Salta il menù

L'uomo imago trinitatis nella produzione letteraria di Agostino

di Paola Marone (Roma, 26-28 maggio 2011)

1. Introduzione

Tra i Padri della Chiesa Agostino sicuramente è stato quello che per primo e in maniera più approfondita si è dedicato a studiare il concetto dell'uomo imago Trinitatis, fino a dimostrare che nel profondo del nostro essere del nostro pensiero e del nostro amore c'è un'immagine della Trinità, nella quale può essere colta sia l'unità della sostanza divina che la diversità delle persone del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.1

Certamente Agostino non pensò mai che fosse possibile comprendere totalmente il mistero della Trinità. Del resto avvertì esplicitamente che il suo intento era quello di testimoniare la sua credenza nella Trinità, in modo che i suoi lettori «non si sentissero per così dire burlati», ma potessero constatare «che la fede doveva precedere ogni richiesta di spiegazione».2 E, se da una parte invitava a scoprire con l'introspezione l'imago Trinitatis impressa nella propria essenza, dall'altra metteva in guardia dal «non illudersi» di poter scoprire con essa «l'Essere che sovrasta immutabile il mondo, che immutabilmente esiste, immutabilmente sa e immutabilmente vuole».3 Egli era pienamente consapevole dei limiti della conoscenza umana e ammetteva che ogni similitudo della Trinità era inevitabilmente una similitudo dissimilis.4 Dunque scelse la via dell'interiorità, spingendo a cercare in sé le tracce della presenza della Trinità, solo per rendere in qualche modo più accessibile un concetto che di per sé era impenetrabile. E attraverso la via dell'interiorità, che pure era inadeguata per stabilire un rapporto tra il sé e l'essenza divina, elaborò una nuova chiave di lettura dei contenuti della fede.5

Potendo contare sulla speculazione filosofica di Mario Vittorino, il vescovo di Ippona approfondì il tema dell'immagine in vista della definizione del dogma, che nel IV secolo coinvolgeva i principali interpreti del Cristianesimo.6 Tuttavia la sua trattazione non era finalizzata solamente alla definizione del dogma, visto che a cominciare dall'esegesi della Genesi chiamò in causa diverse questioni, che riguardavano la filosofia la teologia e la mistica, e a più riprese rispose agli interrogativi che nel corso degli anni gli erano sorti. In questo contesto allora, avvalendoci dell'intera produzione letteraria dell'Ipponate, si vuole presentare la dottrina dell'imago Trinitatis, per considerarne innanzitutto i presupposti biblici e filosofici, e per valutarne in un secondo momento le implicazioni teologiche e mistiche.

2. Presupposti biblici

Per cominciare a entrare nel merito del mistero trinitario, Agostino si soffermò inizialmente a riflettere sulla Bibbia, nella quale si era accorto che la Trinità era definita alcune volte con il termine "Dio" (cfr. p. es. Rom. 11, 33s) e altre volte con i nomi delle singole persone del Padre del Figlio e dello Spirito Santo (cfr. p. es. Io. 14, 15ss) .7 E nel passo di Gen. 1, 26-27, così come si presentava nella Vetus latina (Et dixit Deus: Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram: et praesit piscibus maris, et volatilibus caeli, et bestiis, univeraeque terrae, omnique reptili, quod movetur in terra. Et creavit Deus hominem ad imaginem suam... ) ,8 riconobbe un significativo punto di partenza per sviluppare tutto il suo pensiero, tanto che a quelli che non erano «capaci di contemplare questa immagine creata e non sapevano vedere nella loro mente quanto fossero reali queste tre potenze che non sono tre persone», diceva: «perché non credono a ciò che su quella somma Trinità, che è Dio, si legge nelle sacre Scritture, piuttosto che chiedere che gli sia data una spiegazione perfettamente chiara, che la mente umana tarda e debole non è in grado di capire».9

Allora fu sostanzialmente dal primo capitolo della Genesi che il nostro autore capì che la creazione dell'uomo a immagine di Dio dovesse essere intesa propriamente come la creazione dell'uomo a immagine della Trinità. A tale proposito egli sottolineava che in Gen. 1, 26 Dio stesso disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine», usando il plurale, «perché l'uomo è stato fatto a immagine non del solo Padre o del solo Figlio o del solo Spirito Santo, ma della stessa Trinità».10 E per evitare che qualcuno credesse che la Trinità fosse composta da tre dèi, chiamava in causa il passo di Gen. 1, 27, dove le parole: «e Dio fece l'uomo a immagine di Dio»,11 fugavano ogni dubbio sul senso del versetto precedente.

Ma secondo l'Ipponate, che nella sua esegesi era sempre attento all'intero contesto biblico, non si doveva «neppure passare sotto silenzio il fatto che la Scrittura dopo aver detto che l'uomo era stato creato «a nostra immagine», cioè a immagine del Padre del Figlio e dello Spirito Santo (cfr. Gen. 1, 26), soggiungesse immediatamente: «e abbia dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su tutti gli altri animali privi di ragione (cfr. Gen. 1, 28)».12 Questo doveva fare «intendere appunto che l'uomo è fatto a immagine... in relazione alla facoltà per cui è superiore agli animali», ovvero alla «ragione o mente o intelligenza».13 Perciò quando Agostino parlava dell'uomo immagine della Trinità, si riferiva propriamente all'anima, e talvolta specificò anche di intendere la parte più elevata dell'anima, ovvero la mente (mens) o «ciò che eccelle nell'anima» e si comporta «come il suo occhio interiore».14 Nell'anima infatti distingueva due rationes, quella inferior, rivolta alle cose del mondo, e quella superior, rivolta alle verità eterne, e solo in quella superior riconosceva propriamente un'imago Trinitatis incorruttibile come Dio.15

