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Origene filosofo cristiano. Il Peri Archôn e i suoi oppositori

di Ilaria Ramelli (20-21 marzo 2009)

La preziosa identità di Origene quale filosofo cristiano -- il che include anche il suo essere teologo, in quanto nella filosofia patristica non si dà la distinzione moderna tra filosofia e teologia -- trovò la sua massima espressione nel suo capolavoro Peri Archôn, ove egli emulò da cristiano modelli filosofici greci, da cui trasse ispirazione per la struttura e il titolo.

Tale sua identità di filosofo cristiano fu oggetto, da subito, di aspre polemiche, delle quali Origene stesso era consapevole e dalle quali cercò di difendersi, come poi fecero anche i suoi apologisti ed estimatori: Panfilo, Eusebio, Atanasio, Socrate etc. Queste polemiche provenivano essenzialmente da due fronti, opposti ma aventi in comune l'idea che essere un filosofo cristiano fosse una contraddizione in termini: 1) quello interno dei Cristiani che rifiutavano la filosofia greca e secondo i quali un Cristiano non avrebbe mai potuto essere un filosofo, e 2) quello esterno di filosofi pagani (specialmente Neoplatonici) quali Porfirio, secondo cui un filosofo non avrebbe potuto essere cristiano. Porfirio infatti, che aveva conosciuto Origene da giovane e lo stimava come filosofo, si rammaricava che, a suo dire, fosse diventato cristiano -- asserto che Eusebio si adoperò a confutare.

Questo duplice attacco è esattamente parallelo al duplice attacco che dovette subire l'allegoresi cristiana della Bibbia, di cui Origene, profondamente ispirato da Filone, fu il massimo teorizzatore e applicatore. Esso proveniva similmente da due fronti opposti, che tuttavia condividevano la convinzione che un'interpretazione allegorica della Bibbia fosse inaccettabile: 1) il fronte interno dei Cristiani che rifiutavano un'esegesi allegorico-spirituale della Bibbia nel timore -- infondato nel caso di Origene -- che questa vanificasse il piano letterale e storico, e 2) il fronte esterno degli allegoristi pagani (anche qui, specialmente Medio- e Neoplatonici), secondo cui la Bibbia, opera barbara giudaica, non poteva essere oggetto di esegesi allegorica poiché non conteneva verità filosofiche e spirituali da portare alla luce mediante questo metodo ermeneutico, che a loro avviso poteva essere applicato soltanto ai miti greci, e in modo tale da vanificare completamente il piano storico-letterale (per Salustio, i miti narrano fatti mai accaduti storicamente, ma sono «allegorie di verità eterne»).

Vale la pena anche di mostrare come queste polemiche abbiano continuato a pesare a lungo nella valutazione di Origene e della filosofia cristiana, a partire dalla penosa controversia origeniana, e si siano protratte fino ad oggi.

I.

La preziosa identità di Origene quale filosofo cristiano -- il che include anche il suo essere teologo, in quanto nella filosofia patristica non si dà la distinzione moderna tra filosofia e teologia -- trovò la sua massima espressione nel Peri Archôn, ove egli emulò da cristiano modelli filosofici greci, da cui trasse ispirazione per la struttura e il titolo. È infatti alla filosofia greca, non a modelli cristiani, che Origene improntò il suo capolavoro. Ed è come filosofo, e precisamente come filosofo cristiano, che egli concepì il piano del Peri Archôn, scritto ad Alessandria prima del suo trasferimento a Cesarea nel 232/3 (Eus. HE VI 24, 3; 26, 1). Si tratta della prima sistematica ricerca ed esposizione del pensiero cristiano attraverso un'argomentazione filosofica vòlta ad esporre «i principî primi della realtà». Il titolo Peri Archôn è attestato da Eusebio, HE VI 24, e da Rufino, che nella prefazione alla sua traduzione dei primi due libri, 3, lo rende sia con De Principiis sia con De Principatibus, forse in relazione alla ricerca di Origene sui logika o noes. Proprio i modelli filosofici di Origene del genere Peri archôn, come mi accingo a dimostrare, rendono pressoché certo che il titolo significhi «sui principî primi della realtà».1 Per una simile impresa Origene non aveva alcun precedente cui rifarsi tra gli autori cristiani: si rivolse deliberatamente alla filosofia pagana, ma per esprimere contenuti cristiani.

Passo alla dimostrazione di questa mia tesi, basandomi su un'accurata e sistematica analisi dei titoli e dei contenuti del genere Peri archôn in tutta la filosofia anteriore e contemporanea a Origene. In campo cristiano, Giustino e Clemente usano l'espressione «peri archôn,» ma solo in un contesto di dossografia filosofica,2 non come titolo di un'opera o anche solo come descrizione di un'opera loro propria o di altri autori cristiani. Clemente in Div. 26, 8 osserva che un mistero relativo al Salvatore si nasconde nelle dottrine dei Greci peri archôn kai theologias, dunque in metafisica e in teologia. Si noti sin d'ora che si tratta precisamente dei due ambiti in cui, secondo Porfirio, Origene seguì la filosofia greca, come dimostrerò: non mi sembra un caso che Clemente li indicasse come gli ambiti in cui le dottrine filosofiche greche potevano essere considerate come esprimenti in senso simbolico le verità del Cristianesimo.

In mancanza dunque di precedenti cristiani per questo genere filosofico, per il suo Peri Archôn Origene aveva solo modelli filosofici greci pagani, e più specificamente di tradizione platonica e aristotelica.

Riguardo alla prima, anche se Platone stesso non scrisse alcun trattato Peri archôn, varî suoi seguaci successivamente lo fecero. Mi sembra notevole che Eusebio, sempre pronto a difendere Origene dalle accuse di quei Cristiani che gli rimproveravano di essere più platonico che cristiano, soprattutto riferendosi precisamente al suo Peri Archôn, sottolinea con forza che Platone non scrisse mai un'opera Peri archôn e insiste col dire che Origene non insegnava le stesse dottrine di Platone sui principî primi della realtà.3 Ora, Eusebio ha ragione nell'affermare che Platone non scrisse mai un Peri archôn -- ma lo fecero alcuni Medioplatonici e Neoplatonici, che Origene ben conosceva.

Al Medioplatonismo si riallacciano lo Ps. Archita e Longino, che scrissero entrambi un Peri archôn sui principî del reale.4 Infatti, un lungo frammento con questo titolo, attribuito ad Archita di Taranto,5 appartiene al Pitagorismo e Medioplatonismo,6 e, come anche altre opere dello Ps. Archita, era noto a Porfirio e probabilmente anche a Origene. Vi è esposta la stessa dottrina dei tre principî (archai) che si trova nel Medioplatonismo e che deriva dal Timeo interpretato alla luce di concezioni aristoteliche. Le tre archai sono la materia, la forma e Dio, che è identificato con il principio motore. Quanto a Longino, tra Medio- e Neoplatonismo, egli risulta connesso con il circolo di Ammonio Sacca; insegnò ad Atene e fu maestro a sua volta di Porfirio.7 Per Longino, è non solo probabile, ma assolutamente certo che Origene lo conoscesse: è infatti attestato da Porfirio, in un frammento eusebiano su cui tornerò, che Origene ne leggeva assiduamente le opere. Sicuramente Origene leggeva anche il suo Peri archôn e con ogni probabilità vi si ispirò per il proprio capolavoro.

Riguardo alla tradizione peripatetica, Aristotele stesso usò il titolo Peri archôn per i primi cinque libri della Fisica, come attestano Simplicio8 e gennaio Scolario,9 che nel suo commento al De ente et essentia 9 di s. Tommaso ascrive ad Aristotele un «primo libro Peri archôn».10 Stratone di Lampsaco, successore di Teofrasto quale scolarca del Peripato, scrisse un Peri archôn in due o tre libri. Diogene Laerzio (V 59), inserendo questo titolo nell'elenco delle opere di Stratone subito dopo un Peri agathou e un Peri theôn, suggerisce fortemente che il Peri archôn di Stratone trattasse recisamente dei principî della realtà.

Se quest'opera è perduta, è possibile invece ricostruire i contenuti di almeno un altro Peri archôn di scuola aristotelica che presenta sorprendenti affinità con l'omonimo capolavoro di Origene e che io credo lo abbia ispirato da vicino. Poco prima che Origene scrivesse la sua opera omonima, ad Atene Alessandro di Afrodisia, il commentatore di Aristotele, scrisse un Peri archôn tou kosmou conservato oggi in arabo e in parte in siriaco, in cui esponeva la dottrina di Aristotele relativa a «i principî del mondo». Il titolo arabo alla lettera suona: «Trattato di Alessandro di Afrodisia sulla dottrina relativa ai principî del cosmo secondo l'opinione del filosofo Aristotele».11 Alessandro era contemporaneo di Bardesane, Clemente e Origene, e, come Bardesane e Origene -- due filosofi cristiani strettamente connessi sotto vari punti di vista12 --, scrisse anche un Peri Heimarmenês.13 Ora, la struttura del Peri archôn di Alessandro di Afrodisia è identica a quella dell'omonima opera di Origene: per questo, ritengo probabile che Origene fosse ispirato da questo trattato -- certamente noto anche a Plotino, che leggeva Alessandro con assiduità secondo Porfirio (Vita Plotini 14) -- e da trattati filosofici medioplatonici e aristotelici dello stesso genere «sui principî». Nel suo trattato, infatti, Alessandro descrive la prima archê, da lui identificata con il primo motore, come l'essere migliore di tutti, incorporeo, immobile, eterno, sostanza semplice, sempre attiva, che pensa se stessa. Similmente, Origene, dopo avere indicato nella prefazione le dottrine stabilite dalla rivelazione, dichiara di volervi lavorare e applicare ad esse, e specialmente alla Scrittura, la ricerca filosofica e i concetti della filosofia greca, come quello di «incorporeo»: «Vedremo se ciò che i filosofi chiamano l'incorporeo si trovi nella Scrittura sotto un altro nome. Bisognerà ricercare come si debba considerare Dio: se corporeo ... o dotato di una natura diversa ... Occorrerà estendere la stessa indagine anche a Cristo e allo Spirito Santo, all'anima e ad ogni natura razionale ... ordinare l'esplicazione razionale di tutte queste argomentazioni in un'unità ... con dimostrazioni chiare e inconfutabili ... costruire un'opera coerente, con argomentazioni ed enunciazioni, sia quelle che si trovano nella Sacra Scrittura sia quelle dedotte a partire da essa attraverso una ricerca svolta con acribia e rigore logico» (Princ. 1 praef. 9-10). Come Alessandro parte dalla suprema archê, il Primo Motore, così Origene incomincia la sua omonima opera trattando della suprema archê, Dio, e in particolare il Dio cristiano che è Trinità, dunque il Padre, dichiarato incorporeo, il Figlio, presentato come Sapienza e la sede delle Idee secondo un'impostazione medioplatonica, e lo Spirito Santo, il tutto sempre fondando le proprie argomentazioni sulla Scrittura e procedendo attraverso una deduzione razionale. Origene aggiunge subito dopo una trattazione della partecipazione delle nature razionali al Bene, che è Dio, della caduta, e dell'apocatastasi. Il titolo stesso del trattato di Alessandro, Peri archôn tou kosmou, corrisponde a quello di Origene Peri Archôn, anzi la corrispondenza si fa ancora più esatta in quanto Origene stesso, in Princ. IV 4, 5, dichiara che il suo trattato verte su «i principî di questo mondo» (mundi huius visibilis ratio). Le corrispondenze nel titolo, nella struttura, nei contenuti e nel metodo sono stringenti.

