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La Trinità in S. Tommaso e in Hegel.
Differenze ontologiche e personalistiche

di Gaspare Mura (Roma, 26-28 maggio 2011)

Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.

(Purgatorio, III, 34-36).

1. Hegel: Dio è Spirito assoluto

Fin dagli Scritti teologici giovanili (1795-96), Hegel ha inteso fare di Dio, la cui essenza è rivelata in Cristo, l'oggetto unico e sommo della filosofia. Al centro del contenuto del pensiero Hegel pone pertanto l'esposizione dell'essenza divina e quindi la chiarificazione concettuale del mistero della Trinità. E sebbene nella nozione mai superata di Menschwerdung,1 Hegel interpreti l'"incarnazione", secondo l'accezione della lingua tedesca, ma fuori dell'ortodossia della fede luterana,2 ovvero come un "divenire uomo" da parte di Dio, va riconosciuto ad Hegel il merito di vedere nel Cristo la piena e definitiva rivelazione storica dell'essenza divina, e di considerare la sua persona il centro di tutta la storia dell'uomo, verso cui tutto converge e da cui tutto ha un nuovo inizio. Anche se poi sorge subito l'interrogativo: se la teologia, come chiarisce la Fides et ratio, si fonda su un duplice principio metodologico, ovvero l'"auditus fidei", con il quale "essa entra in possesso dei contenuti della Rivelazione così come sono stati esplicitati progressivamente nella Sacra Tradizione, nella Sacra Scrittura e nel Magistero vivo della Chiesa, e l'"intellectus fidei" con cui risponde alle esigenze proprie del pensiero" (n. 65), è corretto considerare Hegel un "teologo", o non piuttosto un "filosofo della religione cristiana"?3 «La filosofia, -- scrive Hegel instaurando un indissolubile legame tra filosofia e religione, -- si rende esplicita solo in quanto rende esplicita la religione e, rendendosi esplicita, fa esplicita la religione»;4 e conferma egli stesso la qualifica di filosofia della religione alla propria speculazione: «Questa è la posizione della filosofia della religione rispetto alla filosofia in genere ed alle altre parti della filosofia. Dio è il risultato delle altre parti della filosofia; nella filosofia della religione questa fine è fatta principio, è il nostro particolare oggetto, come idea assolutamente concreta, nei suoi fenomeni infiniti».5

L'essenza della religione, che per Hegel è essenzialmente la religione cristiana, viene svelata dalla filosofia, che Hegel definisce "servizio divino",6 perché con la religione cristiana non si tratta della semplice idea di Dio, ma della realtà di Dio, rivelata come Spirito vivente; si tratta quindi della religione assoluta, "dove l'idea assoluta, Dio come spirito, è oggetto della coscienza nella sua verità e svelatezza".7 Il cristianesimo come religione assoluta ha al suo centro il dogma della Trinità,8 e con esso "il comandamento più alto e assoluto: dovete conoscere Dio",9 perché Dio è la verità. Giustamente Karl Barth ha osservato che alla fine del suo sistema Hegel vuole condurci all'autocomprensione di Dio come è in se stesso.10

Un primo passo verso la chiarificazione dell'essenza divina Hegel lo compie negli Scritti teologici giovanili, nei quali si sofferma in particolare sull'amore come essenza della religione cristiana. Nell'amore diviene manifesto il farsi uno dell'amante e dell'amato, ovvero quel superamento dell'opposizione alla cui chiarificazione Hegel dedicherà una riflessione mai interrotta, che giunge fino al mistero trinitario: «La religione è una con l'amore. L'amato non ci è opposto, è uno con la nostra essenza: in lui vediamo solo noi stessi, e tuttavia non è in noi: miracolo che non siamo in grado di capire»11 . Nel miraclo dell'amore i due sono uno, l'opposizione è tolta, ed Hegel interpreta filosoficamente l'amore cristiano come eliminazione della separazione, come superamento dell'alterità nell'unità, e infine come soppressione della stessa alterità, in funzione di una vita in cui l'altro diviene uno, e il cui modello è la Trinità. Come scrive nel Frammento sistematico del 1800, «Nell'amore rimane ancora il separato, ma non più come separato bensì come unito; ed il vivente sente il vivente».12 Rifacendosi al Vangelo di Giovanni, Hegel scrive che "Dio è l'amore e l'amore è Dio: non c'è altra divinità che l'amore; solo ciò che non è divino, solo ciò che non ama (ciò che pertanto è sottonaturale) deve avere la sua divinità nell'idea, fuori di sé. Chi non può credere che Dio era in Gesù e che egli abita negli uomini, costui disprezza gli uomini".13

Qualora non si sia capaci di elevarsi al supremo messaggio cristiano dell'amore, si fa di Dio solo un Logos, o un Essere assoluto, o un individuo o una concezione astratta, ma si resta incapaci di comprendere Dio come unità nell'amore, unità di Dio e creazione, unità di individuo e comunità. Non a caso Hegel cita la frase evangelica: "'Colà dove due o tre sono uniti nel mio spirito' (eis tò ónoma mù, Mt 10, 41), nella disposizione cioè in cui a me provengono essere e vita eterna ed in cui sono, 'io sono in mezzo a loro' e così il mio spirito».14 È molto importante questo passaggio nel sistema hegeliano, perché è proprio dall'interpretazione del passo evangelico che Hegel fa derivare la negazione della personalità individuale: «Così determinatamente Gesù si dichiara contro la personalità, contro una individualità della sua essenza contrapposta ai suoi discepoli resi perfetti (contro il pensiero di un Dio personale) perché il fondamento di essa sarebbe un'assoluta particolarità del suo essere in opposizione a loro»15 .

Già qui si può notare l'interpretazione "filosofica" del messaggio cristiano, che nasce non dall'esegesi teologica dei testi, ma da una ben precisa precomprensione filosofica. L'amore, essenza del messaggio cristiano, annullerebbe le particolarità individuali, che devono potersi ritrovare in un'unità che insieme le nega e le eleva (aufheben) ad una diversa dimensione divina. Il ritmo dell'amore, così compreso, costituisce per Hegel la prima dimensione comprensiva del mistero trinitario, in cui "la divinità... . esce dalle sue limitazioni, supera la modificazione e restaura il tutto. Dio, il Figlio, lo Spirito Santo".16

Ha origine da qui da una parte la concezione hegeliana della necessità del superamento della frattura della società moderna, individuata nella Rivoluzione francese, e dall'altra la più motivata concezione del superamento della fede religiosa da parte della concettualizzazione filosofica, unica abilitata a manifestarne la verità, la cui essenza è la rivelazione trinitaria: «La vita infinita può essere chiamata spirito, in opposizione alla pluralità astratta, poiché lo spirito è l'unità vivente del molteplice in opposizione al molteplice stesso inteso come forma dello spirito, non in opposizione al molteplice come mera pluralità separata da lui, morta; in tal caso infatti lo spirito sarebbe l'unità semplice che si chiama legge, ed è un semplice pensato, un qualcosa di non vivente»17 .

Nello scritto jenense sulla Differenza fra il sistema di Fichte e di Schelling (1801) , Hegel precisa ulteriormente che questa vita divina e vivente è una vita in divenire; poiché Dio, nella Menschwerdung, è divenuto uomo cessando di essere Dio, alla filosofia della religione spetta il compito «di comprendere l'essere divenuto del mondo intellettuale e reale come un divenire, il suo essere (in quanto prodotto) come un produrre», derivante dal fatto "che l'Assoluto si pone come un'oggettiva totalità spazio-temporale»18 . L'azione dinamica dello Spirito nella vita dell'uomo e nella storia, riconosciuta sia dalla teologia cattolica che luterana quale frutto della redenzione, non è più intesa solo come presenza che scaturisce dalla fonte dell'amore trinitario, ma come azione totalmente immanente dello Spirito nella storia.

Alla coscienza individuale appartiene allora la propria negazione,19 affinché lo Spirito viva, perché solo nella dimensione di questa più alta unità come comunità, e non astrattamente intesa come in Fichte, la quale fonda lo "stato di polizia", diviene possibile conseguire quella unità in cui «. . l'assoluto stesso è pertanto l'identità dell'identità e della non identità». La Trinità immanente rende così ragione del superamento dell'identità personale, mediante l'"eterna incarnazione di Dio", nell'" assoluto che diventa oggettivamente se stesso nella compiuta totalità".20

È in questo contesto teoretico che Hegel imposta la questione del male, inteso non come "privazione di essere " (Agostino), ma come un essere per sé di fronte a Dio, come coscienza e personalità individuale che si sente autonoma rispetto allo Spirito unificante di Dio. Il Figlio, eterno mediatore tra il mondo e Dio, con la sua incarnazione ha per Hegel il compito di riunificare il mondo con Dio: «tra il Figlio ritornato al Padre, che ora [è] interamente soltanto Uno, e l'essere del Figlio in se stesso o la gloria dell'universo».21 Il Figlio compie il ritorno al Padre dalla caduta, ovvero dalla coscienza e personalità individuale, e questa riconciliazione è «lo Spirito il quale procede da Dio, e nel quale essa [la terra è una con lui Dio] e con il Figlio»22 .

Questo è il significato che Hegel attribuisce alla religione come conciliazione e redenzione dalla dissoluzione: "è lo spirito che produce l'identità di quella possibilità e di questa realtà come unità del soggettivo con il Dio divenuto uomo, così il mondo è in sé ricostruito, redento»23 .

