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L'affermazione della Trinità come radicalizzazione del monoteismo in Karl Rahner

di Milena Mariani (Roma, 26-28 maggio 2011)

Tra i monoteismi religiosi solo il cristianesimo afferma che il Dio uno e unico è Trinità. Karl Rahner (1904-1984), dispiegando la riconosciuta potenza speculativa e attingendo alla profonda spiritualità, giunge a sostenere che questa affermazione rappresenta una «chiarificazione [Verdeutlichung] » e «radicalizzazione [Radikalisierung] » del monoteismo, anziché esserne un'estenuazione o un'impraticabile appendice come rimproverano ebraismo e islam. L'argomentazione della tesi viene sviluppata in un saggio che risale alla fine degli anni Settanta e reca il titolo Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes im Gespräch mit dem Islam, pubblicato nel volume XIII delle Schriften zur Theologie.1 A questo scritto e ad una breve puntualizzazione coeva e altrettanto preziosa, intitolata Über die Dreifaltigkeit Gottes,2 mi appoggio in particolare in questa mia ricerca. Entrambi i saggi offrono tracce più che esposizioni distese, il primo con un percorso talora faticoso, scandito da alcune anticipazioni di tesi poi argomentate e frequenti ritorni, il secondo in modo più limpido. Tracce, dunque, che incrociano tuttavia i temi maggiori della teologia trinitaria di Rahner e ne evidenziano le convergenze e le confluenze.

Su queste tracce si pone il mio contributo, che implicherà necessariamente le questioni più dibattute della teologia trinitaria del teologo tedesco (mi riferisco, in particolare al concetto di persona e al cosiddetto Grundaxiom),3 ma perseguirà la delineazione del profilo che si è scelto nel titolo e che è parso nitidamente distinguibile. Una traccia, dunque, anche quella presentata dal mio lavoro, che si articola in cinque parti. Nella prima riprendo alcune considerazioni sul divario esistente tra professione di fede trinitaria e fede di fatto vissuta e praticata; nella seconda mi occupo della caratterizzazione rahneriana del monoteismo cristiano rispetto ad altre espressioni monoteistiche; con la terza parte entro nello specifico del rapporto tra monoteismo cristiano e Trinità; proseguo con un affondo dedicato più precisamente alla pretesa «radicalizzazione» del monoteismo; infine, ritorno all'incipit, nel dubbio che si possa ulteriormente approfondire l'affermazione del teologo tedesco, in coerenza con tracce da lui fornite altrove.

1. Centralità e incongrua latitanza della dottrina trinitaria

Non v'è alcun dubbio che l'affermazione della Trinità dell'unico Dio occupi una posizione centrale nella professione di fede cristiana ed esprima la differenza sostanziale tra il monoteismo cristiano e gli altri monoteismi religiosi.4 Si tratta -- ricorda Rahner nel citato Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes -- di un'affermazione maturata «in una storia della fede e della teologia divenuta sempre più chiara ed esplicita».5 Con una duplice conseguenza: da un lato, l'evidente irrinunciabilità dell'affermazione trinitaria da parte cristiana; dall'altro lato, la reazione dei grandi monoteismi religiosi -- il «monoteismo anticotestamentario» e «la fede dell'Islam e la sua teologia» -- che al cristianesimo domandano

se tale sua professione non rappresenti in fondo un triteismo semplicemente inaccettabile e se la confessione cristiana dell'unicità di Dio funga solo da velo per esso, o (qualora non si dovesse affermare questo in modo così radicale) se esso sia una dottrina in realtà impraticabile sotto il profilo religioso e logico da parte di colui che vede nella professione dell'unicità di Dio non una proposizione mantenuta in qualche modo soltanto sul piano verbale e teoretico, bensì il centro della sua esistenza in teoria e in pratica.6

Conviene proseguire, prima di soffermarsi sulle due obiezioni così espresse, per raccogliere l'interrogativo che secondo Rahner il cristianesimo potrebbe viceversa rivolgere agli altri due monoteismi:

Naturalmente, a sua volta, anche il cristianesimo potrebbe porre tale domanda alle altre due religioni mondiali e chiedere loro se esse (presupposta una storia vera e propria della rivelazione in cui il contenuto unitario e ultimo della sostanza della fede si articola lentamente e in modo più chiaro, ma poi non più dimenticabile) non rimangano indietro rispetto alla chiarificazione e alla radicalizzazione del monoteismo espresse precisamente nella dottrina della Trinità [ob nicht ... diese beiden Weltreligionen hinter jener Verdeutlichung und Radikalisierung des Monotheismus zurückbleiben, die gerade in der Trinitätslehre zum Ausdruck kommen]. Ma dato il compito assegnatomi, basterà prendere in esame la prima forma di domanda.7

Si coglie da questo cenno, ovviamente misurato, non solo la sensibilità rahneriana rispetto alla dimensione storica della fede e della teologia, ma insieme la consapevolezza della portata delle argomentazioni e conclusioni che il teologo si accinge a presentare nella sua rinnovata interpretazione della dottrina trinitaria. Il tentativo ha certamente in sé una forte componente apologetica, riconosciuta dall'Autore che lo definisce anzi una «apologetica di una dottrina trinitaria rettamente intesa di fronte al tribunale di un chiaro monoteismo [vor dem Forum eines eindeutigen Monotheismus] ».8 Al contempo, però, esso mira a sollevare il duplice interrogativo su che cosa implichi ultimamente una fede monoteistica e a quali condizioni possa presentarsi come antidoto radicale contro i sempre risorgenti politeismi.

Se questo è l'interesse reale del tentativo compiuto, è chiaro che Rahner accoglie e insieme supera la portata delle due domande introdotte in precedenza. Esse meritano tuttavia un vaglio attento. La prima, infatti, segnala un punto di possibile, grave ambiguità nella presentazione della fede trinitaria, ambiguità che di fatto è affiorata in alcuni momenti della storia della fede e della teologia cristiane e che gli altri monoteismi qualificano come un inaccettabile triteismo, solo camuffato da una velatura monoteistica. La seconda obiezione evidenzia invece un problema che nel contesto odierno ha subìto obiettivamente un'acutizzazione, vale a dire l'effettiva praticabilità «sotto il profilo religioso e logico» della dottrina trinitaria, sempre che non la si voglia conservare soltanto «sul piano verbale o teoretico».

Dal punto di vista del teologo, se è evidente che sarebbe contraddittorio ammetterne l'impraticabilità, nondimeno non si può negare che la centralità affermata di diritto pare essere frequentemente smentita di fatto. Tanto da far dire a Rahner, nell'altro saggio sopra menzionato, Über die Dreifaltigkeit Gottes, che «la confessione di fede ufficiale e la fede praticamente vissuta stanno rispetto alla Trinità in un rapporto di tensione singolare [in einem seltsamen Spannungsverhältnis] ».9 Si verifica insomma una sensibile latitanza della dottrina trinitaria dalla consapevolezza e dal vissuto dei cristiani, latitanza che assume forme differenti. I Nomi divini sono spesso ridotti a «tre parole, che dicono ad una stessa persona assolutamente la stessa cosa [dasselbe], cioè l'unico Dio come origine e fine dell'esistenza umana». Il cristiano comune si rivolge semplicemente a Dio, ad un unico Dio inafferrabile e spesso nascosto in una lontananza abissale e silente, lo prega, non dubita della sua esistenza e in tutto questo, posto di fronte alla fede professata dagli altri monoteismi, non comprende dove stia la differenza, poiché in fondo le «tre parole» dicono semplicemente la stessa cosa e nell'uso corrente rimane un'unica parola, cioè "Dio".10 La situazione può essere descritta in questi termini. Quand'anche si ammettesse che il singolo credente non è in grado di assumere nella propria esistenza tutta l'enorme ricchezza e complessità della coscienza di fede della Chiesa intera, tanto più in un tempo di pluralismo che Rahner non teme di definire "concupiscente",11 nondimeno va còlta l'urgenza di rendere possibile almeno «un certo avvicinamento tra la fede autentica della Chiesa e la fede concretamente realizzata dal singolo», salvo rassegnarsi alla riduzione della confessione trinitaria a «una formula vuota puramente teologica».12

