Salta il menù

«¡Oh noche amable más que el alborada!»
Un tentativo filosofico di approccio alla mistica unitiva di Giovanni della Croce

di Giovanni Cogliandro (20-21 marzo 2009)

1. Il corpo e il tempio

Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa -- se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio -- fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest'uomo -- se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio -- fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare.

Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò fuorché delle mie debolezze. (2Cor 12, 2-6)

La mistica non è solo l'esperienza umana di qualcosa, ma in primo luogo è una relazione d'amore. Questa descrizione implica un rapporto tra due persone, due nature di dignità diversissima, Dio e l'uomo, che proprio nella estrema diversità si incontrano. L'esperienza mistica ha sempre per oggetto Dio: mistico significa anche misterioso; e mistero è soltanto Dio e ciò che gli appartiene. Quindi nell'esperienza mistica è Dio che si comunica all'anima, facendole gustare nell'amore le sue perfezioni.1

Le vicende filosofiche connesse allo svilupparsi paradossale della comprensione della relazione persona-comunità hanno un fuoco nella problematica della corporeità. Che cos'è il corpo? Michel de Certeau sostiene e documenta che tale interrogativo tormenta il pensiero e la mistica in maniera particolare nel XVII secolo. Lo studioso gesuita, prendendo in esame la scrittura dei mistici, tenta di descrivere una «cartografia», tutta interiore, per scandagliare nel segreto dell'anima una presenza divina, divenuta inaccessibile ad ogni indagine razionale. Gli interpreti di questa nuova scienza, la scienza dei santi,2 rincorrono un amante, assente e desiderato, per le strade di una società che essi ripercorrono con disinvoltura, ricreando in modo originale gli spazi e le regole da essa imposte. Centrale è la questione del corpo, e precisamente il ruolo del corpo nella questione fondamentale della ricerca di Dio.3 Nel corso di quel secolo la domanda riceve due risposte, che si sviluppano sino a diventare antitetiche. Seguendo la prima linea (maggioritaria) la risposta è che il corpo deve essere guidato, corretto, disciplinato per divenire capace della ricerca di Dio. È la linea che muove dagli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola: il corpo e la sensualità, i cinque sensi della tradizione, vanno addestrati, disciplinati (e «disciplina» è anche lo staffile per l'autoflagellazione) per diventare collaboratori dell'anima che aspira a rivestirsi di Dio.

Ma una seconda linea nega questa pedagogia, a favore della tesi che il corpo è ciò che deve essere dimenticato, perduto, abbandonato a se stesso, come indifferente (in senso cognitivo e in senso etico) all'incontro con Dio. Questa linea ha un suo teorico e poeta in Giovanni della Croce, (1542-1591), carmelitano, dottore della Chiesa, cantore della Notte oscura dell'anima; ha anche un teorico che si spinse troppo in là con le sue determinazioni, cioè Miguel de Molinos, autore della Guida spirituale (1675) e punto di riferimento dei quietisti. Ma in questa linea ancor di più deve essere studiato Fenelon nelle sue diatribe con l'ortodossia di Bossuet, disputando di quel puro amore che plasma le relazioni interumane come vera e inarrivabile imago Dei. Il puro amore è il tentativo di sovracristianizzare la sapienza divina, un tentativo che va di pari passo con la sua ipostatizzazione al di fuori di Cristo, tentativo che si ripete in varie figure dell'esoterismo occidentale e in un pensatore russo di fondamentale importanza come Solov'ev, che parte proprio da tre esperienze di incontro con la divina Sofia (in Inghilterra, Egitto e Russia) per iniziare a descrivere appunto la sua teosofia.

Corbin fa notare come nella Bibbia, in particolare nell'Ecclesiastico, la Sapienza di Dio, la Sophia, sostiene di procedere dalla bocca stessa di Dio e di dimorare ora nell'anima dell'uomo.4 Ma la Sophia è identificata con la Torah. Il dimorare della Sophia presso il Tempio, cioè presso l'anima-Eva, significa la presenza della Torah stessa, cioè della Scrittura, nell'anima. Anche oggi il pensiero di Levinas, la considerazione dell'anteriorità dell'etica, non deve dimenticare le forme della tradizione giudaico-cristiana, e le finezze e nouances che sfuggono spesso all'interprete non attrezzato. Questa è la difficile libertà della fede ebraica -- sostiene Levinas -- il credere in Dio anche nel silenzio di Dio: secondo la tradizione rabbinica amare la Torah più di Dio significa credere in Dio e chi non ama la Torah più di Dio non crede in Dio. Questa frase è straordinaria perché chi non fa questo crea un dio a sua immagine e somiglianza. Dio di contro non è la risposta alle nostre domande; Dio è innanzitutto la sovversione delle nostre domande. Se si ritorna al Dio biblico e in particolare al Dio del Vangelo, si comprende che non corrisponde alle domande, ma le divora come il fuoco.

