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La riflessione trinitaria in Agostino d'Ippona. L'uomo, immagine di Dio Trinità

di Rosanna Finamore (Roma, 26-28 maggio 2011)

1. Una biga speciale per il mistero più grande

I richiami a Dio Trinità sono presenti con molteplici forme in vari scritti di Agostino;1 essi sono sempre sostenuti dalla ricerca della verità, ma occorre attendere il De Trinitate per una trattazione ampia, articolata, pluridimensionale. Va appena ricordato che Agostino scrisse quest'opera a partire dalle questioni dottrinali sollevate dai credenti e dall'impegno personale a rispondere, sentendosi pronto ad approfondire il percorso di ricerca già personalmente ricoperto negli anni.2

Questo mio contributo è finalizzato a presentare la posizione di Agostino sulle problematiche-tematiche trinitarie, al fine di cogliere in alcuni principali nuclei del suo pensiero sia l'articolazione speculativa dei contenuti teologici nei suoi strumenti concettuali, argomentativi, sia le riflessioni filosofiche alimentate dai percorsi dell'intelletto che si interroga e della ragione che riflette, che ricerca la verità con i caratteri che le sono propri, che crea i presupposti per l'accoglienza della rivelazione. Ricerca teologica e ricerca filosofica sono in Agostino profondamente coniugate: il credo ut intelligam viene prontamente integrato dall'intelligo ut credam.

Iniziamo col dire che Agostino non decise di scrivere il DeTrinitate per affermare la sua autorevolezza teologica su altri autori ecclesiastici,3 né per dar prova della sua eloquenza, delle sue capacità speculative, dialettiche, scrittorie. Solo la volontà di porsi a servizio dei fratelli lo spinse a impiegare la propria lingua e la propria penna «come una biga spronata dalla carità».4 L'arduità dell'impresa e la consapevolezza di non potere esprimere adeguatamente col pensiero umano il mistero di Dio lo accompagnarono costantemente: «Anche il nostro pensiero stesso -- dichiarò -- si sente superato di molto, quando meditiamo su Dio Trinità, dall'oggetto cui si applica e non lo può attingere qual è, ma anzi, anche persone della grandezza dell'apostolo Paolo, come dice la Scrittura, lo vedono per specchio, in enigma»5 .

Nell'opera di cui ci occuperemo Agostino espose il dogma trinitario a partire dai contenuti biblico-teologici, lo difese quale dottrina delle relazioni e si occupò della formulazione del dogma, accompagnandola con puntuali spiegazioni. Completata la presentazione scritturistica e dottrinale, Agostino si soffermò in una meditazione teologico-mistica che costituisce un'introduzione all'illustrazione psicologica dei tratti dogmatici, avviò cioè una «ricerca più interiore» in cui l'intelligenza, diretta dalla fede, dispiegò l'indagine, approdando a plurime illustrazioni del dogma lungo direzioni filosofiche, teologiche e mistiche.

La redazione durò molti anni, la iniziò -- come egli stesso disse -- da giovane e la terminò da vecchio;6 in essi, mai venne meno la convinzione che quanto scriveva potesse venir incontro a coloro che stimano a dismisura la ragione, alimentano idee e opinioni erronee su Dio, prendono le distanze dalla fede poiché la disprezzano e, nutrendo una predilezione per la scienza, «insistono con troppo audacia nelle congetture e si precludono le vie dell'intelligenza, preferendo persistere nelle loro opinioni erronee, anziché mutare l'opinione che difendono».7 Agostino, ben conoscendo le loro posizioni, trasformò le loro provocazioni in una sfida che potesse coinvolgerli: perché impedire a se stessi di raggiungere la verità? Perché impedire all'intelligenza e alla ragione di essere ciò che sono chiamate ad essere?

L'opera, tuttavia, non fu scritta per ragioni pastorali o polemico-occasionali, ma teologico-filosofiche, con l'intento di aprire le vie dell'intelligenza al mistero rivelato: esso non solo va accolto con fede, ma può costituire oggetto di interrogazione e chiarificazione progressiva a plurimi livelli, anche in ordine alla contemplazione delle cose eterne, che sono tanto più desiderate quanto più l'uomo si scopre immagine della Trinità.

