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Generazione del Figlio e creazione dell'uomo: teo-logia e antropologia

di Gilfredo Marengo (Roma, 26-28 maggio 2011)

Il Simbolo Niceno indica nella formula «generato non creato» la differenza tra l'atto divino che presiede all'eterno procedere del Figlio dal Padre e l'agire creante di Dio che dà ragione dell'esistenza della Creazione.

La tradizione teologica ha, nel tempo, fatto propria questa scelta riservando per lo più il registro della generazione alla teologia trinitaria, collocandolo in un contesto distante da quello riferito alla Creazione, anche quella dell'uomo, sebbene il vocabolario della «generazione» le sia, per ovvie ragioni, particolarmente pertinente. È da verificare l'ipotesi che tale scelta abbia contribuito a istituire la riflessione antropologica in un ambito che non ha permesso in modo sempre equilibrato di valorizzare appieno gli elementi di novità della rivelazione cristiana a proposito delle «ragioni» della creazione dell'uomo e della sua singolare collocazione nel piano della salvezza.1 Per illuminare il contenuto di questo rilievo è necessario riandare ad alcuni episodi della storia della teologia patristica e medioevale.

1. Mediazione creatrice e divinità del Figlio

La teologia patristica si è lungamente impegnata a sciogliere i nodi emergenti dallo stretto legame tra gli interrogativi sulla divinità del Figlio, la sua mediazione creatrice e la confessione trinitaria.2 Nel contesto di questi dibattiti si assiste ad una continua oscillazione nell'attribuzione della mediazione creatrice o solamente al Verbo o a Gesù Cristo.

Bisogna ricordare che il tema della mediazione creatrice di Cristo si è trovato stretto tra i due grandi dibattiti, trinitario e cristologico, che caratterizzano la teologia dei secoli IV e V e per questa circostanza esso ha visto ridursi gli spazi all'interno della riflessione patristica,3 ben diversamente da quanto era accaduto nella teologia dei primi secoli4: già con Agostino (354-430) la dimensione trinitaria dell'atto creativo divino e lo specifico ruolo mediatore di Gesù Cristo risultano affermati in modo reciprocamente estrinseco5 e nella tradizione medioevale soprattutto il primo perde di rilievo.6 Significativa la testimonianza di Ugo di San Vittore (+1141) che nel suo De sacramentis dà spazio alla causalità trinitaria nella Creazione, mentre passa sotto silenzio la mediazione del Verbo.7 Lo stesso Tommaso mostra nell'evoluzione del suo pensiero dal giovanile Scriptum super Sententiis alla Summa una significativa caduta d'interesse.8 La dimensione trinitaria della Creazione è attestata comunque fino a Duns Scoto e M. Echkart (1260-1327) .9

Certamente, la mediazione creatrice di Gesù Cristo dipende totalmente dal carattere filiale e trinitario della sua divinità10 ed è esercitata solo all'interno delle relazioni trinitarie che lo costituiscono come Figlio dall'eternità.11 Per queste ragioni essa va considerata nell'orizzonte del rapporto tra la Creazione e il mistero trinitario di Dio.

La storia della teologia documenta al riguardo uno sviluppo particolare: di fatto il principio trinitario della Creazione non è stato quasi mai esplicitamente negato, ma, per diverse ragioni che sarà opportuno evidenziare brevemente, non sempre ha ricevuto l'attenzione che avrebbe meritato.12

Uno degli aspetti più problematici è la scelta di attribuire la mediazione creatrice per lo più al Verbo eterno e non a Gesù Cristo.13 Le ragioni di questa impostazione mettono in gioco delicate questioni cristologiche e trinitarie che qui possono essere solamente accennate.

In primo luogo infatti non si deve dimenticare la scelta della teologia medioevale di dedicare il proprio impegno cristologico ad una rigorosa elaborazione delle categorie metafisiche necessarie per illustrare l'unità in Cristo delle due nature nell'unica persona divina. Questa opzione ha condotto a non tematizzare fino in fondo il fatto che Gesù Cristo non sia semplicemente un Dio che s'incarna, ma è la seconda persona della Trinità, il Figlio, che si fa uomo.14

L'esito in teologia trinitaria è stato quello di indagare la ragione formale della distinzione del Verbo in Dio, prescindendo dal mistero della sua Incarnazione e privilegiando piuttosto lo studio dell'analogia delle azioni immanenti dell'intelletto e della volontà, riconosciute come decisive per illustrare le processioni del Figlio e dello Spirito.15

Questa impostazione ha avuto un riflesso sulla teologia della Creazione. La considerazione del Verbo e dello Spirito, come fattori decisivi per la comprensione dell'agire creante di Dio, si è sovrapposta a quella degli attributi essenziali divini, Intelletto e Amore.16 In tal modo l'atto della creazione sembrerebbe terminare direttamente all'indivisibile unità dell'essenza divina, senza far emergere alcuna specificità dell'intervento delle persone trinitarie.

Così la partecipazione del Figlio all'agire creante di Dio venne talvolta dimenticata. Quando fu affermata, lo fu soltanto come semplice corollario del dogma trinitario, senza un adeguato approfondimento delle conseguenze sulla concezione della Creazione stessa.17

Inoltre, la teologia trinitaria di tradizione latina, soprattutto a partire da Agostino e poi da Anselmo di Aosta (1033-1109), ha manifestato una particolare preoccupazione nei confronti del mistero dell'Unità di Dio.18 Questo indirizzo ha reso necessario enucleare la nozione di relazione, sviluppata da Agostino e rigorizzata da Tommaso, come strumento teoretico per spiegare metafisicamente la distinzione personale nella Trinità in un orizzonte teologico che privilegia, appunto, la proclamazione dell'Unità di Dio. Si spiega così il grande rilievo che ha avuto l'esigenza di salvaguardare l'unità dell'agire ad extra della Trinità, espressa dal celebre assioma per cui « In Deo omnia sunt unum, ubi non obviat relationis oppositio ».19

Dal momento che l'unico principio di reale distinzione in Dio sono le reciproche relazioni delle persone non si dovrà affermare che la Creazione, come ogni operazione divina ad extra, sia propria di una singola persona divina. Di conseguenza né il Figlio, né lo Spirito, e neanche il Padre può essere inteso assolutamente come Creatore, giacché in tal caso si porrebbe un principio di distinzione di una persona dalle altre diverso dalle loro relazioni reciproche. Per questo si deve dire che il soggetto dell'atto creatore è la Trinità intera.

A partire dalla teologia moderna questa conclusione è stata assunta in modo non corretto: si è giunti infatti a sovrapporre indebitamente alla considerazione della Trinità nella sua interezza, l'unica Essenza divina.20 Così facendo si è realizzata un'operazione che ha finito per dimenticare il valore del principio trinitario della Creazione.

è possibile invece partire dalla considerazione della presenza di tutte e tre le persone trinitarie nell'atto creatore e mostrare che lo specifico del loro intervento è totalmente dipendente dal mistero delle loro relazioni trinitarie,21 ma questa impresa non si può realizzare se la teologia dimentica la sua fondazione cristocentrica. Bisogna infatti riconoscere che una certa estraneità tra Trinità e Creazione, nella teologia cattolica, sorse a partire dalla distinzione economia -- teologia. Soprattutto la riflessione trinitaria vide molto presto allentarsi i suoi legami con l'avvenimento storico di Gesù Cristo.22

2. Teo-logia e antropologia: divergenze

Allo scopo di meglio circostanziare l'orizzonte problematico cui ci si riferisce, può essere utile ricordare, per sommi capi, alcuni episodi dell'evoluzione della riflessione teologica che -- per la natura stessa dei temi e del linguaggio utilizzati -- sembra procedere in una direzione nella quale la riflessione su Dio e sul'uomo progressivamente si collocano in traiettorie divergenti, proprio laddove le nozioni poste in gioco sembrerebbero possedere, di per se stesse, una immediata prossimità e consonanza. Il riferimento è a due importanti dossier, insieme teologici ed antropologici: la teologia dell'imago Dei e la relazione tra generazione e creazione.

2.1. La teologia dell'imago Dei

Come ha osservato anche Giovanni Paolo II nelle sue celebri catechesi, i due racconti genesiaci della creazione dell'uomo (Gen 1, 26-27 e Gen 2, 18-25) convergono nell'affermazione dell'uomo creato ad "immagine e somiglianza di Dio", che finisce per costituire «la base di tutta la antropologia cristiana».23

Negli autori del IV e V secolo si riconosce un duplice sviluppo di questo ambito della riflessione antropologica. Da un lato la consapevolezza del ruolo salvifico della carne di Cristo e l'insistenza sul tema della incorporazione a Cristo, come condizione dell'esperienza cristiana, li spinsero a recuperare totalmente il senso della dignità del corpo umano e della sua partecipazione alla salvezza. In questa linea essi sosterranno con chiarezza che tutto l'uomo è imago Dei,24 rifiutando con chiarezza ogni interpretazione del corpo umano come esito di una caduta.

D'altro canto un ruolo non secondario ha giocato, nel pensiero di Padri come Gregorio di Nissa (335-395) ,25 Ambrogio (340-397) e Ilario (315-367), la concezione origeniana della duplice creazione dell'uomo26 che essi, benché distanti dalle posizioni degli origenisti più spinti come Evagrio Pontico (346-399), introdussero in Occidente.