Certamente l'Ipponate non si limitò a sostenere che Dio «fece l'uomo, con la mente a sua immagine e somiglianza», appunto perché «nella mente c'era l'immagine di Dio»,16 ma puntualizzò chiaramente, come indicava «l'autorità dello stesso apostolo», che l'uomo era stato creato a immagine «non secondo la forma del corpo, ma secondo la sua anima razionale».17 E considerando che «ci rinnoviamo nella nostra anima spirituale (cfr. Eph. 4, 23) e l'uomo nuovo è colui che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l'immagine di Colui che l'ha creato (cfr. Col. 3, 10)», egli non aveva «alcun dubbio che non è secondo il corpo, né secondo una qualsiasi parte dell'anima, ma secondo l'anima razionale che può conoscere Dio, che l'uomo è stato fatto a immagine di Colui che l'ha creato».18

Così suffragata dall'autorità della Scrittura l'imago Trinitatis, oltre ad avvicinare l'uomo alla sfera del sacro, si profilava come il tratto più caratteristico ed essenziale dell'umanità, ovvero come l'elemento che più di ogni altra cosa permetteva di cogliere la vera natura di ciascun individuo.

3. Presupposti filosofici

Partendo da queste considerazioni sulla Bibbia, l'Ipponate collegò l'immagine della Trinità in senso lato a tutte le creature. Dal suo punto di vista un'immagine della Trinità era impressa nella totalità delle cose create, e già «Platone» aveva legittimato questa convinzione, sostenendo «che soltanto Dio è autore di tutti gli esseri, datore dell'intelligenza e animatore dell'amore con cui si vive nell'onestà e nella felicità».19 Tuttavia propriamente nelle strutture naturali della persona l'Ipponate riconobbe l'immagine della Trinità.

Egli era convinto che Dio fosse il fondamento ontologico della conoscenza, dunque basò ogni verità sulla comprensione della verità ontologica di Dio, e utilizzò la dottrina platonica delle idee per spiegare l'immagine della Trinità.20 Dio, in quanto creatore di tutte le cose, riassumeva nella sua essenza le idee di ogni cosa e tutte le componenti dell'uomo potevano essere viste come immagine di Dio, per essere state create in maniera conforme all'essenza divina, ma la mente in particolare poteva essere vista come immagine della Trinità, perché risultava formata da esistenza conoscenza e amore. Non a caso in analogia con la fonte da cui deriviamo, «noi esistiamo, conosciamo di esistere e amiamo questo nostro essere e questa conoscenza».21

La teoria delle idee postulata inizialmente da Platone fu ripresa dal nostro autore, che spesso parlò di "partecipazione" a proposito delle relazioni di dipendenza delle creature dal Creatore, proprio perché tutto il creato, ogni bontà, verità, bellezza, vita terrena, gli appariva come partecipazione della Bontà, della Verità, della Bellezza e della Vita infinita.22 Però le idee, che di fatto costituivano gli archetipi con cui la mente divina aveva creato il mondo, le considerava non sussistenti in sé, ma subordinate all'esistenza del mondo sensibile.23 Di conseguenza la mente umana, che era a immagine di Dio e partecipava dell'immagine per eccellenza del Figlio, sarebbe stata immagine della Trinità, per partecipazione,24 viceversa la seconda persona della Trinità, cioè il Figlio, che costituiva l'esemplare divino secondo il quale era stata fatta qualsiasi creatura, sarebbe stata immagine per essenza.25

Inoltre, secondo l'Ipponate, l'immagine della Trinità impressa nell'uomo era legata in gran parte all'autocoscienza, che portava l'individuo a guardarsi dentro e a scoprire in sé una verità che lo trascendeva,26 una verità a priori che era fonte di conoscenza.27 Tutto questo implicava un contatto diretto della mente umana con l'intelligibile, senza passare per la conoscenza sensibile.28 L'esperienza dell'illuminazione, ovvero la scoperta di questa verità a priori, si presentava come un attimo di autocoscienza in Dio, un attimo di verità convergente con il Bene, che allineava la verità dell'uomo alla verità di Dio, e come in una folgorazione gli faceva cogliere «la partecipazione del Verbo, cioè di quella vita che è luce degli uomini (Io. 1, 4)».29

Per Agostino era impossibile contemplare direttamente le rationes aeternae, come per Platone era impossibile avere una visione diretta delle idee.30 Per quanto l'anima fosse una realtà spirituale, all'uomo era precluso di accedere totalmente alla verità e di avere una visione completa della Trinità.31 Come essere finito e limitato l'uomo non poteva abbracciare qualcosa che per natura gli era completamente dissimile, ma tramite lo specchio dell'immagine conosceva le rationes aeternae32 e riusciva a intuire la Trinità che era riflessa in lui.33

Così vedere Dio, ovvero il responsabile dell'illuminazione,34 era un «vedere senza vedere»,35 cioè un intuire.36 Nel senso che l'uomo coglieva indirettamente la fonte dell'illuminazione attraverso i suoi atti intellettuali, visto che fin dalla sua nascita era imago Trinitatis, ma non ne era consapevole.37 Per cui l'attività della mente risiedeva proprio nella presa di coscienza della fonte, nella scoperta del Creatore, anche se lo stesso incamminarsi nella strada della ricerca significava che incominciava a capire la verità da cui proveniva.