2. Problematiche teologiche e loro connotazioni linguistico-semantiche

Nell'opera di cui ci stiamo occupando, una prima scelta operata da Agostino nell'esporre il dogma è quella di seguire lo schema del simbolo di S. Atanasio (Quicumque vult);8 esso rispondeva meglio alla problematizzazione sorta intorno alle verità della divinità del Figlio e dello Spirito Santo, proclamate da Nicea. Va ricordato che si raccoglievano diversi interrogativi sull'unità di Dio e sull'uguaglianza di natura appartenente alla Trinità (perché una natura condivisa e non tre nature? Perché un solo Dio e non tre dei?), così come sorgevano perplessità sulle distinte operazioni ad extra di ciascuna persona divina (come possono esserci operazioni distinte per ciascuna persona se le persone sono inseparabili?), e infine si avanzavano dubbi sulle caratteristiche personali dello Spirito Santo, diverse da quelle del Figlio (come possono essere pensate relazioni differenti del Padre con il Figlio e del Figlio con lo Spirito Santo? Generazione e spirazione, nella loro distinzione, come vanno colte in Dio? ). Con l'affermazione di Dio Trinità Agostino si oppone vigorosamente al subordinazionismo delle persone divine, alle eresie ariane, esclude ogni fantasiosa quaternità, poiché le persone divine non possiedono nature distinte, che diventano una natura comune in una quarta divinità;9 possedendo la stessa natura divina, perfettamente uguale in ciascuna di esse, sono l'unica natura divina. Sono consustanziali, coeterne, inseparabili tra loro. Non è quindi intenzione di Agostino dimostrare la divinità della seconda e terza persona divina; egli la suppone in quanto affermata nella Sacra Scrittura, ma al tempo stesso fissa criteri esegetico-ermeneutici con i quali prende forma la prospettiva dell'unità e dell'uguaglianza delle tre persone divine, grazie alla quale rendere ragione a Dio Trinità. La divinità del Figlio e dello Spirito Santo era stata ben assicurata e difesa contro gli ariani dai teologi succeduti a Nicea, ma oltre alla delineazione del mistero, occorreva scandagliare la portata teologica dando voce alla ragione, risvegliata e nutrita dalla fede. Ben arduo fu affrontare e sciogliere i nodi problematici a partire dalle diverse formule adottate dai greci «una essenza, tre sostanze» e dai latini «una essenza o sostanza, tre persone» e Agostino si prodigò in dettagliate distinzioni linguistiche e semantiche ben conoscendo le difficoltà in cui s'imbatte l'uomo carnale che non giunge a comprendere i significati teologici della Trinità, perché è troppo legato alle rappresentazioni dei corpi e quindi delle masse ed estensioni, e propende a pensare alla Trinità come a un'essenza più grande di quella di ciascuna delle tre Persone divine, a non ritenere uguali le tre sostanze o persone, quando invece ognuna di esse è uguale a ciascun altra singolarmente, essendo tutte e tre persone divine.10 Dopo Tertulliano, la parola persona aveva perso il significato primitivo di maschera, di personaggio del teatro, di ruolo per esprimere il concetto di persona morale usato dei giuristi; il cambiamento divenne ancora più radicale in riferimento alle argomentazioni teologiche della Trinità di Dio. L'attenzione di Agostino per il concetto di persona fu costante, sempre mirata alla soluzione delle problematiche trinitarie che accendevano greci e latini; innanzitutto chiarì la necessità di non intendere il termine persona come predicato: esso è chiamato a indicare le relazioni intercorrenti fra i tre soggetti divini, nella loro distinta individualità e nella loro stessa essenza. Quindi, non abbiamo in Agostino la definizione di persona che emergerà storicamente più tardi con Boezio e che fu impiegata per le controversie cristologiche;11 con quel termine l'Ipponate volle proporre una perfezione in sé assoluta e al tempo stesso l'indicazione di un soggetto ben individuato e riconoscibile; applicato alla Trinità quel termine consente di parlare delle relazioni che in essa sussistono. Ancora, in Agostino non troviamo la definizione di natura, benché ne possedesse certamente la nozione; egli comunque distingueva i significati di natura e persona, come risulta dall'elaborazione dottrinale della sua opera. Con natura si intende l'essenza Dio e per persona il soggetto sussistente, contraddistinto da essa, in quanto da lui posseduta; tale chiarificazione concorse a far luce sulle relazioni: «il Padre non è chiamato Padre se non perché ha un Figlio ed il Figlio non è chiamato Figlio se non perché ha un Padre, queste non sono denominazioni che riguardano la sostanza. Né l'uno né l'altro si riferisce a se stesso, ma l'uno all'altro e queste sono denominazioni che riguardano la relazione e non sono di ordine accidentale perché ciò che si chiama Padre e ciò che si chiama Figlio è eterno ed immutabile. Ecco perché, sebbene non sia la stessa cosa essere Padre ed essere Figlio, tuttavia la sostanza non è diversa, perché questi appellativi non appartengono all'ordine della sostanza, ma della relazione; relazione che non è un accidente, perché non è mutevole».12

3. Relazioni e operazioni. Uno scavo teologico compiuto dal filosofo credente

Per difendere il dogma trinitario Agostino elaborò la dottrina delle relazioni divine distinte dalle perfezioni assolute che sono sostanziali e comuni a tutte e tre le persone divine; le relazioni appartengono ad un altro ordine che è quello delle distinzioni e del riconoscimento delle posizioni delle persone divine, esse sono immutabili, appartengono alla sussistenza delle persone. «Teniamo ben fermo anche -- dichiara Agostino -- che nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo l'identità di sostanza è talmente potente che tutto ciò che si attribuisce a ciascuno di essi in senso assoluto va inteso non al plurale collettivo, ma al singolare. Così il Padre è Dio, anche il Figlio è Dio, ugualmente lo spirito Santo è Dio, e questo è un appellativo di ordine sostanziale, nessuno ne dubita; tuttavia non sono tre dei ma noi diciamo che la eccelsa Trinità è un Dio solo».13 La singolarità delle tre persone divine, conseguenza della condivisione dell'identità sostanziale, e al tempo stesso la loro distinzione in termini di riconoscimento e relazione reciproci consentono di impiegarne gli attributi applicandoli sia secondo la sostanza -- come avviene quando si afferma che il Padre è Dio, il Figlio è Dio, ugualmente lo Spirito Santo è Dio -- , sia secondo la relazione secondo cui ad essere grande e buono è il Padre, è il Figlio, è lo Spirito Santo senza con ciò affermare che vi siano tre dei grandi e buoni, in quanto solo Dio è grande e buono in senso assoluto. Così, quando si impiega la parola Padre si indica specificamente la persona del Padre, quando si impiega la parola Dio si intende designare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, cioè la Trinità, che è un Dio unico.14 Dio è Trinità, ossia non è triplice;15 ad Agostino preme che non vi sia alcuna confusione circa gli attributi ed auspica il loro corretto impiego; egli quindi giunge a fissare un principio regolativo in ordine alle modalità con cui si parla di Dio: tutto ciò che viene detto di Dio in senso assoluto va detto con affermazioni distinte di ciascuna persona singola, ossia del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo e al tempo stesso viene detto della Trinità, riferendosi ad essa al singolare e non al plurale.

Analoga attenzione e richiesta allorché si esprimono le operazioni della Trinità. Data l'unità dell'essere, ne consegue l'unità dell'operare. In ogni operazione della Trinità vi è il concorso di tutte e tre le persone, i tre soggetti divini agiscono, ciascuno è sussistente per se stesso e distinto dagli altri, al contempo operano in modo inseparabile l'uno dall'altro. Così, ad esempio, Agostino afferma con convinzione che nella creazione è in azione la Trinità; l'inseparabilità delle tre persone divine nell'azione comporta, tuttavia, una separabilità di esse allorché si manifestano sensibilmente.16 In Dio, l'essere una natura e tre persone non è affatto contraddittorio, ciò avviene in quanto solo Dio è assolutamente semplice e plurale; questo è molto difficile da comprendere per i nostri limiti creaturali, per la conoscenza ed espressione che risultano frammentarie in quanto avvengono per gradi, in tempi successivi, infatti necessariamente scandiamo nel tempo ciò che di per sé è unitario. Agostino afferma: «con le nostre parole, che hanno certamente un suono sensibile, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo non possono essere nominati se non successivamente e distintamente secondo i tempi corrispondenti alle sillabe di ciascun vocabolo. Evidentemente nella sostanza in cui sussistono, i tre sono una cosa sola: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, identica realtà senza alcun movimento temporale, al di sopra di ogni creatura, senza alcuna separazione nel tempo e nello spazio, una sola identica cosa, simultaneamente dall'eternità all'eternità, come l'eternità stessa che non esiste senza verità, essenza, amore».17 Quando parliamo di Dio possiamo partire o dall'unità Dio, dalla sua natura, o dalla Trinità di Dio; è indifferente parlare prima dell'uno e poi nell'altro, in quanto inevitabilmente in Dio un aspetto comporta l'altro; mettere l'accento su un aspetto non comporta escludere l'altro. Dio è Trinità, non è triplice; non si può parlare soltanto del Padre o soltanto del Figlio poiché sono inseparabili; infatti «sono sempre l'uno con l'altro, mai solo nell'uno o nell'altro».18 Questo è ben spiegato con la dottrina dell'immanenza o meglio dell'inabitazione mutua delle tre persone divine, che dal secolo XII i greci, con S. Giovanni Damasceno, chiamarono pericoresis e i latini circumincessio.19

