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Trinità e riflessione filosofica nel pensiero russo contemporaneo

di Giovanna Costanzo (Roma, 26-28 maggio 2011)

Alla dialettica era subentrata la vita
ed egli doveva formarsi
una coscienza molto diversa

-- F. Dostoevskij

1.

La mia vita è giunta all'estremo provo disgusto per la mia esistenza è insipida e senza sale e significato [... .] Si ficca il dito per terra per sentire l'odore della terra in cui si è. Io ficco il dito dell'esistenza. Non sa di nulla. Dove sono? Cosa vuol dire mondo? che significa questa parola? Chi si è preso beffa di me in questa totalità e mi ha abbandonato? Chi sono? .1

È a partire dal deserto di un universo senza legami e dal vuoto di una esistenza che si spende nell'angoscia e della noia che Søren Kierkegaard si chiede che cosa significhi "mondo", quando questo non rimanda ad un comune orizzonte di senso, quando l'idea di 'totalità' non rimanda a nient'altro che ad una astrazione. Ed è in questa profondità abissale che scopre il senso esistenziale dell'aut-aut,2 della scelta che non cerca di risolvere le aporie e le antinomie dell'esistenza in nome di una ragione universalizzante, bensì le attraversa fino in fondo per tentare di dar conto di quel profondo legame fra l'umano e il Divino che sembra radicare e sdradicare al contempo l'esistenza. Il medesimo afflato interrogante del filosofo danese attraversa la cultura russa tra fine del Xix e l'inizio del XX secolo, che da sempre tentata di ripensare il vicino Occidente cristiano, in questi anni a cavallo tra due secoli esprime le sue energie più vitali e originali nella critica rivolta all'estremo specialismo del sapere scientifico e tecnologico che determinando la perdita di un centro unitario fra le diverse dimensioni del soggetto, ha favorito l'espandersi del nichilismo e di un soggetto ipertrofico sempre più incapace di relazionarsi con chi è altro da sé.

E non è un caso che in questa medesima temperie culturale anche che la riflessione filosofica e la meditazione spirituale sul mistero della Trinità ricevono nuova linfa. Se, in effetti, è vero che la riflessione sul dogma trinitario ha da sempre intrigato il pensiero ortodosso, e in particolare di quello russo, è pur vero che in quegli anni le modalità con cui si articola la vita intra-trinitaria interpellano con nuovo vigore il pensiero, proprio anche in vista di una sua ricaduta etico-politica.

Se ripensare alla Trinità significa da un lato riflettere sul mistero dell'Incarnazione, come si dà nel versetto di Giovanni, «se il chicco di grano che cade sulla terra non morrà, resterà solo; ma se morrà darà molti frutti» (Gv, 12, 24), ri-velazione di una fede che deve dolorosamente passare attraverso una teologia della croce come via di accesso al Padre, secondo quanto da Lui stesso rivelato: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv, 14, 6).

Dall'altro ripensare il dogma della Trinità significa evidenziare la risposta sempre personale di una libertà che nell'incontro con il misterium fidei non ricerca una contemplazione che lo allontani dal mondo, ma che diventi invece cifra dell'accadere del Divino dentro la vita. È del resto la struttura stessa che anima la liturgia e il culto ortodosso ad essere pensata in un triplice articolarsi, l'ascolto della Parola, del canto del coro, dell'innologia, che attua un graduale processo di deificazione,3 della presenza divina nel fedele, in un cammino ascetico e di perfezione verso la divino umanità, per cui ogni singolo elemento è colto come parte di quel Tutto che si dona nella bellezza dell'opera liturgica. Lontani da ogni forma di erudizione o speculazione astratta, il cuore della spiritualità ortodossa4 va ricercato in quella luminosa contemplazione e in quell'adorazione in cui la professione di fede passa «dall'umile preghiera fino all'approdo alla dossologia dell'amore divino e alla rivelazione della sua intrinseca bellezza (filocalia) ».5 Le fonti di questa prospettiva teologica, l'ortodossia le attinge direttamente dall'economia divina e da come è stata sperimentata, conosciuta, vissuta e celebrata nell'esperienza biblica e nella trazione viva delle Chiesa.

Ed in questo orizzonte permeato già dalla tensione ad un cammino ascetico e di congiunzione a Dio, che nasce l'esigenza di intercettare un nesso sempre più profondo fra filosofia, teosofia e fede, come possibile alternativa al crescente diffondersi di una cultura atea.

