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Filosofia dell'alterità e Trinità: riflessioni a partire dal pensiero di Joseph de Finance

di Giorgia Salatiello (Roma, 26-28 maggio 2011)

«Deus Trinitas fecit hominem ad imaginem suam, idest totius Trinitatis»1: questa affermazione di Tommaso, posta nella parte conclusiva dell'articolo in cui, appunto, si interroga sull'immagine di Dio nell'essere umano, chiedendosi se essa sia trinitaria, può utilmente introdurre le successive riflessioni perché contiene i concetti cardine intorno ai quali queste si articoleranno.

Indicare l'uomo come immagine di Dio, implica, infatti, in primo luogo, che sia possibile individuare una peculiarità che lo distingue essenzialmente dal resto del creato e, con ciò, ci si colloca nel cuore dell'indagine antropologica, filosofica e teologica.

D'altra parte, però, e questo è il secondo riferimento centrale, quell'immagine è specificata in senso trinitario e da qui si è indirizzati a ricercare quale rilevanza abbia, per la comprensione dell'essere umano, il mistero di Dio Uno e Trino.

In realtà, cioè, poiché «l'uomo è un riflesso del mistero di Dio stesso»,2 l'ultima profondità del suo essere non si può trovare indagando su di lui soltanto, ma muovendo da Colui di cui egli è, appunto, l'immagine e dal quale riceve, proprio per questa ragione, un posto unico nella creazione.

Ovviamente, resta aperto, sulla base del medesimo concetto dell'immagine, anche il percorso inverso e, partendo dalla creatura spirituale, diviene possibile pervenire a qualche conoscenza dell'Esemplare che essa riflette, seppure in un modo limitato ed imperfetto, sempre infinitamente distante dal suo Creatore.

Le considerazioni fino a qui sinteticamente svolte introducono a quello che è l'obiettivo di questa riflessione, ovvero giungere a prospettare la visione dell'essere umano, che emerge alla luce del riferimento al mistero del Dio Trinità di cui egli è l'immagine.

Il primo passo, in tale ricerca, sarà quello di individuare la conoscenza che, riguardo al soggetto, può essere acquisita mediante un'analisi puramente filosofica, chiedendosi poi se, in questo modo, si sia veramente esaurita la ricchezza della realtà umana, con una particolare attenzione al tema antropologico, oggi centrale, della relazione intersoggettiva.

In seconda istanza, poi, si ripercorreranno i passaggi effettuati per mostrare come una loro rilettura sul fondamento del concetto dell'immagine della Trinità possa dischiudere nuovi ed altrimenti inaccessibili orizzonti di comprensione e di significato.

In entrambi i momenti l'ispirazione sarà fornita dal riferimento costante all'opera di Joseph de Finance, che ha un valore emblematico sia per lo spessore della sua antropologia metafisica e della sua filosofia dell'alterità, sia per la sua apertura al trascendimento nel mistero trinitario.

Conclusivamente, infine, sulla base dei risultati conseguiti, si perverrà a formulare una proposta per indicare la possibilità di un'indagine che, senza ingenerare alcuna confusione tra la riflessione filosofica e quella teologica, permetta una reciproca e feconda integrazione.3

1. Joseph de Finance: dalla metafisica all'antropologia

Joseph de Finance è conosciuto quasi esclusivamente come il filosofo dell'etica4 e questo approccio al suo pensiero, pur cogliendone una dimensione sicuramente centrale, da solo risulta parziale, riduttivo e, alla fine, fuorviante perché si preclude la strada per cogliere quello che è il fondamento dell'etica stessa.5

Il percorso che, invece, si deve effettuare per giungere alla comprensione della sua riflessione etica e di quella, altrettanto significativa, sull'alterità e sulla relazione intersoggettiva6 deve muovere dalle linee generali della sua antropologia,7 da considerare sempre inserita nell'imprescindibile quadro metafisico di riferimento, che giustifica ogni affermazione sull'essere umano, al di là di un'impostazione puramente descrittiva.

Alla base di questa riflessione antropologica vi è un pregiudiziale chiarimento terminologico che introduce direttamente agli ulteriori approfondimenti precisando il significato di «soggetto spirituale», di «persona» e di «io».8

Prendendo l'avvio dal concetto di «soggetto spirituale», de Finance evidenzia che la sua comprensione implica quella del più ampio «soggetto», che è segnato da un carattere di intrinseca relazionalità, rinviando sempre ad un contrapposto «oggetto» e che ha subito una profonda trasformazione semantica, passando dal riferimento al sostrato o alla sostanza all'uso moderno che, contrapponendolo, come si è visto, ad «oggetto», ne sottolinea la particolarità e l'individualità.

Chiarito ciò, il «soggetto spirituale» si presenta come quella forma peculiare di soggettività che si caratterizza per la sua apertura che la rapporta all'Essere ed agli altri esistenti, in un costante superamento dei propri limiti e con una dinamica esplicitazione della coscienza di sé.

In questa accezione di soggettività aperta il concetto di «soggetto spirituale» si rivela coincidente con quello di «persona», a cui ineriscono le caratteristiche dell'assoluto valore e della relazionalità, contraddistinguendosi per la coscienza e per la libertà.

De Finance sottolinea qui che «persona» ha un intrinseco ed ineliminabile spessore ontologico che rende inadeguati i tentativi contemporanei di definirla sul piano puramente psicologico o relazionale, mentre l'ultimo concetto, prima richiamato, cioè quello di «io», evidenzia il rapporto tra la dimensione ontologica e quella psicologica, designando la coscienza di sé del «soggetto spirituale».

Il primo ulteriore approfondimento sulla struttura costitutiva dell'essere umano comporta che sia evidenziato che egli, come ogni altro esistente, «è legato all'essere: la Totalità lo comprende, lo penetra, così che il Tutto è in tutto»,9 pur escludendo qualsiasi panteismo immanentistico perché l'Essere, presente in tutti gli enti, è, tuttavia, al di là di essi e li trascende rimanendo inesauribile.