Dalla duplice creazione vengono le due nature umane: interiore e esteriore (cfr. Rm 7, 22). L'anima è fatta ad immagine di Dio mentre il corpo è formato dalla terra, risultando l'uomo dalla composizione dei due elementi. In questa interpretazione l'elemento caratterizzante l'uomo è l'anima, frutto della prima creazione.27 Così il platonismo filoniano passò, attraverso Origene, ad Ilario ed Ambrogio che contribuirono a diffondere una visione dell'uomo incentrata sull'anima, quale vera immagine di Dio.

Resta, comunque, che in questo periodo, benché l'incontro col neoplatonismo potesse favorire una certa svalutazione del corpo nei confronti dell'anima, l'obbedienza al dato biblico fece da argine ad ogni rigido dualismo che venne esplicitamente rifiutato.28

Un posto tutto speciale nello sviluppo della riflessione sull'unità duale anima-corpo deve essere riconosciuto ad Agostino. Anzitutto bisogna ricordare che nel pensiero del teologo africano è chiara l'affermazione dell'uomo come unità di anima e corpo.29 A partire da questo dato egli sviluppa una ampia riflessione caratterizzata da una duplice prospettiva.

In primo luogo egli insiste costantemente sul senso dell'unità dei due elementi, fino a porre in relazione l'unione dell'anima e del corpo con il mistero dell'Incarnazione.30 Ad un tempo però Agostino sottolinea la differenza che va riconosciuta tra l'anima e il corpo, leggendo il rapporto tra loro alla luce della distinzione paolina tra carne e spirito.31

Così facendo il suo pensiero antropologico s'orienta a collocare nell'anima il principio della tendenza al bene e nel corpo quello della tendenza al male.32 Pur escludendo ogni radicale dualismo, non si può non riconoscere in questa scelta l'elemento che conduce Agostino ad accordare un significativo privilegio all'anima, come l'elemento che individua lo specifico della considerazione dell'uomo come imago Dei. Non va dimenticato che una certa sottolineatura "pessimistica" della condizione storica dell'uomo, legata alla sua teologia del peccato originale e della grazia, lo porta ad una antropologia in cui il valore del corpo appare assunto in modo non sempre equilibrato.

In questo orizzonte si colloca l'originalità con la quale egli ha sviluppato il tema dell'uomo come imago Dei alla luce della sua riflessione trinitaria.

Affermando che è possibile stabilire un rapporto analogico tra il mistero trinitario e la triade intelligenza-amore-conoscenza presente nell'anima dell'uomo, il teologo africano valorizza senz'altro il dato dell'uomo creato ad immagine di Dio. Se da una parte quest'ultimo assurge al ruolo di principio metodologico fondamentale per la conoscenza di Dio, dall'altra ne introduce una interpretazione che, antropologicamente, porta a ritenere l'anima come il luogo proprio dell'immagine divina, favorendo così una minor considerazione del valore specifico della corporeità dell'uomo.33

Infine il privilegio antropologico dato all'anima si rende ancora più evidente, se si tiene presente che per Agostino l'elemento caratterizzante l'uomo come imago Dei consiste nella sua capacità di conoscere Dio: tale conoscenza è propria dell'anima, in quanto essa è in grado di stabilire l'unione "intenzionale" con Dio.34

2.2. Generazione e creazione: l'evoluzione di un linguaggio

Un altro interessante ambito di verifica è rappresentato dall'evoluzione dell'uso delle nozioni di generazione e creazione, nei contesti in cui emerge la necessità di cogliere la loro differenza specifica, al fine di mostrarne la legittimità in contesti collocati in posizione trasversale tra la teologia della Trinità e quella della Creazione.

Se si prende in considerazione l'uso del participio passato «generato» (γεννηθέντα) nel Simbolo Niceno,35 si nota che esso figura due volte, la prima nell'espressione che indica la generazione unigenita di Gesù Cristo dal Padre (γεννηθέντα ἐκ τοῦ πατρὸς μονογενῆ), la seconda in cui viene contrapposto al registro della creazione (γεννηθέντα οὐ ποιηθέντα) .36

La successione delle due formule suggerisce di leggere il contenuto della seconda alla luce della prima: in questa linea l'elemento discriminante per il quale la generazione si oppone alla creazione è rappresentato dalla peculiare figliolanza dell'unigenito del Padre.

Facendo leva su questo elemento, il Simbolo si fa carico di una duplice esigenza: custodire la corretta confessione della fede cristiana nella piena divinità di Gesù e correggere la prospettiva secondo la quale la teologia di Ario terminava a mettere in discussione proprio quella divinità. È noto che l' orizzonte riflessivo ariano si collocava in un ambito del tutto determinato da una preoccupazione di carattere cosmologico,37 secondo la quale la ragion d'essere del Figlio è quella di un intermediario, che non sarebbe venuto all'esistenza se Dio non avesse voluto creare gli uomini.

Il testo di Nicea, elaborato sulla base di un simbolo battesimale, assume come elemento decisivo la confessione del piena divinità del Figlio, nella prospettiva del suo singolare ruolo storico-salvifico. Così procedendo il Concilio ristabilisce, contro Ario, la corretta sequenza che dal teologico (cristologicamente assunto) va al cosmologico, vietando a quest'ultimo la possibilità di introdurre -- muovendo da istanza non direttamente connesse al contenuto della confessione di fede -- elementi spuri ed equivoci nella considerazione del cuore del mistero rivelato.

In questa direzione va valutato lo speciale rilievo assegnato al registro della singolare filiazione unigenita che dà contenuto alla nozione stessa di generazione. Quest'ultima, allora, non si oppone genericamente alla creazione. La qualità della distinzione specificatamente intesa in questo contesto si comprende meglio se si ricorda l'oscillazione di linguaggio che fino a Nicea è documentata tra ἀγέννετος (non generato) -- ἀγένετος (non fatto): entrambi sono pertinenti alla medesima realtà, la sfera dell'eterno e dell'immutabile in opposizione a quella del divenire, del nascere e morire, dell'apparenza sensibile.38 Il concilio, scegliendo per il Figlio la nota della generazione (γεννηθέντα), segnala la possibilità di una distinzione tra «ciò che non è fatto (creato) » e «ciò che non è generato»: Egli non è creato, ma è generato.

Portando a chiarificazione il lungo processo di evoluzione del linguaggio teologico, iniziato con i padri apologisti, e mediato dai contributi di Origene, Nicea indica con chiarezza che oltre l'alternativa secca tra l'assoluto che è da sempre e ciò che viene all'esistenza, sta nella vita divina la presenza di Colui che ha una ben precisa origine (un Figlio generato da un Padre), senza che per questo esso possa venire ricondotto alla sfera del divenire e del contingente creato.

Solamente una lettura affrettata può attribuire al Simbolo niceno la responsabilità di riservare in maniera assoluta alla teologia trinitaria il vocabolario della generazione, intesa come categoria di per se stessa opposta a quella di creazione. Come si è cercato di mostrare, il procedimento è molto più articolato e sfumato nelle intenzioni che lo guidano.

L'elemento discriminante è, piuttosto, rappresentato dall'intenzione di mettere in luce quell'elemento che permetta di superare l'assorbimento del cristologico nel cosmologico, facendo del Figlio la prima delle creature, senza giungere a svuotare di senso la sua mediazione creatrice («per mezzo del quale tutto è stato fatto, ciò che è in cielo e ciò che è sulla terra»), salvando la sua piena divinità che trae forma dal rapporto filiale col Padre: di conseguenza essa si comprende non tanto se si proclama il suo essere non-creato, senza origine, ma il suo essere generato nella singolarità di un Unigenito.

Il contenuto di questa generazione consiste tutto in una relazione di paternità e figliolanza che in Dio si esprime nel piano dell'eternità: da sempre il Padre genera il Figlio. Certamente non va dimenticato il contenuto misterioso di tale eterno atto generativo, senza tuttavia negare i forti elementi di analogia con quanto avviene tra gli uomini; in particolare è interessante notare come la teologia patristica, dopo Nicea, s'impegni a gettare qualche lume su questa misteriosa realtà. In sintesi, una volta presa in considerazione la forma analogica della generazione di un figlio da un padre, così come si dà tra gli uomini, ci si mostra preoccupati soprattutto di evidenziare quegli elementi che sono necessari a custodire il Figlio nella sua piena divinità: l'eternità dell'atto generativo del Padre che esclude uno specifico atto di volizione che sarebbe all'origine dell'esistenza del Figlio (secondo la formula ariana «c'era un tempo in cui non era») e il possesso della medesima ed unica natura divina.39

Dal complesso degli elementi fin qui recensiti, pare legittimo suggerire che le formule del Simbolo niceno, collocate nel loro contesto storico e teologico, invitano ad approfondire le possibili ricadute antropologiche del loro autorevole insegnamento almeno in due direzione: una rinnovata attenzione al peculiare ruolo mediatore di Gesù Cristo nella creazione e il contributo che se ne può cavare dalla considerazione della peculiare divinità di Figlio, generato unigenito dal Padre.