Ci permettiamo di suggerire qualche pista che ci sembra meritevole di approfondimento ulteriore, come ad esempio la manifestazione della sapienza sul trono di Dio.5 In senso opposto alla gloria del trono è l'approccio dei rahamim, delle viscere di Dio,6 equivalente maschile del seno materno, un Dio che si commuove per gli uomini e soffre come un Padre amorevole:

Nella sua opera Le Conquiste spirituali della Mecca, Ibn Arabi così concepisce il mistero connesso allo spazio sacralizzato: «il Tempio che mi contiene è il tuo cuore». Nel cuore dialogano Amante e Amato, nel cuore è la preghiera di Dio, atto culminante dell'Immaginazione creatrice, non atto unilaterale del fedele ma intimo colloquio tra questi e il suo Signore. Il tempio è in sintesi un simbolo da interpretare e non un confine da imporre. Comprendere il dogma come un simbolo significa «sciogliere» il dogmatismo e ogni religione della lettera potrebbe trarre vantaggio da tale verità, trarne vantaggio in maniera diversa dalla costante tendenza gnostica che serpeggia nel pensiero e nelle prassi dell'occidente. L'Uni-Trinità, nella sua interpretazione post-ontologica, ha offerto tentativi che sembrano indulgere a queste tentazioni.7 L'ambizione della filosofia della religione, che si sa ormai storicizzata, è l'apertura sempre meravigliata all'avvento del sempre nuovo nel pensiero, ma anche alle nuove forme di teologia, teologia sempre più da intendere come scienza pratica in quanto ordinata alla salvezza. In questo non ci si scosta troppo dalla grande tradizione scolastica, al di fuori dell'immagine che ne danno alcuni ideologi: come nella filosofia si riconosce l'anteriorità dell'alterità e quindi dell'etica, così nella teologia l'altro non è mai stato il totalmente altro, ma sempre noi gli apparteniamo e gli siamo appartenuti, sempre ci ha invitato e ci invita alla prassi salvifica tramite l'Incarnazione e il dono di sé.8 La spazialità è ora trasfigurata nella dinamica dell'uscita, dell'offerta antieconomica del dono visto come cifra mondanizzata della storia della salvezza. La rivelazione non è più una condizione di possibilità, ma diventa quindi un evento continuo, una protostoria che rimanda alla propria escatologia che si situa sempre al di là. Questa si è radicalizzata nella filosofia della religione che traccia la forma della storia della filosofia e della genesi della autocomprensione moderna della comunità degli uomini.9

2. Distorsioni e filosofie della mistica alla moda

Prima di tutto è necessario e conveniente servire Dio nel silenzio delle tendenze disordinate, come della lingua, per non intendere nulla altro che parole di amore.

Giovanni della Croce, Avvisi e sentenze n. 319

Il tuo cuore è agitato. All'udire l'insulto tu desideri vendicarti: ed ecco ti sei vendicato e... hai fatto naufragio. E perché? Perché in te dorme Cristo. Che vuol dire: "In te dorme Cristo"? Ti sei dimenticato di Cristo. Risveglia dunque Cristo, ricordati di Cristo, sia desto in te Cristo... Ti eri dimenticato ch'egli, essendo crocifisso, disse: «Padre, perdona loro perché non sanno che cosa fanno» (Lc 23, 34)? Egli che dormiva nel tuo cuore non volle vendicarsi.

