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Il profilo trinitario della dottrina soteriologica dell'admirabile commercium nella teologia di Hans Urs von Balthasar

di Nicola Reali (Roma, 26-28 maggio 2011)

Lo sviluppo del tema dell'admirabile commercium ribadisce l'intento fondamentale del progetto balthasariano, per il quale il compito essenziale della teologia consiste nella giustificazione della singolarità (Einmaligkeit) di Gesù come punto di partenza della fede.1 La risposta alla questione sollevata attraverso la sfida dell'illuminismo alla portata universale della redenzione cristologica, suppone che la strumentazione concettuale sia da reperire all'interno di un approccio storico-evenemenziale alla rivelazione teo-cristologica.

Ciò che il ragionamento prevede è la rivendicazione dell'impossibilità di risolvere l'azione rivelata entro il movimento della trascendenza umana, poiché il carattere assoluto ascrivibile alla vicenda storica di Gesù di Nazareth impone viceversa di ricercare lo spazio dell'attuazione originaria del soggetto nell'azione stessa in cui Dio pone definitivamente in Cristo la propria realtà.

La precisazione lascia emergere il primato concesso alla determinazione cristologica dell'automanifestazione divina, come ciò in cui viene posto e chiarito una volta per sempre il compimento della libertà creata, di per sé paradossalmente impossibilitata ad accedere alla verità definitiva del dinamismo libero della propria autocoscienza.

La centralità di questa asserzione fondamentale invoca tuttavia una considerazione del rapporto drammatico libertà finita/infinita, il cui contenuto si precisa nell'interrogativo a proposito dell'elemento che consente all'evento cristologico di porsi come il principio storico che di per sé apre alla libertà umana lo spazio effettivo della propria auto-posizione: «nonostante quanto si è detto più sopra sulla libertà dell'uomo in Cristo, può nascere un certo imbarazzo a causa di questa predecisione (Vorentscheidung) cristologica: l'apertura a qualsiasi possibile decorso dell'azione [...] non viene ora delusivamente delimitata da questa predecisione a far correre ogni cosa "in Cristo Gesù"? [...] Egli sembra così eliminare formalmente lo spazio (Spielraum) tra le due libertà [...] in quanto noi teologicamente fondiamo da sempre ogni altro personaggio (Spielfiguren) relativo in Cristo».2

La domanda evidenzia come il problema di fondo del procedimento balthasariano concerne in primo luogo il dovere di formulare una prospettiva teologica che, intrinsecamente orientata ad evidenziare il compimento cristologico dell'antropologia, permetta tuttavia di garantire alla riflessione sull'uomo l'aspetto per essa specifico, ossia la libertà. È precisamente l'adeguata formulazione di questo problema, ciò che von Balthasar sente come urgente, poiché il reperimento del criterio che consente di ritrovare il fondamento del rapporto libertà finita/infinita in seno alla vicenda storica di Gesù, non è sufficiente a legittimare una fondazione cristologica della soggettività umana, se esso non mostra la propria decisività mediante il mantenimento integrale della dinamica libera dell'autocoscienza antropologica.

Introducendo questo principio von Balthasar non intende minimamente suggerire l'ipotesi che la redenzione cristologica apra uno spazio di autonomia alla libertà umana, ma solamente che l'asserto che conferisce alla vicenda teo-cristologica il carattere di compimento dell'umano, deve essere legittimata sul piano pratico dell'azione. Non è sufficiente infatti affermare che la libertà di Gesù stabilisce definitivamente la verità dell'esperienza umana, se non si mostra che la forma cristologica è conforme all'aspirazione antropologica ad un compimento in atto, che sul piano intramondano resta completamente precluso all'uomo.

La forza con cui in maniera affatto inevitabile la problematica viene ad imporsi alla riflessione, implica così per von Balthasar il dovere di approfondire pertinentemente l'appello all'unione ipostatica della natura umana e divina in Cristo, per risolvere la questione dell'identità dell'uomo en Christoi.3 Se infatti il dogma di Calcedonia lo si legge nel senso di una delimitazione anticipata del campo in cui l'uomo è chiamato a compiersi "in Cristo", la riflessione deve denunciarne il carattere aporetico, o per lo meno insufficiente; viceversa se la con-presenza dell'umano e del divino nella persona di Gesù, accentua la dimensione libera della soggettività antropologica in quanto tale, resta autorizzata la ricerca speculativa che porta a fare attenzione al livello cristologico della giustificazione della realtà della libertà umana: «l'inclusione delle persone drammatiche in Cristo significa anzitutto non più di questo: che in Cristo sta aperto quello spazio personale di libertà a partire da Dio, all'interno del quale le singole persone ricevono il loro ultimo destino».4

La formulazione calcedonese può quindi mostrare tutta la sua decisività, nella misura in cui introduce la dichiarazione della liberazione della libertà finita sulla base di una comprensione della singolarità dell'avvenimento teo-cristologico, che, accentuando l'intrinseco coinvolgimento dell'umanità, non ne predefinisca tuttavia l'esito libero. È questo il quadro di pertinente valutazione dell'unione ipostatica accolto dalla visione balthasariana, il cui orizzonte metodologico chiede in recto l'introduzione di una categoria idonea a garantire l'asserto di fondo che «la fondazione del dramma in Cristo è tutto il contrario di un suo impedimento, [ma] è in ogni senso il suo presupposto».5 Per questo von Balthasar, nonostante che rimandi allo svolgimento completo della drammatica, anticipa i lineamenti metodologici di fondo in tre momenti, che -- a partire sia da Dio, che dall'uomo e da Cristo -- motivano l'asserto dell'insuperabilità del riferimento a Cristo per fondare la libertà dell'uomo.6

Da Dio: il presupposto originario a qualsiasi tentativo di pensare il rapporto libertà finita/infinita, deve orientarsi verso una caratterizzazione della volontà infinita divina, che ne mostri l'intrinseca disponibilità a prendere forma concreta e finita, per condurre la libertà umana oltre ogni limite ad esso imposto dalla sua condizione di finitezza.

Dall'uomo: l'uomo, che naturalmente «ruota incessantemente nel vuoto della sua propria inadempiuta (unerfüllbaren) trascendenza»,7 solo nel rapporto con la libertà infinita di Dio che si rende concreta nella storia, può vedersi dischiuso lo spazio in cui egli può decidere liberamente del suo destino.