D'altra parte, la «disattenzione epocale alla Trinità» non può essere addebitata soltanto al cosiddetto "cristiano comune".13 In più occasioni Rahner sottolinea le responsabilità, storiche e più recenti, della teologia e del magistero.14 Sul versante teologico, Rahner ricorda la consolidata abitudine di scuola di collocare prima del trattato De Deo trino il De Deo uno, dotandolo di una sorta di autosufficienza e utilizzando un linguaggio e categorie molto astratte e filosofiche. Non solo: nella considerazione della Trinità, il primato assegnato alla Trinità immanente, a partire da Agostino in poi, ha fatto sì che la Trinità economica scivolasse indietro sino ai capitoli dedicati alla cristologia e alla dottrina della grazia, con un arretramento che è sembrato avvalorare l'impressione complessiva della sua scarsa rilevanza.15 Se si guarda poi allo sviluppo della storia dei dogmi, emerge che dalle «affermazioni storico-salvifiche non sistematizzate su Padre, Figlio e Spirito» del Nuovo Testamento si è giunti ad un'elaborazione sistematica sulla Trinità, in cui si parla dell'unica natura divina in tre persone. Quanto al versante magisteriale, si fa notare che dopo il concilio di Firenze non si sono avuti al riguardo «progressi o cambiamenti di un certo peso sotto il profilo religioso o kerygmatico» e persino dalle proposizioni del Concilio Vaticano II la dottrina della Trinità non emerge come «tema effettivamente fondamentale».16

Nel suo recente bilancio, Luis F. Ladaria riconosce un «deficit trinitario» nel Grundkurs, dipendente a suo giudizio dal fatto che in Rahner il discorso sulla Trinità «si sviluppa in gran parte ... in funzione dell'antropologia», cioè del destinatario dell'autocomunicazione di Dio; pur tuttavia occorre aggiungere che la teologia trinitaria del teologo tedesco viene articolata anche altrove, in molte occasioni, con tale ricchezza di temi e con un ruolo tale nella correlazione dei trattati che non si può certo parlare di un suo scarso peso complessivo.18

Un giudizio che reputo fondato ed equilibrato. Nondimeno la relativa latitanza del tema nel Grundkurs des Glaubens rafforza l'idea che la centralità della dottrina trinitaria non possa mai darsi per scontata neppure per la teologia. Dall'uno e dall'altro versante, dunque, da un'evidente necessità interna al cristianesimo e dalle obiezioni assai pertinenti degli altri monoteismi, proviene l'invito ad una rinnovata intelligenza della fede trinitaria. È compito del teologo -- ribadisce Rahner in Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes -- non limitarsi a ripetere la dottrina ecclesiastica definita, bensì interpretarla, persino «a proprio rischio e pericolo», appoggiandosi talora a teologumeni e interpretazioni ancora in parte controversi.19

2. Monoteismi e monoteismo cristiano

Se si considerano l'ordine delle argomentazioni e il peso assegnato ai singoli argomenti nel saggio appena ricordato, si ricava con chiarezza l'idea che gli equivoci trinitari discendono, in ultima analisi, da malintesi riguardanti il monoteismo religioso. La tesi, in apparenza audace, non è altro che il corrispettivo dell'altra, quella fondamentale, enunciata all'inizio di questo mio contributo. Se infatti l'affermazione trinitaria costituisce la «radicalizzazione» del monoteismo, ciò significa per converso che si dà un monoteismo malinteso o non-ancora-del-tutto compreso nelle sue implicazioni ultime. Di quale monoteismo dunque si parla? In che cosa il monoteismo cristiano si differenzia dagli altri, tanto da ritenere di poter accogliere una distinzione trinitaria in Dio? Non può essere che proprio da un approfondimento insufficiente del significato e delle implicazioni dell'affermazione monoteistica nascano le incomprensioni o addirittura il rifiuto della concezione trinitaria di Dio?

È chiaro che la caratterizzazione rahneriana qui presentata -- e tanto più l'altra cui faremo tra poco riferimento, risalente agli anni Quaranta -- si presta a sua volta ad essere indagata e sottoposta a critica quanto alla sua pertinenza. Si sottolinea infatti sempre più frequentemente la complessità, che pare inesauribile, del fenomeno del monoteismo e la difficoltà di pervenire ad una sua definizione persuasiva.20 Posta questa premessa necessaria, occorre in ogni caso riconoscere che il teologo procede con la consueta cautela e rigore argomentativo. Il monoteismo cristiano -- premette -- riconosce la propria dipendenza dal monoteismo anticotestamentario non diversamente dall'Islam21 e, nel momento stesso in cui conferma la centralità della confessione di fede nel Dio trino, non recede in alcun modo dal proporsi come monoteismo primario e non puramente secondario.22 La fede nell'unico Dio è «il vero dogma fondamentale del cristianesimo», il cui significato va però correttamente inteso:

la confessione dell'unicità di Dio non è in primo luogo un'affermazione metafisica, anche se questa è necessariamente in essa implicita. Si tratta piuttosto di una proposizione che appartiene e va professata nell'ambito della storia della salvezza e della rivelazione. Il cristianesimo non dice primariamente: esiste un unico assoluto, bensì: colui che si manifesta agendo nella storia della salvezza e della rivelazione è Dio; verso di lui soltanto possiamo avere realmente quel rapporto di dedizione assoluta che costituisce l'essenza fondamentale della religione. L'affermazione dell'unicità di Dio non riguarda perciò un assoluto astratto, accanto a cui non sarebbe possibile per definitionem e in linea di principio pensarne un altro, bensì il Dio sperimentato concretamente nella sua azione verso di noi, il Dio di Abramo, di Isacco, il Dio dei profeti, il Dio di Gesù Cristo.23

Conviene anche in questo caso seguire il percorso dell'argomentazione, prima di sostare sulla distinzione introdotta tra il monoteismo cristiano (che riconoscerebbe «il Dio sperimentato concretamente» nella storia), quello solo "metafisico" (che affermerebbe un «assoluto astratto») e gli altri monoteismi religiosi. Se vale quanto detto -- continua lo studioso -, si complica anziché semplificarsi la "pretesa" dell'affermazione monoteistica. Perché, se essa rimandasse ad un'evidenza metafisica, un monoteista di tal genere avrebbe in fondo buon gioco di fronte a chi non comprendesse «la necessaria unicità di un assoluto» o davanti a chi ponesse l'uno accanto all'altro due assoluti, come nel caso di gnostici o manichei. Invece, l'affermazione cristiana concerne «un concretum absolutum ed è quindi tutt'altro che ovvia».

Rahner utilizza qui la celebre e feconda espressione del Cusano (De docta ignorantia, I, 2, 7). Se la si assume seriamente, essa diviene appunto nient'affatto ovvia e tutt'altro che evidente, perché pone di fronte a un'ardua alternativa: o «quell'orizzonte dell'esperienza religiosa» è davvero quello che riesce a raccogliere e legittimare la molteplicità e contraddittorietà apparente delle esperienze religiose e numinose, unendole in «un'unica storia salvifica universale» sul fondamento della propria unicità, oppure «questa intenzionalità religiosa ha semplicemente fallito il proprio orizzonte, adora un idolo e non Dio».24 La difficoltà di una tale posizione risulta peraltro chiara quando si considerino le due tendenze costanti nella storia dell'umanità: quella di ritenere ovvio un qualche politeismo, riflesso o irriflesso, come corrispettivo del pluralismo di esperienze religiose, oppure, nel caso ci si sottragga al politeismo per un imbarazzo perlopiù d'ordine metafisico, quella di collocare l'unità ultima che si vuol sottesa al pluralismo ad una distanza che la renda religiosamente irrilevante. Politeismo e metafisica monoteistica sembrano dunque le vie più praticabili e di fatto praticate.