2.

La «svolta spirituale-religiosa» della filosofia è legata in particolar modo alla figura di Vladimir Sergeevic Solov'ëv, simbolo di quella reazione «anti-positivista» nata in Russia e volta a denunciare la profonda crisi del pensiero moderno. Se questo è il punto di partenza della sua speculazione, la chiave di volta per dare uno scossone e vivificare la metafisica e l'ontologia tradizionali diventa l'idea di unitotalità, principio assoluto di ogni esistenza. L'umanità, il mondo intero e l'universo partecipano ontologicamente -- per il fatto stesso di esistere al processo di graduale attuazione di un ideale assoluto- alla realizzazione di una unità ideale del tutto, ovvero all'instaurazione di un principio teandrico che alla fine dei tempi, abbraccerà tutto e tutti in un solo Organismo/Chiesa universale. Così per coerenza con quella che è la «verità di vita», nessuna delle sfere della vita umana dovrebbe sottrarsi a questo processo di crescita universale verso la piena Unità o Verità. E solo un 'nuovo pensiero', e non quello elaborato fino a quel momento, sarà in grado di corrispondere alla dinamica dell'unitotalità, o meglio solo un sapere teantropico o integrale, nato dalla fusione di teologia (dimensione mistica), di filosofia (dimensione speculativa) e di scienza (dimensione empirica) sarà in grado di dar conto di questo principio unificatore. Inoltre, l'ideale della unitotalità avrebbe dovuto informare non solo ogni aspetto spirituale dell'uomo, ma anche tutta la società, perché solo così l'umanità avrebbe potuto pervenire ad una nuova qualità dell'esistenza: la vita integrale teantropica.

In questo tentativo di ripensare l'unità del sapere rientrano anche le sue riflessione sul dogma della Trinità, che si svolgono in consonanza con la verità professata dalla Chiesa ortodossa, cercando di sviscerare i contenuti delle enunciazioni dogmatiche conciliari. In un suo celebre passo analizza la categoria di ipostasi, tipica dell'Oriente cristiano, riferita alle tre Persone divine:

Nella vera realtà ciascuno dei tre soggetti possiede il contenuto divino, ossia la pienezza della Divinità e quindi è Dio; ma siccome possiede questa pienezza non esclusivamente per sé ma solo in unità assoluta indivisibile interiore e essenziale con altri due, non vengono affermati tre Dei, ma un solo Dio che si realizza in tre soggetti indivisibili e consustanziali.6

Quello di V. S. Solov'ëv non un tentativo di spiegare la Trinità, ma di porla come origine e norma della attività speculativa stessa poiché è «necessaria all'intelligenza come norma assoluta»7 per comprendere come la conoscenza di Dio sia conoscenza dell'unitotalità assoluta. La verità, infatti, non può essere oggetto di astratta contemplazione, bensì deve emergere come realtà viva e vitale. Il dogma viene dunque approfondito quale verità speculativa in ordine all'idea di unità della Chiesa e del mondo, anzi diventa modello e punto di riferimento, attraverso cui la persona è chiamata a relazionarsi e a interagire nella società, quasi come un prolungamento della 'consistenza trinitaria'. Per questo Solove'ëv ripete continuamente l'attributo sociale tutte le volte in cui fa riferimento alle manifestazioni storiche e concrete del dogma trinitario.

Cuore del suo pensiero della Trinità è la cristologia della doppia kenosi, secondo cui la realizzazione dell'Uomo-Dio Cristo viene fondata in una reciproca azione sacrificale, sia di Dio verso l'uomo, sia dell'uomo verso Dio, «azione in cui sta il perfetto amore e perciò la perfetta libertà dell'uomo».8

In questa intuizione si gioca non solo la possibilità che kenosi spieghi la compresenza di tre persone, ma anche la possibilità che la modalità agapica, che spiega la dinamica dei rapporti trinitari, funga da modello per la realizzazione di un modello sociale intessuto non solo su meri rapporti funzionali, ma vivificato da questa idea di unitotalità, di un unico organismo vivo e in cui la trama dei rapporti interpersonali viene contrassegnata dalla dinamica del dono e della circolarità agapica.