Da Cristo: «egli non decide preventivamente il dramma, ma garantisce all'uomo una libertà finora sconosciuta»,8 amplifica lo spazio di azione drammatica della libertà antropologica, poiché «conferisce alla storia stagnante nel mondo una direzione di scorrimento verso il suo compimento e preme con tutta la sua gravità e con quella dei suoi legati -- con la sua chiesa, la sua parola, i suoi sacramenti e i suoi santi -- verso la conclusione sperata e voluta da Dio».9 L'essenza originale dell'avvenimento cristologico è strettamente legata alla continua presenza di forme concrete e finite di apparizione della divinità, le quali garantiscono alla soggettività umana la continua possibilità di accedere al compimento della sua libertà. Fondamento di questa dinamica è esclusivamente la natura trinitaria di Dio, poiché ciò che realmente apre lo spazio alla libertà umana della sua autorealizzazione, risiede nel mistero della differenza intratrinitaria, dove la distanza della creatura del creatore è da sempre assunta e superata nella diastasi intradivina del Figlio dal Padre nello Spirito.

Il richiamo operato in questi tre momenti trova nel terzo quello decisivo, nella misura in cui afferma l'ideale balthasariano dell'obiettiva convergenza cristologica della problematica Dio-uomo. Il presupposto teologico dell'impossibilità di una estraneità del divino alla storia e quello antropologico della paradossalità del rapporto libero dell'uomo al proprio compimento, vengono assunti e risolti nel momento cristologico, a partire dall'asserto che fonda il compimento dell'uomo in Cristo -- rivendicato alla "pressione" della forma ecclesiale, scritturistica e sacramentale -- sull'originaria differenza intratrinitaria. Il movimento di apertura dell'imperfetta libertà antropologica ad una soggettività teologica capace di rapporto con la storicità, si compie di fatto attraverso la mediazione dell'evento cristologico il quale identifica la natura essenziale di Dio nei termini di una libertà assoluta in se stessa differente.

La logica del rapporto Dio/uomo richiede l'orizzonte trinitario per essere concepita, poiché diversamente essa si limiterebbe ad identificare la necessità che, alla sottolineatura del carattere paradossale della condizione antropologica, segua il riconoscimento di una alterità teologica non chiusa pregiudizialmente alla relazione con la storicità. In tal caso tuttavia si andrebbe incontro a ciò che pertinentemente è stata definita la "aporia non trinitaria della filosofia", ossia il riconoscimento che l'identificazione dell'alterità radicale di Dio fondante la possibilità di una libertà finita, non è ricavabile se non a partire dall'azione che ne svela la condizione di possibilità nell'identificazione di un orizzonte trinitario.10

Ciò che infatti per von Balthasar definisce la peculiarità dell'approccio filosofico, è la necessità di escludere che la relazione Dio/uomo possa essere espressa nei termini di un rapporto finito/infinito, che sottodetermini il piano storico in cui di fatto il rapporto accade. Di conseguenza la filosofia stessa deve riconoscere che la questione si istituisce pertinentemente solo se è ricondotta alla problematica, irrisolvibile al di fuori del riferimento trinitario, che sancisce come proprio oggetto formale lo studio della possibilità che accanto ad una libertà assoluta possa esisterne una finita e contingente, senza che quest'ultima sia negata o assorbita panteisticamente: «se una simile realizzazione, che potrebbe di fatto riuscire soltanto nella libertà infinita, dovesse verificarsi, bisognerebbe non solamente che l'infinito potesse assumere in sé il finito (e assorbirlo senz'altro), ma inoltre che il finito fosse capace in cambio di ricevere l'infinito [...] questo sarà precisamente il paradosso cristologico che, senza miscuglio di libertà (asynchytos dice Calcedonia), fa inabitare la libertà infinita nella libertà finita, e permette anche alla libertà finita di compiersi nella libertà infinita, senza che l'infinita debba perdersi nel finito e la finita nell'infinito».11

L'evento cristologico rappresenta la rigorizzazione di questo problema in quanto, rivela la differenza intrinseca all'originario (Padre-Figlio) come fondamento della distinzione creatore/creatura sotto forma di dramma: una storia in cui accade l'incontro/scontro tra la libertà infinita di Dio e quella finita dell'uomo. La caratterizzazione drammatica della cristologia è pertanto indispensabile alla soluzione del rapporto Dio/uomo, poiché colloca la radice della possibilità di esistenza della libertà finita, e conseguentemente la possibilità dell'incontro/scontro con la libertà assoluta, nella differenza intrateologica, in modo tale che il dramma non possa essere ricondotto a nessun tipo di apriori che ne predetermina epicamente l'esito: la differenza intratrinitaria tra Dio e Dio è l'unico apriori ammissibile, poiché esso stesso è azione drammatica.12

Se quindi solo un dramma originario può fondare legittimamente la storia dell'incontro/scontro tra la libertà infinita e quella finita, occorre una categoria idonea ad esprimerne l'insuperabile caratterizzazione drammatica dell'apriori teologico. Per von Balthasar l'eucaristia è adeguata a svolgere questo compito, poiché nel processo tendete a delineare l'identità del fondamento teologico, esclude ogni possibile fraintendimento a riguardo della forma drammatica in cui le relazioni intratrinitarie accadono. Nondimeno il rendimento di grazie eucaristico rappresenta la categoria con cui von Balthasar descrive la forma peculiare sia dell'azione in cui la libertà divino-umana di Cristo libera la libertà finita, sia della figura qualificante il processo antropologico di corrispondenza alla redenzione teo-cristologica.13

Questa presentazione mira pertanto a stabilire pertinentemente il contenuto di questa articolazione eucaristico-drammatica sommariamente introdotta, e di conseguenza si concentrerà, attraverso una previa caratterizzazione del rapporto libertà infinita/finita, a delineare la specificazione eucaristica che von Balthasar opera dell'azione drammatica della redenzione, nel suo momento protologico (intratrinitario). Ciò avverrà concertandosi sulla riproposizione della dottrina anselmiana della "sostituzione vicaria", ove von Balthasar tematizza esplicitamente la dottrina dell'admirabile commercium, al cui interno avviene la ripresa puntuale dell'orizzonte ora anticipato.14

Lo spunto decisivo che guida la ri-proposizione balthasariana del modello dell'admirabile commercium, non può minimamente sottovalutare l'accadimento in cui la "sostituzione vicaria" ha preso forma storicamente nella vicenda di Gesù. Per questo l'analisi dei tentativi avviati dalla riflessione teologica a riguardo dell'assunzione pro nobis del peccato, vengono da von Balthasar ripresi in ordine ad una più congrua adesione all'azione della redenzione.