In una differenza radicale dalla prima opzione e alquanto significativa rispetto alla seconda si collocano i monoteismi religiosi, per i quali

quest'unità ultima e del tutto originaria, che tutto sorregge ed è infinita e onnipotente, non abita in una solitudine lontana e per principio sottratta all'uomo, ma può inserirsi ed essere presente essa stessa nel pluralismo di questo mondo, divenire essa stessa concreta senza frantumarsi. Il monoteismo del cristianesimo e delle altre due religioni mondiali va perciò concepito sia come monoteismo concreto sia come monoteismo universale.25

La riaffermazione così intesa del concretum absolutum comporta una conseguenza che Rahner esprime in termini cristiani, sapendo evidentemente di non incontrare il favore degli altri monoteismi e tuttavia approssimandosi in questo modo al tema cruciale delle mediazioni di Dio:

Se il Dio del monoteismo religioso -- nonostante la sua infinità, incomprensibilità e trascendenza sul mondo (come creatore) -- è il Dio concreto, che si mostra qui dove noi siamo, e senza frantumarsi in un pluralismo di potenze numinose, allora tali tre religioni monoteistiche posseggono inevitabilmente, ognuna a proprio modo e con diversa radicalità, una qualità (detta in termini cristiani) incarnatoria, perché la concretezza di Dio, che agisce nella storia, deve permettere a costui di essere presente proprio con la sua stessa unica divinità reale. Il fatto che tale qualità incarnato ria, data con un monoteismo così concepito, si riferisca poi a un' "alleanza", a un libro sacro, che è realmente un libro di Dio stesso, a un uomo determinato che è la presenza di Dio, è un'altra questione.26

La direzione del percorso diventa sempre più evidente. Lo snodo decisivo è indicato nel modo in cui si concepisce la mediazione di Dio. Ma meritano di esser riprese pur brevemente le caratterizzazioni delle diverse forme di monoteismo, incontrate in precedenza. La precisazione mi dà modo di ricordare un ampio contributo del teologo tedesco, risalente ai primi anni Quaranta e pubblicato poi nel volume I delle Schriften, che reca il titolo Theos im Neuen Testament.27 Un contributo che va ritenuto decisivo non soltanto per il problema ora indagato, ma per la complessiva riflessione rahneriana de Deo, di cui emerge qui la fondazione biblica, mai più ritrattata nelle acquisizioni fondamentali.

Nella caratterizzazione più generale del concetto cristiano di Dio rispetto ad altre concezioni al di fuori del cristianesimo, Rahner sottolinea tre aspetti: il fatto che esso non esclude e semmai conferma la conoscenza che del «Dio unico, trascendente e personale» si può avere altrove «per via naturale e soprannaturale»; il suo porsi come protesta «contro ogni deificazione, politeistica o panteistica, del mondo»; il fatto, infine, che esso chiarisce in modo definitivo il rapporto liberamente stabilito da Dio con il mondo nei termini dell'incarnazione del Figlio di Dio e della chiamata per l'uomo alla partecipazione alla vita trinitaria.28 Il successivo passaggio riguarda il confronto tra il concetto di Dio nell'Antico Testamento e quello presente nel Nuovo Testamento, non senza che si faccia riferimento al Dio raggiunto in una speculazione metafisica. Se in quest'ultimo caso ci si eleva dal mondo alla causa prima, per poi concludere alla spiritualità e personalità di Dio, sempre però in modo puramente formale, il monoteismo AT fa leva invece sull'esperienza dell'azione salvifica di JHWH nella storia e, dunque, non afferma: «c'è un Dio, la causa prima del mondo in definitiva è una», bensì «JHWH è l'unico Dio». Anche il concetto di Dio nel NT non risulta frutto di faticose riflessioni metafisiche, ma deriva da quel che viene compreso della rivelazione della natura di Dio nel Cristo,29 cosicché il monoteismo neotestamentario potrebbe riassumersi nella formula: «Colui che si è manifestato attivamente nel Cristo e nella realtà salvifica spirituale da lui introdotta nel mondo è l'unico Dio».30 Il teologo aggiunge un'ulteriore, non trascurabile esplicitazione per segnalare la differenza tra monoteismo AT e monoteismo NT: essa consisterebbe «nell'affermazione che il Padre di nostro Signore Gesù Cristo è l'unico Dio, mentre il giudaismo lo nega».31

Non si può non cogliere una sottolineatura inconsueta, di cui Rahner è peraltro ben consapevole e che difende appoggiandosi ad un'accurata ricerca lessicale, dalla quale risulta che l'espressione ho theòs nel NT propriamente significa -- e non solo indica comunemente -- il Padre, la prima persona della Trinità.32 Questo rilievo contribuisce, secondo il teologo, a fare chiarezza in una serie di questioni. La sua acquisizione comporterebbe anzitutto una conseguenza sul versante della vita di fede:

Se "Dio" significa il Padre e ci abituiamo all'uso di questo termine, quando "preghiamo Dio" e, ammaestrati da Cristo, diciamo: "Padre nostro" (cfr. Lc 6, 12), saremo più chiaramente consci che invochiamo il Padre di nostro Signore Gesù Cristo. Così sarà molto più viva la struttura trinitaria di tutta la nostra vita religiosa e la coscienza della mediazione di Cristo di fronte al Padre molto più evidente che se, nel pregare "Dio", tale termine ci richiamasse alla coscienza solo il Dio della teologia naturale e la Trinità in genere e perciò anche solo in modo molto confuso.33

Lo studioso chiarisce poco oltre il proprio intento e la preferenza per l'impostazione trinitaria che qualifica come "greca" sulla scia del diffuso trattato di Théodore de Régnon, Études de Théologie positive sur la Saint Trinité (Paris 1892) 34 e che ritiene più consona alla testimonianza NT:

Dicendo che nel linguaggio del NT ho theòs significa il Padre, non intendiamo affermare che lo significa sempre in quanto è Padre del Figlio unigenito in virtù della generazione eterna. Si vuol dire solo che nel NT, quando si pensa al Padre, si ha presente la persona concreta, individuale e inconfondibile, qual è effettivamente il Padre e che si chiama ho theòs. Viceversa, quando si parla di ho theòs, non si ha in vista primariamente l'essenza divina, che sussiste nelle tre ipostasi, ma la persona concreta, che possiede l'essenza divina senza riceverla da altri e la comunica anche al Figlio per generazione e allo Spirito Santo per spirazione. È facile riconoscere che questo risultato dimostra con maggiore esattezza che la concezione trinitaria chiamata greca da de Régnon, sia pure con poca esattezza, si avvicina al linguaggio biblico molto più che non quella da lui stesso detta latina o scolastica. La concezione latina parte dall'unità dell'essenza divina (un solo Dio in tre persone), per cui l'unità dell'essenza divina è il presupposto di tutta la dottrina trinitaria. La greca invece inizia dalle tre persone (tre persone aventi un'unica essenza) o, meglio, dal Padre, che fa procedere da sé il Figlio e per suo mezzo lo Spirito Santo, sicché l'unità e l'identità dell'essenza divina sono concepite come conseguenza della comunicazione da parte del Padre di tutta la sua essenza.35

Rahner si appoggia dunque alla testimonianza scritturistica per far risaltare un irrigidimento, evidente in particolare nello sviluppo della teologia trinitaria latina, che ha di fatto provocato un sensibile allontanamento dal linguaggio biblico, ma soprattutto -- ed è la questione cruciale per l'impostazione complessiva della sua trinitaria -- ha indotto un progressivo cedimento rispetto all'irrinunciabile punto di partenza dato dall'esperienza economico-salvifica, che caratterizza il monoteismo giudaico, prima, e quello cristiano, poi.

Nel momento stesso in cui, però, si introduce il termine "persona" e ci si riporta alla Trinità immanente, è evidente che si risvegliano altri problemi, relativi sia alla convenienza e intelligibilità del concetto di "persona" in contesto trinitario sia, di nuovo, al rapporto tra "questo" monoteismo e l'asserzione trinitaria. Si tratta di temi attentamente e lungamente indagati dal teologo nel percorso successivo a Theos im Neuen Testament e necessariamente implicati nel percorso disegnato in Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes.

