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Il dogma trinitario nella prospettiva della filosofia analitica della religione

di Marco Damonte (Roma, 26-28 maggio 2011)

Negli ultimi anni lo sviluppo della filosofia analitica della religione ha comportato un interesse crescente nei confronti dei dogmi specifici delle diverse confessioni. La dottrina cristiana circa la Trinità è stato uno degli argomenti più trattati, capace di promuovere un acceso dibattito, reso ancor più stimolante dal coinvolgimento di diverse discipline, quali studi storici, biblici e teologici. La bibliografia che accompagna la voce Trinity nei più recenti manuali di Philosophical Theology conta poco meno di duecento voci, di cui la metà sono articoli e monografie di filosofia analitica sul tema, mentre il restante è equamente diviso tra autori classici e studi interdisciplinari. Questo contributo si propone di presentare al pubblico italiano lo status quaestionis di tale discussione, fornendo gli strumenti per una adeguata comprensione del dibattito e di sottolineare l'importanza teoretica dei principali risultati finora conseguiti, indicando le prospettive di approfondimento. Per raggiungere tali scopi chiarirò innanzitutto lo statuto disciplinare della filosofia della teologia nella prospettiva analitica e fornirò poi una classificazione delle principali teorie con cui si affronta il problema filosofico della formulazione del dogma trinitario, soffermandomi sull'interpretazione del pensiero tomista. In un terzo momento valuterò i presupposti e le conseguenze di tali sforzi a livello teoretico; infine metterò in luce alcune problematiche aperte, proponendo ulteriori, possibili sviluppi.

1. Dalla filosofia della religione alla filosofia della teologia

L'influsso determinante dell'empirismo prima e del neopositivismo poi, ha reso la filosofia analitica ostile ad ogni tematica riguardante la religione. I principi di verificabilità e di falsificabilità implicavano l'insensatezza di ogni enunciato metafisico e, a fortiori, di ogni affermazione religiosa. L'ostilità filosofica divenne astio culturale, finché, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, un lento quanto inesorabile cambiamento ha restituito legittimità alla filosofia della religione e ha permesso a questa disciplina una fioritura inattesa. Addirittura sarebbe possibile sostenere che la filosofia analitica della religione rappresenta un nuovo inizio nella storia della filosofia della religione e ammettere con soddisfazione che l'evoluzione della filosofia della religione analitica costituisce un ritorno alla scolastica.1 Lo sviluppo della filosofia analitica della religione è la conseguenza diretta di modifiche interne alla filosofia del linguaggio e alla filosofia della conoscenza che hanno consentito, rispettivamente, di ammettere che le affermazioni religiose siano dotate di significato2 e che le credenze religiose siano legittime di per sé.3 Tale riconoscimento di legittimità epistemica ha favorito un approccio filosofico alle verità di fede, meglio alla loro formulazione proposizionale. Se il compito della filosofia della religione non è più quello di fondare le credenze religiose giustificandole a partire da asserti derivati da altri settori della filosofia, bensì è quello di riconoscerne la validità e di valutarne alcune caratteristiche quali la consistenza, allora la filosofia della religione si declina come intelligenza della fede.4

La tendenza ad una precisa distinzione disciplinare tipica degli analitici non ha tardato a riconoscere uno specifico a questa impresa, definendola filosofia della teologia o teologia filosofica per distinguerla dalla teologia naturale e dalla teologia dogmatica. Tale disciplina si occupa delle credenze religiose specifiche di ciascuna confessione, con particolare attenzione ai contenuti rivelati. Il compito della filosofia della teologia non è tanto quello di stabilire la verità dei dogmi religiosi, quanto di studiarne la forma proposizionale, le nozioni utilizzate per la loro formulazione e le implicazioni filosofiche. Dietro a questo progetto sta la consapevolezza che i pronunciamenti circa le verità di fede sono sempre espressi e compresi attraverso un linguaggio filosofico.

La filosofia della teologia avrebbe nei confronti della teologia quel compito terapeutico che Wittgenstein attribuisce al suo pensiero nei confronti della filosofia. Alla filosofia della teologia viene infine attribuito il compito di discutere alcune tesi comuni a più religioni diventando così rilevante nel dialogo interreligioso.

L'esponenziale trattazione di queste tematiche ha comportato un pluralismo tale da inficiare una sistematicità d'insieme e da impedire l'identificazione di uno statuto disciplinare condiviso.5 Piuttosto chiara è la contrapposizione della filosofia della teologia alla filosofia della religione continentale, che, accettata passivamente la critica di Kant e Heidegger, avrebbe perso interesse per lo studio degli asserti religiosi a vantaggio del fenomeno religioso in quanto tale e non avrebbe avuto remore a rinunciare al realismo. I più entusiasti fautori della filosofia della teologia arrivano ad affermare di essere eredi della teologia sistematica sia per i temi trattati, sia per la tradizione a cui fanno riferimento, sia, ancora, per la metodologia impiegata che fa ricorso ad analisi concettuale, argomentazioni rigorose e chiarezza logica priva di ambiguità retorica. Questa, a titolo esemplificativo, la conclusione di Crisp:

per come ho caratterizzato la teologia analitica, essa è in primo luogo il progetto di una fede in cerca della sua comprensione dove l'analisi 'metafisica' è il mezzo attraverso cui i teologi esibiscono il significato [make sense] di ciò in cui già credono.6

L'affermazione di Crisp suggerisce un'attenzione particolare della filosofia della teologia nei confronti di dottrine teologiche specifiche di una religione determinata e di quelle che maggiormente necessitano di un apparato argomentativo. Diventa così chiaro perché la discussione del dogma trinitario è tra le più considerate tra i filosofi della teologia: essa contraddistingue l'identità cristiana stessa e si presenta come sfida logica. Entriamo dunque nei dettagli di queste argomentazioni.