Il percorso filosofico tracciato da Solov'ëv ha segnato un'epoca ed in particolare presso la generazione successiva dei filosofi russi i quali, aprendosi alla filosofia antica di Platone, Filone, Plotino, all'idealismo di Hegel e di Schelling, alla mistica tedesca di Mister Eckart, di Böhme, avevano posto al centro del loro interesse filosofico le questioni gnoseologiche, partendo dalla convinzione che il progetto di rinnovamento del pensiero dovesse cominciare dalla gnoseologia ripensata in chiave nuova.

3.

Tra i pensatori più importanti nello sviluppo del pensiero successivo vi è sicuramente Pavel Aleksandrovic Florenskij, considerato uno dei maggiori pensatori del XX secolo e anche per la sua vocazione davvero poliedrica: è stato, infatti, filosofo della scienza, fisico, matematico, ingegnere elettrotecnico, epistemologico, ma anche filosofo della religione e teologo, teorico dell'arte e di filosofia del linguaggio, studioso di estetica, di simbologia e di semiotica. Proprio a partire da questa vocazione al sapere tout court, questa straordinaria figura «può essere considerata il pioniere di un nuovo orientamento del pensiero che rinsalda un fecondo e creativo rapporto tra filosofia e teologia, attingendo non soltanto alla ricca tradizione spirituale ortodossa, ma anche da profondi rivolgimenti in atto nel pensiero scientifico».9

È, infatti, l'incontro con Bugaev, uno tra i più grandi matematici moscoviti della fine del Xix, e con i suoi lavori sulla discontinuità in cui rompe con l'idea della continuità e della staticità dell'universo, e poi il successivo incontro con Cantor, un altro illustre matematico di Halle, e con la sua teoria dei numeri transfiniti e dell'infinito attuale, secondo cui l'infinito diventa tangibile e concreto nel mondo creato, a suggerirgli una spinta teoretica volta a ritessere i legami tra ragione logico- scientifica e razionalità, tra ragione e fede, tra esperienza e rivelazione da cui nasce un diverso atteggiamento nei confronti della esperienza religiosa all'interno di una più complessa e globale visione del mondo.

È lo stesso Florenskij a rivelare il senso della sua ricerca in una lettera scritta con rara intensità al figlio, poco prima della morte per fucilazione, dentro quel lager dove era stato gettato dalla spietata macchina del totalitarismo stalinista:

Volevo scriverti dei miei lavori o più precisamente del loro senso, della loro sostanza interiore, affinché tu potessi continuare a portare avanti quel pensiero che a me la sorte non permette più di formulare e di portare alla fine, fine che sarà raggiunta solo quando questo pensiero sarà intellegibile per altri. Che cosa ho fatto tutta la vita? Ho contemplato il mondo come un insieme e una realtà compatta, ma ad ogni tappa della mia vita da un determinato punto di vista [...] le sue angolature mutavano l'una arricchendo l'altra; è qui (nella mutazione degli angoli di visuale) la ragione della continua dialettica del pensiero assieme al costante orientamento di guardare il mondo come un unico insieme.10

Questa approccio volto alla ricerca dell'unità, determinato sin nei suoi primi lavori scientifici dalla consapevolezza che esiste un unico mistero che attraversa il mondo, sin dentro le più umili realtà, diventa esigenza spirituale ed esistenziale di convergere tutte le sue energie per la ricerca di quell'unica Verità, che è origine e senso della vita. La ricerca di una verità non come adeaquatio, come formale corrispondenza fra fenomeno e parola, bensì come adesione profonda alle «nervature concrete del reale, al senso più profondo della vita e della storia, fino alla sua reale percezione di una reale corrispondenza fra la verità e la vita».11 Ogni volta in cui Florenskij usa la parola "verità" si riferisce alla parola russa Ístina, forma sostantivata del verbo essere (est': ístina-estina), derivante dalla radice es e dal sanscrito as, che anticamente significava «respirare», che fa immediatamente pensare ad una verità vivente: « possiamo dire che ístina è l'esistenza perdurante, l'essere vivente, vivo, respirante»12