4. Le differenze tra scuole teologiche. La scelta strategica di Agostino

Nel quarto secolo ci sono state sfumature nella presentazione del mistero della Trinità nella scuola di Antiochia e in quella di Alessandria: nella prima, l'unità di Dio sembrava giustapporsi alla Trinità; al contrario nella seconda si preferiva presentare le tre persone separatamente, per riuscir meglio ad esprimere la loro unità sulla base della considerazione che il Padre è il principio delle altre due persone, è come la fonte dalla Trinità. La posizione degli alessandrini è più vicina al punto di vista dei latini rispetto a quella degli antiocheni; i latini preferiscono partire dall'unità di Dio, dalla sua natura; questo è anche il punto di vista di Agostino, che viene da lui tradotto in criterio metodologico nell'opera che stiamo esaminando. Fin dal primo libro Agostino afferma di voler prendere la parola per spiegare «in qual modo la Trinità sia un solo unico e vero Dio e come sia pienamente esatto dire, credere e pensare che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un'unica e medesima sostanza o essenza».20 In Agostino Dio uno e trino è espresso come Deus Trinitas, Unitas Trinitas, Deus Trinitatis, o semplicemente Trinitas. Strategicamente, per offrire una via che faciliti la comprensione, Agostino stabilisce un'analogia, rinviene una trinità che appartiene all'uomo, cioè la trinità di memoria, intelligenza, volontà, di cui parleremo: le suddette singole parole sono riferite a facoltà che sono tra loro distinte ma che pure nella persona umana sono inseparabili.

Va tenuto presente che i testi della Scrittura possono riferirsi all'unico vero Dio, cioè alla Trinità, anche senza menzionarla esplicitamente o altre volte richiamano le singole persone divine, ma concludono al singolare.21 Vi sono, inoltre, testi che esplicitamente affermano l'unità e l'uguaglianza della natura tra il Padre il Figlio, mentre talora altri indicano la differenza in ordine alla natura umana assunta dal Figlio che è la persona generata, vi sono quindi espressioni che presentano il Figlio come inferiore al Padre; ve ne sono infine altri ancora che, al di là dell'unità e dell'uguaglianza, affermano esclusivamente l'origine del Figlio dal Padre, per sottolinearne la relazione.22 Così, anche per quanto riguarda lo Spirito egli non può essere separato dall'unità del Padre e del Figlio; lo Spirito infatti è sempre Spirito del Padre e del Figlio e come può essere il Padre o il Figlio la «pienezza della nostra felicità», così si può parlare dello Spirito Santo «come se bastasse lui solo alla nostra beatitudine, e davvero basta, in quanto non può essere separato dal Padre e dal Figlio, allo stesso modo in cui basta il Padre solo, perché indivisibile dal Figlio e dallo Spirito Santo, e basta il Figlio solo, perché non si può separare dal Padre e dallo Spirito Santo».23 Eppure vi sono testi della Scrittura in cui sembra che sia affermata la superiorità del Padre rispetto al Figlio e allo Spirito Santo perché è il Padre che manda entrambi, senza che egli venga mandato da nessuno: é questo un particolare problema da risolversi alla luce delle cosiddette missioni divine, che Agostino ben affronta nei loro tratti fondamentali.

5. Processioni e missioni. Approfondimenti ermeneutici per i nomi

Per il Figlio e lo Spirito Santo esser stati mandati non costituisce un'inferiorità né indica un cambiamento di status, ma mette in luce il relazionarsi immanente alle stesse persone divine e al contempo il manifestarsi della Trinità nel mondo. Nella missione viene evidenziata la processione di una persona dall'altra, in particolare quelle del Figlio e dello Spirito Santo, e quindi la modalità di essere di quella persona stessa nel tempo, in riferimento ai peculiari compiti che è chiamata a svolgere. La missione comporta una dimensione di visibilità, qual é quella del Cristo nell'incarnazione e nella sua morte in croce, accompagnata da una dimensione di invisibilità, relativa alla giustificazione che opera in ciascun credente. Così anche per la missione dello Spirito Santo, inviato dal Padre e del Figlio, egli è dono di entrambi, infatti egli procede non solo dal Padre e dal Figlio come Agostino ben argomentò: lo spirito Santo é «coeterno» al Padre e al Figlio ed è al tempo stesso «donato» «è eternamente dono, ma temporalmente donato».24

Le processioni e le missioni sono rivelate dalla Scrittura e con esse emergono i nomi propri appartenenti a ciascuna delle persone divine; l'esser stati loro attribuiti è indice delle proprietà che le contraddistinguono personalmente come anche, per quanto è stato detto fin qui, delle relazioni che le vedono reciprocamente interagenti, operanti nella storia, per la salvezza. La prima persona è denominata Padre, Principio, Ingenito. La seconda persona è denominata Figlio, Verbo, Immagine, Unigenito. La terza persona è identificata con i nomi Spirito Santo, Dono, Amore. I nomi della prima persona esprimono tutti e tre relazionalità: il Padre si relaziona al Figlio, come il Principio si relaziona a chi da lui procede25 e l'Ingenito ha relazione distintiva-oppositiva a quanti sono generati; solo il primo è un nome biblico, gli altri provengono dalla consuetudine delle dispute. I nomi della seconda persona sono tutti biblici ed esprimono la relazionalità sotto particolari aspetti: il Figlio è in relazione al Padre, il Verbo e in relazione alla Mente, l'Immagine è in relazione all'esemplare di cui intende esserne espressione.26 I nomi della terza persona sono anch'essi biblici, ma a differenza dei precedenti non indicano caratteristiche esclusive della terza persona; benché questa sia specificamente lo Spirito del Padre e del Figlio il nome «Spirito Santo» potrebbe infatti essere applicato anche al Padre al Figlio. Tuttavia, proprio perché lo Spirito non è esclusivamente o solo del Padre o solo del Figlio ma di entrambi, ciò depone a favore di una più approfondita riflessione sulle reciproche relazioni è pertanto «fa pensare alla carità comune con la quale si amano vicendevolmente il Padre e il Figlio».27 Egli quindi è Dono nelle relazioni interne alla Trinità stessa, elargitore dei doni di Dio agli uomini e in particolare portatore della carità nei loro cuori.