In questo quadro metafisico di chiara matrice tomista, l'esistente è tale in quanto esercita l'atto di essere,10 che rende concretamente positiva la pura possibilità dell'essenza che esprime nello stesso tempo negatività, per le perfezioni che esclude, e positività poiché «mette in evidenza la perfezione che «delimita»» .11

L'atto di essere, ponendo nell'esistenza, fonda così l'unicità di ogni ente che risulta incomunicabile ed, in un certo senso, assoluto ed insieme ad essa la comunione di tutti gli enti, legati dalla comune posizione nell'essere, mentre l'essenza rende ragione del limite e della contingenza dell'esistente finito.

Il riferimento all'essenza conduce direttamente all'individuazione delle note che distinguono il «soggetto spirituale» da tutti gli altri esistenti finiti, con i quali ha in comune l'unicità, l'esclusività e l'incomunicabilità, poiché la sua essenza, mentre, come ogni altra, esprime determinazione, in seno a questa stessa determinazione si rivela radicalmente indeterminata, cioè aperta a ciò che non coincide con essa, mediante la conoscenza e la volontà.12

Tale apertura è orientata alla Totalità dell'essere e si configura come capacità di trascendimento di qualsiasi ente ed anche di sé medesimo, introducendo, con la mediazione dell'Essere, quella possibilità di raccoglimento che è l'interiorità, ed in essa sono radicate la libertà e la coscienza di sé, che appaiono ora come le note realmente distintive del «soggetto spirituale», fondamento della sua differenza rispetto agli altri enti finiti.13

L'indisgiungibile unione di determinazione ed indeterminazione non deve, tuttavia, far ignorare che esse sono poste su piani diversi, perché, mentre la determinazione, identificandosi con l'essenza, si colloca su quello orizzontale, l'indeterminazione, in quanto apertura, è verticale, cioè tendente verso l'«alto», verso l'Assoluto.14

Questo trascendimento fonda, dunque, la libertà e la coscienza di sé e riguardo alla prima si deve subito sottolineare che essa è la totale indeterminazione da parte di qualsiasi oggetto, mentre, per l'orientamento alla Totalità, «riceve la sua determinazione ultima dal rapporto all'essere come tale»,15 manifestando la dignità ed il valore dell'esistente spirituale, nella sua relazione con l'Essere al quale è costitutivamente ordinato.16

D'altra parte, la coscienza di sé, intesa come «lo statuto di un essere che la materia non viene a dividere da sé»,17 ha un profondo spessore ontologico, come già in Tommaso, ed attesta la capacità, in ogni atto diretto ad un oggetto, di ritornare riflessivamente su di sé, rendendo esplicita l'originaria, implicita presenza a sé e giungendo a possedersi.

Poiché, però, questo ritorno cosciente su di sé è possibile solo per l'apertura all'Essere che attrae, si può affermare che esso, in ultima istanza, non si presenta come il frutto di uno sforzo umano, ma come un dono dell'Essere medesimo che riconsegna il soggetto a se stesso.

Si deve, infine, evidenziare che l'antropologia di de Finance, così come è fondata sulla metafisica, riconduce, nel suo esito ultimo, nuovamente ad essa, o, più precisamente, a quello che è il suo vertice, ovvero la teologia filosofica.

Infatti, avendo mostrato che il soggetto trae il suo valore dall'apertura all'Essere, la riflessione sulla sua struttura costitutiva illumina anche su come deve essere concepito questo Assoluto che lo pone nell'esistenza come persona cosciente di sé e libera.

L'Assoluto, cioè, in quanto fondamento della coscienza e della libertà, si rivela come Soggetto eminentemente personale ed in sé sussistente, in cui vi è completa coincidenza di coscienza, verità e valore assoluti, incondizionata libertà che non è oscura irrazionalità, ma totale spontaneità e generosa diffusività, nella pienezza del suo infinito atto di essere.18

2. La filosofia dell'alterità

La centralità del tema dell'alterità nell'indagine antropologica di de Finance è subito evidente se si considera che il soggetto è caratterizzato come spirituale a partire dalla sua apertura che lo porta costantemente al di là di se stesso.

Tuttavia, nell'affrontare in modo approfondito tale tema de Finance non inizia esaminando immediatamente il rapporto tra il soggetto e l'altro, ma il suo più ampio obiettivo è quello di portare l'attenzione «sull'apparire dell'altro come altro, sull'essenza fenomenologica dell'alterità»19 che, fin da Platone, è stata colta come intrinsecamente costitutiva rispetto a qualsiasi identità che necessariamente la include in sé.

Questa fenomenologia dell'alterità introduce, come primo momento, una pregiudiziale distinzione che è fondata sul suo concreto manifestarsi e che prescinde da riflessioni sulla natura di ciò che appare come altro: «1. l'alterità oggetto-oggetto o alterità esterna; 2. l'alterità soggetto-oggetto o alterità dall'esterno; 3. un'alterità interiore al soggetto o alterità dall'interno».20

Tale livello iniziale di indagine comporta già una precisazione di fondamentale rilevanza, che richiama lo spessore metafisico dell'intera impostazione, sottolineando che l'alterità, in quanto pluralità, implica e richiede l'unità che è condizione ineliminabile di ogni divisione e differenziazione e non soltanto il risultato di un'unificazione successiva dei diversi.

Il primo tipo di alterità, quello tra gli oggetti, non rientra nell'ambito di questa riflessione antropologica e, riguardo ad esso, si deve solo rilevare che la sua trattazione è preceduta da una significativa sottolineatura del grado variabile dell'individualità che è propria degli esistenti e che raggiunge il suo apice nel soggetto umano, ponendosi per noi come prototipo nella percezione degli altri.

È, invece, il secondo tipo di alterità che apre all'indagine sull'intersoggettività, che costituisce il diretto sviluppo dell'antropologia metafisica prima esposta, poiché in esso, con una ben definita collocazione in un più vasto ambito di relazioni, compare il rapporto a quell'altro che non è un oggetto, ma, a sua volta, un soggetto.