Anche Porfirio scrisse un Peri archôn in due libri, come attestano sia la Suda, s. v. Porphyrios,14 sia Proclo, Theol. Plat. I 51, 5, che cita un Peri archôn di Porfirio, il quale vi avrebbe dimostrato l'eternità dell'intelletto.15 Porfirio conosceva sicuramente sia il Peri archôn di Longino, che fu suo maestro, sia quello di Alessandro di Afrodisia, le cui opere erano lette regolarmente alle lezioni di Plotino, che Porfirio frequentava. Ma con ogni probabilità Porfirio conosceva anche il Peri Archôn di Origene, scritto una ventina d'anni prima che egli, poco più che ventenne, incontrasse il suo autore.16

In questo genere filosofico si inserisce dunque il Peri Archôn di Origene, il quale, io credo, dichiara egli stesso il contenuto e il fine del suo capolavoro filosofico in IV 4, 5: ivi egli afferma di avere indagato la struttura e l'ordinamento razionale del mondo (mundi huius visibilis ratio) per mostrare il fondamento razionale della fede cristiana, pro his qui in fide nostra etiam credendi rationem perquirere solent et pro his qui haeretica adversum nos certamina commovent. Così Origene fornisce la prima interpretazione filosofica cristiana del reale e spiegazione della rivelazione biblica, e impiega la filosofia, specialmente platonica, nell'esposizione sistematica della visione cristiana del mondo.

Qualcosa di simile era stato intrapreso fino ad allora, non nel Cristianesimo, ma nel Giudaismo, e specificamente nel Giudaismo ellenistico, da Filone,17 tuttavia non in un'opera del genere «sui principî». Il Peri Archôn di Origene indaga i temi di Dio, delle creature razionali, del mondo e dell'escatologia in modo sistematico nei primi due libri; il terzo è dedicato al libero arbitrio dei logika e all'apocatastasi,18 e il quarto per lo più all'esegesi scritturale. Questa è infatti sentita da Origene come parte dell'esposizione della metafisica,19 in quanto la sua filosofia è filosofia cristiana fondata sulla Scrittura e, tramite l'argomentazione razionale, indaga le questioni che sono rimaste aperte e non definite dalla Scrittura e dalla tradizione.

Grazie a questa applicazione della filosofia alla Scrittura, Origene, che com'è noto convertì all'ortodossia il ricco valentiniano Ambrogio, il quale fu poi anche suo patrono, guadagnò alla Chiesa le persone più colte, filosoficamente preparate ed esigenti dal punto di vista culturale, che per questo erano naturalmente attratte da correnti gnostiche. Origene rese così impossibile accusare il Cristianesimo, come spesso accadeva,20 di essere una religione per ignoranti e fanatici. Per questo, Origene fu profondamente ammirato sia da importanti personalità ufficiali, come il governatore romano dell'Arabia, Giulia Mamea, madre dell'imperatore Alessandro Severo, l'imperatore Filippo l'Arabo e sua moglie, sia soprattutto da molti filosofi pagani come Plotino e Porfirio e da altri Platonici successivi. Questo è attestato sia da Eusebio sia dalle fonti stesse che trattano di Origene: ritengo infatti che non vi sia nessuna ragione necessitante per distinguere l'Origene cristiano, citato anche da Porfirio, dall'Origene neoplatonico citato da fonti neoplatoniche pagane quali Porfirio, Giamblico e Proclo.21

II.

L'identità di Origene quale filosofo cristiano, specialmente quale espressa nel Peri Archôn, fu oggetto, da subito, di aspre polemiche, delle quali Origene stesso era consapevole e dalle quali cercò di difendersi, come poi fecero anche i suoi apologisti ed estimatori: Panfilo, Eusebio, Atanasio, Socrate etc. Già in vita, in una lettera conservata da Eusebio (HE VI 19, 12-14), Origene si difese contro quei Cristiani che lo accusavano in quanto filosofo e maestro di filosofia, evidentemente convinti che un filosofo di professione non potesse essere un buon cristiano. In questa lettera egli sia chiarisce perché lo studio della filosofia gli fosse stato necessario, sia adduce alcuni illustri precedenti. Innanzitutto spiega che, mentre era impegnato nello studio della Scrittura, fu avvicinato da alcuni eretici, filosofi, ed esperti nelle «discipline greche» (Hellênika mathêmata), cosicché egli dovette «esaminare sia le opinioni degli eretici sia ciò che i filosofi sostenevano di aver da dire riguardo alla verità».22 Quindi, Origene porta l'esempio di due filosofi cristiani ad Alessandria, che egli si limita ad imitare (mimêsamenoi), evidentemente nell'essere al contempo sia filosofo sia cristiano: Panteno ed Eracla. Panteno, secondo Origene, aveva «un'ottima preparazione» in filosofia e nelle discipline greche, e in effetti Eusebio, HE V 10, 1, lo chiama filosofo stoico (apo philosophou agôgês tôn kaloumenôn Stôikôn) e riferisce che era illustre per la sua cultura23 e che insegnò ad Alessandria fino alla sua morte, sia oralmente sia per iscritto (HE V 10, 4). Lo stesso Eusebio, HE V 11, 2-5, attesta che Clemente citava nominalmente Panteno come suo maestro nelle sue perdute Hypotyposeis, e identifica correttamente Panteno con il migliore dei filosofi cristiani citati da Clemente in Strom. I 1, 11 nella lista dei suoi maestri: secondo Clemente, Panteno, che «se ne stava nascosto in Egitto», fu l'ultimo maestro che Clemente trovò, in odine cronologico, «ma per capacità [dynamei] era il primo». Clemente lo presenta come il migliore di quanti avevano conservato «la vera tradizione della beata dottrina» cristiana attraverso una trasmissione orale lungo le generazioni. Clemente nominava espressamente Panteno come suo maestro ed espose le sue interpretazioni della Scrittura e i suoi insegnamenti (Eus. HE VI 13, 1-2); infatti, egli presenta direttamente i suoi Strômateis come annotazioni basate sulle lezioni del maestro (Strom. I 1, 11, 2).24 Anche Alessandro di Alessandria attesta che Panteno era noto a Origene: in una lettera a quest'ultimo afferma infatti di averlo conosciuto attraverso Panteno e Clemente (ap. Eus. HE VI 14, 9). La descrizione stessa di Panteno in Clemente come «vera e propria ape di Sicilia» (Sikelikê tô onti melitta) 25 allude alla sua cultura, non soltanto quella cristiana e specificamente imperniata sulla Scrittura, di cui Clemente tratta nell'immediato contesto, ma anche quella delle discipline liberali e della filosofia, quelle il cui studio veniva rinfacciato a Origene. Ciò è confermato dall'uso della metafora dell'ape anche in Strom. I 33, 5-6 in riferimento alla filosofia, che secondo Clemente forniva una indispensabile formazione preliminare alla teologia cristiana (cfr. IV 9, 2). Panteno forniva dunque l'esempio di un'eccellente formazione filosofica in un cristiano.

L'altro esempio di filosofo cristiano addotto da Origene nella sua lettera è Eracla. Questi «ora siede nel presbyterion di Alessandria,» dunque non è solo un cristiano ma anche un presbitero, eppure al contempo è anche un filosofo: Origene lo trovò per la prima volta «presso il maestro degli insegnamenti filosofici» (para tô didaskalô tôn philosophôn mathêmatôn) ad Alessandria, con ogni probabilità Ammonio Sacca.26 Erano già cinque anni che Eracla stava studiando filosofia alla sua scuola quando Origene, come riferisce egli stesso, incominciò a sua volta a seguire le lezioni di Ammonio. Eracla è presentato come un esperto in filosofia anche da Eusebio, HE VI 15, 1, che tuttavia lo presenta come uno gnôrimos di Origene (se questo va inteso come «discepolo», non manca di fare problema). Dunque, Eracla, presbitero e poi vescovo, era un filosofo cristiano; anche Eusebio lo dipinge come pleistên biou philosophou kai askêseôs apodeixin paraschôn (HE VI 3, 2). Non solo, ma secondo Origene Eracla vestiva anche l'abito del filosofo piuttosto che quello del presbitero: ancora al tempo in cui Origene scrisse la sua lettera, Eracla ad Alessandria continuava a vestire in quel modo e a studiare i «libri dei Greci».27

Secondo Origene, dunque, era perfettamente possibile e coerente essere, come Panteno ed Eracla, un filosofo cristiano, sia pienamente filosofo sia pienamente cristiano. Una conferma viene dal contenuto e dalla strategia posta in atto nei suoi perduti Strômateis,28 ispirati all'omonima opera di Clemente, il quale in Strom. I 5, 28 dichiara la filosofia dono di Dio e preparazione alla fede cristiana. Nella sua opera perduta, secondo Gerolamo (Ep. 70, 4), Origene confrontava le concezioni dei filosofi e quelle cristiane, e le trovava evidentemente compatibili, in quanto confermava le dottrine cristiane per mezzo del pensiero dei filosofi greci. Similmente, entro un discorso su Socrate, in CC VII 6 Origene esprime il proprio parere che la filosofia sia una ricerca della verità che rende nobili, venerabili e gloriosi quanti la praticano: Dia philosophian kai alêtheian emphainei semnon kai dia semnotêta epaineton.

Le polemiche cui Origene sentì il bisogno di rispondere già in vita, e a cui poi risposero i suoi apologisti (Panfilo, Eusebio, Atanasio, Didimo il Cieco, Socrate etc.), provenivano essenzialmente da due fronti, opposti ma aventi in comune l'idea che essere un «filosofo cristiano» fosse una contraddizione in termini: 1) quello interno dei Cristiani che rifiutavano la filosofia greca e secondo i quali un Cristiano non avrebbe mai potuto essere un filosofo, e 2) quello esterno di filosofi pagani (specialmente Neoplatonici) quali Porfirio, secondo cui un filosofo non avrebbe potuto essere cristiano. Porfirio infatti, che aveva conosciuto Origene da giovane e lo stimava come filosofo, si rammaricava che, a suo dire, fosse diventato cristiano -- asserto che Eusebio si adoperò a confutare. Porfirio, che non poteva assolutamente concepire la legittimità di una filosofia cristiana, considerava infatti Origene un pagano convertito al Cristianesimo, e, dopo la sua conversione, un ibrido mal riuscito, e a suo avviso inconciliabile, tra un cristiano nella vita e un filosofo greco nel suo pensiero metafisico e teologico.

È Eusebio stesso a riportare una celebre mnêmê di Porfirio, dal terzo libro della sua opera contro Cristiani,29 in HE VI 19, 4-8. In questo passo Porfirio disapprova l'applicazione dell'esegesi allegorica filosofica alla Scrittura, considerata un'opera barbara che non poteva contenere una verità filosofica nascosta tale da dover essere decrittata tramite allegoresi filosofica. Porfirio indica come iniziatore dell'assurdità (atopia) dell'esegesi allegorica della Scrittura Origene. Mi sembra significativo che anche Socrate, HE III 23, precisamente nel contesto di una polemica contro Porfirio per la sua critica alla Scrittura, presenti analogamente Origene come l'iniziatore dell'allegoresi biblica cristiana: egli fu il primo, «prima di tutti gli altri» (pro hapantôn).30 Né Porfirio né Socrate prendono in considerazione, non solo Filone, probabilmente in quanto giudeo e non cristiano, ma nemmeno Clemente Alessandrino, come precursore di Origene nell'esegesi allegorica della Bibbia, né tanto meno gli spunti offerti ad esempio da s. Paolo. Questo può essere dovuto al fatto che Origene era, in primo luogo, un esegeta molto più prolifico e sistematico di Clemente, e in più, oltre che esegeta, fu anche teorizzatore dell'esegesi scritturale (Princ. IV), e in questo egli fu sicuramente il primo.