Se, invece, si esamina la modalità con la quale la teologia scolastica istituisce la relazione tra il vocabolario della generazione e della creazione, si osserva un interessante mutamento di prospettiva. In questa sede ci limitiamo ad una sintetica ricognizione delle scelte operate da Tommaso d'Aquino nella Summa theologiae. Il contesto da esaminare appartiene alla sezione dell'opera che sviluppa la teologia trinitaria (qq. 27-43): in particolare merita attenzione la questione iniziale, nella quale si cerca di dare le ragioni dell'uso del vocabolario della processione e della generazione per indagare il mistero trinitario.

Una volta individuato un significato corretto del termine processio, che sia distante dalle letture eterodosse riconducibili rispettivamente ad Ario e a Sabellio (subordinazianismo e modalismo), si passa ad esaminare la possibilità che il procedere in Dio (quindi la presenza del Verbo) possa essere espressa con la nozione di generazione.40 Va notato, da subito, che nel disegno riflessivo perseguito il tragitto va dalla processione alla generazione e non viceversa: sembra che la nota della "figliolanza" sia, da subito, posta in secondo piano nella fisionomia del ragionamento trinitario di Tommaso.

Le obiezioni alla congruenza della nozione di generazione emergono dal significato che le assegna la fisica: il registro della mutazione degli esseri finiti, che sono generati in quanto ricevono l'esistenza da chi genera, l'estraneità del processo di intellezione (cui si assegnano le ragioni della presenza in Dio di una processione), sono gli argomenti messi in campo.41

Prima di procedere oltre nella lettura del testo tommasiano, è utile rammentare che Tommaso si è preoccupato di distinguere adeguatamente tra generazione e creazione, al fine di garantire una corretta accezione di quest'ultima, come produzione di un essere ex nihilo sui et subiecti,42 mentre la generazione va intesa come una origo alicuius viventis a principio vivente coniuncto [...] secundum rationem similitudinis43.

Il dato è interessante perché segnala una singolare inversione di polarità, rispetto all'uso con cui la teologia patristica e dei primi concilii hanno messo in gioco l'opposizione generazione-creazione. Se, infatti, in quel caso si trattava di guadagnare la singolarità dell'esistenza del Verbo-Figlio nella Trinità, ora qui si tratta di evidenziare la singolarità dell'atto creatore di Dio, in paragone con tutti gli altri modi con cui la vita, creata, si riproduce nel mondo (generazione). È del tutto evidente che non esiste alcun equivoco nell'uso del termine generazione, il cui utilizzo riceve la sua specifica connotazione in dipendenza dai differenti contesti nel quali la riflessione si colloca. Quanto ci preme notare è che, in questo percorso, il vocabolario del "generare" sembra ormai collocato in un ambito che lo vede del tutto estraneo al linguaggio della teo-logia.

L'evidenza di questa deriva del linguaggio di Tommaso è offerta proprio dal modo con il quale egli recupera la valenza trinitaria del termine generazione, rispondendo affermativamente alla domanda Utrum aliqua processio in divinis generatio dici posset.44

Infatti, una volta determinate le forme con le quali la generazione si dà nelle creature, che non competono alla vita di Dio, la Summa individua nella processione del verbo secondo l'agire intellettuale una modalità con la quale la stessa generazione si può dare in Dio. Il termine analogico forte che consente questa conclusione è rappresentato dal verbo concepito nell'atto di intellezione divino che esprime una compiuta similitudine a Dio stesso, nella assoluta coincidenza di Essere e Pensiero, per cui Egli è, insieme, distinto e "unito a Dio".

Per il combinato di queste argomentazione Tommaso conclude all'affermazione che il procedere in Dio del Verbo si può chiamare generazione e questi è riconosciuto come Figlio.

Risulta piuttosto palese il peculiare trattamento applicato alla nozione di generazione: collocata fuori dall'agire divino ad extra (in opposizione alla creazione), essa ritorna nell'atto ad intra del procedere del Figlio, ma secondo un trattamento analogico che la assorbe nel registro "intellettualistico" della concezione del verbo mentale, in un percorso che la mantiene assai lontana dall'immediatezza della relazione padre-figlio così come essa si dà nella fatticità della vita degli uomini. È singolare che la conclusione della riflessione tommasiana sembri alludere (e confermare), anche in teologia trinitaria, questa lontananza, quando la qualità di "Figlio" apparirebbe giustificata nel Verbo, seconda Persona della Trinità, in forza del suo procedere per via intellettuale e non per la immediata relazione al Padre. Un'interessante conferma di questo assetto della teologia di Tommaso si può rinvenire, ancora nella Summa, se si leggono i passi ove si discute delle ragione per le quali si deve riconoscere al Verbo il nome proprio di Figlio45 e di Immagine.46 In tutti e due i casi, conseguente all'impostazione sopra ricordata, l'Angelico guadagna la pertinenza di entrambi i nomi, muovendo dall'analisi delle qualità specifiche del Verbo, ovvero del suo essere l'esito dell'atto intellettivo con il quale Dio conosce se stesso. Riguardo alla nota della figliolanza è da notare che essa sembra fluire direttamente dalla stessa qualità personale del Verbo in quanto tale,47 qualità che discende direttamente dal suo essere «conceptum intellectus».48 Nella medesima direzione si muove la riflessione sull'Immagine che trova la sua sintesi nell'affermazione che il Figlio va inteso come Imago Dei in quanto «procedit ut Verbum, de cuius ratione est similitudo speciei ad id a quo procedit»49

Tali sommarie osservazioni intorno a questo snodo della teologia di Tommaso vanno nella direzione di segnalare una linea di tendenza caratterizzata, in primo luogo, da una considerazione della figliolanza trinitaria di Gesù Cristo che non ne favorisce un ruolo anche a livello antropologico: lo sforzo interpretativo della piena divinità del Verbo e del suo peculiare procedere in Dio si colloca in un orizzonte che, di fatto, sembra prescindere dalla centralità della relazione di paternità e figliolanza nella Trinità. Infatti, la rilettura "intellettualistica" del processo generativo in Dio, fa sì che questi venga collocato in uno spazio che lo isola e ne impedisce qualunque ricaduta nell'ambito della riflessione sull'esistenza dell'uomo.50

È abbastanza palese il forte influsso della modalità con la quale Agostino ha sviluppato la possibilità di conoscere il mistero trinitario a partire dalla nozione di imago Dei collocata nella spiritualità dell'anima umana.

Infine, la scelta di opporre generazione a creazione, allo scopo di evidenziare il profilo di azione unicamente divina di quest'ultima, collabora a rendere estranea la considerazione del dinamismo generativo degli uomini da un orizzonte teologico in senso stretto.

Si è in precedenza ricordato che Nicea, insieme alla teologia che ne prepara e sviluppa gli insegnamenti, ha inteso correggere l'orizzonte cosmologico che stava all'origine degli equivoci ariani sulla divinità del Figlio, evocando un percorso che dal cristologico procede verso il cosmologico, attraverso la singolare mediazione creatrice di Gesù Cristo.

La teologia di Tommaso ha ritenuto di sviluppare una riflessione cosmologica che, nutrita dal dialogo con la tradizione filosofica greca, aristotelica e non solo, potesse rispondere alle esigenze di una corretta lettura teologica delle origini del mondo, prescindendo in qualche modo dalla mediazione cristica. Se l'origine del Figlio in Dio e del mondo da Dio nei primi secoli cristiani potevano essere letti in modo equivoco (come in Ario), era comunque patrimonio comune la consapevolezza che entrambe queste "origini" dovevamo essere considerate tenendo conto delle loro reciproche implicazioni. Le scelte compiute nella "scuola" medioevale opera una rigorosa distinzione, fino alla separazione, tra i due processi: sebbene non si dimentichi, né si neghi esplicitamente che tutto proviene dall'unica fonte dell'Essere che è il mistero trinitario, sempre più con difficoltà si coglie la possibilità che l'eterno comunicarsi della vita divina tra il Padre, il Figlio e lo Spirito abbia da dire qualcosa di veramente decisivo per illustrare il senso e il contenuto della chiamata alla vita delle creature e soprattutto dell'uomo. Questi apparirà sempre più come una delle tante creature e la sua peculiare relazione a Dio verrà individuata soprattutto nella dimensione spirituale ed intellettuale dell'anima, piuttosto che nella sua vocazione alla figliolanza in Gesù Cristo.

Il complesso di questi elementi sembra convergere nell'osservazione che esigenze soprattutto di carattere trinitario e cosmologico abbiamo condotto la teologia a procedere su binari paralleli nella trattazione del mistero della Trinità e della Creazione. Nei fatti ciò ha significato un minore interesse al ruolo mediatore di Gesù Cristo che, obiettivamente, rappresenta il raccordo tra questi due ambiti della rivelazione cristiana. La conseguenza è stata una certa difficoltà a cogliere il preciso profilo antropologico della rivelazione del mistero della Creazione e la singolare collocazione dell'esistenza dell'uomo nel piano della salvezza.

Quanto risulta dalla ricognizione di alcune modalità di trattazione della teologia dell'imago Dei e dell'articolazione tra generazione e creazione, sembra in grado di motivare l'esigenza di una rinnovata attenzione a queste problematiche.