4. Implicazioni teologiche

In ambito propriamente teologico, Agostino pose l'uomo in un rapporto immediato con Dio (nulla interposita creatura) .38 Gran parte del suo pensiero ruotava attorno al binomio uomo/Dio, tanto che a un certo punto esclamò: «Oh Dio, che sei sempre il medesimo, che mi conosca e che ti conosca»39! E proprio il fatto di ritenere l'individuo immagine della Trinità, lo portò a studiare approfonditamente la psiche. Per scoprire l'immagine della Trinità impressa nella mente umana, l'Ipponate invitava: «a riflettere su tre cose presenti in se stessi, ben diverse dalla Trinità, ... come esercizio, come prova e constatazione», e nella fattispecie invitava a riflettere su «esistenza, conoscenza e volontà umana», rimarcando «come sia imprescindibile la vita di queste tre facoltà e siano un'unica vita, un'unica intelligenza e un'unica essenza».40

Le qualità principali dell'anima quali l'essere il conoscere e l'amare, che Agostino sintetizzò nella triade mens notitia amor, riproducevano la struttura trinitaria di Dio.41 Nella mente essere conoscenza e amore erano tre realtà, ma costituivano una cosa sola e una sostanza sola.42 Tre realtà distinte «in modo mirabile» diceva Agostino «inseparabili le une dalle altre», e tuttavia ognuna di esse «sostanza» e tutte insieme «una sostanza o essenza» per le loro relazioni.43 Del resto la mente generava la conoscenza, e dalla mente, che si conosceva per mezzo della conoscenza, procedeva l'amore, come nella Trinità il Padre generava il Figlio, e dal Padre e dal Figlio procedeva lo Spirito Santo.

Nell'interiorità dell'uomo, le operazioni immanenti della mente fornivano al nostro autore un'immagine dell'unità e della distinzione delle persone divine, e del loro reciproco essere l'una nell'altra, infatti «quando la mente si conosce e si ama, in quelle tre realtà -- la mente la conoscenza e l'amore -- resta una trinità; e non c'e né mescolanza né confusione, sebbene ciascuna sia in sé, e tutte si trovino scambievolmente in tutte, ciascuna nelle altre due, e le altre due in ciascuna. Di conseguenza tutte in tutte».44 D'altra parte la certezza evidente dell'esistenza, fondava l'infallibilità della conoscenza dell'esistenza di sé.45 Passando dalla certezza dell'essere alla verità del conoscersi, Agostino affermava: «nel conoscere di conoscermi esistente non mi inganno... e quando amo queste due cose (l'essere e il conoscermi) aggiungo, in me conoscente, questo stesso amore come elemento di non minor pregio. Né mi inganno sulla realtà del mio amore perché non mi inganno sulle realtà che amo...».46 Focalizzando l'attenzione sulle operazioni immanenti della mente umana, Agostino scopriva l'amore della mente per sé stessa, che insieme all'esistenza e alla conoscenza dava vita a una triade indissolubile a l'immagine della Trinità.47

In questa immagine poi l'Ipponate riscontrava un'esemplificazione della generazione e dalla processione delle persone divine.48 Infatti se nell'uomo la conoscenza era generata dall'essere, e l'amore procedeva allo stesso tempo dall'essere e dalla conoscenza, ponendo in relazione l'essere e la conoscenza,49 nella Trinità il Figlio era generato dal Padre, e lo Spirito Santo procedeva come dono dal Padre e il Figlio, ponendo in relazione il Padre e il Figlio.50 Questa somiglianza, andava però congiunta a una grande differenza,51 dato che l'essere, la conoscenza e l'amore erano nell'uomo, ma non erano l'uomo.52

Ammettendo che l'uomo «tra gli esseri creati» è quello che per la sua natura «si avvicina maggiormente a Dio»,53 Agostino puntualizzava che questa immagine della Trinità che è presente in noi «non è uguale a Dio, anzi è immensamente distante da lui e non è coeterna a lui; e per dire tutto in poche parole non è della stessa sostanza del modello»,54 per cui se Dio è causa dell'essere, del conoscere e dell'amore, l'immagine della Trinità impressa in noi consiste nel fatto che noi «esistiamo, conosciamo di esistere e amiamo questo nostro essere e questa conoscenza».55 In sostanza le facoltà dell'essere, del conoscere e dell'amare nell'uomo non potevano essere concepite come persone, non a caso un essere umano può dire di possedere «queste tre potenze», ma non di essere «queste tre potenze», viceversa «in quella natura supremamente semplice che è Dio, sebbene vi sia un solo Dio... il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo» si potevano vedere realmente come tre persone.56

5. Implicazioni mistiche

Descrivendo l'itinerario della mente verso Dio, l'Ipponate utilizzò molti argomenti, che seguivano tutti lo stesso schema: dall'esteriorità all'interiorità e poi dall'interiorità alla trascendenza.57 A partire dalla bellezza del mondo, l'uomo poteva riconoscere se stesso come essere che esiste, che conosce e che ama, e di conseguenza poteva pervenire a Dio per il cammino dell'essere, della conoscenza e dell'amore. Per questo l'Ipponate diceva: «non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell'uomo interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che trascendi l'anima razionale: tendi, pertanto, là dove si accende il lume stesso della ragione».58