Porfirio descrive Origene con evidente ammirazione; esordisce dicendo che era illustre per le sue opere ancora mentre egli stesso stava scrivendo. Egli attesta di averlo incontrato personalmente da giovane, probabilmente a Cesare o a Tiro.31 Sia Socrate (HE III 23, che attinge alla confutazione eusebiana di Porfirio) sia la conoscenza stessa della Scrittura che Porfirio dimostra sembrano suggerire che questi fosse cristiano all'epoca;32 comunque sia, è da escludersi che egli si sia sbagliato nell'identificare il nostro Origene con un discepolo (akroatês, ap. Eus. HE VI 19, 6) di Ammonio Sacca, iniziatore del Neoplatonismo ad Alessandria.33 Porfirio fa dunque di Origene un condiscepolo di Plotino e di Longino; in effetti, avendo Origene lasciato Alessandria nel 233 e Plotino incominciato a frequentare le lezioni di Ammonio a 28 anni, potrebbero perfino aver frequentato la scuola di Ammonio insieme per almeno un paio d'anni. Anche Teodoreto, che situa Ammonio sotto Commodo, in Cur. VI 60-7 presenta il nostro Origene e Plotino come suoi discepoli,34 e delinea la metafisica di Ammonio: i principî ne sono il Nous e il Logos, da cui l'universo è creato e mantenuto nell'essere e nell'armonia;35 Ammonio professava la dottrina della Provvidenza divina e il principio stoico (e platonico) che soltanto i buoni e virtuosi sono felici: Hoi de agathoi monoi eudaimones: dia gar touto kai theoi eudaimones. Si noti che Teodoreto non si fa alcun problema di fronte alla menzione degli dèi in Ammonio, a differenza di Eusebio, come mostrerò.

Come risulta sia dalla Vita Plotini di Porfirio sia da Nemesio, che descrive sempre Ammonio come maestro di Plotino e ne accomuna gli insegnamenti a quelli plotininiani (De nat. hom. II 19ss.; III 56-60), l'insegnamento di Plotino dipendeva da quello di Ammonio, che cercava di armonizzare il pensiero di Platone e di Aristotele, come è noto da Ierocle, ap. Phot. Bibl. cod. 214, 172A e 251, 461B Bekker, che in entrambi i frammenti chiama Ammonio theodidaktos o istruito dalla divinità. Questa armonizzazione fu recepita a sua volta anche da Porfirio, che scrisse un'opera in sette libri intitolata L'indirizzo filosofico di Platone e quello di Aristotele si identificano (Suda, s. v. Porphyrios: Peri tou mian einai tên Platônos kai Aristotelous airesin Z). Si possono riscontrare notevoli paralleli di pensiero tra Ammonio e i pochi frammenti rimasti di Panteno, che, esattamente come Ammonio, insegnò ad Alessandria durante il regno di Commodo e successivamente (Eus. HE V 10, 1-4). L'idea di Ammonio che Dio abbia creato gli esseri per mezzo della propria volontà, attestata da Ierocle (ap. Phot. Bibl. cod. 251, 461b; 462b) ,36 coincide con quella espressa da Panteno nel fr. 2 Routh (= Clemente Alessandrino, fr. 48 Staehlin), ove egli afferma che i logoi nella mente divina sono chiamati «voleri di Dio» dalla Scrittura in quanto Dio creò ogni cosa con la sua volontà e conosce tutti gli esseri come sue proprie volontà.37 Soprattutto, alla luce della probabile identità del nostro Origene con l'Origene platonico, del comune discepolato di Origene e di Plotino presso Ammonio, e della loro simile formazione filosofica, con molte letture filosofiche comuni, non mi sorprende che siano stati individuati alcuni stretti paralleli tra il pensiero di Origene e quello di Plotino,38 una cui analisi comparata sistematica è ancora un importante desideratum.

Porfirio nel suo frammento eusebiano pone Ammonio in contrasto con Origene, osservando che, mentre Ammonio era figlio di genitori cristiani e aveva ricevuto un'educazione cristiana, ma con lo studio della filosofia mutò la sua maniera di vivere (da cristiana a pagana), Origene era un greco e aveva ricevuto un'educazione greca (che per Porfirio significa «pagana») ma ad un certo punto si convertì al Cristianesimo. Propriamente, Porfirio non dice che Ammonio divenne pagano rifiutando il Cristianesimo, bensì che «quando, con l'età della ragione, si rivolse alla filosofia, immediatamente passò a comportarsi secondo le leggi».39 Quando Porfirio scriveva, infatti, il Cristianesimo era ancora una superstitio illicita, contro la legge: non mi sembra un caso che sia precisamente Porfirio o un suo stretto seguace ad attestare, insieme a Tertulliano, il senatus consultum che fece del Cristianesimo una superstitio illicita, dunque paranomos, anziché una religio licita approvata dalla legge romana, come ho dimostrato altrove.40 A differenza di Porfirio, Eusebio in HE VI 19, 10 sostiene che Ammonio fu cristiano per tutta la vita e scrisse un trattato sull'armonizzazione tra Mosè e Gesù. Non solo parlando di Ammonio, ma anche parlando di Origene, nello stesso frammento eusebiano, Porfirio ribadisce il concetto che il Cristianesimo è paranomos. Pur avendo genitori greci, egli pros to barbaron exôkeilen tolmêma e visse paranomôs. Dal punto di vista filosofico è di estremo interesse la distinzione che Porfirio presenta tra il modo di vivere di Origene, che era contro la legge in quanto cristiano, e la sua filosofia, che continuò ad essere greca anche quando Origene aveva abbracciato il Cristianesimo: Kata men ton bion Christianôs zôn kai paranomôs, kata de tas peri tôn pragmatôn kai tou theiou doxas hellênizôn te kai ta Ellênôn tois othneiois hypoballomenos mythois. A mio avviso, il significato della dichiarazione di Porfirio è che in metafisica e in teologia Origene fu e rimase un filosofo greco, e in effetti egli studiò queste discipline presso Ammonio, ed interpretò la Bibbia alla luce della filosofia, il che agli occhi di Porfirio appariva mostruoso, anche se era esattamente il metodo che Filone aveva già adottato.

L'elenco, offerto da Porfirio nel frammento eusebiano (HE VI 19, 8), delle letture filosofiche preferite da Origene è illuminante, in quanto sono le stesse di Plotino e della sua scuola, come ho dimostrato altrove,41 il che si adatta perfettamente al fatto che Origene e Plotino provenissero dalla stessa scuola di Ammonio e all'ipotesi che il nostro Origene fosse lo stesso filosofo neoplatonico citato da Porfirio, da Giamblico e da Proclo:

Synên te gar aei tô Platôni, tois te Noumêniou kai Kroniou Apollophanous te kai Longinou kai Moderatou Nikomachou te kai tôn en tois Pythagoreiois ellogimôn andrôn ômilei syngrammasi: echrêto de kai Chairêmonos tou Stôikou Kornoutou te tais biblois, par' hôn ton metalêptikon tôn par' Ellêsin mystêriôn gnous tropon tais Ioudaikais prosêyen Graphais.

Si tratta di Platone in primo luogo, di Medioplatonici e Neopitagorici, e infine di allegoristi stoici. La stessa lista è ulteriormente confermata dall'affermazione di Gerolamo in Ep. 70, 4, che Origene scrisse dieci libri di Strômateis, Christianorum et philosophorum inter se sententias conparans et omnia nostrae religionis dogmata de Platone et Aristotele, Numenio Cornutoque confirmans. Questo elenco concorda pienamente con quello delle letture filosofiche preferite di Origene secondo Porfirio (Platone + Medioplatonici e Neopitagorici, il più importante dei quali è Numenio + allegoristi neostoici Cornuto e Cheremone): anche Gerolamo indica Platone, il Medioplatonico e Neopitagorico Numenio e il Neostoico Cornuto, con l'aggiunta di Aristotele. E mi sembra notevole che anche Aristotele sia un altro filosofo la cui conoscenza e lettura accomuna Origene e Plotino: lo stesso Porfirio, in Vita Plotini 14, attesta infatti che Aristotele era ampiamente utilizzato e studiato da Plotino.

Porfirio nel suo frammento eusebiano associa la sua accusa contro Origene come filosofo cristiano a quella contro Origene come applicatore del metodo allegorico alla Bibbia, da cui il frammento stesso aveva preso avvio. Porfirio afferma che è da questi allegoristi stoici che Origene prese spunto per la sua esegesi allegorica della Bibbia, assumendo da loro questo tipo di ermeneutica e applicandola al testo sacro, a suo avviso in modo illegittimo.42 È interessante che la stessa accusa a Origene ricompaia secoli dopo sul versante cristiano, nella lettera di Giustiniano a Mena, 72 A. -Z.: tôn Hellênôn mythologiais entrapheis kai tautas epekteinai boulomenos, eschêmatisato tas theias dêthen ermêneuein graphas. È la stessa accusa di Porfirio di avere importato il metodo allegorico dagli allegoristi pagani alla Scrittura, ed è rivelatorio che sia sostenuta da un cristiano, anch'egli avverso a Origene tanto quanto Porfirio.

Anche Giustiniano infatti, come Porfirio e come gli accusatori contemporanei da cui Origene si difendeva nella sua lettera, era convinto dell'incompatibilità tra filosofia greca e Cristianesimo.43 Origene era colui che aveva attuato la più profonda, ardita e sistematica sintesi tra i due, e non è infatti un caso che Giustiniano, il quale volle fortemente la sua condanna nel concilio costantinopolitano del 553 -- che non fu neppure ecumenico, a rigore, dato che il papa si rifiutò di aprirlo e fu convocato dall'imperatore, e che condannò dottrine evagriane e post-evagriane più che di Origene stesso, del resto nemmeno citato negli anatemi -, volle anche la chiusura della Scuola di Atene, baluardo del Neoplatonismo tardoantico.44 E mi sembra altrettanto significativo che anche in Giustiniano all'accusa contro Origene quale esegeta allegorico della Bibbia si accompagni quella contro di lui quale filosofo cristiano: ancora una volta, come in Porfirio, anche se in questo caso dal versante cristiano, entrambe le imputazioni si intrecciavano. Infatti, l'identità di Origene come filosofo cristiano e la presunta incompatibilità tra filosofia greca (specialmente Platonismo) e Cristianesimo è ancora operante nella critica di Giustiniano nella sua Epistula ad synodum de Origene: qui, la prima cosa ad essere rilevata riguardo ai monaci origeniani è che essi seguivano Pitagora, Platone e Origene, le cui dottrine sono caratterizzate in blocco come «empietà e inganno».45 Quindi, Giustiniano fa risalire le loro dottrine (in realtà post-evagriane più che origeniane) della monade originaria e della preesistenza e caduta delle anime a Pitagora, Platone e Plotino (124). Similmente, nella lettera a Mena, precisamente la stessa in cui egli attacca Origene anche come allegorista biblico, Giustiniano, a p. 72 A. -Z., sostiene che quella che egli considera l'eresia di Origene sia interamente ispirata dalla filosofia di Platone, da lui stigmatizzata come «la follia greca».46 Coerentemente, nel corso dell'intera lettera, Giustiniano chiama la filosofia di Origene mythologêmata, come una derivazione dai miti greci.

Sul versante delle risposte alle accuse a Origene, Eusebio si sforzò di difendere il filosofo alessandrino da entrambi i gruppi di accuse che ho delineato, sia cioè quelle provenienti dal fronte pagano anti-cristiano, sia quelle provenienti dal fronte cristiano anti-filosofico, contro le quali si erano già adoperati sia Origene stesso nella lettera che ho esaminato, sia il martire Panfilo di Cesarea, discepolo diretto di Origene e maestro di Eusebio. Panfilo scrisse la sua Apologia per Origene mentre era in carcere e stava attendendo il martirio: fu assistito in questo da Eusebio, che dopo la sua morte completò anche l'opera, poi tradotta parzialmente da Rufino.47 Emanuela Prinzivalli ha giustamente osservato che Origene è il primo autore cristiano per il quale furono composte apologie,48 incluso il commento/spiegazione/apologia del Peri Archôn negli scholia di Didimo, che credo essere il primo commento, ovviamente cristiano, dedicato a un testo filosofico scritto da un autore cristiano, piuttosto che a un testo biblico (o, successivamente, a un testo filosofico classico quale quelli di Platone o di Aristotele, che furono regolarmente commentati, più spesso da pagani, ma anche da cristiani, come Calcidio nel suo commento al Timeo). Ritengo che ciò sia dovuto precisamente al fatto che Origene fosse un filosofo cristiano, il massimo filosofo he la Chiesa abbia mai avuto.

