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Dalla Shekinah alla Trinità. Ki-vjakhol...

di Cristiana Dobner (Roma, 26-28 maggio 2011)

La sfida è ardita ma non incosciente, perché si tratta di temi di lungo corso: scrivere in philosophos e in theologos, collocarmi cioè sulla soglia: non abdicare alla ragione e non abdicare alla Parola di Dio, non rinunciare alla speculazione intellettiva, alle sue linee di forza teoretiche e non rinunciare alla teologia, nel significato etimologico di Davar Ha-Shem, proprio come fece Spinoza,1 offrendo quindi alla teoresi nella sua specificità filosofica l'orizzonte teologico, nel primato dell'Oggetto puro, di JHWH che si comunica nelle parole umane, in cui soggettivismo e arbitrio vengono così sconfitti.

In linea con il Vaticano II, in cui la Dei Verbum riprenderà i fili lanciati dalla teologia dialettica del Novecento2 per il decisivo rapporto fra teologia e Scrittura, sintetizzandoli nel n. 24:

La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione; in essa vigorosamente si consolida e si ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo. Le Sacre Scritture contengono la parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente parola di Dio; sia dunque lo studio delle sacre pagine come l'anima della sacra teologia.

Proporre un nuovo paradigma dell'ermeneutica teologica biblica, imprescindibile per il pensiero della fede a motivo del nesso stretto fra teologia e Sacra Scrittura, significa suscitare l'esodo da categorie ritenute sicure e promuovere un'interrogazione sulla teoresi, nel senso che «esse sequitur agitur», ontologicamente e teologicamente infatti, in questo contesto di riflessione, si rivela primo chi risponde alla chiamata. Il circolo ermeneutico perciò rivela la sua potenza perché indica la storia quale luogo della prassi e del possibile, luogo teologico, nel segno diacronico di un messianismo del Regno sempre in atto nella sua capacità anamnestica e prolettica, interpellato dall'irruzione della Verità ineffabile, dalla Parola del Dio vivente, risuonata nella storia ma rimandando sempre all'intelligenza del contenuto noetico:

poiché Dio si è fatto conoscere in ciò che non è lui, per andare verso Dio bisogna prendere la strada che lui ha preso per venire verso di noi.3

JHWH stesso diviene il trascendentale del suo darsi, mentre la risposta del popolo e di ciascuno/a non è solo atto metafisico ma atto che trae la sua capacità di prassi attingendo all'origine feconda dell'esperienza di fede, di un Amen pronunciato e consegnato.

Perché la Torah è Torat hayyim, Torah di vita, per assaporarla però è proprio necessario rinunciare a trattare filosoficamente l'Unità-Trinità e quindi solo confessarla?

Inoltre, si tratta di pensare in termini storico biblici e non apologetici nello scenario antropologico, liberando di conseguenza la strada del pensiero nella shalshelet ha qabbalà, la catena della ricezione:

Mosé ricevette la Torà dal Sinai e la trasmise a Giosuè, Giosuè agli anziani, gli anziani ai profeti, i profeti la trasmisero agli uomini della Grande Assemblea (Avoth1, 1) .4

Il focus quindi si delinea chiaramente in due battute, l'una di asserzione, l'altra di interrogazione:

Il popolo, Israele, fece esperienza della rivelazione di JHWH, conobbe la sua Shekinah;

Il popolo di JHWH in cammino, la Chiesa, conosce la Shekinah? La vita della Trinità annunciata da Gesù Cristo affonda le sue radici nella specifica esperienza di Israele?

La grande mente speculativa di Aristotele aveva indubbiamente raggiunto vette di pensiero:

[È evidente, dunque, da quello che è stato detto, che] esiste una sostanza immobile, eterna e separata dalle cose sensibili. E risulta pure che questa sostanza non può avere alcuna grandezza, ma che è senza parti ed indivisibile. (Essa muove, infatti, per un tempo infinito, e nulla di ciò che è finito possiede una potenza infinita; e, poiché ogni grandezza o è infinita o è finita, per la ragione che s'è detta, essa non può avere grandezza finita, ma nemmeno una grandezza infinita, perché non esiste una grandezza infinita). Risulta, inoltre, che essa è impassibile ed inalterabile: infatti tutti gli altri movimenti sono posteriori al movimento locale.5

Teologicamente invece è importante che Dio si muova, si abbassi, perché, JHWH non è il Primo Motore immobile di Aristotele, οὐ κινούμενον κινεῖ, Atto puro, impassibile, ma l'irruzione dell'Altro che interagisce con il popolo eletto, gli si rivela. Il rapporto diventa quindi esperienza viva della berit, tagliata nella condivisione con il popolo che Egli si è scelto: la misericordia e l'amore di JHWH per l'umanità vengono rappresentati attraverso Israele, nella storicità legata alla successione, come dimostrano le toledot, in cui si esprime il vivo retaggio culturale di Israele che implode per la forza dell'inedito e scuote le categorie filosofiche.

Per la Torah JHWH è sempre presente a Israele. Gen 3, 8:

Poi udirono la voce dell'Eterno DIO che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno...

