di Antonino Drago (Roma, 26-28 maggio 2011)
Rispetto al mondo intellettuale greco, la novità cristiana della Trinità ha obbligato la riflessione umana a far coesistere (almeno) tre diverse parole definitorie di enti (divini) diversi. Ma a differenza delle parole che indicano enti concreti, queste parole possono essere sia negative (ad es.: non finito) che affermative (ad es.: Padre), quasi che si tratti di esprimere una contraddizione, cioè quella situazione logica che, come è ben noto, permette di concludere tanto il vero quanto il falso. L'impressione è rafforzata dal fatto che quelle parole debbono esprimere anche l'unità; infatti la Trinità è detta Tri-unità, benché la proposizione 3 = 1 sia chiaramente contraddittoria.1
Non meraviglia allora se la Chiesa ha posto questo concetto come un dogma, cioè una verità che trascende la ragione umana. Di fatto, nella storia del Cristianesimo è stato molto difficile indicare questo concetto con parole minimamente adeguate. La teologia di tipo affermativo non ha affrontato direttamente questi problemi; piuttosto, ha cercato innumerevoli attributi di Dio, cercando poi di collegarli assieme. Invece la teologia negativa ha sostenuto che i problemi logici sono inevitabili, perché Dio è al di là anche della legge della non contraddizione; quindi ha cercato nuovi approcci, vie e metodi per avvicinare Dio. Nel seguito seguiremo questa scuola teologica che propone quella una via diretta a Dio che presenta subito delle difficoltà cruciali; perché in effetti i suddetti problemi logici del concetto di Trinità le hanno ostacolato la formulazione intellettuale delle sue tesi base.
Uno dei massimi esponenti della teologia negativa è Nicola Cusano (1401-1464), che ha illustrato con molte opere la sua concezione della Trinità, che è originale ma ben collegata a quelle dei precedenti teologi negativi.
È ben noto che un secolo fa Cassirer ha riconosciuto a Cusano il merito di aver sicuramente anticipato la struttura della moderna filosofia della conoscenza; in particolare, di aver indirizzato la mente umana a conquistare il concetto di infinito e di aver cercato, svalutando l'importanza della logica classica, una nuova razionalità logica, capace di ragionare in maniera nuova.2 Ma la logica dei suoi scritti è risultata oscura agli studiosi; inoltre il suo linguaggio è di difficile interpretazione: è fortemente allusivo, passando facilmente ad essere anche simbolico e aprioristico secondo il dogma cristiano. (v. Appendice 1). A causa di queste difficoltà gli studiosi hanno ricostruito il suo pensiero solo intuitivamente, ottenendo risultati approssimativi, senza conclusioni indiscutibili.
Sicuramente Cusano ha creato una sua diversa maniera di pensare in maniera euristica; noi la studieremo la sua esperienza alla luce di una semplice tecnica di natura linguistico-logica; questa quale fa concentrare l'attenzione su alcune figure linguistiche rivelatrici del tipo di ragionamento compiuto dall'autore (Appendice 2). Essa è di facile applicazione perché non richiede una competenza specifica, né in linguistica, né in logica; ed è importante perché permette di far passare le analisi, sia pure alle volte profonde e brillanti, dei testi di Cusano dal basarsi sulla sola intuizione filosofica ad analisi che ottengono risultati di natura oggettiva, sia perché di natura logico-linguistica, sia perché misurabili quantitativamente.3
Qui intendo chiarire la concezione per lui più appassionante, quella della Trinità. La tesi di questo scritto è che, contrariamente a quanto hanno concluso molti suoi studiosi, Cusano è stato capace (ma non sempre) di seguire una precisa maniera di ragionare, come lui stesso si proponeva; infatti all'inizio di una delle sue prime opere ha dichiarato: «ratiocinandi modum suscipe».4 In particolare vedremo che egli ha ottenuto una sua definizione originalissima, ben fondata e chiaramente henologica5 della Trinità.
Per non appesantire la lettura del testo seguente ho posto in cinque Appendici le parti che precisano alcuni aspetti che al lettore possono richiedere più attenzione. Le Appendici 2, 4 e 5 trattano temi che hanno a che fare con la fondazione in logica matematica, dell'uso delle doppie negazioni; il lettore che rifugge dall'avere anche un minimo contatto con la logica, può trascurarle, perché può comunque capire il senso del discorso mediante l'intuizione filosofica usuale; infatti l'Appendice 3 mostra che i filosofi possono intuire le leggi della logica non classica quasi perfettamente.
Cusano sosteneva che la teologia positiva non è capace di pensare la Trinità, perché questa teologia è basata sulla logica classica (aristotelica), che è «disgiuntiva» delle tante qualità di Dio; Cusano l'avversava, definendo i suoi seguaci una «setta».6 Oggi possiamo dire che in logica classica essa vale la legge del terzo escluso («o A, o non-A»); mentre è notorio che all'infinito noi non possiamo decidere una questione posta sotto questa legge (ad es. dentro un elenco telefonico infinito non possiamo decidere se c'è Rossi Antonio). Egli voleva pensare Dio più che con la ratio, che è soggetta alla legge della non contraddizione, con l'intellectus, che segue una maniera diversa di pensare logicamente.
Nel seguito interpreterò l'intellectus come un modo di ragionare mediante frasi doppiamente negate che non sono equivalenti a quelle affermative (ad es. «Assolto per insufficienza di prove di colpevolezza»; che significa che il tribunale non ha le prove convincenti della sua colpevolezza); che quindi soddisfano alla legge fondamentale della logica non classica così come la conosciamo oggi. Ognuna di queste frasi verrà indicata con la sigla FDN e per segnalare al lettore le sue due negazioni queste verranno sottolineate.
È chiaro che cosi sovrapporrò uno schema (minimamente) formale al pensiero intuitivo di Cusano; ne ritaglierò la parte che soddisfa lo schema, curandomi non di quanto possa restare fuori, ma della coerenza del suo argomentare e poi se così Cusano sia riuscito ad indicare una nuova maniera di pensare la Trinità.
Sin dall'antichità sono esistite logiche diverse; ma fino alla metà del secolo scorso la logica non classica è appartenuta sola alla filosofia. Da quel tempo essa è stata chiarita dalla logica matematica; in particolare, è stato messo in luce che la distinzione tra la logica classica e (quasi tutte) le logiche non classiche è data soprattutto dalla validità o non della legge della doppia negazione. Se questa legge non vale, se cioè due negazioni non affermano, allora si sta seguendo un modo del tutto diverso di pensare e ragionare (v. Appendice 2).
Utilizzando la tecnica del riconoscere le FDN in un testo ho dimostrato che gli scritti di teologia negativa si distinguono nettamente da quelli della teologia positiva in quanto utilizzano sistematicamente FDN,7 e non, come fa pensare l'usuale aggettivo «negativa», delle semplici negazioni. Si noti che anche una analogia è una FDN, perché è equivalente alla frase: «Non è vero che non siano uguali...». Quindi il metodo agostiniano di trattare la Trinità per analogie è da considerare appartenente alla logica non classica, da eventualmente formalizzare mediante più FDN di quelle che egli già usa.
Più in generale, le FDN risultano importanti nei testi che espongono teorie basate su un problema fondamentale.8 Il caso della teologia negativa è ovviamente di questo tipo: essa ha il problema di come conoscere, almeno minimamente, Dio.
Qui applicherò questa tecnica ai principali scritti di Cusano sul tema di suo massimo interesse: la Trinità. I testi sono: De Docta ignorantia (1440) II, cap. VI, De Visione Dei (1453) 17-18, Possest (1460) pp. 767-779, De non Aliud (1462) 1-5, De Venatione Sapientiae (1463) 14 e 24.9
Nella Appendice 4 mostrerò che in questi testi risultano essere presenti molte FDN; il loro numero è un po' variabile seconda delle varie opere (che d'altronde tutti giudicano diverse nel metodo di indagine); ma la loro occorrenza è una costante sicura del suo pensiero. Ho calcolato la periodicità media delle FDN nei testi suddetti; anche la minima periodicità nel De Visione Dei (una FDN ogni 6, 3 righe di testo) è indicativa di un modo di pensare che si appoggia su questo tipo di frase. Ciò dimostra che la maniera di argomentare di Cusano (per lo meno sull'argomento della Trinità) è oggettivamente molto diversa da quella di chi usa la logica classica; e siccome Cusano, più di ogni altro teologo negativo, aveva il programma di scoprire uan nuova logica argomentativa, i suoi scritti più significativi per tale proposito meritano una particolare attenzione. Nel seguito il lettore non dovrà nemmeno verificare se le frasi doppiamente negate sono equivalenti o non alle corrispondenti affermative: siccome nei testi l'uso delle doppie negazioni della logica classica ha un significato solo retorico o enfatico, e quindi è raro, allora il lettore in prima approssimazione potrà limitare la sua attenzione alla semplice occorrenza delle doppie negazioni, tralasciando la verifica se esse siano o non equivalenti alle corrispondenti affermazioni; comunque tutte quelle indicate nel seguito sono non equivalenti.