Sant'Agostino (354-430), Discorso n. 63

Affermava Simone Weil che «Il contatto con le creature umane ci è dato grazie al senso della presenza. Il contatto con Dio ci è dato dal senso dell'assenza. A confronto di questa assenza, la presenza diventa più assente dell'assenza».10 Queste affermazioni potenti si originano dal crogiuolo della mistica tradizionale ebraica, in particolare a quella seguita alla cacciata dalla Spagna, quando la scuola di Safed sviluppò una nozione nuova di mistica qabbalistica, successiva e alternativa a quella della Merkavah o dello Zohar. Su questo nuovo approccio ritorna più volte Moshe Idel11 continuando, e al tempo stesso volendo porsi come alternativa alla riflessione sistematica di Scholem, il fondatore degli studi novecenteschi sulla mistica ebraica e sulla cabala. Questa genealogia è feconda di implicazioni in ambito teologico cristiano, non solo come è noto nella modernità, ma anche in molto pensiero teologico e filosofico contemporaneo. Si pensi solo alla figura di Shabbatai Zevi, che inizia la sua carriera di autoaffermazione come messia urlando il nome di Dio nelle piazze e quindi sovvertendo il precetto fondativo dell'innominabilità dello Shem, il nome di Dio che secondo la tradizione esoterica hassidica e cabbalistica è onnipotente.12

La dottrina cabbalistica e gnostica di Isaac Luria è stata poi trasmessa nelle opere di Jakob Böhme, e indirettamente ha ispirato il movimento pietista e le dottrine filosofiche dell'Idealismo. Prima di Böhme già Valentin Weigel, ma soprattutto Sebastian Frank fecero riferimenti plurimi a tematiche connesse ai paradossi e alla pulsazione della presenza di Dio: tali dottrine si rifanno chiaramente allo tsim-tsum, ai movimenti di contrazione e riappropriazione di Luria. Frank in particolare è il primo a credere in maniera convinta in una esperienza religiosa non mediata da una chiesa, nemmeno dalle comunità ecclesiali della riforma, ma solo nell'illuminazione divina diretta, dottrina questa che gli giunse tramite il ben noto Eckhart13 ma più ancora da Taulero: tutto ciò lo condusse a rifiutare anche la simpatia dei riformati, Lutero in testa. Del resto già Zwingli e Calvino erano tra i primi convinti assertori della invisibilità della vera Chiesa, tema caro anche a Frank.14 Nella sua prima opera organica dedicata alla filosofia della religione si concentrò sui sistemi di Schelling: questi aveva rielaborato in maniera originale e pluriforme la dottrina kenotica dello svuotamento di Dio, finalizzato a consentire la creazione del mondo e la redenzione dell'uomo (con la novità della crocifissione per i cristiani). In Hegel invece la redenzione dell'uomo non sembra attestabile in senso teologico nella crocifissione e neanche cabalistico. Dopo, questa dottrina kenotica ha influenzato il Romanticismo. La teologia protestante del secolo XIX e XX ha elaborato tutta una dottrina a diversi livelli di coscienza gnostica che, come per osmosi, è stata accolta nei decenni recenti da teologi cattolici di prima grandezza come von Balthasar e Rahner.15

Del resto proprio la frammentazione e la parcellizzazione del sapere nella società contemporanea è uno dei portati più rilevanti della secolarizzazione. Su questo tema vi è stato proprio uno scontro imponente tra diverse concezioni della temporalità, ma anche del rapporto tra sacro e potere in generale. All'interno del costituirsi della catholica cristiana è stata certamente imponente l'oscillazione tra i poli opposti della religio e della fides. Muovendo dall'interpretazione di Cristo come re, ci sono autori che hanno fatto derivare il vocabolario della stessa arte cristiana dall'immaginario propagandistico dell'impero. Tali approcci sono stati affrontati di recente dalla teoria dello scontro tra dei,16 sullo sfondo di un'epica pagana che non viene volutamente riutilizzata, ma alla quale, sin nelle absidi delle basiliche romaniche, si fa guerra in nome del Cristo, nuovo kosmokrator sacerdotale. Questa guerra tra immagini è una tra le tante declinazioni di un cambiamento di paradigma che nelle oscillazioni tra politica e religione ha caratterizzato la storia.

