo, il mondo come oggetto di un’idealità, ma lo correggere rispetto alla conoscenza concreta delle cose del mondo, conoscenza imperfetta, limitata, ma vera; le cose non si danno mai totalmente, ma si danno con le loro configurazioni nella loro reale esistenza.

Il problema della conoscenza, secondo Husserl, ha ramificazioni ancora più profonde di quanto Kant pensasse: «D’altra parte però egli riteneva non indispensabile per la soluzione della sua problematica lo svolgimento sistematico di un correlativo studio, concretamente intuitivo, della soggettività operante e delle sue funzioni di coscienza, delle sue sintesi attive e passive di coscienza, nelle quali prendono forma ogni genere di senso oggettivo e di legittimità».32 E Husserl conclude, dicendo che è necessario passare «ad uno studio universale di essenze della coscienza in generale — ad una “fenomenologia trascendentale”»;33 il trascendentale si deve dilatare per comprendere non solo la formazione delle scienze, ma anche delle molteplici forme associative umane.

7. La fenomenologia come gnoseologia: conoscenza del mondo, conoscenza di Dio

Se si rimane sul piano gnoseologico, piano privilegiato come via d’accesso alla comprensione del reale anche nelle posizioni metafisiche classiche, piano, che diventa centrale nella filosofia moderna ed è centrale anche in Husserl, si deve costatare che in quell’espressione husserliana relativa alle «sintesi attive e passive di coscienza» si trova la chiave per comprendere il superamento della posizione kantiana in senso gnoseologico.

Detto ciò preliminarmente, è opportuno proseguire per saggiare brevemente la consistenza delle analisi passive e attive proposte da Husserl. Una delle sue opere, nella quale le tematiche in oggetto sono esaminate fino in fondo, è ricavata dalle lezioni, che egli tenne negli anni 1918-1926 sulle Analisi delle sintesi passive, nelle quali lo scavo è più attento e completo.

Posso fare in questa sede solo una breve ricognizione, ma vorrei individuare quattro importanti livelli di strutturazione del percorso, due contenuti nell’opera citata (1, 2) e due presenti in Esperienza e giudizio (3, 4), che si delineano in una successione che muove dal basso.

1) La sintesi di unità associativa o pre-affettiva, che avviene sulla base di tre principi, quello di somiglianza o omogeneità, quello del contrasto e quello della contiguità, per cui si può parlare di una formazione unitaria.34

2) L’affezione, che opera nel presente fluente e produce il ridestamento delle datità nella ritenzione e nella protezione.35

3) La ricettività, che è motivata dall’affezione e fonda l’apprensione di un oggetto; essa, pur motivata passivamente, consente che subentri un’attività della coscienza.36

4) La ricettività permette la formazione di un oggetto e la sua comprensione ed esplicazione; si attua, pertanto, l’appercezione.37

Come si può notare, nel processo sintetico l’unità è già delineata nel primo momento e non si realizza solo nel quarto momento, quello dell’appercezione, come accade secondo Kant; in ogni caso non ci troviamo davanti ad una costruzione, che avviene secondo i livelli indicati, al contrario tali livelli sono rintracciati movendo dall’oggetto, che si manifesta alla coscienza; solo successivamente è possibile scavare analiticamente per risalire alle datità. Si tratta, pertanto, di un procedimento inverso rispetto a quello proposto da Kant, per il quale è possibile analizzare le funzioni del soggetto prescindendo dall’oggetto stesso; al contrario, per Husserl la coscienza non è un insieme di funzioni indipendenti da ciò su cui si applicano, ma la coscienza è la stessa stratificazione delle operazioni costitutive attive e passive, che formano l’oggetto.

Se è vero che è nel momento della ricettività che inizia la presa di coscienza da parte del soggetto ed essa costituisce un passaggio dalla passività all’attività, è attraverso la ricettività che ciò che prima era presente alla coscienza in modo anonimo può essere posto tematicamente per la coscienza.

Tutto ciò consente di formulare due considerazioni. La prima riguarda il significato della coscienza e la seconda quello della genesi. Per Husserl la coscienza non è autocoscienza, come accade in Cartesio; è necessario, pertanto, distinguere fra io e coscienza, per cui la soggettività è più ampia dell’io e non tutto ciò che è soggettivo è egologico. Anche le sintesi passive sono sia preoggettuali sia preegologiche ed il fatto che siano soggettive è determinato unicamente dalla possibilità di essere afferrate attivamente dal soggetto che le recepisce. Pertanto, la soggettività trascendentale è più ampia dell’io trascendentale.