In Es 14, 9-11 gli anziani vedono JHWH:

Gli Egiziani li inseguirono; e tutti i cavalli, i carri del Faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito li raggiunsero quando erano accampati presso il mare, vicino a Pi-Hahiroth, di fronte a Baal-Tsefon. Mentre il Faraone si avvicinava, i figli d'Israele alzarono gli occhi; ed ecco, gli Egiziani marciavano dietro loro, per cui ebbero una gran paura; e i figli d'Israele gridarono all'Eterno, e dissero a Mosè: "È perché non c'erano tombe in Egitto, che ci hai condotti a morire nel deserto? Perché hai fatto questo con noi, di farci uscire dall'Egitto?

In Dt 5, 15 JHWH li libera:

E ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che l'Eterno, il tuo DIO, ti ha fatto uscire di là con mano potente e con braccio steso...

Così non si è strutturato un noto edificio teoretico ma l'incontro con la Verità Vivente, da cui scaturisce la dignità della persona umana:

[...] dai miei maestri ho appreso a leggere e rileggere i testi sacri con costante stupore ed entusiasmo. Ma «leggere» non è esattamente il termine giusto, Miqrà, il termine ebraico per «lettura» si può tradurre anche con «fascino». Avvicinarsi ad un passo biblico vuol dire rispondere alla sua chiamata, alla sua interpretazione, mentre si esplorano le profondità dei suoi molteplici significati.6

Ogni lettura/ascolto della Torah diventa eminentemente responsoriale: da Persona a persona e in kol Israel, tutto Israele, nell'inesauribile eccedenza che si pone dinanzi alla progressiva consapevolezza di chi l'accetta, in quell'inedito che è appunto il farsi storia di JHWH:

La Torà non è la legge che uccide o rende sterili. L'ebreo non associa la sterilità al termine Torà, ma al contrario la fecondità. La Torà è un principio di vita e non di morte [...] chi prende su di sé il giogo del Regno dei Cieli [Un'espressione tecnica rabbinica che significa 'eseguire i precetti'] si trova per così dire in uno stato di gravidanza. Vive della gioia della vita crescente e nascente in lui; nella comunità e nel mondo intero. Nel fare della Torà, nella realizzazione della Torà, vi è la gioia di essere, insieme con Dio, costruttore del mondo. La Torà è il principio delle realizzazioni di Dio, il principio della creazione e il principio dell'incarnazione.7

Si può tentare quindi un nuovo paradigma di ermeneutica teologica biblica, instaurando una circolarità che interroghi dato rivelato e teoresi filosofica.

La teologia biblica, ed ogni riflessione che voglia risultare rigorosa e seria, deve affrontare il superamento del dualismo fra «una teologia dell'Antico Testamento e una teologia del Nuovo arbitrariamente separate».8

Continuità e discontinuità si fronteggiano nella tensione feconda tra l'uno e l'altro Testamento, quale circolarità feconda fra Parola-Scrittura Parola (P. Ricoeur), quindi l'interrogativo si fa sempre più stringente:

[...] in che modo, non sacrificando troppo alla continuità, mantenere la novità radicale di Gesù Cristo?9

Il paradigma dell'Incarnazione, paradoxon paradoxwn, il paradosso dei paradossi (de Lubac), infatti è realtà dell'irruzione dell'Altro.

Rimane assodata l'affermazione che, per l'ebraismo, è centrale la professione di fede nel Dio Uno e unico di Israele e nel suo legame permanente col popolo del Dio degli ebrei, sancito dall'alleanza.10

Il cristianesimo perciò viene considerato Koffer ba'iqqar, negatore della cosa principale,11 quando proclama la fede nella Trinità.

Il «concetto» di incarnazione è punto controverso:

Per l'ebraismo ciò non esiste né è concepibile; per il cristianesimo, invece, si pone il quesito circa la natura stessa e la «unicità» di Gesù.12

Distinguere tra il Cristo terreno e il Cristo predicato è distinzione astratta e solo metodologica, perché lo scandalo risiede nella fede cristiana in Gesù Cristo,13 quindi non nella fede nel Gesù storico ma in quella nel Gesù post pasquale, glorificato ed annunciato.

L'interrogativo si specifica ancora puntualmente:

[...] una concezione cristologica di Dio è inconciliabile in linea di principio e in maniera assoluta col concetto ebraico di Dio? 14

Agli albori del cristianesimo esisteva una convivenza fra ebraismo e cristianesimo ed è impossibile raggiungere la sicurezza nel fissare il momento, cronologico e teologico, in cui «la fede cristiana nella Trinità cominciò ad essere sospettata in campo giudaico di andare contro l'unicità di Dio».15

Gli apologeti ebraici dei primi secoli postcristiani intesero l'incarnazione come dualismo metafisico o come monofisismo verbale precalcedonese,16 resta assodato però che

dal punto di vista del giudaismo rabbinico, l'animosità verso i giudeocristiani fu innanzitutto politica e non teologica. Le differenze teologiche sorte in seguito suscitarono, però, la definitiva frattura.17

Una sfumatura deve essere sottolineata e colta accuratamente:

[...] i seguaci della mistica giudaica negano decisamente la Trinità cristiana, perché essa è indissolubilmente legata alla rivelazione di Cristo. Ma con i cristiani ammettono una ricca vita intradivina, molteplici modi di agire di Dio ad extra, movimenti dialettici e dialogici insondabili tra l'infinità di Dio e i suoi modi di agire nel mondo. L'osservatore cristiano del paesaggio teologico ebraico non fa altro che trarre questa conclusione: un'intelligenza cristologica di Dio -- astrazione fatta dalla sua realizzazione storica -- non è agiudaica. Naturalmente da qui non si può concludere in una unità teologica o quasi-unità tra la concezione ebraica e quella cristiana di Dio. Ciò che le divide è Gesù Cristo, che secondo la fede cristiana, è l'espressione personale della vita intradivina.18

Se è valido -- ed è valido -- quanto enunciato da P. Beauchamp:

il principio della teologia biblica era la conoscenza di Dio, ma nel luogo ove egli si fa conoscere. Ora, Dio si mostra come Dio solo là ove nulla lo spiega, principio che non ha nulla di comune con la ricerca delle forme miracolose del soprannaturale: si tratta in effetti veramente di un 'luogo', che Dio rivela nello stesso tempo che in esso si rivela.19

Ne consegue che il «luogo» si può ben individuare nel Primo Testamento considerando l'ordine cronologico dell'incontro di Israele con la Shekinah:

Fermo restando che prevale sempre il principio rabbinico che regola ogni scrutare: «Non c'è prima o dopo nella Torah» (Sifre s/Nb 9, 1, p. 61).

Il passo preliminare a questo punto riguarda lo Tzitzum e la Shekinah.

1. Il tzimtzum

Tzimtzum significa contrazione, concentrazione, seguendo la scuola di Safed nel pensiero del suo esponente più illustre, Itzhak Luria.

Il riferimento va a Dio stesso prima che al Dio Creatore:

Il contrarsi di Dio entro la propria essenza profonda è un preliminare atto funzionale alla creazione, onde lasciarle spazio ed autonomia. Solo in un secondo atto, l'assoluto si dilata e si protende verso il mondo creato, per poi tornare a contrarsi, in un'alternanza dialettica di moto centripeto e centrifugo.20

Non è in atto un paradosso verbale ma una realtà ontologica, anzi la realtà ontologica primordiale, infatti Colui che si rivelava nel Roveto Ardente aveva dimostrato, pur essendosi ristretto per amore, di essere «di una densità infinita».21

Il grande gesto di amore, di Dio cioè che pone un limite a Se stesso, attesta una duplice realtà: la creazione e la persona umana indubbiamente sono un nulla davanti a Lui, nel contempo però «vuol dire che ha riconosciuto loro in anticipo una potenzialità positiva, verso la quale poi si protende in un suo stesso arricchimento».22

Il limite autoimpostosi di Dio e il limite umano postulano una possibile santificazione del limite e della postura interiore del rispetto, inteso nell'accezione di non inglobare in sé nessuno:

La fede si fa umile davanti a Dio non solo per sentimento di dipendenza, ma per reciprocità di ritiro e di autolimitazione. La preghiera, ad imitazione della dialettica divina, è alternanza e sintesi di approfondimento interiore e di moto espansivo.23

Il popolo di Israele, eletto da JHWH, può essere considerato quindi dallo Tzimtzum stesso messo in atto, dedurne la sua particolare missione nella storia e lo sguardo su se stesso come:

[...] a un'impronta di Dio, nel vuoto lasciato da Lui, e a Lui riservato per sempre. La sua fedeltà consiste nel non chiudere quel vuoto, nel non riempire quell'assenza con una presenza che è l'idolo.24

JHWH nell'atto di operare lo Tzitzum manifesta la sua passione per la creatura umana:

L'infinito si produce rinunciando all'invasione di una totalità in una contrazione che lascia un posto all'essere separato.25

2. Shekinah

La stessa semantica del termine Shekinah illumina e può consentire una comprensione non solo del termine ma anche della sua funzione nella storia di Israele: proviene da shakan26 abitare, da cui Shekinah quale nome d'azione che indica la Presenza, i luoghi e i tempi dove JHWH vuole lasciarsi incontrare. Non in termini di onnipresenza ma di immanenza, riferendosi «alla sfera del possibile: non vi è luogo che non possa essere contrassegnato dalla presenza di Dio, o ancor meglio in cui non possa venir ospitato».27

JHWH è creatore del cielo e della terra e non cessa di conservarli in vita (de Lubac):

Tutti i fiumi corrono al mare, ma il mare non si riempie mai; al luogo da cui i fiumi provengono, là essi ritornano nuovamente (Qo 1, 7).

Dal mare superiore al mare, la vitalità di tutte le creature viene da Lui e a Lui ritorna.

JHWH, colui che imprime sulle sue creature, secondo la Mishna, il tovea, il simbolo originario, il syngraphum di Spinoza.

Luoghi quindi di un dove, non solo locativo ma esistenziale trascendentale, attraverso il cui dono la persona umana può esprimersi nell'apertura dialogica al Tu.