Si è riflettuto sulla differenziazione funzionale della società come una delle caratteristiche peculiari delle dinamiche della secolarizzazione. Al riguardo di recente Taylor17 ha asserito e tentato di mostrare come questa è la caratteristica di un eone dell'umanità che si schiude adesso, una nuova epoca. Tra i filosofi della politica questo termine ha assunto una particolare popolarità.18

Muove da questa proteiforme tradizione Vannini, che nel suo Introduzione alla mistica considera Giovanni della Croce come lo sviluppatore di temi eckhartiani come un pensatore e un sistematico sperimentale paragonabile ai maestri yoga, «Il Patañjali dell'occidente» (p 82). Dopo gli ultimi deliranti scritti di Zolla e la teologia fallimentare (in più sensi) di Quinzio un ulteriore contributo alla decristianizzazione della mistica. Sembra una tendenza alla moda l'interpretare alcune figure centrali della mistica cristiana come sperimentatori di una indefinita religiosità, una presenza negativa, che è comunque una assenza di Dio. In questo ci sembrano simili alla terza via di Mynarek, in cui alla tradizione cristiana e alla temperie della secolarizzazione e dell'ateismo razionalistico viene proposta l'alternativa terza di una transreligiosità senza Dio.19

Non si può non rimanere un po' perplessi quando nell'ultimo suo libro Vannini classifica Giovanni della Croce tra i mistici solo "superficialmente" cristiani, in realtà puramente platonici.20 Questa distorsione ci sembra funzionale a una comprensione dell'esperienza mistica come straniante, come uscita dal mondo di zolliana memoria, come in fin dei conti una esperienza incentrata sulla sfiducia nei confronti di Dio. Riprendendo una interpretazione della neognosi recente, non è difficile concludere che ciò che si vuole dominato dal caso è anche ciò che si sa riproducibile artificialmente.21 Al contrario come si può intuire leggendo le vite dei santi, che non a caso vengono raccomandate dagli autori spirituali, il mistico cristiano è un credente che penetra con la sua esperienza l'oggettività della fede della Chiesa, una Chiesa accolta come mediatrice indispensabile e verificatrice di ogni intuizione, esperienza e carisma personale. La Chiesa è la casa dei mistici, come Maria è la loro madre, non una bieca riproposizione di Iside o delle dee madri mediterranee o nordiche. L'atteggiamento di fiducioso abbandono e obbedienza filiale fu comune a tutti i grandi misitici, in questo opposti ai cercatori di occulti misteri.22

Giovanni va oltre la teologia scolastica dell'epoca e al tempo stesso la porta a compimento con la sua narrazione del mistero sublime della circuminsessio, l'inabitazione delle persone della Trinità: in questo fu padre a molti altri mistici carmelitani e non.

Tra i teologi del XX secolo un interesse particolare per la teologia mistica di Giovanni della Croce viene dimostrata da Garrigou-Lagrange che dedica varie sue opere di teologia spirituale23 alla dimostrazione della complementarietà del tomismo con l'opera di quel santo che la Chiesa chiama il Doctor Mysticus. Il pensiero dell'Aquinate è infatti, al di là di faili fraintendimenti, un pensiero intrinsecamente mistico, frutto di umiltà somma e di somma semplicità, quella semplicità della quale si dice fosse intrisa più di tutte le creature Maria e Giuseppe dopo di Lei. Il Cristo è il più semplice, quindi il sommo contemplante, generato e non creato già godeva della visione beatifica del Padre su questa terra. Maria è modello sommo di santità perché sommamente semplice per assenso prima dell'Incarnazione e comunione continua dopo la Pentecoste, per esprimerci con termini che piacerebbero al filosofo suo cantore Duns Scoto fu una vera scienziata e pratica sperimentatrice dell'esperienza di Dio.24

Il riduzionismo dei comparatisti contemporanei della mistica può essere certo ulteriormente nutrito, potremmo anche suggerire qualche altro paragone, magari rimanendo nella tradizione ebraica: le stanze di Teresa di Gesù (1515-1582) ricordano molto le Hekhaloth, le stanze dei santuari o palazzi che, in particolare nell'opera che porta questo nome, la mistica ebraica riconosce come il progresso necessario verso la Merkavah, il trono della gloria di Dio.