Ho trovato due soli studiosi che commentano le concezioni di Cusano sulla Trinità; rimando il lettore ad essi per una prima introduzione al tema.10
Di fatto tre i sono i concetti basilari con i quali Cusano si riferisce a Dio: idem, non aliud, e possest. Purtroppo Rotta, tra i «diversi schemi trinitari» di Cusano, tralascia quello che si basa sulla seconda dizione, la quale invece appare molto importante; perché Cusano, dopo un lungo lavorio intellettuale, con essa è giunto ad una sua originale definizione «negativa» di Dio come Trinità.11 A questa nuova definizione egli dedica un intero libro, il De Li Non Aliud12, che «si può sostenere che sia il più originale di Nicola Cusano»13 (per una breve presentazione del suo contenuto si veda la Appendice 3).
Nel De Non Aliud Cusano ha una idea chiara sulla maniera di concepire la realtà:
Nicola. Ora ti domando: in primo luogo, che cosa è che ci fa conoscere (apprimere)?
Ferdinando. La definizione.
Nicola. Hai risposto bene. Infatti il discorso o ragione (ratio) è definizione...14
Qui ci sono i tanti nomi di Dio in negativo (ineffabile, infinito, inaccessibile, ecc.). Ma ora notiamo il titolo dell'opera suddetta; questa espressione è ripresa dalla tradizione della teologia negativa: non aliud. In effetti non c'è definizione che esprima meglio una infinità e una totalità irraggiungibili, come per noi lo sono in Dio.
La importanza di questa definizione che, come vuole Cusano, «definisce sé stessa e tutto» è stata sottolineata da Bonetti e von Bredow (v. le citazioni dei loro scritti in Appendice 3), ma la chiarisce molto bene Gleisch:
Che si guadagna a chiamare Dio, il primo Principio, <Non Altro>, preferendo questa designazione ad altre dell'Assoluto? Si domanda Ferdinando l'aristotelico. Nient'altro che un supplemento di precisione [nel linguaggio], risponde Nicola... [perché quella designazione] ci rinvia unicamente ed esclusivamente al Principio stesso. O piuttosto: essa ci offre il cammino più sicuro verso il Dio divino e nient'altro che divino, ma senza che possiamo farne <il nome di Dio che è anteriore a ogni nome nominabile nel cielo e sulla terra> (2, 6)... ai suoi [di Cusano] occhi niente sembra portarci meglio al di là della negazione e della affermazione, della posizione e della privazione, che il <Non Altro>; che è, con ogni evidenza, <più semplice e più originario>, perché è <ineffabile e non può essere espresso da un altro> (3, 11). Raramente quello che si potrebbe chiamare la dimensione <protologica> della teologia negativa è stata sottolineata con tanto vigore quanto in questo dialogo del Cusano. Non basta sottolineare che il <termine «Non Altro» è il più soddisfacente per lo spirito, perché si definisce da solo> (5, 17); più importante ancora è la possibilità che [quel termine] ci offre di vedere tutto in lui, di pensare un Dio che è <tutto in tutte le cose, benché non sia alcuna tra di esse> (6, 21)... È su questa ammirevole formula che io concluderò questa mia meditazione [filosofica] ...»15
Di fatto questa definizione-denominazione appartiene con precisione alla logica non classica, perché essa è una doppia negazione che non ha una parola affermativa corrispettiva; infatti chi ha le prove dell'esistenza di Dio? Essendone privi, è sicuramente meglio chiamarlo con una doppia negazione.16 Infine essa mantiene il carattere congetturale del pensiero di Cusano, senza reificare nulla. Quindi la sua dizione, basata sul concetto di «non altro», risulta essere ottimale. Ciò qualifica la teologia di Cusano (per lo meno sull'argomento della Trinità) come un pensiero basato sulle doppie negazioni.
Ma egli usa la dizione non altro per definire anche oggetti concreti: «Il cielo non è altro che il cielo»; qui la doppia negazione è solo enfatica, essendo equivalente all'affermazione. Questo fatto è fonte di confusione. Nel seguito la eviteremo queste perché prenderemo in considerazione solo le argomentazioni su enti metafisici.
In questa opera Cusano discute a lungo sulla Trinità, il tema che (assieme a quella su Cristo) sicuramente rappresenta l'apice della sua riflessione. Cusano, sapendo che Agostino per definire la Trinità dice tre volte idem17, passa alla doppia negazione e così inventa una formula ben più significativa: «Il Non altro non è altro che il Non altro (Non aliud aliud non est quam non aliud)».18 Molti studiosi hanno valutato questa definizione della Trinità come una «jonglerie»; o «un gioco di parole», o «parole scherzose» (Nicholas write playfully), o una «frase simbolica»; altri evadono il problema di chiarirla appellandosi al Cristianesimo: «cifra di un'esperienza cristiana della fede».19
Ma altri valutano molto positivamente questa formula. Ad es. Rotta:
Si potrebbe anche dire che S. Tommaso parla di Dio anche partendo da ciò che Dio non è, l'Universo e l'uomo; il Cusano invece parla di Dio non tenendo calcolo di tutto ciò per stabilirne l'esistenza e per formulare gli attributi che a lui convengono. Il Nostro si riferisce solo alla virtus dell'intelletto, trascendente la ragione, non per trovarne motivi concreti di somiglianze, ma solo per dimostrare l'esistenza dell'Assoluto attraverso i puri concetti [che per Rotta sono quelli] metafisici di unità, di infinità, di complicatio, e di coincidenza degli opposti...20
Ma già Vanstenbeerghe aveva scritto:
E alla fine ... nel Non Aliud egli classifica per ordine di eccellenza le espressioni relative alle Persone divine... i termini migliori sono sempre quelli che si accordano meglio con l'unità e la semplicità di Dio. Tuttavia questa volta pensa di aver trovato, nella definizione stessa di Dio, che qui chiama «non aliud», la formula più adeguata dalla Trinità... Perciò l'essere primo, che deve necessariamente definirsi lui stesso, definendosi esprime la sua trinità: la sua definizione è il suo nome ripetuto tre volte...
Il non altro, lui, non è affermazione, né negazione né niente di ciò; è avanti a tutto ciò, e Cusano ci trova l'espressione la più perfetta dell'idea che egli ha cercato da tanto tempo per mezzo della coincidenza dei contrari.21
Poi l'autorevole Wilpert ha precisato:
Quel fondamento di tutto l'essere, che necessariamente non può essere determinato da alcun altro e per questa ragione deve essere la definizione di se stesso, si rivela in questo stesso nome come trino: la sua definizione è la tripla ripetizione del nome ed essa non indica solamente che questa essenza si determina da sé senza bisogno di qualsiasi cosa per la sua determinazione, essa rivela la sua trinità nella sua indivisibile unità.22
In realtà l'intera formula, composta da tre doppie negazioni non aliud, esprime tre volte la distanza dell'uomo da Dio; o meglio, la trascendenza di ciascuna delle tre Persone divine dagli uomini. D'altra parte, all'interno della definizione esse hanno ruoli autonomi differenti. La prima doppia negazione stabilisce il primo termine di confronto, la seconda dà il legame con la terza, quest'ultima, pur essendo uguale alla prima, non ne ha lo stesso contenuto, perché la frase giunge alla terza dopo un giro di pensieri (o di atti) che ha memoria di come ci si è arrivati; quindi ha arricchito la prima. La frase combina le ripetizioni in modo da significare che ognuna di esse è distinta, cioè che ognuna delle tre Persone della Trinità è Dio in pari misura.
E purtuttavia la formula dice tre volte le medesime parole, cioè esprime una unità essenziale. Notiamo che solo la seconda, seconda non è espressa esattamente come una delle altre due; essa ha giustappunto il compito in più di fare da legame unitario delle altre; in effetti così è, secondo il dogma cristiano, per lo Spirito Santo).
Concludiamo che Cusano con quella formula a doppia negazione ha trovato il modo concettuale e linguistico di comporre una frase che ripete tre volte le stesse parole senza cadere in una tautologia, né tanto meno in una contraddizione. Un momento di riflessione indica che oltre questa formula verbale, non ne può esistere un'altra che sia più rappresentativa della Tri-unità di Dio. Infatti, ogni altra formula: o è di logica classica, ma allora va a esprimere o una contraddizione («Sei Uno e sei Tre»; ovvero 1 = 3), o una tautologia (ovvero: 1 = 1 = 1), o una scissione: «Sei Uno, sei Tre». Oppure è di logica non classica; e allora deve fare appello alle doppie negazioni.23 La struttura della triplice ripetizione di Cusano è la seguente: un ente in astratto e in sé -- un legame espresso con un verbo -- un ente in concreto, reale. Prendendo un concetto espresso da una doppia negazione che sia diverso dal non altro, non si otterrebbe una definizione della Tri-unità; ad es. non hanno questa capacità i concetti di non violenza, o di non divisione (advaita); con i quali si possono al più formare le frasi: «La non violenza non violenta il non violento»; «La non divisione non divide i non divisi» i sensi delle quali sono poco chiari. L'astuzia di Cusano è quella di usare al posto del verbo la copula, la quale pone immediatamente il problema della identificazione, così come è tra le tre persone.