La voce della Tradizione d'Israele insegna due volte, nella Haggada e nella liturgia del Seder28, che nella notte dell'Egitto (Es 12) c'è stata la Gilluy Shekinah, la «rivelazione della Shekinah», la manifestazione di JHWH che ha agito a favore di Israele ed Egli stesso e non altri ha fatto uscire Israele dall'Egitto29 .

JHWH è presente al mondo e la sua Presenza, la Shekinah, è l'azione di abitare il mondo creandolo senza cessa, quindi come risultato dell'azione di abitare, JHWH stesso è presente dovunque e sempre:

Nessun luogo sulla terra è vuoto della sua Presenza (Rabban Gamaliel Pesiqta de-Rav Kahana).

JHWH però rimane sconosciuto, mentre la sua Kabod in Israele è conosciuta:

L'uno gridava all'altro e diceva: "Santo, santo, santo è l'Eterno degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria" (Is 6, 3).

Quindi lo Spirito mi sollevò e udii dietro a me il suono di un grande fragore che diceva: "Benedetta sia la gloria dell'Eterno dalla sua dimora! " (Ez 3, 12).

3. Roveto (Es 3)

Mosè pascolava il gregge di Jethro suo suocero, sacerdote di Madian; egli portò il gregge oltre il deserto e giunse alla montagna di DIO, all' Horeb. E l'Angelo dell'Eterno gli apparve in una Fiamma di fuoco, di mezzo a un roveto. Mosè guardò ed ecco il roveto bruciava col fuoco, ma il roveto non si consumava. Allora Mosè disse: "Ora mi sposterò per vedere questo grandioso spettacolo: perché mai il roveto non si consuma! ". Or l' Eterno vide che egli si era spostato per vedere, e DIO lo chiamò di mezzo al roveto e disse: «Mosè, Mosè! ". Egli rispose: "Eccomi". Dio disse: "Non avvicinarti qui; togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale stai è suolo santo. Poi aggiunse: "Io sono il DIO di tuo padre, il DIO di Abrahamo, il DIO di Isacco e il DIO di Giacobbe". E Mosè si nascose la faccia, perché aveva paura di guardare DIO. Poi l'Eterno disse: "Ho certamente visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il suo grido a motivo dei suoi oppressori, poiché conosco le sue sofferenze. Così sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese dove scorre latte e miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Hittei gli Amorei, i Perezei, gli Hivvei e i Gebusei. Ed ora, ecco il grido dei figli d'Israele è giunto fino a me, ed ho pure visto l'oppressione con cui gli Egiziani li opprimono. Or dunque vieni e io ti manderò dal Faraone perché tu faccia uscire il mio popolo, i figli d' Israele, dall'Egitto".

Nel Roveto JHWH si è abbassato, la Shekinah è e sarà sempre con la comunità e la persona, nelle traversie e nel benessere.

JHWH «attraverso la Shekinah è ormai accessibile alla preghiera di domanda, nella difficoltà, alla preghiera di lode, nella gioia».30

Il Roveto Ardente splende «nella sua teofania che apre il processo sempre ascendente»31 e di conoscenza su Colui che si rivela:

La scrittura [dunque] non ci dice nulla sulla natura di Dio, ma ci dice tutto sulla sua misteriosa Volontà: perciò vi furono mistici cabalistici che sostennero che l'intera Torà altro non è che un unico, immenso nome di Dio. Quel nome rivelato al roveto ardente che nell'interpretazione rabbinica indica Dio in quanto misericordia.32

4. La Tenda della Riunione (Lev 1,1 moed)

L' Eterno chiamò Mosè e gli parlò dalla tenda di convegno, dicendo: ...

La Tenda del Convegno è il primo luogo in cui JHWH si manifesta mezzo al popolo. Es 25, 8:

Mi facciano un santuario, perché io abiti in mezzo a loro.

Lev 16, 16:

Lo stesso farà per la tenda di convegno che rimane fra loro.

JHWH ha fatto tzimtzum prima nella tenda e poi fra il propiziatorio e i cherubini, la Gloria è la Shekinah perché «la potenza di Dio è il suo silenzio».33

5. Tempio di Gerusalemme (I e II)

Shekinah è un termine corrente nella teologia del Tempio, sinonimo di miskan, kabod, hod.

La gioia del pellegrinaggio viene dalla visione della Shekinah, resa possibile da un'effusione dello Spirito Santo.

All'epoca del secondo Tempio in realtà, è attestato da numerose tradizioni che dovunque apparisse la Shekinah c'era la manifestazione concomitante dello Spirito Santo. L'una non va senza l'altro, al punto che queste due realtà sono talvolta menzionate in modo intercambiabile nei testi.34

La Shekinah era nel II Tempio, questo è un dato importante per il presente assunto messo a tema, volendo delineare la cristologia.35

L'amore per la Shekinah e il suo ritorno pervadono la vita di Israele, per questo si domanda la ricostruzione del Tempio, non basta la sua presenza nella comunità che prega, bisogna pregare perché ritorni nel luogo del suo riposo (Ps 132, 13-14).