La seconda considerazione è molto importante, perché consente di individuare fino in fondo l’originalità di Husserl rispetto alla posizione kantiana, per comprendere in modo più preciso il significato del trascendentale. Il processo della genesi è quello che chiarisce la costituzione sia dell’oggetto sia del soggetto; si tratta di un unico processo che ha un versante oggettivo e uno soggettivo. Per questa ragione non è possibile parlare di «facoltà» secondo Husserl come, invece, è possibile per Kant. Non c’è un soggetto già strutturato che organizza un materiale informe portandolo ad unità, ma contemporaneamente si delinea la formazione dell’oggetto e quella del soggetto. La preminenza che sembra accordata al soggetto risiede nel fatto che è l’essere umano, il quale, ponendosi le domande di senso, è in grado di ripercorrere il cammino genetico indagando la stessa genesi della costituzione, come Husserl sottolinea in un testo contenuto in Zur Phänomenologie der Intersubjektivität II (Per la fenomenologia dell’intersoggettività).38

Una riprova dello scavo archeologico operato da Husserl attraverso la genesi della costituzione è rappresentata dal ruolo svolto dall’intenzionalità. Le datità preoggettuali sono intenzionate, ma esse, al contrario degli oggetti, non presuppongono alcun atto riferito all’io-polo di atti vissuti, per questo Husserl parla di un’intenzionalità passiva e latente definita fungente (fungierende) che si può trasformare in intenzionalità attiva.39 Tale intenzionalità si risolve in verità nell’affezione, perché, come quest’ultima, è diretta verso un dato e può essere effettiva o potenziale.

La sfera di passività è definita da Husserl sfera hyletica, usando in modo assolutamente originale l’espressione greca hyle. La scoperta di tale sfera serve per giustificare dal punto di vista genetico come si configura nei suoi primi livelli l’essere umano, ma anche per indicare quale sia il livello profondo della teleologia, considerata da Husserl «la forma di tutte le forme»; ciò è mostrato dal fatto che essa si presenta come una delle vie che, nel senso indicato da Tommaso d’Aquino si potrebbe dire, conduce ad ammettere, secondo un procedimento logico inferenziale, che Qualcuno ha creato le cose con la loro finalità.40

Se si fissa l’attenzione sui dati hyletici, si apre un capitolo straordinario di insospettabile fecondità, che ci consente di uscire dai confini della soggettività attraverso il concetto di telos.

Analizzando il testo n. 22 Teleologia. Le implicazioni dell’eidos trascendentale intersoggettività nell’eidos trascendentale io, contenuto in Zur Phänomenologie der Intersubjektivität III41 e dedicato proprio alla teleologia, si osserva che in esso sono contenuti molti problemi, profondamente connessi, la cui soluzione apre la via al superamento del tema della soggettività, ridimensionando il significato della sua centralità. Il testo è dedicato all’analisi della teleologia, che costituisce l’essere universale della soggettività trascendentale come forma ontologica, ma non si ferma alla soggettività, in realtà coinvolge l’intersoggettività, portando con sé una «volontà di vita», dapprima oscura, che è formata preontologicamente e si esplicita man mano in alcuni individui fino a delinearsi come una idea di perfezione, una sorta di ideale regolativo che fa appello alla volontà.

Proprio a causa della sua importanza e centralità, la teleologia si manifesta come «forma di tutte le forme»42 e, coinvolgendo la volontà, manifesta il carattere «creativo» della volontà stessa, tesa a realizzare il migliori dei mondi possibili. Ciò può e dovrebbe manifestarsi nell’esistenza fattuale di una soggettività, intesa come personalità individuale concreta, quando è rivolta agli altri in modo da stabilire un accordo ed evitare l’intolleranza. E questo compito ha una giustificazione ultima, perché la volontà assoluta, che vive in tutte le soggettività trascendentali e che rende possibile l’essere individuale-concreto, è la volontà divina, la quale presuppone l’intersoggettività per esercitare la sua azione concreta. Tutto ciò è colto movendo dall’analisi, che io compio nella mia concretezza, nel mio essere fattuale per me, ricercando la forma universale della soggettività e dell’intersoggettività. È una possibilità, che scopro a me offerta, quella di passare dal fatto all’eidos, ma il rapporto fatto-eidos, per quanto mi riguarda, è del tutto peculiare: l’eidos io trascendentale è impensabile senza l’io trascendentale come fattuale. Si può notare che l’esistenza presa nella sua attualità, che è messa fra parentesi nel momento in cui si rintraccia la struttura eidetica della soggettività trascendentale — si veda ad esempio la riduzione eidetica così come è proposta nelle Idee per una fenomenologia pura -, non è eliminata e non solo vive, come vive ciò che è messo fra parentesi e non eliminato, ma vive come riferimento continuo e costante; in tal modo abbiamo raggiunto di nuovo quel livello esistenziale, che sembrava eliminato e che ha suscitato tante reazioni da parte delle filosofie esistenziali.