6. L'intelligenza umana e il mistero

Dopo aver definito il dogma sulla base della Scrittura e della Tradizione e averlo difeso contro le interpretazioni erronee, dal libro ottavo la ricerca di Agostino far spazio in un modo originale all'intelligenza chiamata a penetrare il mistero attraverso una riflessione sull'anima umana, creata ad immagine di Dio,28 e qui investigata in termini di esperienza psicologica, senza che per questo si possa parlare di cambiamento di metodo rispetto ai libri precedenti. La verità che si sta indagando è teologica e il credente è chiamato ad aderirvi con fede, il metodo teologico permane, ma non viene irrigidito; si fa spazio una modalità che intende differenziare quelle precedentemente adottate, attraverso un'integrazione di istanze di antropologia teologica e antropologia filosofica. Agostino, infatti, afferma che si dedicherà allo studio «in modo più interiore delle precedenti»; questo, tuttavia non comporta inseguire ciecamente i percorsi dell'intelligenza o accantonare la fede.29 Il percorso psicologico che egli intraprende non è fine a se stesso né esso è intrapreso da una dialettica esclusivamente razionale; esso infatti è strumento di ricerca, via di riflessione per accostarsi a Dio Trinità che la rivelazione ha dato conoscere; il percorso è tracciato dall'intellectus fidei, ha quindi per protagonista l'intelligenza che sorge dall'atto di fede con cui si attua l'adesione alla verità rivelata. Non solo non vi è estraneità tra l'intelligenza e il mistero, ma l'intelligenza viene accesa in modo del tutto particolare dal mistero al punto che riesce a penetrarlo e, con ciò stesso, riesce a scoprire dell'anima umana aspetti peculiari e con accenti del tutto nuovi.

6.1. Spiegazioni psicologiche e teoria della coscienza

Agostino elaborò una teoria filosofica della coscienza, grazie all'investigazione che egli intraprese sull'anima umana attraverso vari percorsi speculativi anche al di fuori del De Trinitate; dei loro risultati si ritrovano comunque echi e sviluppi anche in quest'opera. Considerarli, anche se brevemente, consente non solo di accostare il pensiero dell'Ipponate con più vigile attenzione a un nucleo ricorrente nelle sue opere, ma di scoprire un nucleo teoretico profondo che contrassegnò la sua epistemologia.

Egli prese posizione contro lo scetticismo nel De beata vita; qui, in dialogo con il fratello Navigio, sollecita a trovare una «scienza» che lo accompagni anche nei momenti di ignoranza e il dubbio: essa consiste nella consapevolezza di vivere proprio mentre si sta vivendo, nel sapere di avere una vita umana, dotata di un'anima intelligente e di un corpo, di cui non si può dubitare, anche se può affiorare qualche incertezza su eventuali altri elementi che completano e perfezionano l'uomo.30 Se nel Contra academicos Agostino mise a fuoco la consapevolezza delle proprie esperienze sensoriali -- si può denominare questa consapevolezza coscienza empirica31 -- accompagnata dalla certezza del mondo sensibile in cui esercitiamo i sensi,32 nei Soliloquia la consapevolezza riguarda l'intero soggetto che si coglie esistente e pensante proprio mentre esiste e pensa.33 Il valore dell'esistere non è astratto, esso si afferma nel vivere; l'esistere e il vivere, confermati come valori nel Libero arbitrio, consentono di scoprire l' altro valore dell'uomo: il capire (intelligere), con cui è in grado di capire se stesso.34 La consapevolezza a questo livello è coscienza intellettuale. Questa soglia della coscienza, benché avanzata rispetto alla precedente, non è l'ultima. Nel De vera religione si fa strada il lumen rationis, che ha il compito di guidare l'uomo a riflettere, a giudicare, a pervenire alla verità -- è il livello della coscienza razionale -- e quindi a trascendersi, ad accogliere la Verità trascendente. Come ulteriore e definitiva confutazione delle posizioni scettiche, Agostino offre nel De civitate Dei la conferma della possibilità dell'uomo di giungere alla certezza e alla verità, a partire dall'esistere (esse), dalla coscienza di esistere (nosse) e dall'amare (diligere) l'esistere e il suo averne coscienza.35 Qualsiasi obiezione che provenga dall'esperienza dell'errore non potrà che confermare l'esistere; la coscienza di esistere è la coscienza di avere coscienza.36 Agostino ravvisa così nell'uomo l'immagine di Dio Trinità: l'uomo esiste, conosce, ama; tale spiegazione psicologica del mistero trinitario verrà confermata, come presto vedremo, nel De Trinitate; la certezza della propria esistenza personale scaturisce dalla coscienza, è certezza cosciente, è consapevolezza del proprio esistere (novi esse me), che si potenzia nella coscienza dei propri dinamismi coscienziali (ita novi etiam hoc ipsum, nosse me). Altrettanto si può dire dell'amore, che aggiunge un terzo elemento «di inestimabile valore» in cui si approfondisce il valore della coscienza: «non posso ingannarmi di amare, poiché non m'inganno sulle cose che amo ed anche se esse ingannano, è vero che amo cose che ingannano».37 Anche l'amore verso la coscienza di esistere, la coscienza di avere coscienza, è «vero e certo»; inoltre il desiderio della volontà di esistere porta con sé il desiderio e la volontà di essere felici. Qualcuno, allora, potrebbe pensare che Agostino orienti le questioni della coscienza tenendo conto solo della verità e della certezza, senza far spazio a una valutazione dell'uomo che incorra in errori, che sbaglia anche quando ritiene l'errore qualcosa di vero; a questo proposito viene incontro la riflessione presente nell'Enchiridion, in cui Agostino considera l'oggettività dell'errore e quindi il suo essere un male. Negare l'errore in quanto male o comunque sospendere un giudizio certo su di esso per continuare a dirsi sapienti, come facevano i rappresentanti della Nuova Accademia, viene disapprovato da Agostino, che ancora una volta confuta gli scettici per la contraddizione in cui cadono allorché negano di sapere (scire) ciò che non possono non sapere (nescire).38 È questo un particolare caso di coscienza razionale che non può essere negata, anche se ci si illude di negarla. Ogni persona umana è chiamata ad essere consapevole del proprio vivere, e quindi dei propri errori, ma quanti pensano di evitare l'errore, non prestando attenzione al loro vivere e non volendone essere consapevoli, si illudono di evitare l'errore; di fatto errano e confermano comunque il loro vivere e, con esso, la possibilità di essere consapevoli della propria scelta. Vi è pertanto la consapevolezza di non sapere, come vi è quella di voler vivere da nescenti; sebbene quest'ultimo aspetto sia un errore, va tenuto presente che anche quando si erra si vive: anche errando non si può non avere la convinzione di vivere, non si può sfuggire alla coscienza di vivere e di sapere.