3. Monoteismo cristiano e Trinità

Rahner si preoccupa costantemente, ripetendosi spessi sui medesimi registri, di sgombrare il campo dai fraintendimenti che impediscono di comprendere il contenuto reale della dottrina trinitaria. Essi possono in parte spiegare -- così l'autore si esprime nel saggio appena ricordato -- la reazione fortemente negativa degli altri monoteismi, posti talora di fronte a proposizioni che non esprimono il contenuto autentico dell'affermazione cristiana.36 Occorre ammettere, infatti, che «fraintendimenti anche grossolani e diffusi» si colgono «non solo al di fuori del cristianesimo ortodosso (dall'unitarismo alle teologie liberali, che pure vogliono essere cristiani) », ma «in maniera subcutanea e latente anche in teologie cristiane in sé e di per sé ortodosse in linea di principio».37

Pare prestarsi in particolare ad essere equivocato proprio il concetto di "persona", non meno della numerazione cui si ricorre quando si parla delle tre persone.38 Di fatto, senza volerne negare la qualità di «regolazione linguistica vincolante per il teologo cattolico», è più che mai necessario guardarsi da una sua «utilizzazione indiscreta e speculativamente troppo superficiale». Il concetto è stato «continuamente frainteso» (una conferma viene persino dalle molte e sottili precisazioni cui si è ricorsi a partire da Agostino e nel medioevo) e nel contesto culturale odierno il rischio si aggrava, per il processo di sviluppo storico che esso ha conosciuto nel frattempo, processo non controllabile da parte del solo magistero ecclesiastico, con conseguenze di non poco conto:

Quando un nostro contemporaneo, sia all'interno sia all'esterno del cristianesimo, ode la proposizione: "In Dio ci sono tre persone", pensa spontaneamente a tre soggetti, la cui soggettività, conoscenza e libertà sono tra loro distinte, e si domanda poi con un certo smarrimento logico come tre persone così concepite possano essere contemporaneamente un unico e medesimo Dio. Anche se questo uomo odierno definisce, con al teologia scolare, che la personalità è la sussistenza di una natura razionale e anche se gli vien detto che la natura razionale non necessariamente si moltiplica a livello numerico in forza della molteplicità delle sussistenze, tuttavia egli è sempre in pericolo di pensare come plurale anche la razionalità di tali sussistenze, di pensare tre centri spirituali, reciprocamente correlati di atti, che stanno tra di loro in relazione appunto in quanto tali centri.39

I problemi d'ordine logico-linguistico moltiplicano le possibilità di fraintendimenti in senso triteistico, cui è difficile sottrarsi. Secondo lo studioso, un qualche rimedio potrebbe trovarsi, da un lato, se si traduce lo smarrimento in una prudente e doverosa "riserva apofatica" e, dunque, si riconosce che non si può dominare del tutto la dottrina trinitaria dal punto di vista logico, avendo a che fare con il «mistero insondabile del Dio trinitario».40 Ma si potrebbe anche recuperare oppure escogitare una formulazione differente, ad esempio parlare di tre «modi di sussistenza» dell'unico Dio.41 La proposta rahneriana dell'espressione «modo di sussistenza [Subsistenzweise] » echeggia la locuzione barthiana «modo di essere [Seinsweise] », modificandola, perché -- come Rahner spiega altrove -- si ritiene la prima «meno insidiosa e più vicina all'uso tradizionale ecclesiastico-teologico» (ricalcherebbe la definizione di "persona" in Tommaso d'Aquino).42 In entrambi i casi pare di poter dire che, se la difficoltà principale è l'intelligibilità odierna della dottrina trinitaria, le due formulazioni alternative spostano l'asse del problema senza risolverlo.43

Il seguito immediato dell'argomentazione rahneriana -- che pare compiere un salto logico, anticipando l'enunciazione del Grundaxiom: «la Trinità economica è la Trinità immanente e viceversa» -44 si spiega agevolmente con la sua persuasione, più volte manifestata, che solo se si riguadagna saldamente il punto di partenza costituito dall'esperienza storico-salvifica si possono evitare fraintendimenti più o meno grossolani dell'affermazione trinitaria. Ed è a questo che ci si riporta:

Nessun cristiano può seriamente contestare che esista una comprensione economica -- salvifica e storico-rivelatoria di natura trinitaria. Nella storia della rivelazione e della salvezza egli ha a che fare con il mistero ineffabile del Dio incircoscrivibile e senza origine, detto Padre, che non è e non rimane in una lontananza metafisica, ma -- nonostante tutta la sua incomprensibilità, sovranità e libertà -- vuole comunicarsi alla creatura quale sua vita eterna in verità e amore. Questo Dio unico e incomprensibile è storicamente vicino all'uomo in maniera insuperabile in Gesù Cristo, che non è un profeta qualunque in una serie sempre aperta di profeti, bensì l'autopromessa definitiva e insuperabile di tale Dio nella storia. Inoltre questo medesimo e unico Dio si comunica all'uomo come Spirito Santo nel centro più intimo dell'esistenza umana per conferirle quella salvezza e quel compimento che è Dio stesso. Per la fede cristiana esistono dunque due modi di presenza (radicalissima, definitiva e insuperabile) dell'unico Dio nel mondo, modi di presenza che sono la salvezza definitiva del mondo concessa da Dio in modo storico e in modo trascendente.45

Per via economica, dunque, il cristiano può giungere all'affermazione che si dà

«una dualità permanente dei modi divini di presenza nell'autocomunicazione di Dio al mondo [...] . In questa Trinità economico-salvifica il Dio senza origine e che rimane sovrano si chiama Padre; nella sua autocomunicazione nella storia Logos; nella sua autocomunicazione alla trascendentalità dell'uomo Spirito Santo».46

Perché sono soltanto due i «modi di presenza» contemplati dall'autorivelazione di Dio che propriamente è qui intesa come autocomunicazione di Dio stesso? Senza inoltrarsi immediatamente nella considerazione della Trinità economica, Rahner si limita a ricordare la "necessaria" corrispondenza della rivelazione al suo destinatario, caratterizzato appunto da storicità e trascendentalità. Anche da questo versante, ritraendosi per il momento dal riferimento alla Trinità in sé e alle due sole processioni intradivine, si può a giudizio del teologo comprendere «la distinzione, l'unità e l'esclusività dei due detti modi di presenza di Dio».47

Ma un secondo elemento va raccolto: spicca, qui e altrove, la preferenza di Rahner per il termine "Logos" a proposito della seconda persona della Trinità.48 In questa circostanza se ne giustifica l'uso sostenendo che non solo è il NT a legittimarlo, ma che si vuol evitare di forzare il termine pure neotestamentario di "Figlio", sospingendolo nella direzione di affermazioni teologiche e magisteriali posteriori.49 Altri sondaggi consentono di concludere che la preferenza per "Logos" (Verbo/Parola) ha anche ragioni di natura differente. Si può intendere l'appellativo come una sorta di ponte gettato dal NT all'AT e inversamente, almeno nell'autocomprensione cristiana. Rivestono interesse particolare le espressioni che il teologo utilizza nella voce «Trinität», stilata per Sacramentum Mundi, anch'essa consonante con la riflessione barthiana: in una visione dinamica della storia della rivelazione -- scrive -- la «parola di Dio, che resta parola di Dio [Wort Gottes] » e non semplice parola "su" Dio, tende già nella sapienza d'Israele a personificarsi, come se agisse una "radicalizzazione" progressiva della storia della rivelazione stessa (cfr. «fortschreitend radikalisiert»).50

Quest'ultima osservazione, persino lessicalmente accordata con il nostro tema specifico, ci introduce senza scarti eccessivi nel passaggio decisivo che Rahner intende compiere. Vi si affronta la questione delle diverse mediazioni o «incarnazioni», che era rimasta in qualche modo sospesa e che può, a suo giudizio, non soltanto illuminare la differenza tra il monoteismo cristiano e gli altri monoteismi, ma anche portare ad un chiarimento dell'asserita «radicalizzazione» del monoteismo ad opera della Trinità.