Tuttavia, stiamo ancora ruotando intorno al rapporto soggettività-intersoggetività rispetto alla questione della connessione fra il trascendentale e l’esistente e non si è raggiunto il risultato più significativo, consistente nella delineazione di un’ontologia. Husserl continua nel testo n. 22 sottolineando che, attraverso il mutamento dell’atteggiamento naturale in atteggiamento eidetico, il cammino regressivo conduce all’assoluta ontologia, che è correlativa all’ontologia mondana. E, si può dire a sorpresa, che, scavando fino in fondo, si è ricondotti alla struttura originaria della hyle originaria con le sue cinestesi originarie, i sentimenti originari, gli istinti originari. Movendo dal «fatto» si scopre che il materiale originario si fonde in una unità, che è una forma essenziale prima della mondanità, dove il termine «prima» ha una particolare rilevanza.

La dimensione hyletica è, quindi, quella che a livello dell’attualità mi dà già «istintivamente» preindicata la costituzione di tutto il mondo e non solo della mia soggettività; nella dimensione hyletica le stesse funzioni di possibilità hanno la loro grammatica essenziale, per cui, attraverso il fatto, scopro che in precedenza c’è una teleologia.43

Un ulteriore scavo nel rapporto fra teleologia e intenzionalità si trova nel testo n. 34 dello stesso volume intitolato appunto Universale Teleologie, in cui si parla di una primordialità del sistema di impulso (Triebsysteme) indicando la presenza di una intenzionalità impulsiva e confermando quanto già espresso nelle Lezioni sulla coscienza interiore del tempo, cioè di una intenzionalità non legata all’io (ichlos), non egologica.44

Già nelle Idee per una fenomenologia pura Husserl aveva indicato che sarebbe stato possibile individuare un campo di ricerca, quello della hyletica pura, da affiancare alla noetica, sviluppando quanto era emerso dalla ulteriore indagine sugli atti vissuti e sulle sue due componenti, quella noetica ed hyletica, appunto. Mentre l’analisi noetica è quella che Husserl tratta più ampiamente e quella che suscita le obiezioni di molti, perché tale indagine si ferma al momento intenzionale legato alla dimensione coscienziale più elevata, senza penetrare negli strati profondi, la hyletica, alla quale Husserl aveva accennato e alla quale accenna nel testo n. 22 che è stato citato, consente un’apertura oltre la soggettività in due direzioni: in senso ontologico-cosmologico e in senso teologico. Tutto questo è racchiuso nelle poche righe finali del testo stesso nelle quali si dice che le condizioni di possibilità della teleologia si trovano nel rinvio ai fatti originari della hyle, anzi senza essi nessun mondo sarebbe possibile e nessuna soggettività trascendentale, ma ci si domanda anche se i fatti originari della hyle siano gli ultimi oppure se la teleologia, con la sua fatticità originaria, non abbia il suo fondamento in Dio.

Si ottengono, allora, due risultati rilevanti: in primo luogo, movendo dalla hyle originaria, è possibile una divaricazione in senso cosmologico e antropologico, ontologia mondana e ontologia della soggettività, anche se è la soggettività a rendersi conto di questo; in secondo luogo, tutto ciò rimanda ancora più in profondità alle quelle che Husserl definisce «ultime questioni di fatto», alle questioni originarie, alle ultime necessità, alle necessità originarie, aprendo, quindi, la via alla connessione fra telos e Dio.

Si può notare come il tema della teleologia, che probabilmente egli mutua anche da Kant, consente di stabilire un confronto con l’uso che quest’ultimo ne fa nella sua Critica del Giudizio e di osservare come la trattazione di tale tema conduca Husserl ad affrontare più francamente e dettagliatamente la questione, a suo avviso, più importante per l’essere umano, quella della conoscenza di Dio, secondo la testimonianza di Dorion Cairns45, conoscenza teoretica e non solo apertura di fede, che, pure, per lui è determinante in vista del significato ultimo dell’esistenza.

