di Hagar Spano (Roma, 26-28 maggio 2011)
Un generale sovvertimento culturale.1 È celebre la definizione di Aufklärung che Troeltsch ha consegnato alle dense pagine della Realenzyclopädie für protestantische Theologie und Kirche, acutamente sintetizzando profilo e prerogative di quella nevralgica stagione e di quel proteiforme fenomeno storico e intellettuale che fu l'Illuminismo tedesco.2 Molto si è detto e scritto al riguardo e non è certamente oggetto di questo contributo un'analisi e un inquadramento generale della questione. Piuttosto mi propongo qui di prendere spunto più dappresso dal rilievo, a mio avviso del tutto condivisibile, che non più tardi di dieci anni fa Michael Maurer, docente di Kulturgeschichte a Jena, ha formulato nel volume dal titolo Kirche, Staat und Gesellschaft im 17. und 18. Jahrhundert3 -- di fatto rievocando la polemica di Karl Barth con Troeltsch, Aner e più in generale con la storiografia della cosiddetta "scuola liberale". Si tratta del rilievo secondo cui «l'autentica stagione di Aufklärung nella teologia protestante tedesca», il motore per così dire di quella «Gesamtumwälzung» di cui diceva Troeltsch e dello «Umschwung» intorno a cui ancor prima aveva puntualmente argomentato Baur nel Lehrbuch des christlichen Dogmengeschichte4, coincide con il movimento della Neologie. Con quella tendenza critico-filologica cioè che, nella cornice della rigenerazione delle scienze teologiche e esegetiche incoraggiata dalla Riforma, a partire dalla seconda metà del diciottesimo secolo informerà il dibattito culturale indirizzando l'Aufklärungstheologie e rivoluzionando di fatto l'intelligenza delle Scritture.
La vicenda intellettuale di Johann August Eberhard (1739-1809) -- personaggio che, come pure è stato scritto, «avrebbe presumibilmente conquistato il diritto a una qualche menzione nelle storie della filosofia, almeno nelle storie della filosofia tedesca del '700»5 -- si intreccia assai saldamente e in maniera senz'altro feconda con il movimento neologico. Con i suoi più autorevoli esponenti egli condivide sia la premessa metodologica (il movimento si assume per così dire il "compito" di recepire e trasformare l'eredità della Riforma secondo gli impulsi e gli strumenti critici del tempo) che l'effettivo campo di applicazione (la Dogmenkritik). E se è certamente vero, come afferma Baur,6 che nel contesto storico-intellettuale del diciottesimo secolo il dogma religioso cessa di essere un «oggetto di fede» per qualificarsi come oggetto del pensiero, che cioè l'«interesse religioso» si fa subordinato a un più universale «interesse di ragione», allora il presente contributo -- formalmente teso a segnalare all'attenzione generale la tematizzazione invero non particolarmente prolissa né inedita della «Dreyeinigkeitslehre» che Eberhard svolge nella terza parte del suo Geist des Urchristenthums7 -- potrebbe costituire più in generale un valido esercizio critico intorno al tema trinitario all'altezza della determinante stagione illuministica e, segnatamente, a cavallo tra due delle prospettive -- "storia del dogma" (Dogmengeschichte; o meglio: Dogmenkritik) e "concezioni di ordine filosofico" -- individuate dagli organizzatori del presente Convegno. In altri termini, nella densa e ricca articolazione dei contributi presentati nella cornice di questo fecondo appuntamento romano capace di interrogare la questione trinitaria nel complessivo arco della cultura occidentale non può evidentemente mancare una proposta indirizzata al nevralgico segmento dell'Aufklärung, nel quale il documento di Eberhard si inscrive.
Neologie,8 dunque. Una declaratio terminorum non è compito agevole ma è necessario. A voler essere schematici, e soprattutto sintetici, si possono fissare alcune coordinate di carattere storico-concettuale all'interno delle quali perimetrare un quadro di riferimento. Per cominciare vale senz'altro la pena chiarire che il vocabolo «neologia» -- deputato a designare quel processo di "creatività lessicale" che sottende sia la generazione di nuovi lessemi che la riqualificazione semantica di vocaboli già esistenti -- ha sostanzialmente origine in campo estetico; nel 1726 P. -F. Desfontaines pubblica il Dictionnaire néologique e soltanto vent'anni dopo, attraverso il Neologisches Wörterbuch (1754) di von Schönaich -- beninteso, allievo di Gottsched -- tale categoria esordisce per così dire nello Sprachraum tedesco. Di più, solo a partire dagli anni Settanta del diciottesimo secolo essa penetra, e non senza un'accezione del tutto dispregiativa, nel linguaggio teologico, dove si identifica con l'Aufklärungstheologie protestante nel complesso e i suoi fermenti. Occorrerà di fatto attendere il ventesimo secolo, segnatamente il primo Novecento, perché le venga attribuito un valore "neutrale" e una specifica funzione storiografica: contrassegnare la forma "matura" della teologia illuministica.