Un altro stile di deformazione è quello psicoanalitico/femministica, impersonato bene ad esempio da Julia Kristeva, che ha il suo soggetto di interesse in Teresa d'Avila. La riformatrice dell'ordine dei carmelitani, la santa dell'estasi, si rivela agli occhi di questa autrice (ma non è la sola, è un classico della scrittura della differenza di genere nelle sue più divertenti declinazioni) una donna malata d'amore e di desiderio, al pari dei suoi pazienti in cura psicoanalitica.25 Scopriamo i retroscena dei suoi tormenti e della sua estasi, immortalata come fin troppo spesso si ricorda dal celebre gruppo marmoreo di Bernini. La ricostruzione dell'universo mentale e del malessere psicofisico della santa diventa per Kristeva lo spunto per una riduzionistica serie di considerazioni sul nostro attuale bisogno di credere. Teresa aveva riversato nella scrittura la propria esperienza per sublimare il possesso dell'Altro, dell'Amato, incorporandolo dentro di sé, fino a goderne in ogni parte del corpo. Allo stesso modo, Kristeva adotta la forma romanzo per restituirci quello che secondo lei è il senso di quell'esperienza, riproponendola come erotismo misto a spiritualità, come un cammino verso la consapevolezza di sé.

Come Vannini riduce l'esperienza mistica di Giovanni con il suo comparativismo rendendola borghesemente accettabile e aliena al fatto dell'incarnazione di Cristo, così Kristeva deturpa e riduce tutto a psicologismi e freudiane pulsioni erotiche o di autosuperamento (come vari detrattori che ironeggiarono sulla statua del Bernini, dimenticando di leggere le opere della santa).

A questo turbinio di emozioni messe su carta, il contrario della semplicità dei contemplativi, è fin troppo facile contrapporre la solare semplicità del principe dei teologi ma anche delle anime sapienti. Già Paolo faceva il panegirico della fede, fede che dona sostanza e carne alla speranza.26 Il pensiero sommamente semplice di San Tommaso trova il suo corrispondente pittorico nel Beato Angelico, con i suoi colori «metafisici», dall'oro all'azzurro, ad evidenziare la Grazia che scende dall'Alto.

Ma è tipico delle politiche editoriali e culturali nostrane che Garrigou-Lagrange venga ignorato dal pubblico colto al quale si rivolgono autori come Vannini o autori più recenti come Mancuso e De Monticelli. Il mistero viene visto come evocazione antitetica ai raziocinii dei teologi scolastici o comunque dei loro successori, scindendo la teologia dalla esperienza spirituale. Suarez ha forse sottolineato troppo il ruolo della natura a discapito della Grazia. Egli nell'opporre con fermezza all'irrazionalismo luterano del sola fide il realismo tomista ben espresso nell'asserzione vigorosa che gratia naturam supponit, non tollit sed perficit, si è sbilanciato eccessivamente, come i successivi neo-scolastici del XIX secolo, criticati da Maritain, nella sfera del meramente razionale e perdendo di vista il mistero. Il mistero invece secondo la dottrina di Tommaso, pur essendo al di là della ragione, deputata in primo luogo ai preambula Fidei, non è però ad essa contrario ed è da essa in parte conoscibile.

Alla teologia dell'Aquinate si ispirò Dante: la sua guida Virgilio, che rappresenta la ragione, esaltata dalla filosofia greca e dal diritto di Roma, deve fermarsi all'ingresso del Paradiso, non potendo andare oltre perché per oltrepassare la soglia del Mistero necessita l'intervento della Grazia divina rappresentata dalla Donna ossia Beatrice. Non si dica che Virgilio non poteva, per Dante, accedere al Paradiso perché pagano non battezzato, in quanto è di fede cattolica che Cristo scendendo agli inferi liberò tutti i giusti, anche quelli pagani, vissuti prima di Lui: Virgilio rappresenta la Ragione che giunge alla conoscenza naturale di Dio ma che abbisogna della Grazia soprannaturale per accedere, oltre se stessa (attenzione: non contro sé stessa), al Mistero.

La mistica che sembra cara a Vannini oppure Zolla e al loro ambiente culturale sembra invece essere quella pagana che nasce dai rituali dionisiaci e ctoni, ebbri ed esaltanti il mito perenne dell'androgino. Un esempio può essere l'attenzione e la considerazione che vengono riservate da queste due diverse scuole, la cattolica e la neopagana, alla stessa opera contenuta nella Bibbia, il Cantico dei Cantici. Tale testo esalta l'amore, ad un tempo verticale e paritario, tra l'uomo e la donna come immagine archetipica dell'Amore mistico, sempre verticale e non paritario, tra Dio e l'uomo.