2. La filosofia analitica e la formulazione del dogma trinitario

La fede cristiana nel Dio trino ha un'origine biblica, ma la formulazione proposizionale del dogma si è resa necessaria storicamente attraverso delle dichiarazioni conciliari in dialettica con le diverse posizioni teologiche circa il modo corretto di intendere la verità rivelata.7 Il primo obiettivo del filosofi analitici della teologia è pertanto quello di presentare un'argomentazione che renda plausibile il passaggio dalla rivelazione biblica alla formulazione dogmatica attraverso un'inferenza dalla miglior spiegazione.

Si tratta poi di argomentare la necessità e l'opportunità della presenza del dogma all'interno della religione. Geach propone la metafora dello scheletro, senza il quale il corpo umano sarebbe una gelatina informe, per spiegare la sua predilezione verso una religione dogmatica. Egli sostiene con decisione che una religione deve offrire dei dogmi con una pretesa di verità per poter essere presa in seria considerazione. La fede non è un'opzione che può essere scelta sulla base di criteri estetici, utilitaristici o di convenienza. Professare una fede comporta ritenerla vera. A maggior ragione un cristianesimo senza dogmi è una completa assurdità: lo stesso Cristo nei vangeli chiede l'assenso a delle verità dogmatiche, ad iniziare dal farsi riconoscere quale Figlio di Dio.8 Una confessione religiosa per Geach ricopre un ruolo conoscitivo e pertanto ha una responsabilità nei confronti della verità che deve essere salvaguardata da ogni tentativo di sincretismo e dal tentativo di rendere una fede incommensurabile rispetto alle altre.9

Sempre in questa fase preliminare si tratta infine di considerare, confrontare e valutare le diverse formulazioni dogmatiche circa la Trinità, contenute nelle formule anatematiche dei primi concili, nelle formulazioni del credo apostolico o di quello niceno-costantinopolitano o, ancora, nelle proposte teologico-liturgiche dei padri, con particolare riferimento alla professione di fede di Atanasio. Si tratta infatti di utilizzare strategie argomentative distinte nel caso in cui si sottolinei la consustanzialità di Padre, Figlio e Spirito o se, in alternativa, si preferisca affermare che il Dio cristiano consiste in tre Persone di un'unica essenza o essere.

Quale che sia l'esito di questo lavoro, si approda a una definizione della Trinità che appare, se non illogica, certamente ambigua. Per il proseguo dell'analisi è opportuno chiarire in che cosa esattamente consiste il problema. Esso risulta dall'apparente inconsistenza tra le seguenti tre proposizioni: (1) c'è uno e un solo Dio caratterizzato dall'essere assolutamente semplice; (2) Padre, Figlio e Spirito non sono identici e (3) Padre, Figlio e Spirito sono consustanziali.

Enucleato il nerbo della questione, si rende necessario proporre delle interpretazioni della formula dogmatica che rispondano a criteri di pertinenza, semplicità, coerenza e consistenza. Una prima strategia va sotto il nome di modalismo. Esso consiste nel riconoscere l'unità numerica di Dio e nel considerare le Persone modi di essere o di presentarsi di Dio. Il modalismo può così essere presentato in diverse versioni, a seconda che il modo di essere venga interpretato come una proprietà intrinseca, una relazione o uno stato di cose.

Una seconda strategia è il trinitarismo latino, così chiamata perché ricorrente presso i padri della Chiesa d'occidente di lingua latina.10 Esso parte dall'unità e dalla semplicità di Dio per mostrare come l'articolazione di tale unità sia trinitaria. Comune al trinitarismo latino è l'attenzione al termine homoousios e la negazione dell'esistenza numerica di tre esseri distinti ciascuno dei quali sarebbe divino. Tra i difensori analitici contemporanei di questo approccio troviamo Brian Leftow,11 il quale introduce il termine tecnico trope per indicare ciò che differenzia gli individui appartenenti ad una medesima natura. Un altro modo di presentare il trinitarismo latino è quello di mettere in discussione la nozione di identità. Che cosa significa dire che il Padre, così come il Figlio e lo Spirito sono identici a Dio? Rea12 ha distinto coloro che hanno tentato una risposta a questo interrogativo in teorici dell'identità relativa pura e teorici dell'identità relativa impura. I primi, tra cui Martinich e Cain,13 fanno capo a una tesi sostenuta da Geach14 secondo la quale la nozione di essere lo stesso non è una proprietà, ma una relazione ed inoltre ha un carattere intenzionale, cioè bisogna sempre chiedere sotto quale rispetto si intende parlare di identità tra due enti. Padre, Figlio e Spirito potrebbero così essere identici a Dio in quanto alla natura, ma essere diversi in quanto persone. Il principale sostenitore dell'identità relativa impura è van Inwagen.15 Egli riconosce che, se la logica corrente dell'identità fosse vera, allora la dottrina della Trinità sarebbe incoerente, ma propone una logica alternativa, detta dell'identità relativa. La discussione è altamente tecnica e non è il caso di riassumerla in questa sede. L'analogia che viene utilizzata per presentare questo tipo di logica è però controversa perché ricorre a enti materiali e, ad esempio, considerando una statua, ammette che essa sia identica alla porzione di marmo di cui è composta, ma che esse non siano la stessa cosa.