Ora, se dal piano strettamente formale del discorso ci trasferiamo su quello materiale, sul piano cioè di contenuti e contributi, posizioni e tendenze che questa categoria storiografica si propone di uniformare (non senza le difficoltà che tutte le categorie storiografiche incontrano!), può essere utile convocare un testimone diretto di quegli anni e di quella temperie intellettuale: Johann Gottfried Eichhorn. Raffinato orientalista e biblista, a cavallo tra Sette e Ottocento il «dotto di Gottinga»9 traccerà infatti un perspicuo bilancio della teologia della Lessingszeit sottolineando nella sua Storia della letteratura i risultati rilevanti dell'ermeneutica illuministica avviata da Semler, Michaelis e Ernesti: «Diventava sempre più dominante la filosofia lockiana con la sua scomposizione dei concetti; essa sottomise ogni cosa e quindi anche ogni principio dottrinale religioso al tribunale della ragione, distruggendo con il suo procedimento ogni fede nella autorità. Sotto l'influsso di questa filosofia si elevarono pure le altre scienze teologiche ausiliarie: la storia con Arnold e Mosheim, la filologia con Schultens, Michaelis e Ernesti, la critica con Mill, Bengel, Semler e Michaelis. Furono attaccati, contestati, difesi l'origine, la purezza e il contenuto delle Sacre Scritture, insieme all'intera parte storica della teologia, e infine fu scossa nei suoi fondamenti più intimi l'intera concezione dogmatica protestante».10 Ora, il tono ottimistico del bilancio di Eichhorn -- e di altri: «Nel complesso abbiamo avuto un guadagno straordinario da questa rivoluzione degli ultimi trent'anni, che saranno probabilmente ricordati un giorno come il periodo più fulgido nella storia della Chiesa luterana»,11 aveva affermato Spittler prima di lui -- il tono cioè di chi a ragione mette in evidenza come «nessuna epoca quanto quella presente ha ancora esercitato così perfettamente l'interpretazione grammaticale-storico-critica, fornendo anche alla teologia materiali così utilizzabili»,12 contrasta seriamente con lo stato delle successive ricerche sull'Aufklärungstheologie, e segnatamente sul fenomeno della Neologie. E anche su questo punto desidero quantomeno tentare una brevissima ricognizione.
Numerose sono le incertezze e i dubbi che ancora oggi si addensano sulla genesi e la natura della corrente neologica tanto quanto sul suo stesso contorno. Di fatto, come è stato osservato, «non si è d'accordo neppure nel censimento dei suoi rappresentanti e nel rango della loro importanza».13 E se è pur vero che in modo comunemente condiviso si è soliti attribuire, con Aner,14 una posizione mediana al fenomeno neologico, caratterizzandone cioè la parabola come "tappa intermedia" tra la teologia di ispirazione wolffiana e il posteriore razionalismo teologico;15 è altresì vero che su questo punto restano molti e ragionevoli dubbi. Ne elenco qui solo qualcuno al fine di chiarire la portata del problema e lo status quaestionis: come potremmo collocare rispetto al fenomeno neologico figure quali quelle di Ernesti e Michaelis,16 i cosiddetti padri della kritische Bibelwissenschaft? Come collocare Semler, colui che per primo applicherà in modo radicalmente conseguente il metodo filologico-storico al dettato biblico di fatto giungendo -- diversamente dei sopracitati Ernesti e Michaelis -- a mettere in discussione l'identità stessa di rivelazione e Scrittura?17 E, a voler restare sul terreno del processo di graduale storicizzazione e radicale critica dei dogmi avviato e incoraggiato proprio da Semler, sul terreno cioè della «Ethisierung der Dogmatik»18 perseguita in ambito neologico, come valutare la Neologie rispetto al variegato fenomeno della Popularphilosophie, la quale pure caratterizzerà la «terza generazione dell'illuminismo»19 (1750-1780) veicolando come noto una «Verweltlichung der Philosophie» su base pratica?20
Si tratta a ben vedere di questioni di interesse non secondario.21 La "neologia", che beninteso «nella assunzione e nella trasformazione dell'eredità della Riforma sotto gli impusi provenienti dal proprio tempo»22 manifesta la propria peculiarità e grandezza storica, è infatti un fenomeno di importanza nevralgica in seno all'Aufklärung. Essa costituisce a ben vedere un tassello decisivo sia per l'intelligenza della Lessingszeit nel complesso quanto, nello specifico, per un inquadramento della figura e dell'opera dell'autore di cui qui andiamo riferendo, J. A. Eberhard. Il suo primo e più celebre scritto, la Neue Apologie des Sokrates, fu infatti pubblicato nel 1772, vale a dire nel cuore di una stagione -- il ventennio 1760-1780 -- attraversata da aspre dispute dogmatiche con l'ortodossia paleoprotestante. E non senza ragione si è soliti considerare questa stagione come il momento di definitiva maturazione e consacrazione del movimento neologico. In un arco di tempo che ne congiunge infatti le premesse wolffiane degli anni Quaranta, anni in cui si assiste in Germania alla penetrazione e diffusione di correnti radicali di pensiero dall'Europa occidentale, e il posteriore irrigidimento nella dicotomia soprannaturalismo/razionalismo che informerà la Spät-Aufklärung, la Neologie -- questo fenomeno "liquido", se mi è concesso l'utilizzo di questa categoria sociologica per focalizzare un movimento che persino al culmine del proprio sviluppo non sarà agevolmente riconducibile a un gruppo circoscritto di protagonisti,23 a dei capiscuola in ambito accademico ovvero a dei dignitari ecclesiastici, né tantomeno accreditabile a delle Gründerfiguren! -- si delinea quale autentico vettore nella profonda trasformazione della teologia illuministica.