Sempre di più, fino alla Fenomenologia dello spirito ed alle Lezioni sulla filosofia della storia, il cristianesimo appare ad Hegel come la riconciliazione dall'"infinito dolore", come coscienza della "scissione" ed esperienza della "morte di Dio", attraverso il "venerdì santo speculativo",24 alla riunificazione nella totalità dello Spirito.

Nel primo Sistema di eticità jenense (1803), Hegel scrive testualmente: «Tale unità è lo spirito assoluto: non si può chiedere come l'infinito diventi finito o esca fuori di sé, né che cosa siano tali espressioni prive di concetto. Infatti l'uguale a se stesso conosce l'infinito [il molteplice] come un uguale, e se stesso come un uguale a se stesso, come [ora in senso pieno] infinito, ovvero come ciò che giunge a sé dall'altro, come solo essente che [come] l'altro giunga a sé stesso, e quest'altro è se stesso come il se stesso è l'altro».25 Ancora una volta fa da guida alla speculazione hegeliana lo schema trinitario.

Nel saggio Sui diversi modi di trattare scientificamente il diritto naturale (1802-1803) , Hegel concepisce la vera libertà non come affermazione della personalità individuale, ma come sacrificio dell'individualità per l'unificazione sociale. La morte in guerra attesta per Hegel il primato dello stato sull'individuo. La stessa nozione dell'amore come negazione dell'individualità per una forma più alta di unità26 testimonia come anche l'eticità sia informata dallo spirito trinitario, fino all'edificazione dello stato.

Esso glorifica l'assoluto nella forma della triplicità, Dio come il principio paterno, il pensiero assoluto; quindi la sua realtà, Dio nella sua creazione, nel Figlio eterno, il quale però, come realtà divina, ha due lati, quello della sua autentica divinità, secondo cui il Figlio di Dio è Dio, l'altro, il lato della sua particolarità come mondo; infine l'eterna identità di questo mondo, dell'oggettivo, con il pensiero eterno, con lo Spirito Santo.27

In altri termini, come scriverà nella Filosofia del diritto (1831), l'Assoluto è unità di pensiero e realtà (Wirklichkeit), e quindi autentica realtà (Realität), che assume nell'uno la logica, la filosofia della natura, l'etica, il diritto. Ma tutto oramai è manifesto nell'idea, che porta a chiarezza concettuale il contenuto della fede: «Il chiaro elemento è l'universale, il concetto, il quale (è) tanto profondo che esteso nella sua rivelazione che non si maschera».28 Le «più alte idee della speculazione», diversamente dalla filosofia della natura e dell'arte, si manifestano nella filosofia della religione «nella forma di idee». E nel terzo Sistema (1805/6) Hegel scriverà: «La religione assoluta è il sapere che Dio è la profondità dello spirito certo di se stesso. Per questo esso è il Sé di tutti. È l'essenza, il puro pensiero; ma questa astrazione alienata è il reale Sé. Esso è un uomo, che ha una comune esistenza temporale e spaziale. E questo singolo lo sono tutti i singoli. La natura divina non è altra da quella umana. Tutte le altre religioni sono incomplete».29

Nella Fenomenologia dello spirito (1807), in cui compare il celebre assioma: "il vero è l'intero", si compie il passaggio completo dalla conoscenza sensibile al concetto, in cui l'uomo prende coscienza di essere spirito superando la propria singolarità individuale: «Io mi distinguo da me stesso; e in quest'atto è immediatamente per me che questo distinto non è distinto ... . Così per noi è già presente il concetto dello spirito. Quel che per la coscienza si viene istituendo, è l'esperienza di ciò che lo spirito è, questa sostanza assoluta la quale, nella perfetta libertà e indipendenza della propria opposizione, ossia di autocoscienze diverse per sé essenti, costituisce l'unità loro: Io che è Noi, e Noi che è Io». Dallo spirito particolare scaturisce necessariamente lo spirito universale, nel quale "è rivelata l'essenza assoluta", la quale è "il Dio presente immediatamente".30 È fondamentalmente su questa dialettica che dalla rappresentazione sensibile giunge all'Idea, e dalla coscienza di essere spirito particolare scaturisce in modo essenziale lo spirito universale, che Hegel istituisce la comprensione dell'essenza della Trinità. L'essenza, intesa come essere supremo, ens absolutum, significa, come è detto nella Logica, «unità semplice, priva di determinazioni»,31 perché oramai l'essere sensibile ha superato tutte le determinazioni individuali, e può ritrovarsi pertanto come spirito, e in particolare come "essenza eterna". È in questo orizzonte precomprensivo dell'"essenza eterna" che Hegel colloca la sua oramai definitiva concezione dialettica della Trinità, nella quale il momento del "negativo" gioca un ruolo fondamentale: «Ma l'essenza semplice, essendo l'astrazione, è nel fatto il negativo in se stesso, e precisamente la negatività del pensare o la negatività com'essa è in sé nell'essenza: cioè l'assoluta differenza da sé, ovverosia il suo puro divenire altro".32 Hegel giunge a scrivere allora che "l'essenza eterna si crea un Altro", e che " in questo esser-altro essa è altrettanto immediatamente ritornata in sé; perché la differenza è la differenza in sé, cioè è immediatamente distinta solo da se stessa [non sta come relativo «uno accanto all'altro» in un più alto terzo, ma in quella radicale opposizione, da cui soltanto si consegue la vera «reduplicata» identità], e quindi è l'unità ritornata in se stessa".33 Il movimento del Padre, del Figlio e dello Spirito sono ricondotti da Hegel al movimento dialettico dell'essenza eterna, in cui " il «Padre» sa se stesso nel «Figlio», come il Figlio, il «riflesso», vede la propria essenza nel Padre]; è il verbo che, pronunziato, lascia alienato e svuotato chi lo pronuncia [poiché esso si dichiara interamente], ma che è avvertito altrettanto immediatamente [lo riempie internamente]; e solo questo avvertire se stesso [del dicente ma anche del detto] è l'esserci del verbo"34 .

Apparentemente, questa interpretazione della Trinità, che trova la sua analogia antropologica nell'atto dell'intelligere, potrebbe essere considerata "agostiniana", per le modalità con cui anche Agostino vede nei momenti psicologici della "mens-notitia-amor" l'"imago Trinitatis in homine". Ma Tommaso, come vedremo, forse prevedendone la potenziale derivazione immanentistica, nell'opuscolo dal titolo significativo De differentia verbi divini et humani, si preoccupa di chiarire come l'interpretazione del mistero trinitario possa avvenire adeguatamente solo nel contesto di una metafisica capace di riconoscere la "differenza ontologica" tra la processione del Verbo divino e quella del verbo umano. Scrive Tommaso: "Verbum nostrum non est eiusdem naturae nobiscum, sed verbum divinurn est eiusdem naturae cum Deo, et subsistens in natura divina";35 e anticipando un tema caro a Gadamer, il quale scriveva che un solo verbo e una sola parola sono proprie dell'intelletto divino, mentre a noi occorrono molti verbi e molte parole, Tommaso spiega: "quia nos non possumus omnia quae sunt in anima nostra uno verbo exprimere, et ideo oportet quod sint plura verba imperfecta, per quae divisim exprimamus omnia quae in scientia nostra sunt. In Deo autem non est sic".36

Il cammino di Hegel procede invece verso una sempre più piena assimilazione del Verbo divino, accogliendo in esso il momento negativo del conoscere umano non ancora giunto all'"intero che è la verità". Nella Prefazione alla Fenomenologia Hegel scrive: " La vita di Dio e il conoscere divino potranno bensì venire espressi come gioco dell'amore con se stesso; questa idea degrada fino all'edificazione e addirittura all'insipienza quando mancano la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo".37 Ne consegue che il ritmo dell'amore trinitario da una parte manifesta il venire allo Spirito assoluto di tutta la realtà, e dall'altra che questo "divenire" non può realizzarsi senza assumere il negativo come "gioco dell'amore con se stesso". Ed è sintomatico che Hegel non attribuisca il "negativo" al peccato, come nella tradizione cristiana, ma il negativo rappresenta la necessaria soppressione dell'alterità che si oppone alla riunificazione di tutta la realtà nello Spirito . Il Figlio diviene allora lo spirito alienato- creazione, caduta, redenzione- e lo Spirito diviene l'"autocoscienza universale",38 ovvero lo spirito riconciliato, in cui il "sé negativo" dell'individualità personale viene annullato nella comunità: «Lo spirito è dunque posto nel terzo elemento, nell'autocoscienza universale; esso è la sua comunità».39 L'Assoluto come Spirito diventa così "risultato" del "semplice divenire", che non può "essere pensato come Dio trascendente ma... come razionalità fondamentalmente immanente dell'effettuale in dialettica contemporaneità con le sue manifestazioni quali lo spirito del tempo e lo spirito del popolo"40 .