Una terza strategia è quella del trinitarismo sociale. Al contrario del trinitarismo latino, esso parte dall'essere trino di Dio, per mostrarne poi l'unità. Questo approccio è tipico dei teologi del Ventesimo secolo, convinti che sia un modo di presentare il dogma trinitario più fedele al dato biblico, nonostante i problemi che esso solleva a livello metafisico. Il trinitarismo sociale è stato declinato in quattro principali teorie, la prima delle quali è il monoteismo funzionale sviluppato da Swinburne.16 Egli afferma che ciascuna persona della Trinità è Dio perché possiede gli attributi divini. La sua tesi dipende dal concetto di sostanza che egli attribuisce alla Trinità in quanto relazione tra le tre persone e non alla Trinità in sé, come se la sostanza della Trinità potesse aggiungersi numericamente alla sostanza delle singole persone che la compongono. La Trinità sarebbe un tutto riducibile alle sue parti. La seconda teoria in cui si articola il trinitarismo sociale è quella del monoteismo della Trinità, sostenuta da Moreland e Craig.17 In questa teoria solo la Trinità possiede una natura divina, natura che include l'essere tripersonale. A rigore perciò nessuna della tre persone è propriamente divina, ma lo è nel senso che ciascuna è un centro di coscienza della medesima natura. L'esempio offerto è tratto dalla mitologia: il cane Cerbero è un unico cane, nonostante abbia tre teste, nessuna delle quali è propriamente Cerbero. Il terzo modo di presentare il trinitarismo sociale consiste nel monoteismo pericoretico di Davis18 che può essere concepito come una variante della proposta di Swinburne, dove le tre persone sono tre agenti intenzionali e coscienti, essenzialmente e ugualmente divini, ma che si relazionano tra di loro in modo non causale. Le relazioni tra le persone della Trinità avrebbero piuttosto una natura logica, come lasciano intendere le formule tradizionali di generazione e processione. La più recente forma del trinitarismo sociale è il cosiddetto monoteismo della mente raggruppata,19 secondo cui le tre persone sono un unico Dio perché la Trinità ha o è una mente divina composta dalle menti di ciascuna persona. La comparsa di questo approccio è piuttosto recente perché la sua declinazione filosofica che si avvale della riflessione sugli stati mentali è stata resa possibile dalla filosofia della mente sviluppatasi dopo Ryle e perché la sua declinazione a partire dalle neuroscienze è conseguenza degli studi su pazienti sottoposti a commisurectomia, cioè i cui emisferi del cervello sono stati divisi. In questi pazienti ciascun emisfero sembra funzionare come una mente a sé.

Il trinitarismo sociale ha come centro focale la nozione di relazione, per questo si può parlare anche di un trinitarismo della relazione.20

La mappa teoretica qui presentata non esaurisce però il lavoro dei filosofi della Trinità, il quale comprende un approfondito studio dei filosofi e dei teologi del passato. Ritengo opportuno soffermarmi su Tommaso d'Aquino, sia per la mole di studi che lo riguardano, sia per l'influenza che ricopre in ambito analitico,21 sia per la ripresa attualizzata di alcune sue tesi. Tra gli interpreti di Tommaso il più critico è Hughes secondo cui la semplicità divina e l'essere trinitario di Dio sarebbero contraddittorie.22 La mossa dell'Aquinate, secondo cui le persone della Trinità si distinguerebbero per via delle relazioni, ma non per via della loro essenza, non supera la verifica di Hughes condotta su basi logiche. Per il filosofo inglese il Dio del filosofo Tommaso, la cui semplicità è data dalla coincidenza tra essenza ed esistenza, non può coincidere con il Dio rivelato della sua fede cristiana, se non ammettendo una poco plausibile sopravvenienza soprannaturale.

Più attenta al contesto è la lettura di McCabe.23 Egli ricorda il nesso posto da Tommaso tra teologia naturale e teologia negativa: già nell'argomentare l'esistenza di Dio, l'Aquinate sarebbe consapevole di mostrare l'esistenza di un mistero poiché Dio, in quanto creatore, è oltre l'ordine dell'essere. Nel caso della Trinità lo scopo di Tommaso pertanto non è quello di dimostrare la Trinità, ma più sobriamente quello di mostrare come questa verità di fede non sia priva di senso, cioè non violi le regole della logica. Tra i principi elementari su cui Tommaso insiste e su cui ancora oggi è indispensabile tornare, vi è quello per cui tutto ciò che è in Dio è Dio, filosoficamente motivato dal fatto che Dio, essendo atto puro, è privo di potenzialità e di accidenti: tali affermazioni non dipendono dalla nostra conoscenza di Dio, possibile in pienezza solo nella visione beatifica, ma dall'uso corretto del termine «Dio». A partire da questo assunto è possibile parlare dell'attività di Dio al di fuori di sé, in quanto creatore, e dell'attività di Dio al Suo interno. L'amarsi, il conoscersi e il comprendersi di Dio diventano così una base plausibile per accettare il dogma trinitario. Va rilevata l'insistenza di Tommaso sulla categoria di relazione, che la metafisica e l'antropologia contemporanee fanno fatica a cogliere, prediligendo l'essenzializzazione e la razionalizzazione dei concetti. Un altro pensatore domenicano, Kerr, indica nella dottrina tomista dell'essere una porta di accesso alla comprensione della Trinità.24 La dinamicità della dottrina tomista dell'essere emerge con prepotenza quando Tommaso arriva a domandarsi se il termine Dio sia un nome o un verbo. Attingendo da alcune intuizioni filologiche di Giovanni Damasceno, il Dottore angelico afferma che Dio non indica tanto una sostanza, quanto un'attività. Il tetragramma sacro dell'Antico Testamento va in questa direzione, confermata e chiarita dai dinamismi trinitari di processione presentati in forma narrativa nel Nuovo Testamento: Dio è l'incessabile, sussistente e totale attualizzazione dell'essere.