Ora, se è vero che nella cultura del protestantesimo ufficiale, in cui si era affermata una intellettualizzazione della dottrina (protrattasi fino al secolo illuministico) ,24 andava rendendosi necessario -- come ammoniva Wolff -- «un proseguimento della Riforma con nuovi mezzi e a un livello nuovo»;25 e se è pure vero che Wolff stesso, che pure aveva formalmente preso le distanze dal deismo, sin dalla Logica tedesca e poi nella Metafisica tedesca affronterà la questione dell'atteggiamento che la ragione illuministica avrebbe dovuto tenere nei confronti delle Scritture bibliche (affermando che anche le dottrine che vi sono esposte possono essere distribuite nelle classi di verità in cui si dividono le verità mondane e incoraggiando così «il retto uso delle forze naturali dell'intelletto»); è vero altresì che in Germania la crisi della concezione "ortodossa" della ispirazione verbale della Scrittura e il conseguente radicamento di un nuovo orizzonte ermeneutico razionalistico conosceranno una decisiva accelerazione soltanto in seguito alla vasta diffusione -- nel contesto della zeittypische Anglophilie26 -- della impostazione deistica del rapporto tra ragione e rivelazione cristiana. Beninteso, ancor prima della metà del secolo, come osserva Aner27 indicando la traduzione che nel 1740 J. L. Schmidt28 farà della Christianity as old as the creation (1730) di Tindal, la scuola wolffiana si era confrontata con le istanze sollevate dai deisti. Le aveva accolte (come nel caso del succitato Schmidt) o respinte (penso al Philosophischer Beweis di Knutzen, per intenderci),29 incanalando in ogni caso nel vasto movimento razionalistico-religioso, di cui sarà espressione la "neologia", il «graduale processo di razionalizzazione del dogma e della tradizione cristiana rivelatosi lungo il xvii e xviii sec. ».30 Processo teso a preparare quel «tempo di un nuovo Vangelo eterno»31 di cui sul finire del secolo, quando ormai la Neologie avrà esaurito la propria parabola, scriverà Lessing.
Ebbene, riscatto dalla dogmatica ortodossa e assieme dai sistemi metafisico-cosmologici di riferimento; emancipazione dallo schema conversione/salvezza di impianto pietista; infine, affrancamento dal purismo metodologico della teologia di derivazione wolffiana. Questi tre parametri possono senz'altro costituire un puntuale inventario del comune patrimonio neologico. Patrimonio di cui la divaricazione, già teorizzata da Semler, tra religione e teologia32 (vale a dire: tra "religione pubblica" e "privata"; dottrina ecclesiastica, normativa, e religiosità individuale), la preminenza accordata, come in Inghilterra oppure nei Paesi Bassi, al tema della "tolleranza", e non da ultimo il ricupero e lo sviluppo degli argomenti tipici della apologetica antideista (Warburton, Butler), costituiscono le voci principali. Ma c'è dell'altro. L'aspetto senz'altro più rilevante e più gravido di effetti, quello che di fatto intendo guadagnare alla complessiva economia critica del nostro Convegno, è costituito dal consolidamento del processo di reductio, nel senso della Ethisierung a cui prima si accennava,33 dell'elemento religioso a quello pratico, morale. La "plausibilità morale" si fa cioè criterio di verifica del religioso, del dogma nel caso di specie, e la dimensione etico-pratica viene a costituire il nuovo punto archimedeo su cui possa far leva quella nozione -- «essenza» del cristianesimo -- rispetto a cui tutte le rivendicazioni confessionali in termini di normatività si relativizzano come storicamente condizionate. Beninteso, è questa una nozione che tanta fortuna avrà nel seguito, per es. «nella discussione tra Otto e Novecento»,34 ma che proprio in questa cornice -- in cui si consolida un mutamento di paradigma (nel senso della normatività e della pretesa di autorità, e nel senso dell'intelligenza stessa delle Scritture) e uno spostamento di interesse verso l'uomo Gesù, il «Socrate di Galilea» che solo è in grado di autenticare con il proprio esempio e insegnamento il principio religioso -- ha il suo periodo germinale.35
Ora, non è certamente questa la sede per trattare e "risolvere" un tema così complesso e dalle implicazioni filosofiche e teologiche tanto delicate. Per ovvie ragioni mi limito qui a evocare in linea generale alcune delle questioni, di cui ovviamente potrò offrire una articolata definizione soltanto nel contributo scritto destinato al volume degli Atti, che possono senz'altro essere tenute in considerazione per una interrogazione storico-concettuale di tipo "longitudinale" e un inquadramento, per quanto sommario, del documento eberhardiano e del suo specifico contesto di riferimento.