Attualmente la Shekinah si posa sul Kotel ha-Ma'arivì, con le sue pietre tagliate dallo shamir,36 amate a tal punto da non allontanarsene mai e ubicato fra la Moschea di Omar e l'Anástasis:

Il muro del pianto è un punto d'arrivo per chi è ebreo. È forse il luogo fisico, il simbolo più vicino a Dio. Ci sono rimaste delle pietre e lì preghiamo per i nostri morti, per i nostri figli, perché il bene sconfigga il male. Forse quel luogo, sopra il quale sorgono due moschee, attorno al quale vi sono chiese di ogni confessione cristiana, contiene ogni giorno una straordinaria pluralità di voci che si rivolgono tutte alla stesso Dio.

Le voci degli uomini, delle donne e dei bambini... .37

6. La comunità e la persona individuale che pregano la preghiera liturgica

La preghiera è sostenuta dallo Spirito Santo e orientata verso la Shekinah da cui per il peccato sono stati separati Adamo e Eva e l'umanità. La Shekinah allora si è ritirata nel primo firmamento e, successivamente, fino al settimo cielo.

Quando apparvero Abramo e gli altri giusti, fino a Mosé, la Shekinah poté ridiscendere fino alla Tenda della Riunione:

questa tradizione immmaginifica fa comprendere il valore della Tenda della Riunione e, dopo di essa, del Tempio, come luoghi in cui Dio vuole stabilire la sua Shekinah per comunicare con Israele.38

Si deve sottolineare come: nella preghiera della liturgia sinagogale del Sabato non si vede JHWH, perché Egli è nella sua trascendenza, ma si vede già la Shekinah, la sua Presenza immanente e, per anticipazione, ci si nutre del suo splendore.

L'esperienza dell'anima supplementare donata ad Israele durante lo Shabbat consente di

[...] vedere la Shekinah, così com'è (divina) è vedere attraverso lei Dio faccia a faccia. L'«anima supplementare» è forse lo Spirito Santo che designa la Shekinah presente nell'uomo che vive il Sabato.39

La preghiera ebraica quindi è servizio reso alla Shekinah, alla sua Presenza nel mondo, con un preciso compito: unificare JHWH. Non solo con la preghiera recitata, che «si definisce, ebraicamente, jichud ha-shem»40 ma proprio con la stessa vita. Unificare infatti vuol dire fare uno: unire timore di JHWH e misericordia di JHWH.

7. Gesù Shekinah

Alberto Mello commenta: «Le parole della Torà sono un dono gratuito per ogni uomo che viene al mondo»,41 sottolineando:

anche per il giudaismo 'la Parola si è fatta carne'. La teofania sinaitica, nella quale il Verbo creazionale, la voce della creazione (il tuono) si articola in un linguaggio umano, che si può udire e trasmettere, è una tappa fondamentale di questo farsi carne della Parola di Dio.42

Fino a che punto il Dio di Israele si può abbassare? Può diventare uomo?

L'Incarnazione di Dio non contraddice l'essenza di Dio e la tradizione rivelata?

Nel Bereshit Rabba e in altri midrashim si dice che la Torà è antecedente alla creazione ed è il modello con cui Dio ha creato il mondo. Se noi leggiamo nel Prologo di Giovanni: «E il Verbo si è fatto 'carne' e ha abitato in mezzo a noi» e traduciamo queste parole in ebraico (si veda, ad esempio, la traduzione del Nuovo Testamento di F. Delizsch o quella più recente delle United Bible Societes: ha-davar nihjah basar), noi siamo obbligati a intendere basar, «carne», nel significato ebraico, includente anche l'idea di mondanità, concretezza. E allora, dobbiamo ritradurre più correttamente, con maggiore coscienza ermeneutica: «La Parola si è mondanizzata, ed è la presenza (skene/shekina) di Dio in mezzo a noi. Questa parola è il principio della creazione ed è la Torà.43

L'Incarnazione non era né prevedibile né ipotizzabile, però trascendenza e immanenza suscitano una tensione di Unità che lo Spirito Santo, che è in noi, attesta e conferma pure l'autocomunicazione della Trinità che tocca la storia e ogni persona.

Quando Dio si incarna, la Shekinah, la Presenza, si umilia nel mondo, si restringe, opera lo tzitzum nell'umanità ebraica di Gesù Cristo per significare l'amore di Dio per tutti gli uomini.

Il Tempio e Gesù Cristo sono i luoghi dell'incontro tra Dio e il mondo. Né il Tempio né Gesù Cristo si possono concepire senza realtà concreta, fuori dallo spazio e dal tempo.44

Tuttavia, né potenza né potere sono abbandonati: la potenza perché JHWH può e vuole paradossalmente restringersi, il potere perché «la sua Potenza è il suo Silenzio» la sua forza è la forza di limitare la forza (Ps 29).

L'abbassamento allora paradossalmente è grandezza.