Si enuclea così quell'orizzonte della 'metafisica concreta', nella quale «tutto è significato incarnato e visibilità intellegibile»13 e in cui il filosofo ripensa, sulla scia di Platone, il rapporto fra uno e molteplice, come una questione centrale non solo per la gnoseologica, ma anche dell'antropologia. Se la struttura fondamentale della conoscenza deve essere quella dell'hén kaì polla, rivelativa della struttura /dinamica ontologica di tutto il reale, questo evidenzia due istanze solo in apparenza contraddittorie. Da un lato il riconoscimento della natura dialettica del pensiero, della natura bi-nomica, bi-centrica, bi-assiale della ragione, in cui si gioca la compresenza di differenze e di antinomie che lacerano ogni realtà vivente, perché se è vero che la ragione da un lato funge da principio unificatore del reale, fissando e definendo concetti mediante l'uso del principio di identità e di non contraddizione, dall'altro questi sono continuamente messi in discussione dalla dinamicità dell'esistenza e da quella Verità «integra ed eterna nei secoli, una e Divina, della Verità luminosa e sovra luminosa, di quella Verità-Giustizia (Pravda) che secondo un antico poeta è luce del mondo».14 Dall'altro il bisogno insopprimibile dell'unità d'insieme, di una Weltanschauung integrale, tensione che si risolve solo alla fine di un lungo e faticoso cammino ascetico che attraversa le opposizioni, ma senza avere la pretesa di dissolverli completamente. Una elaborazione di un sapere integrale a cui si perviene attraverso la feroce critica nei confronti della ragione astratta e disincarnata, come quella che da Cartesio in poi ha segnato il pensiero occidentale, ad una ragione che nel suo assoluto specialismo aveva contribuito a non cogliere più l'uomo come al centro di universo unitario.

È auspicabile invece una ragione relazionale capace di sforzarsi a connettere il pensiero con la vita, la ragione con la fede. Non è un caso che in questo periodo sente l'esigenza di approfondire la riflessione sulla Trinità.

la dottrina della SS. Trinità -- scrive infatti- non attrae la mia mente solo perché è il centro supremo delle sante verità comunicateci per mezzo della Rivelazione, ma anche e soprattutto perché, occupandomi sono giunto ala convinzione che l'orientamento della filosofia dipende, sin dal suo principio, dal concetto che noi abbiamo della SS Trinità.15

4.

Al problema della Trinità Florenskji dedica la monumentale opera La colonna e il fondamento della Verità16 il cui punto di partenza filosofico, suggerito dalla lettera a Timoteo (1, Tim 3, 15) è ancora il rapporto dell'uomo con la realtà antinomica del reale e che tenta di trovare un "approdo" risolutivo nel riconoscere e nell'accogliere la Trinità. Il percorso tracciato si muove nell'alveo della tradizione patristica, che per lungo tempo si è interrogata sulla natura di questo legame divino.

La fede ecclesiale ha definito la realtà intima della Trinità con il termine di homoousía, termine rivolto alle tre Persone che con/determinano e con/dividono la medesima e unica ousía, la medesima e unica sostanza. E non solo. Con questo termine i Padri della Chiesa hanno voluto evidenziare la lontananza con il termine 'somiglianza', che rimanderebbe più alle cose che non alle persone, o perlomeno, quando anche si riferisse a delle persone, ne indicherebbe solo le mere caratteristiche fisiche. Invece il nucleo più intimo e proprio che costituisce le persone non rimanda mai ad una loro somiglianza, bensì ad una loro identità o non identità. E se questo è vero se ci si riferisce alle persone, ancor di più lo sarà, se ci si riferisce alle Persone della Trinità.

Ritenere che le Persone divine sono l'uno simile all'altra, significherebbe parlare di una somiglianza puramente esteriore, invece parlare di homoousía evidenzia la sostanziale unità delle Persone, ma anche la loro distinzione. La Trinità viene preservata così dal modalismo, secondo cui le tre Persone non sono che meri atteggiamenti diversi del solo Dio, né hanno tra loro una somiglianza generica, che condurrebbe ad un mero subordinazionismo. Il termine homoousía esprime l'unità concreta e non solo nominale del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ma al contempo rivela che ognuna delle tre ipostasi è inseparabile dalle altre, esse non si fondono, ma rimangono 'se stesse', realmente distinte tra di loro. Così l'uno si riconosce come molteplice, così l'unità e la distinzione si avverano e si implicano simultaneamente, secondo quanto già espresso da Gregorio di Nissa.