Ebbene, ritengo di poter qui evocare due testimonianze, di Troeltsch e Harnack. Nel denso saggio su Il significato della storicità di Gesù per la fede, esattamente cent'anni or sono quegli osservava come «dopo la definitiva disgregazione del dogma cristiano creato dalla Chiesa primitiva, dopo la dissoluzione della cultura cristiana unitaria, e dopo l'inizio della critica storica in campo biblico, una delle questioni capitali per il pensiero religioso cristiano sia l'effetto della critica storica sulla fede in Cristo».36 Quale significato può avere per la fede, beninteso per quella fede che per sua stessa natura è orientata all'eterno, all'incondizionato e al soprastorico, una figura di Gesù "esposta" alla critica storica, quella critica storica che oggi si impone in un mondo non più egemonizzato dalla Chiesa? «Già ai primi inizi della formazione della comunità -- asserisce Troeltsch -- l'ideazione religiosa del cristianesimo primitivo aveva sottratto Gesù alla storia e ne aveva fatto un Cristo eterno, Logos e Dio, che ci appare in forma storica». La critica storica lo ha restituito alla storia, alla finitezza, alla condizionatezza.
Evidentemente però tale dinamica interessa dall'interno, come un'interna logica, la storia stessa della Chiesa. E una penetrante riflessione, che sembra aderire perfettamente allo scritto di Eberhard secondo i suoi dichiarati propositi, recita infatti: «La storia della chiesa mostra, già nei suoi primi passi, che il "cristianesimo delle origini" dovette tramontare (untergehen mußte) affinché il "cristianesimo" perdurasse, e così anche in seguito si sono succedute ulteriori metamorfosi».37 È quanto Harnack affermerà nella prima delle celebri lezioni su L'essenza del cristianesimo tenute presso l'Università di Berlino nel semestre inv. 1899-1900.
Circa un secolo prima di Harnack, nelle battute conclusive della Introduzione al terzo volume del suo Geist des Urchristenthums, consegnando a un tempo al lettore un riferimento programmatico e assieme un criterio per orientarsi nella sua articolata produzione scientifica in occasione di quello che per sua stessa ammissione avrebbe verosimilmente costituito il suo ultimo sforzo letterario, Eberhard afferma: «Sarò lieto se qui avrò portato a compimento quanto iniziato nella mia Apologia di Socrate: rappresentare il cristianesimo primitivo nella sua originaria purezza, carità e dignità».38 Ora, scorrendo il testo della Vorrede, e in particolare le pagine che l'Autore dedica a alcune delle critiche calamitate dai primi due volumi dello scritto, pagine nelle quali beninteso egli ribadisce a più riprese il proposito di voler «lasciar apparire il trionfo del cristianesimo delle origini nella sua più gloriosa luce»,39 è agevole rintracciare lo Hauptsatz, il tema portante per così dire, alla base dello scritto. Nel cristianesimo -- afferma il neologo allontanando di fatto le riserve nel merito del rigore storico: «philosophisch genommen», puntualizza -- si fondono e convergono la cultura greca e quella orientale, quella specifica intelligenza (Sinn) e quel sentimento (Gefühl); di più: il cristianesimo, e qui si fa chiaro un richiamo al suo scritto premiato dall'Accademia delle Scienze tre decenni prima, «coniuga i mezzi (Mittel) del perfezionamento delle due parti principali (Haupttheile) del Wesen umano».40
Ora, non è sfuggita a K. Lungwitz l'analogia, pressoché evidente -- quantomeno a un livello di superficie -- tra questa tesi e quella sviluppata, tra gli altri, proprio dallo Harnack nelle lezioni sopra ricordate e nello scritto altrettanto celebre sulla missione e propagazione del cristianesimo nei primi tre secoli. A un livello per così dire meno "superficiale" conviene perlopiù osservare che l'operazione che anche Eberhard compie, nel solco beninteso di una tradizione come s'è detto largamente codificata, si qualifica secondo lo spirito di quella kritische Reduktion, di quella «riduzione critica» cioè nella quale -- a detta proprio di Harnack -- si risolve di fatto «ogni riforma veramente significativa nella storia delle religioni».41
È in questa luce che, pur rinviando alla più ampia versione che di questo paper sarà pubblicata e che tra le altre cose farà chiarezza pure sulla Rezeptionsgeschichte dello scritto eberhardiano, occorre segnalare in conclusione, ancorché in linea generale e in modo necessariamente sommario, alcuni degli spunti presenti nella focalizzazione del tema trinitario che Eberhard qui svolge. Certo, a questo riguardo si può forse anzitutto lamentare uno sviluppo non particolarmente congruo o almeno non sufficientemente articolato della questione. Per quanto mi è dato di conoscere non esiste di fatto un documento appositamente dedicato dal Nostro alla "Dreyeinigketslehre" e gli stessi scritti di carattere teologico, sia quelli "propedeutici" e più direttamente collegati all'attività didattica svolta a Halle (penso alla Vorbereitung o anche al Kurzer Abriß) sia le dense Streitsschriften degli anni Novanta, benché sviluppino rationaltheologisch il concetto di Dio invero piuttosto diffusamente, e in ispecie la questione della