La strategia apologetica di Eusebio49 mi sembra chiara: per difendere Origene dall'accusa di essere un filosofo pagano anziché un buon cristiano, e per contrastare le asserzioni di Porfirio dall'altro versante, egli sottolinea che Origene non fu mai un pagano, ma che ebbe genitori cristiani, e che suo padre fu perfino un martire, anche se la sua descrizione del padre di Origene come Leônidês ho legomenos Ôrigenous patêr (HE VI 1, 1) mi suggerisce che Leonida possa eventualmente essere stato, più che il padre biologico di Origene, forse il suo padre spirituale, che lo convertì al Cristianesimo e morì quando egli non aveva ancora diciassette anni. Il suo stesso nome, Ôrigenês, «stirpe di Horus» (Ôros, Ôros), potrebbe far sorgere il dubbio che egli fosse figlio di pagani. Forse per questo, ossia perché il suo nome suonava pagano, che Origene, come evitava il più possibile il termine allêgoria in quanto compromesso con il paganesimo,50 così preferiva usare l'altro suo nome, Adamanzio, nel parlare di sé. Lo usava infatti, ad esempio, riferendo del suo primo viaggio a Roma: Adamantios (ap. Eus. HE VI 14, 10). Questa è infatti la prima occasione in cui Eusebio introduce il secondo nome di Origene ed è costretto ad aggiungere la seguente spiegazione: kai touto gar ên tô Ôrigenei onoma. È significativo che questo appaia soltanto in fonti cristiane su Origene; Porfirio, sia nel frammento eusebiano in HE VI 19, 4-8 sia negli altri riferimenti a Origene nella Vita Plotini (che io credo vadano ricollegati anch'essi all'Origene cristiano), non usa mai Adamantios, ma solo Ôrigenês, e così anche le altre fonti neoplatoniche, quali Giamblico e Proclo, che parlano di un Origene filosofo platonico che non c'è ragione di distinguere necessariamente dal nostro filosofo platonico cristiano. Il secondo nome di Origene appare invece in fonti cristiane quali Eusebio e il Dialogo con Adamanzio, e in altre opere successive, e ancora anche in Giustiniano; più che come nome proprio, esso suona come un soprannome o un epiteto («uomo d'acciaio» «infaticabile», «indomabile»), simile a quello applicatogli da Atanasio in un importante passo in cui egli esprime ammirazione per Origene e lo difende (De decr. Nic. syn. 27, 1-2): philoponos.

Inoltre, una dichiarazione di Origene in Princ. 1 praef. 2 potrebbe essere intesa come un riferimento non solo ai Cristiani in generale, ma anche a una sua personale conversione: «Ci sono molti, tra i Greci e i barbari, che promettono la verità, ma noi abbiamo smesso di cercarla tra coloro che la affermano con falsi insegnamenti, da quando abbiamo creduto che Cristo è il figlio di Dio e siamo stati persuasi di dover apprendere la verità da Cristo». Porfirio, suscitando le allarmate smentite di Eusebio, affermava con certezza che Origene era nato pagano e si era poi convertito al Cristianesimo. Ma anche la sua testimonianza va vagliata criticamente, in quanto anch'egli condivideva con i nemici cristiani di Origene il pregiudizio che la filosofia greca (platonica) e il Cristianesimo fossero fondamentalmente incompatibili.

La versione eusebiana dei fatti relativi a Origene e della sua personalità intellettuale, apologetica ma anche basata su ottime fonti, quali Panfilo e i documenti originali di Origene che Eusebio aveva a diretta disposizione a Cesarea, lascia emergere a più riprese l'interesse centrale che la filosofia rivestiva per Origene. Eusebio evidenzia che Origene sin da bambino era interessato alla Scrittura e si impegnava nel suo studio (tais theiais graphais ex eti paidos enêskêmenos), tanto da interrogare spesso suo padre riguardo ai suoi significati (HE VI 2, 7-9), ma al contempo attesta che Origene studiò anche le discipline liberali «greche»,51 che culminavano nella filosofia, e che, dopo la morte del padre, grazie all'aiuto di una ricca signora, approfondì la conoscenza di queste materie (HE VI 2, 15). Perfino quando smise di insegnare letteratura, un tempo da lui molto amata, poiché incominciò a considerarla incompatibile con le «sacre dottrine» e quindi vendette tutti i relativi libri che possedeva (HE VI 3, 8-9), Origene non smise di certo di interessarsi alla filosofia: era la letteratura profana che egli riteneva incompatibile con il Cristianesimo, certamente anche per i miti poetici e letterarî già condannati da Platone, ma non la filosofia; quest'ultima non era a suo avviso incompatibile con il Cristianesimo, se non per alcuni specifici insegnamenti. La vita stessa di Origene, dedicata all'ascesi e allo studio, è descritta da Eusebio come un philosophôtatos bios (VI 3, 9), la stessa caratterizzazione già offerta dal suo maestro Panfilo, secondo cui Origene vitam abstinentissimam egerit et valde philosopham (Apol. 9). Eusebio testimonia significativamente che molti pagani colti, i quali avevano ricevuto un'educazione filosofica (tôn apo paideias kai philosophias), furono conquistati dall'insegnamento di Origene, che evidentemente essi frequentavano (VI 3, 13). Questi infatti, anche dopo avere affidato l'insegnamento degli stoicheia ad Eracla (HE VI 15, 1), non smise di insegnare filosofia: «molti filosofi illustri» frequentavano anzi le sue lezioni, «per essere istruiti non solo nelle dottrine divine, ma anche nella filosofia pagana» (ta tês exôthen philosophias). Questa, come spiega Eusebio stesso subito dopo, consisteva sia nelle discipline liberali sia, soprattutto, nelle dottrine delle varie correnti filosofiche (tas haireseis tas para tois philosophois, HE VI 17, 2-3), che egli riservava agli allievi più dotati (a quelli meno dotati, infatti, egli non insegnava filosofia, bensì raccomandava di studiare gli enkyklia grammata e la Scrittura: HE VI 18, 4). Origene basava questo suo insegnamento sulle opere dei filosofi, che egli spiegava.52 Per questo, Eusebio attesta, Origene era celebrato come un grande filosofo persino dai pagani: megan kai par' autois Hellêsi philosophon ... kêryttesthai. Questo è in effetti uno dei molti fattori che mi fanno inclinare a identificare l'Origene cristiano con l'Origene neoplatonico.

Dopo avere attestato l'ammirazione dei filosofi pagani per Origene e il suo insegnamento della filosofia, Eusebio assume nuovamente un tono apologetico diretto a rintuzzare le accuse interne dei Cristiani sospettosi verso la filosofia, e, come Origene stesso nella lettera che ho analizzato in precedenza, tiene a spiegare che, per poter insegnare ad altri, Origene doveva necessariamente apprendere personalmente ta kosmika kai philosopha mathêmata. Così, Origene infuse un forte amore per la filosofia in Teodoro-Gregorio, il futuro Gregorio il Taumaturgo, evangelizzatore della Cappadocia, e in suo fratello (HE VI 30, 1).53 Lo conferma il Panegirico di Gregorio stesso,54 che descrive Origene come un theios anthrôpos, philosophias kathêgêmôn (6).55 La focalizzazione è sempre sulla filosofia, e a sua volta Origene, nella sua Lettera a Gregorio, indirizzata allo stesso futuro Taumaturgo, focalizza la sua trattazione sull'importanza della filosofia nella formazione dell'intellettuale cristiano.56 Gregorio nel Panegirico attesta che Origene nelle sue lezioni «esaltava la filosofia e tutti coloro che la amano» (6) e consigliava lo studio di tutti i filosofi tranne gli atei (13), in quanto questi, negando la divinità, eliminavano il principio di tutto, la prima archê da cui Origene infatti parte nel Peri Archôn. Tra questi atei erano annoverati gli Epicurei, i quali tuttavia negavano propriamente la divina provvidenza, più che l'esistenza di divinità.57 Origene, secondo la testimonianza di Gregorio, che concorda con quella di Eusebio, leggeva e spiegava i testi pagani agli allievi e faceva loro studiare tutti gli autori e le scuole di filosofia, per evitare che essi si ancorassero acriticamente agli insegnamenti di una sola (13) e per far loro sviluppare una capacità di valutazione critica e far loro assorbire il metodo argomentativo razionale. Egli insegnava loro tutto ciò che vi fosse di giovevole e di vero in tutti i filosofi (14). I corsi alla scuola di Origene sono descritti da Gregorio come interamente incentrati sulla filosofia, strutturata sulla tripartizione stoica58 di logica, fisica ed etica, seguite dalla teologia quale culmine e coronamento.

III.

Questo duplice attacco a Origene come filosofo cristiano, sia da parte dei Cristiani che vedevano la filosofia con sospetto, sia da parte dei filosofi pagani che disprezzavano il Cristianesimo, è esattamente parallelo al duplice attacco che dovette subire l'allegoresi cristiana della Bibbia, di cui Origene, profondamente ispirato da Filone, fu il massimo teorizzatore e applicatore.59 Esso proveniva similmente da due fronti opposti, che tuttavia condividevano la convinzione che un'interpretazione allegorica della Bibbia fosse inaccettabile: 1) il fronte interno dei Cristiani che rifiutavano un'esegesi allegorico-spirituale della Bibbia nel timore -- infondato nel caso di Origene -- che questa vanificasse il piano letterale e storico, e 2) il fronte esterno degli allegoristi pagani (anche qui, specialmente Medio- e Neoplatonici), secondo cui la Bibbia, opera barbara giudaica, non poteva essere oggetto di esegesi allegorica poiché non conteneva verità filosofiche e spirituali da portare alla luce mediante questo metodo ermeneutico, che a loro avviso poteva essere applicato soltanto ai miti greci, e in modo tale da vanificare completamente il piano storico-letterale (per Secondo Salustio, i miti narrano fatti mai accaduti storicamente, ma sono «allegorie di verità eterne»).60