8. Il paradosso dell’essere umano come soggetto e oggetto di conoscenza

Dall’esame dei vissuti coscienziali, secondo Husserl, si può risalire alle «realtà» che essi mostrano; pertanto l’essere umano si rivela come un essere corporeo, psichico e spirituale. Si risponde, in tale modo, alla domanda radicale: che cosa è l’essere umano? E la risposta chiara e precisa di Husserl supera senz’altro la posizione kantiana. Se il filo conduttore, che lega Husserl a Kant, è rappresentato dal tema del trascendentale, è su questo terreno che bisogna porre la questione relativa all’essere umano, ma essa può essere risolta solo se si passa attraverso l’ego trascendentale.

Allora che cosa è l’ego trascendentale? Se è bene inteso, secondo Husserl, esso è tale da superare l’obiezione radicale, consistente nel dire che, se l’io, cioè questo essere umano (Mensch), esercita la metodica della presa di posizione trascendentale, in tal modo ritorna al suo puro ego che è un livello astratto dell’essere umano concreto, il suo puro spirito, come era sostenuto da Cartesio. Chi parla così — e quindi Cartesio — ricade, però, in un atteggiamento ingenuo e naturale, il suo pensiero si muove sul terreno del mondo predato, invece che nell’ambito dell’epoché: considerarsi come essere umano, in ciò consiste la presupposizione della validità del mondo. Attraverso l’epoché diventa chiaro che è l’ego, colui nella cui vita l’appercezione essere umano è mantenuta all’interno della universale appercezione del senso d’essere del mondo.46

La questione consiste, allora, nel chiedersi se la riduzione all’ego elimina il Mensch come Mensch in der Welt, l’essere umano come essere nel mondo. Husserl si affretta a sottolineare che il mondo rimane un tema fondamentale e non viene eliminato, ma sottratto alla «ingenuità» della conoscenza quotidiana. Allora, qual è la struttura dell’essere umano che emerge proprio dall’approfondimento della dimensione trascendentale? Tale tema è stato sviluppato in modo emblematico nel vol. II delle Idee per una fenomenologia pura, trascritto da Edith Stein ed è, allora, a questo testo che è necessario riferirci; fra le opere edite è, infatti, il testo più significativo per la delineazione di un’antropologia filosofica.

Dopo che l’analisi trascendentale ha individuato la coscienza come il luogo su cui si rispecchiano tutte le dimensioni del soggetto, è possibile descrivere essenzialmente una serie di vissuti della coscienza stessa, che rimandano alle strutture «reali» dell’essere umano. Il primo e il secondo volume delle Idee sono, in tal modo, connessi e debbono essere letti nella loro connessione. Se il primo è teso a dare le connotazioni del metodo e l’ambito dell’analisi, quello appunto della dimensione trascendentale come luogo di svelamento del senso della realtà quoad nos, il secondo è rivolto a mettere in luce la costituzione della natura materiale, alla quale appartiene il corpo, la natura animale, caratterizzata dalla realtà psichica, e il mondo dello spirito, a cui appartiene l’io personale.

È interessante notare come, dopo aver messo tra parentesi tutte le dottrine tradizionali riguardanti l’essere umano, in un modo originale perché non deduttivo, ma ostensivo, si affronti l’analisi del fenomeno essere umano recuperando e avvalorando la sua tripartizione in corpo, psiche e spirito.

La struttura dell’essere umano si può mostrare iniziando dall’esame del corpo proprio, Leib, il quale non è di per sé un punto di partenza, ma è rintracciato nelle sue caratteristiche movendo dalla presenza della percezione, come un atto vissuto nella coscienza. Se l’apprensione percettiva presuppone i contenuti della sensazione, i quali svolgono un ruolo necessario per la costituzione degli schemi e così per la costituzione delle apparizioni delle cose stesse reali, ciò «comporta che in tutte le percezioni, in tutte le dimostrazioni fornite dalla percezione (esperienza) è presente il corpo proprio in quanto organo di senso liberamente mobile, in quanto totalità liberamente mobile degli organi di senso, e perciò che, in virtù di questo fondamento originario, qualsiasi cosa, qualsiasi realtà del mondo circostante dell’io ha una propria relazione con il corpo proprio».47

Una volta trovato il corpo proprio non ci si aspetterebbe una ripresa del tema della coscienza attraverso l’io puro, ma Husserl procede in questo modo per ricordare che la descrizione nei suoi tratti essenziali è possibile grazie a tale capacità dell’essere umano scoperta attraverso la riflessione che lo fissa; pertanto «questo io non è né misterioso, né mistico, anzi io prendo me stesso in quanto io puro, mi prendo puramente come ciò che nella percezione è diretto verso il percepito, nel conoscere verso il conosciuto, nel fantasticare sul fantasticato […] In termini più precisi: l’io puro è in riferimento con gli oggetti in modi molto diversi, a seconda del genere dell’atto che compie».48