Per Agostino la Trinità era qualcosa di concreto, di vivo, qualcosa che riempiva l'anima e condizionava tutte le sue facoltà. In tal senso egli approfondì il concetto dell'uomo imago Trinitatis, mettendo in evidenza le conseguenze che aveva per l'uomo essere l'immagine vivente, per quanto lontana, della Trinità. Anche come mistico cercò di capire Dio per amarlo e riposarsi in Lui. La sua sete di Dio lo portò a studiare le relazioni intime che ricollegavano ciascuna creatura al Creatore. Rivolto al Signore esclamava: «ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te»,59 perché era convinto che l'anima tendesse per la sua natura a Dio, come l'occhio è fatto per la luce e tende alla luce, o come l'orecchio è fatto per l'armonia e si apre all'armonia.60

Se in gioventù Agostino aveva scritto «l'uomo stesso... è rimasto semplice creatura per aver perso, a causa del peccato, il sigillo dell'immagine»,61 tornando sull'argomento alla fine della sua vita, precisò che «tali parole non andavano intese nel senso che l'uomo aveva perso tutto ciò che possedeva dell'immagine di Dio».62 L'immagine di Dio gli appariva sempre indistruttibile, ma ammetteva che il peccato poteva oscurarla, mentre l'azione dello Spirito Santo andava a rinvigorirla.

Evidentemente, dal suo punto di vista, l'azione dello Spirito Santo non trasformava solo le anime dei fedeli, ma vivificava tutto il corpo di Cristo, cioè tutta la Chiesa. Come in seno alla Trinità lo Spirito Santo era «una specie d'ineffabile comunione tra il Padre e il Figlio, e forse era chiamato così proprio perché questa stessa denominazione poteva convenire al Padre e al Figlio», indicando «la loro reciproca comunione»,63 nella Chiesa questo Spirito univa i fedeli fra loro e con la Trinità, facendo di tutti una cosa sola, dal momento che «il Padre e il Figlio hanno voluto che noi si entrasse in comunione tra noi e con loro per mezzo di Colui che è loro comune, e ci hanno raccolto nell'unità per mezzo di quel dono che è comune ad entrambi, cioè per mezzo dello Spirito Santo, Dio e dono di Dio».64

Poi valutando l'effetto che produceva lo Spirito Santo sull'immagine della Trinità presente nell'uomo, Agostino si confrontò con il rinnovamento interiore prodotto dall'ascesi, che costituiva uno dei momenti fondamentali della giustificazione.65 Allora notava che quando l'uomo rivolge tutte le funzioni della sua mente, vale a dire l'esistenza la conoscenza e l'amore, esclusivamente a Dio, anche l'immagine della Trinità viene rinnovata,66 e si avvicina sempre di più alla fonte all'arricchirsi della memoria, all'accrescere della conoscenza e al rafforzarsi dell'amore.

Certamente per l'Ipponate non era facile contemplare l'immagine della Trinità. La mente doveva ingaggiare una vera e propria lotta con le passioni terrene,67 e una volta superato lo scoglio del mondo sensibile, subito si doveva misurare con la difficoltà di penetrare nella profondità del mistero di Dio.68 Per questo bisognava obbligare la mente a sforzarsi di contemplare,69 senza lasciarsi scoraggiare dagli ostacoli70 e seguendo un percorso graduale di conversione, nella consapevolezza di essere parte di quel mistero.71 La scoperta della sapienza di Dio avrebbe permesso all'uomo di riconoscersi immagine della Trinità e gli avrebbe fatto capire non la verità, ma di essere in quella verità, con la quale Dio aveva creato il mondo.72

Tuttavia la piena somiglianza dell'immagine era destinata alla vita ultraterrena, vale a dire a quando l'uomo ormai immortale potrà essere detto realmente simile al Figlio. In linea con 1 Io. 3, 2 che dice «sappiamo che quando Dio si sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è», l'Ipponate sosteneva che solo nella vita ultraterrena «si realizzerà la piena rassomiglianza di lui» e «la piena visione di lui».73 In altre parole «la somiglianza di Dio sarà perfetta, quando sarà perfetta la visione di Dio; quella visione di cui parla l'apostolo Paolo» in 1 Cor. 13, 12 («Ora vediamo come in uno specchio, in un enigma; ma allora vedremo faccia a faccia») .74 Quando vedremo Dio faccia a faccia, l'immagine della Trinità non sarà più soggetta all'errore e sarà partecipe dell'eternità, ma anche allora, nonostante la somiglianza che avrà raggiunto, sarà sempre diversa dal Figlio, nel senso che sarà sempre una realtà formata e non una forma pura.75 Viceversa nel Figlio, ovvero della seconda persona della Trinità, esisteva da sempre e in forma perfetta la somiglianza. Nel caso del Figlio la somiglianza non poteva assolutamente comportare una differenza in alcuna parte, «di conseguenza quando il Figlio è detto somiglianza del Padre. . ., da nessun punto di vista il Figlio può essere dissimile dal Padre. Egli è dunque uguale al Padre, solo che uno è Figlio e l'altro Padre, cioè uno è la somiglianza e l'altro colui del quale il Figlio è la somiglianza; uno è sostanza e l'altro sostanza, da cui risulta un'unica sostanza».76

In questa prospettiva mistica Agostino cercava di condurre i fedeli alla contemplazione del mistero trinitario come massimo gaudio della vita cristiana.77 Essere conoscere e amare, doveva significare contemplare l'immagine della Trinità presente nella propria interiorità.78 Vivere con lo scopo di contemplare questa immagine presupponeva di non fermarsi a una conoscenza teorica di Dio, ma di sperimentare su se stessi la partecipazione al mistero trinitario. I cristiani, affidandosi alla fede e riconoscendo in se stessi l'immagine della Trinità, erano così incitati a progredire nella somiglianza di Dio, in attesa di poterlo contemplare faccia a faccia dopo la morte.