L'obiettivo da perseguire è una migliore valorizzazione di tutti i fattori che possono collaborare a favorire il chiarificarsi che solo una comprensione cristologica della Creazione conduce ad evidenziarne lo specifico profilo antropologico.

In proposito, non si deve dimenticare che il Nuovo Testamento consegna alla riflessione teologica l'originale parallelo paolino tra Cristo e Adamo: Adamo può essere considerato come «figura di colui che doveva venire» (Rom 5, 14) solamente se il capo (principio) della Creazione non è Adamo, ma Cristo.51 Questa scelta paolina è totalmente giustificata dal fatto che, nell'intellectus fidei della Creazione, il novum cristiano dipende dall'avvenimento di Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo. Diviene così possibile riconoscere che la Rivelazione mostra la ragion d'essere dell'uomo proprio attraverso il Figlio incarnato: Dio, volendo comunicare all'uomo tutto quanto desidera a proposito della realtà creata, lo conduce a rendersi conto del nesso che esiste tra la creazione dell'uomo e Gesù Cristo.

D'altro canto, la necessità di una più adeguata riflessione antropologica rappresenta uno dei lasciti e delle sfide che il magistero della Chiesa, in primis il Vaticano II, consegna alla teologia contemporanea. In uno dei passaggi antropologicamente più densi Gaudium et spes osserva che «il Signore Gesù [...] ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nell'amore. Questa similitudine manifesta che l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé» (GS 24).

Questo testo sollecita ad approfondire la singolare qualità dell'uomo, unico tra tutte le creature, in quanto «voluto per stesso» e ne indica la ragione fondante in un esplicito riferimento al mistero trinitario. È alla luce di questa prospettiva che si cercherà, ora, di riannodare alcuni fili che nel passato sembrano essersi un poco allentati.

3. L'uomo creato in Gesù Cristo, figlio nel Figlio

Lo sviluppo di questo percorso chiede una rinnovata attenzione alla tesi dell'uomo «creato in Gesù Cristo, figlio nel Figlio»: la nozione di figliolanza rappresenta, infatti, la cifra sintetica della Creazione dell'uomo in Cristo.52

In proposito, va ricordato che nel Nuovo Testamento la nozione di Imago Dei è direttamente attribuita a Gesù Cristo (2Cor 4, 4; Col 1, 15) .53 Si tratta allora di studiare il valore antropologico del parallelismo che la nozione di imago stabilisce tra Gesù Cristo e l'uomo.54 Se si tiene conto che la parola immagine nel Nuovo Testamento viene sempre utilizzata per designare la realtà stessa che si manifesta nella sua essenza,55 si comprende che Paolo la usi per esprimere l'identità divina e filiale di Gesù Cristo. La scelta di questo termine non sarebbe pensabile senza un esplicito richiamo a Genesi 1, 27 e presuppone pertanto il caratteristico accento paolino secondo cui Cristo viene identificato con il "vero" Adamo (1 Cor 15, 45ss.) .56 L'intenzione sintetica con cui Cristo viene designato come immagine di Dio (2Cor 4, 4; Col 1, 15) è quella di sottolineare la sua presa totalizzante nella vita dell'uomo, in forza della sua centralità in tutto il piano divino: dal principio (Creazione) al compimento escatologico (Col 1, 18-20) .57

Si comprendono così le ragioni per cui, già agli inizi della letteratura patristica, la riflessione sull'imago Dei cerca di approfondire il senso del rapporto tra l'immagine genesiaca, riferita all'uomo, e la proposta dal Nuovo Testamento che confessa Gesù Cristo come l'immagine del Padre (Col 1, 15; 2Cor 4, 4). In essa si intrecciano due dinamiche: quella evocata dal racconto della Creazione (immagine e somiglianza) e quella propria della rivelazione neotestamentaria (immagine terrestre -- immagine celeste).58 Già Ireneo vide la possibilità di fonderle, ritenendo che la prima avesse il suo fondamento nella seconda.59

Ireneo60 e, sulla sua scia, Tertulliano (+220) ,61 sono gli autori che, nell'ambito della prima teologia patristica, hanno saputo cogliere tutta la ricchezza della proposta paolina: per entrambi il Verbo incarnato è il modello ad immagine del quale l'uomo è stato creato.

Il concetto ireneano di imago Dei ha come sfondo il parallelismo paolino Adamo-Cristo in cui il secondo rivela completamente il primo: in Gen 1, 27 l'uomo viene creato "a immagine di Dio" in previsione del Cristo immagine di Dio. Dio si dice attraverso e nell'umanità del Figlio: pertanto solo in Lui l'uomo può conoscere adeguatamente il suo essere creato ad immagine e somiglianza,62 innanzitutto perché così egli scopre di essere immagine dell'Immagine del Padre (cfr. Col 1, 15) .63

Il contenuto della nozione di similitudo è più legato alla realtà dell'uomo come immagine vivente, in crescita. Si può dire che la somiglianza è una vocazione che si svolgerà lungo l'esistenza per opera dello Spirito che si rende presente nell'anima,64 in attesa della realizzazione escatologica.65 È una realtà che per il peccato può essere perduta e il cui termine ideale è l'immagine perfetta dell'uomo: Cristo.66

Tale sensibilità non sempre è rimasta operante nella tradizione ecclesiale: dalla linea di Ireneo-Tertulliano67 si distingue nettamente quella che può essere fatta risalire a Origene (+254). Per quello che riguarda la dottrina di Cristo come immagine del Padre, il teologo alessandrino tende a identificarla con la sua divinità, non con la umanità. Gesù Cristo è il Mediatore in quanto Logos non in quanto Uomo-Dio; Egli è immagine del Padre in senso contemplativo -in quanto ci fa conoscere il Padre manifestandolo interiormente nell'anima- e in senso attivo, in quanto Egli attua ciò che la intelligenza divina ha deciso.68 Non a caso egli utilizza la nozione di immagine soprattutto in vista dell'affermazione della divinità del Logos.69

Continuando la panoramica, è significativo il passaggio operato dalla scuola antiochena: nel pieno del dibattito cristologico del V secolo la nozione di immagine viene utilizzata, avendo come princeps analogatum proprio il racconto genesiaco, per designare la piena umanità cui si sarebbe unito il Verbo. In questa linea Gesù Cristo in Col 1, 15 è detto immagine di Dio, a partire da Gen 1, 27 e quindi avendo di mira la sua umanità70: non si tratta più di affermare che l'immagine è Gesù Cristo in quanto Verbo incarnato, ma di assicurare semplicemente la reale umanità del Figlio, in quanto unito ad un uomo, riconosciuto come l'immagine. Se l'operazione antiochena ebbe senza dubbio un suo valore all'interno del dibattito del tempo, è altresì da sottolineare che essa, sul versante antropologico, non riesce a conservare tutta la ricchezza e la profondità dell'intuizione di Ireneo, pur mantenendo, anche se in modo simmetricamente opposto, il parallelismo tra il testo genesiaco e gli accenti cristologici paolini.

L'originalità della teologia di Ireneo, soprattutto nei passi in cui rappresenta un'eco fedele dell'insegnamento paolino e giovanneo, merita di essere valorizzata adeguatamente, soprattutto per l'acuta integrazione tra cristologia ed antropologia e la singolare novità di accento che da essa promana. Attraverso questo insegnamento è possibile ritrovare pienezza dell'umano nell'umanità del Figlio di Dio, manifestazione compiuta del mistero singolare della sua figliolanza divina.71 L'uomo è dunque una creatura voluta per vivere come figlio di Dio: l'esistenza umana trova nel «secondo Adamo» (Cristo) la figura esemplare del primo.72

Quanto l'Antico Testamento svela, ovvero la singolare natura ricevuta dalla creatura umana in forza di una peculiare relazione con Dio, si precisa compiutamente come figliolanza nell'evento di Gesù Cristo. L'uomo è una creatura voluta per vivere come figlio di Dio, secondo la forma dell'Unigenito Figlio: tanto la nozione di immagine quanto quella di figliolanza sono utilizzate dalla Rivelazione secondo una prospettiva profondamente unitaria, sia in riferimento all'uomo che a Gesù Cristo.

4. La «generazione del soggetto»

La valenza, antropologicamente centrale, della nozione di figliolanza, così come emerge dal profilo cristologico dell'imago Dei, sembrerebbe richiamare con una certa immediatezza alla comprensione della chiamata all'esistenza degli uomini come «essere generati» da Dio, rilanciando la possibilità di uno specifico profilo antropologico della nozione di «generazione».73

Lo sviluppo quasi bimillenario della regula fidei offre tutti i necessari elementi affinché tale scelta di linguaggio non ricada in equivoche contaminazione tra la descrizione dell'unica figliolanza trinitaria di Gesù Cristo e la nascita alla vita di ogni creatura umana. Tenuta bel salda l'obiettiva distinzione da riconoscere tra l'una e all'altra «generazione», si tratta di valutare se l'uso di questa nozione in ambito antropologico possa sortire qualche esito positivo.