L'esegesi allegorica della Bibbia, tuttavia, fu praticata da almeno un platonico che non era né giudeo come Filone né cristiano come Origene e i suoi seguaci: Numenio di Apamea, ben noto sia a Origene sia al suo accusatore Porfirio. Numenio, che è indicato da Porfirio come una delle letture più assidue e preferite di Origene, sia interpretò la Bibbia allegoricamente, sia intese recuperare il Platone autentico oltre le deformazioni scettiche dell'Accademia; e il vero Platone di Numenio risulta essere molto vicino al Pitagorismo. La dottrina di Numenio basata sui tre principî61 è vicina a quella di Eudoro e di Moderato ed è spesso considerata un'anticipazione di quella di Plotino. Plotino, infatti, fu perfino accusato di plagio rispetto a Numenio, cosicché Amelio dovette difenderlo in un trattato dedicato a Porfirio, come questi riferisce in Vita Plotini 17. Numenio considerava Platone «un Mosè di lingua e cultura greca» (fr. 8 Des Places = 13 Thedinga): questa celebre definizione è citata da Clemente (Strom. I 150, 4) e nota a Origene, ad Eusebio (PE IX 6, 9; XI 10, 14) e a Teodoreto (Cur. II 114). Come Filone, Clemente, Origene ed Eusebio, Numenio considerava le dottrine platoniche e bibliche non solo compatibili, ma anche fortemente affini, e nel mostrare questo era facilitato, come loro, dall'applicazione dell'allegoresi alla Scrittura. A differenza di tutti questi, però, Numenio non sembra essere stato un giudeo, né tanto meno un cristiano, il che lo rende alquanto singolare (può anche darsi che fosse ispirato da alcune allegoresi gnostiche della Bibbia ad applicare l'esegesi allegorica alla Scrittura allo stesso titolo che, ad esempio, a Omero o a Platone). Egli era ben noto a Origene,62 che spesso lo cita con molta stima, e proprio in polemica con un Medioplatonico avverso all'allegoresi della Bibbia quale Celso, in CC I 15 (= Numenio, fr. 1b Des Places); IV 51 (= fr. 10a); V 38 (= fr. 53); V 57 (= fr. 29). Ho potuto individuare alcune derivazioni metafisiche da Numenio che sono presenti -- a mio parere molto significativamente -- non solo in Origene, ma anche in Plotino: le designazioni origeniane del Padre e del Logos rispettivamente come prôtos theos e deuteros theos,63 esattamente come in Numenio (frr. 11 e 21 Des Places), e la caratterizzazione origeniana del Logos-deuteros theos come dêmiourgos (CC VI 47), che è identica alla caratterizzazione numeniana del deuteros theos come dêmiourgos (frr. 20-21 Des Places) ed è esattamente parallela a quella della seconda ipostasi di Plotino come dêmiourgos (Enn. II 3, 18). Un'altra convergenza impressionante è data dal fatto che il primo Dio di Numenio è designato come autoagathon (fr. 20 Des Places; cfr. fr. 16), precisamente come Dio Padre in Origene, Princ. I 2, 13, e come la prima ipostasi di Plotino, l'Uno: hypostasin tên prôtên ... autoagathon (Enn. VI 6, 10). Ancora, l'uso di hypostasis in riferimento ai tre principî metafisici in Plotino è parallelo al medesimo uso da parte di Origene per le tre persone della Trinità. Ritengo probabile che anche altre concezioni medioplatoniche numeniane abbiano influenzato Origene in ambito teologico. Ad esempio, il secondo Dio di Numenio e la funzione mediatrice del suo Logos potrebbero avere influito sull'apparente64 subordinazionismo di Origene nella relazione intra-trinitaria Padre-Figlio: per Origene, il Figlio è la Sapienza e il Logos del Padre (Princ. I 2, 3), la sua immagine (I 2, 6-8), suo Figlio per natura (I 2, 4), per generazione dal Padre sicut e mente voluntas (I 2, 4; I 2, 6. 9; I 4, 4); è coeterno al Padre e caratterizzato da un'ipostasi propria (I 2, 2. 9. 11; I 4, 4) e da perfetta unità di volontà e di azione con il Padre (I 2, 10. 12). Come il Padre, anche il Figlio è immutabile, indivisibile, eterno, onnipotente, buono in modo sostanziale e non accidentale, ed è Dio sotto ogni aspetto, tanto da essere homoousios al Padre, come attesta un passo di Origene in commento a Ebr 1, 3 conservato da Panfilo (Apol. 99).65 Al contempo, il Figlio è anche il minister del Padre (Princ. I praef. 4), immagine della Bontà del Padre (I 2, 13), e conosce il Padre, ma non tanto quanto il Padre conosce se stesso (IV 4, 8). È come un'anima mundi che permea l'universo e lo mantiene in esistenza (I praef. 4; I 7, 1; II 6, 1; 9, 4; IV 4, 3); ogni creatura razionale partecipa di esso, che è il Logos (I 3, 5-6).

Oltre a derivare importanti concezioni metafisiche da Numenio, Origene attesta anche che il filosofo di Apamea, «desiderando imparare, volle esaminare anche le nostre Scritture» (il che mi sembra confermare che Numenio non fosse egli stesso né giudeo né cristiano), «e fu indotto a considerarle suscettibili di interpretazione allegorica [peri tropologoumenôn], e non piene di idee strambe» (CC IV 51 = Numenio, fr. 10a Des Places). Ed è ancora Origene ad attestare che «il filosofo pitagorico Numenio, il quale spiegò Platone con molta intelligenza, e studiò approfonditamente le dottrine pitagoriche, in molti passi delle sue opere cita gli scritti di Mosè e dei profeti e ne offre interpretazioni allegoriche [auta tropologounta] molto probabili, ad esempio nell'opera intitolata Upupa, o in quelle Sui numeri e Sul luogo» (CC IV 51 = F1c Des Places).66 Si capisce che, proprio grazie alla sua esegesi allegorica della Bibbia, per lui parallela alla sua esegesi allegorica di Platone e di Omero,67 Numenio fosse stimato da Origene molto più di Celso, il quale, al pari di Porfirio, non ammetteva alcuna interpretazione allegorica della Scrittura68 e riteneva «che nella Legge e nei Profeti non c'è nessuna dottrina profonda al di là del senso letterale dei termini» (CC VII 18). Numenio «nel libro III Sul Bene espone anche una storia relativa a Gesù, senza fare il suo nome, e la interpreta in modo allegorico [tropologei autên] -- se in maniera esatta o meno, è un'altra questione, da indagare in altra occasione --; ricorda anche la storia di Mosè, Ianne e Iambre,69 e ... noi stimiamo Numenio più di Celso e degli altri Greci» (CC IV 51 = Numenio, fr. 10a Des Places). Numenio è lodato, come da Origene, così anche da Eusebio per la sua esegesi sia di Platone sia di Mosè (PE XI 10, 14 = Numenio, fr. 8 Des Places).70 Mi sembra probabile che abbia potuto influenzare Origene riguardo alla concezione del rapporto tra la filosofia platonica e quella mosaica (secondo l'impostazione filoniana: la filosofia di Mosè).71 Origene al contempo manteneva la linea di Clemente, che definiva Platone «il filosofo istruito dagli Ebrei» (Strom. I 1, 10, 2), offrendo una giustificazione cronologica di questo asserto nel c. 21, e nei cc. 22-29 dimostrava i debiti della filosofia greca, e specialmente di Platone, verso Mosè.72 Numenio costituisce un unicum di platonico pagano che allegorizza la Bibbia, accanto a Platone e a Omero.

Il doppio attacco all'allegoresi biblica e a Origene quale suo principale rappresentante e teorizzatore, dovuto sia ai Cristiani che accusavano l'allegoresi di arbitrarietà esegetica sia ai pagani, specialmente neoplatonici, che non ritenevano la Bibbia depositaria di verità filosofiche da decodificare, è non solo esattamente parallelo, ma anche profondamente collegato e interrelato al doppio attacco rivolto a Origene come filosofo cristiano. E si osservi che il Peri Archôn è la sua opera in cui sono maggiormente presenti e interconnesse queste sue caratterizzazioni di filosofo cristiano e di allegorista e teorizzatore dell'allegoresi biblica. Questa reciproca connessione tra le doppie accuse contro la filosofia cristiana e contro l'allegoresi biblica, mi sembra ben chiara nel frammento eusebiano di Porfirio, dove entrambe sono presenti e interrelate, così come filosofia cristiana e allegoresi biblica sono presenti e interrelate nel Peri Archôn, dove fanno parte della stessa struttura e trattazione.

La prefazione stessa di Rufino alla sua traduzione degli ultimi due libri del Peri Archôn di Origene è illuminante73: egli vi attesta che la propria versione latina dei primi due libri sollevò aspre polemiche, come del resto egli stesso aveva previsto nella prefazione alla sua versione del primo libro: «Alcuni si indigneranno, rendendosi conto che io non denigro Origene.» E anche adesso, questa gente «esigerà la condanna dell'uomo che, con la luce della sua lampada, si sforzò di dissipare le tenebre diaboliche dell'ignoranza». Per questo, Rufino fa rilevare la modalità zetetica ed euristica della ricerca di Origene nel Peri Archôn: «Poiché non sta trattando di verità di fede», quelle che Origene nella sua propria prefazione al Peri Archôn aveva indicato come già stabilite dalla Chiesa e dunque non oggetto di indagine, ma semmai base per le indagini razionali, «Origene ha detto qualcosa di nuovo e insolito riguardo alle creature razionali a scopo di esercizio e di ricerca: poiché è così che dobbiamo combattere alcune eresie». Origene stesso nella sua lettera che ho citato all'inizio richiamava l'attenzione sull'utilità della filosofia nel combattere pagani ed eretici e dunque non per minare, ma per difendere le verità cristiane e per dimostrarle. Infatti, seguendo la linea apologetica stessa di Origene, Rufino enfatizza che Origene scrisse il Peri Archôn «per confutare tutti gli empî errori dei filosofi pagani e degli eretici», questi ultimi soprattutto gnostici e marcioniti. L'aspetto zetetico della ricerca di Origene, difeso da Rufino, era stato già sottolineato da altri due suoi ammiratori e difensori: Panfilo e Atanasio. Il primo in Apol. 3 fa notare come Origene spesso non determinasse in modo dogmatico, ma ricercasse con modalità zetetica, secondo una distinzione a sua volta ben nota dalle scuole filosofiche greche («dogmatico» e «zetetico» erano infatti due termini tecnici metodologici in questo ambito, che distinguevano anche intere sette filosofiche): quae ab eo cum magno timore Dei et cum omni humilitate dicuntur cum veniam petit pro his quae per nimiam discussionem et per multam scrutationem Scripturarum animo disputantis occurrunt, quae cum exponit frequenter addere solet et profiteri se non haec quasi definitiva pronuntiare sententia, nec statuto dogmate terminare, sed inquirere pro viribus. Similmente Atanasio, che ammirava Origene profondamente e che non a caso pose a capo del Didaskaleion alessandrino il suo fedelissimo seguace Didimo il Cieco, in De decr. Nic. syn. 27, 1-2 difende Origene con decisione, anch'egli distinguendo l'atteggiamento definitorio e dogmatico da quello zetetico tipico di Origene, e rilevando anch'egli che l'intento di Origene era quello di combattere gli eretici: exestô palin hymas akousai kai para tou philoponou Ôrigenous. ha men gar hôs zêtôn kai gymnazôn egraue, tauta mê hôs autou phronountos dechesthô tis, alla tôn pros erin philoneikountôn en tô zêtein: ha de hôs horizôn apophainetai, touto tou philoponou to phronêma esti. meta goun ta hôs en gymnasia legomena pros tous hairetikous euthys autos epipherei ta idia.

Un altro fattore strettamente connesso alle accuse rivolte a Origene in quanto filosofo cristiano è costituito dalle interpolazioni nelle sue opere, in particolare, significativamente, ancora nel Peri Archôn. Esse sono attestate non soltanto da Rufino nel suo De adulteratione librorum Origenis, un opuscolo annesso alla sua traduzione dell'apologia di Panfilo per Origene, ma anche da una lettera di Origene stesso riportata in questa sede: già durante la vita di Origene, infatti, erano sorte queste accuse, dalle quali egli avvertì subito il bisogno di difendersi, e queste interpolazioni. Rufino denuncia tali interpolazioni anche nella sua prefazione alla versione latina dei primi due libri del Peri Archôn, a suo dire l'opera più difficile di Origene e più soggetta ad adulterazioni. Non è questo un caso, dato che si tratta dell'opera più filosofica di Origene, in cui maggiormente emerge la sua caratterizzazione di filosofo cristiano, dunque quella su cui più si appuntarono incomprensioni, critiche e accuse, e perfino deliberate alterazioni. Queste ultime sono attestate e denunciate anche nell'anonima apologia composta da un autore della cerchia di Didimo il Cieco secondo Dechow74 e citata da Fozio, Bibl. cod. 117; secondo Nautin, i contenuti di questa apologia sarebbero anteriori a Didimo di almeno un secolo, in quanto coinciderebbero con i perduti libri IV e V dell'apologia di Panfilo, non tradotti da Rufino.