Sulla base di cinque temi neotestamentari,15 per la cui mediazione riflessiva la teologia può appropriarsi e contemporaneamente reinterpretare innovativamente l'intuizione anselmiana, von Balthasar riprende e giudica il percorso della teologia che ha tentato di utilizzare la categoria di sostituzione vicaria, mostrando come nella vicenda delle formulazioni affiora la tendenza a dimenticare ora l'uno o l'altro di questi temi.16

Non si tratta della presunzione di porsi come interprete autentico dell'avvenimento cristologico, che può smascherare l'incongruità dell'adesione al dato scritturistico prodottasi nel tempo, quanto piuttosto dell'applicazione rigorosa dello "statuto [auto] ermeneutico" della teologia, così come in Der Mensch in Gott era stato formalizzato.17 La teologia, se vuole mantenere viva la drammaticità della rivelazione, non può distaccarsi dall'archetipica operazione teologica della scrittura, in cui l'agire libero e sovrano di Dio in Cristo ha preso forma, poiché solo quest'ultima, essendo originata dall'azione dello Spirito Santo, può determinare la forma data all'uomo per pensare l'evento della rivelazione. Di conseguenza von Balthasar non ha la preoccupazione di stabilire la verità o falsità delle posizioni storicamente succedutesi nella questione soteriologica sulla base di un astratto apriori biblico, ma esclusivamente quella di rivendicare il principio in base al quale poter affermare che la teologia corrisponde alla rivelazione solo nella misura in cui continuamente riprende la forma teologica dell'autocomprensione divina concretizzatasi nella testimonianza scritturistica.

La doverosità di questo riconoscimento guida la ripresa balthasariana del modello della Stellvertretung che può essere così sintetizzata: «l'azione del Padre e del Figlio, [...] l'azione tra Cristo e i peccatori che gettano su di lui i loro peccati, [...] [e come] essi diventano al suo posto partecipi della grazia di Dio e possono acquistare la libertà come figli di Dio».18 Di qui discendono i momenti con cui von Balthasar struttura la soteriologia drammatica: a) l'implicazione reciproca di croce e Trinità;19 b) il Crocifisso in rapporto al peccato degli uomini;20 c) la risurrezione e la libertà liberata;21 d) la chiesa e il mistero pasquale.22

Nella formulazione dell'impianto, che prevede esplicitamente il chiarimento del profilo che consente all'avvenimento teo-cristologico della morte-risurrezione di Gesù di attestarsi come il luogo dell'effettiva liberazione della libertà finita (c e d), si evidenzia l'intenzione balthasariana di collocare la ripresa della dottrina dell'admirabile commercium dentro la logica inaugurata dal programma di Theodramatik.

L'istanza che infatti attraversa e sostiene le fasi dell'elaborazione balthasariana, intende motivare una visione del rapporto creatore/creatura, che consente all'apparizione gloriosa di Dio di configurarsi come l'azione in cui la corrispondenza antropologica all'iniziativa divina è inclusa. Il programma di ripresa della teoria anselmiana si misura quindi sulla capacità di mostrare che l'evento cristologico si pone, nella sua singolare storicità, come la manifestazione definitiva della verità di Dio, da cui l'esistenza umana in quanto tale riceve la possibilità di essere compiutamente se stessa.

Presupposto della soteriologia drammatica resta l'interrogazione circa la possibilità «che "accanto" o "dentro" l'assoluta libertà divina, esista un'altra non-divina, creata libertà, che in un senso vero e proprio abbia parte all'autonomia della libertà divina, sia nella decisione per Dio che in quella contro Dio».23 L'affermazione chiaramente manifesta l'intenzione di pensare il fondamento della coesistenza della libera soggettività teologica e antropologica, rimandando ad una soluzione teologica che «consenta di poter escludere sia l'errore dell'assorbimento panteistico dell'uomo in Dio sia l'errore della reciproca giustapposizione».24 Se infatti la libertà finita trova il suo fondamento solo in quella infinita, tuttavia quest'ultima non può assorbirla in sé, ma «deve, conforme alla sua essenza (in quanto infinita), essere tanto libera da lasciare libera in se stessa la libertà finita, o meglio, trattandosi appunto di libertà infinita, da liberare anzitutto la libertà finita».25

Successivamente, von Balthasar, iniziando a prendere in considerazione la libertà finita, esordisce con la riproposizione del carattere libero dell'autocoscienza come luogo del riconoscimento della differenza ontologica.26 Il nodo della caratterizzazione finita della libertà umana è infatti l'inconfutabile evidenza che la «nostra libertà non è illimitata, più esattamente: che noi in quanto liberi siamo sempre per strada verso la nostra libertà».27 L'affermazione si precisa con la specificazione che nella presenza di sé a se stesso, l'uomo percepisce contemporaneamente l'incomunicabilità del suo essere (Ichsein) e l'illimitata partecipabilità dell'essere in quanto tale. Accanto al riconoscimento della propria singolarità emerge altrettanto chiaramente la singolarità degli altri esseri, i quali, pur partecipando anch'essi all'essere, non esauriscono la totalità dell'essere, così che la scoperta dell'unicità e incomunicabilità del proprio essere, coincide con la scoperta della singolarità degli altri esseri e parimenti della totale comunicabilità dell'essere in quanto tale a tutti gli enti.28

Questo dinamismo permette pertanto la specificazione dell'identità della libertà umana nei termini di «un inalienabile autopossesso [...] che si ha soltanto in articolazione con l'apertura universale ad ogni altro esistente, nell'uscita da se stessi verso la conoscenza e l'amore dell'altro in particolare in quel con-essere dove l'apertura primordiale dell'essere è sempre grande al punto che nessun esistente (che non è mai tutto l'essere) è mai in grado di esaurirla».29 Da ciò deriva la tensione iscritta nella libertà umana tra il polo dell'autopossesso e dell'apertura all'altro da sé, che irriducibili l'uno all'altro, rappresentano la polarità o differenza fondamentale della condizione antropologica, base di ogni altra differenza che l'uomo sperimenta nella propria esistenza.30 Nella descrizione sono chiaramente ravvisabili i termini fondamentali della problematica della differenza ontologica, giacché, seppur con categorie "drammatiche", si nota il passaggio dal carattere libero dell'autocoscienza (essere presenti a se stessi) al riconoscimento dell'universalità dell'essere che si rende accessibile unicamente nella particolarità degli enti. Questa differenza ontologica è così il fondamento della polarità della libertà antropologica, che von Balthasar formula nella tensione tra autopossesso e apertura all'altro.