In effetti, solo in senso riassuntivo ed in prima approssimazione si è parlato di relazione soggetto-oggetto, perché, specificando, si deve introdurre l'essenziale distinzione tra «alius» e «aliud», ovvero tra l'altro personale e la cosa, poiché, propriamente, solo nel caso di quest'ultima ci si trova in presenza di un oggetto che si offre alla conoscenza, mentre l'«alius» «viene visto non come oggetto della conoscenza o uno strumento da maneggiare, ma come partner d'una comunicazione umana, personale».21

Tale comunicazione è contrassegnata dalla complessità e dall'implicazione non solo della dimensione conoscitiva, ma anche di quella pratica, in cui la volontà si rivolge all'altro stabilendo un legame nel quale entrambi i soggetti sono coinvolti nella totalità della loro persona.

In realtà, affinché questo tipo di rapporto ora accennato si instauri non è sufficiente che l'altro, in se stesso, abbia carattere personale, ma quest'ultimo deve essere esplicitamente riconosciuto dal soggetto, configurando, così, la relazione Io-Tu, che si apre al Noi, mentre, in caso contrario, l'altro appare come un Egli, verso il quale è riscontrabile un'attitudine molto vicina a quella rivolta all'oggetto impersonale.22

Sorge qui un interrogativo al quale sono state fornite risposte tra loro spesso contrastanti, ovvero quello sulla priorità da accordare, all'«alius» o all'«aliud», nella percezione umana del mondo, ma de Finance suggerisce l'integrazione delle due prospettive, affermando «che cose e persone, alia e alii, sono colte insieme: le cose come lo sfondo (che costituisce la massa dell'aliud) su cui si stagliano le persone»23 verso le quali si dirige l'intenzionalità comunicativa.

La questione più rilevante, tuttavia, è quella riguardante il rapporto tra la relazione Io-Tu e la coscienza di sé, perché la proposta di de Finance riconduce direttamente all'impostazione metafisica della sua antropologia, escludendo che si possa «affermare che il soggetto non accede alla coscienza personale se non nel rapporto Io-Tu».24

Con questa presa di posizione non è certamente negato il profondo significato umano della relazione intersoggettiva, ma, a differenza di quanto sostenuto da ampi settori del contemporaneo pensiero dialogico, si sottolinea che «Tutto il valore della persona si trova già in ciò che noi chiamiamo il soggetto spirituale»,25 che è tale, come si è precedentemente evidenziato, per la sua costitutiva apertura all'Assoluto, dalla quale trae la sua essenziale dignità.

Al contrario, invece, è proprio la coscienza di sé che costituisce l'altro come Tu perchè quest'ultimo esprime sempre rapporto ad un Io capace di aprirsi e di stabilire un'autentica comunicazione interpersonale.

Sebbene ciò esuli dall'obiettivo della presente trattazione, non si può qui non indicare quale sia la portata delle implicazioni etiche che scaturiscono da questa visione antropologica, che sottolinea che il valore assoluto della persona non deriva da alcuna relazione orizzontale, neppure da quella privilegiata con un altro soggetto, ma è fondato solamente nella sua intrinseca ed inalienabile spiritualità che possiede un carattere radicalmente essenziale.

Sintetizzando, infine, il percorso effettuato, de Finance evidenzia i tre momenti fondamentali che caratterizzano l'apertura al mondo e, dunque, il concreto vissuto dal quale è imprescindibile la relazione, nella molteplicità delle sue forme: «1. Coscienza di sé come soggetto. 2. Incontro intersoggettivo. 3. Conoscenza oggettiva dell'altro. ».26

La trattazione della manifestazione dell'alterità, tuttavia, per risultare esaustiva, deve volgersi ad altri due punti di primaria rilevanza, il secondo dei quali tocca un tema che è sotteso ad ogni considerazione specifica.

Innanzi tutto, ritornando alla sintesi ora prospettata e soffermandosi sul suo primo momento, si deve rilevare che in esso originariamente si presenta l'alterità perché, anteriormente a qualsiasi rapporto esteriore, «l'altro è già in noi e la sua alterità condiziona a priori per noi la percezione dell'altro fuori di noi».27

Si tratta qui del terzo tipo di alterità indicato inizialmente, quello «dall'interno», che esprime la pluralità delle dimensioni che, pur in un'inscindibile unità, caratterizzano il soggetto che è simultaneamente il suo passato ed il suo presente, soggettività e natura, determinazione e, intrinseca a questa, apertura.

Esperienzialmente la coscienza, però, attesta a se stessa l'unità che è il cardine della percezione di sé e solo in un ritorno successivo è possibile cogliere questa alterità interiore che è, senza dubbio, anche quella indagata dalla psicologia del profondo, ma che ha uno spessore ulteriore che coinvolge la stessa struttura metafisica del soggetto28 .

Al termine dell'intero svolgimento si deve riprendere una cruciale indicazione che era emersa inizialmente, sottolineando che qualsiasi alterità implica e presuppone una più originaria unità che è la sua stessa condizione perché, in mancanza di essa, non vi sarebbe alcuna alterità, che dice sempre relazione, ma soltanto una pura eterogeneità.

Tale unità, originaria e condizionante, è quella dell'essere che rende possibile il rapporto tra gli esistenti, reciprocamente altri, e che, in questo senso, costituisce una «mediazione anteriore», mentre, d'altra parte, però, l'umano accesso all'essere è sempre mediato («mediazione posteriore») dall'altro di cui il soggetto ha esperienza, in modo tale che si può affermare che «L'essere è il luogo dell'incontro con l'altro, ma l'altro è il luogo dell'intelligenza dell'essere».29

Fino a qui l'indagine fenomenologica sul manifestarsi dell'alterità ha condotto ad una esplicita fondazione in cui l'antropologia è costantemente ricondotta al suo quadro metafisico di riferimento, ma, proseguendo l'approfondimento a partire dai punti fermi stabiliti, de Finance ritorna alla prospettiva fenomenologica per cogliere i concreti rapporti che il soggetto stabilisce con i differenti tipi di alterità e le attitudini che lo orientano in ogni suo incontro con l'altro.