Merlo ha già scritto che dalla innovazione del pensiero di Cusano sulla Trinità
... deriva una forte cesura rispetto al fondamentale teismo tomista, a quell'unità di teologia e ontologia oramai tutta dispiegata nella costruzione di 'ordini di dominio' del mondo sociale e di quello naturale. [E anche rispetto al] la riduzione tomista del problema delle Persone a mere relazioni intradivine», da cui «il tratto ateistico del pensiero tomista [che] ammette analogie politiche monarchiche.24
In particolare, la concezione di Cusano sulla Trinità è tipicamente henologica, per cui l'Unità viene prima dell'Essere. Già l'ha messo in luce Vanstenbeerghe: «A considerare il semplice valore delle parole, egli continua ad accordare, assieme ai Platonici, la priorità dell'unità sull'identità, come pure sull'eternità».25 Dal nostro punto di vista, possiamo aggiungere che, essendo l'unità espressa con la doppia negazione, «Non altro», ed essendo essa questa espressione l'unica vera, gli altri concetti positivi con i quali si esprime Dio non possono che seguire da essa.
A conclusione di questo breve scritto, che è un semplice assaggio del pensiero del Cusano su quanto più gli stava a cuore, notiamo che quanto abbiamo visto in precedenza già prova che in Cusano anche l'intellectus può avere una sua razionalità, perché la nuova definizione di Dio, data da Cusano mediante l'intellectus, corrisponde all'uso di una vera razionalità, che però risulta nuova e ben distinta dalla ratio tradizionale. Con ciò egli ha veramente incominciato ad insegnare una nuova maniera di pensare. Purtroppo Cusano non ha approfondito il punto; anzi, ha sfruttato la novità non ben definita per permettersi più spazio per proporre nuovi pensieri in maniera più o meno coerente con quelli definiti con FDN.
Per ragioni di spazio fermo l'analisi dei suoi scritti allo studio delle sole FDN, tralasciando i due passi successivi del metodo indicato nell'Appendice 2. In effetti risulta, come mostra la Tabella dell'Appendice 5, che i ragionamenti per assurdo sono pochi e poco attinenti al tema; e comunque non innovano rispetto all'argomento ontologico di S. Anselmo. D'altronde nel resto di questo suo libro e negli altri libri, si vede che purtroppo non ha chiarito la maniera di ragionare tipica della logica non classica. Pertanto si può concludere che Cusano, non avendo chiara la sua novità, molto spesso si è appoggiato su metafore, analogie e verità di fede; facendo così, ha ridotto la capacità del lettore di discernere, nella complessità del suo frasario, il senso preciso delle sue frasi; così come giustamente hanno notato vari studiosi, tra i quali ultimamente Hopkins (vedi Appendice 1).
Comunque si può abbozzare una ipotesi di lavoro per arrivare nel futuro a decifrare gli scritti di Cusano, così da precisare per la prima volta la motivazione di ognuno, lo sviluppo e il risultato voluto dall'autore. Il primo problema che occorre affrontare è quello di capire quali siano state le fonti del pensiero (creativo) del Cusano. Esse appaiono almeno quattro:
Se questa ipotesi risulterà verificata, essa potrà ben giustificare le grandi difficoltà incontrate finora dagli studiosi del pensiero di Cusano. Infatti essi hanno dovuto possedere la non comune padronanza delle prime tre fonti. In più hanno dovuto affrontare l sua nuova modalità di esprimersi secondo la quarta fonte. Qui molti non hanno visto una logica nuova. Tra gli altri, molti hanno creduto di poterla intendere come la dialettica hegeliana, ma erroneamente;26 solo alcuni (Cassirer, Wyller, Bonetti, von Bredow) lo hanno studiato indipendentemente da quella dialettica; ma senza saperla precisare.
Questa difficoltà, assieme alla complessità di intrecciare le conoscenze delle altre tre fonti della creatività di Cusano, più la creatività apparentemente illimitata Cusano, che ha scritto molti libri in maniera caleidoscopica e in un latino suo specifico, può ben spiegare la sfida che essi hanno costituito per la critica lungo cinque secoli e mezzo; in particolare il mancato riconoscimento della sua conquista teologica e filosofica più alta, cioè la definizione migliore della Tri-unità, o Uni-trinità.
Dopo Cusano non c'è stata una sua scuola che delucidasse il suo pensiero. Gli studiosi hanno espresso giudizi molto contrastanti sui vari aspetti del pensiero di Cusano
Hopkins, uno dei suoi massimi studiosi di Cusano e traduttore in inglese e studioso di quasi tutte le opere, si esprime in maniera molto disincantata sulla maniera di esprimersi di Cusano e sui contenuti da lui proposti:27
Alle volte sembra che egli usi termini in una maniera delirante, quasi sfidandoli ad essere significativi... Altre volte lui percepisce di stare trattando un punto molto significativo, ma [allora] sembra disinteressato a svilupparlo.28
Tanto più che, egli nota, un lettore usuale «sottolineerebbe una serie di difficoltà filosofiche nelle quali Nicola Cusano cade da ignorante, o che aggira furbescamente...».29 In più Hopkins ricorda che tutta la teologia negativa ha attirato la valutazione di essere una curiositas vana.
Questa difficoltà di linguaggio viene superata dagli studiosi cercando di penetrare il senso del discorso cusaniano mediante uno sforzo della intuizione filosofica. Ma in più vari studiosi delle opere di Cusano hanno notato che la sua teologia e e la sua filosofia sono insolite, senza poterle rapportare ad altre esperienze filosofiche. Di fatto, anche la sua «teologia negativa» è diversa dal solito.
Non si può avere una scienza [positiva] di Dio, una teologia affermativa, esordisce Cusano nella Dotta ignoranza... [piuttosto con la teologia cusaniana] l'uomo può saltare ... al di là del <Muro del Paradiso> che è la coincidenza degli opposti, in cui sta Dio... Non teologia positiva, dunque, ma neppure teologia negativa. Se mai, egli stesso dirà, una teologia <sermocinante>, o <circolare> o <eminenziale>; cioè, qualunque discorso (sermo) su Dio è valido...; qualunque verità è vera di Dio se un opposto si incontra e coincide con tutti gli altri come in circolo, in Dio, perché egli è al di sopra (eminentia) di ogni coincidenza possibile per la ragione.30
Allora se c'è una effettiva novità negli scritti di Cusano, di quale si tratterebbe? Innanzitutto si tratta di comprendere se egli abbia seguito una sua razionalità. Quasi unico, Hopkins condivide con i lettori la ricerca su questo problema:
Ma una volta registrate queste obiezioni, [i lettori] non dovrebbero cominciare a chiedersi se il De Li Non Aliud non debba essere visto pure sotto un'altra luce? Perché questo lavoro non rappresenta forse, in una visione più ampia, un tentativo ben cosciente di trascendere i confini usuali, al fine di raggiungere una realtà che in un primo tempo era vista come inaccessibile? Cioè, chiarito che questo scritto contiene alcune madornali confusioni concettuali, non contiene [forse] anche alcune sorprendenti trasformazioni intellettuali secondo una sua propria intellettualità? E se così è, esse non meritano una speciale attenzione?31
Hopkins ricorda che Cusano proprio all'inizio del dialogo De Non Aliud, pone una affermazione programmatica molto impegnativa, che poi sembra trovare una eco all'inizio del cap. V:
Nicola. ... parlerò con te, Ferdinando, a patto che trascuri come irrilevanti tutte le cose che ascolti da me, se non ne sei convinto razionalmente... . Da quanto si è già detto, tutte le cose sembrano scaturire da una unica ragione.32
Allora Hopkins si chiede: «Veramente lo scopo Nicola è di stabilire tutti i suoi punti su una base razionale?» La sua conclusione è negativa in buona misura:
Una considerazione razionale [in Cusano] risulta essere... ogni considerazione che illustra un argomento rendendolo [solo] più plausibile in un qualche modo... . Inoltre il suo giocare sul significato delle parole «aliud» e «non-aliud» sembra, talvolta, oscurare il suo ragionamento, invece di illuminarlo. / Cosicché il De Li Non Aliud è una curiosa mistura di ragionamento specioso e di speculazione innovativa... . ed anzi esprime un obiettivo impossibile. Come egli cercò con la sua matematica di quadrare il cerchio, così nella metafisica egli ha avuto lo scopo di fare l'impossibile; cioè dimostrare che Non altro e Altro non sono opposti. In ultima analisi [secondo Cusano] nella attuale vita possiamo avvicinarla [la Verità] solo per mezzo di congetture ed illazioni solo in quanto esse sono «ragionevoli»invece che arbitrarie.33
Anche in un'altra opera aveva concluso analogamente, anzi con maggiore precisione:
La maniera di ragionare di Cusano, come appare bene in De Visione Dei 15, procede programmaticamente e topicamente, non sistematicamente. Cioè Nicola avanza considerazioni che si legano bene al suo punto di vista centrale in De Visione Dei, ma queste considerazioni non si collegano assieme in una catena in cui si presume che ogni legame di ragionamento dipenda necessariamente dai precedenti legami.34
Purtroppo Hopkins non ricorda che già Cassirer, nei suoi studi decisivi su Cusano, aveva indicato che questi, opponendosi alla logica classica, va alla scoperta di una maniera di ragionare che dovrebbe essere originale.35
È piuttosto Wyller che ha indicato che la maniera di esprimersi di Cusano corrisponde all'uso della logica non classica, che, egli ricorda, nel secolo XX ha fatto irruzione nella scienza (basti ricordare la logica della meccanica quantistica) e nella conoscenza moderna. Per questa logica non classica in Cusano Wyller suggerisce una legge che andrebbe a sostituire la corrispondente legge aristotelica .36 Al posto della legge della identità «A è A», Wyller attribuisce a Cusano la legge «A» è «non altro che A» (A ist nicht anders als A)». Ma la legge suggerita dice che A e ¬¬ A sono identificabili, cioè esprime proprio, al contrario delle intenzioni dell'autore, la legge «Due negazioni affermano» della logica classica. Invece, secondo la logica non classica avrebbe dovuto dire: «A» non è «non altro che A», frase che esprime la non validità della legge della doppia negazione.