3. Il rifiuto dell'assurdo e la salvaguardia del mistero

Ritengo la mappatura fornita al punto precedente sufficiente a rendere conto dello status quaestionis circa la filosofia analitica della Trinità e ad aver creato un certo disorientamento verso una pluralità di prospettive, che per alcuni potrebbe essere un giustificato motivo di disappunto. Occorre però tenere presente due fatti determinanti. Il mondo analitico procede sempre in questo modo e pertanto anche i dibattiti su teorie filosofiche ritenute assodate hanno esiti simili: che la discussione circa la Trinità non abbia un esito univoco non deve perciò stupire. In secondo luogo va tenuto presente il ruolo della filosofia della teologia. Essa non mira a fondare i dogmi, né a spiegarli in modo esauriente. Piuttosto cerca di favorirne la comprensione attraverso l'analisi concettuale e una certa forma di ermeneutica; si fa carico di renderli comprensibili e di esibirne la non incoerenza logica; si adopera per difenderli dalle obiezioni di chi li nega o li ridicolizza. L'epistemologia religiosa fornisce autonomamente i criteri per ritenere legittima la credenza nel dogma, pertanto la filosofia della teologia non si occupa del contenuto della credenza, ma della sua formulazione proposizionale. Quest'ultima disciplina, proprio perché esente dal compito di fornire un'argomentazione apodittica per una data verità di fede, può articolarsi in maniera complessa, disparata e, per così dire, creativa. La filosofia della Trinità non deve esaurire il mistero, ma preservarlo. L'insistenza sul mistero è centrale per la riflessione sull'impresa condotta dai filosofi analitici della teologia, tanto da diventare una meta-filosofia della Trinità così formulata: data la grandezza della verità rivelata e i limiti epistemici in cui l'uomo si trova almeno in questa vita, il contenuto del dogma trinitario non può essere comprensibile in maniera assoluta e ogni tentativo di esprimerlo a parole risulta non del tutto soddisfacente.25 Nello specifico che qui ci interessa, la discussione analitica della Trinità espressamente ha come obiettivo quello di evitare di cadere nell'idolatria. Ritengo questo scopo caratterizzante la filosofia analitica del dogma, rispetto ad altri scopi che la avvicinano all'apologetica.

Le sofisticazioni proprie della filosofia della Trinità, lungi dall'essere meri esercizi logici o sfoggio di erudizione, esibiscono umiltà epistemica e sobrietà argomentativa. La filosofia entra con discrezione nel discorso sulla fede e offre il suo indispensabile e necessario servizio, senza pretendere di sostituirsi al contenuto rivelato. La filosofia della Trinità non pone i dati su cui riflettere, ma li assume dopo averli spogliati dalle eventuali confusioni linguistiche da cui sono affetti.

L'attenzione al mistero si rifà alla tradizione della teologia negativa e apofatica e si configura in modo diverso a seconda di come si intende la nozione stessa di mistero. L'eccessiva attenzione al mistero porta alla sottolineatura dell'ineffabilità e dell'incomprensibilità di Dio, con la conseguente rinuncia ad ogni filosofia della teologia e con l'inevitabile rifugio in un fideismo consolatorio. La dottrina della Trinità sarebbe incomprensibile perché inevitabilmente povera di contenuto intelligibile agli uomini. Una diversa concezione del mistero conduce invece ad una via opposta: la dottrina della Trinità sarebbe incomprensibile per sovrabbondanza di contenuto. La formulazione dogmatica, in quanto desiderio di chiarezza e di sistematicità, sarebbe dunque sempre passibile di miglioramento e, comunque, andrebbe sempre accompagnata dall'attenzione verso il contesto biblico, l'azione religiosa, l'esperienza mistica e l'adorazione liturgica. In questa direzione vanno le indicazioni di Anderson che, sollecitato dall'epistemologia riformata di Plantinga, riconosce ai misteri della fede i caratteri di razionalità (ragionevolezza), garanzia e giustificazione, cioè lo statuto di conoscenza.26 Egli afferma che, da un punto di vista filosofico, i credenti possono legittimamente ritenere il mistero trinitario MACRUEs (merely apparent contradictions resulting from unarticulated equivocations), cioè formulato attraverso contraddizioni meramente apparenti che risultano da equivoci non espressi. Anche Alston27 mette in guardia dai filosofi della teologia che mirano ad una comprensione piena del dogma, mostrando che essi cadono inevitabilmente nell'eresia. Privare la Trinità di ogni mistero per renderla facilmente accessibile ai fedeli, impedisce di assumere l'atteggiamento di fede quale fondamento della speranza di vedere il Dio Trino faccia a faccia, di farne cioè esperienza. Questa Tesi del Mistero Divino supporta una forma di sano agnosticismo, nel senso che ricorda come la conoscenza umana sia sempre fallibile e diacronica. Alston, non di meno, ammette che il parlare di Dio tramite concetti è comunque lecito e, grazie al realismo epistemologico e ontologico moderato entro cui si muove, tale parlare si avvicina alla verità e guida al meglio i nostri pensieri e le nostre pratiche religiose. Wolterstorff corrobora questa posizione distinguendo i misteri epistemologici da quelli ontologici. I primi eludono le nostre capacità umane, le quali, nel caso della religione, si fermano alle soglie della conoscenza per familiarità. I misteri ontologici invece eludono la concettualizzazione tout court e ad essi si addice solo il silenzio della preghiera mistica e della contemplazione.28 Con una felice, quanto sintetica espressione di Micheletti, possiamo affermare che non c'è ragione di pensare che l'esclusione dell'assurdo implichi l'esclusione del mistero.29