Di qui, con un procedimento tipico della sua teologia, von Balthasar anticipa la soluzione teologica del problema: «volendo qui fare subito un'escursione teologica, risulterebbe per primo che l'essere partecipato è non soltanto in genere una "immagine di Dio" -- come colui a cui tutti gli esseri partecipano per essere qualcosa e che nella sua autopartecipazione è sempre più ricco della somma dei partecipanti -- ma che addirittura è un immagine del Dio tripersonale, in cui l'incomunicabilità delle Ipostasi è tutt'uno con l'unità delle "essenza" in ognuna di esse».31 L'affermazione segnala l'anticipazione del termine al quale perviene il procedimento riflessivo balthasariano, poiché identifica nella distinzione intratrinitaria l'origine di ogni differenza creata, sia ontologica che antropologica: la differenza originaria è l'essere trinitario, che nella reale distinzione delle persone realizza un'unità essenziale attraverso la relazione reciproca delle Ipostasi.32

Di conseguenza così come la differenza intratrinitaria non va a scapito dell'unità essenziale (e quindi non deve essere modalisticamente superata), allo stesso modo le differenze create sono irriducibili all'unilaterale assolutizzazione di un polo rispetto all'altro. Questa apertura teologica evidenzia la volontà di von Balthasar di identificare nel mistero trinitario l'orizzonte di comprensione del significato dell'esistenza umana.

Tale opzione lascia inoltre intravedere l'intenzione balthasariana di manifestare solamente a livello teologico la novità della propria riflessione, come compimento di ciò che in maniera evidente la riflessione filosofica già istituisce, ma non può portare a compimento. La volontà di evidenziare la necessità di ricollocare la domanda ontologica e antropologica sull'intrascendibile livello della storicità dell'esserci umano, è infatti un dato che von Balthasar prende a piene mani da tutto l'itinerario della filosofia contemporanea (anche se raramente si preoccupa di citare le fonti). Tuttavia questo suo inserirsi nel dibattito non viene accompagnato da un'esplicita intenzione di apportare -- su questo piano -- un proprio contributo specifico, il quale è riservato al solo livello teologico, facendo così chiaramente intendere il necessario orientamento teologico del profilo riflessivo filosofico.

Su questo convergono anche i critici, come ad esempio Holzer che, riferendosi al problema che stiamo trattando della possibilità di comprendere il rapporto tra libertà finita/infinita, afferma come nella prospettiva balthasariana -- che pur non scarta il dato filosofico -- al massimo la riflessione filosofica approderà al riconoscimento di un infinito essenzialmente libero nell'autopossesso e nella disposizione di sé, ma resterà impossibilitata di porre la differenza come tale al cuore dell'assoluto.33

In questo modo viene messo in luce un aspetto particolare di come von Balthasar intenda il rapporto filosofia/teologia: non si può procedere partendo dall'oggettività della rivelazione e poi da lì legittimarne la pretesa a livello filosofico, né invertire il procedimento "mettendo tra parentesi" la rivelazione per ritrovarla alla fine del cammino filosofico. Occorre invece, una "reciproca illuminazione" (gegenseitige Erleuchtung) che si specifica nel tentativo di illustrare come il necessario adempimento teologico della riflessione filosofica sia già insito nel carattere incompiuto di ciò che la filosofia istituisce: «questa libertà deve conforme alla sua essenza (in quanto infinita), essere tanto libera da lasciare libera in se stessa la libertà finita, o meglio trattandosi appunto di libertà infinita, da liberare anzitutto la libertà finita. Ma questo non lo può una pura idea di bene infinito, di tendere alla quale una libertà finita non dovrebbe mai cessare, ma senza poterla naturalmente mai raggiungere. E allo stesso modo questo non lo può un bene infinito reale che, per essere infinito, debba essere pensato staccato da ogni finitezza: come ad esempio il pensiero di pensiero che pensa se stesso di Aristotele o anche l'assolutamente Uno di Plotino la cui libertà è sì assoluta ma si attua tutta entro se stessa: "È interamente rivolto a se stesso e intimo a se stesso, non ha rapporto verso fuori o verso altro, ma è del tutto riferito a sé" (Enn VI 8, 17) [...] Un tale Dio tutto infatuato della sua libertà non può dare libertà o liberare».34

Di conseguenza per von Balthasar non si tratta di riformulare nuovamente la filosofia per poter dire adeguatamente il teologico, ma di affermare la necessità della novità teologica dicendo il filosofico, o meglio dicendo quello che il filosofico dovrebbe e vorrebbe dire ma non può. A questo riguardo risulta significativo che il procedimento di von Balthasar nel momento in cui, dopo aver mostrato l'impossibilità intrinseca all'assoluto filosoficamente pensato, di porre la differenza al cuore del divino, documenti la soluzione rivelata mediante la categoria dell'eucaristia. Se è intenzione di von Balthasar perseguire continuamente l'ambiguità dell'accesso filosofico a Dio e mostrare l'indeducibilità del compimento teo-cristologico, anche le categorie devono mutare, non possono più essere quelle della filosofia, semplicemente rivendicate su un diverso registro interpretativo.

L'eucaristia diventa allora adeguata ad esprimere la realtà della differenza Dio/uomo, poiché se quest'ultima deve essere istituita a livello drammatico, ossia come rapporto tra una libertà infinita e una finita, essa mantiene questa caratteristica senza possibilità di pre-giudizio filosofico. Solo se nel fondamento esiste una drammatica della libertà, si può adeguatamente parlare del rapporto creatore/creatura in termini drammatici, è per questo motivo che l'eucaristia diventa categoria centrale della teodrammatica. La concettualità teologica solo al livello della libertà può esprimere la novità dell'autocomunicazione divina, ma perché questo accada non si può ricondurre la caratteristica della drammaticità a nessun tipo di fondamento che non sia esso stesso un atto drammaticamente libero.35

Il sacramento dell'eucaristia essendo concepibile unicamente come l'atto del rendimento di grazie del Figlio al Padre, che apre lo spazio della realizzazione in Cristo dell'uomo, può esprimere la realtà del teodramma in maniera eminentemente drammatica. Infine se si considera che la relazione analogica Dio/uomo così formulata, diviene un'impossibilità più grande ancora da concepire per la filosofia quando si esprime in una forma corporale finita, allora l'eucaristia, nella sua intrinseca materialità, può rappresentare la nozione che più di ogni altra fa permanere la storia nel "clima" insuperabilmente drammatico del corpo di Cristo.