È di primaria importanza rilevare, in prima istanza, che in qualsiasi relazione con l'altro l'alterità di quest'ultimo può essere positivamente riconosciuta o, al contrario, negata, dando origine, nei due casi, a relazioni tra loro diametralmente opposte e, in seconda istanza, che l'alterità, che ogni esistente implica, è come «raddoppiata» tra gli esseri umani per l'intervento della libertà che può portare alla deliberata chiusura nei riguardi del rapporto intersoggettivo.

Terminando queste riflessioni che ripercorrono la visione che de Finance prospetta riguardo all'alterità, si deve conclusivamente sottolineare che tutti i tipi finora menzionati si collocano sul piano «orizzontale», mentre vi è un'alterità «verticale», quella dell'Assoluto, che fonda tutte le altre, dischiudendo lo spazio per ogni forma di relazione ed interpellando il soggetto, anche in questo caso, ad una intenzionale e consapevole presa di posizione nei suoi confronti.

Il discorso qui si apre ad una serie di considerazioni che appartengono all'ambito della fenomenologia e della filosofia della religione e che costituiscono l'apice al quale giunge l'indagine filosofica sul tema dell'alterità, muovendo dall'umana esperienza di essa e tornando sempre alla concretezza del vissuto per illuminarlo con la luce del pensiero.

3. Alterità, relazione e mistero trinitario

La riflessione sull'alterità e sulla relazione comporta una duplice implicazione del riferimento al mistero trinitario: una che si potrebbe definire «dal basso» ed un'altra, distinta, che, invece, procede «dall'alto».

Continuando, anche a questo riguardo, ad avvalersi del contributo che proviene dall'opera di de Finance, si cercherà ora di percorrere entrambe le vie per cogliere, innanzi tutto, se dai concetti di alterità e di relazione lo sguardo possa volgersi alla considerazione del mistero e, successivamente, per tornare da questo al piano «orizzontale» che apparirà in una più ampia e profonda prospettiva.

Evidentemente, il procedimento, nel primo e nel secondo itinerario, sarà differente perché, mentre muovendo dall'ambito dell'esperienza umana l'indagine prosegue con metodo riflessivo filosofico, nel momento seguente, con una distinzione che deve essere rigorosamente mantenuta pur non esprimendo alcuna opposizione, il contesto è quello della teologia cristiana che accoglie la rivelazione del Dio Uno e Trino.

Per delineare il primo dei due movimenti ora accennati è necessario volgere l'attenzione anche ad un saggio già citato ed anteriore ad A tu per tu con l'altro, ovvero La persona e l'altro, incentrato sull'interrogativo circa la definizione filosofica della persona, che pone a confronto la classica definizione «sostanzialistica» con quella «relazionale», accolta e condivisa dal contemporaneo pensiero dialogico e dell'intersoggettività.

Già nell'iniziale posizione del problema compare il riferimento trinitario perché la definizione «relazionale» può apparire, ad un primo sguardo, più idonea a «dare una nuova portata al dogma della Trinità»,30 proponendo la relazionalità intradivina come modello del valore che il rapporto interpersonale ha per i soggetti umani.

La linea ascendente della riflessione attraversa, così, l'intero saggio per individuare il fondamento del valore della persona, che, come si è accennato, è oggi sovente posto nella relazione con l'altro, sulla base di un dato primario dell'esperienza, ovvero quello che il soggetto si realizza integralmente solo quando, donandosi, si apre all'altro.

Senza negare, pertanto, questa evidenza testimoniata dal vissuto, l'indagine vuole, invece, approfondirne la portata ed il significato per cogliere se essa sia realmente il nucleo originario o se, al contrario, non rinvii a qualcosa di più radicalmente ultimo.

In prima istanza, non vi è dubbio che, scendendo in profondità nella struttura personale, si incontrano, come si era già indicato tratteggiando l'antropologia di de Finance, la coscienza di sé e la libertà come tratti caratterizzanti essenzialmente la soggettività31 ed entrambe implicano sicuramente il riferimento all'altro come imprescindibile per un loro pieno dispiegarsi.

Tuttavia, questa constatazione, che non può in alcun modo essere smentita, non tocca ancora quello che si è indicato come il nucleo originario del valore della persona, perché nell'apertura all'altro si rivela un aprirsi ancora più radicale che non si colloca più sul piano «orizzontale», ma su quello «verticale», ossia tendente all'Altro trascendente, fondamento della dignità dell'Io come del Tu.

D'altra parte, poi, la considerazione che il soggetto si realizza pienamente solo donandosi all'altro non può indurre a riporre in questo stesso donarsi il fondamento del valore personale perché, se tale valore non inerisse alla persona che dovesse, invece, trarlo dal dono di sé, in ultima istanza non vi sarebbe alcuna possibilità di dare all'altro ciò che non si possiede e che, invece, si attende sempre di ricevere nella relazione.32

In estrema sintesi, quindi, con le parole di de Finance medesimo, «Ciò che fa il valore della persona (del soggetto spirituale), è, in modo più radicale della sua apertura all'altro, la sua apertura all'Assoluto»,33 che lo costituisce intrinsecamente nella sua umanità.

Ritornando, dunque, alla contrapposizione iniziale tra la definizione «sostanzialistica» e quella «relazionale» della persona, emergono due acquisizioni di primaria rilevanza, l'una sul piano rigorosamente filosofico, l'altra di portata teologica.

In primo luogo, infatti, la persona deve essere definita a partire da ciò che è, non da come si relaziona, e, in seconda istanza, «non c'è passaggio diretto dal carattere relazionale della persona umana al carattere relazionale delle ipostasi divine»,34 che non si dischiude alla pura ragione.

Questa impossibilità di accesso al mistero del Dio tripersonale muovendo dalla considerazione razionale di ciò che definisce la persona umana sarebbe, nonostante le apparenze, ancora più evidente se si accogliesse la definizione «relazionale», perché, in questo caso, ci si troverebbe davanti a tre possibili esiti, tutti ugualmente inaccettabili per la teologia.