L'appello al mistero assume un vero e proprio ruolo esplicativo quando si considera la metafora dell'amore, una tra le più utilizzate. L'amore umano è di per sé un mistero, eppure questo mistero ha delle sue esigenze particolari che possono essere riconosciute e discusse. A prescindere dal caso particolare dell'autocompiacimento, l'amore implica la condivisione, il donare a un'altra persona ciò che è bene per lei e il ricevere a propria volta ciò che è bene per sé; l'amore inoltre implica una cooperazione a vantaggio di una terza persona che renda concreta la relazione instaurata tra le prime due. Tale cooperazione può estendersi a più persone, ma senza differenze qualitative.30 Approfondire il mistero dell'amore permette dunque di rendere plausibile il mistero della Trinità e di comprendere perché l'Amore consiste nel relazionarsi di tre persone, non di più, non di meno. La rivelazione della natura di Dio eccede senza dubbio la ragione umana, ma la presenza del mistero già insita nelle dinamiche umane, rende tale rivelazione opportuna. Se Dio è perfezione d'amore, Dio è Trino.

4. Conclusioni e prospettive

Il contributo della filosofia analitica della religione alla discussione del dogma trinitario si configura su due livelli. Il primo è più estrinseco, ma proprio per questo fruibile in più tradizioni filosofiche. Esso consiste nell'insistere sulla necessità di ripensare il rapporto tra fede e ragione, evitando di separare nettamente le dottrine conosciute attraverso la ragione naturale da quelle rivelate e promuovendo un dialogo tra la filosofia e la teologia.31 Ciò, come abbiamo visto, comporta una nuova connessione tra realismo ontologico, realismo metafisico, realismo teologico, realismo epistemologico e teoria corrispondentista della verità.32 La questione del realismo, cioè la possibilità di dire qualcosa di vero su Dio, è tra le istanze più importanti sollevate in ambito analitico ed è quella che ha le più vaste ripercussioni perché consente e sollecita la fede verso una matura comprensione intellettuale di sé (faith seeking understanding). Il secondo livello, intrinseco, offre riflessioni utili direttamente finalizzate allo studio del dogma trinitario. Tra gli strumenti più rilevanti ricordo il lemma dell'indiscernibilità, la fattorizzazione e la logica dell'identità.33 Sempre a questo livello vanno richiamate le analisi concettuali dei termini impiegati. Vorrei insistere sul termine Dio che non è un nome proprio, bensì un nomen naturae che può anche essere usato come un predicato (divino): quando si afferma che il Padre è Dio si dice che cosa il Padre è, non chi è. La logica contemporanea rileva poi la differenza tra affermare che «esiste un unico Dio» e «Dio è Uno». Lo studio specifico del dogma, infine, ha condotto gli analitici a discutere nozioni specificamente filosofiche, quali l'identità, la sostanza, la natura, l'essenza, la relazione, la semplicità, la persona34 il che ha creato un fecondo circolo ermeneutico tra rivelazione e ragione, poiché lo sforzo di esplicitare il dogma rimanendo fedeli al dato di fede ha comportato un ripensamento e una riformulazione di tali nozioni: è il caso, ad esempio, della rinuncia a un concetto di semplicità troppo legato al neoplatonismo e alla proposta di un concetto di sostanza slegato all'essenzialismo nominalista e compatibile con una feconda dinamicità.35

La riflessione filosofica sulla Trinità consente, in quanto si appella alla dimensione antropologica e razionale, un fecondo dialogo interreligioso e, anzi lo promuove. Come abbiamo visto, il suo obiettivo non si esaurisce nella mera difesa del dogma, ma si concentra sulla ricerca inesauribile della sua formulazione migliore. Per questo si confronta con le diverse fonti religiose pre-cristiane o extra-monoteiste e, avvalendosi di studi di etnologia religiosa e di storia delle religioni, cerca somiglianze che consentano di evidenziare una dimensione antropologica e naturale che, a prescindere dalla rivelazione, solleciti a scoprire una dimensione trinitaria della realtà e del divino.36 Per tornare al dialogo interreligioso, è degno di nota il serrato dibattito con i mussulmani e gli ebrei, reso possibile proprio dal comune ricorso alla filosofia.37 La critica degli apologeti appartenenti alle altre religioni monoteiste provocano i filosofi della Trinità e li sollecitano a esporre sempre meglio le loro teorie, correggendole ed integrandole dove mostrano debolezze e criticità.

Le interessanti prospettive offerte dalla filosofia analitica della religione circa la Trinità non devono comunque far dimenticare alcuni punti deboli delle loro teorie, tra cui, anzitutto, un uso dell'analogia che non reputo del tutto soddisfacente. Anche quando analogie equilibrate vengono riprese dall'ambito famigliare e politico, tendono a essere sviluppate su di un piano linguistico e manca loro quello spessore ontologico e metafisico capace di renderle davvero efficaci. Un altro punto non sempre esplicito è in che cosa di fatto possa consistere uno sconfiggitore per la dottrina trinitaria: insistere sulla mera assenza di contraddizione logica non è infatti sufficiente poiché può essere coerente anche una teoria frutto di fantasia.

In fase conclusiva vorrei rimarcare alcune sollecitazioni presenti nell'impostazione analitica che meriterebbero maggiore attenzione.