È questo l'aspetto che si vuole in questo studio mettere in evidenza, e che richiede uno sviluppo capace di mostrare in primo luogo come nel dettato balthasariano il rapporto tra l'autoesplicazione (Selbstauslegung) economica della Trinità e il movimento kenotico intrateologico, sia istituito su una caratterizzazione eucaristica, idonea ad esprimere la novità salvifica dell'azione di Cristo, che il dinamismo trascendentale della libertà finita non può né rivendicare né dedurre.36

La particolare accentuazione della dimensione di disappropriazione (Selbstenteignung) che caratterizza intrinsecamente la vitalità interiore della Trinità, consente l'attribuzione all'atto generativo del Padre della qualifica di prima e fondamentale kenosi. Il gesto («gesto che egli non solo "compie", ma "è"»)37 in cui il Padre si sottrae all'esclusività del suo essere divino generando il Figlio, come l'Altro da sé identico nel possesso della divinità, rappresenta l'atto col quale Egli manifesta l'infinita onnipotenza di Dio nella forma dell'autorinuncia a riservare per sé la divinità. Parimenti «la risposta del Figlio al possesso equiessenziale della divinità non può che essere un eterno rendimento di grazie (eucaristia) alla sorgente paterna, un rendimento di grazie (Danksagung) così disinteressato (selbstlos) e senza calcolo (berechungslos) alcuno quale era la dedizione prima del Padre».38

In questo modo la disappropriazione reciproca del Padre e del Figlio realizza una distanza (Abstand) infinita e assoluta tra i due, sulla quale pone il suo sigillo la Persona dello Spirito mantenendo aperta e nello stesso tempo superata tale differenza. In essa «tutte le altre possibili distanze possono essere incluse»,39 compresa la negazione di Dio, poiché solo l'a-teità intratrinitaria, ovvero la sua autorinuncia a conservare gelosamente la divinità per sé, può fondare e contemporaneamente superare l'intramondana distanza ateistica dell'uomo da Dio.40 Nell'atto della disappropriazione il Padre non si compromette nell'identità divina, poiché Egli è principio della divinità proprio in questo suo disinteresse (Selbstlosigkeit); allo stesso modo il Figlio partecipa realmente della stessa natura non altrimenti che nell'accoglimento, anch'esso disinteressato, del dono del Padre. Tale accettazione implica sia il suo essere mandato, ossia il suo ri-donarsi disappropriandosi, sia il rendimento di grazie (eucaristia) per l'equiessenziale essere divino.41

A partire di qui è possibile comprendere le ulteriori kenosi di Dio: quella nella creatura libera (creazione), nel legame profondo con essa (alleanza) e quella nella redenzione della libertà finita (croce-eucaristia) .42 Esse devono essere comprese come una graduale e sempre maggiore "autodelimitazione" (Selbstbeschränkung) di Dio: «la prima come "autodelimitazione" del Dio trinitario in forza della libertà donata alle creature, la seconda come più profonda "autodelimitazione" dello stesso Dio trinitario mediante il suo patto [...], la terza, non soltanto cristologica, ma interamente trinitaria, in forza dell'incarnazione soltanto del Figlio, il quale manifesta il suo radicale comportamento eucaristico nel pro nobis della croce».43

Questa progressiva "autodelimitazione" consiste nella collocazione fuori di Dio di una libertà autocausativa, che realmente partecipa all'autonomia divina, poiché si pone in relazione con la libertà di Dio a partire da null'altro che da se stessa. Tale libertà, ricevendo la propria autonomia esclusivamente sul presupposto della distanza Padre-Figlio, da una parte ha il potere di negare il dono ricevuto, dall'altra esercita questa prerogativa solo all'interno del sì del Figlio al Padre, sicché la negazione di Dio è di principio già superata nella disappropriazione reciproca del Padre e del Figlio.44

Pertanto, se il dramma tra Dio e l'uomo ha il presupposto della sua esistenza e del suo superamento nella gratitudine assoluta del Figlio al Padre, ciò significa la libertà umana e la sua perversione si verificano sempre nella risposta eucaristica del Figlio, «la quale, a quel modo che noi la conosciamo, è nel modo più intimo connessa con il pro nobis della passione».45

In questa prima puntualizzazione dell'orizzonte trinitario, inteso come ambito entro cui giustificare la dottrina del commercium, si evidenzia subito la centralità della categoria di alterità/differenza, alla quale assegnato il compito di svolgere la funzione di presupposto fondamentale per comprendere la singolarità dell'agire storico di Dio in Cristo a favore degli uomini. Il fatto che in Dio esiste la forma di alterità per cui l'essere di Dio è in se stesso destinazione che procede da un'origine e termina ad un destinatario -- che non è la reduplicazione dell'origine -- comporta l'inclusione nella stessa distanza dell'alterità antropologica. La possibilità che Dio si ponga in relazione con l'altro da sé risiede nel fatto che Dio è in sé stesso relazione, per cui la condizione affinché l'uomo possa esistere come libertà altra da Dio, sta nella nel rapporto intratrinitario di differenza tra il Padre e il Figlio. È quindi nel rimando alla dinamica intratrinitaria che soggiace alla vicenda cristologica, che si radica la consapevolezza manifesta della necessità di ricondurre l'essenza dell'azione divina alla dimensione che la considera sotto l'angolatura dell'unico rapporto possibile all'atto libero della disappropriazione delle Ipostasi divine.

In questo quadro appare evidente la centralità del riferimento all'eucaristia, la quale specifica la forma della relazione d'alterità intratrinitaria, entro la quale deve essere collocata la condizione di possibilità della drammaticità mondana. Quest'ultima per von Balthasar non può essere pensata come momento necessario del processo di autoposizione della soggettività assoluta fuori di sé, che comprometterebbe la libertà dell'atto creatore divino e del rapporto drammatico tra la libertà di Dio e quella dell'uomo.46 L'individuazione del fondamento della drammaticità mondana deve quindi «superare una pura metafisica dello spirito che, a dispetto della sua molto reale fecondità, resta però mancante per quanto riguarda la comprensione del mistero trinitario»,47 per aderire ad una visione che ne metta in evidenza l'intrinseca caratterizzazione libera.