Innanzitutto, va osservato che, così procedendo, viene fortemente enfatizzata la fisionomia filiale della vita dell'uomo, in diretto riferimento all'archetipo cristologico che ne rivela la stessa ragion d'essere e i contenuti propri. Ne consegue una migliore comprensione della peculiare collocazione dell'uomo tra tutti gli essere voluti e creati da Dio: si sottolinea la collocazione al centro di tutto il prestabilito disegno del Padre, espressione del contenuto adeguato della storia della salvezza e delle ragioni per le quali la Trinità l'ha concepito e posto in essere.

Volendo, ora, suggerire qualche spunto di più immediata pertinenza alla configurazione di un'adeguata figura antropologica, in primo luogo pare legittima l'affermazione che, partendo dall'uomo creato come figlio, si può dilatare fino a suggerire che la comunità d'amore dal quale ognuno viene generato (la relazione nuziale tra l'uomo e la donna) si configura come quell'elemento che anticipa e media simbolicamente la communio dell'amore trinitario che è l'unico attore della Creazione.74

Giungere fino a qui, permette di osservare che ogni uomo può sorprendere in sé l'appello al suo principio che lo trascende e rivolgersi a questi, cogliendone il volto di una comunità d'amore, in una forma certamente ancora enigmatica, ma non per questo meno reale.75 Ora, tutto ciò permette di sostenere che «l'esperienza dell'amore nuziale è per ogni uomo l'originaria esperienza veritativa: è il luogo in cui l'uomo accede originariamente alla verità».76

È infatti lo scoprirsi come figlio il primo livello nel quale ogni uomo accede all'amore nuziale, laddove differenza sessuale, dono di sé e fecondità stanno insieme in modo unico ed irripetibile. Quanto detto in ordine all'esperienza dell'amore nuziale, da intendere come luogo in cui l'uomo accede originariamente alla verità, permette di ritornare sull'insuperabile connotazione maschile e femminile secondo la quale ognuno si sorprende creato come figlio; tale fenomeno pone nell'esistenza di ogni uomo e donna l'indicazione di quell'elemento dato per scoprire che il livello della nuzialità non è appena una verità a cui guardare: l'amore nuziale non è solo un'origine dalla quale si procede, ma è un «principio» che contiene in sé il percorso attraverso il quale ogni esistenza umana realizza se stessa, quindi anche l'indicazione della sua «destinazione».

Da questo punto di vista l'amore nuziale non semplicemente si affianca o presuppone la figliolanza da Dio, ma ne può diventare l'ambito di manifestazione e di verifica. Detto altrimenti: come non si può capire che siamo creati come figli, se non consideriamo che veniamo da un amore nuziale (parentale e trinitario), analogamente ognuno è chiamato a vivere la sua figliolanza, che fa tutt'uno coll'essere una creatura, nella forma dell'amore nuziale. In questa prospettiva il cammino dell'esistenza umana, vissuto secondo la forma della fede in Gesù Cristo, favorisce una intrinseca connessione tra la vocazione all'amore e la chiamata alla figliolanza divina nel Figlio Unigenito.

Proporre, dunque, la pertinenza della nozione di «generazione» all'approfondimento della risposta alla domanda antropologica,77 può produrre alcuni interessanti sviluppi. In primo luogo, è possibile mettere in piena luce l'unicità di ogni uomo creato, evidenziando la sua irriducibilità a semplice occasione di individuazione di un genere umano astrattamente concepito. Come ogni figlio è unico ed irripetibile di fronte ai suoi genitori, così è per ogni esistenza umana di fronte al suo Creatore.

In proposito si può comprendere la valenza propria della nozione di «procreazione» con la quale la teologia segnala la specificità dell'atto con il quali i genitori danno la vita ai loro figli78: tale atto non è riducibile ad una semplice dinamica riproduttiva, né può essere inteso come una mera collaborazione strumentale alla volontà divina di produrre nuove esistenze umane. Esso riceve la sua specificità proprio dal fatto che, in analogia con la fecondità della vita trinitaria, si può donare la vita dall'interno di una comunità di amore che mette in gioco tutte le dimensioni dell'umano, in particolare il corpo come sacramento della persona e la sua costitutiva comunionalità.79

In secondo luogo, la singolarità di ogni uomo, guadagnata dall'interno di un evento di libertà amorosa, giacché tale è l'atto del generare, viene custodita dal rischio di essere concepita secondo i limiti dell'assolutezza autofondantesi, tipica dei percorsi più praticati dall'antropologia moderna.80 Il riconoscimento dell'essere generati impedisce al soggetto di pretendere di definirsi compiutamente solo a partire da se stesso.

In terzo luogo, in questo riconoscimento di una soggettività che è tale in quanto generata, balza in primo piano che ogni uomo è -- prima di ogni altra cosa -- un evento di libertà. Così argomentando, quest'ultima può essere riconosciuta non solo come una dimensione di un'esistenza che avrebbe un suo fondamento in altri elementi che la precedono, ma semmai tutti i fattori che convergono a dire l'esistenza umana nella sua integralità possono trovare in questa qualità di evento di libertà la loro ragione d'essere.

Proprio in quanto generato come «evento di libertà» l'uomo manifesta la forma drammatica della sua esistenza per cui non esiste risposta all'interrogativo antropologico al di fuori del suo «essere in azione» nel mondo. Così nessun uomo può dire di sapere di se stesso semplicemente adeguando una definizione concettuale del suo esistere, cogliendone o pretendendone la mera attuazione nella sua esistenza individuale. La risposta all'interrogativo «ed io che sono? » si presenta, invece, come il compito esaltante che è consegnato alla libertà di ciascuno come unico radicale impegno di tutta la carriera della propria esistenza, in cui l'agire libero di ognuno è chiamato a decidersi per la verità di sé, riconoscendo in tale decisione il luogo ove si manifesta la differenza tra questa medesima verità e la libertà dell'uomo stesso.

Copyright © 2011 Gilfredo Marengo

Gilfredo Marengo. «Generazione del Figlio e creazione dell'uomo: teo-logia e antropologia». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**81 B].

Note

  1. Come è stato osservato «Una teologia del legame tra la creazione del mondo e la generazione dell'uomo, esattamente centrata su questo singolare nucleo cristiano della ragione teo-logica, urge virtualmente e sotteraneamente in molti modi nell'orizzonte del pensiero filosofico- teologico del Novecento» (P. Sequeri, Una svolta affettiva per la metafisica?, in P. Sequeri -- S. Ubbiali (ed.), Nominare Dio invano? Orizzonti per la teologia filosofica, Glossa, Milano 2009, 97). Testo

  2. Sul ruolo di mediatore di Gesù Cristo nella Creazione qualche utile nota sintetica in M. Kehl, «E Dio vide che era cosa buona». Una teologia della creazione (Biblioteca di teologia contemporanea 146), trad. it., Queriniana, Brescia 2009, 160-168; 186-191. Si veda inoltre A. Scola -- G. Marengo -- J. Prades López, La persona umana. Antropologia teologica (AMATECA 15), Jaca Book, Milano 20062, 72-106. Testo

  3. Si noti, come esempio, l'assenza totale di riferimenti al Verbo in Basilio di Cesarea Homeliae in Hexaemeron (SC 26), o la difficoltà nella interpretazione di Gv 1, 3 presente in Cirillo di Alessandria, Commento al vangelo di Giovanni/1 (Libri I-IV), 1, 3-4, a cura di L. Leone, Città Nuova, Roma 1994, 49-81 (PG 74, coll. 57-76), così come gli accenti presenti in Id., Contra Iulianum imperatorem, PG 76, col. 596. Testo

  4. Cfr. A. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, I/1, trad. it., Queriniana, Brescia 1982, 182-361; A. Orbe, La teologia dei secoli II e III, v. I, trad. it., Piemme - Editrice Pontificia Università Gregoriana, Casale Monferrato -- Roma, 1995, 159-176. Conviene però ricordare che la riflessione dei padri apologisti mostra con chiarezza il tema della mediazione creatrice del Logos, anche se non sempre ben equilibrata a livello trinitario; probabilmente l'aspetto più carente di questo teologia sta nell'essersi limitata a considerare l'esemplarismo del Verbo divino nei confronti della Creazione, prescindendo dal mistero della sua incarnazione; cfr. L. Scheffczyk, Création et Providence (Histoire des dogmes II, 2a), traduit de l'allemand par P. Prevot, Cerf, Paris 1967, 65-69. Testo

  5. È significativo che Agostino utilizzi la relazione tra la Creazione e la Trinità per mostrare l'unità delle tre persone che si manifesta nel loro agire comune, cfr. Agostino, La Trinità, V, 13, 14, in NBA (Nuova Bibliteca Agostiniana) IV, 255-256 (CC 50, 221-222); cfr.. Scheffczyk, Création...cit., 106-108. Testo

  6. Rivelatore il fatto che la segnalazione di uno ruolo specifico delle persone trinitarie nella Creazione, ancora presente nel Concilio II di Costantinopoli (553): «Unus enim Deus et Pater, ex quo omnia, et unus Dominus Iesus Christus, per quem omnia; et unus Spiritus Sanctus, in quo omnia» (DS 421), non sarà più ripreso nei testi del Lateranense I (649) che sceglie una formula più generica: «...unam eandemque trium deitatem(...)creatricem omnium»(DS 501). Testo