Tali atti possono essere quelli dell’attrazione e della repulsione, del desiderio, dell’amore, dell’odio, della decisione nell’azione, inoltre l’atto del fiat, della volontà, e ancora gli atti teoretici del delineare un contesto tematico, dello stabilire relazioni, del porre un soggetto e un predicato, del trarre conseguenze. Si è rintracciata, in tal modo, una struttura trascendentale sui generis che consente di passare all’indagine dell’essere umano in quanto natura — il corpo proprio come latore di sensazioni localizzate — oppure il corpo proprio come attraversato dalle sensazioni di piacere, di dolore, di benessere o di disagio, che costituiscono la base materiale, la base hyletica, per la costituzione dei valori, quindi, con questo strato si connettono le funzioni intenzionali e i materiali assumono una funzione spirituale.

Attraverso lo strato di qualità «reali» (base hyletica) — in quanto si costituiscono in virtù di una relazione con circostanze reali nell’ambito del reale — il corpo proprio si intreccia con la psiche, pertanto si può affermare che «La psiche e l’io psichico “hanno” un corpo proprio e quindi che esiste una cosa materiale di una natura tale che essa non è mera cosa materiale, bensì appunto, corpo proprio; la sua caratteristica è quella di essere campo di localizzazioni di sensazione e di moti del sentimento, in quanto complesso di organi di senso, in quanto elemento fenomenico e controparte di qualsiasi percezione di cose, cioè un pezzo fondamentale della datità reale della psiche e dell’io».49

Si è passati, pertanto, ad un altro strato qualitativamente diverso dalla cosa materiale, cioè la psiche, ma il corpo proprio — sarebbe meglio dire corpo vivente — è, appunto, l’intreccio di questi due momenti. Alcuni manoscritti husserliani analizzano, scavando ulteriormente nella dimensione psichica, l’ambito dell’istinto, che indica una continuità con il mondo animale, ma la distinzione con tale mondo si rintraccia nella funzione intenzionale e spirituale.[^50]

Si è visto sopra che all’io puro fanno capo anche atti, che sono diversi dalle tensioni, dagli impulsi dalle reazioni, questi sono gli atti volontari, valutativi e teoretici, i quali caratterizzano la persona umana; si entra in tal modo nella vita dello spirito, che non è in alcun modo «determinata», ma «motivata», essa è la sede degli atti liberi e delle prese di posizione razionali. Passività e attività si intrecciano, ma l’attività distingue l’essere umano «desto», desto eticamente e teoreticamente.

L’io si comporta nei confronti del mondo attraverso atti sui quali è in grado di riflettere, come, infatti, fa quando, per es., prende nota di se stesso come di un io personale, proprio come qualsiasi altro può fare a proposito degli stessi atti, attraverso l’entropatia, cioè cogliendo questi atti come atti della persona in questione, per es. parlando di essa, chiaramente consapevole, come di una persona . Si procede, pertanto, ad una sorta di definizione della persona che è tale, appunto, se ha rappresentazioni, sente, valuta, persegue qualche cosa, agisce, e in ciascuno di questi atti personali è in relazione con qualche cosa, con gli oggetti del suo mondo circostante.50

Assumere un atteggiamento personalistico nei confronti del mondo circostante significa assumere un atteggiamento valutativo ed etico. Questo lungi dall’essere artificiale, è il vero e proprio atteggiamento «naturale».51 Si tratta di uno dei pochi luoghi in cui il termine naturale è utilizzato in modo positivo; per solito Husserl lo assimila all’uso che ne fa il positivismo nell’ambito del naturalismo, perciò sostituisce il termine «natura», usato ad esempio nella filosofia medievale scolastica, con quello di «essenza». Sarà E. Stein che, riappropriandosi del vocabolario scolastico, si renderà conto di tale equivalenza.