Per questo occorre che il momento in cui la soggettività teologica si compromette con quella antropologica, sia compreso come un momento non ulteriore rispetto alla relazione intratrinitaria tra il Padre e il Figlio, e che esso sia espresso attraverso una concettualità eucaristica che ne legittimi la qualità eminentemente libera. Non si capirebbe diversamente la scelta operata da von Balthasar di non rifarsi al linguaggio biblico della generazione del Logos, e le critiche mosse all'analogia psicologica agostiniane e alla sua ripresa tomista, se non si facesse riferimento a questa opzione intenzionalmente rivolta a superare ogni metafisica dello spirito.48

La pertinenza dell'eucaristia a svolgere questo ruolo nella teologia di von Balthasar, la si capisce ulteriormente nella misura in cui si prende in considerazione che il dramma della relazione storica Dio/uomo è incluso intratrinitariamente anche nella sua forma peccaminosa. Neppure la distanza abissale da Dio provocata dal peccato, può essere pensata come non-compresa all'interno dell'originario rapporto Padre/Figlio, perché altrimenti la vittoria pasquale di Cristo potrebbe apparire come il momento in cui Dio -- sconfiggendo la morte -- conquista definitivamente la sua divinità a partire dal suo proprio negativo.

In realtà per von Balthasar il triduo pasquale trova il suo ultimo presupposto nella Trinità immanente: certamente sono gli uomini, ebrei e pagani, ha caricare sulle spalle di Gesù il peso inimmaginabile del peccato, ma ciò sarebbe del tutto insufficiente se non si tenesse conto che, derivando il pro nobis della croce dalla missione affidatagli dal Padre, Cristo sperimenta l'ora come il gesto totale della sua obbedienza al Padre, il quale per questa ragione può apparire legittimamente come colui che carica anch'esso, cooperante Spiritu Sancto, il peccato del mondo sul Figlio.49

L'eterna diastasi (die ewige Trennung) tra il Padre e il Figlio viene drammaticamente "dilatata" nella forma dell'abbandono pasquale dallo Spirito, il quale da strumento di comunione diviene possibilità di separazione consentita, in modo tale che è la Trinità intera («opera trinitatis ad extra communia»)50 ad operare nell'ora del Figlio, dove Egli muore in una derelizione estrema, che gli fa gridare la sua disperazione per l'assenza del Padre, dal momento che è colpito dall'ira di Dio, ossia dalla maledizione pronunciata inesorabilmente contro ciò che è sostanzialmente irriducibile al divino.

Questo radicare l'opera della redenzione cristologica intrateologicamente permette così a von Balthasar di evitare sia una visione del rapporto drammatico tra Dio e l'uomo che vede la divinità imperturbabilmente distaccata dalla vicenda storica della libertà umana, sia una posizione tendente a considerare il dramma della morte e resurrezione di Cristo come l'atto in cui la soggettività di Dio perviene alla propria realizzazione attraverso una previa negazione e alienazione di sé nel finito: questo «motivo ha indicato una via per comprendere lo "scambio dei posti" (Platztausch) in modo che si ritrovasse il suo ultimo presupposto nella Trinità immanente, così che quest'ultima non rimanesse del tutto "intatta" come ad oscillare al di sopra dell'evento della croce [...] ma inoltre non finiva irretita in una fusione mitologica-tragica nel senso di una teologia del processo moltmanniana o hegeliana [...] Con l'escludere i due estremi già indicati diciamo in questo modo che la condizione della possibilità dell'abbandono di Gesù da parte del Padre deve fondarsi nell'assoluta distanza intratrinitaria tra l'Ipostasi che dona e l'Ipostasi che riceve la divinità, dove questa distanza viene da entrambe le Ipostasi che derivano dal Padre sia eternamente confermata e mantenuta aperta, sia superata con la divinità, dono comune e assoluto».51

A partire di qui il compito della riflessione balthasariana individua il doveroso approfondimento di questa prospettiva nella delineazione dell'essenza della forma sacramentale dell'eucaristia. La condizione per evitare la "riduzione cosmologica" e quella "antropologica" è rappresentata dallo spazio che la riflessione teologica deve concedere alla dimensione protologica della cristologica, la quale riportando «il pro nobis della croce-resurrezione nella "distanza" originaria della comunione trinitaria»,52 permette di comprendere come la possibilità di un dramma storico tra la libertà infinita e quella finita sia da sempre compresa nella libertà dell'originario trinitario.

La forma di questa imprepensabile azione divina è quella eucaristica, poiché, nel momento delle tenebre, quando il Figlio conosce la massima distanza da Dio, Cristo allo stesso tempo sperimenta l'unità col Padre nel cena pasquale, dove la peccaminosa negazione di Dio, da Lui assunta volontariamente, diventa un rendimento di grazie, ossia momento dell'eterno amore tra il Padre e il Figlio: «qui Dio il Padre crea nello Spirito Santo l'eucaristia del Figlio che sola compie finalmente la sua incarnazione [...] Nell'eucaristia del Figlio Dio conclude con l'umanità il suo Patto nuovo ed eterno, in cui Egli, Dio, si da senza riguardo».53 Solo nell'eucaristia ciò che del dramma intramondano non può assolutamente essere compreso come appartenente alla vita di Dio, viene trasfigurato dall'obbedienza filiale di Cristo e ridonato in una forma corrispondente all'originaria e libera relazione d'amore della Trinità. Per cui la categoria dell'eucaristia permette a von Balthasar di poter fondare nell'apriori teologico della libertà intratrinitaria qualsiasi aspetto della drammatica mondana, poiché essa è categoria che direttamente fa riferimento ad una forma pratica in cui ciò che propriamente non può appartenere a Dio diventa paradossalmente -- secondo i canoni mondani -- espressione (Ausdruck) e rappresentazione (Darstellung) dell'automanifestazione dell'amore divino.

Ritroviamo così l'assunto di fondo dell'analogia balthasariana: la Erscheinung divina include in se stessa la forma della Entsprechung dell'uomo all'azione automanifestativa di Dio, poiché nell'azione della libertà di Cristo tutto ciò che appartiene intrinsecamente alla libertà finita, anche il peccato, diviene Ausdruck dell'originario amore trinitario. In questo contesto l'intervento della categoria eucaristica esprime l'elemento giudicato come centrale in ordine all'intero progetto, poiché all'eucaristia deve essere attribuito il profilo che caratterizza la definitività dell'atto in cui la libertà di Gesù porta a compimento l'imperfetta espressività della libertà umana.