In una prima eventualità, poiché Dio non può «evidentemente essere relativo a qualunque cosa»,35 ne conseguirebbe la necessaria negazione del Suo carattere personale, perché esso, se affermato in tali termini, e questa sarebbe la seconda possibilità, richiederebbe la necessità di esistenti, a Lui esterni, «con i quali egli possa entrare in relazione (mondo increato o creazione eterna e necessaria) ».36

La terza conclusione, infine, costituirebbe la pura e semplice negazione del mistero in quanto tale, perché esigerebbe, «in nome della ragione, la struttura pluripersonale di Dio».37

Non rimane, quindi, che escludere ogni pretesa di affermazioni puramente razionali, desunte dalla considerazione della struttura personale dell'essere umano, riguardo alla tripersonalità di Dio perché questa «si situa in un'altra dimensione, alla quale dà accesso la sola fede»,38 sulla cui base si potrà poi intraprendere il secondo percorso indicato, ossia quello «dall'alto».

Alla luce della fede, infatti, si mostra il mistero precluso alla ragione, che presenta per essa una duplice incomprensibilità, dal momento che «In Dio c'è dell'altro. Ma quest'altro non è altro da Dio».39

Ora è proprio questa alterità intradivina, con il suo peculiare carattere adesso evidenziato, quella che resta al di fuori della presa della ragione che con il suo movimento naturale giunge all'unità ed, infine, anche alla personalità dell'«Ipsum Esse Subsistens», come termine ultimo ed insuperabile della sua ricerca.

D'altra parte, però, il lavoro della ragione non è privo di significato per la fede, poiché solo insieme ad una rigorosa affermazione dell'Unità divina può essere professata la fede nella pluripersonalità che «Non nasce in seno ad una unità data precedentemente: è, possiamo dirlo, la forma per sé dell'unità in-sè».40

Compare qui, a partire dalla Rivelazione accolta nella fede, un concetto di alterità e di relazione profondamente diverso da quello a cui si giunge dall'umana esperienza del rapporto interpersonale, perché, in Dio, l'alterità e, dunque, la relazione non comportano alcuna negatività che non sia quella dell'opposizione relativa delle Persone, che, però, esclude radicalmente qualsiasi diminuzione d'essere.41

Non vi è in questa argomentazione di de Finance alcun esplicito riferimento a Rahner, che pur cita sotto un altro riguardo proprio nel contesto della riflessione sul mistero trinitario, ma non c'è dubbio che è qui presente il senso profondo dell'assioma di Rahner sul passaggio dalla Trinità economica a quella immanente, perché la strada verso il mistero del Dio trino si apre solo muovendo dalla lettura della storia come storia di salvezza, in cui Dio mostra al credente il Suo volto.42

4. Rilettura dell'alterità e della relazione

Iniziando ora il secondo dei due percorsi prima indicati, ossia quello «dall'alto», si deve subito sottolineare una peculiarità di de Finance, che rende il suo pensiero particolarmente stimolante e fecondo.

Infatti, accanto ai molti temi che sono ampiamente sviluppati, si trovano nella sua opera rapidi accenni ad ulteriori possibili ricerche, che aprono prospettive che de Finance addita e che consegna alla riflessione di altri43 .

In questi termini, un breve Epilogo metafilosofico, che conclude A tu per tu con l'altro, ed il già citato La persona e l'altro si propongono di «interrogare direttamente la Fede su ciò che essa ha da dirci di originale sul soggetto del nostro problema»,44 che, in tal modo, può essere ripreso con una considerazione che, senza negare alcuna delle precedenti affermazioni, le ripercorra nella direzione di approfondimenti altrimenti impensabili.

Si deve immediatamente chiarire che questi approfondimenti guidati dalla fede nella Rivelazione ovviamente non forniscono «conoscenze speculative» che si aggiungano a quelle alle quali si è giunti con la sola ragione, ma sono apportatori di un senso che rende il mistero trinitario significativo in se stesso e per l'esistenza credente.

Riprendendo, quindi, quello che si è precedentemente accennato, si vede che il mistero trinitario offre all'accoglienza della fede ed alla riflessione teologica, innanzi tutto, «un'alterità che non implica in alcuno dei suoi termini la minima imperfezione, la minima negatività ontologica»,45 non vanificando quello che l'indagine antropologica ha acquisito rispetto all'alterità umana, sempre segnata dal limite e dalla finitezza, ma prospettando una differente realtà in cui l'alterità esprime sempre positività ed identità nell'essere.

Ugualmente, nella Trinità «la relazione appare interamente purificata di tutto ciò che, a livello di categoria, manifesta dipendenza, insufficienza, imperfezione»46 ed il reciproco rapportarsi delle tre Persone pone una relazione che rinvia direttamente alla nuova visione dell'alterità, ora emersa, nella quale è radicalmente assente qualsiasi carenza o limitazione.

Muovendo, poi, dal piano della trascendenza divina a quello della condizione umana, quotidianamente sperimentata e filosoficamente riflessa, essa appare in una nuova prospettiva che consente di leggere differentemente le nostre relazioni e le diverse forme di alterità orizzontale.47

Esse, infatti, nell'esperienza personale sono sempre segnate da limiti che sembrano imputabili alle stesse idee in questione, ovvero relazione ed alterità, ma che, invece, possono ora essere pensati come inerenti alla creaturalità e non intrinsecamente derivanti da quelle.

L'alterità umana, verso il mondo, gli altri soggetti ed ultimamente Dio stesso, si presenta adesso portatrice di un significato che la pura speculazione non attinge, perché essa, pur rimanendo quello che è, si rivela modellata su di un'«alterità pura il cui archetipo è in Dio».48

Come si è appena detto, sulla base della Rivelazione ciò che muta accostandosi alla considerazione dell'esistenza umana è il senso profondo, perché essa trova il suo fondamento in quel Dio che già in Se stesso, nella più perfetta identità, è alterità e relazione per sovrabbondanza di essere e di amore che riversa anche su quella creatura che pone come altra da Sé per attirarla in una sempre più intima relazione.49

L'alterità umana conserva così il suo peculiare statuto creaturale, ma essa è colta nel suo scaturire dall'atto creatore del Dio tripersonale e diviene pienamente evidente che «L'alterità in Dio è fonte e condizione di ogni alterità»50 che, in tal modo, reca in sé la traccia della sua origine trascendente.