Certamente la posizione husserliana non è una posizione sostanzialista, tutto ciò è lontano dal suo orizzonte mentale per una serie di ragioni: la sua formazione scientifica, il suo accostarsi alla filosofia in modo personale, senza i presupposti di una scuola di pensiero, la sua appartenenza al mondo culturale protestante in polemica con la filosofia medievale e per il suo rifiuto della metafisica razionalistica dell’età moderna. Tuttavia egli, come si è detto, è introdotto alla filosofia attraverso Brentano, ex-sacerdote cattolico, erede della tradizione medievale nell’area austriaca rimasta fedele alla Chiesa di Roma, e sostenitore di una filosofia rigorosa, benché aperta alle nuove istanze della psicologia. Sempre E. Stein afferma che tutto ciò non è secondario per comprendere la descrizione «essenziale» dell’essere umano proposta da Husserl, essenzialità che non ha uno sfondo dichiaratamente metafisico, ma che consente di delineare l’essere umano nelle sua caratteristiche proprie. Il risultato, dopo l’epoché di tutte le interpretazione già date, è in verità il recupero della tradizione occidentale greco-cristiana: la fenomenologia, in quanto filosofia fenomenologica, approda ad una descrizione che avvalora la tradizione, ma lo fa seguendo un nuovo percorso.

Nell’antropologia filosofica husserliana — possiamo in effetti usare ormai questa espressione anche se si tratta certamente di un’antropologia delineata su un terreno fenomenologico e quindi ostensivo e non speculativo — grande spazio è dedicato alla dimensione etico-religiosa. Prevalentemente è noto l’aspetto gnoseologico della ricerca husserliana e certamente esso è importante come via per la soluzione di tutti i problemi, ma egli non ha accantonato, soprattutto nella sua ricerca privata i «problemi ultimi e sommi» che definisce «metafisici» come afferma in una delle sue opere più importanti, le Meditazioni cartesiane.52

La questione etico-religiosa si lega alla questione di Dio affrontata in numerosi punti della sua opera, come si è già notato. Mi sembra importante citare questi aspetti della sua antropologia dalla quale emerge un essere umano esaminato in tutte le sua potenzialità, non ridotto solo ad alcune delle sue dimensioni, aperto agli altri — si pensi alle analisi husserliane sulla intersoggettività, ma potremmo aggiungere, sulla base di quanto è stato detto sopra, alla interpersonalità — e aperto all’Altro come giustificazione ultima della sua esistenza.53

La posizione husserliana sull’antropologia è avvalorata e confermata dalle stesse obiezioni che Heidegger muove a Husserl, e anche a Scheler, accomunato quest’ultimo al primo come bersaglio critico. Nel § 10 di Essere e tempo si legge che l’interpretazione dell’essere umano come unità corporea-animata-spirituale, quella husserliana e scheleriana, appunto, è assolutamente insufficiente, in quanto non è possibile concepire questo essere congiungendo modi di essere come il corpo, l’anima e lo spirito, che, oltre a tutto, vengono assunti come totalmente indeterminati nel loro essere. Inoltre, un tentativo di indagine ontologica del genere sarebbe costretto a supporre un’idea dell’essere del tutto e aggiunge in modo significativo che tutto ciò è legato all’orientamento dell’antropologia greco-cristiana, che ha coniugato la definizione dell’essere umano come animal rationale con l’essere e l’essenza di ordine teologico.

In questa sede non interessa sviluppare che cosa Heidegger contrapponga, ma solo sottolineare che quella che per lui era un’accusa si rivela come la connotazione di fondo dell’antropologia proposta da Husserl.

L’analisi husserliana dell’essere umano consente anche di stabilire una differenza con Kant rispetto al tema dell’etica. In questo modo si coinvolge anche la Critica della Ragion Pratica. Nelle sue Lezioni sull’etica e sulla dottrina del valore il punto di riferimento è proprio la dottrina kantiana, che è confutata attraverso la distinzione fra etica formale e formalismo. Husserl vuole recuperare la dimensione del sentimento senza cadere nella prospettiva di Hume, anzi crede che sia necessario mantenere l’autonomia del giudizio morale, il quale, tuttavia, deve recuperare, al contrario di quanto avviene in Kant, la dimensione del sentimento. Si configura, allora, rispetto a Kant, un’etica materiale, ma non nel senso di Max Scheler. La posizione di Husserl è intermedia fra i due pensatori, egli sottolinea che la regolamentazione formale del valutare e del volere non può poggiare sulla materia del sentimento; se è necessario un «contenuto», al contrario di ciò che sostiene Kant, il concetto stesso di valore obiettivo richiede l’universalità della ragione in senso assiologico. In altre parole Husserl sostiene che: «gli atti emotivi sono fonti originarie per quei valori di verità che sono loro propri e possono ricevere una determinazione logica»54 e tutto ciò consente di evitare la caduta in una prospettiva puramente sentimentale e quindi relativistica dell’etica. Riprendendo le osservazioni che si sono proposte sopra riguardo al rapporto etica — religione, Husserl sottolinea la centralità del sentimento d’amore, che deve elevarsi fino ad uniformarsi con quello vissuto da Cristo, in modo tale da diventare, per il cristiano la fonte e la base di un comportamento etico universale.55

In questi pochi accenni alla dimensione pratica, che dovrebbero essere certamente documentati in modo più ampio in un contesto diverso da quello presente, si può rintracciare un’ulteriore motivo di distinzione con la descrizione dell’etica proposta da Kant.