Per comprendere qualcosa dell'Amore tra Dio e l'uomo secondo la mistica cattolica, uno dei luoghi più elevati sono proprio le pagine dei mistici carmelitani. Tra i precursori di Giovanni si leggano le opere di Santa Teresa d'Avila, anch'essa dottore della Chiesa, in particolare Il Castello interiore.

La neo-teologia invece legge quel libro dell'Antico Testamento in modo analogo ai riferimenti tradizionali al mito dell'androgino. Tale mito era già ben noto a Platone che, per spiegare l'attrazione erotica, aveva desunto dall'antica religiosità panteista imperniata sul tema del «doppio contrario», maschio-femmina, arcaicamente rappresentato nelle figure mitologiche delle «deità copulanti», dalla coppia Purusha-Prakriti a quella Yin-Yang, dalla coppia egizia Iside-Osiride alle varie coppie divine nei pantheon pagani presso le popolazioni più disparate.

Il tema mitologico del doppio contrario spiega la manifestazione nei termini di una dinamica emanazionista tra opposte polarità, dialetticamente complementari, scaturenti, per una caduta cosmica primordiale o per l'intervento di un malvagio demiurgo inteso come dio minore, dalla comune, originaria, unità divina impersonale e senza distinzioni.

La lettura androgina che la nuova teofilosofia fa silenziosamente del Cantico dei Cantici non è un ritorno, in polemica con il presunto razionalismo cattolico preconciliare, all'Antico Testamento, ossia a Gerusalemme con l'abbandono di Atene e Roma, quanto piuttosto è un attingere alla equivoca ed ambigua «mistica» gnostica. Tale operazione consiste nel falsificare, per squalificarla, la tradizionale teologia cattolica, agostiniana, tomista, suareziana, allo scopo di accreditare, come soluzione della crisi ecclesiale in atto, la gnosi spuria che della crisi di fede della Chiesa è, invece, la causa prima. Analogo è il rischio dei neologismi e neosofismi di Mancuso sull'anima, come già è stato autorevolmente rilevato da Bruno Forte e da Civiltà Cattolica.

Questa tematica sarà il fondamento della costituzione di una filosofia a-teologica che per secoli si è sviluppata e ancora oggi interagisce con le comunità dei ricercatori dello spirito, siano essi accomunati dall'appartenenza ad una chiesa, a una loggia, a una comunità cristiana o mistica, quando non ad una chiesa post-cristiana. Una versione di tale filosofia si è sviluppata in maniera originale nella età d'argento del pensiero teologico-teosofico russo, pensiero che da Solov'ev in poi è di per sé sofianico.27 La sofiologia molto spesso è stata il ripresentarsi di una mistica quasi gnostica, di una concezione della conoscenza salvifica riservata a pochi eletti amici. La dottrina cabbalistica e gnostica di Isaac Luria è stata trasmessa anche nelle opere di Jakob Böhme, e indirettamente ha ispirato il movimento pietista e alcune tra le dottrine filosofiche dell'Idealismo. Prima di Böhme già mistici protestanti come Valentin Weigel, ma soprattutto Sebastian Frank, fecero riferimenti plurimi a tematiche connesse ai paradossi e alla pulsazione della presenza di Dio: tali dottrine si rifanno chiaramente allo tsim-tsum, ai movimenti di contrazione e riappropriazione di Luria. La civitas hominum che, sempre in virtù di una permanente seconda riserva escatologica, deve essere trasfigurata nella civitas Dei, un ordine cosmico sempre venturo.28

Un'altra tendenza degli approcci filosofeggianti alla teologia è infatti l'approccio antidogmatico di Mancuso, sopravvalutato dalla stampa e quindi dagli intellettuali cattolici. Tale autore afferma che il peccato originale è una dottrina inventata da alcuni teologi, non presente nel cuore della rivelazione di Cristo, che anzi inficia l'amore del Padre.29 Non è un caso che da qui discenda «La nostra sacra libertà di morire».30

Per comprendere le erranze della teofilosofia contemporanea faremo riferimento cursorio a una delle figure centrali del messianismo inteso come mistica alla moda, Jacob Taubes. Discendente di una famiglia di rabbini, Taubes esordisce giovanissimo con un libro sulle concezioni apocalittiche ed escatologiche della storia, da Giovanni a Gioacchino da Fiore fino a Marx e Kierkegaard. Tesi fondamentale di Taubes è che la cultura dell'Occidente, che ha le sue radici più profonde nella tradizione giudaico-cristiana, si basi su un concetto della storia come disvelamento della verità. E, siccome la verità deve ancora avvenire, la coscienza occidentale è propriamente escatologica.