6. Conclusione

Riflettendo su Gen. 1, 26-27, Agostino fece del tema dell'uomo immagine della Trinità un argomento centrale della sua filosofia, della sua teologia e della sua dottrina spirituale. E in particolare la triade mens notitia amor divenne un motivo fondamentale per giustificare la dottrina platonica della partecipazione alle idee, per rappresentare in maniera conforme alla mente umana le dinamiche intratrinitarie e anche per favorire l'introspezione come la tappa essenziale dell'ascesi.

L'imago Trinitatis provava che l'uomo è una creatura privilegiata, quella che si trova più vicina a Dio. «Sebbene lo spirito umano» non sia «della stessa natura di Dio, tuttavia l'immagine di quella natura che è superiore ad ogni altra» doveva essere «cercata e trovata presso di noi», in ciò che la nostra natura ha di migliore.79 E quello che la nostra natura ha di migliore e costituisce il presupposto di un rapporto personale tra uomo e Dio,80 secondo il nostro autore non era altro che la somiglianza divina, ovvero l'immagine della Trinità impressa nella mente, che si manifesta nella vita spirituale della creatura attraverso l'esistenza la conoscenza e l'amore. Perciò la triade mens notitia amor corrispondeva all'impronta che Dio aveva impresso nell'uomo dal momento della creazione.

Concependo la Trinità come la mente che esiste si conosce e si ama, l'Ipponate esaltò l'interiorità dell'uomo creata a immagine di Dio e scoprì l'autocoscienza, in tutta la sua radicalità di un atto originario, presupposto di ogni possibile conoscenza e desiderio, e quindi di ogni attività dell'anima.81 In una sorta di svolta antropologica, contribuì a trasferire l'uso del termine "persona" dalla teologia trinitaria all'antropologia. La sua teologia trinitaria, che partiva dalla considerazione dell'unità della natura divina, affermava l'unità delle tre persone e vedeva la struttura metafisica dell'essere razionale come immagine della Trinità, segnò un traguardo fondamentale nella riflessione teologica.82 Non a caso prima del V secolo, la principale similitudine adoperata per spiegare la vita intratrinitaria era la creazione dell'universo da parte di Dio: la luce con lo splendore e il raggio, il fuoco con la fiamma e il calore, l'acqua con il fiume e la foce, l'albero con la radice e il frutto.83 Invece dopo il V secolo, questo modello cosmologico venne di fatto sostituito da un modello antropologico. Per esemplificare la vita intratrinitaria si preferì a quel punto la struttura interiore dell'uomo84 e Dio cominciò a essere raffigurato, analogicamente, a partire dall'io umano.

Copyright © 2011 Paola Marone

Paola Marone. «L'uomo imago trinitatis nella produzione letteraria di Agostino». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**50 B].

Note

  1. Sul concetto dell'uomo imago Trinitatis sviluppato nella produzione letteraria di Agostino cfr. C. Boyer, L'image de la Trinité. Synthèse de la pensée augustinienne, in «Gregorianum» 27 (1946), pp. 173-199 e pp. 333-352; F. Cayré, Les images de la Trinité, in «L'Année Théologique Augustinienne» 13 (1953), pp. 363-365; H. Somers, Image de Dieu et illumination divine. Sources historiques et élaboration augustinienne, in Augustinus Magister I, Paris 1954, pp. 451-462; G. Bortolaso, Teologia dell'immagine in Sant'Agostino e San Tommaso, in «La Civiltà Cattolica» 3 (1967), pp. 371-380; T.J. Van Bavel, The Anthropology of Augustine, in «Louvain Studies» 5 (1974), pp. 34-47; V. Grossi, L'antropologia agostiniana. Note previe, in «Augustinianum» 12 (1982), pp. 457-467; G. Bonner, Augustine's Doctrine of Man, in «Louvain Studies» 13 (1988), pp. 41-57; G. Madec, La méditation trinitaire d'Augustin, in «Communio» 24 (1999), pp. 79-102. Testo

  2. Aug., Trin. I,2,4, CCL 50A, p. 31. Testo

  3. Aug., Conf. XIII,11,12, CCL 27, p. 248. Cfr. P. Courcelle, Rechèrches sur les Confessions de saint Augustin, Paris 1950, p. 133. Testo

  4. Cfr. Aug., Ep. 169,2,6, CSEL 44, p. 615. Testo

  5. Ciò che secondo G. O'Daly (La filosofia della mente in Agostino, Palermo 1987, pp. 18-19) distingueva e caratterizzava il pensiero del vescovo d'Ippona era proprio la trattazione delle attività percettive e conoscitive dell'uomo indipendentemente dalle implicazioni ontologiche. Testo

  6. Cfr. P. Hadot, L'image de la Trinité dans l'âme chez Victorinus et chez Saint Augustin, in «Texte und Untersuchungen» 81 (1962), pp. 409-442; N. Cipriani, La presenza di Mario Vittorino nella riflessione trinitaria di Sant'Agostino, in «Augustinianum» 42 (2002), pp. 294-295. Testo