Conclusivamente si osserva che ai tre noumeni, alle tre idee della ragione, indicate da Kant, secondo Husserl, corrispondono tre realtà ben precise e interconnesse, delle quali è possibile avere «conoscenza», sempre nei limiti delle capacità umane di dire in che cosa esse consistano.

Lo sviluppo di queste tematiche avvicina Husserl a molti percorsi presenti nella tradizione metafisica più di quanto avvenga nel caso di Kant.

  1. 1 Cfr. A. Ales Bello, «Human World — animal World. An Interpretation of Istinkt in some late Husserlian manuscripts», in Analecta Husserliana, LXVIII (2000).

  1. Questa posizione di Husserl si trova espressa in modo efficace e sintetico in uno degli ultimi suoi scritti del 1936-37 ora tradotto in italiano, Edmund Husserl — La storia della filosofia e la sua finalità, Autori moderni per il terzo millennio, a cura di Nicoletta Ghigi, Prefazione di Angela Ales Bello, Città Nuova, Roma 2004. ↩︎

  2. E. Husserl, L’idea della fenomenologia. Cinque lezioni, a cura di Elio Franzini, B. Mondadori, Milano 1995. ↩︎

  3. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, vol. I e vol. II, Nuova edizione a cura di Vincenzo Costa, Introduzione di Elio Franzini, Biblioteca Einaudi, Torino 2002. D’ora in poi si citerà Idee I e Idee II↩︎

  4. Idee I, cit., p. 49. ↩︎

  5. Ivi, § 24, pp. 52-53. ↩︎

  6. Ivi, § 32, p. 71. ↩︎

  7. Ivi, §33, p. 74. ↩︎

  8. Il termine italiano «vissuto» tenta di rendere la parola tedesca Erlebnis intraducibile nella lingua italiana. Per questa ragione, il primo traduttore di Husserl, Enrico Filippini, nella traduzione delle Idee del 1965 ha introdotto il termine vissuto attraverso il quale si indica sinteticamente l’espressione più ampia: «ciò che è da me vissuto», quindi l’atto che sto vivendo; vissuto in questo caso non ha il significato di atto del passato, ma è piuttosto grammaticalmente un passivo, il quale, tuttavia, si riferisce ad un’attività del soggetto colta nel momento in cui si presenta. ↩︎

  9. Idee I, § 33, p. 78. ↩︎

  10. E. Stein, Introduzione alla filosofia, tr. it. di Anna Maria Pezzella, Prefazione di Angela Ales Bello, Città Nuova, Roma, pp. 151-152. ↩︎

  11. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. di Enrico Filippini, Il Saggiatore, Milano 1987, § 43, p. 182. D’ora in poi Crisi↩︎

  12. R. Boehm, individua quattro o cinque vie della riduzione presenti nell’opera di Husserl Erste Philosophie, Vol. VIII della collana «Husserliana», a cura di R. Boehm, Martinus Nijhoff, The Hague 1959. Nella sua Introduzione al secondo volume, Boehm indica: 1) la via che passa attraverso la critica delle scienze; 2) la via cartesiana; 3) la via che contrappone una visione del mondo mitico-pratica all’interesse teoretico la quale potrebbe essere ricondotta alla 1); 4) la via al dilà delle ontologie positive per raggiungere un’ontologia universale; 5) una via attraverso la psicologia. I. Kern nel suo articolo «Die drei Wege zur transzendental-phänomenologischen Reduktion in der Philosophie Edmund Husserls» in Tijdschrift voor filosofie, n. 2, 1962, semplifica a tre le vie: 1) la via cartesiana; 2) la via attraverso la psicologia intenzionale; 3) quella che va oltre le ontologie positive. ↩︎

  13. Avevo già indicato questa via nel mio Husserl — Sul problema di Dio, cit., p. 35 e segg. ↩︎

  14. E. Husserl, Kant e l’idea della filosofia trascendentale, tr. it. di Claudio La Rocca, Arnoldo Mondadori, Milano 1990, p. 119. ↩︎