Lo studioso riparte dal «duplice modo di presenza di Dio per noi», precisando che esso

non altera l'essere stesso di Dio in sé, né lo media attraverso qualcosa che non è Dio. Il Logos e lo Spirito Santo non vanno pensati come modalità mediatrice, distinte dal Dio unico. Altrimenti -- visto che il cristianesimo respinge qualsiasi concezione neoplatonica, plotiniana, gnostica ecc. di un Dio che si svuota abbassandosi -- essi andrebbero pensati come realtà create che, come ogni altra realtà creata, porterebbero in sé un richiamo al Dio sempre lontano, ma non comunicherebbero Dio in se stesso e nella sua realtà più intima. Un'autocomunicazione [Selbstmitteilung] di Dio alla creatura concepita in maniera radicale implica che la mediazione sia Dio stesso e non una mediazione creaturale.51

Il cardine vero e proprio dell'intera argomentazione emerge esattamente a questo punto, nel momento in cui si indica il Dio infinito e incomprensibile come «il Dio della più radicale vicinanza e immediatezza», che proprio per essere tale comunica sé stesso in una «doppia autocomunicazione», a proposito della quale si deve dire che «Dio stesso in quanto tale» è le due «modalità unite e distinte».52 Per questa ragione, precisamente,

l'affermazione: 'il Logos e lo Spirito Santo sono Dio stesso' rappresenta non un indebolimento o un oscuramento ... . del monoteismo rettamente inteso, bensì la sua radicalizzazione.53

L'unico Dio, dunque, proprio essendo concepito come il Dio unico e vicinissimo, comunica se stesso mediante se stesso. L'affermazione trinitaria rafforza il monoteismo proprio perché non sono in causa mediazioni creaturali tra l'unico Dio e l'uomo, mediazioni che sancirebbero più la distanza che la vicinanza dei due e manterrebbero pur sempre aperto il rischio di scivolare nel politeismo. Il monoteista trinitario riconosce invece che «il Dio uno e unico è vicino in se stesso all'uomo in due modi di presenza e questi due modi di presenza sono in se stessi Dio».54 Per questo si può parlare di una «radicalizzazione» del monoteismo. Scrive Rahner:

Questa doppia affermazione non più superabile è perciò la radicalizzazione di quel monoteismo di cui si tratta nella dimensione religiosa. Infatti il Dio monoteista rettamente inteso è il Dio vicino della storia della salvezza. Solo se gli neghiamo dei modi di mediazione creaturali nel senso ultimo dell'espressione -- modi che naturalmente pure esistono -- , egli è realmente il Dio unico eppur vicino, il Dio presente in se stesso nella storia della salvezza.55

La posizione del teologo è chiara e l'argomentazione stringente, condotta a partire dall'esperienza storico-salvifica e storico-rivelatoria e, dunque, dalla Trinità economica. Ma sarebbe un errore non richiamare in questo preciso contesto la Trinità immanente. Non certo solo per far intervenire il Grundaxiom o per mostrare che nulla si vuol togliere alla dottrina trinitaria classica, con le due "missioni" e le due "processioni" in Dio. Pur prediligendo la prospettiva economica e astenendosi dalla via psicologica agostiniana,56 la riserva di Rahner non giunge sino al punto di sconsigliare qualsiasi approfondimento relativo alla Trinità immanente,57 né si può imputare a Rahner disattenzione nei suoi confronti o una qualche marginalizzazione pur momentanea del Grundaxiom. Essa rimane al contrario ben presente e lo è anche in relazione al punto che stiamo esaminando:

Dato che questi due modi di presenza dell'unico Dio, nella loro diversità e nonostante la loro diversità, sono Dio stesso e non qualcosa di creaturale da lui diverso, essi devono convenire a lui in se stesso sempre ed eternamente. Allora nella dottrina trinitaria classica, per mettere in chiaro tale loro appartenenza a Dio in se stesso, essi si chiamano processioni intradivine. Il Dio senza principio (detto Dio) possiede dall'eternità la possibilità di auto esprimersi storicamente, nonché la possibilità di inserirsi nel centro più intimo della creatura spirituale quale sua dinamica e suo fine.58

Detto altrimenti, come si legge in Über die Dreifaltigkeit Gottes, se si prende «radicalmente sul serio [radikal ernst] » l'autocomunicazione di Dio stesso, la Trinità non può essere ridotta a mera apparenza o essere tale solo «per noi»: Dio è Trinità in sé. Il che non comporta «una diminuzione della sua unicità e unità», bensì è «espressione radicale del fatto che Dio in quanto se stesso può donarsi alla creatura autocomunicandosi» e la triplice modalità della donazione «appartiene alla sua realtà più propria e intima, per l'eternità», tanto che appunto si può affermare che la Trinità storico-salvifica è «quella intradivina e viceversa».59

Non è mia intenzione inoltrarmi nella fitta e inconclusa discussione che concerne particolarmente il «viceversa» finale.60 In questo contesto mi preme soltanto segnalare che è l'assunzione rigorosa della «Selbstmitteilung» di Dio a comportare che vengano tratte simili conseguenze. Conseguenze che spiegano anch'esse perché il teologo parli di una «radicalizzazione» trinitaria del monoteismo. Ma in riferimento agli altri monoteismi occorre riprendere il percorso dalla differenza delle mediazioni.

4. La «radicalizzazione» trinitaria del monoteismo

La questione cruciale, come si è visto, è il tipo di mediazione di Dio che si è disposti ad ammettere. Secondo Rahner, se si affermano soltanto mediazioni creaturali e nel rapporto religioso con Dio si giunge a riconoscere loro qualità numinosa, non si può evitare d'incorrere nel rischio di un «politeismo, esplicito o velato», dal momento che alla mediazione (parola, scrittura, sacramento, istituzione, ma anche comandamento o alleanza con Dio) 61 l'uomo si appoggia con adesione assoluta come a Dio stesso, mentre il Dio assoluto rimane confinato in una lontananza abissale.62 Il monoteista religioso

oscillerà quindi insicuro tra un monoteismo astratto, che non può prendere in modo radicalmente serio l'elemento specifico del monoteismo religioso, e un criptopoliteismo, che afferma di fatto in maniera assoluta quelle realtà creaturali destinate a trasmettergli Dio, quantunque esse siano finite.63

Le due derive così rappresentate non costituiscono soltanto i due estremi del movimento di oscillazione costantemente osservato tra il "divino" e gli "dèi". Siamo di fronte, più che altro, ad un et et: il monoteista religioso che scivola nella direzione di un monoteismo solo teoretico diviene politeista, esplicitamente o velatamente, perché non rinuncia ad appellarsi alle mediazioni ed a quel punto non può che assolutizzarle. Viene meno in questo modo, dal duplice versante, lo specifico del monoteismo religioso che, secondo la caratterizzazione rahneriana già incontrata (cfr. supra, 2), professa il «Dio concreto, che si mostra qui dove noi siamo, e senza frantumarsi in un pluralismo di potenze numinose».

Esiste però l'altra possibilità, che è data dall'assunzione del monoteismo concreto «in modo radicalmente serio», tanto da identificare i modi di presenza di Dio con Dio stesso, scavalcando le sempre ambivalenti e finite mediazioni creaturali:

Dio deve mediare se stesso attraverso se stesso, altrimenti rimane in definitiva lontano e dato in tale lontananza solo attraverso la molteplicità atomizzata delle realtà creaturali, che rimandano alla lontananza divina.64

In questo senso, dunque, il monoteismo trinitario rappresenterebbe la custodia e la realizzazione più radicale del monoteismo religioso in quanto monoteismo concreto, nella sua chiara distinzione da ogni monoteismo astratto o puramente metafisico e da ogni forma di politeismo. Purché, ancora una volta, non si cada in fraintendimenti di ciò che esso significa, riducendo di nuovo il Logos e lo Spirito ad «esseri intermedi che o andrebbero pensati come creature o introdurrebbero in Dio un processo evoluzionistico subordinaziano».65

Il nucleo dell'argomentazione rahneriana emerge in questi termini e con queste accentuazioni. Compare altresì un inciso interessante, collocato nel testo subito dopo l'argomento dell'oscillazione tra i due poli. Si tratta di un'annotazione non trascurabile, per quanto posta tra parentesi perché evidentemente imporrebbe un differente e più ampio contesto per essere svolta:

Credo che potremmo seguire questa oscillazione tra un monoteismo astratto e un politeismo inconfessato fin nell'odierna storia spirituale dell'Occidente, fino ad es. a Hölderlin, Rilke, Kerényi, Heidegger ecc. .66

Non è tema nuovo, se solo si pensa all'attenzione che vi dedica Romano Guardini nel suo appassionato tentativo di comprendere «la metamorfosi del "religioso" tra modernità ed età contemporanea» attraverso lo studio di Hölderlin e Rilke.67 Per la verità, quello di Hölderlin è un politeismo del tutto "confessato", anche se sconcertante per i suoi stessi interpreti, inclusi Guardini ed il citato Károly Kerényi, e ritenuto prodromo della follia del poeta da parte di Karl Jaspers.68 Ma esso appare piuttosto il prodromo di una rinascita del politeismo o, per meglio dire, di un accentuarsi dell'oscillazione sopra descritta, che trova autorevole conferma in Martin Heidegger. Il suo «rapporto inaggirabile» con Hölderlin («poeta che indica verso il futuro, che attende il Dio») 69 emerge nella visione della Entgötterung del mondo:

La mancanza di Dio significa che non c'è più nessun Dio che raccolga in sé, visibilmente e chiaramente, gli uomini e le cose, ordinando in questo raccoglimento la storia universale e il soggiorno degli uomini in essa. Ma nella mancanza di Dio si manofesta qualcosa di peggiore ancora. Non solo dèi e Dio sono fuggiti, ma si è spento lo splendore di Dio nella storia universale.70

Si tratta di un "clima" culturale che pare diffondersi nella postmodernità, comportando un crescente svaporamento del carattere personale di Dio e il prevalere, appunto, di un "divino" o di nuovi "déi", spesso in nome della necessità di neutralizzare il supposto potenziale violento e autoritario del monoteismo.71 Forse negli sviluppi più recenti prevalgono impulsi più legati alle sensibilità culturali e alle condizioni storiche effettive. E tuttavia rimane vivo e pertinente, anche in questo caso, l'invito del teologo a comprendere più in profondità il monoteismo religioso ed al suo interno, con spiccate caratteristiche proprie, il monoteismo trinitario.