La dichiarazione della rilevanza di questo punto di vista determina quindi il contesto sul quale comprendere l'intenzione di von Balthasar di collocare la ripresa della dottrina agostiniano-anselmiana del commercium. L'analisi mette in luce l'irrinunciabilità della forma materiale dell'eucaristia relativamente alla dinamica di compimento della libertà finita nella misura in cui stabilisce il primato della singolarità di Cristo, intesa come cifra esplicativa che sia in grado di specificare la modalità definitiva del rapporto che la trascendenza teologica della verità possiede con la storicità della libertà. È la vicenda cristologica, e solo essa, che può determinare rigorosamente questa relazione, nella misura in cui introduce con il corpo-eucaristia una categoria idonea a salvaguardare il realismo della forma in cui la libertà dell'uomo può diventare espressiva della trascendenza della verità, trinitariamente caratterizza. Ciò, oltre ad escludere l'eventualità di un accesso solamente filosofico al mistero di Dio, stabilisce l'impossibilità di una corrispondenza antropologica all'azione di Dio che non sia quella cristologica, la quale in questo modo si caratterizza sicuramente come compimento indeducibile della libertà finita, senza però mostrare la propria necessità rispetto al movimento trascendente della libertà umana. Quest'ultima è chiamata infatti a lasciarsi rideterminare teologicamente unicamente sulla base del criterio che le assegna una natura ambigua e paradossale, dalla quale non si evince in nessuna maniera le ragioni per cui la libertà finita possiede una struttura tale da far sì che l'attuazione -- nella quale l'uomo accede al senso non oggettivabile della sua libertà -- diventa un momento, seppur solo simbolico, di manifestazione del senso definitivo svelato in Cristo.

Copyright © 2011 Nicola Reali

Nicola Reali. «Il profilo trinitario della dottrina soteriologica dell'admirabile commercium nella teologia di Hans Urs von Balthasar». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**58 B].

Note

  1. H. U. von Balthasar, Theodramatik, Bd. II: Die Personen des Spiels, Teil II: Die Personen in Christus, Johannes, Einsiedeln 1978, 53-238 [Teodrammatica, vol. III: Le persone del dramma: l'uomo in Cristo, Jaca Book, Milano 1983, 57-242]. D'ora in poi questo volume sarà citato: Td. II/II. Testo

  2. Td. II/II, 16-17 [17-18]. Testo

  3. Td. II/II, 30-36 [33-39]. Testo

  4. Td. II/II, 35 [38]. Testo

  5. Td. II/II, 20 [21]. Testo

  6. Td. II/II, 17-20 [18-21]. Testo

  7. Td. II/II, 18 [19]. Testo

  8. Td. II/II, 19 [20]. Testo

  9. Td. II/II, 19 [20]. Testo

  10. V. Holzer, Le Dieu Trinité dans l'histoire. Le differend théologique Balthasar - Rahner, (Cogitatio Fidei, 190) Du Cerf, Paris 1995, 153-163. «Dio non si può comunicare alla creatura se non è Trinità, e la creatura non può sussistere come finita che a partire da una "alterità essenziale" (relations subsistentes) che "fonda" la sua propria. Solo la "drammatica" cristologica è adatta a "rilevare" l'aporia filosofica non trinitaria della relazione infinito-finito. L'estasi trinitaria "ad intra" assicura, donandosi "ad extra" la permanenza e l'alterità del finito, senza che quest'ultimo debba negarsi o fondersi nell'indeterminazione del divino. L'incontro di una libertà finita e di una libertà infinita, come storia della libertà, non concepibile che trinitariamente» (ibid., 154). Testo

  11. H. U. von Balthasar, Theodramatik, Bd. II: Die Personen des Spiels, Teil I: Der Mensch in Gott, Johannes, Einsiedeln 1976, 181-182 [Teodrammatica, vol. II: Le persone del dramma: l'uomo in Dio, Jaca Book, Milano 1978, 194]. D'ora in poi questo volume sarà citato Td. II/I. Testo

  12. Holzer, Le Dieu Trinité....., op. cit., 156-157. Testo

  13. Sul tema dell'eucaristia e, più generalmente, del sacramento nella teologia di von Balthasar, cfr. N. Reali, La ragione e la forma. Il sacramento nella teologia di H. U. von Balthasar, PUL-Mursia, Roma 1999 Testo

  14. Significative anticipazioni del cuore della dottrina soteriologica di Theodramatik sono rappresentate da: Theologie der drei Tage, Johannes, Einsiedeln - Freiburg i. B. 1990 [Teologia dei tre giorni, (BTC, 61) Queriniana, Brescia 1991] e da Herrlichkeit. Eine theologische Ästhetik, Bd. III/II, Teil I: Neuer Bund, Johannes, Einsiedeln 1969; 21988, 187-217 [Gloria. Un'estetica teologica, vol. VII: Nuovo Patto, Jaca Book, Milano 1977, 185-238]. D'ora in poi questo volume sarà citato Herr III/II, 2. Inoltre sulla dottrina anselmiana della "sostituzione vicaria" von Balthasar si era già soffermato prendendo in considerazione gli "stili clericali" in: Herrlichkeit. Eine theologische Ästhetik, Bd. II: Fächer der Stile, Teil I: Klerikale Stile, Johannes, Einsiedeln 1962; 31984, 217-263 [Gloria. Un'estetica teologica, vol. II: Stili ecclesiastici, Jaca Book, Milano 1978, 189-234]. In proposito cf. M. Serenthà, La discussione più recente sulla teoria anselmiana della soddisfazione. Attuale «status quaestionis», in «La Scuola Cattolica» 108 (1980), 344-393; 351-353. Testo

  15. a) la dedizione del Figlio di Dio fino alla morte di croce; b) lo scambio dei posti in cui Gesù diventa maledizione affinché l'uomo possa diventare giustizia; c) la riconciliazione come liberazione dalla schiavitù del peccato e liberazione della libertà finita; d) la conseguente introduzione dell'uomo alla vita trinitaria; e) l'amore misericordioso del Padre che rappresenta la realtà cui si deve ricondurre l'intera azione della redenzione. H. U. von Balthasar, Theodramatik, Bd. III: Die Handlung, Johannes, Einsiedeln 1980, 221-224 [Teodrammatica, vol. IV: L'azione, Jaca Book, Milano 1986, 221-225]. D'ora in poi questo volume sarà citato Td. III. Testo