Nella Scienza della logica (1812) appare con evidenza l'identificazione hegeliana tra la Trinità economica, e la Trinità immanente: «Dìo -- scrive Hegel- come Dio vivente, e più ancora come spirito assoluto, vien conosciuto soltanto nel suo operare. Già da gran tempo venne insegnato all'uomo a conoscerlo nelle sue opere».41 Alcuni studiosi hanno notato a questo proposito l'influenza della dottrrina della sostanza di Spinoza. Ciò che è indubitabile è che per Hegel, "dicendo che la sostanza deve essere l'essere-tolto del finito si intende che essa è la negazione della negazione, poiché soltanto la negazione è assegnata al finito. In quanto negazione della negazione la sostanza è pertanto assoluta affermazione e altrettanto immediatamente libertà e autodeterminazione".42

L'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817) compie un ulteriore passo avanti per ridimensionare la personalità del Padre e del Figlio a favore dello Spirito; il Padre e il Figlio, «in quanto manifestazioni determinate, rovinano per sgomberare il campo allo Spirito essente in sé e per sé".43 E la Filosofia della storia (Berlino, 1818 ss.) ribadisce che «... il padre e il figlio, e questa distinzione nella sua unità come lo spirito. ... L'altro, concepito nell'idea pura, è il figlio di Dio; ma questo altro, nella sua singolarizzazione, è il mondo, la natura e lo spirito finito: lo spirito finito è con ciò posto esso stesso come un momento di Dio. Così l'uomo stesso è contenuto nel concetto di Dio, e questo suo essere contenuto può esprimersi dicendo che nella religione cristiana è posta l'unità dell'uomo e di Dio».44

Infine nelle Lezioni sulla filosofia della religione, tenute nel 1821, 1824, 1827 e 1831, Hegel riassume e porta a compimento sistematico tutte le tematiche relative alla religione ed alla concezione della Trinità. Innanzi tutto, egli ribadisce la sua definizione della religione: «La religione è la coscienza del vero in sé e per sé il punto di vista della coscienza del vero»;45 di conseguenza, " se esiste un oggetto della filosofia della religione, esso è l'essere dell'Assoluto in quanto Assoluto"46 . Ed intrinseca alla comprensione dell'Assoluto è la dialettica della negazione del finito. Questa dialettica dell'annullamento ha importanti conseguenze sia per la concezione hegeliana delle Persone della Trinità che per la nozione di "persona" umana. Nella filosofia della religione, inoltre, si realizza «la riconciliazione dell'animo con la conoscenza, del sentimento religioso puro con l'intelligenza»47 . Il culto rappresenta nella religione questa conciliazione, nell'amore, del sentimento soggettivo e del sapere oggettivo, che culminerà poi nella maturità del concetto; e per questo la fede rappresenta, nella religione, «un particolare modo della verità», per cui ad esempio, «l'idea infinita dell'incarnazione di Dio, punto centrale della speculazione, penetra nell'animo in modo così potente e irresistibile che non è oscurata dalla riflessione e si è innalzata al di sopra del processo della riflessione»48 . Anche se poi è necessario «che l'uomo vada oltre», verso il concetto: «qualche cosa rimane fissato in me per se stesso. ., cioè determinato in sé per sé, perciò in un intero pensato. Ma questo è il puro concetto".49 A questo punto la religione cede il passo alla filosofia speculativa, in cui Dio, concepito come spirito, viene perciò concepito come uno e trino: «Dio viene così concepito in quanto si fa oggetto per se stesso nel Figlio e permane in questo oggetto, inoltre, in questa distinzione di sé da se stesso, supera in pari tempo la distinzione e in Lui ama se tesso, è cioè identico con sé; si ricongiunge con sé in questo amore di sé. Solo così Dio è spirito. Noi dobbiamo dunque concepirlo proprio nella determinazione espressa dalla Chiesa, in modo del tutto infantile, col nome di Padre e di Figlio; rappresentazione che non è ancora concetto».50 La formulazione teologica della Chiesa, ovvero Dio come Padre, Figlio e Spirito, è per Hegel una formulazione infantile, che cela la verità del concetto, che verrà espresso solo dalla filosofia. Ma se Dio è spirito, «Dio è spirito solo in quanto è nella sua comunità»;51 tuttavia, «in tutti gli sviluppi Dio non esce dalla sua unità con sé... Dio rimane l'unico, l'unica vera realtà, il principio unico che rimane nel suo passaggio attraverso tutte le particolarità»52 . Ma cosa significa questo "rimanere" oltre tutte le particolarità? Piuttosto che di panteismo si dovrebbe forse parlare, a proposito di Hegel, di panenteismo, ricordando peraltro la frase di Eckhart citata dallo stesso Hegel: «l'occhio con il quale Dio mi vede è l'occhio con il quale io lo vedo».53 Nell'incarnazione di Cristo, così come viene predicata dalla Chiesa e vissuta nel culto, nella sua kenosi divina, nella sua «assoluta riconciliazione»54 con il Padre, e nel suo ritrovarsi nello Spirito come comunità, la verità della Trinità assurge solo nella filosofia della religione alla dignità di concetto e di pensiero.

Alla luce della dottrina trinitaria, che è la religione della verità, per Hegel tutte le altre religioni sono inferiori al cristianesimo: «In ogni religione, ebraica o mussulmana, dove Dio è concepito astrattamente come l'uno, questa illibertà dell'uomo è il fondamento reale, il suo rapporto con Dio è un duro servizio. Nel cristianesimo si trova la vera liberazione nella [rivelazione della] Trinità»55 . Una libertà fondata non sulla particolarità e sull'individualità, ma sull'unità, poiché "Dio stesso è uno in tutto"56 . La dialettica dell'annullamento della "particolarità" e della "finitezza", conduce alla vera libertà nell'universo del Dio uno e trino. L'essenza del Dio uno e trino consiste per Hegel nel fondare «la nostra umana particolarità» e «al tempo stesso, a superare eternamente tale contraddizione»57 .

Se Dio è amore, allora diviene comprensibile la verità della vita divina che è «la coscienza dell'unità della natura divina e umana»58: «In un uomo determinato che è conosciuto al tempo stesso come idea divina, non come maestro, non solamente come essenza superiore, bensì come la più alta idea, come il Figlio di Dio»59 . È in questo uomo determinato che «l'esistenza temporale, piena dell'idea divina, viene intuita nel presente solo nella morte di Cristo. La più alta alienazione dell'idea divina: 'Dio è morto, Dio stesso è morto'»60 . Hegel scrive allora che con la morte di Cristo «Non si tratta dello spogliarsi della natura umana, di spogliarsene nuovamente, ma piuttosto la natura umana è confermata, appunto nella morte, nel supremo amore; ovvero lo spirito è solo spirito in quanto è negazione della negazione, e dunque contiene in sé il negativo. Ma Dio, riconciliato come amore, è questa elevazione della natura umana nel cielo, ove il Figlio di Dio siede alla destra del Padre, ove l'identità della natura divina e umana e l'onore di questa, appare nel suo più alto grado dinanzi agli occhi spirituali»61 .

Resta incerto, per i teologi, se nel Cristo di Hegel permanga una dimensione di trascendenza teologica, o non piuttosto esso rappresenti il momento storico del "divenimento uomo" (Menschwerdung) di Dio, che morendo come idea trascendente nella morte di Cristo, si ritrova come Spirito nella comunità e nella storia degli uomini. E non è un caso che numerosi teologi, per suggestione di Hegel, e della sua accentuata identificazione tra "Trinità economica" e "Trinità immanente", abbiano dedicato importanti studi al rapporto tra la Trinità e la storia. Ciò che è certo è il ruolo centrale della morte per il "regno del Figlio", per il " passaggio dal rappresentare della comunità alla comunità stessa»,62 per l'avvento del «regno dello spirito», inteso quale «sfera dell'amore infinito», perché «lo spirito è in questa forma della realtà, in certo senso, la terza persona»63 .

Ora, precisa Hegel, «la testimonianza dello spirito è il pensiero»64 e «la filosofia è in questo senso teologia. Essa rappresenta la riconciliazione di Dio con sé stesso e con la natura [della creazione], dimodoché la natura, l'alterità, è divina in sé, e lo spirito finito in parte è in sé l'elevarsi della riconciliazione [esso è già sempre quodam modo omnia]; in parte realizza nella storia del mondo questa riconciliazione [dove invece di 'in parte in parte' si dovrebbe leggere: 'innanzitutto già e poi espressamente nel compimento'] . Questa riconciliazione è allora la pace di Dio che non è superiore ad ogni ragione (Fil 4, 7); bensì è conosciuta, pensata e riconosciuta solo per mezzo della ragione come veramente divina»65 .