  7. Su Rom. 11,33s cfr. Aug., Trin. I,6,10-12, CCL 50A, pp. 39-42; e su Io. 14,15ss cfr. Aug., Trin. I,8,18-9,19, CCL 50A, pp. 52-56. Testo

  8. Nel passo di Gen. 1,26 l'espressione imaginem et similitudinem riportata dalla Vetus Latina è conforme alla traduzione dei Settanta (κατ' εἰκόνα ἡμετέραν καὶ καθ' ὁμοίωσιν), ma non trova riscontro nel testo ebraico che parla di «immagine somigliante». A questo proposito cfr. A. Rizzi, Dio a immagine dell'uomo? Il linguaggio antropomorfico e antropopatico nella Bibbia, in «Rassegna di Teologia» 35 (1994), pp. 26-57; P. Merlo, L'immagine di Dio, Maschio e femmina in Gn 1,26-27 e nella figura di Dio, in «Anthropotes» 21 (2005), pp. 105-120; F. Manzi, "Dio creò l'uomo a sua immagine". Lettura cristiana della Genesi, in «Rivista Teologica di Lugano» 12 (2007), pp. 161-185; C. Dell'Osso, L'uomo, immagine di Dio: temi di antropologia dei Padri greci, in «Rivista di Scienze religiose» 21 (2007), pp. 9-44. Testo

  9. Aug., Trin. XV,27,49, CCL 50A, p. 530. Testo

  10. Aug., Gen. imp. 16, CSEL 28/1, p. 502. Testo

  11. Ibidem. Testo

  12. Aug., Gen. litt. III,20, CSEL 28/1, p. 86. Testo

  13. Aug., Gen. litt. III,20, CSEL 28/1, p. 87. Testo

  14. Cfr. Aug., Trin. XV,7,11, CCL 50A, p. 475: quod excellit in anima mens vocatur. Al di là dei pochi casi in cui il vescovo di Ippona parlò genericamente di animus (cfr. p.es. Trin. XV,1,1, CCL 50A, p. 460), con il termine mens indicò generalmente la parte superiore dell'anima. Testo

  15. Cfr. B. Mondin, Antropologia teologia, Alba 1977, p. 104. Testo

  16. Aug., Symb. 1,2, CCL 46, p. 186. Testo

  17. Aug., Trin. XII,7,12, CCL 50A, p. 366. Testo

  18. Ibidem. Cfr. anche Aug., Trin. IX,3,3, CCL 50A, p. 295s. Sulla natura dell'anima e del corpo, secondo A. Trapè (Patrologia, III, Torino 1978, p. 390), «Agostino superò di molto lo spiritualismo di tipo ellenico, anche se continuò qua e là, specialmente nella predicazione, ad usarne il linguaggio». Testo

  19. Aug., Civ. XI,25, CCL 48, p. 344. Sull'illuminazione cfr. B. Jansen, Augustini theoria illuminationis, in «Gregorianum» 11 (1930), pp. 146-158; R. Jolivet, La doctrine augustinienne de l'illumination, in Mélanges augustiniennes publiés à l'occasion du XVe centenaire de saint Augustin, a cura di F. Cayré et al., Paris 1931, pp. 52-172; I. Quiles, Para una interpretación de la iluminación agustiniana, in «Augustinus» 3 (1958), pp. 255-268; F. Körner, Abstraktion oder Illumination?, in «Recherches Augustiniennes» 2 (1962), pp. 81-109; A. Sage, La dialectique de l'illumination, in «Recherches Augustiniennes» 2 (1962), pp. 111-123; F.-J. Thonnard, La notion de lumière en philosophie augustinienne, in «Recherches Augustiniennes» 2 (1962) (1962), pp. 125-175; R.J. Connelly, Light and Reality in Saint Augustine, in «The Modern Schoolman» 56 (1979), pp. 237-250; E. Gilson, Introduzione allo studio di Sant'Agostino, tr. it., Casale Monferrato 1983, pp. 87-120. Testo

  20. Sui punti di contatto che esistono tra Agostino e Platone cfr. R. Pozzi, Note sulla presenza del Neoplatonismo nel pensiero filosofico di sant'Agostino, in «Euntes Docete» 55 (2002), pp. 107-131. Testo

  21. Aug., Civ. XI,26, CCL 48, p. 645. Sulla triade mens notitia amor cfr. E. Bromuri, Le trinità analogiche secondo S. Agostino, Roma 1958; Idem, Le analogie trinitarie di S. Agostino tra psicologia e mistica, in Congresso Internazionale su S. Agostino nel XVI Centenario della Conversione, Roma 15-20 settembre 1986, Roma 1987, pp. 169-185. Testo

  22. Agostino valutò spesso il creato in termini trascendentali, ma si pronunciò esplicitamente sulla dottrina platonica delle idee nel De diversis quaestionibus LXXXIII (q. 46, CCL 44A, pp. 70-73). Per un'esposizione d'insieme su questo tema cfr. H. Meyerhoff, On the Platonism of St. Augustine's Quaestio "De ideis", in «The New Scholasticism» 16 (1942), pp. 16-45. Testo

  23. Cfr. Aug., Div. quaest. LXXXIII, q. 46,2, CCL 44A, p. 72s. Testo

  24. Il termine "partecipazione" aveva senza dubbio un'origine platonica, e andava letto alla luce della teoria delle idee, nell'ambito della quale esprimeva il rapporto che la realtà sensibile dei singoli (concreti) ha con la realtà intelligibile universale (astratta). Sulla partecipazione nella prospettiva agostiniana cfr. M. Marrocco, Partecipation in Divine Life in the "De Trinitate" of St. Augustine, in «Augustinianum» 42 (2002), pp. 149-185. Testo