  7. Cfr. Ugo di San Vittore, De sacramentis Christianae fidei (Corpus Victorinum -- Textus historici I), l. I, p. II, c.12, cura et studio R. Berndt, Aschendorff, Frankfurt am Mein 2008, 66. Testo

  8. In proposito si veda G. Marengo, Trinità e Creazione, Città Nuova, Roma 1990. Testo

  9. Cfr. Scheffczyk, Création...cit., 161-170. Testo

  10. Cfr. A. Gerken, Theologie des Wortes. Das Verhältnis von Schöpfung und Inkarnation bei Bonaventura, Patmos-Verlag, Düsseldorf 1963, 60. Testo

  11. «L'unione in Cristo tra il cielo e la terra presuppone tuttavia come prima cosa la Trinità di Dio, giacché il Figlio sulla terra non può presentare la sua propria divinità (solo monofisiticamente lo si potrebbe pensare), bensì solo tradurre su piano temporale-creaturale il suo eterno rapporto col Padre» (H. U. von Balthasar, Teodrammatica. V. L'ultimo atto, trad. it., Milano 1986, 101). Non si dimentichi poi che il primo versetto della Sacra Scrittura, "In principio Dio creò il cielo e la terra" (Gn 1, 1), è stato ampiamente riletto nella tradizione ecclesiale come discreto richiamo alla dimensione cristocentrica dell'azione creatrice di Dio: numerosissimi padri e teologi hanno interpretato come riferita a Cristo l'espressione « In principio »: si veda l'ampia discussione esegetica proposta da Origene, Commento al vangelo di Giovanni, l. I, cc. XVI-XX, a cura di E. Corsini, UTET, Torino 1968, 143-155 (GCS 10, 90-124); ugualmente Agostino afferma: "A costoro[i manichei] noi rispondiamo che fu Dio a creare il cielo e la terra nel principio ma non al principio del tempo, ma in Cristo, essendo Egli col Padre il Verbo per mezzo del quale e nel quale è stata creata ogni cosa" (Agostino, La Genesi difesa contro i manichei, I, 2, 3, in NBA IX/1, 61-63 [PL 34, col. 174]). Né si può passare sotto silenzio che già l'Epistola di Barnaba rilegge l'altro passo genesiaco "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Gn 1, 26) come indicativo della presenza operante delle Persone trinitarie nella Creazione e apre pure qui una lunga tradizione (Epistola di Barnaba, 6, 12, in I Padri Apostolici, a cura di A. Quacquarelli, Città Nuova, Roma 1976, 195, [SC 172, 124]). In questa prospettiva sta la suggestiva teologia delle due mani del Padre, il Verbo e lo Spirito: cfr. Orbe, La teologia...cit., 274-301; altri materiali sono presenti in "In principio". Interpretations des premiers versets de la Genèse (Etudes Augustiniennes), Paris 1973; Genesi (Biblia. I libri della Bibbia interpretati dalla grande Tradizione, 1), a cura di U. Neri, Gribaudi, Torino 1986. Testo

  12. Si veda un panorama sintetico in W. Kern, Interpretazione teologica della fede nella creazione, in Mysterium salutis, 4, trad. it., Queriniana, Brescia 1970, 107-127; Scheffczyk, Création ...cit., 55-117. Testo

  13. è noto che la teologia trinitaria classica conosce l'unità profonda tra le processioni e le missioni trinitarie e ne afferma la reale coincidenza ex parte procedentis (cfr. Summa Theologiae, I, q. 43, a. 2). Se dunque il ruolo del Figlio nella Creazione dipende dal suo procedere eterno dal Padre e questo fatto in origine coincide con la sua missione ad extra, si conferma la possibilità di riflettere su un eventuale nesso altrettanto significativo tra la Sua Incarnazione e la Creazione: è questo il guadagno operato dalla teologia di Von Balthasar a partire dall'assioma dell'identità di persona e missione in Gesù Cristo, che svolge e porta alle sue ultime conseguenze la tesi scolastica della coincidenza, ex parte procedentis, di processio e missio (cfr.. H. U. Von Balthasar, Teodrammatica. III. Le persone del dramma, trad. it. Jaca Book, Milano 1983, 190-214). Questo passaggio non era stato però esplicitato con chiarezza dalla teologia scolastica che, con più attenzione ed equilibrio, ha elaborato una trattazione completa del mistero trinitario e tanta energia ha dedicato, invece, alla riflessione sulla Creazione (cfr.. Scheffczyk, Création...cit., 119-157). Testo

  14. Cfr. G. Moioli, Cristologia. Proposta sistematica, Glossa, Milano 1989, 259-267; J. Ratzinger, La nozione di persona in teologia, in Id., Dogma e predicazione (Biblioteca di teologia contemporanea 19), trad. it., Queriniana, Brescia 1974, 183-185; M. Bordoni, Gesù di Nazaret Signore e Cristo. Saggio di cristologia sistematica. 3. Il Cristo annunciato dalla Chiesa, Herder-Università Lateranense, Perugia 1986, 871-888. Testo

  15. Cfr. H. Ch. Schmidbaur, Personarum Trinitas. Die trinitarische Gotteslehre des heiligen Thomas von Aquin (Münchener Theologische Studien, 52), EOS-Verlag, St. Ottilien 1995; G. Emery, Essentialisme ou personnalisme dans le traité de Dieu chez Saint Thomas d'Aquin, in «Revue Thomiste» 98 (1998), 31-67. Testo

  16. In questa linea si muove anche Tommaso: «Artifex autem per verbum in intellectu conceptum, et per amorem suae voluntatis ad aliquid relatum, operatur. Unde et Deus operatus est creaturam per suum Verbum, quod est Filius; et per suum Amorem, qui est Spiritus sanctus. Et secundum hoc processiones Personarum sunt rationes productionis creaturarum, in quantum includunt essentialia attributa, quae sunt scientia et voluntas» (Summa Theologiae, Ia, q. 45, a. 6, co). Testo

  17. W. Pannenberg, Teologia sistematica. 1 (Biblioteca di teologia contemporanea 63), trad. it., Queriniana, Brescia 1990, 37. Testo

  18. Si vedano G. Angelini, Il tema trinitario nella teologia scolastica, in «La Scuola Cattolica» 116 (1990), 31-67; L. F. Ladaria, El Dios vivo y verdadero. El misterio de la Trinidad, Secretariado Trinitario, Salamanca 1998, 17-19; 365ss. Testo

  19. DS 1330; per lo studio del tema cfr. H. Mühlen, Person und Appropriation. Zum Verständnis des Axiom: In Deo omnia sunt unum, ubi non obviat relationis oppositio, in «Münchener Theologische Zeitschrift» 16 (1965), 37-57. Testo

  20. È il rischio presente nella teologia trinitaria della Seconda Scolastica: non a caso F. Suarez rimanda alla sua Metafisica per le questioni relative alla trattazione dell'Unità di Dio (F. Suarez, Opera omnia, vol. I, Parisiis 1856, Proemium XXIII-XXIV); questa tendenza verrà canonizzata nel manuale De Deo Uno et Trino, cfr. G. Colombo, Per una storia del trattato teologico di Dio, in «La Scuola Cattolica» 96 (1968), 203-227. Testo

  21. In questa linea occorre valorizzare appieno l'intenzione con la quale la teologia trinitaria ha introdotto la nozione di appropriazione, allo scopo di esprimere adeguatamente il ruolo proprio di ciascuna persona divina, senza mettere in discussione la perfetta uguaglianza trinitaria; cfr.. G. Lafont, Peut-on connaître Dieu en Jésus-Christ?, Cerf, Paris 1969, 126-146; H. U. Von Balthasar, Teologica. II. Verità di Dio, trad. it., Jaca Book, Milano 1990, 112-117; Ladaria, El Dios... cit., 270-273. Testo

  22. Cfr. tra gli altri G. Lafont, Peut-on connaître Dieu en Jésus-Christ? (Cogitatio fidei 44), Cerf, Paris 1996, 16-20; M. J. Le Guillou, Il Mistero del Padre, trad. it., Jaca Book, Milano 1979, 97-124; G. Colombo, La ragione teologica, Glossa, Milano 1995, 26-46; C. Schönborn, L'icona di Cristo, Paoline, Milano 1988; B. Studer, Dio salvatore nei Padri della Chiesa, trad. it., Borla, Roma 1986, 323-332; J. Prades, De la Trinidad económica a la Trinidad inmanente. A propósito de un principio de renovación de la teología trinitaria, in «Revista Española de Teología» 58 (1998), 1-59. Testo

  23. Mulieris dignitatem, 6. Cfr. Giovanni Paolo II, L'amore umano nel piano divino. La redenzione del corpo e la sacramentalità del matrimonio nelle catechesi del mercoledì (1979-1984), a cura di G. Marengo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, nn. 2-23; D. HraniC, L'uomo immagine di Dio nell'insegnamento di Giovanni Paolo II (1978-1988), Roma 1993; A. Scola, Il mistero nuziale. 1. Uomo-Donna, PUL-Mursia, Roma 1998. Testo