Certo, induce a riflettere la circostanza che -- come riconosce implicitamente lo stesso teologo nell'inciso, riferendosi alla storia spirituale dell'Occidente -- un nuovo politeismo si sia prodotto proprio in regioni tradizionalmente cristiane. Certo, il fenomeno è legato alla secolarizzazione. Ma esso è nondimeno un'ulteriore dimostrazione della tendenza inestirpabile presente nei monoteismi religiosi a tradursi in altro e a rientrare nell'oscillazione tra un "divino" impersonale e gli "dèi". Inclinazione mai del tutto vinta neppure là dove, secondo la ricostruzione rahneriana, è più radicale la proclamazione dell'unicità di Dio, proprio perché Dio comunica se stesso mediante se stesso (Dio è il Logos e lo Spirito) e dunque relativizza senza appello ogni mediazione creaturale.

5. La forma trinitaria della spiritualità

Nelle pagine conclusive di Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes il teologo fa ritorno al tema dell'eccessiva disinvoltura con cui si parla di "tre persone divine" o della stessa "Trinità", dando spesso l'impressione di cadere in un triteismo inaccettabile e di violare la logica linguistica comune.72 Proprio perché i malintesi sono frequenti, bisogna prestare costantemente attenzione al linguaggio utilizzato, tener conto dell'interlocutore e ricorrere persino ad una consapevole "riserva apofatica". Tutte queste precauzioni possono diminuire il pericolo di fraintendimenti, senza però poterlo annullare.

In maniera differente si chiude l'altro saggio, Über die Dreifaltigkeit Gottes, da cui ho pure ripetutamente attinto. Proprio dopo essersi inerpicato sulle erte del Grundaxiom, Rahner s'introduce con un «Ma io ritengo [Aber ich meine] » assai significativo nel paragrafo che conclude la limpida sintesi ivi presentata.73 Esso è dedicato al «rapporto religioso, spirituale» che ogni cristiano può intrattenere con il Dio trinitario, realizzando così «per il tempo breve della sua vita terrena» quel che la dottrina trinitaria intende. Ciò accade quando, con fede e amore, egli vive e muore appoggiandosi a Gesù, sapendo che in lui Dio ha pronunciato la sua parola definitiva e insuperabile e che Parola di Dio e Gesù «non possono più essere separati»; quando coglie che Dio non è «semplicemente e ultimamente un Dio lontano di eterna maestà», bensì «il Dio vicino [der nahe Gott], l'ospite dolce dell'anima, come la liturgia osa dire»; quando Dio è "trovato" da coscienza e libertà nel «centro più intimo dell'esistenza» come colui che già vi «abita e vive», come lo Spirito Santo, dunque, di cui «la teologia alta [die hohe Theologie] » specula come della terza Persona divina. Certo, aggiunge Rahner, la realizzazione di questa forma trinitaria della relazione con Dio è legata alla storia di fede e di vita di ciascuno e, se è vero che è responsabilità propria farla maturare fin d'ora, si può anche credere che in ogni caso si compirà «nella luce beata dell'unico Dio, che è Padre, Verbo e Spirito».74

Una conclusione, questa, non inattesa per chi conosca Rahner e la stretta correlazione in lui di spiritualità, teologia e filosofia.75 Che tuttavia suscita un interrogativo non trascurabile in riferimento alla questione del monoteismo, così come l'abbiamo sin qui affrontata. Se infatti si vuol coerentemente parlare di «radicalizzazione» trinitaria, bisogna che essa interessi non solo il profilo teorico, ma anche il profilo propriamente religioso del monoteismo stesso. Le annotazioni riprese sin qui vanno certamente in questa direzione. Ma mi chiedo ulteriormente: può anche questa dimensione interpellare gli altri monoteismi, così come essi possono eventualmente lasciarsi interrogare dalla radicalità della mediazione tra Dio e il mondo affermata dal Cristianesimo (la «Selbstmitteilung Gottes»), presentata dal teologo come antidoto radicale ad ogni forma di politeismo?

L'interrogativo è doveroso in questo percorso, che ha preso le mosse dall'obiezione riguardante l'impraticabilità sia logica sia religiosa della dottrina trinitaria. Ma ho di fatto iniziato questa mia ricerca con un'affermazione che implica un'altra domanda solo in apparenza meramente introduttiva: chi è Dio per ciascun monoteismo? Nella scia di questo interrogativo vorrei sostare su un ultimo punto, non esplicitato in Über die Dreifaltigkeit Gottes e solo sfiorato durante il percorso, quando si è accennato all'identificazione neotestamentaria di ho theòs con il Padre, secondo la rilettura rahneriana.

Occorre, a mio giudizio, rifarsi in primo luogo alle pagine del Grundkurs des Glaubens che recano il titolo «Meditazione sul termine "Dio"».76 "Dio" è parola originaria, che esiste da sempre nell'esperienza umana e resiste ad ogni tentativo di cancellazione, persino ad opera dell'ateo. Eppure nel linguaggio corrente essa «sembra che ci guardi come un volto divenuto opaco»:

Essa non dice nulla su quel che intende indicare, e non può neanche fungere semplicemente da indice che rinvia a qualcosa incontrato direttamente al di fuori della parola e che perciò non deve dire nulla al riguardo, come avviene quando diciamo "albero", "tavolo" o "sole". E tuttavia la spaventosa mancanza di contorni di questa parola -- che dovrebbe anzitutto indurre a chiedersi che cosa intenda indicare -- è chiaramente confacente a quel che intende dire, indifferentemente al fatto se possa essere stata così "senza volto" già fin dall'inizio o meno.77

Se infatti avesse un volto e contorni, non direbbe ciò che deve dire, ossia che essa ha a che fare con il fondamento di tutta la realtà quale ultima parola:

Così la parola "Dio" divenuta senza volto, parola cioè che di per sé non rimanda più ad alcuna singola esperienza determinata, è tuttavia in grado di parlarci di Dio proprio nel modo giusto, in quanto è l'ultima parola che precede il silenzio nel quale, con la scomparsa di tutti i singoli elementi denominabili, abbiamo a che fare con il tutto fondante in quanto tale.78

L'intensa meditazione precede immediatamente nel Grundkurs la parte intitolata «La conoscenza di Dio», quasi a voler segnalare ancora una volta l'urgenza -- epocale sì, ma anche sostanziale -- di strappare all'indeterminatezza la parola "Dio" proprio mentre la si custodisce come ultima parola, ferma sulla soglia del fondamento sempre misterioso della realtà. Questo spiega sia la permanente e irrinunciabile "riserva apofatica" più volte segnalata sia i ripetuti tentativi posti in atto da Rahner per approfondire ed esplicitare il concetto di Dio secondo la fede cristiana.79 A questo proposito, senza potermi inoltrare nella complessa e discussa questione del cosiddetto «cristiano anonimo» -- che pure aleggia, inespressa, nell'interrogativo sulla «radicalizzazione» rivolto alle altre fedi monoteistiche -, voglio almeno citare un'annotazione contenuta nel saggio Osservazioni sul problema del «cristiano anonimo»:

ognuno, che in fondo non resiste alla propria coscienza, può dire e dice a Dio "Abba" nel suo spirito, credendo, sperando e amando, ed è quindi in tutta verità fratello dei cristiani davanti a Lui.80

La parola «Abba» è l'appellativo affettuoso rivolto da Gesù al Padre, ma anche il nome di Dio suggerito dallo Spirito nello spirito dell'uomo secondo Paolo (Rm 8, 14-17). È dunque parte della rivelazione accolta dalla fede cristiana ed esprime, dal versante della spiritualità, quella «radicalizzazione» trinitaria del monoteismo che Rahner vede operante nel cristianesimo e non preclusa a chi non si professa cristiano.