  25. Cfr. Aug., Div. quaest. LXXXIII, q. 51,4, CCL 44A, p. 81s; Idem, Trin. VII,6,12, CCL 50A, p. 265s. Testo

  26. Cfr. Aug., Ver. rel. 39,72, CCL 32, p. 234. Testo

  27. Cfr. Aug., Civ. X,2, CCL 48, p. 274. G. Santinello (Storia del pensiero occidentale, II: Dagli inizi del cristianesimo al sec. XIV, Milano 1975, p. 199) ha messo in evidenza che, anche in ambito cristiano, la presenza a priori di criteri di verità era fondamentale per pronunziare giudizi veri. Testo

  28. Cfr. S. Vanni-Rovighi, La filosofía patrística y medieval, in C. Fabro, Historia de la filosofía, I, Madrid 1965, p. 217 Testo

  29. Aug., Trin. IV,2,4, CCL 50A, p. 163. Cfr. S. Biolo, L'autocoscienza in S. Agostino, (Analecta Gregoriana, 172), Roma 2000, pp. 137ss. Testo

  30. Cfr. Aug., Div. quaest. LXXXIII, q. 46, 2, CCL 44A, p. 71s. Testo

  31. Cfr. Aug., Trin. XV,23,44, CCL 50A, p. 521s. Sulla stessa linea cfr. anche Aug., Tract. Ev. Io. XIV,1, CCL 36, p. 141. Testo

  32. Cfr. Aug., Trin. XV,23,44, CCL 50A, p. 522; XV,25,45, CCL 50A, p. 523s. Testo

  33. Cfr. Aug., Serm. 23,15, CCL 41, p. 317. Testo

  34. Cfr. Aug., Solil. I,1,2, CSEL 89, p. 4. Testo

  35. M.F. Sciacca, Sant'Agostino, Palermo 1991, p. 267. Testo

  36. Cfr. Aug., Serm. 117,3,5, PL 38, c. 663. A tale proposito l'Ipponate diceva nell'Ep. 147 (Ep. 147,6,18, CSEL 44, p. 289): «è qui presente, eppure non lo si vede», e anche (Ep. 147,21,9, CSEL 44, p. 295): «una cosa infatti è vedere, un'altra è percepire interamente con la vista: poiché si vede ciò che si percepisce in qualche modo presente: ma si percepisce con la vista nella sua interezza una cosa di cui nessuna parte sfugge a chi la guarda o di cui si possano abbracciare con la vista i limiti». Testo

  37. Cfr. Aug., Serm. Dom. II,3,14, CCL 35, p. 103s. Testo

  38. Aug., Ver. rel. 55,113, CCL 32, p. 259. Testo

  39. Aug., Solil. II,1,1, CSEL 89, p. 45. Testo

  40. Aug., Conf. XIII,11,12, CCL 27, p. 247. Testo

  41. Cfr. Aug., Trin. XV,3,5, CCL 50A, p. 463ss. Testo

  42. Cfr. Aug., Trin. IX,4,4, CCL 50A, p. 296s. Testo

  43. Cfr. Aug., Trin. IX,5,8, CCL 50A, p. 300s. Sulla dialettica della coscienza una e molteplice cfr. G. Lettieri, La dialettica della coscienza nel "De Trinitate", in L. Alici, Interiorità e intenzionalità in S. Agostino. Atti del I e del II Seminario Internazionale del Centro di Studi Agostiniani di Perugia, in «Studia Ephemeridis Augustinianum» 32 (1990), pp. 145-176. Testo

  44. Aug., Trin. IX,5,8, CCL 50A, p. 300. Testo

  45. Secondo l'Ipponate (cfr. Trin. IX,3,3, CCL 50A, p. 295s), proprio nel momento in cui il pensiero amava la mente, affermava naturalmente l'esistenza della mente stessa, dato che la mente non avrebbe potuto amare se stessa senza avere coscienza di sé, cioè senza avere la consapevolezza della propria esistenza. Testo

  46. Aug., Civ. XI,26, CCL 48, p. 346. Testo

  47. Agostino associò all'anima vari schemi ternari, in stretta analogia con la Trinità. Tali schemi, ovvero esistenza-conoscenza-volontà (cfr. Trin. XI,5,9, CCL 50A, p. 344s), mente-conoscenza-amore (cfr. Trin. IX,4,4, CCL 50A, p. 296s) e memoria-intelligenza-volontà (cfr. Trin. X,11,17-18, CCL 50A, pp. 329-331), secondo Hadot (L'image de la Trinité, p. 441), avevano un significato puramente psicologico, dato che non erano mai tradotti in termini ontologici o metafisici. Testo

  48. Secondo N. Cipriani (Il mistero trinitario nei Padri, in «Pontificia Academia Theologica» 2 [2003], p. 66), Agostino era «pienamente consapevole di giungere a conclusione di un lungo cammino percorso dalla teologia cattolica. Già nel De fide et symbolo del 393 aveva fatto un primo e provvisorio bilancio della teologia precedente. A suo avviso, mentre del Padre e del Figlio era stato detto molto, dello Spirito Santo restava ancora molto da dire: era stata provata la sua divinità, era stato precisato che egli è il dono di Dio e che non procede per via di generazione né dal Padre né dal Figlio, ma non era stata ancora indicata la sua proprietà personale né chiarita la differenza tra generazione e processione». Testo