Erkenntnis Gottes, non riservano al tema trinitario una trattazione omogenea né uno spazio esclusivo e di qualche rilievo. Ancora: in realtà si può forse affermare, non so quanto provocatoriamente o forse a ragione, che l'intera questione venga sommariamente e coerentemente "liquidata" nel cap. 74 di GU III, laddove il teologo e filosofo di Halberstadt contestando more solito la «Spitzfindigkeit» dei padri della Chiesa e le contaminazioni "speculative" sofferte da quegli «scritti dai quali soltanto dobbiamo ricavare le dottrine del cristianesimo»,42 si esprime intorno a questa «ancora e ancora ampliata» (nach und nach verbreiteten) "Dreyeinigkeitslehre" nei termini seguenti: «Questa dottrina piena di mistero, elevata ad articolo di fede con il Concilio di Nicea, attraverso una serie interminabile di trasformazioni, controversie, agitazioni e vicendevoli persecuzioni tra fazioni avverse, è stata trasmessa ai teologi scolastici e dopo di essi si è riprodotta (fortgepflanzt) fino a noi».43 È questo un passaggio piuttosto perspicuo in termini per così dire programmatici.
Ora, a voler condurre una breve ricognizione introduttiva su questo capitolo, beninteso più denso di quanto pure tali perentorie premesse non lascino presagire, ritengo sia possibile in primo luogo evidenziarne una sostanziale suddivisione in due parti. La prima è globalmente di taglio esegetico e vede l'allievo di Semler alle prese con la terza persona della Trinità, lo Spirito Santo, e segnatamente con i luoghi biblici capaci di attestare -- beweisen: di dimostrare, anzi! -- l'identità tra la nozione di cui riferiscono i profeti nel canone veterotestamentario e quella di Gesù e degli Apostoli nel Nuovo Testamento. «Cosa ci riferiscono i documenti neotestamentari intorno allo Spirito Santo, qualora noi volessimo rappresentare in modo autentico questa dottrina del cristianesimo primitivo? » -- ci si chiede qui esplicitamente. E interessante è da questo punto di vista l'«identità»,44 la "concordanza" per così dire, tra Is. 61, 1 e Lc. 4, 18 che solo egli può addurre (anführen) e che minuziosamente argomenta. Quella seguente è una risposta che, a voler per così dire riassumere la tesi di fondo dell'Autore, può essere agevolmente captata: «Nel linguaggio di Gesù e degli Apostoli lo Spirito santo è assieme l'insegnamento della nuova religione spirituale, la convinzione nella sua verità, la sua compiuta conoscenza, e la capacità di comunicarla agli altri».45 Queste priorità accampate dai seguaci della nuova religione, prosegue, sono così perfettamente intrecciate le une alle altre che agevolmente esse potevano e possono venir ricomprese assieme in un concetto più generale.
Nella seconda parte viceversa l'approccio filologico e esegetico-critico lascerà spazio a una articolata analisi di natura filosofico-genealogica e per così dire di taglio begriffsgeschichtlich, di storia dei concetti che qui non può essere debitamente ricostruita. «Così -- afferma il Nostro in modo letterale -- il cristianesimo delle origini contiene la fede nel Dio padre; in Gesù, il Messia o il Figlio di Dio, attraverso cui secondo l'apostolo Giovanni si manifesta l'onnipotenza divina (e che è per Paolo l'eterno archetipo); e lo Spirito Santo, Belehrung, "annuncio" della nuova religione. E tale è il senso del compito che in Mt. 28: 19 Gesù affida ai discepoli congedandosi da loro».46 Ora, se è certamente pacifico quanto Franz Dünzl scrive nelle pagine prefatorie della sua Kleine Geschichte des trinitarischen Dogmas in der Alten Kirche, un volumetto recentemente apparso anche in traduzione italiana, e cioè che: «Neppure la professione di fede nel Dio uni-trino, che fu formulata in maniera vincolante nei primi concili ecumenici di Nicea (325) e Costantinopoli (381) e che unisce tutt'oggi le confessioni cristiane, è caduta all'improvviso dal cielo come un meteorite. Né essa era semplicemente l'eredità in sé compatta del cristianesimo primitivo, che era meramente affidata alla chiesa affinché la conservasse e la difendesse da attacchi. Tale professione di fede scaturì piuttosto [...] da una storia di tre secoli, cui presero parte generazioni di teologi e di fedeli che cercarono [...] con sagacia e spesso anche in maniera conflittuale vie [alcune delle quali finite in vicoli cieci che furono marcati da condanne dottrinali ufficiali] per poter credere nell'unico Dio Padre, Figlio e Spirito»;47 ebbene, se ciò è del tutto pacifico non sorprende l'argomentazione che conseguentemente il teologo e filosofo di Halle ritiene di compaginare, fedele ovviamente alla tesi metodologica che già aveva opposto alle critiche che trent'anni prima gli erano provenute da Ernesti, tesi secondo cui cioè «le teorie contenute nei sistemi teologici sono null'altro che filosofia; e mediante null'altro devono essere giudicate»;48 ma attenzione! coerentemente altresì con l'assunto che, nello scritto che pure sopra si menzionava, Troeltsch farà risalire al cosiddetto «progresso ulteriore della critica» ermeneutica illuministica e che risolverà nella contrapposizione tra «cristianesimo di Cristo» e «della Chiesa».