Come si vede gli studiosi non sono riusciti, sulla base dela intuizione filosofica, a decifrare il fondo del pensiero di Cusano.
In ogni linguaggio (anche il cinese, che pure si esprime con ideogrammi) si usano doppie negazioni. Ma in una maniera così imprecisa che i linguisti le hanno considerate per lo più come artefatti da spurgare dal corretto esprimersi.37
Ma su questo punto il ragionare scientifico ha portato due novità. La prima è un criterio di verifica delle frasi. Nei secoli passati l'idealismo imperante faceva pensare come concreto il mondo platonico della idee, ancor più di quello reale; perciò il linguaggio, specie quello filosofico, essendosi svincolato dall'aderire alla realtà, spesso non richiedeva che le frasi fossero sostenute da precisi riferimenti alla realtà ed ha abituato a qualsiasi volo pindarico. Invece gran parte della rivoluzione metodologica della scienza di Galilei consistette nel richiedere che ogni frase scientifica avesse a supporto le prove sperimentali. Questo metodo ha insegnato a decidere con precisione quando una frase con due negazioni non verifica la legge della DN: se la corrispondente frase positiva non è sperimentalmente provata, allora essa è idealistica (al di furoi dell'ambito scientifico) e quindi non può essere considerata equivalente alla prima.38
La seconda novità scientifica riguarda la distinzione tra la logica classica e la logica non classica. Nel passato, questa seconda logica era caratterizzata (ad es. dal filosofo Hegel) con la non validità della legge del terzo escluso (che dice: o la proposizione A è vera, o lo è ¬A). Poi è nata la logica matematica, la quale ha formalizzato le argomentazioni con precisione matematica. Anche in essa, ormai da ottant'anni, sono nate logiche non classiche. Qui alcuni studiosi hanno proposto come vera discriminante tra i due tipi di logica la validità o non della legge logica della doppia negazione:39 se questa legge vale («Due negazioni affermano»), siamo in logica classica; se non vale, siamo in logica non classica. In conclusione, la validità o non della legge della DN esprime una sicura caratteristica fondazionale del nostro linguaggio, come pure del pensiero logico formale.
Questa seconda novità è importante perché la nuova discriminante, la non validità della legge della doppia negazione, è facilmente applicabile al testo di un autore di una teoria che sia fondata sulla ricerca di un nuovo metodo per risolvere un problema generale. Per prima cosa occorre evidenziare le frasi doppiamente negate; tralascio il come farlo, perché l'ho già esposto altrove.40 Qui ricordo solo che 1) il linguaggio usuale permette di procedere per assonanze, tanto che spesso la seconda negazione viene sottintesa (ad es., per essere corretta la frase «Assolto per insufficienza di prove» dovrebbe continuare con «... di colpevolezza»); 2) una parola modale (ad es., «Amabile»; oppure «è in», «inerisce», «fa parte di», «può», «deve», ecc.) è equivalente ad una FDN.41
Poi occorre verificare se ognuna di esse è equivalente o non alla corrispondente affermativa; basta sopprimere le due negazioni per verificare se si ottiene una frase di senso equivalente che sia verificabile, o no. Se non lo è, ciò indica che l'autore sta ragionando in logica non classica.
Le FDN risultano molto importanti per una maggiore interpretazione del testo, perché hanno una sorprendente capacità di caratterizzare i fatti intellettuali basilari: la sola loro sequenza sintetizza il filo argomentativo della esposizione, e quindi ne rivela la struttura logica. Perciò la ricognizione di tutte le frasi per le quali quella legge non vale ci indica quanto di più profondo e più costitutivo l'autore volesse dire con quel testo. In altre parole, questa tecnica molto semplice, ma precisa (perché appartiene nello stesso tempo alla linguistica e alla logica matematica), fa, per così dire, la «radiografia»del testo in esame: ne ricava la «ossatura» logica.
Ovviamente, gli autori del passato, ignari delle leggi logiche che stavano applicando, le hanno seguite inconsciamente, di fatto con poca precisione; ma essi hanno compiuto una scelta basilare, quella della logica non classica.
Tutto ciò può essere applicato ai testi di Cusano, che usa molte FDN (Appendice 5).
Il metodo di analizzare un testo con la logica non classica ha altri due passi: riconoscere nel testo in esame i ragionamenti per assurdo e poi riconoscere il passaggio da una conclusione universale alla sua versione affermativa. Ma nel testo ci limiteremo solo al primo che già indicherà novità importanti.
L'uso inconscio della logica non classica da parte degli studiosi può risultare esatto. La prova è in alcuni interpreti dell'opera di Cusano De Li Non Aliud, quella caratterizzata dalle FDN financo nel titolo. Cito per esteso una sintesi dell'opera, limitandomi a sottolineare le doppie negazioni che egli usa; ciò basterà per rendere evidente la coerenza del suo pensiero secondo la logica non classica ([RA] indica un ragionamento per assurdo)
1. Il non aliud: dalla logica alla teologia
Nel De non-aliud troviamo, nell'ambito della metafisica congetturale cusaniana che cerca di cogliere nelle diverse forme dell'alterità dell'espressione linguistica e scientifica la inesprimibile realtà dell'Assoluto, una teologia derivata dalla logica, una teologia cioè che si serve delle modalità della logica per indicare una via che porti alla incomprensibile comprensione dell'Assoluto [= non relativo] .
La definizione in senso assoluto [= non relativa], la definizione in quanto tale, dice il Cusano, definisce se medesima e tutta la realtà; essa perciò non è altra dalla realtà definita, poiché, se lo fosse [= se fosse la realtà, RA], non sarebbe più definizione di sé, ma di altro, anzi non sarebbe nemmeno più definizione, in quanto non si dà in senso proprio definizione nell'alterità.
Carattere formale della definizione è quindi di non essere altro dal definito; ma il Cusano, nel tentativo di cogliere la definizione che definit se et omnia, riconosce nella non alterità la sostanza stessa della definizione in senso assoluto, che viene per ciò indicata col nome di non aliud (De non aliud, c. i, pp. 4-5).
Il non aliud, come definitio quae definit se et omnia, trascende ogni realtà determinata, poiché ogni determinazione è solo nell'opposizione, mentre il non aliud, non essendo nell'alterità non può essere nell'opposizione. D'altra parte il non aliud è immanente in ogni realtà, in quanto ne è la struttura formale e sostanziale: ogni realtà infatti è non altro che quella realtà e trova perciò nel non aliud il suo principio costitutivo.
Operato il passaggio dal carattere formale al carattere sostanziale del non aliud, riesce facile al Cusano, per mezzo della dialettica del principio, riconoscere nel non aliud l'espressione congetturale della realtà di Dio. Infatti, dice il cardinale, cuncti primum principium Deum appellant; ma il non aliud è il primo principio, poiché, come tale, definisce se medesimo ed è principio della definizione di ogni realtà (Op. cit., c. ii, p. 5).