Ne consegue che

Se Gesù è la Shekinah di Dio, Jerushalaim è il luogo della Shekinah!45

8. La trasgredenza

Il segno biblico attestato dal Vangelo: ιδὲ ὁ τόπος ὅπου ἔθηκαν αὐτόν («Ecco il topos, il luogo in cui giaceva» (Mc 16, 6; Mt 28, 6; Lc 24, 6), deve essere letto ed interpretato con categorie proprie e non seguendo filosofie ricalcate sulla mens dell'Occidente e quindi come posto-sacro che «come non-luogo» diviene simbolo.46

Il topos, ὁ τόπος, indica il punto del contatto con il reale, schiuso sulla trasgredenza47 della pura orizzontalità,48 perché coagula la storia intera e tutte le storie delle persone umane in quell'arrivo sabbatico che non demanda più altrove ma chiede di collocarsi nel τόπος stesso perché

La tomba vuota è segno di una misteriosa assenza. Ma assenza per eccesso di presenza, perché tutto suggerisce, nell'alba del giorno senza tramonto, un Vivente, più vivo della nostra vita mescolata alla morte.49

Questo vuoto che, concretamente, è l'apax del Risorto, si protende nell'attesa e si concretizza nella 'even shetijjah, la pietra di fondazione del mondo del heykal qodsheka, del Santo dei Santi del Secondo Tempio, che indicava l'assenza dell'arca e la presenza della Shekinah:

che cosa fece il Santo, sia benedetto? con il piede destro affondò la pietra fino al fondo dell'oceano primordiale e la rese di pietra di volta del mondo, come un uomo che incastra la pietra di volta in un arco. Perciò la pietra si chiama 'eben shetityya (pietra di fondazione) perché ivi è l'ombelico della terra e di lì estese tutto il mondo e su di essa è poggiato il tempio. La roccia che si trova nel Santo dei Santi è quella dell'inizio della creazione del mondo ed insieme il luogo più alto della terra: è la porta del cielo e appartiene al paradiso futuro. Inoltre la roccia chiude l'apertura dell'oceano primordiale e così è fonte di tutte le acque della terra e porta del regno dei morti.50

È il «vacuum» di Tacito (Storie V, 9): Pompeo nel 63 a. e. v. entrò nel Santuario e dovette ammettere questa precisa realtà: «Nulla intus deum effigie vacuum sedem, et inania arcana».

Il Vangelo di Giovanni (7, 37-39) non concede dubbi di sorta:

Gesù si identifica con Gerusalemme, che è Sion, che è il Tempio in cui risiede la Shekinah. Egli annuncia poi che coloro che credono in lui riceveranno lo Spirito Santo, cosa non possibile finché egli non sia glorificato. Il contento del pellegrinaggio d'Israele suggerisce fortemente, per risonanza, l'insegnamento seguente: Gesù glorificato, riconosciuto come Gloria (Shekinah), è il Luogo (il Luogo conosciuto, Gerusalemme, Sion, il Tempio) da cui usciranno le acque vive, cioè lo Spirito Santo. Senza la Shekinah, presente e riconosciuta, non c'è Spirito Santo; ma ugualmente senza Spirito Santo la Shekinah non è riconosciuta (cfr 1 Cor 12, 3) .51

Anche Paolo (1 Cor 12, 3) quando scriverà «Gesù è Signore», conferma che lo si può affermare solo attraverso lo Spirito Santo riconoscendolo come Dio: Gesù Cristo quindi è la Presenza di Dio, la Shekinah appunto.

Il luogo santo esiste perché stata tagliata la berit, lo stesso libro è luogo santo, topos «ermeneutico dell'uomo»52 che rivela:

[...] in quanto manifestazione dell'Origine fungente e attraente verso il compimento, ma non oggettivabile. Ciò ha un preciso risconto nel come, entro la Bibbia, viene posta in relazione la manifestazione di Dio con la sua assenza. La Shekhinà, la presenza divina, abita nel vuoto posto tra e sotto le ali dei cherubini che proteggono il coperchio dell'arca della alleanza (Es 25, 22). Il Libro biblico presentifica, con la struttura che gli è propria, il vuoto in cui sotto forma di assenza abita Dio e dal quale Dio chiama.53

È imprescindibile comprendere che i cherubini non circoscrivono la Shekinah ma indicano lo spazio aperto che diverrà ha Maqom, il Luogo, la Shekinah nella sua localizzazione nell'Umanità ebraica di Gesù Cristo, nel suo corpo di ebreo vissuto nella storia, fatto nascere da Mirjam, la Theotokos del Roveto Ardente,54 che ha accolto la Shekinah incarnata nel suo grembo, incontro del tempo e dell'Eterno, e donato alla storia l'Umanità ebraica del Salvatore, vivendo nella fede la fatica del cuore:

potremmo dunque dire che la Torà è il Verbo incarnato, se, come è vero, basar, carne, indica più estesamente una mondanizzazione, una umanizzazione della Parola, che infatti dibberà ki-leshon bené adam, «ha parlato secondo la lingua degli uomini».55

Il Λόγος unigenito si è fatto carne umana (basar) ed allora:

noi contempliamo qui tutta la gloria del Padre, la pienezza della grazia della verità, l'epifania della Shekhinah divina (Gv 1, 14-17) .56

9. Tequ

Il profilo di questo intervento, sempre interlocutorio, tequ,57 sospeso, per porre fine provvisoria ad una discussione aperta, vuole significare un apporto dentro la teologia e dentro la filosofia, come accennato in apertura, in esercizio di comprensione del reale in auscultazione della storicità orientato al telos dell'umanità liberata nei momenti epifanici della vita del popolo: Israele e Chiesa.