Il risultato è una sorta di storia diffusa della "definizione" e trasmissione della dottrina trinitaria. Devo limitarmi qui a fornirne una pallida traccia, per il cui sviluppo rinvio ovviamente alla pubblicazione degli Atti. Dai «primi padri della Chiesa», che hanno «rinvenuto», così si esprime il Nostro, all'interno del cristianesimo questi «tre oggetti della fede» e non hanno mancato di accostarli alla celebre "triade" -- bontà, saggezza, onnipotenza -- attestata all'interno della filosofia platonica (laddove essa descrive, così afferma, le somme perfezioni del creatore di tutte le cose; elementi che, beninteso, attraverso la Qabbalah ebraica e lo gnosticismo erano filtrati nell'universo protocristiano -- e qui Eberhard ha qui buon gioco nell'evocare, tra gli altri, «il platonico Galeno» e di segnalare in pari tempo, e in termini di affinità con detta triade platonica, le prime tre Sephiroth dei cabalisti così come i tre sommi eoni gnostici!); fino al Medioevo [dove di fatto si consuma la contrapposizione «di due sistemi», realismo e nominalismo; per i quali o "bontà, saggezza e amore" -- asserisce -- sono altrettante "sostanze" (Padre, Figlio e Spirito Santo), ovvero le tre persone sono altrettante proprietà o qualità (Eigenschaften) divine; nell'un caso, precisa, con un "sacrificio" in termini di unità all'interno del Wesen divino e nell'altro invece con un sacrificio in termini di personalità].
Copyright © 2011 Hagar Spano
Hagar Spano. «Eberhard GU III: 74. Un profilo neologico intorno alla Dreyeinigkeitslehre». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**44 B].
E. Troeltsch, Aufklärung, in Realencyclopädie für protestantische Theologie und Kirche, Bd. 2, Leipzig 1897, p. 225. Testo
All'interno di una sterminata letteratura critica sull'argomento scelgo di segnalare almeno la penetrante analisi concettuale che Albrecht Beutel svolge nel cap. 1 del suo Kirchengeschichte im Zeitalter der Aufklärung. Ein Kompendium, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2009; il volume è originariamente apparso nel 2006 come fascicolo (Bd. 4, Lief. O2) della monumentale opera Die Kirche in ihrer Geschichte, a cura di Bernd Moeller. Testo
M. Maurer, Kirche, Staat und Gesellschaft im 17. und 18. Jahrhundert, Oldenbourg, München 1999, p. 33. Testo
F.C. Baur, Lehrbuch der christlichen Dogmengeschichte, Fues's Verlag, Leipzig 18673, p. 343. Testo
C. La Rocca, Introduzione a I. Kant, Contro Eberhard. La polemica sulla critica della ragion pura, Pisa 1994, p. 8. Non è questo il luogo per un complessivo inquadramento della figura e dell'opera di J.A. Eberhard; al riguardo mi permetto di rinviare a un mio volume di prossima uscita. Testo
Baur, Lehrbuch, cit., p. 349. Testo
J.A. Eberhard, Der Geist des Urchristentums. Ein Handbuch der philosophischen Kultur für gebildete Leser aus allen Ständen in Abendgesprächen, 3 voll., Rengersche Buchhandlung, Halle 1807-1808; nel seguito indicato dalla sigla GU e dal numero del volume. Testo
Per una rapida introduzione al tema si v. G. Hornig, Neologie, in J. Ritter -- K. Gründer -- G. Gabriel (cur.), Historisches Wörterbuch der Philosophie, Schwabe Verlag, Basel 1971ss., Bd. 6 (1984), p. 718ss.; W. Philipp, Neologie in Evangelisches Kirchenlexikon, curr. H. Brunotte -- O. Weber, Bd. 2, coll. 1541-1543; W. Sparn, Neologie, in W. Schneiders (cur.), Lexikon der Aufklärung, Beck, München 1995, p. 287ss.; e infine A. Beutel, Kirchengeschichte, cit., in part. pp. 112-151. Testo
Sul tema si v. le penetranti righe di C. Antoni, La lotta contro la ragione, Sansoni, Firenze 1968, pp. 129-159. Testo
J.G. Eichhorn, Literaturgeschichte, Göttingen 1799 (vol. II) e 1814 (vol. II), II, pp. 1070-71; tr.it. in G. D'Alessandro, L'Illuminismo dimenticato. Johann Gottfried Eichhorn (1752-1827) e il suo tempo, Liguori Editore, Napoli 2000. Testo
L.T. Spittler, Grundriss der Geschichte der christlichen Kirche, Göttingen 18125, § 58, p. 394. Testo