Bonetti aggiunge in nota:
Anche Gerda Freein von Bredow («Gott der Nichtandere», op. cit. pp. 15-22) cercando di cogliere il significato metafisico della dottrina del De non alind [andando] al di là della forma logica in cui essa si esprime, vede [che] nell'opera [è] riaffermata la trascendenza di Dio e quindi, anche se non esplicitamente espressa, la sua assoluta alterità rispetto al finito. Solamente che per dire che Dio è assolutamente altro il Cusano nega di Dio l'alterità che è propria del finito, per cui un finito non è l'altro e si trova accanto all'altro in un rapporto di reciproca alterità, essendo l'altro dell'altro e viceversa; Dio non può non essere la creatura [benché essa viva] in un rapporto di reciproca alterità, poiché [RA] se così fosse, mancherebbe della creatura; la sua assoluta alterità si esprime perciò meglio nella [leggi: con la] non alterità: « dal punto di vista di Dio non è possibile dire che egli sia altro rispetto alla creatura, [RA] poiché con ciò [= essere altro dalle creature] sarebbe anche detto che egli manca della creatura. La creatura come tale è invece altro [rispetto ad altro] . Nel rapporto creatura-creatore i termini della alterità non sono scambiabili; dal punto di vista della creatura il creatore è radicalmente altro, ma non viceversa (op. ci p. 19). Secondo lo schema cusaniano della coincidenza degli opposti in Dio si potrebbe, secondo l'Autrice, dire, anche se il Cusano non si è così espresso, che, «Dio è l'assolutamente altro ed egli è talmente altro da essere il non altro (ibidem, cfr. anche De docta ignorantia, L. I, c. iv; ita Deus est maxime lux quod est minime lux)». E come Non-altro Dio è la negazione della negazione e perciò [trascende nel] la più alta affermazione. «La totale diversità (inoltre) dall'essere altro proprio della creatura, è trascendenza, ma essa è anche [per quanto visto prima, cioè la sua non alterità al finito], sul medesimo fondamento, immanenza, che non si lascia esprimere da alcuna categoria mondana. Ogni creatura è rispetto a tutte le altre un altro, ma Dio è per essa e per tutte le altre il Non altro: cioè egli è assolutamente [leggi: trascendentalmente] ad essa vicina (op. cit., p. 20)». È infine questo non essere altro del Non altro che fa della dottrina del De non aliud la cifra concettuale dell'esperienza esistenziale cristiana della [secondo la dottrina cristiana] incomprensibile [secondo la razionalità] 'vicinanza' di quel Dio, il quale è amore e che nell'amore supera quel residuo di alterità che rimane pur sempre sul piano del finito e dell'umano.
È mirabile che due filosofi siano giunti a ragionare in maniera quasi perfetta (solo l'avverbio «assolutamente» sfoca il discorso) nella logica non classica, pur senza conoscerla: è il chiaro segno che questa logica corrisponde ad una maniera fondamentale di ragionare della mente umana.
Per chiarire come si può ragionare con le FDN, notiamo che ogni logica, quella classica e quella non classica concepire una singola proposizione A secondo tre possibilità. Le confrontiamo in una tabella. Le rispettive proposizioni vere, quella affermativa A nella logica classica e quella doppiamente negata ¬¬A nella seconda logica, sono scritte in grassetto. Esse, da sole, indicano che le due logiche hanno due maniere differenti di concepire la verità.
Logica classica | Logica non classica |
---|---|
A (≠¬A) | A |
¬A | ¬A |
¬¬A=A | ¬¬A (≠A e ≠¬A) |
(¬A è in contrapposizione ad A) | (¬A non è l'esatto opposto di A) |
Nella prima colonna della tavola si nota che il pensare in logica classica è molto semplice: poiché una frase doppiamente negata ¬¬A è equivalente ad A, nella prima colonna abbiamo solo due possibilità, A e ¬A. Allora il ragionare in questa logica deve distinguere due sole possibilità, vero o falso; le quali, per di più, sono tra loro in una opposizione che può essere detta speculare; cosicché l'una annulla l'altra: o il vero o il falso. Quando congiungessimo A e ¬A formando una sola frase, avremmo una manifesta contraddizione, perché A è una certezza, mentre ¬A è il contrario esatto e completo di A (e anche di ¬¬A).
Invece nella seconda colonna della logica non classica si hanno tre possibilità distinte; per aiutare la nostra mente, le elenco fissandole con un esempio: 1) la FDN ¬¬A («Assolto per insufficienza di prove di colpevolezza»); 2) la corrispondente affermativa A («Assolto per sufficienza di prove di innocenza»); e 3) la corrispondente negativa¬A («Assolto per insufficienza di prove di innocenza»; o «Assolto per sufficienza di prove di colpevolezza»). Quest'ultima non è equivalente ad A, perché, per quanto la negazione della logica non classica sia debole, è sempre una forma di negazione.
Questa situazione ternaria è insolita per il nostro pensiero, che ovviamente preferisce situazioni moniste o al più dualiste; ed è ancora più insolita perché A non vale, né vale la negativa ¬A; ma solo la FDN ¬¬A; cioè in questa situazione l'unica possibilità di affermare una verità è quella di riferirsi alla frase che, per essere senza contorni ben definiti o riferimenti materiali, appare straniante. Tanto più questo modo di pensare sembra poco stringente quando l'autore aggiunge (con o sensa altre due doppie negazioni) parole modali («potere», «dovere», «necessario», ecc.), che sono così frequenti nel linguaggio comune; essendo equivalenti, come già detto ad uan FDN, anche esse non hanno un contenuto a priori ben delimitato.
Questa maniera di pensare con FDN è resa ancor più fuori del comune per il fatto che si è tentati di formularla ponendosi dal solito punto di vista delle due sole proposizioni A e ¬A. La A appare pur sempre avere un contenuto vero, tanto più se si pensa che il suo contenuto non può essere troppo dissimile dal quello che le dà la tradizionale logica classica. Inoltre la ¬A appare come prima approssimazione della ¬¬A, così come testimonia la abitudine di dichiarare «negativa» la teologia che usa doppie negazioni; infine la proposizione ¬¬A, se posta al seguito delle prime due frasi parzialmente vere, cioè verosimili, appare come un trascendimento delle loro verità parziali in un risultato finalmente vero. Da qui tutto il tema del trascendimento, della dialettica e della induzione.42
Allora appare in tutta la sua drammaticità quel la coincidentia oppositorum che Cusano ha rivendicato davanti alla «setta» dei logici classici: una contraddizione, un paradosso o una sfida? In effetti secondo la logica non classica le due frasi A e ¬A sono semplici approssimazioni, cariche di ambiguità e di oscurità, rispetto all'unica frase vera, ¬¬A; quindi si può anche dire che A e ¬A preparano alla unica frase vera, la ¬¬A (l'unica con cui è corretto organizzare le argomentazioni); ma la preparano solo «per assonanza». Inoltre, essendo le prime due frasi solo verosimili, non sono opponibili secondo il principio di contraddizione. Ma Cusano spesso le ha trattate come se costituissero una coincidentia contradictorium.
Questa pretesa di Cusano ha fatto concentrare l'attenzione degli studiosi sulle proposizioni A e ¬A e sul loro processo (?) di coincidenza in ¬¬A. ; in realtà, se in alcuni casi A e ¬A risultano «coincidere» (che significa? Cusano non lo spiega; ci aiuta solo l'immagine di due binari che all'infinito sembrano congiungersi in un punto) in ¬¬A, si tratta solamente di una coincidentia oppositorum43 Lo nota molto opportunamente soprattutto K. Flash: Die Metaphysik des Einen bei Nikolaus von Kues, Leiden, 1973, 155-227. Quindi sono più che giustificate tutte le diffidenze e le perplessità suscitate dagli scritti di Cusano (Hopkins si fa carico di cercare di districarle, come è indicato nella Appendice 1).
Ma nella storia quella coincidenza «per assonanza» ha fatto nascere la dialettica di Hegel. La sua grande autorità ha alimentato a lungo l'illusione che esistesse sempre un univoco percorso intellettuale che dalle due frasi (verosimili) portasse a quella doppiamente negata (cioè l'unica vera). Invece tra A e ¬A c'è contraddizione logica (la quale anche in logica non classica se non è rivelata immediatamente, è ricavabile dalle conseguenze del loro congiunzione; comunque nell'esempio di prima è immediata: «Assolto per sufficienza di prove di innocenza» è contraddittoria con «Assolto per insufficienza di prove di innocenza»). Quindi il ragionare alla ricerca della coincidenza degli opposti (anche se non dei contraddittori), invece di seguire un processo determinabile intellettualmente, ha sempre come possibile la contraddizione, dalla quale, come è ben noto, può seguire qualsiasi proposizione; quindi il ragionare su quelle due proposizioni si trova davanti un ventaglio di così tanti percorsi, da poter coprire, passando alla realtà concreta, l'universo mondo. Di fatto nella storia il metodo hegeliano è stato molto controverso; agli interpreti di Cusano è stato più di intralcio che di aiuto, fino alla sua messa da parte. (v. nota 26)
Allora, il programma di Cusano, quello di ragionare secondo una nuova logica pur non avendo strumenti logici precisi, comportava il navigare in mezzo a diversi scogli, dai quali poteva sfuggire solo con grandissima attenzione alle parole e al filo del discorso. Di fatto Cusano, essendo stato il primo ad affrontare così tanti problemi col proposito di costruire una nuova logica, appare aver avuto tanto entusiasmo da fargli mettere da parte quella precisione che serve ad un lettore per seguire passo passo uno scritto. Tanto più che spesso Cusano si permette di compiere degli «slittamenti linguistici» di un dato concetto qualificandolo in maniera imprecisa (ad es.: aggiungendo «puro», «assoluto», «in sé»), oppure mediante le dizioni inspiegate: «in qualche modo», «sotto qualche aspetto». cosicché non meraviglia che egli sia riuscito solo parzialmente nel suo programma. creando una zona intellettuale infida, si può ben dire paludosa,
Non meraviglia allora che gli studiosi di Cusano abbiano avuto altrettante e forse più difficoltà di lui nell'interpretare il suo pensiero. Essi, non essendo riusciti a chiarire la sua maniera di ragionare, hanno considerato ragionamento anche quello che lo era solo apparentemente; oppure, più facilmente, hanno ignorato il problema della inusuale logica non classica cosicché hanno schiacciato ogni FDN nella sua corrispondente positiva, qualsiasi significato idealistico questa venisse ad avere. In quest'ultima maniera la coincidentia oppositorum di A e ¬A, pensata nella logica classica, diventa una coincidentia contradictorum (anche se il Cusano ha sempre ribadito che per lui vale la legge della non contraddizione). Il risultato ovvio di questa maniera errata degli studiosi di pensare la colonna delle frasi della logica non classica è stato quello di cumulare una serie di giudizi negativi sull'opera di Cusano (e anche sulla teologia negativa).