Fin dalla "Rivista di teologia speculativa" (1836-38), fondata da Bruno Bauer, numerosi sono stati i tentativi di considerare Hegel come teologo, da Göschel, Gabler, Weisse fino ai tentativi di recuperare alcune intuizioni teologiche di Hegel da parte di teologi contemporanei come Pannenberg. Ma già Bruno Bauer si rese conto dell'impossibilità dell'impresa e con David Strauss, autore della celebre Vita di Gesù (1835), in cui riteneva i Vangeli racconti mitici, denunciò l'impossibilità di fondare una teologia sul pensiero hegeliano, divenendone uno dei principali avversari. "Come mostra Barth in un suo celebre studio su Hegel, il pensiero hegeliano può essere interpretato sia come 'teologizzazione della filosofia', sia come 'filosoficizzazione della teologia'";66 e per questo si può considerare il pensiero hegeliano "come un abile innesto delle verità del cristianesimo in una spettacolare cosmovisione filosofica che ritiene di poter trarre dal cristianesimo stesso un argomento a favore della propria verità, anziché come un ingegnoso sistema teologico che, seguendo l'economia della salvezza, ordina e spiega le verità fondamentali della Rivelazione cristiana".67 Hegel di fatto elimina ogni elemento soprannaturale dalla predicazione di Cristo, assorbendo la teologia nella filosofia grazie alla identificazione della realtà con la storia, al cui centro stanno gli eventi della Menschwerdung e dell'Heilige Freitag der Spekulative Vernunft, e poi con l'identificazione della storia con la filosofia. E tuttavia "l'eccessiva teologizzazione della filosofia non ha trovato -- lo ammette con rincrescimento anche Barth -- buona accoglienza né nei circoli filosofici né in quelli teologici".68

"Originariamente simbolo della forza della totalità della vita che appiana le opposizioni, la Trinità è divenuta per Hegel l'immagine di quella identità dell'identità e della non-identità, la cui conoscenza rende tutto comprensibile, il cui richiamo 'riconcilia' il mondo".69 Scrive testualmente Hegel: " Dio non è un concetto, ma il concetto; questa è l'assoluta realtà e l'assoluta idealità. Dio è tutta la realtà, dunque anche l'essere, cioè a dire nel concetto è contenuto l'essere ".70 Dio, in altri termini, è per Hegel la totalità del reale, unità di finito ed infinito, dinamico realizzarsi storico del concetto assoluto; e ciò significa che poiché il Dio della rivelazione cristiana è uno e trino, il Dio-concetto " è di essere idea solo attraverso la sua realizzazione, la sua totalità".71 Per questo, di fronte all'affermazione di Hegel: "Oltre al Sé sensibilmente intuito o rappresentato, quello che indica il puro soggetto, il vuoto uno aconcettuale, è prevalentemente il nome come nome. Onde può tornare utile evitare, ad esempio, il nome Dio, perché questa parola non è immediatamente e in pari tempo concetto, ma è il nome propriamente detto, è la rigida quiete di quel soggetto che sta a fondamento»,72 ci si può legittimamente domandare se, quando pronuncia il nome "Dio", Hegel si riferisca realmente al Dio vivente della rivelazione biblica e cristiana o non piuttosto all'aristotelica noesis-noeseos. "Non è un caso allora se Hegel... . . quando parla dello Spirito Assoluto (Der absolute Geist) , non sa finire meglio la sua Enciclopedia che riportando -- nell'originale greco- questo celeberrimo brano dove lo Stagirita celebra il nous come l'attuazione ultima della sostanza come atto: ἡ νοῦ ἐνέργεια ζωή, ἐκεῖνος δὲ ἡ ἐνέργεια Metaf. XII.7 72b27".73 Il Dio aristotelico può essere definito νόησις νοήσεως perché non è il parmenideo Essere che è, quale verrà ripreso nolla nozione tommasiana di Essere sussistente, ma "è la sostanza semplice, atto per essenza, perfettamente a sé sufficiente e completamente in sé autotrasparente: Egli in quanto atto per essenza possiede in sé, anzi è, la forma più alta di conoscere: e il conoscere, a sua volta, è la forma più perfetta di essere. Ciò significa che per il Filosofo... . l'essere in quanto tale non è, non sta, ma declina negli enti, questi nelle sostanze e queste nella Sostanza Semplice. Perciò l'atto per essenza nell'assoluto di Aristotele, non è l'atto di essere di Parmenide, ma l'atto del pensiero che pensa se stesso nell'identità di soggetto-oggetto. atto".74 Quando Hegel parla di Dio come Spirito Assoluto (Der absolute Geist), fino a concludere l'Enciclopedia con la citazione letterale del testo in cui "lo Stagirita celebra il nous, come l'atto della vita, e la vita come l'atto del pensiero",75 di fatto viene a ricadere nella linea interpretativa di Averroè e di Sigieri di Bramante,76 contestata radicalmente da Tommaso il quale, recuperando la nozione dell'Essere parmenideo, scrive che "Deus non est in genere substantiae, sed est supra omnem substantiam".77 Per queste ragioni, benché Hegel respinga la nozione spinoziana della sostanza per il suo rapporto "modale" con gli accidenti, "e cerca di superarlo nella relazione soggetto-oggetto; tuttavia, facendo del finito un momento della verità infinita, ricade egli stesso in quello"78 . Per Spinoza, infatti, la Sostanza è l'"Ens absolute indeterminatum et perfectum... . quod Ens ego Deum nuncupabo", chiarendo che "Et quandoquidem Dei natura in certo entis genere non consistit; sed in Ente, quod absolute indeterminatum est, ejus etiam natura exigit id omne, quod to esse perfecte exprimit"79 . Ora è proprio questa nuova concezione spinoziana della sostanza che Hegel pone al centro della sua Scienza della logica, nel senso che "lo sviluppo di Hegel del pensiero di Spinoza avviene soprattutto nel tentativo di assorbire dialetticamente l'ente nel concetto (Begriff) "80 . Hegel potrebbe quindi condividere fino in fondo la XIV Proposizione dell'Etica di Spinoza, secondo cui "Quicquid est, in Deo est, et nihil sine Deo esse, neque concipi potest"81 .

Si apre qui un punto di capitale importanza che riguarda proprio la fondamentale differenza tra la dottrina della Trinità in Hegel e in Tommaso. E questo a motivo della diversa ontologia metafisica che fa da sfondo all'interpretazione della Trinità in Hegel e in Tommaso. Per Hegel, come per Aristotele, "l'ente è interpretato come sostanza e l'atto della sostanza è la forma (μορφή), cosicché la sostanza di cui tutta la realtà è atto, e cioè è atto per essenza, è l'assoluto";82 per Tommaso invece, che distingue l'actus essendi come atto fondante dell'ens dalla sostanza, "l'esse è l'atto e la sostanza, anche con la sua forma... . è la potenza" ("ergo substantia quantumcumque simplex... est potentia esendi" -- In VIII Physic., lect 21) "83 . Per cui mentre per Aristotele, seguito in ciò da Hegel, l'emergenza dell'atto sulla potenza "è contenuta (limitata) nella forma, per Tommaso la prima istanza della menzionata emergenza è la composizione-distinzione di sostanza (nel seno di essentia e anche forma) come potenza ed esse come atto, la quale emergenza esprime secondo Tommaso il senso ultimo e fondamentale della 'differenza ontologica' fra la sostanza, l'ens e l'esse, ed in ultima istanza fra la creatura e il creatore"84 .

Per questo si può concordare con Ilijn: : «Hegel imparava dal Nuovo Testamento, ma insegnava qualcosa di assolutamente eterogeneo»;85 in modo analogo scrive Henrici: «Nella contraddizione tra l'imparare e l'insegnare di Hegel si illumina ancora una volta tutta la tragicità del suo pensiero... Hegel poteva in buona fede credere alla testimonianza dello Spirito nel suo spirito»";86 ma proprio per questa identificazione "mistica" del proprio spirito con lo Spirito, "la teologia rigorosamente luterana respingerà Hegel come liberale estremo (razionalistico proprio ancora una volta nella sua «mistica») "87 .

Sono numerosi gli studi che hanno fatto notare l'influsso su Hegel della mistica renana, e in particolare di Meister Ekhart, il quale scriveva nel suo Commento al vengelo di Giovanni, che, e che essendo Dio il tutto, Dio e l'anima sono un solo essere "creatura tamquam purum nihil". «La coscienza giudaico-cristiana della trascendenza di Dio -- gravida di conseguenze per l'intero e costante pensiero di Hegel -- è trasformata nella coscienza panenteistica, non acosmistico-panteistica di Dio, uomo e mondo» (Steinbüchel). Da una teologia della rivelazione scaturisce così una «logica della rivelazione»"88 . Sembra pertanto coretta l'interpretazione del Grégoire, secondo cui in Hegel la Trinità sia di fatto "una essenza unica che pone la sua esistenza empirica multipla, ma organicamente strutturata".89 Probabilmente la sinistra hegeliana ha letto con maggiore consequenzialità Hegel di quanto abbia fatto la destra teologica: " la Trinità chiarisce l'idea assoluta che pone eternamente il mondo e si unifica mediante gli spiriti".90 Il teologo Möller, a differenza di quanti, forse per scarsa formazione metafisica, sembrano voler estrarre dalla dottrina hegeliana della Trinità elementi positivi per l'ortodossia della fede e per la spiritualità cristiana, scrive: «Nella hegeliana dottrina della Trinità, in verità, non viene presentato affatto il vero e proprio mistero della Trinità, bensì viene collegata e chiarita la dottrina dell'unità di Dio, dell'incarnazione e dell'invio dello spirito come dottrina cristiana della Trinità. Da ciò si desume sin d'ora la conseguenza che l'autentica dottrina della Trinità nella filosofia di Hegel non ha alcun posto, bensì, nel senso di Hegel, deve restare in opposizione alla sua concezione soltanto un'incompleta rappresentazione dell'intelletto»91 . Ed a motivo di questo panenteismo hegeliano, si deve concludere che per Hegel la Trinità immanente, ovvero il mistero intimo della Trinità, "ha solo un ruolo subordinato".92 La dialettica dell'incarnazione e redenzione del Figlio e l'invio dello Spirito, ovvero la Trinità economica, serve unicamente a chiarire "il vero senso, il senso dialettico del Logos hegeliano".93

2. Tommaso: Dio è l'Essere sussistente

Tommaso (1225-1274), che eredita la dottrina sulla Trinità dei Padri, in particolare da Agostino e dai Padri greci, di cui fece curare la traduzione latina, ha avuto il merito di perfezionare gli altri dottori scolastici, inserendo la comprensione del mistero trinitario in una più ampia riflessione, che riguarda sia l'essere di Dio in prospettiva metafisica, sia il fondamento del linguaggio filosofico e teologico su Dio, anche per quanto concerne il rapporto ragione e fede e l'interpretazione della Rivelazione.