Tutte le considerazioni fin qui effettuate consentono ora, come si è appena accennato, di ripensare in profondità la portata antropologica della relazione nelle sue distinte forme, in primo luogo quella verticale con Dio e poi quelle orizzontali.

Riguardo alla prima, non vi è alcun dubbio che essa costituisca intrinsecamente la persona che, non soltanto fonda in Dio la sua esistenza, ma che trae il senso e l'orientamento della propria vita dalla sua consapevole ed intenzionale apertura a Lui.

Anche le relazioni orizzontali, però, alla luce del mistero trinitario si presentano con una portata che rimaneva sconosciuta ad un'indagine solamente razionale e ciò vale in modo particolare per il rapporto interpersonale tra soggetti tutti ugualmente dotati della medesima dignità umana.51

Il Dio tripersonale, infatti, non soltanto è il fondamento del vivere della creatura, ma per l'esistente razionale, cosciente e libero, è anche l'esemplare trascendente sul quale modellare ogni atto propriamente umano, informandolo di quell'amore che, sul piano creaturale, è un riflesso dell'amore che unisce le tre Persone divine.

In tal modo, diviene possibile tornare alle due definizioni della persona, quella «sostanzialistica» e quella «relazionale», precedentemente poste a confronto e, mentre la prima si conferma come l'esito ultimo dell'indagine antropologica condotta sulla base della sola ragione, la seconda, nel movimento «dall'alto», apre nuove prospettive alla riflessione che si sviluppa a partire dalla fede nella Rivelazione, cioè «non dalla filosofia della parola, ma dalla saggezza cristiana»52 .

Ciò significa che, mentre l'umana esperienza della relazione e dell'alterità rimane infinitamente distante dal significato di queste in Dio, al contrario, la fede nella Trinità consente di accostare con uno sguardo nuovo il valore che esse hanno a livello umano, pur restando qui, come si è già detto, sempre segnate dai limiti della nostra condizione creaturale.

«Deus Trinitas fecit hominem ad imaginem suam, idest totius Trinitatis»,53 questa citazione assunta inizialmente come introduzione alla ricerca si rivela ora in tutto il suo spessore perché, al di là delle conoscenze antropologiche acquisibili sul piano orizzontale, rinvia al mistero centrale della fede cristiana per la più compiuta comprensione dell'essere umano che è l'immagine di un Dio che è Trinità nella Sua piena Unità.

Inoltre, poiché proprio questo Dio che è mistero fonda il soggetto, che ne è l'immagine, risulta evidente che anche quest'ultimo nella sua ultima profondità è mistero che diviene accessibile solo a partire da quell'Amore che lo costituisce.

Il mistero della Trinità, tuttavia, non è isolato e chiuso in se stesso, ma è indisgiungibile dal «dogma cristologico e soteriologico che rivela tutta la sua portata sotto l'illuminazione trinitaria»,54 evidenziando non più soltanto una nuova prospettiva in cui leggere le relazioni dell'essere umano, ma facendo affiorare un intreccio di rapporti che, al di fuori della fede, non si sarebbero mai resi accessibili alla riflessione.

Nel mistero dell'Incarnazione, cioè, l'alterità «verticale», nella persona del Figlio, pur senza perdere nulla della sua trascendenza, si rende immanente e, in Cristo, instaura con la creatura una relazione «orizzontale» Io-Tu, per salvarla ed inserirla in un ordine radicalmente nuovo di esistenza.

La relazione con Cristo, infatti, fonda un rapporto prima impensabile con il Trascendente, ovvero con la persona del Padre che è ora un Tu per l'essere umano che partecipa, nel Figlio, a quella misteriosa rete di relazioni che unisce le tre Persone in «questa orizzontalità superiore dell'Io-Tu intradivino».55

La divinizzazione della creatura, così, si configura come partecipazione alla stessa vita trinitaria di Dio che, con l'incarnazione del Figlio, ha creato tra la dimensione «verticale» e quella «orizzontale» una comunicazione che, senza introdurre alcuna confusione, le congiunge in un'unità suprema che è quella dell'amore.

Proprio in questo punto in cui i più grandi misteri della fede, Trinità e Incarnazione, si fanno presenti, compare, nel suo carattere di realtà finita, ma aperta all'Assoluto, un altro mistero, che è quello della libertà umana, poiché «questa unità non s'impone: essa si propone alla nostra libera opzione»,56 ponendo nelle mani del soggetto la responsabilità dell'accettazione o del rifiuto della partecipazione a questo scambio di amore, che, comunque, sarà vittorioso, ma dal quale ognuno può liberamente escludersi rifiutando il dono della salvezza.

L'apertura teologica dell'itinerario filosofico di de Finance sull'alterità termina qui ed implica, a partire da essa, l'indicazione di un duplice compito che, come si è detto, è consegnato all'impegno di chi volesse intraprendere questi ulteriori percorsi.

Da una parte, infatti, tutte le affermazioni sull'alterità e sulla relazione che sono state formulate possono essere rilette, poiché, alla luce della Rivelazione, «l'intera questione dell'alterità si presenta in una nuova prospettiva che, senza annullare o invalidare le acquisizioni filosofiche, le conduce ad un livello di comprensione altrimenti irraggiungibile».57

D'altra parte, poi, si delinea anche l'esigenza di un preciso impegno etico poiché, come afferma I. Sanna, citando J. Moltmann, ponendo nella Trinità e nell'amore che in Essa circola il modello dei rapporti interpersonali, che ne sono l'immagine, la comunità umana, nelle sue varie forme, dovrà essere improntata a questo stesso amore, ma ciò non si realizzerà senza lo sforzo e la dedizione di coloro che condividono la medesima fede nel Dio Uno e Trino.58

In tal modo, la dottrina trinitaria, potrà anche abbandonare quell'aspetto di distanza rispetto alla concretezza dell'esistenza umana, che spesso l'ha caratterizzata, e presentarsi per ciò che realmente è, ovvero, insieme all'Incarnazione, come il mistero centrale di quella fede che crede in un Dio che è amore.