Oggi noi, coscienti che il cercare quella coincidenza coinvolge la scelta di una logica completamente diversa da quella classica, dalla quale si distingue con la legge della doppia negazione, possiamo precisare quale sia il ragionamento rigoroso costruibile con le FDN e con quella coincidentia.
Chiariamo una prima questione: il tenere presenti tutte le tre possibilità con cui la logica non classica considera una proposizione A, può far ragionare su di esse, ma solo per definire un ente che ha proprietà anche contraddittorie, quindi solo Dio. È proprio su Dio che Cusano ragiona con la sua coincidentia. Ma dovrebbe farlo mantenendo ben chiari i ruoli e le differenze logiche tra le tre proposizioni e chiarendo se si tratta di oppositorum o di contradictorum; il che non appare nella prosa di Cusano.
Non a caso Hegel, che ha voluto seguire Cusano senza comprenderne a fondo la problematica logica, è rimasto dentro una prospettiva «teologica», quella che si riferisce a Dio (-mondo). Quindi la sua dialettica era effettivamente basata sulla testa e giustamente Marx gliela voleva rimettere sui piedi.
Comunque Cusano ha il merito, nel definire Dio, di essere arrivato alla «definizione che definisce sé stessa e tutto», aspetti contraddittori compresi. Questa definizione contiene la contraddizione perché non esclude ogni cosa che è inclusa nella parola idealistica «tutto»; inoltre è giustamente una FDN, «non altro», perché questa frase non ha frase contraddittoria possibile (infatti anche la frase A include la ¬¬A, non gli è contraddittoria specularmente; analogamente per la ¬A:
Ma, ci si può chiedere, in logica non classica è possibile ragionare sequenzialmente mediante varie FDN? Lo studio compiuto su quelle teorie scientifiche, strategiche, psicologiche e filosofiche che si basano su un problema, ha mostrato che è ben possibile ragionare mediante diverse FDN su temi ben concreti. Qui le FDN sono raggruppate in una serie di unità di ragionamento, ognuna delle quali è la classica argomentazione per assurdo (RA) che però conclude con solo una FDN (ad es: «Allora è impossibile che non valga...»; infatti bisogna stare attenti al fatto che la logica classica ha abituato a schiacciare questa conclusione in FDN con la affermazione corrispondente, «Allora vale...» usando proprio quella legge della doppia negazione che non vale in logica non classica) 44conclusone FDN può a sua volta fare da principio metodologico per un ragionamento successivo; pertanto si crea una catena di ragionamenti per assurdo. Questo hanno fatto autori scientifici come Avogadro, S. Carnot e Lobacesvky; quasi così ha fatto Cusano nel primo paragrafo del primo libro del De docta ignorantia, dove ha legato tre RA consecutivi.45
Perciò il metodo di analizzare un testo secondo la logica non classica comporta come secondo passo: riconoscere tutti i ragionamenti per assurdo che il testo presenta (introdotti dalle parole: «altrimenti non...»; oppure: «tolto..., non...»).
Il terzo passo del metodo suddetto è il riconoscere quando l'autore ha raggiunto una risposta universale, in FDN, al problema fondamentale per la teoria; allora questi ritiene di aver escluso ogni obiezione al tradurre la frase conclusiva di quel ragionamento nella frase affermativa corrispondente, la quale presenta la conclusione come oggettivamente vera; e così torna alla logica classica.
Questo passo del metodo è difficoltoso in un testo dove l'autore ragiona approssimativamente, perché egli, dopo aver svolto un ragionamento pe assurdo concluso da una FDN, è grandemente tentato di tornare subito alla logica classica (probabilmente per cercare la sicurezza psicologica che dà questa logica) e così mischia senza ordine le frasi positive con le FDN; ciò crea confusione sulla sua stessa scelta iniziale di logica non classica. Di fatto, Cusano nei tre RA suddetti della De docta ignorantia ritorna alla logica classica dopo ogni ragionamento per assurdo; e spesso nelle sue opere in generale mischia le FDN con le corrispondenti frasi affermative. Sta allo studioso ricostruire se siano valide le frasi affermative, se cioè derivino sa una conclusione universale di un RA (da saper riconoscere). Cusano, non avendo, come gli scienziati su citati, un oggetto di studio ben delimitato dalla realtà, ha potuto spaziare ad abundatiam, senza tema che i suoi avversari lo potessero prendere in contraddizione, dando luogo ad una stupefacente creatività, anche profetica (vedi l'anticipazione della concezione copernicana). Ma tutto ciò ha lasciato tai problemi che per cinque secoli i suoi interpreti, anche i più appassionati al suo pensiero, non sono riusciti a sciogliere.
Non a caso, pur cardinale e pur seguito da comunità di frati studiosi, nessun altro abbia camminato sulle sue orma, se non Giordano Bruno, che però l'ha fatto in una maniera così libera da creare un suo autonomo pensiero.
In ogni testo di quelli già indicati nel par. 2, ho riconosciuto le FDN utilizzate. Poi ho calcolato la loro periodicità media, definita come il numero di righe di cui è composto il testo in italiano diviso il numero delle FDN ivi presenti. Questa misura è sufficientemente indicativa per i nostri scopi; ad es. ho trovato che nel primo testo la periodicità media è 2, 2; ciò significa che in media ogni poco più di due righe c'è una FDN. Tanto più il testo è fitto di FDN quanto più quella misura è vicina ad 1.
Inoltre ho rilevato i ragionamenti per assurdo (RA) nei tesi suddetti di Cusano. A differenze delle FDN essi sono di non immediato riconoscimento, non solo per l'argomento metafisico altissimo, la Trinità, ma anche per il frasario di Cusano, che non aiuta.
Sintetizzo i dati finali di questo lavoro con una tabella.
N. FDN | Periodicità delle FDN | N. Rag. assurdo | |
---|---|---|---|
De Docta ignorantia (1440) II, cap. VI | 42 | 90/42 = 2, 2 | 3 |
De Visione Dei (1453) parr. 17-18 | 33 | 206/33 = 6, 24 | 1 |
Possest (1460) pp. 768-775 | 14 (92) | 43/14 = 3 (269/92) = 2, 97 | 3 (17) |
De non Aliud (1462) parr. 1-5 | 50 | 201/50 = 4 | 6 |
De Venatione Sapientiae (1463) parr. 14 e 24 | 19 (56) | 41/19 = 2, 14 (83/56 = 1, 45) | 2 (3) |
Legenda: Nella terza e quinta riga i primi numeri si riferiscono alle sole parti del testo che hanno frasi specifiche sulla Trinità.
Notiamo che l'uso delle FDN, sia pur variabile a seconda della opera, è una costante sicura del ragionare di Cusano. Anche la minore periodicità del De Visione Dei è comunque indicativa di un ragionare che si appoggia su questo tipo di frase. Anche i RA sono presenti in ogni testo. Quindi Cusano era sicuramente dentro questa maniera ragionare in logica non classica.
Però dei ragionamenti per assurdo indicati in tabella non tutti riguardano la Trinità: ad es. solo i primi due del De Docta Ignorantia e i tre del Possest riguardano questo tema. Per di più nel Possest, egli è passato a utilizzare le parole modali posse e possest che aggiungono significati più complessi di quelli delle FDN. Infine i RA nel migliore dei casi applicano l'argomento ontologico di S. Anselmo (la perfezione di Dio comporta tutte le qualità che si addicono a questa perfezione); argomento che è accettabile da chi ammetta la premessa, che però è questionabile.
In definitiva, la maniera di Cusano di ragionare sulla Trinità è formalmente rigorosa poche volte; e quelle volte non sempre è formalmente adeguata; e quando lo è egli in realtà non offre nulla di più che o un'analogia o una prova ontologica di quanto vuole affermare.