Eichhorn, Literaturgeschichte, cit., p. 1080; tr.it., cit., p. 64. Testo
B. Bianco, Fede e Sapere. La parabola della Aufklärung tra pietismo e idealismo, Morano, Napoli 1992, p. 138. Testo
K. Aner, Die Theologie der Lessingzeit, Halle 1929, p. 4. Di contro -- penso a K. Barth, Die protestantische Theologie im 19. Jahrhundert. Ihre Vorgeschichte und ihre Geschichte, Zürich 19603, p. 142 -- non è mancato chi abbia inteso ridimensionare il novum costituito dalla neologia rivalutando gli elementi di innovazione già contenuti nella cosiddetta ortodossia wolffiana. Testo
«Generalmente si situa il fenomeno Neologie tra i decenni che vanno dal 1740 al 1790», così M. Pockrandt, Biblische Aufklärung. Biographie und Theologie der Berliner Hofprediger A.F.W. Sack (1703-1786) und F.S.G. Sack (1738-1817), De Gruyter, Berlin/NewYork 2003, p. 5. Testo
Secondo Aner -- Die Theologie, cit., p. 202ss. -- Ernesti e Michaelis appartengono all'«arsenale neologico» (neologische Waffenschmiede); di diverso avviso, tra gli altri, K. Barth, Die protestantische Theologie, cit., p. 150ss. Testo
J. Rohls, Protestantische Theologie der Neuzeit, Bd. I: Die Voraussetzungen und das 19. Jahrhundert, Mohr-Siebeck, Tübingen 1997, p. 208; al riguardo v. l'interessante A. Bühler (cur.), Unzeitgemässe Hermeneutik: Verstehen und Interpretation im Denken der Aufklärung, Klostermann, Frankfurt a.M. 1994, in part. pp. 192-222. Su Semler segnalo G. Hornig, Die Anfänge der historisch-kritischen Theologie. Johann Salomo Semlers Schriftverständnis und seine Stellung zu Luther, V&R, Göttingen 1961; Id., Johann Salomo Semler. Studien zu Leben und Werk des Hallenser Aufklärungstheologen, Niemeyer, Tubingen 1996; in it. v. R. Bordoli, L'Illuminismo di Dio: alle origini della mentalità liberale. Religione teologia filosofia e storia in J.S. Semler (1725-1791). Contributo per lo studio delle fonti teologiche, cartesiane e spinoziane dell'Aufklärung, Leo S. Olschki, Firenze 2004, Testo
Rohls, Protestantische Theologie der Neuzeit, cit., p. 210. Testo
M. Wundt, Die deutsche Schulphilosophie im Zeitalter der Aufklärung, Mohr, Tübingen 1945, pp. 265-341. Testo
W. Schneiders, Zwischen Welt und Weisheit. Zur Verweltlichung der Philosophie in der frühen Moderne, in "Studia Leibnitiana", 15 (1983), p. 15. Oltreché "neologo" Eberhard fu altresì Popularphilosoph. Ma se Aner, Die Theologie, cit., pp. 85 e 96 non si perita di collocarlo, e di collocare anche Steinbart, nella schiera dei neologi, è di diverso avviso I.A. Dorner, Geschichte der protestantischen Theologie... München 1867, p. 712, per il quale, per il suo radicalismo antidogmatico, egli si colloca piuttosto tra i rappresentanti della negative Aufklärung (con Reimarus e Bahrdt!); v. B. Bianco, op. cit., p. 140. Testo
Il censimento dei rappresentanti della corrente neologica è assai arduo. Per Aner, ma anche per Barth, Jerusalem, Hofprediger a Wolfenbüttel, è una figura centrale della Neologie. Altri studiosi, si pensi a Dorner e Gass, lo relegano invece tra i populäre Dogmatiker assieme agli alti dignitari ecclesiastici berlinesi A.F.W. Sack e J.J. Spalding. Ma questi ultimi due vengono considerati da altri interpreti tra le «figure più venerabili [...] dell'intera neologia tedesca», così Hirsch, Geschichte, cit., Bd. IV, pp. 15-31 (per Spalding) e Aner, Die Theologie, cit., p. 61 (per A.F.W. Sack). In linea generale condivido l'impostazione storiografica volta a riguadagnare le figure dei due Sack, di Spalding e Jerusalem, Teller e Töllner, al comune orizzonte neologico; Pockrandt, Biblische Aufklärung, cit., p. 5ss.; al riguardo v. senz'altro Bianco, op. cit., p. 137ss. Testo
Bianco, Fede e Sapere, cit., p. 178. Testo
Beutel, Kirchengeschichte, cit., p. 113. Testo
N. Merker, L'Illuminismo in Germania. L'età di Lessing, Editori Riuniti, Roma 1989, p. 199ss. Testo