  24. Così Gregorio di Nazianzo, Epistola 101, 46, SC 208, 55-57. Testo

  25. Gregorio di Nissa, Sull'anima e la resurrezione, 3. 8, a cura di I. Ramelli, Bompiani, Milano 2007 (PG 46, 81B, 153D); cfr. J. Gaith, La conception de la liberté chez Gregoire de Nysse, Vrin, Paris 1953, 52ss. Testo

  26. «L'anima nostra, dunque , è a immagine di Dio. Tu, o uomo, sei tutto in essa, perché senza di essa non sei nulla, ma sei terra e in terra ti dissolverai. Del resto, perché tu sappia che senza l'anima la carne non è niente: Non vogliate, disse, temere coloro che possono uccidere il vostro corpo, ma non possono uccidere la vostra anima. Perché dunque sei tanto orgoglioso del tuo corpo tu che non perdi nulla se perdi il corpo? Ma abbi paura d'essere privato dell'aiuto dell'anima tua» (Ambrogio, I sei giorni della creazione, VI, 7, 43, in Tutte le opere di Sant'Ambrogio, 1, Edizione bilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana, Milano-Roma 1979, 387, (CSEL 32/I, 234); cfr. W. Seibel, Fleisch und Geist beim heiligen Ambrosius (Münchener theologische Studien 14), Zink, München 1958). Ilario di Poitiers, Commento ai Salmi, 129, 4-6, PL 9, 720-721. Sulla antropologia di Ilario si veda A. Fierro, Sobre la gloria en San Hilario (Analecta Gregoriana 144), Libreria editrice dell'Università Gregoriana, Roma 1964, 9-17; 41. Testo

  27. Anche Ilario tende ad avere una concezione negativa della forma terrestre dell'uomo (cfr. Fierro, Sobre la gloria..., cit., 52 ss.). Testo

  28. Cfr. DS 403. Testo

  29. Si vede, come esempio, Agostino, La città di Dio, XIII, 24, 1, in NBA V/2, 271 (CCC 47, 409). Testo

  30. Cfr. Id., Lettera 137, 3, 11, in NBA XXII, 155 (CSEL 44, 110). Testo

  31. Cfr. Id., I costumi della chiesa cattolica, 1, 4, 6, in NBA XIII/1, 25-29 (CSEL 90, 9). Testo

  32. Cfr. Id., Contro Giuliano, IV, 4, 34; 14, 71, in NBA XVIII, 705; 747 (PL 44, 756; 774) Testo

  33. Cfr. Agostino, La Trinità, IX-X; XII, in NBA IV, 363-423; 464-499 (CC 150, 293-332; 357-380). Testo

  34. Ibid. XIV, 4, 6, 571-572 (CC 150, 428-429). Testo

  35. Edizione critica in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di G. Alberigo -- H. Jedin, Istituto per le scienze religiose, Bologna 1973, 5. Testo

  36. Per l'analisi di questi testi resta fondamentale J. N. Kelly, I simboli di fede della chiesa antica. Nascita, evoluzione, uso del credo, trad. it., Dehoniane, Napoli 1987, 229-236; 295-327; si veda anche Grillmeier, Gesù...cit., 517-526. Testo

  37. Ibid., 472-475. Testo

  38. Ibid., 473-474. Testo

  39. Cfr. J. N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini, trad. it., Il Mulino, Bologna 1972, 298-303. Testo

  40. Summa Theologiae, I, q. 27, a. 2. Testo

  41. Ibid. argg. 1-3. Testo

  42. Cfr. Ibid., 45, 1; 65, 3. co Testo

  43. Ibid., 27, 2, co. Testo

  44. Ibid. Testo

  45. Ibid., q. 34, a. 2. Testo

  46. Ibid., q. 35, a. 2 Testo

  47. «Verbum proprie dictum in divinis personaliter accipitur, et est nomen personae Filii» (q. 34, a. 2, co). Testo

  48. q. 34, a. 1, co. Testo

  49. q. 35, a. 2., co. Va ricordato che la teologia del XII secolo sembra procedere secondo un percorso alquanto differente, ritrovando proprio nella filiolanza la ragion d'essere della qualità di immagine riconosciuta al Figlio di Dio, cfr. R. Javelet,Image et ressemblance au douzième siècle de Saint Anselme a Alain de Lille, I, Letouzey et Ané, Paris 1967, 72-91. Testo

  50. Un fenomeno simile è stato, giustamente, evidenziato anche a proposito della cristologia scolastica, cfr. Ratzinger, La nozione...cit. Testo

  51. È stato Ireneo di Lione a recepire in tutta la sua ampiezza il parallelismo paolino, decisivo per comprendere adeguatamente il nesso fra antropologia e cristologia: «Per questo lo stesso Adamo è stato denominato da Paolo «figura di Colui che doveva venire». Infatti il Verbo, Artefice di tutte le cose, aveva prefigurato in lui la futura economia dell'umanità di cui si sarebbe rivestito il Figlio di Dio: Dio aveva cioè stabilito in primo luogo l'uomo animale, evidentemente perché fosse salvato dall'uomo spirituale. Poiché preesisteva il Salvatore, doveva venire all'esistenza anche ciò che doveva venire salvato, affinché il Salvatore non fosse inutile» (Ireneo di Lione, Contro le eresie, III, 22, 3, in Id., Contro le eresie e gli altri scritti, introduzione e traduzione di E. Bellini, Jaca Book, Milano 1981, 289-290 [SC 211, 438]) La traduzione di questo famoso testo è controversa. Sull'interpretazione del testo si veda: A. Orbe, Antropología de san Ireneo (Biblioteca de Autores Cristianos 286), La Editorial Catolica, Madrid 1969, 491-493; J. A. De Aldama, Adam, typus futuri (San Ireneo, Advers. haer. 3, 22, 3), in «Sacris Erudiri» 13 (1962), 266-279. Si vedano anche altri testi di Ireneo, Contro le eresie...cit., II , 2, 4, 126 (SC 294, 38); III, 21, 10, 287-288 (SC 211, 426-431); V, 1, 1, 411-412 (SC 153, 16-21); Id., Esposizione della predicazione apostolica, in Id., Contro le eresie...cit., 22, 497. Testo

  52. L'articolazione di questa tesi è offerta in Scola -- Marengo -- Prades, La persona...cit., 141-203. Testo

  53. La formula è propria di Paolo, ma non è difficile riconoscere il medesimo accento nel celebre dialogo tra Filippo e Cristo, riferito da Giovanni (Gv 14, 9-11). Testo

  54. La bibliografia su questo aspetto della teologia paolina è comprensibilmente sterminata; un ampio orientamento si può trovare in T. Otero Lazaro, Col 1,15-20. En el contexto de la carta, Libraria editrice dell'Università Gregoriana, Roma 1999. Testo

  55. Cfr. G. Kittel, Eikon, in GLNT III, 178. Testo

  56. Ibid. Cfr. anche G. Giavini, Riflessi della cristologia di Col. 1 sulla lettura di Gen. 1-3, in Associazione Biblica Italiana, La cristologia in San Paolo, Atti della XXIII Settimana biblica, Paideia, Brescia 1976, 257-267. Testo

  57. Basterà qui ricordare il nesso strutturale che è stato evidenziato tra la qualifica di Cristo come ei)/kwn[immagine] e di a)rxh/[principio] (Col 1, 18); entrambi i termini insieme al titolo di proto/tokoj[primogenito] rappresentano i tre fattori decisivi dell'inno paolino: in tutto il suo sviluppo si può riconoscere l'intenzione di affermare la universalità della mediazione di Gesù Cristo. Si veda in proposito Grillmeier, Gesù...cit., 137-138; U. Vanni, Immagine del Dio invisibile, primogenito di ogni creazione (Col 1, 15), in Associazione Biblica Italiana, La cristologia...cit., 97-113; C. Spicq, Note di lessicografia neotestamentaria, I, GLNT Suppl. 4, trad. it., Queriniana, Brescia 1988, 474-483; R. Penna, I ritratti originali di Gesù. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria. II. Gli sviluppi, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, 189-190. Testo

  58. 1Cor 15, 49. Testo

  59. Cfr. Ireneo, Contro le eresie...cit., III, 18, 1, 273 (SC 211, 342-345). Testo

  60. «Perché Egli ha fatto l'uomo (in) sembianza di Dio, e immagine di Dio è il Figlio, secondo l'immagine del quale è stato fatto l'uomo. E perciò egli apparve, negli ultimi tempi, per mostrare un'immagine simile a se stesso» (Ireneo, Esposizione...cit. 22, 497); cfr. anche Ireneo, Contro le eresie...cit., V, 16, 2, 442 (SC 153, 216); altre indicazioni in A. Orbe, El hombre ideal en la teología de s. Ireneo, in «Gregorianum» 43 (1962), 449-491 e Id., Antropología de San Ireneo, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 1969, 89-118; H. U. von Balthasar, Ireneo, in Id., Gloria. II. Stili ecclesiastici, trad. it., Milano 1978, 23-82; A. Hamman, L'homme image de Dieu, Desclée, Paris 1987 (con riferimenti bibliografici per la dottrina antropologica dei principali Padri, fino a Agostino e Cirillo). Testo