È appena il caso di ricordare che in tutti i casi esplorati Agostino non impiegò direttamente il termine coscienza né tanto meno autocoscienza, che sono frutto di riflessioni filosofiche a lui successive, ma quanto da lui scoperto nelle analisi psicologiche dà forma a una sua personalissima teoria della conoscenza di sé, del sapere consapevole, dell'esplorazione interiore che diviene un'originale chiave metodologica per inoltrarsi nell'esplorazione del mistero trinitario.

6.2. Le immagini trinitarie umane

Attraverso un'analisi riflessiva Agostino giunse a scoprire la struttura triadica dell'anima e lesse le sue configurazioni, in analogia al mistero trinitario, quali immagini della Trinità nella persona umana.

Già nelle Confessioni, Agostino era pervenuto a una prima immagine psicologica, fondata su tre principi a cui ogni uomo può pervenire riflettendo su se stesso. Essi sono «l'essere, il conoscere e il volere», esse, nosse, velle;39 i principi non vengono solo enunciati, ma propriamente espressi in prima persona ed articolati su tre livelli, potenziandone il valore propositivo della triadicità e al tempo stesso del loro intreccio: «io infatti esisto, so, voglio: sono sciente e volente; so di esistere e di volere; voglio esistere e sapere». Ben emerge qui il significato della coscienza come consapevolezza e intenzionalità che contraddistingue il soggetto umano. Immediatamente dopo, Agostino ricompose in unità i tre principi; mentre sventò il pericolo di una loro dispersione, manifestò l'esigenza di salvaguardare l'immagine perché non si frammenti, ma rinsaldi anzi la sua qualità di immagine unica, benché carica di dinamicità interna: «Quanta inseparabilità di vita, e una vita sola, una mente sola, una essenza sola, quanta impossibilità di distinzione ed insieme quanto siano distinti, lo veda chi lo può».40

Indubbiamente Agostino assimilò ed elaborò la lezione di Plotino nelle Enneadi,41 ma certamente i suoi interessi psicologici acquisirono nuovo vigore dalla riflessione teologica. Indipendentemente dal mistero trinitario Agostino non avrebbe potuto elaborare una teoria filosofica della coscienza nei termini che conosciamo. Che egli abbia ricevuto eredità significative da Platone e da Plotino è fuori dubbio, ma solo con esse la ricerca non avrebbe potuto raggiungere la profondità che incontriamo sul tema dell'uomo, immagine di Dio-Trinità. Infatti gli interrogativi che si succedono si raccolgono attorno alla possibilità umana di interrogarsi sulla Trinità, di delineare immagini della Trinità nell'uomo, a partire dall'esperienza di sé comportante la consapevolezza del proprio essere personale e dei propri atti.42

Nel De Trinitate si rinvengono molteplici formule che esprimono significati attinenti al mistero trinitario; nell'illustrare i significati teologici, esse mettono in luce in chiave analogica realtà, dimensioni appartenenti anche alla persona umana, alla sua vita. Un esempio, tra i tanti, può essere la formula ispirata a un testo di S. Ilario di Poitiers che presentò le proprietà delle persone divine in termini di aeternitas, species, usus «eternità», «forma», «fruizione» rispettivamente per il Padre, per la sua Immagine, per il Dono. Agostino, nell'analizzare i significati teologici, si sofferma sull'Immagine, sui suoi caratteri di proporzione, uguaglianza, rassomiglianza, corrispondenza con la Realtà di cui è Immagine, per mettere poi in risalto ciò che la caratterizza: «in essa c'è la vita primale e suprema, per la quale vivere non è diverso dall'essere, ma la stessa cosa è l'essere e il vivere. In essa vi è l'intelligenza prima e suprema per la quale non è diverso vivere e intendere, ma intendere è vivere, è essere, tutt'uno».43 Intelligere, vivere, esse, nell'ordine esplicativo di presentazione, se da una parte contrassegnano l'Immagine, dall'altra fanno risaltare la relazione con il Padre, che in essa tutto conosce e fa; di qui l'amplesso del Padre e dell'Immagine che apre alla gioia, alla felicità o beatitudine, la cui fruizione nella Trinità è lo Spirito Santo che raggiunge con la sua abbondanza tutte le creature, in proporzione alla loro capacità di vita, nella conservazione del loro ordine, nel riposo del loro luoghi. Nelle creature vi è pertanto «la traccia» (vestigium) della Trinità, questa è di tutte le cose summa origo, perfectissima pulchritudo, beatissima delectatio.44

Nella seconda parte dell'opera, dal libro ottavo al quindicesimo, il pensiero di Agostino si dispiega in modo nuovo, ma esso è pur sempre conferma e sviluppo del suo piano principale. Egli ha maturato una certezza: occorre cercare Dio interiormente è dunque occorre indagare sulla vera dilectio, sul «vero amore».45 Vi è la «tensione nella ricerca» (intentio)46 che sorregge Agostino a proseguire la via intrapresa, essa proviene dalla fede che alimenta la conoscenza e fa nutrire la certezza che essa potrà compiersi quando Dio sarà visto «faccia a faccia» (1Cor. 13, 12). Ora, nel pellegrinaggio terreno, può essere d'aiuto parlare dell'uomo come immagine della Trinità, benché sia un'immagine inadeguata rispetto alla profondità del mistero. Essa è comunque un'immagine di Dio che risulta familiare, riguarda infatti l'amore, ed è più accessibile allo spirito (mens) di quanto non sia la Trinità. Quando si ama intervengono tre realtà: il soggetto che ama, l'amato e l'amore.47 Ogni persona umana ne fa esperienza e con la sua riflessione può cogliere questa immagine che le appartiene: essa è dotata di spirito (mens), di amore (amor), di conoscenza (notitia) allorché ha coscienza di sé; tutte e tre le realtà, nella loro distinzione e non meno nella loro unità, sono una significativa immagine della Trinità che l'anima umana possiede. È nell'uomo interiore che risiede l'immagine di Dio Trinità; conoscere e amare contraddistinguono lo spirito umano; tali dimensioni sono distinte e inseparabili nella vita, anzi costituiscono l'unicità della vita umana stessa, considerata nella sua integralità.