Copyright © 2011 Milena Mariani

Milena Mariani. «L'affermazione della Trinità come radicalizzazione del monoteismo in Karl Rahner». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**74 B].

Note

  1. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes im Gespräch mit dem Islam, in Id., Schriften zur Theologie XIII. Gott und Offenbarung, Benziger, Einsiedeln-Zürich-Köln 1978 [= SzT XIII, 1978], pp. 129-147; tr.it., Unicità e Trinità di Dio nel dialogo con l'Islam, in Id. K. Rahner, Dio e Rivelazione. Nuovi Saggi VII, Edizioni Paoline, Roma 1980, pp. 155-177. La conferenza che è all'origine del testo fu tenuta nel 1977. Testo

  2. K. Rahner, Über die Dreifaltigkeit Gottes, in Id., Anstöße systematischer Theologie. Beiträge zur Fundamentaltheologie und Dogmatik [= Sämtliche Werke 30], a cura di K. Kreutzer, Herder, Freiburg i. Br. 2009, pp. 305-311. Il testo risale in prima versione al 1978, all'anno successivo nella seconda, ora ripresa nei Sämtliche Werke (d'ora in poi SW) e non tradotta in italiano. Testo

  3. Si veda il recente bilancio stilato da L.F. Ladaria, La théologie trinitaire de Karl Rahner. Un bilan de la discussion, in E. Durand -- V. Holzer (a cura di), Les réalisations du renouveau trinitaire au XXe siècle, Cerf, Paris 2010, pp. 87-127 (originale in lingua spagnola in "Gregorianum" 86/2 [2005], pp. 276-307). Testo

  4. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes, p. 131; tr.it., p. 158; Id., Über die Dreigfaltigkeit Gottes, p. 305; Id., Mitte des Glaubens, in SW 26, 1999, pp. 498-506. L'A. si astiene da un'interpretazione del monoteismo islamico, come il titolo del saggio in esame potrebbe far pensare, dichiarando di non conoscerlo a sufficienza (Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes, p. 130; tr.it., p. 157). Sulla Trinità e sul suo fraintendimento in senso triteistico Rahner si intrattiene anche con Pinchas Lapide in un colloquio tenutosi nel 1982: cfr. P. Lapide-K. Rahner, Heil von den Juden? Ein Gespräch, in SW 27, 2002, pp. 411-414. Testo

  5. K. Rahner Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes, p. 129; tr.it., p. 155. Testo

  6. Ivi, p. 129; tr. it., pp. 155-156. Testo

  7. Ivi, p. 129; tr. it., p. 156. Testo

  8. Ivi, p. 146; tr. it., p. 175. Testo

  9. K. Rahner, Über die Dreifaltigkeit Gottes, p. 306. Testo

  10. Ivi. Anche il diffuso e pubblico ateismo contemporaneo spingerebbe nella direzione della sola domanda sull'esistenza di Dio e non sul suo «mistero "intimo"», come l'A. precisa nella voce curata per Sacramentum Mundi: K. Rahner, Trinitätstheologie, in SW 17/2, 2002, p. 1351. Testo

  11. Mi permetto di rimandare a M. Mariani, L'innocenza perduta del sapere in Karl Rahner, EDB, Bologna 2008, spec. pp. 183-207. Testo

  12. K. Rahner, Über die Dreifaltigkeit Gottes, pp. 306-308. Testo

  13. K. Rahner, Trinitätstheologie, in SW 17/2, pp. 1349-1351. Testo

  14. Ivi. Per una visione d'insieme della teologia trinitaria di Rahner si confronti l'ampia trattazione dal titolo Der dreifaltige Gott als transzendenter Urgrund der Heilsgeschichte, in Mysterium Salutis 2, Benziger, Einsiedeln-Köln, 1967, pp. 317-401; tr.it., La Trinità, Queriniana, Brescia 1998 (su De Deo trino e magistero: ivi, pp. 19-51 e pp. 55-79; per le fonti utilizzate dall'A.: ivi, pp. 117-122). Testo

  15. K. Rahner, Trinitätstheologie, in SW 17/2, p. 1351. L'A. aggiunge in proposito che anche quando, stante questa presentazione, si comprende la rilevanza vitale della Trinità, essa viene colta nel contesto della cristologia e della dottrina della grazia, dunque in relazione a Gesù Cristo ed allo Spirito, e non in riferimento alla sistematica trinitaria o ad una adorazione della Trinità in sé stessa. Testo

  16. Ivi, p. 1350. Testo

  17. K. Rahner, Grundkurs des Glaubens. Einführung in den Begriff des Christentum, in SW 26, pp. 1-445; tr.it., Corso fondamentale sulla fede. Introduzione al concetto di cristianesimo, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 20056, qui pp. 183-188 («A proposito della dottrina trinitaria»),pp. 569-582 («Formule brevi della fede»), pp. 470-480 («La Scrittura come libro della chiesa»). Testo

  18. Cfr. L. Ladaria, La théologie trinitarie, pp. 88-92. Testo

  19. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes, p. 150; tr.it., pp. 156-157. Testo

  20. Basti qui citare M. Crociata (a cura di), Il Dio di Gesù Cristo e i monoteismi, Città Nuova, Roma 2003, spec. pp. 20-25. Testo

  21. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes, p. 129; tr.it, p. 155. Testo

  22. Ivi, p. 131; tr.it., p. 158. Testo

  23. Ivi, pp. 131-132; tr.it., p. 158. Testo

  24. Ivi, p. 132; tr.it., p. 159. Testo

  25. Ivi, pp. 132-133; tr.it., p. 159. Testo

  26. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit, p. 133; tr.it., p. 160. Testo

  27. K. Rahner, Theos im Neuen Testament, in SW 4, 1997, pp. 346-403; tr.it., Theos nel Nuovo Testamento, in Id., Saggi teologici, Paoline, Roma 1964, pp. 467-585. Per la datazione (novembre 1942) si veda K.H. Neufeld, Die Brüder Rahner. Eine Biographie, Herder, Freiburg-Basel-Wien 20042. Segnala un possibile parallelismo con il primo Heidegger quanto al metodo d'indagine sul termine "Dio" S. Camilleri, «Dieu» dans le texte. Note sur la sémantique du jeune Heidegger, «Revue Théologique de Louvain" 41 (2010), pp. 202-204. Testo

  28. K. Rahner, Theos im Neuen Testament, p. ; tr.it., p. 479. Testo

  29. Ivi, p. ; tr.it., p. 505. Testo

  30. Ivi, p. ; tr.it., p. 508. Testo

  31. Ivi, p. : tr.it., p. 509. Testo

  32. Ivi, p. ; tr.it., pp. 549-585. Testo

  33. Ivi, p. ; tr.it., p. 554, cfr. pp. 551-585. Testo

  34. Cfr. M. Hauber, Unsagbar nahe. Eine Studie zur Entstehung und Bedeutung der Trinitätstheologie Karl Rahners, Tyrolia, Innsbruck-Wien 2011, pp. 47-53. Testo

  35. K. Rahner, Theos im Neuen Testament, p. ; tr.it., pp. 581-582. Testo

  36. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit, p. 139; tr.it., p. 167. Testo

  37. Ivi, p. 134; tr.it., p. 161. Per i cosiddetti "adversarii" interni si può vedere la sezione dedicato loro da Bernard Lonergan nel suo De Deo Trino. Pars analytica, Romae apud Aedes Universitatis Gregorianae, 1961, pp. 196-199. Il testo, che compare tra le fonti citate da Rahner in Mysterium Salutis (cfr. tr.it., La Trinità, p. 118), presenta in rapida successione, non priva di annotazioni interessanti, il nucleo del pensiero trinitario di una serie di teologi e filosofi, dall'antichità a Karl Barth: vengono citati, in particolare, Eunomio e gli eunomiani, gli «unitarii» o sociniani, i «protestanti», Schleiermacher, G.W.F. Hegel, D.F. Strauss, L. Feuerbach, A. Biedermann, I.A. Dorner, A. Ritschl associato a I. Kant, A. Harnack e alcuni suoi prosecutori, il cosiddetto "neonicenismo" ed infine Barth che, in tempo di declino della teologia liberale, avrebbe restituito onore al dogma trinitario. Testo