Una feconda impostazione usata in altri settori della filosofia della teologia, ma, per quanto mi consta, non ancora nel caso della Trinità, potrebbe essere mutuata da Wittgenstein. A partire dalla sua concezione di filosofia della religione, di significato come uso, di gioco linguistico, di forma di vita e di teologia come grammatica, reputo fecondo considerare la Trinità come la dottrina che consente ai cristiani di parlare del loro Dio.38 Questa sollecitazione è colta da chi propone quale criterio valutativo della filosofia della Trinità l'appartenenza all'alveo della tradizione dell'ortodossia cristiana, da chi presenta la Trinità come la descrizione che i cristiani offrono di Dio prima che come una verità da analizzare logicamente, da chi valorizza l'esperienza religiosa quale plausibile fonte per la credenza nella Trinità39 e da chi insiste sullo studio della Trinità così come viene vissuta nella pratica, ad esempio nell'arte e nella preghiera.40

Una nozione che ritengo particolarmente feconda per lo studio della Trinità è quella di intenzionalità, così come declinata nel tomismo wittgensteiniano.41 Superata la concezione cartesiana della gnoseologia e concentrandosi sul processo intenzionale della conoscenza umana, è possibile porre un parallelo con l'intenzionalità divina e proporre fondamentali riflessioni sulla circumsessione trinitaria.42 Kerr afferma che la conoscenza umana è fruibile in ordine ad approfondire la natura divina, poiché la nostra mente è creata ad immagine della Sua, dunque è un contributo alla contemplazione del mistero trinitario.43

La speculazione filosofica sulla Trinità non si è limitata a riflettere sul questo dogma, ma lo sta utilizzando con profitto in chiave euristica per affrontare questioni epistemologiche, ontologiche e problemi pratici sul culto e l'ecclesiologia, ma anche temi puntuali quali il matrimonio, le relazioni tra generi, le esperienze religiose e la politica.

Le accese discussioni filosofiche sulla Trinità causate dalla mancanza di consenso su un'unica teoria non sono state l'ostacolo, bensì il volano per questa fioritura, destinata ad investire anche il mondo continentale vuoi per ragioni culturali, vuoi per la capacità di far interagire la filosofia con le scienze delle religioni e vuoi, soprattutto, per il suo valore intrinseco. Ritengo che la filosofia analitica della religione circa la Trinità vada oltre lo sforzo di inculturazione, cioè di rendere comprensibile questo dogma all'interno di una tra le correnti filosofiche contemporanee prevalenti, ma debba essere apprezzata per la sua capacità di contribuire alla teologia del nostro tempo. Un contributo tanto più originale, quanto più si lega alla tradizione e si configura come un mettersi al servizio.

Copyright © 2011 Marco Damonte

Marco Damonte. «Il dogma trinitario nella prospettiva della filosofia analitica della religione». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**50 B].

Note

  1. Cfr. Hughes C., Filosofia della religione, in D'Agostini F. -- Vassallo N. (a cura di), Storia della filosofia analitica, Einaudi, Torino 2002, p. 424. Testo

  2. Cfr. Kerr F., Linguaggio teologico, in Lacoste J.-Y., Dizionario critico di teologia, Borla-Città Nuova, Roma 2005 (ed. or. Dictionnarie critique de theologie, Presses Universitaires de France, Paris 1998), pp. 772-6. Testo

  3. Gli epistemologi riformati hanno promosso proprio questo aspetto; mi limito a rimandare a tre testi fondamentali: Plantinga A. -- Wolterstorff N. (eds.), Faith and Rationality. Reason and Belief in God, Notre Dame University Press, Notre Dame 1983; Audi R.-- Wainwright W. J. (eds.), Rationality, Religious Belief & Moral Commitment. New Essays in the Philosophy of Religion, Cornell University Press, Ithaca 1986 e Plantinga A., Warranted Christian Belief, Oxford University Press, Oxford 2000. Testo

  4. Cfr. Wolterstorff, Analytic Philosophy of Religion: Retrospect and Prospect, in Lehtonen T. - Koistinen T. (eds.), Perspectives in Contemporary Philosophy of Religion, Luther Agricola Society, Helsinki 2000, pp. 168-170 e Plantinga A., Christian Philosophy at the End of the 20th Century, in Sennett J. F. (ed.), The Analytic Theist. An Alvin Plantinga Reader, Eerdmans, Grand Rapids 1998. Testo

  5. Cfr. Crisp O.D. -- Rea M.C. (eds.), Analytic Theology. New Essays in the Philosophy of Theology, Oxford University Press, Oxford 2009 e Flint T.P. -- Rea M.C. (eds.), The Oxford Handbook of Philosophical Theology, Oxford University Press, Oxford 2009. Testo

  6. Crisp O.D., On analytic Theology, in Crisp -- Rea (eds.), Analytic Theology, cit., p. 51 trad. mia. Testo

  7. Cfr. Tuggy D., Trinity, in Zalta E.N. (ed.), The Stanford Encyclopedia of Philosophy, 2009 (url <http://plato.stanford.edu/archivies/fall2009/entries/trinity/>); Hebblethwaite B., Philosophical Theology and Christian Doctrine, Blackwell, Oxford 2005; Davis S.T. - Kendall D. -- O'Collins Gerald, The Trinity, Oxford University press, Oxford 2004; McCall T.H., Which Trinity? Whose Monotheism? Philosophical and Systematic Theologians on the Metaphysics of Trinitarian Theology, Eedermans 2010 e, più sintesi, Brown D., The Trinity, voce in Quinn P. L.-Taliaferro C. (eds.), A Companion to Philosophy of Religion, Blackwell, Oxford 1999, pp. 525-531 e Rea M.C., The Trinity, in Flint -- Rea, The Oxford Handbook of Philosophical Theology, cit., pp. 403-429. Testo

  8. Cfr. Geach P.T., Las Virtudes, EUNSA, Pamplona 1993 (ed. or. The Virtues, Cambridge University Press, Cambridge 1977), p. 73. Testo

  9. Cfr. Id., God and the Soul, Routledge, London 1969, pp. 100-116. Testo

  10. A questo approccio sono dedicati i primi otto saggi di McCall T. -- Rea M. (eds.), Philosophical & Theological Essays on the Trinity, Oxford University Press, Oxford 2009, pp. 19-168. Testo