Gli interrogativi che J. Petuchowski58 delinea costituiscono lo sfondo su cui potersi muovere adeguatamente e riflettere ulteriormente:

Ricorrere al passato fontale non significa ripiegarsi e non aprirsi alla investigazione odierna scientifica, significa propriamente riconoscere la sorgente presso cui abitare.

Ascoltare perciò quanto sta al di là della parola, da dove proviene, dal Silenzio da cui trae origine, scrutare la Parola per aprirsi al Silenzio,62 per «rovesciare l'essere verso il Forse dal modo minore verso il modo maggiore, questa è stata la sfida che dal di dentro del Silenzio di Dio, ho sentito e tentato di accogliere, sul piano del pensiero filosofico, inseparabile da quello dell'azione»,63 grazie alla mediazione della Parola stessa perché, senza il Silenzio, lo svelamento della vita intradivina, della vita della Trinità, sarebbe incompiuto. L'indicibile.

Se così si può dire, forse...

Ki-vjakhol...

Copyright © 2011 Cristiana Dobner

Cristiana Dobner. «Dalla Shekinah alla Trinità. Ki-vjakhol...». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**48 B].

Note

  1. Chamla M., Spinoza e il concetto della tradizione ebraica, Franco Angeli, Milano 1996. Testo

  2. Moltmann J. (ed), Le origini della teologia dialettica, Queriniana, Brescia 1976, pp. 375-402. Testo

  3. Beauchamp P., Iniziazione alla pratica della teologia, Queriniana, Brescia 1986, p.197. Testo

  4. Cfr 1 Cor 11, 23, 15,3. Testo

  5. Aristotele, Metafisica, Rusconi, Milano 1994, pp. 557-559. Testo

  6. Wiesel E., Le storie dei saggi. I maestri della Bibbia, del Talmud, e dei Chassidi, Garzanti, Milano 2006. Testo

  7. Cunz M., Per una spiritualità del Giudaismo in AA. VV., La vita nell'esegesi biblica (un colloquio ebraico-cristiano), Camaldoli, Vita monastica 146 (1981), p. 83. Testo

  8. Von Rad G., Teologia dell'Antico Testamento, Paideia, Brescia 1972, p. 551. Testo

  9. Beauchamp P., Iniziazione alla pratica della teologia, Queriniana, Brescia 1986, p. 230. Testo

  10. Thomas C., Teologia cristiana dell'ebraismo, Marietti, Casale Monferrato 1983, p. 138. Testo

  11. Urbach E., The Sages, Their Concepts and Beliefs, At The Magnes Press, The Hebrew University, Jerusalem 1975, p. 21 ss; Jacobs L., Principles of Jewish Faith. An analytical Study, Valentine Mitchell, London 1964. Testo

  12. Viterbi Ben Horin M., Un punto di vista ebraico sull'incarnazione, in SefeR, n, 116, ottobre-dicembre 2006, p. 3. Testo

  13. Ben Chorin S., Bruder Jesus. Der Nazarener in jüdischer Sicht, P. List Verlag, München 1979, p. 12. Testo

  14. Thomas C., Teologia cristiana ..., op. cit., p. 137. Testo

  15. Ib., p. 138. Testo

  16. Ib., p. 148. Testo

  17. Petuchowski J., Verso una teologia ebraica del cristianesimo, in «Humanitas» 44(989) 2, p. 188; Bottoni G.-Nason L. (a cura di), Secondo le Scritture. Chiese cristiane e popolo di Dio, EDB, Bologna 2002; Morselli M., I passi del Messia. Per una teologia ebraica del cristianesimo, Marietti, Milano 2007. Testo

  18. Thomas C., Teologia cristiana ..., op. cit., p. 145. Testo

  19. Beauchamp P., Iniziazione alla pratica della teologia, Queriniana, Brescia 1986, p. 239. Testo

  20. DI Porto B., Concetto generale e fattori di crisi nella nostra epoca al vaglio del dialogo ebraico-cristiano, in Vita monastica 195 (ott.-dic. 1993), pp. 28-29. Testo

  21. Lenhardt P., Voies de la continuité juive. Aspects de la relation maître-disciple d'après la littérature rabbinique ancienne, in Recherches de Science religieuse 66 (1978), p. 496. Testo

  22. Ibidem, p. 28. Testo

  23. Di Porto B., Concetto generale...,op. cit., pp. 28-29. Testo

  24. Levi Della Torre S., Essere fuori luogo, Il dilemma ebraico tra diaspora e ritorno, Donzelli, Roma 1995, pp. 36-37. Testo

  25. Lévinas E., Totalità e infinito, Jaca Book, Milano 1990, pp. 104-106. Testo

  26. Zorrell P., Lexicon Hebraicum et Aramaicum Veteris Testamenti, Pib, Roma, 1968. Testo

  27. Stefani P., Compassione/misericordia nella tradizione ebraica, in SefeR, n. 111, luglio/settembre 2005, p. 5. Testo

  28. Toaff A. S., Haggadah di Pasqua, Roma 5736-1976. Testo

  29. Cfr. Midrash di Pesach su DT 26,8. Testo

  30. Lenhardt P., À l'écoute d'Israël, en Église, Parole et Silence, Collège des Bernardins, Paris 2009, p. 216 ; L'Unitè de la Trinité. à L'écoute de la tradition d'Israël, Collège des Bernardins, Paris 2011. Testo