W. Schneiders, Reformaufklärung in Deutschland, in P. Geyer (cur.), Das 18. Jahrhundert, Regensburg 1995, p. 25. Testo
Sul tema M. Maurer, Aufklärung und Anglophilie in Deutschland, V&R, Göttingen 1987, in part. i capp. 1-2. Testo
K. Aner, Die Theologie der Lessingzeit, cit., p. 22; al riguardo v. pure N. Merker, L'Illuminismo in Germania, cit., pp. 208-211; E. Hirsch, Geschichte der neuern evangelischen Theologie, cit., pp. 417-438. Testo
Allievo di Buddeus a Jena, Johann Lorenz Schmidt (1702-1749) è noto per la cosiddetta Bibbia di Wertheim, traduzione "razionalistica" del Pentateuco apparsa nel 1735; v. E. Hirsch, Geschichte, cit., Bd. IV, pp. 417-438. Testo
M. Knutzen, Philosophischer Beweis von der Wahrheit der christilichen Religion, Königsberg 1740, 17474. Testo
A. Lamacchia, La filosofia della religione in Kant: dal dogmatismo teologico al teismo morale (1755-1783), Manduria 1969, vol. I, p. 26. In particolare, K. Aner -- Die Theologie, cit., p. 4ss. -- menziona tre "stadi" del processo neologico: un primo stadio "wolffiano", in cui ragione e rivelazione coesistono l'una accanto all'altra; un secondo stadio autenticamente "neologico", in cui tutto ciò che contraddice alla ragione viene rigettato; infine uno stadio "razionalistico" in cui ragione e rivelazione si identificano e si ha una sostanziale reductio in verità razionali del tradizionale contenuto della rivelazione. Testo
G.E. Lessing, Die Erziehung des Menschengeschlechts, Berlin 1780, in Gesammelte Werke, München 1959, I, §. 86. Testo
La distinzione è largamente documentata nell'opera eberhardiana, sotto il profilo epistemologico e politologico. Penso alla Vorbereitung zur natürlichen Theologie (1781) nel primo caso; per il secondo, al saggio über die wahre und falsche Aufklärung (1789), a proposito del quale rinvio a Hagar Spano, Saggezza, rischiaramento, regole. Il contributo di Johann A. Eberhard al dibattito sulla Aufklärung, in A. Pirni (cur.), Globalizzazione, saggezza, regole, Pisa 2011. Testo
Mi permetto a questo riguardo di rinviare a Hagar Spano, Colpa e peccato. La Ethisierung illuministica e la Neue Apologie di Johann A. Eberhard, in "Filosofia e Teologia" 2/2009, pp. 300-311. Testo
G. Forni, L'«essenza del cristianesimo». Il problema ermeneutico nella discussione protestante e modernista (1897-1904), il Mulino, Bologna 1992, p. 35. Testo
Di indiscutibile ascendenza pietistica, l'espressione «essenza» del cristianesimo è attestata in modo esplicito nell'opera di Philipp Jakob Spener e, ancor prima, del pastore Joachim Betke. E. Jüngel, Indikative der Gnade -- Imperative der Freiheit, Mohr Siebeck, Tübingen 2000, p. 3. Sul tema v. H. Wagenhammer, Das Wesen des Christentums. Eine begriffsgeschichtliche Untersuchung, Griinewald-Verlag, Mainz 1973, pp. 121ss e 140ss.; F. Nüssel, Die Umformung des Christlichen im Spiegel der Rede vom Wesen des Christentums, in A. Beutel -- V. Leppin (curr.), Religion und Aufklärung. Studien zur neuzeitlichen "Umformung des Christlichen", Evangelisches Verlagsanstalt, Leipzig 2004, pp. 15-32. Testo
Troeltsch, tr. it., p. 347. Testo
A. v. Harnack, Das Wesen des Christentums, Hinrich Verlag, Leipzig 1901, p. 9 [tr. it. a cura di G. Bonola, L'essenza del cristianesimo, Queriniana, Brescia 1980, p. 73]. Testo
GU III, X. Testo
GU III, VIII. Testo
GU III, VIII. Testo
Harnack, Das Wesen, cit., p. 168 [240]. Testo
GU III, 135. Testo
Ibid. Testo
GU III, 137. Testo
GU III, 140s. Testo
GU III, 145. Testo
F. Dünzl, Kleine Geschichte des trinitarischen Dogmas in der Alten Kirche, Herder, Freiburg 2006 [trad. it. Breve storia del dogma trinitario nella chiesa antica, Queriniana, Brescia 2007, p. 6]. Testo
J.A. Eberhard, Neue Apologie des Sokrates, oder Untersuchung der Lehre von der Seligkeit der Heiden, Berlin-Stettin 1772; tr. fr. Amsterdam 1773, tr. ol. s'Graavenhage 1773. Testo
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