Tommaso vuole esortare prima di tutto il filosofo ed il teologo all'umiltà: "Noi possiamo denominare Dio a partire dalle creature, ma non in modo tale che il nome che lo significa (nomen significans ipsum) esprima la sua essenza così com'essa è (exprimat divinam essentiam secundum quod est) "94 . Di conseguenza, dobbiamo essere consapevoli che nessun concetto e nessun nome può esprimere adeguatamente quello che Dio è nella sua essenza (quod est Deus perfecte).

Per Tommaso, che oltre alla metafisica dell'essere segue la teologia apofatica dello Pseudo-Dionigi ed ha una concezione della conoscenza mistica radicalmente diversa da quella di Eckhart e di Hegel, "di Dio non possiamo sapere quello che è, ma quello che non è; non siamo in grado di riflettere su come Dio sia, ma piuttosto su come non sia"95 . Per questo riprendendo la tesi di Agostino nel De verbis Domini (38, 2, 3), Tommaso scrive che Dio, nella sua intima essenza, "non può essere alla portata del nostro intelletto, ma il modo più perfetto di conoscerlo nello stato presente sta nel conoscere che egli è superiore a tutto ciò che il nostro intelletto è capace di concepire... "96 .

Ma allora, che ne è della Rivelazione? Che significano le parole del Cristo: "Chi ha visto me ha visto il Padre"? (Gv., 14, 9) e "Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Gv., 14, 11)? Che rapporto c'è tra la Trinità economica, rivelata dalla persona del Cristo, e la Trinità immanente? La Rivelazione, in altri termini, non dev'essere forse considerata come la piena e completa manifestazione della natura intima di Dio e quindi della sua essenza? Gran parte della teologia contemporanea si è distanziata da Tommaso, perché ha ritenuto che la metafisica tomista riguardi soprattutto la conoscenza naturale di Dio, mettendo in secondo piano la rivelazione storica di Cristo come piena e completa rivelazione della natura intima di Dio come Trinità. Tommaso, per questo, avrebbe poco approfondito, a parte la Secunda e Tertia Pars della Summa, ciò che Dio comunica di sé con il dono soprannaturale della grazia, e quindi tutto il dinamismo dello Spirito Santo e il suo reale agire nella vita personale dell'uomo e nella vita della Chiesa e nella storia. Ora, la peculiarità di Tommaso non sta nel negare il grande valore della Trinità economica, né di misconoscere il carattere unico della Rivelazione, ma nel saper inserirne la comprensione non in opposizione (come avviene in Hegel), ma in armonia con la nozione metafisica dell'essere e quindi di Dio. Si può anzi dire che il profondo rinnovamento della nozione aristotelica dell'essere operato da Tommaso -- ovvero il concetto intensivo di essere come actus essendi -- è dovuto proprio all'ascolto della verità della Rivelazione, così come dalla Rivelazione della Trinità, le cui persone sono definite da Tommaso "relationes subsistentes", Tommaso ha saputo rinnovare la nozione di "persona", che nella formula classica di Boezio veniva definita come "rationalis naturae individua substantia", senza tuttavia cadere nell'eccesso di dissolverne la sussistenza in una pura relazione di reciprocità, come avviene per le persone della Trinità che sono tali perché, a differenza di quelle umane, sono "sussistenti".

Ma ciò è possibile sulla base del rinnovamento della nozione di essere. Tommaso concepisce l'essere come actualitas omnium actuum, e quindi come la perfezione di tutte le perfezioni, perfectio omnium perfectionum. Di conseguenza, a differenza di Aristotele, Tommaso concepisce l'essere di Dio come Essere sussistente, esse subsistens, perché mentre in tutte le creature essenza ed esistenza sono distinte, in Dio coincidono e si identificano. Recuperando in tal modo la cosiddetta "metafisica dell'Esodo" (Es. 14, 20), Tommaso concepisce Dio come l'essere che è, la cui essenza sta nell'essere: " Dio è luce in cui non ci sono tenebre" (1 Gv., 1, 5). Tommaso esclude quindi, a differenza di Hegel, che nell'essere di Dio come amore ci siano l'ombra del non essere, del negativo e del nulla. Cristo è il rivelatore del nome dell'Essere di Dio come amore, ossia dell'amore fontale, che per sua stessa natura costituisce una comunità di persone in un'unione perfetta d'amore. Anche dal punto di vista metafisico, dice Tommaso, se l'Essere di Dio è amore, non risulta più assurdo, per la ragione, che nell'essere agapico di Dio sussista un triplice amore personale: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (S. Th. I, 20, 2). "Persona e rapporto personale dicono apertura, dedizione, comunicazione, amore. Ma mentre in humanis il rapporto personale ha luogo tra due persone già preesistenti ed è essenzialmente un rapporto binario, cioè a due, in divinis la situazione cambia radicalmente: le persone stesse emergono dalla struttura dell'amore, che pure essendo fontalmente unico, di fatto viene a realizzarsi personalmente in tre soggetti distinti. Nella Trinità non ci sono prima le persone e poi la struttura agapica e neppure prima la struttura agapica e poi le persone. La struttura triadica dell'amore è eterna e simultanea, perché da sempre Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo".97 È da notare a questo proposito la grande differenza, insieme metafisica e teologica, tra la nozione tommasiana delle persone divine come "relazioni sussistenti" e quella hegeliana di "persone relative", in cui l'accento viene posto sulla loro reciproca relatività e non sussistenza: " La religione cristiana, scrive Hegel, è la religione rivelata: Dio è il trino, quindi il manifesto; le triadi e l'uno (inconoscibile) non sono distinti; ma appunto queste tre persone in Dio sono esse stesse Dio e Uno, vale a dire sono per l'altro, in sé relative"98 .

È questo il contesto insieme ontologico e teologico in cui Tommaso attribuisce alle persone divine la qualifica di "relazioni sussistenti". E da questa comprensione insieme metafisica e teologica dell'unitrinità di Dio, Tommaso fa derivare la nuova nozione di persona come ciò che vi è di più perfetto nella natura: «Persona significat id quod est perfectissimum in tota natura" (S. Th. I, q. 28, 3). E poiché le dimensione essenziali della persona sono la sussistenza e la spiritualità, Tommaso definisce la persona come una sussistenza personale: «omne subsistens in natura rationali vel intellectuali est persona» (C. Gent. IV, c. 35). Ecco allora la novità introdotta da Tommaso nel concetto di persona: "Tommaso fa valere la sussistenza anche per quell'accidente di per sé così poco consistente ed effimero che è la relazione. E così può affermare che può essere persona anche una sussistenza relazionale od una relazione sussistente"99 . E tuttavia precisa, a differenza di Hegel, che la relazionalità sussistente e personale appartiene solo alla natura dell'essere divino: "Questo nelle creature non accade mai: tutte le relazioni sono dei fragilissimi accidenti. Accade soltanto nella Trinità: la Paternità, la Filiazione, la Spirazione passiva sono tre relazioni sussistenti e quindi sono tre persone".100 Ed è proprio in questa differenza tra le persone della Trinità intese come relazioni-sussistenti e le relazioni che legano tra loro le persone umane, che Tommaso fonda l'altissima dignità della persona umana, rivelata proprio dal mistero trinitario. In armonia con la rinnovata concezione dell'essere, che assegna il primato all'actus essendi, Tommaso eleva la nozione di persona umana oltre il livello della "sostanza e la situa al livello della sussistenza", secondo cui è la sussistenza spirituale o razionale che costituisce ipostaticamente la persona.101 E se nelle varie espressioni del personalismo contemporaneo non sempre viene affermato con fondamento ontologico il primato della persona, che sovente viene dissolta nei suoi atti, ovvero fatta derivare dalla sua attività o dalle sue relazioni interpersonali, prima che sostenuta nella sua realtà ontologica, il rinnovamento della nozione di essere, operato da Tommaso, che assegna il primato all'actus essendi, rafforza la convinzione che, poiché non esistono in natura esseri universali ma solo esseri individuali, ovvero sostanze capaci di ricevere l'actus essendi, la persona umana si qualifica come sussistenza razionale e spirituale, per lo specifico atto d'essere che la fa essere appunto come persona umana.102 La prima conseguenza è che, in humanis, "nullum universale est substantia",103 "nulla relatio est substantia",104 e quindi nessuna comunità politica o sociale e nemmeno religiosa può dirsi sostanza.