Per meglio far propria questa realtà teologica Florenskij introduce la categoria filosofica/ matematica di identità numerica17 -contrapposta ad identità generica-, come equivalente di homoousía, per confermare che le tre ipostasi possono essere identiche per quanto concerne la sostanza, ma diverse per quanto concerne la loro identità. Solo all'interno di questa sapiente distinzione la Trinità non è mai riconducibile né ad un indistinto oggetto né a un momento intellettualistico o psicologico, ma ad una realtà ontologica viva in cui unità e molteplicità si danno insieme senza alcuna contraddizione.

Si tratta, dunque di un principio nuovo della ragione, «infinitivamente unico per importanza filosofica e dogmatica» in cui l'identità numerica risulta indefinibile e irrappresentabile solo mediante il richiamo ad un astratto concetto, ma solo con una realtà simbolica. Il simbolo -- il simbolo della fede che non è altro che «lo sviluppo della formula battesimale "in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»18- richiama l'homoousía, come l'unica espressione adeguata per esprimere le relazioni intra-trinitarie, per pensare insieme l'hen e il kai polla (le tre Persone) del Dio Uno e Trino, realtà tra loro non più inconciliabili dal momento che è in Dio stesso che si danno, nella stessa realtà-vita di Dio Uno e Trino.

Ma è proprio di fronte a questa realtà apparentemente risolutiva dell'antinomia tra l'uno e il molteplice che la ragione trova un ostacolo e un muro apparentemente invalicabile, nell'affermare una logica altra rispetto a quella basata sul principio di non contraddizione, di identità e del terzo escluso. La ragione raziocinate allora dovrebbe negare se stessa per affermare la realtà antinomica della Trinità, perché nella formulazione dogmatica il raziocinio si vede annullare i principi fondamentali della propria logica.

La Trinità se è fondamento della fede ortodossa, diventa invece scandalo per il pensiero. Confessando una realtà che la ragione raziocinate non riconosce, il rischio è l'abisso del dubbio in cui rischia di annegare o la fede o la ragione. Lasciato a sé l'uomo non giunge ad una soluzione né giunge al dogma: dato che il raziocinio si muove tra il principio di identità e di non contraddizione davanti a questo dogma o si nega insterilendosi dietro esercizi logici e tautologici o si perverte in atto demoniaco pretendendo di essere l'unico intelletto assoluto. Il razionalismo eretto ad assoluto è in tal senso 'evento demoniaco', quando assolutizza se stesso correndo il rischio o dell'auto-idolatria o dell'autodistruzione nella depravazione e nella doppiezza del peccato.19

Questo sarebbe il percorso a cui è destinata la ragione se non ci fosse un salto, un salto come quello pensato dallo stesso Kierkegaard,20 un salto nell'atto di fede nella Trinità e nel suo costitutivo mistero. In questo slancio, in questa apertura alla realtà della homoousía trinitaria la ragione rinuncia ad ogni pretesa conoscitiva e ammette una verità per sola fede.

Il dato trinitario che il raziocinio non può ammettere, diventa il dato che la fede non può smarrire e perdere, come a dire che nel mistero trinitario è in gioco non solo la verità di fede, ma la verità della propria esistenza, chiamata a dar conto della paradossalità di un Dio che si è fatto uomo ed è morto in croce. E questo è l'atto di fede del credente, ma anche la fedeltà ad un amore che va continuamente testimoniato fino alla fine, fino all'annientamento della propria carne nel freddo e gelido del gulag, come quando in questo inferno il Nostro scrive: « la verità è vita- mi dicevo molte volte- Senza la verità non si può vivere. Senza la verità non c'è l'esistenza umana» .21

Ma quale verità? Non la verità della logica euclidea con cui si arrovella il protagonista di Delitto e Castigo, o la logica cartesiana, ma la verità che va testimoniata in nome di un debito di riconoscenza e di riconoscimento nei confronti di un amore donato, per il quale val la pena perdere se stessi: «la rinuncia a se stessi è l'unica cosa che ci avvicini alla somiglianza a Dio» .22 Davanti alla suprema antinomia espressa dalla homoousia trinitaria l'uomo è chiamato a «osare a pensare l'impossibile»,23 a fare un atto di fede, che resta per il raziocinio l'unico atto ragionevole, in nome di un legame che lo precede e lo costituisce e a cui appartiene un'altra logica, una logica diremmo esistenziale. È questo il momento, dice Florenskij, in cui più che l'esigenza di convincere, prevale l'esigenza di narrare a partire dalla propria esperienza, in cui ogni argomento « è dotato di forza solo quando è persuasivo [...] quando il principio generale si incarna in un'unica percezione della realtà intrisa di tutto l'essere» .24