Nello spirito, inoltre, c'è una trinità ancor «più evidente» che è quella di memoria, intelligentia, voluntas48: l'uomo ricorda, comprende, ama; «lo spirito non può mai esistere senza ricordarsi di sé, senza comprendere sé, senza amarsi, sebbene esso non pensi sempre se stesso».49 Questa seconda trinità risulta dall'approfondimento della prima. L'intelligenza e la volontà sono le facoltà proprie dello spirito, che procedono dalla memoria; esse sono tre cose distinte ma unitariamente costituiscono una vita, non sono tre sostanze, ma una sostanza, le reciproche relazioni tra esse concorrono a ricomporre l'unità: «ho memoria di aver memoria, intelligenza e volontà. Ho intelligenza di intendere, volere e ricordare. Ho volontà di volere, di ricordare, di intendere. Con la mia memoria abbraccio insieme la mia memoria, intelligenza e volontà»50 . Va chiarito che questa trinità umana non è immagine di Dio semplicemente perché lo spirito ricorda se stesso, si comprende, si ama; il suo senso non è nell'autoreferenzialità, ma nella sua capacità di ricordare, comprendere, amare Dio, il Creatore dal quale dipende.51

È negli ultimi libri che Agostino, completando la sua riflessione, giunge a distinguere la «scienza» dalla «sapienza», in entrambe si riversa tutto ciò che è dell'uomo, ma con modalità differenziate: nella prima vi è un'immagine meno perfetta della Trinità poiché non trascende se stessa; solo nella seconda lo spirito giunge a conoscere, ricordare, amare il Creatore. Magistralmente Agostino stabilisce un costante confronto dialettico. Da una parte la somiglianza con la Trinità divina comporta il riconoscimento della dissomiglianza della trinità umana, dall'altra la scoperta in se stesso dell'immagine della Trinità conduce il soggetto umano a relazionarsi più personalmente con Dio Trinità. Per un verso, le varie immagini trinitarie umane non sono perfette, per l'altro verso esse sono quanto di migliore vi possa essere in lui; esse mirabilmente «sono nell'uomo», ma va detto subito che «non sono l'uomo».52 Nella riflessione teologica contemporanea vi è chi mostra perplessità sulle similitudini e sulle immagini, soprattutto sull'uso dell'analogia psicologica per accostarsi oggi alla vita delle persone divine;53 non entriamo in merito ad esse, ma riteniamo che l'indagine agostiniana, nelle sue innumerevoli implicazioni teologiche e filosofiche offra un modello interpretativo che non possa relegarsi al passato, proprio perché traccia l'itinerario speculativo attraverso cui l'uomo, conoscendo se stesso, può riconoscersi creato e amato da Dio.

7. Rilievi conclusivi

Il De Trinitate di Agostino è l'opera di un gigante del pensiero e della fede. Nell'ambito di quanto è stato proposto, ne focalizziamo le ragioni in ordine ai tratti più cospicui.

  1. Agostino svolse un notevole lavoro critico, a partire dall'incessante critica allo scetticismo dell'Accademia; essa, oltre il valore della confutazione degli accademici, raggiunge risultati particolarmente interessanti in ordine all'affermazione dell'ordine intelligibile della verità e quindi al suo reale raggiungimento nel pensiero, grazie alla consapevolezza di pensare. La sua criticità è sempre accompagnata da note di carattere antropologico-esistenziale. La riflessione del De Trinitate porta l'uomo a cogliersi come pensante e come vivente; come tale, lo porta altresì a cogliere la certezza incontrovertibile della propria esistenza. Anche in ordine al credere, il pensiero esercita un ruolo primario, per Agostino il credere è stato sempre una particolare forma di pensiero: «Lo stesso credere null'altro è che pensare assentendo [...] Chiunque crede pensa, e credendo pensa e pensando crede [...] La fede se non è pensata è nulla».54 Va subito detto che Agostino distinse pensare e conoscere, cogitare e cognoscere (nosse), cogitare e scire55 e quindi cogitatio e scientia, resa possibile quest'ultima dalla notitia, cioè dalla presenza della coscienza a se stessa, dal ricordo che ha di se stessa. Il pensiero non è quindi soltanto cogitatio dell'oggetto, qualunque esso sia; quando lo spirito si coglie con il pensiero (cogitatione) giunge a comprendersi e a riconoscersi, esso «genera dunque questa intelligenza (intellectum) e questa conoscenza di sé (cognitionem suam)».56
  2. Agostino poté riuscire mirabilmente a esprimere tutto ciò grazie a una motivazione profonda che guidò tutta la sua ricerca e che troviamo nei Soliloquia: «Deum et animam scire cupio».57 La riflessione sul mistero dell'anima umana non può allora tematizzare solo l'anima per se stessa o isolatamente, ma esige una ricerca filosofica vissuta come «processo d'interiorità» in cui si attui il suo trascendersi; pertanto quel processo dovrà affermarsi come «processo di trascendenza».58 È quanto avviene con il pensiero riflessivo che conduce a scoprire e valorizzare la dimensione di consapevolezza del soggetto per aprirlo al rapporto con Dio Trinità. «Il vero onore dell'uomo consiste nell'essere l'immagine e la somiglianza di Dio, immagine che non si conserva se non andando verso Colui dal quale è impressa».59
  3. Scoprire se stessi come immagine di Dio è quanto di più nobile possa desiderare lo spirito umano, tale immagine va cercata proprio nello spirito con cui l'uomo già conosce e si conosce. Quantunque lo spirito umano non abbia la stessa natura di Dio, questa immagine va cercata e trovata nella natura umana, e perché questo possa venire è necessario che lo spirito debba essere considerato in se stesso; e questa la condizione perché esso possa essere partecipe di Dio. Con una profonda comprensione antropologica Agostino afferma: «anche quando lo spirito è degradato e deforme per la perdita della partecipazione a Dio, resta tuttavia immagine di Dio; perché esso è immagine di Dio in quanto è capace di Dio e può essere partecipe di lui».60
  4. I testi della Scrittura, contenenti la rivelazione cristiana, costituiscono il luogo in cui si possono incontrare, confrontare, sviluppare il pensiero teologico e il pensiero filosofico. L'uno e l'altro sono chiamati ad avere ciascuno i propri interrogativi, i propri metodi d'indagine; ma entrambi attestano i percorsi dell'uomo verso la verità. «Dio ha fatto l'uomo a sua immagine e a sua somiglianza»: questa affermazione di Genesi trova nel De Trinitate di Agostino chiavi ermeneutiche teologiche e filosofiche particolarmente feconde che, lungi da sovrapporsi o da promuovere solo un abile intreccio di contenuti, danno luogo a riflessioni destinate a organizzare un particolare modo di intendere e impiegare il discorso teologico e il discorso filosofico. Non si tratta ci collegare o applicare artificiosamente conoscenze filosofiche a verità rivelate, né di far soltanto derivare da conoscenze biblico-teologiche contenuti filosofici, si tratta di penetrare con l'intelligenza il mistero. Per Agostino, innanzi tutto, mistero è quello di Dio Trinità, ma esso rinvia anche al mistero dell'uomo, chiamato a familiarizzare col mistero trinitario, a scoprirsi vestigio della Trinità. La scoperta della struttura trinitaria dell'anima, grazie all'investigazione dell'intellectus fidei, mentre prende forma di teorizzazione filosofica, investe l'ambito del pensiero teologico: «... quando verrà la visione faccia a faccia che ci è promessa, la vedremo con molta maggiore chiarezza e certezza di quanto ora vediamo la sua immagine che noi siamo».61 Dall'interpretazione trinitaria di Agostino emerge, così, un peculiare significato del pensiero cristiano: è nell'amore di Dio che l'uomo, immagine della Trinità, si perfeziona.