  31. Otto R., Il Sacro, Gallone, Milano 1998, p. 82. Testo

  32. DE Benedetti P., Introduzione al giudaismo, Morcelliana, Brescia 2000, p. 47. Testo

  33. Urbach E., The sages..., op. cit, pp. 99-103. Testo

  34. Lenhardt P., À l'écoute d'Israël ..., op. cit., p. 222. Testo

  35. Heinemann J., La preghiera ebraica, Bose, Magnano (BI) 1992. Testo

  36. Le pietre non dovevano essere tagliate e squadrate dal ferro, perciò bisognava ricorrere allo shamir, un verme creato fra i due crepuscoli del sesto giorno, prima dell'inizio dello Shabbat. Salomone chiese all'aquila dove fosse e questa lo trovò nel paradiso terrestre (Ghittin 68a). Testo

  37. Elkan A., Le mura di Gerusalemme, Einaudi, Torino 2000, p. 51. Testo

  38. Lenhardt P., À l'écoute d'Israël ..., op. cit., p. 227. Testo

  39. Lenhardt P., À l'écoute d'Israël ..., op. cit., p. 234. Testo

  40. Mello A., prefazione a J. Heinemann, La preghiera ebraica, Magnano(BI) 1992, p. 9. Testo

  41. Mekhilta de-Rabbi Jishma'el su Es 20, 9. Testo

  42. Mello A., Il dono della Torah, Città Nuova, Roma 1982, pp. 61-62. Testo

  43. De Benedetti P., Introduzione al giudaismo, Morcelliana, Brescia 2000, p. 81. Testo

  44. Lenhardt P., La terra d'Israele e il suo significato per i cristiani, Il punto di vista di un cattolico, Morcelliana, Brescia 1994, p. 34. Testo

  45. Bianchi E., Gerusalemme e la Chiesa, Bose, Magnano (BI) 1991, p. 28. Testo

  46. Casper B., Spazio e spazio sacro, in Idee 48 (2001), p. 25. Testo

  47. Fausti S., Ermeneutica teologica, Fenomenologia del linguaggio per una ermeneutica teologica, EDB, Bologna 1973, p. 42, n. 11: «Uso il termine trasgredire (o trasgressione o trasgredenza) invece di trascendere (o trascendenza) perché questo ultimo termine è fenomenologicamente irrilevante, oltre che logicamente assurdo. ...trasgressione è infatti il pro-gredire, il crescere del cammino che si fa avanti, in un senso omogeneo al trasgrediente (è pura orizzontalità); trascendenza implica invece un (auto) superamento in senso verticale in un senso non omogeneo, in una dimensione che supera l'uomo, nonché quella parte irrilevante del cammino che sta sempre innanzi, che sempre rimane da fare, perché non è stata mai fatta, e che quindi non c'è». Testo

  48. ID., Ermeneutica teologica, op. cit., p. 42, n. 11. Testo

  49. Clément O.-Rupnik M. I., «Anche se muore vivrà». Saggio sulla risurrezione dei corpi, Lipa, Roma 2003, p. 24. Testo

  50. Culmann O., petra, in GLNT. Testo

  51. Lenhardt P., À l'écoute d'Israël ..., op. cit., p. 222. Testo

  52. Morfino M. M., «Metti in pratica più di quello che hai studiato» (Pirqé Abot 6,4). Alcuni tratti caratteristici del maestro della parola nel trattato Pirqé Abot e nel Midrash Abot de Rabbi Natan e in alcuni commenti posteriori, in RB 3 (2002), p. 291. Testo

  53. Bartolomei M. C., Il tempo e il libro, in Il tempo dell'uomo e il tempo di Dio. filosofie del tempo in una prospettiva intedisciplinare, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 32. Testo

  54. Dobner C., Luce Carmelitana, Dalla radice santa, Lev, Città del Vaticano, 2002. Testo

  55. De Benedetti P., Introduzione al giudaismo, Morcelliana, Brescia 2000, p. 42. Testo

  56. Rossi De Gasperis F., Sentieri di vita. la dinamica degli Esercizi ignaziani nell'itinerario delle Scritture, 3, Paoline, Milano 2010, p. 113. Testo

  57. Be 8 a.b Testo

  58. Petuchowski J., Verso una teologia ebraica del cristianesimo, in Humanitas 44(989) 2, pp. 181-194. Testo

  59. Ib., p. 182. Testo

  60. Ib., p. 182. Testo

  61. Ib., p. 183. Testo

  62. Dobner C., Lo Spirito aleggiava sulle acque. Il silenzio e l'assoluto di Dio, Festival della Teologia, Piacenza 2010, in Atti in corso di stampa. Testo

  63. Neher A., L'esilio della parola, Marietti, Genova 1983, p. 99. Testo

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