La grande differenza che separa Tommaso da Hegel sta quindi nell'interpretazione della relazione tra Trinità economica e Trinità immanente. Come scrivono Rahner e Vorgrimler, "La Trinità "immanente" (presente in Dio stesso) è la Trinità "economica" (operante salvezza nei confronti dell'uomo) ".105 Con maggiore precisione scrive il teologo Bruno Forte: "La Trinità come è in sé ("immanente") si dà a conoscere nella Trinità come è per noi ("economica"): uno e lo stesso è il Dio in sé e il Dio che si rivela, il Padre per il Figlio nello Spirito Santo"106- Si sono aperte intorno a questa relazione le discussioni insieme filosofiche e teologiche sulla Trinità nell'epoca contemporanea. Se Kant, in base alla differenza radicale posta tra noumeno e fenomeno, poteva scrivere: "Dalla dottrina della Trinità, presa alla lettera, non è assolutamente possibile trarre nulla per la pratica, anche se si credesse di comprenderla, tanto meno poi se ci si accorge che essa supera ogni nostro concetto",107 alcuni teologi contemporanei, per suggestione hegeliana, hanno ritenuto che fosse possibile identificare tout court la Trinità economica con la Trinità immanente. Anche qui Tommaso ha ispirato, anche per la teologia postconciliare, una posizione di grande equilibrio. Come scrive Bruno Forte, "la tesi della corrispondenza fra Trinità economica e Trinità immanente, nella sua duplice fondazione, rivelativa e salvifica, non è tuttavia esente da limiti e da rischi: la corrispondenza non può essere concepita come identità".108

3. Spunti di riflessione per la filosofia

Nel De Trinitate Agostino, a proposito del rapporto tra Trinità economica e Trinità immanente, scriveva che della tripersonalità della natura divina «non ut illud diceretur, sed ne taceretur»,109 a motivo del fatto che il nostro linguaggio deve essere consapevole di poterne parlare senza pretendere di spiegarne integralmente il mistero. Hegel non sembra conoscere i limiti del linguaggio e dell'espressione concettuale. Avviene così che il mistero dell'uni-trinità divina, fondato sull'essere di Dio come amore, viene ridotto ad una unità in cui viene abolita l'alterità personale, e che questa unità che supera la personalità, diviene modello di una comunità umana in cui l'altro, come individuo, deve negare la propria personalità per fondare una vera unità. "L'altro è soppresso nel Sé invece di restare riconosciuto nel vero rapporto reciproco. E ciò che conta per il Figlio nella vita intradivina, si compie anche nel «momento del suo essere altro», del mondo e del singolo uomo. Ma se le «persone» in Dio non sono personali, allora -- per ampliare ancora una volta la domanda- esiste Dio in generale? "110 . Sono numerosi gli studiosi che sostengono che nei testi che abbiamo velocemente percorso, Hegel di fatto non concepisce Dio come una vera personalità spirituale, e che pertanto non è corretto, come hanno fatto recentemente alcuni teologi, basarsi su di essi per rinnovare la dottrina classica della "persona" e del suo rapporto con la "comunità". A ciò va aggiunto che identificando la Trinità economica con la Trinità immanente, Hegel di fatto attribuisce a questa il momento "negativo" e "kenotico" che ha caratterizzato il rapporto di Dio con la storia dell'uomo nella morte di Cristo. A parte l'interpretazione nietzscheana della frase contenuta nelle Lezioni sulla filosofia della religione: "Dio stesso morto",111 resta il fatto che la kenosis viene introdotta da Hegel nel seno dell'essere divino. Invece di considerare l'essere di Dio come amore fontale perciò stesso delle Persone divine, Hegel di fatto considera le persone divine come kenoticamente rivolte verso l'Uno. "In gioco con se stesso ... Dio si contrappone l'altro per riprenderlo di nuovo in sé: in quanto essere altro, significa al tempo stesso solo come altro tolto. Ma questo è proprio il processo del comprendere: superamento per -- detto scolasticamente -- la «species», la semplice immagine che funge come «forma alterius ut alterius» (altrimenti non si riconoscerebbe l'altro), ma accidente secondo il suo essere, è «qualitas cognoscentis» (altrimenti io non conoscerei). L'oggetto diventa materiale dell'autocompletamento mediante il compimento di sé nel Sé. Per questa ragione mondo, uomo e Dio perdono il loro mistero e dalla religione rivelata deriva la religione manifesta".112 Non a caso lo Hessen parla, a proposito della Trinità in Hegel, di "panlogismo hegeliano",113 perché "come la morte sopprime l'individuo nel genere, così il conoscere sopprime il soggetto e l'oggetto nell'universale"114 . Anche l'uomo-persona, nella sua dignità assoluta di partner di Dio, riconosciutagli dalla rivelazione del Dio-Trinità, viene assorbita in una dialettica di annullamento che di fatto, invece di riconoscerla, la nega .

La "quaestio de alteritate in divinis" costituisce per questo un nodo teoretico fondamentale, che riassume in sé sia le questioni relative alla ripresa dell'ontologia metafisica nella modernità, sia quelle relative al rapporto tra il logos filosofico e il Logos rivelato. Ed è proprio il confronto tra la nozione tomista di "relatio subsistens" e la dialettica essere-non essere della Logica di Hegel, che fa esplodere le differenze fondamentali che ne derivano, non solo per la comprensione del mistero trinitario, ma anche per la concezione dell'essere e del "nulla", nonché per una adeguata nozione di "persona" umana capace di trovare proprio nel mistero trinitario non un "annullamento" relazionale, ma una piena fondazione personologica nella libertà e nell'amore.

Ne consegue che nei confronti della "quaestio de alteritate in divinis", mentre le nozioni agostiniane di "diversitas" e "relatio", e ancor più quelle di "relatio subsistens" e "multitudo transcendens" di Tommaso, si muovono nell'orizzonte di un'ermeneutica della Rivelazione capace di armonizzarsi con le istanze della metafisica dell'essere, senza indebiti assorbimenti o riduzionismi, viceversa Hegel concepisce il logos filosofico come il regno della "verità, com'essa è in sé e senza velo";115 ne deriva che "la logica è da intendere per questo come il sistema della ragione pura, come il regno del puro pensiero".116 Il rapporto tra filosofia e Rivelazione viene ricondotto drasticamente entro lo schema "rappresentazione"-"concetto", il cui contenuto è inteso come "l'esposizione di Dio, com'egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito".117

Le differenze tra la comprensione del mistero trinitario in Tommaso e in Hegel risultano pertanto inconciliabili, e coinvolgono direttamente sia la questione ontologica del non-essere "in divinis et in creatis", e di conseguenza quella del rapporto tra l'essere e il nulla, sia la possibilità di salvaguardare, anche nell'ordine dell'incarnazione, la distinzione tra l'essere increato e l'essere creato, e quindi la concezione e la valutazione della persona umana.

Hegel, risolvendo il mistero trinitario nella verità fatta concetto, di fatto annulla la consistenza ipostatica della persona umana, considerata mera funzione relazionale ad un universale comunitario, sia esso una società, uno stato, una Chiesa. Viceversa la filosofia dell'essere di Tommaso, che attribuisce alle "persone divine" la qualifica di "relationes subsistentes", in quanto "relazioni" proprie dell'"Esse Subsistens", confuta una volta per tutte l'illusione di fare della "relazione" il fondamento ontologico dell'essere naturale e in particolare umano, per il quale invece vale il principio metafisico secondo cui "nullum universale est substantia", e in particolare "nulla relatio est substantia".118 Il "personalismo ipostatico" di Tommaso, che peraltro ha una matrice non solo metafisica ma cristologica, è attento così a salvaguardare, a differenza di Hegel, la differenza ontologica tra l'essere divino e l'essere creato, per attribuire quindi solo alle persone divine la qualifica di "relazioni sussistenti", ed all'uomo, anche nello stato di elevazione alla partecipazione della natura divina, relazioni fondate sulla libertà e sulla dignità di ogni singola persona e, per questo, nell'amore. Si potrebbe aggiungere che Tommaso legge nell'amore fontale del mistero trinitario il volto femminile di Dio, che ha nell'amore e nella maternità universale di Maria, "umile ed alta più che creatura", l'immagine più fedele. "Termine fisso d'eterno consiglio", Maria è il modello della relazione d'amore dell'uomo con Dio, e della relazione di creatività, di riconoscimento della personalità, del servizio d'amore e di unità che devono unire gli uomini nella famiglia umana e nella Chiesa. L'"alteritas in divinis" diviene così paradigma fondatore non di una società autoritaria, assolutista o fondamentalista, ma di una famiglia umana intesa come comunità di uomini liberi e responsabili nella giustizia e nell'amore.

Fondando inoltre il sapere teologico sull'analogia entis, ed elaborando un'originalissima metafisica dell'actus essendi, Tommaso oltrepassa sia il rigido aristotelismo, proprio anche di una certa neoscolastica, sia il concettualismo di Hegel, e mostra sorprendentemente di pervenire, proprio nella « quaestio de alteritate in divinis », alle più avanzate posizioni dell'ermeneutica veritativa contemporanea circa il rapporto tra filosofia e teologia.

Copyright © 2011 Gaspare Mura

Gaspare Mura. «La Trinità in S. Tommaso e in Hegel. Differenze ontologiche e personalistiche». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**85 B].