Aggiungo una nota su come gli studiosi sono lontani dalla struttura logica del pensiero di Cusano. Il l migliore tentativo di precisarla è quella di Hopkins, che scrive:46 «Cercheremo anche di considerare se o no il filo centrale di ragionamento del De Li non Aliud è coerente.» Nella nota 86 ricostruisce il punto cruciale del ragionamento:
Il ragionamento di Nicola per mezzo di [delle parole] non altro sembra essere il seguente:
(a) Non è il caso che Dio è x, e non è il caso che Dio è non x, (dove x è qualsiasi cosa eccetto Dio).
(b) Se Dio fosse altro da x, Egli sarebbe non x; e se Dio fosse altro da non x, Egli sarebbe x.
Perciò, (c) non è il caso che Dio è altro da x, e non è il caso che Dio è altro da non x.
Perciò (d) Dio è non altro da qualsiasi cosa, che sia x o non x. Egli è un inqualificato Non Altro.
In realtà le (b) e a (c) sono sbagliate, perché ci si arriva ogni volta usando la negazione della logica classica. E siccome in logica classica due negazioni affermano, la conclusione di Hopkins è valida; egli è tornato al punto di partenza. Con la seconda parte di (d) Hopkins passa ad esprimere quello che intuitivamente capisce essere il contenuto di «non altro» in logica non classica.
Poi Hopkins applica intuitivamente questa ultima parte di (d). Pone il problema che «Dio è al di sopra della contraddizione, quindi anche di cielo e di non-cielo.» Ma egli aggiunge:
Come può Dio, in maniera del tutto generale, essere assolutamente Altro se egli è, purtuttavia, distinto (cioè, in qualche modo altro che) l'universo? Egli è nient'altro che il cielo (o nient'altro che l'universo. Ma segue anche che Dio, o Non Altro, è in qualche modo altro; altrimenti Egli non potrebbe essere in qualsiasi modo essere altro da qualsiasi cosa, e quindi non sarebbe falso che Egli è nel cielo (o nell'universo). Cosicché la filosofia di Nicola qui incontra una incoerenza. Perché, a meno che Non Altro sia assolutamente Non Altro (cioè Non Altro sotto ogni aspetto) allora Non Altro sarà un altro -- anche se sarà un altro in una maniera diversa da quella di qualsiasi altra cosa. Per sfuggire a questa incoerenza, Nicola dovrebbe accettare i panteismo -- una dottrina che egli vuole evitare.
Come si vede, con un ragionamento specioso si vorrebbe concludere sulla possibile eresia di panetismo che alcuni attribuiscono a Cusano.
Infine Hopkins si crede in dovere di distinguere nella traduzione non aliud quam... da non aliud a... ; la prima espressione sarebbe una identità, mentre la seconda sarebbe una maniera di non esprimere l'identità. Dai due esempi che egli mostra, in realtà non c'è distinzione; perché ambedue in realtà sono errori di Cusano, che applica il «non altro» alle cose oggettive, per la quale vale la logica classica, e non a Dio, per il quale vale la logica non classica.
Copyright © 2011 Antonino Drago
Antonino Drago. «La migliore definizione della Trinità secondo la teologia «negativa» di Nicola Cusano». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**80 B].
Pone il problema in maniera precisa R. Cartwright: «On the logical problem of Trinity», in Philosophical Papers, MIT P., London, 1987, 187-200. Testo
E. Cassirer: Individuum und Kosmos in der Philosophie der Renaissance, 1927 (tr. it. La Nuova Italia, Firenze, 1929) vol. I, 19-77; vedasi anche la sua Storia della Filosofia Moderna, Einaudi, Torino, 1978, vol. I. Testo
Non prendo in considerazione l'avvicinarsi di Cusano a Dio mediante concetti, figure e simboli matematici, perché concordo con G. Santinello: «Introduzione» a La Dotta ignoranza e le Congetture, Rusconi, Milano, 1988, p. 24, che questa «E' la parte certo più caduca.» del suo pensiero teologico. Testo
N. Cusano: Opere Filosofiche, a cura di G. Federici Vescovini, UTET, Torino, 1972, p. 55: è la frase finale della dedica della De Docta Ignorantia. Testo
Sulla distinzione della metafisica in ontologica e henologica vedasi ad es. G. Reale: «<<Henologia>> ed <<Ontologia>>: i due tipi di metafisica creati dai Greci", in A. Drago e P. Trianni (edd.): La Filosofia di Lanza Del Vasto. Un ponte tra Occidente e Oriente, Il grande vetro / Jaca book, Milano, 2009, pp. 153-164. Testo
N. Cusanus: Apologia Doct. Ignor., in Nicolai Cusae Cardinalis: Opera Omnia, Parisiis 1514, Minerva, Frankfurt/Main, 1962, fo. XXXVI, I r. 3. Testo
A. Drago: «Nicholas of Cusa's logical way of arguing interpreted and re-constructed according to modern logic», Metalogicon, 22 (2009) pp. 51-86. Testo
Ad es. nel testo di S. Freud che affronta il problema di come scoprire quale sia il trauma di un paziente; cioè il testo spiega che il metodo della psicoanalisi: «Sulla Negazione» (1925), Opere, Boringhieri, Torino, vol. X, 1982, 193-201. Si noti che nel titolo Freud si riferisce alla singola negazione, misconoscendo le doppie negazioni sulle quali poi il metodo è basato; proprio così come avviene con la dizione «teologia negativa»; d'altronde, perfino i logici matematici chiamano «traduzione negativa» quella che usa le doppie negazioni; vedasi ad es. D. van Dalen and A.S. Troelstra: Constructivism in Mathematics, North-Holland, Amsterdam, 1998, p. 57. Per un'analisi di quel testo di Freud mediante le FDN si veda A. Drago e E. Zerbino: «Sull'interpretazione metodologica del discorso freudiano», Riv. Psicol., Neurol. e Psichiatria, 57 (1996) 539-566. Testo
I testi ai quali mi riferirò sono tutti in Nicola Cusano: Opere Filosofiche, op. cit.. Per l'analisi dei testi in FDN la traduzione italiana è sufficiente, ma ho cercato di confrontarla con quelle in lingua estera a mia disposizione (inglese e francese). Non ho preso in considerazione De apice theoriae (1964) perché direttamente tratta della Trinità solo con le ultime sue righe, ma di fatto tutto il libro è allusivo ad essa; però richiederebbe uno specifico lavoro di interpretazione. Testo
E. Vanstenbeerghe: Le Cardinal Nicolas de Cues (1401-1464), Minerva, Paris, 1920, 294-302 (benché sia molto severo verso la coincidentia oppositorum di Cusano:»la trama oscura del suo pensiero, [posta] sotto le broderies le più brillanti e più varie«, p. 287) e P. Rotta: Nicolò Cusano, Bocca, Milano, 1942, pp. 206-210. Testo
Su questo tema in Cusano le principali interpretazioni, oltre quelle sul libro De non Aliud, sono le seguenti: P. Duhem: Le Système du Monde, Hermann, Paris, 1913, 272-286; M. de Gandillac: «Introdution» a Nicolas de Cues: Oevres Choisies, Aubrie et Maigné, Paris, 1941, 31-34; R. Haubst: Das Bild des Einen und Dreieinen Gottes in der Welt nach Nikolaus von Kues, Trier, 1952; G. Santinello: «Introduzione» a N. Cusano: La dotta ignoranza e Le congetture, Rusconi, Milano, 1988, 7-35, 46-49, 130-133; W. Beierwaltes: Identità e Differenza (1980), Vita e pensiero, Milano, 1989, pp. 155-193; M. Merlo: Vinculum Concordiae, FrancoAngeli, Milano, 1997, 23-33; E.A. Wyller: «Zum Begriff «Non aliud» bei Cusanus», in G. Santinello (ed.): Nicolò Cusano agli inizi del mondo moderno, Sansoni, Firenze, 1980, 419-447; G. Santinello: Introduzione a Niccolò Cusano, Laterza, Bari, 1987, p. 35. Testo
Spesso lo si indica abbreviando in De Non Aliud; ma il Li sta ad indicare la sostantivazione dell'aggettivo Non Aliud. Di riferimento è l'edizione dell'Accademia delle Lettere di Heidelberg, Nicolai De Cusa: Directio speculantis seu de non aliud, ediderunt Ludovicus Baur et Paulus Wilpert, Lipsiae, Meiner, 1944, ne esistono traduzioni nelle principali lingue occidentali: quella tedesca di P. Wilpert: Nikolaus von Kues: Vom Nichtanderen, Uebersetzt und mit Einfuehrung und Anmerkungen versehen von Paul Wilpert, F. Meiner, Hamburg, 1952 (è accompagnata da ricche note storiche ed esegetiche), quella italiana di G. Federeici Vescovini in Scritti Filosofici, op. cit., pp. 789-854, quella in inglese di J. Hopkins (sul suo sito internet), quella in francese di H. Pasqua: Nicholas de Cues. Du non-autre. Le guide du penseur, Cerf, Paris, 2002; quella spagnola, Nicolás de Cusa: Acerca de lo no-otro o de la definición que todo define, Ed. Biblos, Buenos Aires, 2008, basata su un nuovo manoscritto scoperto recentemente a Toledo. Al solito, seguirò. Testo