  61. Cfr. Tertulliano, La resurrezione dei morti, a cura di C. Micaelli, Città Nuova, Roma 1990 53, 6-8, 180 (CC 2, 979); Id., Contro Prassea, 12, 3-4, in Q. S. F. Tertulliano, Opere scelte, a cura di C. Moreschini, UTET, Torino 1974, 972-973; (CC 2, 1173); si veda anche A. Orbe, Definición de hombre en la teología del s. II, in «Gregorianum» 48 (1967), 554-576 e R. Cantalamessa, La cristologia di Tertulliano, Edizioni Universitarie, Fribourg 1962. Testo

  62. È importante tenere presente che il testo della Genesi non conosce l'idea (Gen 5, 3; 9, 6) di una diminuzione o addirittura di una perdita della somiglianza divina a seguito del peccato di Adamo: la distinzione invece tra l'immagine, mai perduta e la somiglianza che invece, persa col peccato, sarebbe riacquistata nella progressiva assimilazione alla vita di Cristo, è un tema che, introdotto da Ireneo (Ireneo, Contro le eresie...cit., V, 8, 1, 423 [SC 153, 92-97]), ha avuto poi grande fortuna nella tradizione ecclesiale. Testo

  63. Cfr. Ireneo, Esposizione...cit., 22. 32, 497. 502; cfr. anche Id., Contro le eresie...cit., V, 16, 2, 442 (SC 153, 216); Tertulliano, La resurrezione...cit., 6, 3-5, 56-57 (CC 2, 928); Id., Contro Prassea...cit., 12, 4, 973 (CC 2, 1173); Id., L'unicità delle nozze, 5, a cura di L. Dattrino, Città Nuova, Roma 1996, 135-138 (CC 2, 1234-1235 ); "Christus forma Patris, nos Christi forma et imago" (Aurelio Prudenzio, Apotheosis, 309, (CC 126, 87); Ilario di Poitiers non fa la distinzione fra immagine e somiglianza: cfr. Hamman, L'homme...cit., 94ss. Testo

  64. Cfr. Ireneo, Contro le eresie...cit., V, 6, 1, 419-420 (SC 153, 72-81); Giustino Martire, Prima apologia, 10, in Gli apologeti greci, a cura di C. Burini, Città Nuova, Roma 1990, 90 (PG 6, coll. 339-342); per la dottrina della immagine e la somiglianza in Giustino, cfr. J. J. AyÁn, Antropología de San Justino, Aldecoa, Santiago de Compostela 1998, 117ss.). Per quanto riguarda la nozione di similitudo in Origene, Crouzel vede una certa contradizione non risolta nel pensiero origeniano, che oscilla fra una concezione della somiglianza come lo sviluppo di un germe, e dunque implica un progresso reale, e un'altra concezione in cui la somiglianza è la restaurazione della somiglianza prima, distrutta dal peccato, senza dunque un progresso storico (H. Crouzel, Théologie de l'image de Dieu chez Origène, Aubier, Paris 1956, 221-222; Hamman, L'homme...cit, 146-152). Testo

  65. Cfr. von Balthasar, Ireneo...cit., 73. Testo

  66. Cfr. Ireneo, Contro le eresie...cit., V, 1, 3, 412-413 (SC 153, 24-29). Testo

  67. Cfr. R. Cantalamessa, Cristo immagine di Dio. Le tradizioni patristiche su Col 1, 15, in AA.VV., La Cristologia...cit., 269-287. Testo

  68. Cfr. Crouzel, Théologie...cit., 127-128. Testo

  69. Si capisce perché la nozione di immagine fu proposta come chiave di volta della controversia prima trinitaria e poi cristologica e addirittura essa avrebbe potuto essere collocata nel Simbolo Niceno a ricoprire il ruolo decisivo del celebre ὁμοούσιος; cfr. Cantalamessa, Cristo immagine...cit., 285 Testo

  70. Ibid., 277. Testo

  71. «La proposta umana di vita che Gesù di Nazareth offre all'uomo è data proprio dal suo rapporto religioso nuovo con il Padre, per cui essa si qualifica come esistenza filiale, comprensione di sé come dono che viene dal Padre, che si accetta come dono e si realizza come risposta vivente a questo dono (...) Gesù di Nazareth offre all'uomo la proposta di una novità di vita consistente nel vivere umanamente secondo il suo Spirito filiale. Dinanzi a Cristo l'uomo viene a conoscere «il suo proprio mistero», il «mistero della sua persona» (M. Bordoni, Gesù di Nazaret Signore e Cristo. Saggio di cristologia sistematica. 1. Problemi di metodo, Herder-Università Lateranense, Perugia 1982, 213); cfr. H. U. von Balthasar, Teologia della storia, trad. it., Morcelliana 1964, 23-38. Testo

  72. Cfr Rm 5, 14; 1Cor 15, 45; in proposito cfr. P. Lengsfeld, Adam et le Christ (Théologie 79), Aubier, Paris 1970; A. Martin, La tipologia adamitica nella lettera agli Efesini (Analecta Biblica 159), Editrice Pontificio Istituto Biblico, Roma 2005. Testo

  73. Come suggerisce Giovanni Paolo II: «Se all'eterna generazione del Verbo di Dio non si possono attribuire qualità umane, né la paternità divina possiede caratteri "maschili" in senso fisico, si deve invece cercare in Dio il modello assoluto di ogni "generazione"  nel mondo degli esseri umani. In un tale senso - sembra - leggiamo nella Lettera agli Efesini: "Io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome" (3, 14-15). Ogni "generare" nella dimensione delle creature trova il suo primo modello in quel generare che è in Dio in modo completamente divino, cioè spirituale. A questo modello assoluto, non-creato, viene assimilato ogni "generare" nel mondo creato. Perciò tutto quanto nel generare umano è proprio dell'uomo, come pure tutto quanto è proprio della donna, ossia la "paternità" e "la maternità" umane, porta in sé la somiglianza, ossia l'analogia col "generare" divino e con quella "paternità" che in Dio è "totalmente diversa": completamente spirituale e divina per essenza. Nell'ordine umano, invece, il generare è proprio dell' "unità dei due": ambedue sono "genitori", sia l'uomo sia la donna» (Mulieris dignitatem, 8). Testo

  74. Cfr. Giovanni Paolo II, L'amore umano...cit., n° 9. Seguendo questa prospettiva si porrebbe la necessità di riconsiderare con speciale attenzione la possibilità che il registro dell'amore nuziale e della relazioni familiari possano avere una pertinenza nell'ambito della teologia trinitaria. Sebbene in questo ambito pesino le autorevoli riserve opposte sia da Agostino che da Tommaso, esistono buone ragioni per ritenere che un tale percorso riflessivo possa essere perseguito con vantaggio, in proposito, cfr. H. U. von Balthasar, Teologica, 3, trad. it., Jaca Book, Milano 1992, 131; A. Scola, Il mistero nuziale. Una prospettiva di Teologia sistematica?, Lateran University Press, Roma 2002; Id., Il mistero nuziale. Originarietà e fecondità, in «Anthropotes» 23(2007), 57-70; B. de Margerie, La Trinité dans l'histoire (Theologie historique 31), Beauchesne, Paris 1975, 367-388. Contributi interessanti sono offerti anche da K. Barth, Uomo e donna, trad. it., Gribaudi, Torino 1969; P. Evdokimov, La donna e la salvezza del mondo, trad. it., Jaca Book, Milano 1979; Id., Sacramento dell'amore, trad. it., Centro Studi Ecumenici Giovanni XXIII, Bergamo 1982. Testo

  75. Cfr. U. H. von Balthasar, Accesso alla realtà di Dio, in Mysterium Salutis, 3, trad. it., Queriniana, Brescia 1972, 19-26 Testo

  76. Scola, Il mistero nuziale. Originarietà...cit., 64. Testo

  77. Cfr. Gratissimum sane 9: «nella biologia della generazione è inscritta la genealogia della persona»; Cfr. A. Scola, Genealogia della persona del figlio, in Pontificio Consiglio per la Famiglia, I figli: famiglia e società nel nuovo millennio. Atti del Congresso Teologico-Pastorale Città del Vaticano 11-13 ottobre 2000, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001, 95-104. Testo

  78. Cfr. Scola, Il mistero...cit., 140-141. Testo

  79. La difficile articolazione tra amore e fecondità nel matrimonio, presente nella riflessione teologica e nell'insegnamento della Chiesa, almeno fino alla svolta rappresentata da Gaudium et spes, evidenzia un deficit di carattere antropologico che può essere ricondotto alla dimenticanza del profilo cristologico della considerazione dell'uomo, come si è in precedenza ricordato. Testo

  80. Cfr. A. Scola, L'esperienza elementare. La vena profonda del magistero di Giovanni Paolo II, Marietti 1820, Genova 2003, 20-44. Sul peculiare interesse di Giovanni Paolo II al paragone con la modernità, mi permetto di rimandare a G. Marengo, Giovanni Paolo II e il Concilio. Una sfida e un compito, Cantagalli, Siena 2011. Sulla pertinenza del registro della «generazione» alle problematiche del post-moderno, si vedano le stimolanti osservazioni di Sequeri, Una svolta...cit., 113-116. Testo

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