Note

  1. Sull'impotanza dell'interpretazione hegeliana della Menschwerdung nel sistema di Hegel, cf. De Negri, Introduzione a Hegel, I principi , Firenze 1940, pp. V-XXXI, e G. Mura, Cristo e i filosofi, per comprendere la crisi dell'Occidente contemporaneo, in AA.VV.,Gesù Cristo, Roma 1981, pp. 323-370. Testo

  2. «La teologia rigorosamente luterana respingerà Hegel come liberale estremo (razionalistico proprio ancora una volta nella sua "mistica")», J. Splett, La dottrina della Trinità in Hegel, Brescia 1993, p. 235. Testo

  3. La Fides et ratio mette in guardia nei confronti di quella "ratio separata" e autosufficiente che ha informato gran parte del pensiero moderno, e che sembra priva, quando interpreta la Rivelazione, di quell'auditus fidei che è componente essenziale della metodologia teologica. Considerare Hegel un "teologo", significa evitare da una parte di contestualizzarne il pensiero nell'ambito della filosofia della religione, e dall'altra introdurre nella speculazione teologica una metodologia estranea. Testo

  4. G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Religion, Leipzig 1925,I, p. 29, (trad. it. Lezioni sulla filosofia della religione, a cura di E. Oberti e G. Borruso, 2 voll., Bologna 1973-1974). Testo

  5. Hegel, op. cit., I, p. 33. Testo

  6. Hegel, op. cit., I, p. 29s. Testo

  7. Hegel, op. cit., I, p. 74s. Testo

  8. Cf. Hegel, op. cit., I, p. 46s. Testo

  9. Hegel, op. cit., I, p. 5. Testo

  10. Cf. K. Barth, Die protestantische Theologie im 19. Jahrhundert. Ihre Vorgeschichte und ihre Geschichte, Zollikon-Zürich 1952, p. 333 (trad. it. di G. Bof, introd. di I. Mancini, Milano 1979). Testo

  11. Hegels theologische Juhenschriften, Hrsg. H. Nohl, Tübingen 1907, p. 377 (trad. it. di N. Vaccaro e E. Mirri, Guida, Napoli 1972). Testo

  12. Hegel, op. cit., p. 379. Testo

  13. Hegel, op. cit., p. 391. Testo

  14. Hegel, op. cit., p. 316. Testo

  15. Ibidem. Testo

  16. Hegel, op. cit., p. 318. Testo

  17. Hegel, op. cit., p. 347. Testo

  18. H. Glockner, Jubiläumsausgabe der Werke Hegels, Stuttgart 1949ss., p. 46 (trad. it. parziale, Hegel, Primi scritti critici, a cura di R. Bodei, Milano 1971). Testo

  19. Hegel, op. cit., p. 60. Testo

  20. Hegel, op. cit., p. 141s. Testo

  21. Dokumente zu Hegels Entwicklung, Hrsg. J. Hoffmeister, Stuttgart 1936, pp. 303-306. Testo

  22. Ibidem. Testo

  23. Hegel, Primi scritti critici, ed. cit., pp. 242-243. Testo

  24. Hegel, op. cit., p. 253. Testo

  25. Hegel, Jenenser Logik, Metaphysik und Naturphilosophie, Hrsg. G. Lasson, Leipzig 1923, p. 181. Testo

  26. Cf. Hegel, Schriften zur Politik und Rechtsphilosophie, Hrsg. G. Lasson, Leipzig 1923, p. 425. Testo

  27. Dokumente zu Hegels Entwicklung, ed. cit., p. 322. Testo

  28. Dokumente zu Hegels Entwicklung, ed. cit , pp. 338-339. Testo

  29. Hegel, Jenenser Realphilosophie, Hsg. J. Hoffmeister, Leipzig 1931, II, p. 266 (trad. it. Filosofia dello spirito, a cura di G. Cantillo, Bari 1984). Testo

  30. Hegel, Phänomenologie des Geistes, Hrsg. J. Hoffmeister, Hamburg 1952, pp. 128, 138, 140 (trad. it. di E. De Negri, Firenze 1960, voll. 2). Testo

  31. Hegel, Wissenschaft der Logik, I e II, Hrsg. G. Lasson, Leipzig 1951, II, p. 4 (trad. it. di A. Moni, rev. C. Cesa, 3 voll., Bari 1978). Testo

  32. Hegel, Phänomenologie des Geistes, ed. cit., pp. 534s. Testo

  33. Ibidem. Testo

  34. Ibidem. Testo

  35. Dopo aver chiarito la natura del verbum mentis: "Non enim generatur verbum ipsum per actum intellectus, nec eius similitudo, nec etiam similitudo illius speciei qua intellectus informatur, quasi verbum esset eius expressivum, sed similitudo rei. ... Similitudo vero rei est ut ad quod formatur, et tanquarn ad eius exemplar"(De natura verbi intellectus, 280), Tommaso ne approfondisce ulteriormente la differenza con il Verbo divino, nell'opuscolo De differentia verbi divini et humani: "Prima differentia. ... Sic ergo verbum nostrum prius est in potentia quam in actu. Sed verbum divinum semper est in actu; et ideo nomen cogitationis verbo Dei proprie non convenit. Dicit enim Augustinus tertio De Trinitate (XV,c,16): 'Ita dicitur verbum Dei, ut cogitando non dicatur, ne quid quasi volubile in Deo credatur'. Et illud quod Anselmus dicit (Monologium, LXIII), quod 'dicere summo Patri nihil aliud est quam cogitando intueri', improprie dictum est. Secunda differentia est verbi nostri ad divinum, quia nostrum est imperfectum, sed verbum Dei est perfectisuimum: quia nos non possumus omnia quae sunt in anima nostra uno verbo exprimere, et ideo oportet quod sint plura verba imperfecta, per quae divisim exprimamus omnia quae in scientia nostra sunt. In Deo autem non est sic. Cum enim ipse intelligat et se ipsum et quidquid intelligit per essentiam suam uno actu, unicurn verbum divinum expressivum est totius quod in Deo est, non solum Patris, sed etiaca creaturarum; aliter esset imperfecturn. Unde dicit Augustinus (De Trinitate, XV,c.,14) ): 'Si aliquid minus esset in verbo quam in scientia continetur dicentis, esset verbum imperfectum'. Sed constat quod divinum verbum est perfectissimum. Ergo est tantum unum: unde Iob XXXIII, 14: 'Semel loquitur Deus'. Tertia differentia est, quod verburn nostrum non est eiusdem naturae nobiscum, sed verbum divinurn est eiusdem naturae cum Deo, et subsistens in natura divina" (De differentia verbi divini et humani, 291,292,293). Testo

  36. Ibidem. Una posizione analoga circa la differenza tra il "verbo" umano e il Verbo divino è stata assunta da Bonaventura. Citando Agostino: «Non ergo Deus toties dixit, Fiat illa vel illa creatura, quoties in hoc libro repetitur, Et dixit Deus. Unum quippe Verbum ille genuit, in quo dixit omnia, priusquam facta sunt singula: sed eloquium scribentis descendens ad parvulorum capacitatem, dum insinuat singulatim genera creaturarum, per singula respicit uniuscuiusque generis aeternam rationem in Verbo Dei» (De Gen. ad litt., II,6,12), il cristocentrismo di Bonaventura vede nel Verbo divino il mediatore universale di tutti gli esseri creati, e quindi il principio ontologico e teologico della pluralità degli esseri. J. G. Bougerol , nella sua Introduction à l'étude de S. Bonaventure (Tournai-Paris-New York-Rome, 1961) scrive: "Tutto il suo pensiero, così come la sua spiritualità, è centrato sul Cristo. Il Cristò è al centro di tutto. Mezzo delle persone divine, causa esemplare dell'intera creazione, il Cristo è altresì, mediante la sua incarnazione redentrice, il mediatore di salvezza e di vita, la luce che arreca ad ogni uomo l'intelligenza e la certezza della cognizione"; e per questo ne con "tutte le cose sono segni di Dio e l'aspirazione dell'uomo dev'essere quella di ritrovare Dio in tutte le cose, per poter risalire fino a Lui mediante tutte le cose. L'esemplarismo è dunque al centro del pensiero di Bonaventura" (pp. 44, 45). Testo

  37. Hegel, Phänomenologie des Geistes, ed cit., p. 20. Testo

  38. Hegel, op. cit., p. 543. Testo

  39. Hegel, op. cit., p. 543. Testo

  40. Hegel, op. cit., p. 24. Testo

  41. Hegel, Wissenschaft der Logik, ed. cit., II, pp. 354s. Testo

  42. Hegel, Jubiläumsausgabe, ed. cit., VI, p. 319. Testo

  43. C.F. Göschel, Aphorismen über Nichtwissen und absolute Wissen im Verhältnis zur christlichen Glaubenserkenntnis. Ein Beitrag zum Verständnis der Philosophie unserer Zeit, Berlin 1829, pp. 103s. Testo

  44. Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, Hrsg. G. Lasson, Leipzig 1920, p. 734 (trad. it. a cura di G. Calogero e C. Fatta, 4 voll., Firenze 1968-1972). Testo

  45. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Religion, Hrsg. G. Lasson, Leipzig 1925, I, pp. 153, 187 (trad. it. Lezioni di filosofia della religione, a cura di E. Oberti e G. Borruso, 2 voll., Bologna 1973-1974). Testo