Le suddette accuse e manipolazioni nascevano dal presupposto di una sostanziale inconciliabilità tra il Cristianesimo e la filosofia greca, in particolare il Platonismo. In realtà, quello che Origene non riprese della filosofia greca in generale e del Platonismo in particolare è precisamente ciò che gli sembrava incompatibile con la rivelazione cristiana. Ho già ricordato il suo rifiuto di insegnare le dottrine filosofiche atee. Tale non era il Platonismo. Entro questo, una dottrina che Origene ricusò è senz'altro quella della metensomatosi (che del resto, giova ricordare, Platone stesso esponeva non come dottrina teoretica, ma sotto forma di mito). Sebbene, infatti, gli sia stato e tuttora gli sia talora rinfacciato di averla sostenuta, è indubbio che Origene la respingesse senza mezzi termini, come provano passi quali CC III 75; IV 7. 17; V 29; VIII 30 o Co. Ro. V 1, 392-406, ove Origene attacca la dottrina della metensomatosi in Basilide, lo gnostico che l'aveva sostenuta in base a una propria esegesi di Rm 7, 9, giudicata da Origene aberrante. Cosicché, il filosofo alessandrino condanna la metensomatosi come una «stolta ed empia favola»: Sed haec Basilides non advertens de lege naturali debere intellegi, ad ineptas et impias fabulas sermonem apostolicum traxit et metensomatoseos dogma, id est quod animae in alia atque alia corpora transfundantur, ex hoc apostoli dicto conatur astruere ... verum Basilides et si qui cum ipso haec sentiunt in sua impietate relinquantur. Nos autem apostoli sensum secundum pietatem ecclesiasticis dogmatis advertamus. Successivamente nella stessa opera Origene confuta di nuovo questa dottrina, osservando che il peccato originale non va interpretato in sostegno ad essa (V 9, 171-176). Ancora nella medesima opera egli oppone una terza argomentazione, la più forte, alla metensomatosi, da lui definita «empia credenza» (VI 8, 118-131): dogma metensomatoseos introducunt, quos animas hominum prius in pecudibus vel avibus aut piscibus docet fuisse et sic ad homines venisse et propterea dixisse apostolum «Ego autem vivebam sine lege aliquando» quasi qui antequam in hoc corpus veniret humanum vixerit in eo ordine verbi gratia aut avium aut animalium ubi lex nulla haberetur ... Haec adversus illos dicta sint qui apostoli sermonem ad dogma impium trahunt. E molti altri passi potrebbero essere addotti a dimostrazione del fatto che Origene, per lo più in polemica anti-gnostica, si rifiutò di avallare la dottrina della metensomatosi.75

Mi sembra altamente significativo che, laddove in Co. Ro. III 1, 197-215 Origene menziona alcune dottrine filosofiche da lui definite decettive e contrarie alla verità, ossia a Cristo, egli citi alcune dottrine peripatetiche e stoiche, quali quelle della Provvidenza che si estende solo fino alla regione lunare ma non a quella sublunare, oppure della corporeità di tutto ciò che esiste, compreso Dio, ma deliberatamente non citi alcuna dottrina platonica.

Origene in quanto filosofo cristiano fu, ed è tuttora, bersaglio dell'accusa che la sua dottrina dell'apocatastasi fosse essenzialmente una dottrina filosofica pagana surrettiziamente importata nel Cristianesimo. Invece, in Origene e in Gregorio Nisseno, che lo segue fedelmente, essa è una dottrina profondamente cristiana, in quanto l'apocatastasi è per loro strettamente associata alla resurrezione (anastasis), come è particolarmente evidente dal De anima et resurrectione del Nisseno ma anche da varî passi di Origene, ed è resa possibile dall'incarnazione, morte e resurrezione di Cristo.76 Sicuramente la loro dottrina dell'apocatastasi si fonda sul principio metafisico platonico dell'inconsistenza ontologica del male; tuttavia, la completa sparizione finale della morte e del male, che non sono creature di Dio, è annunciata anche nella Bibbia, specialmente in 1Cor 15, 26-28,77 ma anche nell'Apocalissi. Un'altra dottrina socratico-platonica su cui si fondano i sostenitori dell'apocatastasi, quali Origene, Bardesane o il Nisseno, è quella dell'intellettualismo etico, per cui la scelta del male deriva sempre, ultimativamente, da ignoranza, inganno, obnubilamento mentale, ma anche questo trova riscontro nella Bibbia, e in particolare nel racconto della caduta. Così il Nisseno legge la narrazione della Genesi entro questi parametri: i progenitori scelsero il male perché sembrava un bene, perché furono ingannati, per un obnubilamento della vista intellettuale. E così Bardesane, come Origene e Gregorio, ritiene che l'apocatastasi sarà resa possibile da un'opera di illuminazione e di istruzione, in quanto la volontaria adesione al Bene, ossia a Dio, consegue da una capacità intellettuale purificata e una vista noetica limpida. In questa prospettiva, una volta che tutti siano pervenuti a riconoscere il Bene e la Verità, ossia Dio, tutti lo sceglieranno spontaneamente e vi aderiranno nell'agapê.78

Come il fatto che Origene fosse un cristiano non significa che non dovesse essere un filosofo per questo, così il fatto che egli fosse un filosofo, e specificamente un platonico, non significa che egli non fosse cristiano, e profondamente cristiano. Che egli fosse profondamente cristiano è stato sottolineato di recente soprattutto da Mark Edwards e da Panayiotis Tzamalikos, con ottime ragioni che condivido appieno.79 Tuttavia, che Origene fosse profondamente cristiano non implica un rifiuto della filosofia e del Platonismo: Origene stesso si affrettò a spiegare, nella lettera da me analizzata all'inizio, che era perfettamente possibile essere sia filosofi sia buoni cristiani, e perfino buoni presbiteri, al contempo. Il Platonismo cristiano non è meno autentico, platonico o legittimo di quello pagano;80 Plotino stesso avrebbe considerato il Platonismo teurgico, ancorato ad esempio alla religione egizia in Giamblico, non meno aberrante e contaminato di quello cristiano. Non è un caso che la filosofia patristica sia essenzialmente platonica: Agostino si rese ben conto che nulli nobis quam isti propius accesserunt, in riferimento ai Platonici. Eppure, come risulta chiaro dalla controversia origeniana, la legittimità della filosofia cristiana, e in particolare del Platonismo cristiano, fu fortemente contestata già nell'antichità, sia dal versante pagano che da quello cristiano.

Copyright © 2009 Ilaria Ramelli

Ilaria Ramelli. «Origene filosofo cristiano, il Peri Archôn e i suoi oppositori». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno, Parma 20-21 marzo 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [99 KB].

Note

  1. M. Simonetti, Origene, I Principi, Torino 1968, ritiene che il titolo si riferisca o ai principî primi del reale o ai primi elementi della dottrina cristiana; si può escludere tuttavia l'idea di un'esposizione elementare del pensiero cristiano. Cfr. Id., «Principi,» in Origene. Dizionario, ed. A.M. Castagno, Roma 2000, 371-376; C. Kannengiesser, «Divine Trinity and the Structure of Peri archôn,» in Origen of Alexandria. His World and His Legacy, edd. C. Kannengiesser - W. Petersen, Notre Dame 1988, 231-249; L. Lies, Origenes' Peri archôn: eine undogmatische Dogmatik: Einführung und Erläuterung, Darmstadt 1992. Testo

  2. Giustino Apol. 2,7,8 sugli Stoici; Dial. 7,2 su Talete; Clemente Strom. IV 1,2,1; V 14,140,3. Testo

  3. C. Marcell. I 4,27: Poia gar pros tauta koinônia genoit' an pote Platôni? ouden Platônos Peri archôn mnêmoneuetai biblion, oude Ôrigenês homoiôs peri archôn edoxasen Platôni. Testo

  4. Per Longino ciò è attestato da Porfirio, Vita Plotini 14; per Archita da Stob. I 41,2 p. 278 W.: Ek tou Archytou Peri archôn. Ananka kai dyo archas eimen tôn ontôn, mian men tan systoichian echousan tôn tetagmenôn kai horistôn, heteran de tan systoichian echoisan tôn ataktôn kai aoristôn... Testo

  5. Ap. Stob. I 41,2 (278 W.). H. Thesleff, The Pythagorean Texts of the Hellenistic Period, Archytas, Åbo 1965, 19,5-20,17. Testo

  6. Cfr. B. Centrone, Pseudo-Archytas, in Dictionnaire des Philosophes Antiques, ed. R. Goulet, I, Paris 1994, 342-345; Id., Pseudopythagorica Ethica (Naples 1990); Id., Platonism and Pythagoreanism in the Early Empire, in The Cambridge History of Greek and Roman Political Thought, eds. C. Rowe - M. Schofield, Cambridge 2000, 559-584; I. Ramelli, Il basileus come nomos emyychos tra diritto naturale e diritto divino: spunti platonici del concetto e sviluppi di età imperiale e tardoantica, pref. G. Reale, Memorie dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici 34, Napoli 2006. Testo

  7. Cfr. M.J. Edwards, Ammonius, Teacher of Origen, JEH 44 (1993) 169-181; L. Brisson & M. Patillon, Longinus Platonicus philosophus et philologus, ANRW II 36,7, Berlin 1994, 5214-99; II 34,4 (1998) 3023-3108. Testo

  8. In Arist. De caelo VII 226,19: Kalei de Peri archôn ta tessara prôta biblia tês Physikês akroaseôs. In Arist. Phys. 9 p. 4,14: Adrastos de en tô Peri tês taxeôs tôn Aristotelous syngrammatôn historei para men tinôn 'Peri archôn' epigegraphthai tên pragmateian, hyp' allôn de 'Physikês akroaseôs', tinas de palin ta men prôta pente 'Peri archôn' epigraphein phêsi, ta de loipa tria Peri kinêseôs. Cf. ibid. 9 p. 6,9: dio ta men prôta pente Peri archôn eiôthe kalein o Aristotelês, ta de ephexês Peri kinêseôs; ibid. 10 p. 801,14: to pempton touto biblion tois Peri archôn Physikois legomenois Aristotelês kai oi tou Aristotelous; ibid. 10 p. 1126,10: hon en tois Physikois dioristhênai phêsi, Physika kalôn ta prôta tês Physikês akroaseôs pente biblia, haper kai Peri archôn onomazei pollakis hetairoi synarithmousin, hôsper ta ephexês tria Peri kinêseôs kalein eiôthasi. Testo

  9. Prol. in Arist. Phys. 2 p. 160.8: Tôn men prôtôn pente tautês bibliôn peri archôn legomenôn, tôn loipôn de triôn peri kinêseôs. Testo

  10. O Philosophos, en prôtô tôn Peri archôn, treis einai tithêsin archas tôn en tê physei pragmatôn, ergô diapherousas, hylên te dêlonoti kai eidos kai sterêsin. Cfr. Id. Adnotationes in Arist. opera diversa, 2 De Cael. 2 l. 136: to kinoun auton ametablêton esti kai ai5dion, asômaton on, oion en tois peri archôn apedeichthê to prôton kinoun. Cfr. Id. Contra Plethonis ignorationem de Aristotele 31,29: En gar tô peri archôn prôtô, to eidos tou physikou pragmatos theion einai phêsi kai agathon kai epheton: kath' homoiotêta dêlonoti tou eidous, hoper esti theiotaton kai ariston kai eschaton en tois ephetois. Gennadio pensa ai primi libri della Fisica, come risulta chiaro dalla sua Divisio quinque primorum librorum Arist. Physicae 1.10: En tô paronti prôtô bibliô deiknysin hoti archai tôn physikôn treis: sterêsis, eidos kai hylê, anaskeuasas proteron tous alla tithentas peri archôn kai tous autôn logous. Testo

  11. Ed. critica, traduzione, commento e introduzione in Ch. Genequand, Alexander of Aphrodisias on the Cosmos, Leiden 2001. Una traduzione italiana è in preparazione a Milano a c. di S. Fazzo e M. Zonta. Testo

  12. Cf. il mio Origen, Bardaisan, and the Origin of Universal Salvation, HTR 102,2 (2009) 135-168. Testo

  13. Cfr. S. Fazzo, «Alessandro d'Afrodisia e Tolomeo,» RSF 43 (1988) 627-649; A. Zierl, Alexander von Aphrodisias, Über das Schicksal, Berlin 1995; A. Magris, Alessandro di Afrodisia. Sul destino, Florence 1996; C. Natali-E. Tetano, Alessandro di Afrodisia. Il destino, Milan 1996; I. Ramelli, Bardesane Kata Heimarmenes, in pubbl. Testo