«Solo così l'uomo si ritrova al di là del principio di contraddizione accanto a Dio»,25 ad un Dio che non è l'uomo, ma non è neanche il Dio solitario, perché è un Dio che già nell'opera della creazione si è fatto accanto all'uomo, creandolo e volendolo come un essere autonomo, libero e capace di amare e di corrispondere al suo amore.

L'atto di fede non de-potenzia l'uomo, ma lo potenzia aprendolo alla logica del dono e dell'amore gratuito, che non provoca una diminutio della sua capacità raziocinate, ma un suo completamento, una sua apertura sulla Verità paradossale della Trinità. La trinitarietà diventa allora il modo specifico e caratteristico in cui si dà Dio, un Dio non monadico, ma un essere capace di uscire da sé, attraverso il movimento kenotico, capace di svuotarsi, di abbassarsi per fare spazio ad Altri e in cui il rigido principio di identità di A=A viene spezzato dalla compresenza di sé ed altro da sé.

Solo così è possibile l'incontro fra un Io e un Tu, un Tu che si pone e si vuole come un Non-Io, come un altro dall'io, permettendo così al primo Io di continuare ad essere Io: la gloria della relazione duale viene potenziata dall'apertura al Terzo, il quale distruggendo ancora una volta il principio della propria autodeterminazione, gode della bellezza della diade, alla quale si concede permettendo il passaggio alla triade.

E come si esprime questa realtà relazionale del Dio uno e trino? Nella circolarità agapica che diventa il motore interno del duplice o meglio triplice contenuto kenotico: «L'amore non è una caratteristica di Dio; Dio è essere assoluto perché atto sostanziale di Amore»26 .

La kenosi è un atto di amore come è sapientemente rappresentato nell'icona sulla Trinità di Rublëv, dipinto che ha influenzato la percezione che della Trinità ha il mondo ortodosso e anche lo stesso Pavel, che per alcuni anni ha abitato nel villaggio di San Sergio dove sorge il monastero della Santa Trinità in cui vi è il celebre dipinto. Il mondo pone il calice sul tavolo del sacrificio, che viene poi trasferito prima sulla tavola dell'altare e infine sull'altare invisibile della Santa Trinità, presso il quale i tre angeli pellegrini sono accolti come amici nella mensa di Abramo. Le tre persone dell'unico Dio che si fa pellegrino nella sua stessa creazione, sono il modello della relazionalità agapica, dell'amore perfetto che si nutre di unità ma anche di distinzione.

Nel momento in cui la Trinità diventa il principio costitutivo di ogni altra verità- sia religiosa che scientifica, sia teologica che filosofica- è possibile fondare un 'nuovo pensiero', un pensiero in cui coesistono al contempo finitezza e infinitezza, staticità e dinamicità. In altre parole è la homoousía che consente di pensare come reale l'unità e allo stesso tempo come diversità la «relazione delle tre Persone divine» e in cui lo svuotamento reciproco consente l'affermazione e la reciproca glorificazione. Questo significa che la metafisica deve essere prima di tutto ripensata nella chiave di un'ontologia trinitaria, perché questa è il principio fondamentale, l'idea di essere. Non si tratta, dunque, di un principio astratto bensì concreto, realmente presente in tutto ciò che esiste.

La filosofia in tal senso si apre ad una concezione del mondo animata dall'idea dell'unisostanzialità trinitaria, una concezione che non solo mette in luce «l'unità organica del creato», ma riconosce la sua origine nella «Trinità unisostanziale », in quanto tutto ciò che esiste vibra dello stesso ritmo della vita intratrinitaria.

Si comprende bene quali i risvolti etici e quali le ricadute per un pensiero che si interroga sul darsi delle relazioni interpersonali, nel momento in cui queste devono ritmarsi secondo il movimento kenotico trinitario, in cui l'apertura avviene nello svuotamento di sé, e dunque anche delle proprie precompresioni, dei propri pregiudizi, della propria tensione 'egologica', per fare spazio alle esigenze e alle priorità di chi ci viene incontro, ma non alla ricerca di una facile fusione panica, né nella violenta soppressione dell'altro, bensì nella tensione verso un incontro, che se modulato secondo l'ethos dell'amore trinitario, diventa reciproco arricchimento a partire dalle proprie differenze. Tematiche che diverranno cruciali all'interno del successivo sviluppo del pensiero del Novecento.