  49. Cfr. Aug., Trin. X,1,1-2,4, CCL 50A, p. 310ss. Testo

  50. Ibidem. Testo

  51. V. supra n. 4. Testo

  52. Cfr. Aug., Trin XV,7,11, CCL 50A, p. 474s. Testo

  53. Ibidem. Testo

  54. Aug., Civ. XI,26, CCL 48, p. 345. Testo

  55. V. supra n. 21. Testo

  56. Aug., Trin. XV,23,43, CCL 50A, p. 520. Testo

  57. Cfr. E. Gilson, Introducción a la Filosofía medieval, Madrid 1986, p. 122. Testo

  58. Aug., Ver. rel. 39,72, CCL 32, p. 234. Testo

  59. Aug., Conf. I,1, CCL 27, p. 1. Testo

  60. Cfr. O. Du Roy, L'intelligence de la foi en la Trinité selon saint Augustin. Genèse de sa théologie trinitaire jusqu'en 391, Paris 1966, p. 453. Testo

  61. Aug., Div. quaest. LXXXIII, q. 67,4, CCL 44A, p. 167. Testo

  62. Aug., Retract. I,16,2, CCL 57, p. 52. Testo

  63. Aug., Trin. V,11,12, CCL 50A, p. 219. Testo

  64. Aug., Serm. 71,12,18, PL 38, c. 454. Cfr. R. Tremblay, La théorie psycologique de la Trinité chez saint Augustin, in Études et recherches. Cahiers de théologie et de philosophie (Cahier VIII), Paris-Ottawa 1952, pp. 83-109. Testo

  65. Cfr. Aug., Trin. I,8,17, CCL 50A, p. 50ss. Testo

  66. Sul rinnovamento interiore inteso come progresso nella sapienza divina cfr. G. Santi, Dire l'essere: La sapienza in Agostino, in «Doctor Seraphicus» 46 (1999), pp. 13-38. Testo

  67. Cfr. Aug., Tract. Ev. Io. XXXIV,10, CCL 36, p. 316; Idem, Ver. rel. 35,65, CCL 32, p. 229s. Testo

  68. Cfr. Aug., Solil. I,13,23, CSEL 89, p. 35. Testo

  69. Cfr. Aug., Gen. litt. XII,31,59, CSEL 28/1, p. 425. Testo

  70. Cfr. Aug., Trin. XV,6,10, CCL 50A, p. 472. Testo

  71. V. supra n. 69. Testo

  72. Cfr. G. Santi, Interiorità e verbum mentis, in Interiorità e Intenzionalità in S. Agostino. Atti del I e II Seminario Internazionale del Centro di Studi Agostiniani di Perugia a cura di Luigi Alici, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 1990, pp. 133-143. Testo

  73. Aug., Trin. XIV,18,24, CCL 50A, p. 455. Testo

  74. Aug., Trin. XIV,17,23, CCL 50A, p. 455. Testo

  75. Cfr. Aug., Trin. XV,14,24-16,26, CCL 50A, pp. 497-501. Sulla differenza tra l'immagine della Trinità presente nell'uomo e l'immagine della Trinità presente nel Figlio cfr. P. Marone, Il silenzio e la parola in Agostino: dalla conoscenza di sé alla conoscenza di Dio, in «Sapienza. Rivista di Filosofia e Teologia» 63 (2010), pp. 354-361. Testo

  76. Cfr. Aug., Div. quaest. LXXXIII, q. 23, CCL 44A, p. 28. Testo

  77. Cfr. Aug., Trin. I,8,17, CCL 50A, p. 50ss. Testo

  78. Cfr. Aug., Trin. XV,20,39, CCL 50A, p. 516s. Testo

  79. Cfr. Aug., Trin. XV,8,14, CCL 50A, p. 480. Testo

  80. E. von Ivánka (Platonismo cristiano, trad. it. a cura di E. Peroli, Milano 1992, p. 153s) ha ricondotto la somiglianza divina alla volontà rivolta a Dio, all'amore di Dio, senza disconoscere che nella concezione agostiniana, non sarebbe possibile dedizione a Dio, se l'amore e la conoscenza di Dio non fossero già presenti nell'anima, sia pure in maniera inconsapevole. Testo

  81. A. Milano, Persona in teologia, Napoli 1984, p. 317. Testo

  82. Sulla fortuna della dottrina agostiniana dell'imago Trinitatis cfr. N. Ciola, Immagine di Dio -- Trinità e socialità umana. Un'eredità e un compito per l'animazione cristiana dell'Europa, in Idem, Cristologia e Trinità, Roma 2002, pp. 159-187; e in particolare sull'utilizzazione della dottrina agostiniana dell'imago Trinitatis nell'ambito della teologia contemporanea cfr. P. Sguazzardo, Sant'Agostino e la teologia trinitaria del XX secolo. Ricerca storico-ermeneutica e prospettive speculative, Roma 2006. Testo

  83. Cfr. H.A. Wolfson, La filosofia dei Padri della Chiesa. Spirito, Trinità, Incarnazione, I, Brescia 1978, pp. 269-273; 319-320. Testo

  84. Cfr. P. Henry, Saint Augustine on Personality, New York 1960, pp. 13-15. Testo

Copyright © Elaborare l'esperienza di Dio 2011 | teologia@mondodomani.org