  14. Linea 6: Peri archôn b; linea 5: ên de kai Longinou tou kritikou akroasamenos. Testo

  15. Porphyrios de au meta touton en tê Peri archôn pragmateia ton noun einai men aiônion en pollois kai kalois apodeiknysi logois. Testo

  16. Cfr. qui infra. Testo

  17. Cfr. il mio Philosophical Allegoresis of Scripture in Philo and Its Legacy in Gregory of Nyssa, StudPhilon 20 (2008) 55-99. Testo

  18. Cfr. il mio La coerenza della soteriologia origeniana: dalla polemica contro il determinismo gnostico all'universale restaurazione escatologica, in Pagani e cristiani alla ricerca della salvezza. Atti del XXXIV Incontro di Studiosi dell'Antichità Cristiana, Roma, Istituto Patristico Augustinianum, 5-7 maggio 2005, Roma 2006, SEA 96, 661-688. Testo

  19. Per il fondamento stoico dell'inclusione dell'allegoresi nella (meta)fisica come parte della filosofia a pieno titolo cfr. il mio Origen and the Stoic Allegorical Tradition: Continuity and Innovation, InvLuc 28 (2006) 195-226. Testo

  20. Cfr. il mio Elementi comuni della polemica antigiudaica e di quella anticristiana fra I e II sec. d.C., StudRom 49 (2001) 245-274. Testo

  21. Dimostrazione sistematica in I. Ramelli, Origen, Patristic Philosophy, and Christian Platonism: Re-Thinking the Christianization of Hellenism, in pubbl. Testo

  22. Ta hypo tôn philosophôn peri alêtheias legein epangellomena. Testo

  23. Anêr kata paideian epidoxotatos ... en de tois malista kat' ekeinou kairou dialamyai logos echei. Testo

  24. Cfr. A. von Harnack, Geschichte der altchristlichen Literatur 1, Leipzig 1893, 291-296; A. Méhat, «Pantène,» in Dictionnaire de Spiritualité 12, Paris 1983, 159-161; I. Ramelli, «La missione di Panteno,» in La diffusione dell'eredità classica, ed. C. Baffioni, Alessandria 2000, 95-106; Id., Gli apostoli in India, in coll. con C. Dognini, Milano 2001, c. 3. Testo

  25. Strom. 1,11,2. Eus. HE 5,11,1 identifica questa «ape» con Panteno, a ragione secondo T. Zahn, Forschungen zur Geschichte des neutestamentlichen Kanons 3 (Erlangen 1884) 161; ulteriori argomenti in favore di questa identificazione sono addotti in I. Ramelli, «Osservazioni sulle origini del Cristianesimo in Sicilia,» Rivista di Storia della Chiesa in Italia 53 (1999) 1-15. Testo

  26. Questa identificazione è sostenuta da F.H. Kettler, Origenes, Ammonios Sakkas und Porphyrius, in Kerygma und Logos. Festschrift C. Andresen, Göttingen 1979, 322-328, e P.F. Beatrice, Porphyry's Judgment on Origen, in Origeniana V, ed. R.J. Daly, Leuven 1992, 351-367. Testo

  27. Philosophon analabôn schêma mechri tou deuro têrei, biblia te Hellênôn kata dynamin ou pauetai philologôn. Testo

  28. Cfr. C. Moreschini, Note ai perduti Stromata di Origene, in Origeniana IV, ed. L. Lothar, Innsbruck 1987, 38-42. Testo

  29. Cfr. su questo passo Beatrice, Porphyry's Judgment, 351-367; Th. Böhm, Origenes-Theologe und (Neu-)Platoniker? Oder: Wem soll man misstrauen: Eusebius oder Porphyrius?, Adamantius 8 (2002) 7-23; M. Zambon, Paranomôs zên: la critica di Porfirio a Origene, in Origeniana VIII, ed. L. Perrone, Leuven 2003, 553-563; A. Grafton-M. Williams, Christianity and the Transformation of the Book, Cambridge-London 2006, 63-65; I. Ramelli, Origen and the Stoic Allegorical Tradition: Continuity and Innovation, InvLuc 28 (2006) 195-226; J. Schott, Porphyry on Christians and Others: 'Barbarian Wisdom,' Identity Politics, and Anti-Christian Polemics on the Eve of the Great Persecution, JECS 13,3 (2005) 277-314; il mio Origen, Patristic Philosophy. Sull'opera di Porfirio contro i Cristiani cfr. l'introduzione e l'edizione di E.A. Ramos Jurado et al., Porfirio de Tiro contra los cristianos, Cádiz 2006, e R.M. Berchman, Porphyry Against the Christians, Leiden 2005. Testo

  30. Pro de hapantôn Ôrigenês ... ta dokounta tarattein tous entynchanontas tais hierais biblois anthypenenkôn heautô kai hermêneusas, tas tôn agnômonountôn sophistikas heuresilogias apekleisen. Testo

  31. Poiché Porfirio nacque nel 232-233 e Origene morì intorno al 255, Porfirio aveva 22 anni o poco meno quando lo incontrò. Testo

  32. Cf. W. Kinzig, War der neuplatoniker Porphyrios ursprünglich Christ?, in Mousopoulos Stephanos. Festschrift Görgemanns, ed. M. Baumbach - H. Köhler, Heidelberg 1998, 320-332. Testo

  33. Su cui cfr. H. Dörrie, Ammonios, der Lehrer Plotins, Hermes 83 (1955) 439-478; Id., Ammonios Sakkas, in Theologische Realenzyklopädie 2 (1978) 465-73; R.G. Goulet, Porphyre, Ammonios, les deux Origènes et les autres, Revue d'Histoire et Philosophie Religieuses 57 (1977) 471-496; P. Nautin, Origène. Sa vie et son œuvre, Paris 1977, 197-202; G. Rinaldi, La Bibbia dei pagani II, Bologna 1998, 55-56; J. Tloka, Griechische Christen - christliche Griechen, Tübingen 2005, 118. F.H. Kettler, Der ursprüngliche Sinn der Dogmatik des Origenes, Berlin 1966, ammette una forte dipendenza di Origene dal primo Neoplatonismo; R. Berchman, From Philo to Origen, Chico 1984. 113-164. Testo

  34. Komodos: epi toutou de Ammônios ho epiklên Sakkas, tous sakkous katalipôn, hois metephere tous pyrous, ton philosophon êspasato bion. Toutô phoitêsai phasin Ôrigenên ton hêmeteron, tô de Plôtinon toutoni. Testo

  35. Oy monon ta tôn Hebraiôn outos, kathaper ho Platôn, alla kai ta tôn alieôn kai ta tou skytotomou paideutheis, memathêken ekeithen, hôs ek tou Nou kai tou ap' autou Logou ta panta kai xynestê kai diestê kai tês prosêkousês tetychêken harmonias. Testo

  36. 461b: Hoti dêmiourgon theon, phêsi, prouphistêsin ho Platôn ephestôta pasês emphanous te kai aphanous diakosmêseôs, ek mêdenos proupokeimenou gegenêmenês: arkein gar to ekeinou boulêma eis hypostasin tôn ontôn. 462b:hekaston de tôn gegonotôn thelôn pepoiêken, ara hôs idia thelêmata ho theos ta onta ginôskei, epeidê kai thelôn ta onta pepoiêken. Testo

  37. Hoi peri Pantainon ton genomenon kathêgêtên tou ... Klêmentos theia thelêmata tê graphê philon kaleisthai phasi [sc. tous logous]. hothen erôtêthentes hypo tinôn tên exô paideusin gaurôn, pôs ginôskein ta onta ton theon doxazousin hoi Christianoi ... apekrinanto: mête aisthêtikôs ta aisthêta mête noerôs ta noêta ... all' hôs idia thelêmata ginôskein auton ta onta phamen ... ei gar thelêmati ta panta pepoiêke ... ginôskein de to idion thelêma ton theon. Testo

  38. Alcuni sono indicati da S. Lilla in Nuovo Dizionario Patristico 3, Genova 2008, 4143-4145 e altri da M.D.P. Barbanti, Origene di Alessandria e Plotino: creature razionali, sostanza spirituale, materia intelligibile, in Neoplatonismo pagano vs. neoplatonismo cristiano, eds. M.D.P. Barbanti-C. Martello, Catania 2006, 65-98, da J. Dillon, Plotinus, Philo, and Origen on the Grades of Virtue, in Blume-Mann, Platonismus und Christentum, 92-105, e H. Ziebritzki, Heliger Geist und Weltseele, Tübingen 1994; l'unica opera di un certo respiro è H. Crouzel, Origène et Plotin. Comparaison doctrinale, Paris 1991. Testo

  39. Hote tou phronein kai tês philosophias êyato, euthys pros tên kata nomous politeian metebaleto Testo

  40. Nel mio Il senatoconsulto del 35 contro i Cristiani in un frammento porfiriano, con prefazione di M. Sordi, Aevum 78 (2004) 59-67. Testo

  41. In Origen, Patristic Philosophy. Testo

  42. Ramelli, Origen and the Stoic Allegorical Tradition, 195-200. Testo

  43. Per la storia delle condanne di Origene cfr. ad es. A. Guillaumont, Les Kephalaia Gnostica d'Évagre le Pontique et l'histoire de l'origénisme, Paris 1962; H. Crouzel, Origene e l'origenismo. Le condanne di Origene, Augustinianum 26 (1986) 295-303; C. Tsirpanlis, The Origenistic controversy in the historians of the fourth-sixth centuries, ibid. 177-183; J. Dechow, The Heresy Charges against Origen, in Origeniana IV, 112-122; Id., Origen's 'Heresy' from Eustathius to Epiphanius, ibid. 405-409; Id., Dogma and Mysticism in Early Christianity, Macon 1988; E. Clark, The Origenistic Controversy, Princeton 1992; E. Prinzivalli, The Controversy about Origen before Epiphanius, in Origeniana VII, 195-213; Ead., Magister; M.J Edwards, Origen against Plato, Aldershot 2002, c. 1 e passim; W. Bienert, Zur Entstehung des Antiorigenismus in 3./4. Jahrhunderts, in Origeniana VIII, 829-842. Testo

  44. E.J. Watts, City and School in Late Antique Athens and Alexandria, Berkeley/London, 2006, c. 5, che si fonda su Malala quale fonte principale degli eventi, offre una buona analisi, anche se la sua interpretazione tende a trascurare l'avversione dell'imperatore per la filosofia e il Neoplatonismo, evidente nel suo atteggiamento verso Origene e nelle relative fonti, soprattutto la Lettera a Mena. Cfr. qui infra. Testo

  45. Pythagora kai Platôni kai Ôrigenei tô kai Adamantiô kai tê toutôn dyssebeia kai planê katakolouthountes (122). Testo

  46. Ti gar heteron para ta Platôni eirêmena tô tên Ellênikên manian platynanti Ôrigenês exetheto? Testo

  47. Cfr. E. Junod, L'auteur de l'Apologie pour Origène, Paris 1992; Id., L'apologie pour Origène de Pamphile et la naissance de l'origénisme, in Studia Patristica 26, Leuven 1993, 267-286; Id., Controverses autour de l'héritage origénien, in Origeniana VII, eds. W.A. Bienert - U. Kühneweg, Leuven 1999, 215-223; P. van Nuffelen, Two Fragments from the Apology for Origen in the Church History of Socrates, JTS 56 (2005) 103-114. R. Williams, Damnosa Haereditas, in Logos. Festschrift L. Abramowski, Berlin 1993, 151-169, dubita dell'affidabilità della traduzione di Rufino, giustamente ammessa da E. Prinzivalli, Magister Ecclesiae, Roma 2002, 178. Testo