  15. Ivi, p. 80↩︎

  16. Ivi, p. 81. ↩︎

  17. Ibid↩︎

  18. Ivi, pp179-180. ↩︎

  19. Ivi, p. 180. ↩︎

  20. Ivi, p. 183. ↩︎

  21. Idee I, § 35. ↩︎

  22. Kant e l’idea della filosofia trascendentale, cit. p. 134. ↩︎

  23. Ibid↩︎

  24. Ivi, p. 135. ↩︎

  25. Ibid↩︎

  26. Ibid↩︎

  27. Ivi, pp. 135-136. ↩︎

  28. Husserl usa il termine «assoluto» in due sensi diversi, per indicare, da un lato, ciò che è tale relativamente a noi esseri umani — e questa è la coscienza di ciascuno come punto di partenza della consapevolezza umana del sapere su di sé, sulle cose su Dio —, dall’altro, secondo la prospettiva metafisica tradizionale, per indicare l’Assoluto Principio, cioè Dio. Ciò è espresso molto chiaramente in Idee I, § 58. ↩︎

  29. Kant e l’idea della filosofia trascendentale, pp. 138-139. ↩︎

  30. Ivi, p. 137. ↩︎

  31. Ivi, 154. ↩︎

  32. Ivi, p. 178. ↩︎

  33. Ivi, p. 179. ↩︎

  34. E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, tr. it. di Vincenzo Costa, Guerini e Associati, Milano 1989, Sezione Terza, L’associazione, Capitolo I, Fenomeni originari e forme di ordinamento della sintesi passiva. ↩︎

  35. Ivi, Capitolo II, Il fenomeno dell’affezione. ↩︎

  36. E. Husserl, Esperienza e Giudizio, tr. it. F. Costa e L. Samonà, Bompiani, Milano 1995, §17, Affezione e volgimento dell’io. Ricettività come grado infimo dell’attività dell’io. ↩︎

  37. Ivi, § 24, Il prendere in considerazione e la sintesi esplicativa. ↩︎

  38. E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität II, Husserliana vol. XIV, a cura di Iso Kern, Nijhoff, The Hague 1973, p. 41. ↩︎

  39. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität III, Husserliana vol. XV, testo n. 34. ↩︎

  40. Ho trattato quest’argomento in Husserl. Sul problema di Dio, Studium, Roma 1985. ↩︎

  41. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität III, cit., testo n. 22, Teleologie↩︎

  42. Cfr. A. Ales Bello, «Phänomenologie as ‘the Form of all Forms’ and the Inexhaustibility of Research», in A. -T. Tymieniecka (ed.) The Teleology in Husserlian Phenomenology, Analecta Husserliana, vol. 9, Dordrecht 1979. ↩︎

  43. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität II, cit., p. 385. ↩︎

  44. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität III, cit. P. 594. ↩︎

  45. Dorion Cairns ricorda che secondo Husserl il problema più importante è quello di Dio (Conversations with Husserl and Fink, Phaenomenologica 66, M. Nijhoff, The Hague 1976). ↩︎

  46. E. Husserl, Phänomenologie und Antropologie in Aufsätze und Vorträge (1922-1937), Husserliana, vol. XXVII. ↩︎

  47. Idee II, p. 453. ↩︎

  48. Ivi, p. 494-495. ↩︎

  49. Ivi, p. 551. ↩︎

  50. Idee II, p. 582. ↩︎

  51. Ivi, p. 579. ↩︎

  52. Per la trattazione di questo tema rimando al mio saggio, Fenomenologia e metafisica, in «Seconda Navigazione — Annuario di Filosofia 2000, Corpo e anima, Necessità della metafisica» Arnoldo Mondadori, Milano 2000, pp. 171-219. ↩︎

  53. Cfr. A. Ales Bello, «La questione di Dio nella prospettiva fenomenologica», in Dio e il senso dell’esistenza umana, a cura di Louis Romera, Armando editore, Roma 1999, pp. 101-134. ↩︎

  54. E. Husserl, Lineamenti di etica formale, tr. it. di Paola Basso e Paolo Spinicci, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 2002, p. 86. Per un commento all’etica di Husserl anche in rapporto all’etica di Kant, si può consultare Fenomenologia della Ragion Pratica — L’etica di Edmund Husserl, a cura di Beatrice Cenci e Gianna Gigliotti, Bibliopolis, Napoli 2004. ↩︎

  55. Per lo sviluppo di questo tema rimando al mio articolo «Edmund Husserl. Cristo e il cristianesimo. Meditazioni filosofico-religiose», in Cristo nella filosofia contemporanea, II. Il Novecento, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2002, pp. 11-30. ↩︎