  16. Td. III, 224-294 [225-293]. Testo

  17. Td. II/I, 81-125 [91-132]. Testo

  18. Td. III, 327-328 [328]. Testo

  19. Td. III, 297-309 [297-309]. Testo

  20. Td. III, 309-337 [309-336]. Testo

  21. Td. III, 337-362 [337-361]. Testo

  22. Td. III, 363-395 [361-392]. Testo

  23. Td. II/I, 56 [66]. Testo

  24. S. Ubbiali, La risurrezione dei morti. L'assolutezza del tempo finito, in «La Scuola Cattolica» 121 (1993), 135-170; qui 165. Testo

  25. Td. II/I, 180 [193]. Testo

  26. Td. II/I, 186-192 [199-204]. Testo

  27. Td. II/I, 186 [199]. Testo

  28. Td. II/I, 187-188 [200-201]. Testo

  29. Td. II/I, 190 [202]. Testo

  30. Td. II/I, 190-192 [202-204]. In proposito cf. E. Babini, L'antropologia teologica di Hans Urs von Balthasar, Jaca book, Milano 1987, 41-42 (che giustamente richiama l'analoga presentazione in Theologik, Bd. I: Wahrheit der Welt, Johannes, Einsiedeln, 1985 della strutturale bipolarità della libertà umana). Testo

  31. Td. II/I, 188 [201]. Testo

  32. Holzer, Le Dieu Trinité......, op. cit., 156. Testo

  33. Holzer, Le Dieu Trinité......, op. cit., 158-163. Testo

  34. Td. II/I, 180-181 [193]. Testo

  35. «L'evento [...] non è qualcosa che si potrebbe narrare epicamente: è qualcosa che, prima di Cristo, nel dramma di Cristo stesso e nella storia del mondo dopo Cristo, può essere di continuo contestato, respinto, ignorato» (Td. II/II, 34 [37]). Testo

  36. Td. III, 300-305 [301-305]; Theologie der drei....., op. cit., 23-55; 27-55; 85-87 [23-52; 35-52; 83-85]. In proposito cf. G. De Schrijver, Le merveilleux accord de l'homme et de dieu. Étude de l'analogie de l'être chez Hans Urs von Balthasar, tr. fr., Leuven University Press, Leuven 1983, 286-287; 326- 330. Testo

  37. Td. III, 302 [302]. Testo

  38. Td. III, 301 [301]. Testo

  39. Td. III, 301 [301]. Testo

  40. Td. III, 300-301 [300-301]. Testo

  41. Td. III, 302-304 [303-305]. Testo

  42. Td. III, 305-309 [305-309]. «L'annichilimento (Entäußerung) di Dio (nell'incarnazione) ha la sua possibilità ontologica nell'autorinuncia (Entäußertheit) eterna di Dio, nella sua donazione tripersonale (dreipersönlichen Hingabe)» (Theologie der drei....., op. cit. 33 [40]); cf. anche ibid., 85-87 [83-85] e Herr. III/II, 2, 196-198 [193-195]. Testo

  43. Td. III, 308 [308]. Testo

  44. «Egli [Dio] può osare tanto [la creazione dell'uomo libero] in ultima analisi soltanto previa visione e previa presa in considerazione della seconda e più vera kenosi, quella della croce, in cui egli raccoglie e supera tutte le conseguenze più estreme della libertà creaturale» (Herr. III/II, 2, 198 [195]). Testo

  45. Td. III, 307 [307]. Testo

  46. «Qui non si dice che [...] (hegelianamente) il dramma trinitario abbia bisogno [...] di un percorso attraverso le contraddizioni del mondo. Noi invece pensiamo di accostarci al mistero da due lati: a partire da una teologia negativa che esclude, in quanto mitologica, ogni necessaria implicazione di Dio nel processo del mondo, e a partire dal dramma del mondo che deve avere in Dio le condizioni della sua possibilità» (Td. III, 304 [304-305]). Testo

  47. Holzer, Le Dieu Trinité......, op. cit., 157-158. Testo

  48. Holzer, Le Dieu Trinité......, op. cit., 167-170. L'opzione balthasariana di superare ogni tendenziale riduzione hegeliana del mistero cristiano, guida anche la presa di distanza operata nei confronti di Moltmann il quale, conferendo una concettualità trinitaria allo schema mondano vita/morte, non può esprimere la novità della rivelazione cristiana sui canoni interpretativi filosofici, confluendo così nella posizione hegeliana della soggettività assoluta di Dio, ove la morte è vista come momento necessario del processo divino di autoidentificazione, ibid., 172, nota 1. Testo

  49. Td. III, 309-312 [309-312]; Herr. III/II, 2, 192-193 [190]; Theologie der drei....., op. cit., 85-87 [83-85]. Ciò è possibile per una economica "inversione trinitaria" del rapporto Gesù/Spirito Santo: «lo Spirito assume la funzione di rappresentare al Figlio la volontà del Padre nella forma di una regola incondizionata, addirittura inesorabile nella passione» (Td. II/II, 173 [177]). Sulla questione della "inversione trinitaria" von Balthasar si diffonde in: Td. II/II, 167-175 [172-180]. «Il ruolo dello Spirito consiste non unicamente nell'avere trovato nell'uomo Gesù lo strumento giusto per l'obbedienza storica del figlio, ma espressamente nell'aver situato il Figlio con l'adombramento della Vergine nello stato dell'umanità" e ancora "nello status exinanitionis il rapporto di Gesù verso lo Spirito consiste nell'esecuzione della missione - e questa si manifesta sia nel possesso dello Spirito che nell'obbedienza nello Spirito, nella "pretesa" come nella "povertà e abbandono"» (Td. II/II, 170. 173-174 [175. 178]). La "inversione trinitaria" consiste in questa priorità economico-soteriologica dello Spirito Santo rispetto al Figlio, anche se rimane intatta la processione dello Spirito dal Padre e dal Figlio, a motivo della comune e libera intesa dei due; cf. Td. II/II, 172-173 [176-177]. Testo

  50. Td. III, 304 [304]. Testo

  51. Td. III, 310 [310]. Testo

  52. Holzer, Le Dieu Trinité......, op. cit., 167, nota 1. Testo

  53. Td. III, 325 [325]. Testo

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