Copyright © 2011 Rosanna Finamore

Rosanna Finamore. «La riflessione trinitaria in Agostino d'Ippona. L'uomo, immagine di Dio Trinità». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**59 B].

Note

  1. Tra gli altri richiami, oltre a quelli delle Epistolae, vanno ricordati: Confessiones, XIII,11,12; De Agone christiano, 13,15-16,18; De beata vita 4,35; De Civitate Dei, 1,10; 24-30; De doctrina christiana I,5,5; De fide et symbolo, 2,3-4,5; 9,16-21; Enarratio in Psalmos 1,5; Sermones 52 139; Tractatus in Joannis Evangelium 1,8;18,3-6;20,3-11; 71,2; De praedestinatione sanctorum 8,13. Testo

  2. Cf. De Trinitate, 1,5.8. Testo

  3. Come egli stesso confidò, le opere in lingua latina al suo tempo scarseggiavano e quelle greche aveva difficoltà a leggerle. Testo

  4. De Trinitate, 3,1. Per la traduzione italiana verrà impiegato: S. AGOSTINO, De Trinitate / La Trinità, Testo latino dall'Edizione Maurina confrontato con l'edizione del Corpus Christianorum, tr. it. di Giuseppe Beschin, Nuova Biblioteca Agostiniana, edizione latino-italiana volume 4, Città Nuova Editrice, Roma 1987. Testo

  5. De Trinitate,5,1. Per la citazione paolina: 1 Cor.13,12. Testo

  6. Epistolae, 174. È indirizzata ad Aurelio, vescovo di Cartagine; la lettera nei suoi contenuti costituisce un prologo al De Trinitate. Circa la datazione sono state formulate diverse ipotesi; orientativamente si può collocare l'inizio del De Trinitate nel 399 e la sua conclusione nel 420 circa. Per la datazione delle opere si riscontrano variazioni tra gli studiosi. La composizione dell'opera avvenne in due tappe: dapprima Agostino compose i libri I-XII, pubblicati inizialmente senza il suo permesso per l'impaziente desiderio di leggerli da parte dei suoi amici, e poi il libri finali XIII-XV. Testo

  7. De Trinitate, 1,1. Testo

  8. Il simbolo apostolico e quello niceno-costantinopolitano erano ben noti e impiegati da Agostino sacerdote e vescovo. In particolare, il secondo formula la fede attorno all'unicità di Dio, alla natura di Gesù: egli è consustanziale al Padre, è generato e non creato, è eterno come il Padre, allo Spirito Santo : quale Signore e datore di vita procede dal Padre, è adorato e glorificato,ma manca in esso il riferimento esplicito alla Trinità e pertanto risulta meno didascalico e incisivo per le questioni trinitarie di quello atanasiano, come può risultare dal seguente confronto, anche se parziale. «[...] La fede cattolica è questa: che veneriamo un unico Dio nella Trinità e la Trinità nell'unità. Senza confondere le persone, e senza separare la sostanza. Una è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio, ed altra quella dello Spirito Santo.  Ma Padre, Figlio e Spirito Santo sono una sola divinità, con uguale gloria e coeterna maestà.  Quale è il Padre, tale è il Figlio, tale lo Spirito Santo [...].  Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio. E tuttavia non vi sono tre dei, ma un solo Dio. Signore è il Padre, Signore è il Figlio, Signore è lo Spirito Santo. E tuttavia non vi sono tre Signori, ma un solo Signore[...].  Il Padre non è stato fatto da alcuno: né creato, né generato. Il Figlio è dal solo Padre: non fatto, né creato, ma generato. Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio: non fatto, né creato, né generato, ma da essi procedente [...]. E in questa Trinità non v'è nulla che sia prima o dopo, nulla di maggiore o minore: ma tutte e tre le persone sono l'una all'altra coeterne e coeguali. Cosicché in tutto, come già detto prima, va venerata l'unità nella Trinità e la Trinità nell'unità [...].» Quicumque vult, Breviario Romano: Ufficio di Prima nella Festa della SS. Trinità. Testo

  9. Epistolae, 120,13. Testo

  10. Cfr. De Trinitate,7,6,11. Testo

  11. Cf. Boezio, De persona et duabus naturis contra Eutychen et Nestorium. Testo

  12. Trinità, 5,5, 6. Agostino si esprime sia in termini di «sostanza», che per i latini era ricorrente, sia in termini di «essenza» in riferimento ai greci che impiegavano ousía. Il De civitate Dei afferma pure le relazioni divine come costitutive dell'essere di ogni persona divina. Cf. De civitate Dei 11, 10,11. Testo

  13. De Trinitate, 5,8,9. Testo

  14. Ibidem. Testo

  15. In tutto il libro sesto Agostino è impegnato ad affermare contro gli ariani l'uguaglianza perfetta delle tre persone divine; non vi è alcuna contraddizione nell'affermare l'identità di sostanza e la trinità di persone. Fra le tre persone vi è una mutua immanenza per cui Dio si può dire trino ma non triplice. Testo

  16. Come accadde per lo Spirito Santo, che si manifestò sotto forma di colomba o di lingue di fuoco. Testo

  17. De Trinitate, 4,21,30. Testo

  18. De Trinitate, 6, 7,9. Testo

  19. La circumincessio può essere distinta in psicologica e ontologica. Cf. B. Lonergan, The Triune God: Systematics, translated from De Deo Trino: Pars Systematica (1964), by Michael G. Shields, edited by Robert M. Doran and H. Daniel Monsour, Collected Works of Bernard Lonergan, 12, University of Toronto Press, Toronto Buffalo London 1988, Assertion 13, pp. 413-420. Testo