  46. Hegel, op. cit., I., p. 32. Testo

  47. Hegel, op. cit., I, p. 22. Testo

  48. Hegel, op. cit., I, pp. 288- 289. Testo

  49. Hegel, op. cit., I, pp. 292, 294; trad. it., I, p. 323. Testo

  50. Hegel, op. cit., I, pp. 41s. Testo

  51. Hegel, op. cit., I, p. 52. Testo

  52. Hegel, op. cit., I, p. 192. Testo

  53. Hegel, op. cit., I, p. 257. Testo

  54. Hegel, op. cit., I, p. 258. Testo

  55. Hegel, op. cit., III, p. 91. Testo

  56. Hegel, op. ci., IV, p. 5. Testo

  57. Hegel, op. cit., IV, pp. 13s. Testo

  58. Hegel, op. cit., IV, p. 130. Testo

  59. Hegel, op. cit., IV, p. 131. Testo

  60. Hegel, op. cit., IV, p. 157s. Testo

  61. Hegel, op. cit., IV, p. 163. Testo

  62. Hegel, op. cit., IV, p. 168. Testo

  63. Hegel, op. cit., IV, p. 169. Testo

  64. Hegel, op. cit., IV, p. 228. Testo

  65. Hegel, op. cit., IV, p. 228. Testo

  66. B. Mondin, Storia della teologia, Bologna 1997, IV, p. 72. Testo

  67. Mondin, op. cit. p. 73. Testo

  68. Ibidem. Scrive Mondin: "Di fatto in Hegel si dissolvono i principi fondamentali del teologare che sono l'assoluta trascendenza di Dio, la piena libertà di ogni sua iniziativa, la gratuità della grazia, di ogni sua grazia ( a partire dalla grazia della Rivelazione), il primato dell'autorità (di Dio, di Cristo, della Chiesa) e quindi della fede sulla ragione, la serietà e la gravità del peccato. Nel suo sforzo di razionalizzare tutto (religione, Dio, Trinità, Cristo, Chiesa) Hegel finisce inevitabilmente per uccidere la teologia", op. cit., p. 76. Testo

  69. J. Splett, La dottrina della Trinità in Hegel, Brescia 1993, p. 229: "Nel suo articolo Kierkegaard or Hegel (in Revue internationale de philosophie, 6, 1952, pp. 79-96) Kroner va contro Hegel partendo dalla posizione cristiana di K. Per scoprire infine in lui (come filosofo) il pensatore dell'immobile perfezione pagana, che quasi non ha visto il problema cristiano degli sforzi salvifici di un Dio vivente, davanti al quale Hegel si trovò posto" (Ivi, in nota). Testo

  70. Hegel, Vorlesungen..., ed. cit., III, p. 40. Testo

  71. Hegel, op. cit., I II, pp. 43.44s Testo

  72. Hegel, Phänomenologie des Geistes, ed. cit., pp. 53s. Testo

  73. M. Sánchez Sorondo, Aristotele e San Tommaso, Roma 1981, pp. 12-13. Testo

  74. Sánchez Sorondo, op. cit., p. 22. Testo

  75. Sánchez Sorondo, op. cit., p. 23. Testo

  76. Sigieri di Brabante (1235-1282) nella sua opera Quaestiones in Metaphysicam sostenne, analogamente ad Averroè, l'unicità del Nous, e la sua tesi venne duramente combattura da san Tommaso a favore della differenza tra il Logos divino e il logos umano e, soprattutto in difesa della pluralità degli intelletti per quanto riguarda l'intelligere degli uomini. Dante, nel X Canto del Paradiso, si riferisce a Sigieri con i versi: "essa è la luce etterna di Sigieri, che leggendo nel Vico de li Strami, sillogizzò invidïosi veri", ossia sostenne con ardui ragionamenti l'emanazione della luce eterna nell'intelletto umano, suscitando controversie e polemiche; tra le quali appunto quella di san Tommaso nel De unitate intellectus contra averroistas del 1270; Tommaso, fondandosi sull'antropologia del De anima di Aristotele, sostiene con forza la dignità che spetta al singolo uomo nella sua ricerca intellettuale: «Virtus autem huius semonstrationis et insolubilitas apparet, quia quicumque ab hac via divertere voluerint, necesse habent inconveniens dicere. Manifestum est quod hic homo singularis intelligit : numquam enim de intellectu queremus nisi intelligimus» (ed. leonina, c. III, 61). L'argomento di san Tommaso si fonda sul principio, insieme metafisico e antropologico, che se non fossimo noi stessi, individualmente, a pensare, non ci sarebbe nemmeno possibile interrogarci sulla natura e le proprietà dell'intelletto. L'intelletto è in noi in modo individuale, e la sua "unità" non va ricercata nella sua natura ontologica, come affermano Averroè e Sigieri, ma nella sua apertura universale alla Verità che, agostinianamente è in noi ma è sopra di noi, e quindi spinge l'intelletto a ricercarla sempre di più. Testo

  77. "Quod ens per se non est definitio substantiae, ut Avicenna dicit (III Metaphisicorum, caput VIII). Ens enim non potest esse alicuius genus, ut probat Philosophus (III Metaph, com. 10), cum nihil possit addi ad ens quod non participet ipsum; differentia vero non debet participare genus. Sed si substantia possit habere definitionem, non obstante quod est genus generalissimum, erit eius definitio: quod substantia est res cuius quidditati debetur esse non in aliquo. Et sic non conveniet definitio substantiae Deo, qui non habet quidditatem suam praeter suum esse. Unde Deus non est in genere substantiae, sed est supra omnem substantiam" (De potentia, q. 7, a. 3, ad 4). Testo

  78. Splett, op. cit., p. 234. Testo

  79. Ep. XXXVI, ed. Gebhardt, t. IV, p. 307. Testo

  80. Sánchez Sorondo, op. cit., p. 39. Testo

  81. B. Spinoza, Ethica, I, ed. Gebhardt, t. II, p. 56. Testo

  82. Sánchez Sorondo, op. cit., p. 41. Testo

  83. Sánchez Sorondo, op. cit., p. 43. Testo

  84. Sánchez Sorondo, op. cit., pp. 43, 44. Testo

  85. J. Ilijn, Die Philosophie Hegels als kontemplative Gotteslehre, Bern 1946, p. 381. Testo

  86. P. Henrici, Hegel und Blondel, Pullach 1958, p. 206. Testo

  87. Splett, op. cit., p. 235. Testo

  88. G. Siewerth, Martin Heidegger und die Frage nach Gott, in "Hochland" 53, 1961, p. 523. Testo

  89. F. Grégoire, Études hégélienns. Le point capitaux du système, Louvain-Paris 1958, p.210. Testo

  90. Splett, op. cit., p. 240. Testo

  91. J. Möller, Der Geist un das Absolute. Zu Grundlegung einer Religionsphilosophie in Begegnung mit Hegels Denkwelt, Paderborn 1951, p. 144, nota. Testo

  92. Splett, op. cit., p. 240. Testo

  93. H. Birault, L'onto-théo-logique hégélienne et la dialectique, in Tijdschrift voor Philosophie, 20 (1958), p. 678. Testo

  94. Summa theologiae, I, 13, 1, c. Testo

  95. "De Deo scire non possumus quid sit, sed quid non sit; non possumus considerare de Deo quomodo sit, sed potius quomodo non sit", Summa theologiae, I, 3, introduzione. Testo

  96. "Ipse non potest esse pervius intellectui nostro; sed in hoc eum perfectissime cognoscimus in statu viae quod scimus eum esse super omne id quod intellectus noster concipere potest; et sic ei quasi ignoto conjungimur", In IV Sententiarum, 49, 2, 1, 3m. Testo

  97. G.B. Mondin, La Trinità, mistero d'amor. Trattato di teologia trinitaria, Bologna 2010, p. 309. Testo

  98. H. Glockner, Jubiläumsausgabe..., ed. cit., XIX, p. 188. Testo

  99. Mondin, op. cit., p. 190. Testo

  100. Mondin, op. cit., pp. 190-191. Testo

  101. Cf. Mondin, op. cit., p. 190. Testo

  102. Cf. S. Tommaso, De potentia Dei, IX,1.4. Testo

  103. S. Tommaso, In Met. 1585. Testo

  104. "Nulla relatio est substantia", S. Tommaso, De potentia Dei, IX, 4, 11; cf. anche In Eth., I, 1. Testo

  105. K. Rahner -- H. Vorgrimler, Dizionario di Teologia, Milano 1998, p. 739. Testo

  106. B. Forte, Trinità come storia, Cinisello Balsamo (MI) 2002, p. 18. Testo

  107. Citato da B. Forte, op. cit., pp. 13-14. Testo

  108. B. Forte, op. cit., p. 21. Testo

  109. Agostino, De Trinitate, PL 42, 918. Testo

  110. Splett, op. cit., p. 245. Testo

  111. "L'esistenza temporale, piena dell'idea divina, viene intuita nel presente solo nella morte di Cristo. La più alta alienazione dell'idea divina: 'Dio è morto, Dio stesso è morto'", Hegel, Vorlesungen..., ed. cit., IV, p.157. Testo

  112. Splett, op. cit., pp. 251-252. Testo

  113. Cf. J. Hessen, Hegels Trinitätslehre. Zugleich eine Einführung in sein System, Freiburg i.B., 1922, pp. 8- 39. Testo

  114. Splett, op. cit., p. 253. Testo

  115. Hegel, Wissenschaft der Logik, ed. cit., I, p. 31. Testo

  116. Ibidem. Testo

  117. Ibidem. Testo

  118. "Così Tommaso, nel contesto della nozione di Essere sussistente, chiarisce la differenza tra la relazione in humanis e in divinis: "Ista propositio, nulla relatio est substantia, est immediata, si accipiatur relatio et substantia quae sunt in genere. Sed Deus non limitatur terminis alicuius generis, sed habet in se perfectiones omnium generum. Unde non distinguitur in eo secundum rem relatio et substantia , De Potentia Dei, q. IX, a. 4 ad 11. Testo

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