C.L. Miller: Reading Cusanus. Metaphor and Dialectics in a Conceptual Universe, Cath. Univ. America P., Washington, 2003, p. 181. Testo
N. Cusano: Guida per chi contempla, o Non Altro, in Opere Filosofiche, UTET, Torino, 1972, 791-856, p. 792. Testo
J. Gleisch: «Du <Non-Autre> au <Tout-Autre>», Arch. Filosofia, 70 (2002): Teologia negativa, 147-170, pp. 169-170 (i numeri tra parentesi si riferiscono al testo di Cusano). Anche W. Beierwaltes (Identità e differenza, Vita e Pensiero, Milano, 1989, p. 155); che, a rigor di logica non classica, avrebbe dovuto titolare la sua opera aggiungendo un «non»:Identità e non differenza) giudica positiva questa formula: «... definisce se stesso attraverso se stesso; questa è la sua esperienza.» Invece C.L. Miller: Reading Cusanus, op. cit., p. 186, si sforza di analixxare «non altro» usando solo la logica classica; per cui non va lontano; alla fine conclude che quella dizione è «enigmatica», « un simbolo» (e giudica la ua triplice ripetizione «adeguata alla [sola] intenzione» di Cusano; p. 185). Testo
C'è da pensare che il linguaggio della Bibbia non abbia potuto esprimere questa sottigliezza; per cui esso ha più di una volta cortocircuitato la espressione definitoria di Dio con la affermazione: «Io sono», ma in realtà ci si voleva riferire alla espressione doppiamente negata. Questo è un motivo in più per confinare la definizione di Dio in un mistero anche di tipo linguistico-logico Testo
Agostino: Confessioni, XII, 7, 7. Testo
N. Cusano: Opere Filosofiche, op. cit., p. 801. Testo
Rispettivamente P. Duhem: Le Système du Monde, op cit., p. 263; G. Santinello: Introduzione a Niccolò Cusano, op. cit., p. 131 (ma dubita di questo giudizio); C.L. Miller: Reading Cusanus. op. cit., p. 250; 281; G. von Bredow: «Gott der Nichtandere», Philosophisches Jahrbuch, 1965, pp. 15-22, p. 19; ma è da notare che prima l'autrice ne ha discusso come formula valida). Testo
P Rotta: op. cit., p. 205. Testo
E: Vanstenbeerghe: Le Cardinal Nicolas de Cues, op. cit., pp. 295 e 301; le ultime frasi citano Cusano: Opere, op. cit., p. 798. Testo
P. Wilpert: Nikolaus von Cues, op. cit., p. xv; H. Pasqua: Nicholas de Cues, op. cit., p. 21, che cita il primo, aggiunge: «L'uni-trinità è, in effetti, perfettamente espressa» . Testo
A riprova di ciò si noti che anche G. Freein von Bredow («Gott der Nichtandere», op. cit. p. 16) ha cercato di definire la Tri-unità ripetendo tre volte una doppia negazione: «Dio è l'assolutamente altro ed egli è talmente altro da essere il non altro». In realtà, questa formula è insufficiente perché: i) le parole «talmente altro» appaiono avere una sola negazione; ii) se anche si riuscisse a modificarle in una doppia negazione, le due prime frasi sono collegate da una congiunzione che quindi compone un dualismo, non una trinità; iii) sarebbe difficile attribuire ognuna delle tre frase ad una persona della Trinità; quindi la formula casomai esprime Dio, non la Tri-unità. Testo
M. Merlo: Vinculum Concordiae, op. cit., pp. 26-27. Testo
E: Vanstenbeerghe: Le Cardinal Nicolas de Cues, op. cit., p. 301. Testo
In particolare, ha deciso negativamente la questione L. Gabriel: «Il pensiero dialettico in Cusano e in Hegel», Filosofia, 21 (1970) 537-547. Testo
J. Hopkins: «Introduction» a Nicholas of Cusa on God as Not-Other. A translation and Appraisal of De Li Non Aliud, Banning, Minneapolis, 19873, 3-28. Anche C.L. Miller: Reading Cusanus, op, cit., 186 e E.A. Wyller: Henologische Perspektiven. Platon, Johannes, Cusanus, I/I-II, Rodopi, Amsterdam, 1995, 531ss, si sforzano di compiere analisi logiche del pensiero di Cusano, ma sempre senza vedere la logica non classica. Testo
Ibidem, p. 3. Testo
G. Federici Vescovini: «Introduzione», a N. Cusano: Opere Filosofiche, op. cit. 9-51, p. 18. Testo
J. Hopkins: «Introduction», op. cit., pp. 3-5. Testo
N. Cusano: Opere Filosofiche, op. cit., pp. 792 e 801. Testo
J. Hopkins: «Introduction», op. cit., pp. 14, 15, 19, 25-26. Testo
J. Hopkins: Nicholas of Cusa's Dialectical Mysticism, Banning, Minneapolis, 1985, p. 43. Testo
E. Cassirer: Individuum und Kosmos, op. cit.. Testo
E.A. Wyller: «Zum Begriff «Non Aliud» bei Cusanus», in G. Santinello: Nicolò Cusano agli inizi del mondo moderno, Sansoni, Firenze, 1970, 419-443. Testo
L. Horn: «The Logic of Logical Double Negation" Proc. Sophia Symposium on Negation, Tokyo, U. of Sophia, 2001, 79-112, pp. 79ss..Vedasi anche: «On the Contrary», in Proc. Conference Logic Now and Then, Brussels, 2008 (in stampa). Testo
Ho incominciato a sottolineare questo fatto col mio libro di interpretazione dei fondamenti della scienza: Le due opzioni. Per una storia popolare della scienza, La Meridiana, Molfetta BA, 1991, pp. 164-167. Ci si può chiedere perché mai la scienza vada ad usare le FDN. In effetti molti autori scientifici hanno scritto le loro teorie usando sistematicamente FDN. Di sicuro ciò non avviene quando lo scienziato espone i risultati di esperimenti, o le deduzioni da principi accertati; ma avviene quando espone i principi per ricercare un nuovo metodo scientifico per risolvere un problema universale; ad esempio, il problema se il moto di un corpo ha un invariante (principio per la dinamica); se la materia sia composta di elementi (principio per la chimica); oppure, se il calore sia tutto convertibile in lavoro o no (principio per la termodinamica); oppure, se ci sia una sola retta parallela ad una data o più rette (principi o per la geometria). Alcuni scienziati invece hanno preferito enunciare questi principi con frasi affermative che li idealizzano; ad es., nel primo caso Newton enuncia il principio d'inerzia usando la parola «persevera», la quale certamente non si addice ad un corpo inanimato, mentre invece L. Carnot usa le parole «non cambia [= ha cambiamenti]»; Lavoisier dice: «Chiameremo elemento quello che ancora non è stato decomposto»; che non è l'affermazione «Esistono gli elementi». Clausius ha enunciato la conservazione dell'energia con la farse «L'energia si conserva»; dove non si chiarisce se il verbo affermativo esprime una partecipazione attiva di una personificata energia, o esprime una legge divina; invece Joule aveva affermato che «Nulla si crea» (cioè «Nulla viene dal nulla»). Vedasi A. Drago: «Le ipotesi fondamentali della meccanica secondo Lazare Carnot", Epistemologia, 12 (1989), 305-330 (con S.D. Manno); «Interpretazione e ricostruzione delle Réflexions di Sadi Carnot mediante la logica non classica», op. cit., (con R. Pisano);«La teoria geometrica...», (con A. Perno) op. cit.. Testo
D. Prawitz and P.-E. Melmnaas: "A survey of some connections between classical, intuitionistic and minimal logic", in A. Schmidt, K. Schuette and H.J. Thiele (eds.): Contributions to Mathematical Logic, North-Holland, Amsterdam, 215-229, 1968; M. Dummett, Elements of Intuitionism, Oxford U. P., Oxford, 1977; A. Drago: "Incommensurable scientific theories: The rejection of the double negation logical law", in D. Costantini, M. G. Galavotti (edd.): Nuovi problemi della logica e della filosofia della scienza, CLUEB, Bologna, 1991, I, 195-202 ; A. Troelstra e D. van Dalen: Constructivism in Mathematics, North-Holland, Amsterdam, 1998, p. 56ss. Testo
A. Drago: «La filosofia di Dio di Lanza del Vasto. Studio mediante un nuovo metodo di analisi logica», in A. Drago e P. Trianni (edd.): La Filosofia di Lanza Del Vasto. Un ponte tra Occidente e Oriente, Il grande vetro / Jaca book, Milano, 2009, 185-221. Testo
Vedasi la traduzione in S4 tra la logica intuizionista e la modale. Testo
Lo nota J. Hopkins: «Introduction», op. cit., p. 19 a proposito della doppia negazione non altro e della parola modale possest, sulla base di una citazione di Cusano stesso. Testo
A. Drago: «Nicholas of Cusa's ...», op. cit.. Testo
J. Hopkins: «Introduction», op. cit, pp. 16, n. 86 p. 185, p. 17, p. 22. Testo
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