  11. Cfr. Leftow B., Anti Social Trinitarianism, in Davis S.T. - Kendall D. and O'Collins G. (eds.),The Trinity : An Interdisciplinary Symposium on the Trinity, Oxford University Press, New York 1999, pp. 203--249; Id., A Latin Trinity, «Faith and Philosophy», 21 (2004), pp. 304--33 e Id., Modes without Modalism, in van Inwagen P. -- Zimmerman D. (eds.), Persons: Human and Divine, Oxford University Press, New York 2007, pp. 357--375. Testo

  12. Cfr. Rea M., Relative Identity and the Doctrine of the Trinity, «Philosophia Christi», 5 (2003), pp. 431--445. Testo

  13. Cfr. Martinich A. P., Identity and Trinity, «The Journal of Religion», 58 (1978), pp. 169--181; Id., God, Emperor and Relative Identity, «Franciscan Studies», 39 (1979), 180--191 e Cain J., The Doctrine of the Trinity and the Logic of Relative Identity, in «Religious Studies», 25 (1989), pp. 141--152. Testo

  14. Cfr. Geach P. T., Logic Matters, University of California Press, Berkeley 1972, pp. 238--247. Testo

  15. Cfr. van Inwagen P., And yet they are not Three Gods, but One God, in Morris T.V. (ed.), Philosophy and the Christian Faith, University of Notre Dame Press, Notre Dame 1988, pp. 241-278; Id. God, Knowledge, and Mystery, Cornell University Press, Ithaca 1995, pp. 222--259; Id., Not by Confusion of Substance, but by Unity of Person, in Padgett A.G. (ed.), Reason and the Christian Religion, Clarendon Press, Oxford 2002, pp. 201-226 e Id., Three Persons in One Being: On Attempts to Show That the Doctrine of the Trinity is Self-Contradictory, in Stewart M.Y. (ed.), The Trinity: East/West Dialogue, Kluwer, Boston 2003, pp. 83--97. Testo

  16. Cfr. Swinburne R., Could There Be More Than One God?, «Faith and Philosophy», 5 (1988), pp. 225--241 e Id., The Christian God, Oxford University Press, New York 1994. Testo

  17. Cfr. Craig W. L., Does the Problem of Material Constitution Illuminate the Doctrine of the Trinity?, «Faith and Philosophy», 22 (2005), pp. 77--86; Id., Trinity Monotheism Once More: A Response to Daniel Howard-Snyder, «Philosophia Christi», 8 (2006), pp. 101--113 e Moreland J.P. - Craig W.L., Philosophical Foundations for a Christian Worldview, InterVarsity Press, Downers Grove 2003. Testo

  18. Cfr. Davis S.T., A Somewhat Playful Proof of the Social Trinity in Five Easy Steps, «Philosophia Christi», 1 (1999), pp. 103--105; Id., Perichoretic Monotheism: A Defense of a Social Theory of the Trinity, in Stewart M.Y. (ed.),The Trinity: East/West Dialogue, Kluwer, Boston 2003, pp. 35--52 e Id., Christian Philosophical Theology, Oxford University Press, New York 2006. Testo

  19. Cfr. Williams C.J.F., Neither Confounding the Persons nor Dividing the Substance, in Padgett A.G. (ed.), Reason and the Christian Religion: Essays in Honour of Richard Swinburne, Oxford University Press, New York 1994, pp. 227--43. Testo

  20. Cfr. i sei saggi contenuti nella terza parte di McCall -- Rea, Philosophical & Theological Essays on the Trinity, cit., pp. 217-327. Testo

  21. Cfr. il numero monografico di «The Monist», 80 (1997); Shanley B.J., Tomismo analitico, «Divus Thomas», 102 (1999), pp. 79-91 (or. «The Tomist», 63 (1999), pp. 125-138); Sgreccia P., Il tomismo analitico, in www.filosofionline.com/?p=217; Paterson C.-Pugh M. S. (eds.), Analytical Thomism. Traditions in Dialogue, Ashgate, Aldershot 2006; Damonte, Wittgenstein, Tommaso e la cura dell'intenzionalità, MEF, Firenze 2009, pp. 58-76 e Micheletti M., Tomismo analitico, Morcelliana, Brescia 2007. Testo

  22. Cfr. Hughes C., On a Complex Theory of a Simple God : An Investigation in Aquinas' Philosophical Theology, Cornell University Press, Ithaca 1989. Una possibile linea argomentativa di risposta a Hughes si trova in Wainwright W.J., Monotheism, in Audi R. -- Wainwright W.J. (eds.), Rationality, Religious Belief & Moral Commitment, Cornell University Press, Ithaca 1986, pp. 292-3 e 309-311. Testi più esegetici sul pensiero tomista sono Hall D.C., The Trinity. An Analysis of St. Thomas Aquinas' Expositio of the De Trinitate of Boethius, Brill, Leiden 1992; Hill W.J., The Three-Personed God, The Catholic University of America Press, Washington 1983 e Cunningham F.L.B., The Indwelling of the Trinity. A Historico-Doctrinal Study of the Theory of St. Thomas Aquinas, The Priory Press, Dubaque 1955. Testo

  23. Cfr. McCabe H., Aquinas on the Trinity, in Oliver D. -- Denys T. (eds.), Silence and the Word. Negative Theology and Incarnation, Cambridge University Press, Cambridge 2002, pp. 76-93. Testo