  38. Sulle differenti valenze del concetto, sui versanti antropologico e teologico, cfr. M. Mariani, "Rahner, Karl", in A. Pavan (a cura di), Enciclopedia della persona nel XX secolo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2008, pp. 861-864. Testo

  39. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit, pp. 135-136; tr.it., p. 163. Testo

  40. Ivi, p. 137; tr.it., p. 165. Quanto alla "riserva apofatica" dell'A. e alle sue ragioni, si veda il notevole contributo di C. Theobald, La foi trinitarie des chrétiens et l'énigme de lien social. Contribution au débat sur la «théologie politique», in P. Beauchamp (a cura di), Monothéisme et Trinité, Faculté Universitaire Saint-Louis, Bruxelles 1991, pp. 99-137, qui 131. Testo

  41. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit, pp. 137-139; tr.it., pp. 165-167. Testo

  42. K.Rahner, Der dreifaltige Gott als transzendenter Urgrund der Heilsgeschichte, p. ; tr.it., La Trinità, p. 106. Cfr. M. Hauber, Unsagbar nahe, pp. 218-219 nota 889. Testo

  43. Sulla discussione in merito cfr. L. Ladaria, La théologie trinitarie, pp. 105-116. Testo

  44. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit, p. 139; tr.it., p. 167. Testo

  45. Ivi, pp. 139-140; tr.it., pp. 167-168. Testo

  46. Ivi, p. 141; tr.it., p. 169. Testo

  47. Ivi, p. 140; tr.it., pp. 168-169; cfr. G.B. Sala, Uditore della parola di Karl Rahner. Un'antropologia metafisica in ordine alla teologia, in «Rassegna di teologia» 42, 2001, pp. 341-365. Testo

  48. Cfr. L. Ladaria, La théologie trinitarie de Karl Rahner, p. 112. Secondo Ladaria, si potrebbe vedervi, al di là di una fedeltà alla terminologia del Magistero, una insufficiente considerazione del «carattere filiale di Gesù», che pure si riflette sul modo di concepire la paternità divina e pone in luce la reciproca relazione dei due. In nota (ivi, nota 4) l'A. ricorda poi la sostanza della critica di F. Miranda e di G.J. Zarazaga, che vi colgono una "deficienza cristologica", con una tendenza all'astrazione che trascura l'attestazione della relazione filiale di Gesù con Dio il Padre. A mio giudizio occorrerebbe riprendere ampiamente i passi in cui Rahner mostra di preferire "Logos" a "Figlio": notiamo soltanto che nel testo da noi considerato egli offre una giustificazione pertinente al contesto e che, peraltro, si appoggia esplicitamente all'attestazione neotestamentaria del termine "Logos". Testo

  49. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit, pp. 140-140; tr.it., p. 169. Testo

  50. K. Rahner, Trinität, in SW 17/2, p. 1337. Testo

  51. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit, p. 141; tr.it., p. 170. Testo

  52. Ivi, p. 142; tr.it., p. 170. Testo

  53. Ivi; tr. it., p. 171. Testo

  54. Ivi, p. 144; tr.it., p 173. Testo

  55. Ivi. S'intende: non più superabile grazie a un punto di vista più originario, di fatto indisponibile. Testo

  56. Cfr., tra i tanti, K. Rahner, Trinität, pp. 1348-1349; Id., Trinitätstheologie, pp. 1354-1355. Testo

  57. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes, p. 147; tr.it., p. 177. Testo

  58. K.Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes, pp. 144-145 ; tr.it., p. 174. Testo

  59. K. Rahner, Über die Dreifaltigkeit Gottes, p. 310. Testo

  60. Sterminata la letteratura che si occupa del Grundaxiom rahneriano, intorno al quale o contro il quale si raccolgono pressoché tutte le rivisitazioni critiche della teologia trinitaria. Segnalo unicamente il bilancio tratto da L. Ladaria, La théologie trinitarie, pp. 93-105 e le annotazioni di A. Bertuletti, Il concetto di persona e il sapere teologico, in V. Melchiorre (a cura di), L'idea di persona, Vita e Pensiero, Milano 1996, in particolare pp. 29-31 (il problema sarebbe non l'affermazione della reciprocità, bensì la sua non-tematizzazione, stanti i «limiti di un approccio solo trascendentale»). Testo

  61. K.Rahner, Einzigkeit und Dreifaltigkeit Gottes, pp. 142.143; tr.it., pp 171.172. Testo

  62. Ivi. Testo

  63. Ivi, p. 143; tr.it., p. 172. Testo

  64. Ivi, p. 144; tr.it. p. 173. Testo

  65. Ivi, p. 147; tr.it., p. 176. Testo

  66. Ivi, p. 143; tr.it., p. 172. Testo

  67. Cfr. S. Zucal, Romano Guardini e la metamorfosi del «religioso» tra moderno e post-moderno. Un approccio ermeneutico a Hölderlin, Dostoevskij e Nietzsche, Edizioni QuattroVenti, Urbino 1990 e Id., Ali dell'invisibile. L'Angelo in Guardini e nel Novecento, Morcelliana, Brescia 1998 (con le tre angelologie paradigmatiche di Dante, Dostoevskij e Rilke, quest'ultimo considerato rappresentante della versione postmoderna, secolarizzata e intramondana dell'angelo divenuto surrogato di Dio). Testo

  68. Per i necessari riferimenti S. Zucal, Romano Guardini e la metamorfosi del «religioso», p. 29 e pp. 27-149 ("Hölderlin o la diversione del numinoso nella natura"). Testo

  69. M. Heidegger, Ormai solo un Dio ci può salvare, Guanda, Parma 1987, p. 147. Testo

  70. M. Heidegger, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1997, p. 247. Testo

  71. Cfr. O. Marquard, "Lob de Polytheismus. Über Monomythie et Polymythie", in Id., Abschied von Prinzipiellen Philosophische Studien, Stuttgart 1981, pp. 91-116; più recentemente J. Assmann, Die Mosaische Unterscheidung oder der Preis des Monotheismus, München-Wien 20042. Il dibattito è assai vivace tra gli studiosi del Tardoantico, ma con evidenti ricadute più ampiamente culturali: cfr. C. Markschies, Was kostet der Monotheismus? Einige neue Beobachtungen zu einer aktuellen Debatte am der Spätantike, in G. Palmer [a cura di], Fragen nach dem einen Gott. Die Monotheismus im Kontext, Mohr Siebeck, Tübingen 2007, pp. 283-296). Testo

  72. K. Rahner, Einzigkeit und Dreifaltifkeit, pp. 147-148; tr.it., pp. 175-177. Cfr. C. Theobald, La foi trinitarie des chrétiens et l'énigme de lien social, p. 131. Testo

  73. K. Rahner, Über die Dreifaltigkeit Gottes, p. 310. Testo

  74. Ivi, pp. 310-311; cfr. Id., Dreifaltigkeitmystik, in SW 17/1, p. 217 e pp. 538-539. Testo

  75. Mi permetto di rimandare a M. Mariani, Credo perché prego. Ritratto inedito di Karl Rahner, Ancora, Milano 2005. Testo

  76. K. Rahner, Grundkurs des Glaubens, pp. ; tr.it., pp. 72-80. Cfr. supra, nota 27. Testo

  77. K. Rahner, Grundkurs des Glaubens, pp. ; tr.it., p. 74. Testo

  78. Ivi. Testo

  79. Cfr. in particolare K. Rahner, Zur Eigenart des christlichen Gottesbegriff, in SzT XV, 1983, pp. ; tr.it., Sulla specificità del concetto cristiano di Dio, in Id., Scienza e fede cristiana. Nuovi saggi IX, Paoline, Roma 1983, pp. 257-271. Testo

  80. K. Rahner, Osservazioni sul problema del «cristiano anonimo», in Id., Nuovi saggi V, Paoline, Roma, pp. 677-697. Testo

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