  48. E. Prinzivalli, Per un'indagine sull'esegesi del pensiero origeniano nel IV secolo, ASE 11 (1994) 433-460, part. 433. Testo

  49. Sulla biografia eusebiana di Origene e la tradizione biografica origeniana cfr. La biografia di Origene fra storia e agiografia, ed. A. Monaci Castagno, Verucchio 2004. Testo

  50. Lo dimostro in Origen and the Stoic Allegorical Tradition. Testo

  51. Tê tôn enkykliôn paideia ... tôn Hellênikôn mathêmatôn. Testo

  52. Ta para toutois syngrammata diêgoumenos. Testo

  53. Su cui cfr. da ultimo Il giusto che fiorisce come palma: Gregorio il Taumaturgo fra storia e agiografia, ed. B. Clausi - V. Milazzo, intr. E. Prinzivalli, Roma 2007. Testo

  54. Cfr. M. Rizzi, Gregorio il Taumaturgo (?), Encomio di Origene, Milano 2002; M.D.P. Barbanti, Origene tra Platonismo e Sacra Scrittura, Catania 2003, 61-100. Testo

  55. Cf. Pan. 1, ove Origene è detto thaumasios anêr, dedito alla kalê philosophia. Testo

  56. Vi è sviluppato il motivo filonico del «bottino dagli Egizî». Cfr. il mio Philosophical Allegoresis of Scripture. Per questo motivo nella letteratura giudaica e cristiana antica cfr. L.E. Frizzell, Spoils from Egypt: between Jews and Gnostics, in Hellenization Revisited, ed. W. Helleman, Lanham 1994, 139-164; P.F. Beatrice, The Treasures of the Egyptians, Studia Patristica 39, ed. M.J. Edwards et al., Leuven 2006, 159-183; J.S. Allen, The Despoliation of Egypt in Pre-Rabbinic, Rabbinic and Patristic Traditions, Leiden 2008. Testo

  57. La ricezione dell'Epicureismo in Origene è tuttavia interessante: cfr. Chr. Markschies, Epikureismus bei Origenes und in der origenistischen Tradition, in Epikureismus in der späten Republik und der Kaiserzeit, Hrsg. W. Erler - R. Bees, Stuttgart 2000, 191-217 = Id., Origenes und sein Erbe, Berlin 2007, 127-154. Per la presenza di Epicurei nel primo documento di filosofia cristiana, il discorso di s. Paolo ad Atene, cfr. I. Ramelli, Alle radici della filosofia patristica: Paolo all'Areopago e l'eredità del pensiero greco, InvLuc 30 (2008). Testo

  58. L'influsso dello Stoicismo su Origene è molto ampio, dal metodo allegorico stesso alla terminologia stoica all'oikeiosis etc. Cfr. ad es. R.E. Heine, Stoic logic as handmaid to exegesis and theology in Origen's Commentary on the Gospel of John, JTS 44 (1993) 90-117. Testo

  59. Cfr. il mio Origen and the Stoic Allegorical Tradition. Testo

  60. Cfr. il mio Giovanni Crisostomo e l'esegesi scritturale: le scuole di Alessandria e di Antiochia e le polemiche con gli allegoristi pagani, in Giovanni Crisostomo: Oriente e Occidente tra IV e V secolo. Atti del XXXIII Incontro di Studiosi dell'Antichità Cristiana, Roma, Istituto Patristico Augustinianum 6-8 maggio 2004, I, Roma 2005, SEA 93,1, 121-162. Testo

  61. Gli studiosi discordano sulla questione se Numenio postulasse tre dèi oppure due. Cfr. ad es. E.R. Dodds, Numenius and Ammonius, in Les sources de Plotin, Vandoeuvres-Genève 1960, 3-61; J.H. Waszink, Porphyrios und Numenios, in Porphyre, Genève 1966, 33-78; B. Centrone, Introduzione ai Pitagorici, Roma-Bari 1996, 182-186; H.F. Hägg, Clement of Alexandria and the Beginning of Christian Apophaticism, Oxford 2006, 106-114, che propende per una teologia a due princip» per Numenio. Testo

  62. Cfr. M. Simonetti, L'allegoria in Celso, Filone e Origene, in Tradizione e innovazione nella cultura greca da Omero all'età ellenistica. Studi B. Gentili 3, Rome 1993, 1129-42; Id., Origene esegeta e la sua tradizione, Brescia 2004, 91-107; C. Reemts, Vernunftgemasser Glaube, Bonn 1998. R. Somos, Origen and Numenius, Adamantius 6 (2000) 51-69. Testo

  63. CC V 39; 6,47; Mart. 46. Cfr. Princ. I 3,5; CC VI 61; VII 57; Co. Io. II 10,70; VI 29,202. Testo

  64. Che Origene in realtà non fosse affatto un subordinazionista, come ben sapeva Gregorio di Nissa, è da me dimostrato in The Trinitarian Theology of Gregory of Nyssa in his In Illud: Tunc et ipse Filius: His Polemic against «Arian» Subordinationism and the Apokatastasis, presentato all'International Congress on Gregory of Nyssa, Tübingen Sept. 2008, in pubbl. Testo

  65. Cfr. il mio The Trinitarian Theology per l'attendibilità di questo passo e R.P.C. Hanson, Did Origen Teach that the Son is ek tês ousias of the Father?, in Origeniana, ed. L. Lies, Innsbruck 1977, 201-202; P. Widdicombe, The Fatherhood of God in Origen and Athanasius, Oxford 1994; M.J. Edwards, Did Origen Apply the Word omoousios to the Son?, JTS 49 (1998) 658-670; A. van den Hoek, Origen's Role in Formulating Later Christological Language, in Origeniana VII, 39-50; M.J. Edwards, Origen on Christ, Tropology, and Exegesis, in Metaphor, Allegory and the Classical Tradition, ed. G.R. Boys-Stones, Oxford 2003, 235-256; P.F. Beatrice, The Word omoousios from Hellenism to Christianity, Church History 71 (2002) 243-272; confronto con Ario: G.C. Stead, Philosophy in Origen and Arius, in Origeniana VII, 101-108. Testo

  66. Bibliografia su questo passo in Rinaldi, La Bibbia, II, 52; cfr. Edwards, Origen against, 131. Testo

  67. Cfr. M. Baltes, Numenios von Apamea und der Platonische Timaios, in Id., Dianoémata, Stuttgart 1999, 1-32; frr. 35-37 Des Places; M.J. Edwards, Numenius, Pherecydes and the Cave of the Nymphs, Classical Quarterly 40 (1990) 258-262, e R. Lamberton, Homer the Theologian, Berkeley 1986, 54-77. Edwards, Origen against, 127-130 sostiene che l'esegesi di Numenio è per lo più metonimica. Testo

  68. Cfr. Cels. ap. Orig. CC IV 48; 51 = II 314,3-6 Borret. Cf. Rinaldi, Bibbia 2,52-53 nr. 13. Orig. CC VI 29; cfr. 4,38.48-49. Su Celso e la Bibbia: M. Borret, L'Écriture d'après le païen Celse, in Le monde grec ancien et la Bible, éd. C. Mondésert, Paris 1984, 171ff.; G.S. Gasparro, Ispirazione delle Scritture e divinazione pagana, in Origeniana VI, Leuven 1995, 87-302; Simonetti, Origene esegeta, 91-107. Celso come platonico: M. Frede, Celsus philosophus Platonicus, in ANRW, 2,36,7, Berlin 1994, 5183-5213; G.J. Cook, The Interpretation of the New Testament in Graeco-Roman Paganism, Tübingen 2000, 17-102. Testo

  69. Cfr. il mio Apuleius and Christianity: the Philosopher-Novelist in Front of a New Religion, in International Conference on the Ancient Novel, Lisbon, 21st-26th July 2008, in pubbl. Testo

  70. M. Stern, Greek and Latin Authors on Jews and Judaism 2, Jerusalem 1976, 209-210 cita tutti gli autori che ripresero la frase su Platone come Mosè che parla attico. Sulla maggiore antichità di Mosè rispetto a Platone nell'apologetica giudaico-ellenistica e cristiana cfr. I. Ramelli, Diogene Laerzio storico del pensiero antico, in Diogene Laerzio: Vite e dottrine dei più celebri filosofi, Milano 2005, xxxiii-cxxxviii; Id., Mystêrion negli Strômateis di Clemente, in Il volto del mistero, ed. A. Mazzanti, Castel Bolognese 2006, 83-120; Id., Le origini della filosofia: greche o barbare? Dione di Prusa, RFN 99 (2007) 185-214. Testo

  71. Cfr. ad es. R.M. Berchman, The Categories of Being in Middle Platonism: Philo, Clement and Origen of Alexandria, in The School of Moses, ed. J.P. Kenney, Atlanta 1995, 98-140; A. Droge, Homer or Moses? Early Christian Interpretation of the History of Culture, Tübingen 1989. Testo

  72. Ad es. in Strom. V 5 Clemente cerc di dimostrare che il simbolismo pitagorico aveva fondamenti ebraici; in V 14 cerca di sostenere la teoria del plagio: cfr. V 15-17. Testo

  73. Mi limito a indicare N. Pace, Ricerche sulla traduzione di Rufino del De Principiis di Origene, Firenze 1990; M. Simonetti, L'attività letteraria di Rufino negli anni della controversia origeniana, in Aa.Vv., Storia ed esegesi in Rufino di Concordia, Udine 1992, 89-107; Junod, Controverses, 216-220; P. O'Cleirigh, Origen's Consistency, ibid. 225-231: 227; G.S. Gasparro, Origene e la traduzione origeniana in occidente, Rome 1998, 13-26; Clark, Controversy, 159-92; T. Adamik, Saint Jérôme, Apologie contre Rufin I 18, in Origeniana VIII, 1213-1218. Testo

  74. Dechow, Dogma, 255-264; Nautin, Origène, 100-53. Cfr. anche W.A. Bienert, Die älteste Apologie für Origenes?, in Origeniana IV, 123-127; É. Jeauneau, Origène et la tradition alexandrine vus par Photius dans sa Bibliothèque, in Origeniana VIII, 1089-1102. Testo

  75. Ad es. Co. Mat. XIII 1-2; Co. Mat. Ser. 38; Pamph. Apol. 10; Co. Io. VI 11,71 e VI 13,78. Testo

  76. Cfr. I. Ramelli, Gregorio di Nissa sull'anima e la resurrezione, Milan 2007, Saggio Integrativo I. Testo

  77. Cfr. I. Ramelli, Christian Soteriology and Christian Platonism. Origen, Gregory of Nyssa, and the Biblical and Philosophical Basis of the Doctrine of Apokatastasis, VChr 61 (2007) 313-356; Id., 1Cor 15:24-26: Submission of Enemies and Annihilation of Evil and Death. A Case for a New Translation and a History of Interpretation, SMSR 74,2 (2008) 241-258. Sull'insussistenza ontologica del male nel Neoplatonismo cfr. oggi J. Phillips, Order from Disorder. Proclus' Doctrine of Evil and its Roots in Ancient Platonism, Leiden 2007, in part. c. 2, sulla concezione procliana del male come privazione di Bene; i passi su cui Proclo si fonda sono soprattutto Theaet. 176a e Soph. 257B-259B. La massima differenza di Proclo da Plotino in merito è che Proclo non ritiene che la privazione di Bene sia la materia originaria. Testo

  78. Cfr. il mio Bardesane Kata Heimarmenes, in pubbl. Testo

  79. Edwards, Origen against; P. Tzamalikos, Origen: Philosophy of History and Eschatology, Leiden 2007, con mia rec. in RFN 100,2-3 (2008), 453-458. Testo

  80. Cfr. il mio Gregorio di Nissa, Saggio Integrativo II; mia rec. di N Siniossoglou, Plato and Theodoret: The Christian Appropriation of Platonic Philosophy and the Hellenic Intellectual Resistance, Cambridge 2008, JR 2009. Testo

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