5. Filosofia e teologia: un rapporto possibile

La considerazione delle riflessioni finora svolte induce, infine, a sollevare una questione di grande ampiezza e di primaria rilevanza, riguardo alla quale sono riscontrabili posizioni tra loro molto distanti, ovvero quella dei rapporti tra la filosofia e la teologia.

Ovviamente non è questa la sede per una discussione approfondita di tale tema, ma, a partire dal percorso effettuato, assumendolo come esemplificativo, si intende prospettare la possibilità di una relazione tra le due discipline che risulti feconda per entrambe, conservando la specificità di ciascuna.

Assumendo come punto di partenza Fides et Ratio, che sottolinea che «il rapporto che deve opportunamente instaurarsi tra la teologia e la filosofia sarà all'insegna della circolarità»,59 si cercherà, quindi, di sviluppare un'implicazione di questa circolarità, mostrando un esito che può risultare positivo per la filosofia e anche per la teologia.

La prima puntualizzazione da effettuare è che tutta la prima parte di questo studio si è mossa su di un piano strettamente filosofico, sia per quello che riguarda il suo avvio, costituito dall'analisi dell'esistenza, sia per i concetti utilizzati, frutto di elaborazione riflessiva sui dati dell'esperienza umana.

Nella seconda parte, invece, le argomentazioni, nel percorso cosiddetto «dall'alto», hanno tratto origine da contenuti che sono quelli assunti dalla Rivelazione, configurando, così, un'antropologia non più filosofica, ma teologica.

Vi è, però, un'altra possibilità che, rivelandosi praticabile, viene a costituire quella che deve essere indicata come «filosofia cristiana», distinta, cioè, dalla teologia, ma aperta, in piena coerenza con il suo statuto epistemologico, ad accogliere concetti offerti dalla riflessione sulla parola di Dio.60

Riferendosi all'indagine in precedenza effettuata, ciò avviene nel momento in cui si prende atto che l'analisi metafisica della struttura umana non consente di porre la relazione all'alterità tra le sue dimensioni originariamente costitutive, perché quello che definisce l'essere umano è la sua radicale e originaria apertura all'Assoluto, implicante la coscienza di sé e la libertà.

Tuttavia, l'esperienza della relazione interpersonale, che in quanto esperienza è la base legittima di un'indagine rigorosamente filosofica, attesta che un Io non può esistere se non di fronte ad un Tu che lo accolga e che, a sua volta, si apra a lui.

Il concetto teologico dell'«imago Dei» può, a questo punto, essere assunto nel procedimento filosofico volto alla comprensione del soggetto non perché è abbandonata l'esigenza iniziale di rendere conto razionalmente dell'esistenza, ma perché si rivela come una di quelle «categorie che, pur non elaborate dalla filosofia, ma accolte dall'«intellectus fidei», consentono, con il loro impiego, di assolvere il compito proprio dell'indagine filosofica, come ricerca della verità dell'umano».61

In questo modo, non è minimamente compromessa l'autonomia della filosofia che rimane chiaramente distinta dalla teologia, sia per l'origine delle sue argomentazioni, che non è la Rivelazione, ma l'umano sperimentare, sia per il suo metodo ed il suo obiettivo, che non è l'approfondimento della Parola rivelata, ma la comprensione integrale dell'esistenza.

Tra le due discipline, però, può instaurarsi una nuova relazione arricchente per ambedue poiché, da parte della filosofia, si aprono prospettive che, senza contraddire la ragione, ne ampliano l'orizzonte, mentre, da parte della teologia, essa manifesta tutta la sua capacità di porsi al servizio non soltanto della fede, ma anche dell'umano bisogno di riflessiva autocomprensione.

Ovviamente, tutte queste sintetiche considerazioni necessiterebbero di ulteriori approfondimenti, condotti tanto dalla parte del filosofo, quanto da quella del teologo, ma qui è sufficiente aver indicato una strada che può essere percorsa nel momento in cui si avverte più che mai la necessità di approfondire il senso dell'umano esistere, senza arrestarsi su di un piano puramente descrittivo dei suoi ambiti e delle sue manifestazioni.

Copyright © 2011 Giorgia Salatiello

Giorgia Salatiello. «Filosofia dell'alterità e Trinità: riflessioni a partire dal pensiero di Joseph de Finance». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**55 B].

Note

  1. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 93, a. 5, ad 4. Testo

  2. Sanna I., Chiamati per nome. Antropologia teologica, Cinisello Balsamo (Mi) 1994, p. 159. Cfr. LADARIA L., Antropologia teologica, Casale Monferrato 1995, pp. 146- 158. Testo

  3. Cfr.: Salatiello G., L'esperienza e la grazia. L'esperienza religiosa tra filosofia e teologia, Napoli 2008. Testo

  4. Cfr. in particolare: De Finance J., Etica generale, Cassano- Bari 1975. Testo

  5. Le due più rilevanti eccezioni alla lettura riduttiva dell'opera di de Finance sono due recenti volumi che sono il risultato della pubblicazione di altrettante dissertazioni dottorali alla Pontificia Università Gregoriana: Bosomi Limbaya D., Dieu, fondement fondamental de la philosophie de J. De Finance, Roma 2010; Pavlovic A., J. de Finance: una prospettiva metafisica sulla relazione intersoggettiva, Roma 2010. Testo

  6. De Finance J., A tu per tu con l'altro. Saggio sull'alterità, Roma 2004. Testo

  7. Id., Esistenza e libertà, Città del Vaticano 1990; Id., Saggio sull'agire umano, Città del Vaticano 1992; Id., Persona e valore, Roma 2003. Cfr.: Salatiello G., Il soggetto spirituale in Joseph de Finance, in Nuova Umanità XXVI (2004/3- 4), pp. 437- 450. Testo