  24. Cfr. Kerr F., After Aquinas. Versions of Thomism, Blackwell, Oxford 2002, pp. 187-206. Testo

  25. ) Cfr. Alston W.P., The Inductive Argument from Evil and the Human Cognitive Condition, «Philosophical Perspectives (Philosophy of Religion)», 5 (1991), pp. 29-67e Swinburne, The Christian God, cit., pp. 157-8. L'attenzione al mistero caratterizza anche altre tendenze filosofiche estranee alla filosofia analitica; valga per tutte questa citazione tratta da Ricci Sindoni P., Filosofia e preghiera mistica nel Novecento, EDB, Bologna 1997, p. 32: Il mistero, dunque, non vuole dire «verità in cui non c'è niente che si possa capire», ma al contrario verità in cui c'è sempre troppo da capire, troppo da comprendere con i soli strumenti del pensiero, essendo il luogo che è colmato da una «Presenza», che è «oltre» la sua possibile comprensibilità razionale, che è illuminato da una luce inafferrabile, capace di chiarificare i tratti del percorso, più che il suo oggetto. Testo

  26. Cfr. Anderson J., In Defence of Mystery: A Reply to Dale Tuggy, «Religious Studies», 41(2005), pp. 145--163 e Id., Paradox in Christian Theology: An Analysis of Its Presence, Character, and Epistemic Status, Paternoster Theological Monographs, Waynesboro 2007. Testo

  27. Cfr. Alston W.P., Two Cheers for Mystery, in Dole A. -- Chignell A. (eds.),God and the Ethics of Belief: New Essays in Philosophy of Religion,: Cambridge University Press, New York 2005, pp. 99--114. Testo

  28. Cfr. Wainwright W.J., Theology and Mistery, in Flint -- Rea, The Oxford Handbook of Philosophical Theology, cit., pp. 78-102. Testo

  29. Cfr. Micheletti M., La teologia razionale nella filosofia analitica, Carocci, Roma 2010, pp. 14 e 37. Testo

  30. Cfr. Swinburne, The Christian God, cit., pp. 177-180 e Davis, Christian Philosophical Theology, cit. Testo

  31. Cfr. Padgett A.G., The Trinity in Theology and Philosophy: Why Jerusalem Should Work with Athens e McCall T., Theologians, Philosophers, and the Doctrine of the Trinity, entrambi in McCall -- Rea, Philosophical & Theological Essays on the Trinity, cit., rispettivamente pp. 329-335 e 336-350 e Stump E., Francis and Dominic: Persons, Patterns, and Trinity, in Campodonico A. (a cura di), Verità nel tempo. Platonismo, Cristianesimo e contemporaneità. Studi in onore di Luca Obertello, il Melangolo, Genova 2004, pp. 75-102. Testo

  32. Cfr. Crisp, On analytic Theology, cit., pp. 46-9. Testo

  33. Cfr. Hughes C., Filosofia della religione. La prospettiva analitica, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 127-141. Testo

  34. Per quest'ultima cfr. Braine D., The Human Person, University of Notre Dame Press, Notre Dame 1992, pp. 480-545. Testo

  35. Cfr. Alston W.P., Substance and the Trinity, in Davis S. (ed.), The Trinity, Oxford University Press, Oxford 1999, pp. 179-201. Testo

  36. Cfr. Griffiths J.G., Triads and Trinity, University of Wales Press, Cardiff 1996. Questa istanza è colta anche dalla riflessione filosofica contemporanea non analitica, cfr. Hemerle K., Tesi di ontologia trinitaria, Città Nuova, Roma 1996 (ed. or. Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, Einsiedeln, Freiburg 1992). Testo

  37. Cfr. Wolfson H., The Philosophy of Kalam, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts 1976; Id., Saadia on the Trinity and Incarnation, in Twersky I. and Williams G.H. (eds.), Studies in the History of Philosophy and Religion, Vol. 2, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts 1977, pp. 393--414; Lasker D. J., Jewish Philosophical Polemics Against Christianity in the Middle Ages, Littman Library of Jewish Civilization, Portland, Oregon 2007 e Vanhoozer K.J., The Trinity in a Pluralistic Age, Eerdmans, Grand Rapids 1997. Testo

  38. Cfr. Lindbeck G.A., La natura della dottrina. Religione e teologia in un'epoca postliberale, Claudiana, Torino 2004 (ed. or. The nature of Doctrine. Religion and Theology in a Postliberal Age, Westminster John Knox Press, Louisville 1984). Tale proposta è considerata dalla Anscombe nel caso della transubstanziazione: cfr. Anscombe G.E.M., On Transubstantiation, in Geach M. -- Gormally L. (eds.), Faith in a Hard Ground. Essays on Religion, Philosophy and Ethics by G.E.M. Anscombe, Imprint Academic, Exeter 2008, pp. 84-97. Testo

  39. Cfr. Mackey J., The Christian Experience of God as Trinity, SCM, London 1983 e Sudduth M., The Contribution of Religious Experience to Dogmatic Theology, in Crisp -- Rea, Analytic Theology, cit., pp. 214-232. Testo

  40. Del Colle R., The Triune God, in Gunton C.E. (ed.), The Cambridge Companion to Christian Doctrine, Cambridge University Press, Cambridge 1997, pp. 137-8 (trad. mia). Cfr. Brown D., The Trinity in Art e Shuster M., Preaching the Trinity: A Preliminary Investigation, in McCall, Which Trinity? Whose Monotheism? cit., rispettivamente pp. 329-356 e 357-380. Testo

  41. Cfr. Damonte, Wittgenstein, Tommaso e la cura dell'intenzionalità, cit. Testo

  42. Tommaso d'Aquino, La Somma teologica, voll. III, Salani Firenze 1959-1966, I, 27, 1 ad 2, vol. III, p. 42. Testo

  43. Cfr. Kerr, After Aquinas. Versions of Thomism, cit., p. 33. Testo

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