Copyright © 2011 Giovanna Costanzo

Giovanna Costanzo. «Trinità e riflessione filosofica nel pensiero russo contemporaneo». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**34 B].

Note

  1. S. Kierkegaard, La ripresa, in Opere, Sansoni, Firenze 1972, p. 62. Testo

  2. S. Kierkegaard, Aut-aut, Mondadori, Milano 2002. Testo

  3. P. A. Florenskij, Bellezza e Liturgia, Oscar Mondadori, Milano 2010. Testo

  4. Cfr. S. Bolshakoff, Incontro con la spiritualità ortodossa, SEI, Torino 1990 Testo

  5. N.Valentini, Introduzione in P. A. Florenskij, Bellezza e Liturgia, cit., p. Xiii. Testo

  6. V.S. Solov'ëv, Lezioni sulla divino umanità ed altri scritti, Jaka Book, Milano 1990, p. 131. Cfr. T. Spidlik, I grandi mistici russi, Città Nuova, Roma 1984; N. Bosco, Vladimir Solov'ev. ripensare il cristianesimo, Rosember &Sellier, Torino1999; N. Bosco, Vladimir Solov'ev. Cristianesimo e modernità, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2005; F. Muscato, V.S. Solov'ëv: unitotalità sofianica e Trinità in AA.VV. La Trinità e il pensare. Figure percorsi prospettive, a cura di P. Coda- A. Tapken, Città Nuova Roma 1997, pp. 163-191. Testo

  7. H.U. Von Balthasar, Gloria. Una estetica teologica Stili laicali, Jaka Book, Milano vol.3, p. 274. Testo

  8. Ivi, p. 298. Testo

  9. N. Valentini, Forme della ragione: dialettica, antinomia e nuovi modelli di razionalità, "Humanitas", n. 4, 2003, p. 574. Testo

  10. Cit.da M Hagmeister, Pavel Florenskij i ego rabota «Mnimosti v geometri», in "Nacala", 4 (1993), pp. 152-153; La nota è riportata in L. Zák, P. Florenskij: progetto e testimonianza di una gnoseologia trinitaria in AA.VV. La Trinità e il pensare. Figure percorsi prospettive, a cura di P. Coda- A. Tapken, cit., p. 227. Testo

  11. N. Valentini, Pavel A. Florenskij, Morcelliana, Brescia 2004, p. 11. Testo

  12. P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2010, p. 27. Testo

  13. P. Florenskij, Le porte regali. Saggio sulla icona, a cura di E.Zolla, Adelphi, Milano 1977, p. 174. Testo

  14. P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, cit., p. 19. Testo

  15. Ivi, pp.161-162. Testo

  16. Cfr. M.G. Valenziano, Florenskij la luce della verità, Ed. Studium, Roma 1986; N. Valentini, Pavel A. Florenskij: la sapienza dell'amore. Teologia della bellezza e linguaggio della verità, EDB, Bologna 1997; N. Valentini, L'arte di vivere. Sei lezioni su P. A. Florenskij, Ed. Santa Brigida, Firenze 2009; L. Zák, Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P. A. Florenskij, Città Nuova, Roma 1998; L. Zák, Pavel A. Florenskij, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2002. Testo

  17. P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, cit., p. 89 Testo

  18. Ivi, p.65 Testo

  19. Ivi, pp.184-218. Testo

  20. Cfr. S. Kierkegaard, Timore e tremore, Bur, Milano 1998. Testo

  21. P. Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Oscar Mondadori, Milano 2000, p. 387. Testo

  22. P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, cit., p. 211. Testo

  23. Ivi, p. 98. Testo

  24. P. Florenskij, Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, a cura di N. Valentini E L. Zák, Piemme, Casale Monferrato 1999, pp. 155-156. Testo

  25. G. Mazzanti, La trinità e l'ontologia dell'amore comunionale/ecclesiale, "Humanitas", n. 4, 2003, p. 698. Testo

  26. P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, cit., p. 112. Testo

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