  20. De Trinitate, 1, 2,4. Testo

  21. Agostino puntualmente analizza vari passi fin dall'inizio dell'opera. Cf. De Trinitate, 1,6,12-13. Testo

  22. De Trinitate,2,1,3. Testo

  23. De Trinitate,1,8,18. Testo

  24. De Trinitate,5,16,17. Testo

  25. De Trinitate,5,13,14. Testo

  26. Ibidem. Testo

  27. De Trinitate, 15,17,27. Testo

  28. Già nel precedente libro Agostino aveva dibattuto la questione dell'uomo immagine della Trinità. Cfr. De Trinitate, 7,6,12, ma è nel Libro ottavo che essa viene sottoposta a una particolare teorizzazione filosofica. Testo

  29. L'illuminazione proviene da Dio e la fede illumina la ragione; a questo riguardo non ci può essere spazio per alcuna esitazione: «se qualcosa resta ancora oscuro per la nostra intelligenza, non ci allontaneremo dalla fermezza della fede». Trinità, 8,1,1. Testo

  30. Vita beata, II,7. In Trinità 15,12,21, all'interno di una riflessione più ampia Agostino confermerà «è con una scienza interna che noi sappiamo di vivere». Testo

  31. Attingiamo la denominazione dei vari livelli di coscienza, pur nell'unità sua propria, dal pensiero di B. Lonergan, filosofo e teologo canadese del XX secolo, estimatore di S. Agostino e studioso di S. Tommaso, cf. B. Lonergan, Insight: A Study of Human Understanding (1957), edited by F.E. Crowe and R.M. Doran, Collected Works of Bernard Lonergan, vol. 3, University of Toronto Press, Toronto 1992, tr. it. Insight. Uno studio del comprendere umano, a cura di S. Muratore e N. Spaccapelo, Opere di Bernard J.F. Lonergan, vol. 3, Città Nuova, Roma 2007; Id., Method in Theology (1972), University of Toronto Press, Toronto 2003; tr. it. Il Metodo in teologia, a cura di S. Muratore e N. Spaccapelo, Opere di Bernard J.F.Lonergan, vol. 14, Città Nuova Editrice, Roma 2001. Per i riferimenti specifici all'interpretazione agostiniana cf. S. Biolo, La coscienza nel De Trinitate di S. Agostino, Libreria Editrice dell'Università Gregoriana, Roma 1969. Testo

  32. Cf, Contra academicos, III, XI,26. Testo

  33. Soliloquia, II, I, 1. Testo

  34. De Libero arbitrio,II, III,7. Testo

  35. Cf. De civitate Dei, 11,26. Testo

  36. Ibidem. Si fallor sum, «'Se mi inganno esisto'. Chi non esiste non si può neanche ingannare e per questo esisto se mi inganno. E poiché esisto se mi inganno, non posso ingannarmi di esistere, [...] Senza dubbio non m'inganno nel fatto che ho coscienza di esistere. Ne consegue che anche dal fatto che ho coscienza di avere coscienza non m'inganno». Testo

  37. De civitate Dei, 11,26. Testo

  38. Enchiridion, VII,20. «Imo nescire se dicunt, quod nescire non possunt». Testo

  39. Confessiones, XIII,11,12. Testo

  40. Ibidem. Testo

  41. Plotino, Enneadi, 4,10,6-9. In Plotino la coscienza si delinea come riflessione che pervade tutta l'interiorità, il pensiero si rivolge allora a se stesso, attua un ripiegamento che si allontana dalle attività esterne per fissarsi su di sé in una sorta di lucidità nuova che richiede immobilità. Tale ripiegamento è propriamente la coscienza; con essa l'uomo scopre la propria interiorità, quale via che lo ricongiungerà all'Uno. Prima di Plotino, Platone nel Carmide aveva posto la distinzione tra le cose della natura e dell'anima cosciente. Testo

  42. La coscienza di sé non si esaurisce nel rilievo fenomenologico di cogliersi consapevoli, ma si proietta oltre se stessa interrogandosi sulle persone della Trinità. «Chi potrebbe concepire facilmente se in Dio la fusione di quei tre principi sia la Trinità, se essi a ciascuna delle persone convengano» o se la Trinità, nella sua semplicità e infinità debba dirsi esistente, «nota a se stessa, bastante a se stessa, immutabilmente identica nell'immensa grandezza dell'unità?» Confessiones, XIII,11. Testo

  43. De Trinitate, 6,10,11. Testo

  44. De Trinitate, 6,10,12. Testo

  45. De Trinitate 8,7,10. Testo

  46. De Trinitate, 9,1,1. Testo

  47. De Trinitate, 9,2,2. Cf. anche 9.3.3: lo spirito (mens) per amare se stesso deve avere coscienza di sé mentre si conosce (notitia); «conosce anche se stesso per mezzo di se stesso». Testo

  48. De Trinitate, 10,11,17. Testo

  49. De Trinitate, 15,3,5. Testo

  50. De Trinitate, 10,11,18. La memoria e la facoltà con cui l'anima si rende presente a se stessa ed è presente a Dio che parla interiormente. Agostino è ben lontano dai significati della reminiscenza platonica. Testo

  51. De Trinitate,14,12,15. È in questo modo che si rende sapiente. Sarà dunque sapiente non per proprie capacità ma per la partecipazione alla luce che proviene da Dio. Testo

  52. De Trinitate,15, 7,11. Testo

  53. Cf. A. Milano, Trinità, in Dizionario Teologico Interdisciplinare, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1977, vol. 3, p. 493. Testo

  54. De praedestinatione sanctorum, 2,5. La citazione è presente in Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, 79. Testo

  55. Cf. De Trinitate, 10,5,7. Testo

  56. De Trinitate, 14,6,8. Testo

  57. Soliloquia, I,7. Testo

  58. M.F. Sciacca, Sant'Agostino, Morcelliana, Brescia 1949, pp.130-132. Testo

  59. De Trinitate, 12,11,16. Agostino si era nutrito della letteratura latina, da giovane era rimasto affascinato dalla lettura dell'Ortensio di Cicerone che proponeva i valori filosofici come quelli più consoni a far risaltare, attraverso un'educazione liberale, l'onore dell'uomo. L'onore viene ora letto in chiave filosofico-teologica cristiana. Testo

  60. De Trinitate, 14,8,11. Testo

  61. De Trinitate, 15,23,44. Testo

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