  8. De Finance J., Esistenza e libertà, cit., pp. 59- 60; Id., Saggio sull'agire umano, cit., pp. 205- 213; Id. Conoscenza dell'essere, cit., pp. 458- 463. Testo

  9. De Finance J., Esistenza e libertà, cit., p. 37. Testo

  10. Ibidem, p. 51: «L'esistenza -- ipsum esse -- è l'atto d'essere». Testo

  11. Ibidem. Testo

  12. De Finance J., Saggio sull'agire umano, cit., p. 217: «Il soggetto spirituale è un esistente, la cui natura, per quanto possa essere determinata (io sono un uomo e non un angelo), è essenzialmente penetrata e come intrisa di indeterminazione». Testo

  13. Id., Esistenza e libertà, cit., p. 64: «Nell'apertura dell'essere, nella presenza dell'essere, lo spirito acquista la presenza a sé, il possesso di sé». Testo

  14. Id., Saggio sull'agire umano, cit., p. 217: «Nello spirito, al contrario, l'indeterminazione (intrinseca alla forma stessa) si tiene per così dire in alto». Testo

  15. Id., Esistenza e libertà, cit., p. 63. Testo

  16. Id., Saggio sull'agire umano, cit., p. 224: «al punto che si è visto, talvolta, nella libertà, l'impronta più evidente della nostra somiglianza con Dio». Testo

  17. Id., Esistenza e libertà, cit., p. 61, nota 6. Testo

  18. De Finance J., Saggio sull'agire umano, cit., p. 225: «Esistente da sé come pura coscienza di sé, come esistente da sé la Totalità sulla quale si apre la soggettività spirituale e da dove trae la sua dignità, è essa stessa soggettività eminente». Testo

  19. Id., A tu per tu con l'altro, cit., p. 8. Testo

  20. Ibidem, p. 4. Testo

  21. Ibidem, p. 11. Testo

  22. Ibidem: «L'Egli è una persona per così dire depersonalizzata, perché non colta, nel dialogo, in modo personale, ma proiettata sullo sfondo impersonale del Questo». Testo

  23. Ibidem, p. 14. Testo

  24. Ibidem, p. 12. Testo

  25. Ibidem. Testo

  26. Ibidem, p. 13. Testo

  27. Ibidem, p. 21. Testo

  28. Sui temi finora trattati cfr. anche due saggi contenuti in Id., Persona e valore, Roma 2003: La persona e l'altro, pp. 83-104 e La vittoria sull'altro, pp. 105-140. Testo

  29. De Finance J., A tu per tu con l'altro, cit., p. 20. Testo

  30. De Finance J., La persona e l'altro, cit., p. 83. Testo

  31. Ibidem, p. 87: «La coscienza di sé, il libero volere sono inseparabili dalla personalità» Testo

  32. Ibidem, p. 97: «Ma per rivelarsi non bisogna dapprima essere? Per donare non bisogna avere qualcosa da donare? Il dono di sé suppone il possesso di sé, la libertà e tutto ciò che costituisce in modo radicale la dignità della persona». Testo

  33. Ibidem, p. 98. Testo

  34. Ibidem, p. 101. Testo

  35. Ibidem, p. 85. Testo

  36. Ibidem. Testo

  37. Ibidem. Testo

  38. Ibidem, p, 101. Testo

  39. De Finance J., A tu per tu con l'altro, cit., p. 396. Testo

  40. Ibidem. Cfr. anche Id., La persona e l'altro, cit., p. 102: «Tale fondamentale mistero può essere salutare solo se la sua affermazione si conserva in quella dell'Unità». Testo

  41. Id., A tu per tu con l'altro, cit, p. 397: «Così la negazione ha il suo posto nella positività come l'alterità nell'identità e la relazione nell'assoluto». Testo

  42. Rahner K., La Trinità, Brescia 1998, pp. 30-32. Testo

  43. Oltre al tema che qui si considera, un esempio significativo di ciò è la sintetica trattazione che nelle pagine 20 e 21 svolge sulla differenza uomo-donna, prospettando la possibilità di ricavarne una compiuta antropologia della differenza sessuale. Cfr. al riguardo: Salatiello G., Donna-Uomo. Ricerca sul fondamento, Napoli 2000. Testo

  44. De Finance J., A tu per tu con l'altro, cit., p. 383. Testo

  45. Id., La persona e l'altro, cit., p. 103. Testo

  46. Ibidem, p. 102. Testo

  47. Ibidem: «la Rivelazione proietta una luce nuova sulla nozione di persona e invita a reinterpretare il carattere relazionale che un'analisi puramente razionale metterebbe in conto della finitezza». Testo

  48. Ibidem, p. 103. Testo

  49. De Finance J., A tu per tu con l'altro, cit., p. 397: «La creazione, secondo un modo di parlare caro ai vecchi autori cristiani, è come l'espressione esterna (ma un'espressione libera) del Verbo interiore». Testo

  50. Ibidem. Testo

  51. Ibidem: «Il rapporto interpersonale, dove una riflessione strettamente filosofica non sembra autorizzarci a vedere un costitutivo della persona come tale, ci appare al presente molto più radicato nella struttura della personalità». Testo

  52. De Finance J., La persona e l'altro, cit., p. 104. Testo

  53. Cfr. nota 1. Testo

  54. De Finance J., A tu per tu con l'altro, cit., p. 397. Testo

  55. Ibidem, p. 398. Testo

  56. Ibidem. Testo

  57. Salatiello G., Presentazione, in De Finance J., A tu per tu con l'altro, cit., pp. IX-XXXII, p. XXXII. Testo

  58. Sanna I., Chiamati per nome. Antropologia teologica, cit., p. 163: «A Dio Trinità -- scrive J. Moltmann -- corrisponde, come immagine somigliante, una comunione tra uomini nella quale non si riconoscono privilegi e sottomissioni». Testo

  59. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Fides et Ratio, 1998, n. 73. Testo

  60. Ibidem, n. 76. Cfr.,: Salatiello G., L'esperienza e la grazia. L'esperienza religiosa tra filosofia e teologia, cit., pp. 103-114. Testo

  61. Ibidem, p. 113. Testo

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