Caduto il mito di una conoscenza che si trasforma in una logica di possesso, se non di distruzione, dell'altro e degli altri; al posto della tragedia dell'attesa, ma anche a differenza dell'attesa tipica di certi pensatori cattolici come von Balthasar (la cui Apokalypse der deutschen Seele del 1937, insieme all'escatologismo del teologo protestante Paul Althaus, è una delle fonti fondamentali del lavoro di Taubes), che si radica comunque nella fede parusiaca che il Messia è già venuto, l'attesa di Taubes, iscritta nella logica del messianismo ebraico, è l'erranza allo stato puro, senza agganci nel tempo. Dunque, senza fissa dimora che non sia quella di un intelletto vigile fino all'estenuazione della crisi psichiatrica. Unico punto di riferimento: la stella della redenzione, l'eschaton come essenza della storia, punto terminale e iniziale, in virtù del quale la storia oltrepassa il proprio limite e diviene visibile a se stessa.

Dunque, l'attesa della fine, una fine che è, insieme, apocalisse -- cioè disvelamento del mistero della storia -, sospensione del tempo e, dunque, della morte,31 arrivo del Messia e compimento della storia. Alcuni filosofi italiani come Cacciari hanno reinterpretato il pensiero della legge per eccellenza: «La stessa etica di Lévinas si fonda sull'atto che pone l'altro da sé: soltanto il ritiro dell'infinito dà-luogo al mondo come mondo della libertà e della responsabilità, integralmente affidato al nostro 'lavoro'di riunione e restaurazione.»32 L'inquietudine post-schellinghiana del lasciare lo spazio all'avvento della libertà, intesa come fondamento senza fondamento è, come si potrebbe mostrare in altra sede, un lascito da continuare ad indagare della tradizione qabbalistica che come già si è accennato per il tramite di Luria è penetrato nella filosofia occidentale nei testi di Jakob Böhme e nella rilettura che ne ha dato Schelling, fino a Pareyson e da ultimo a Cacciari.

La storia del misticismo viene ricondotta alle sue radici monoteistiche, il problema è che queste vengono a volte ipostatizzate senza il riconoscimento dell'assoluta incomparabilità dell'evento Cristo.33 L'evento di Cristo è l'evento della Rivelazione dell'amore trinitario, e al riguardo non sarà superfluo ricordare l'esperienza privilegiata di Elisabetta della Trinità. A. M. Sicari così si è espresso al riguardo, con toni che ricordano non senza ragione il ben noto Racconto dell'anticristo di Solov'ev: «Elisabetta è là che attende la Chiesa terrena a quel pericoloso crocevia nel quale si stanno per confrontare le diverse concezioni religiose dell'umanità, per proteggerla dal rischio più grave: per difenderla dalle suggestioni di chi -- in nome di un malinteso dialogo e ancor più malinteso pluralismo -- pretenderà togliere al Dio cristiano il suo Volto Trinitario, e penserà di mettere d'accordo tutti i credenti offrendo loro un nuovo, freddo e razionale monoteismo».34 Un ulteriore parallelo potrebbe essere istituito con Il Padrone del Mondo di Robert Benson.35 Indebolito al suo interno dalla diffusione del modernismo, il cattolicesimo si sfalda: l'esaltazione delle scienze umane e della psicologia hanno contribuito non poco nella lotta al cristianesimo. L'esoterismo marcia alacremente e favorisce la diffusione di un nuovo culto, l'umanitarismo. Si impone la religione del cuore: ma gli uomini che a Dio si accostano continuano a lottare, fiduciosi e amanti.

L'esperienza di unione con Dio è per i credenti nella Trinità i primo luogo una intensa esperienza di comunione: il dottore mistico e prima di lui Santa Teresa sottolineano come l'esperienza del vivere la vita della Trinità è la dinamica della deificazione. Tale nozione, sviluppata in primo luogo dai padri orientali come Massimo il Confessore e poi elaborata più di altri da Palamas viene portata alle sue più alte declinazioni e alla sua più lucida obbiettività dai dottori carmelitani: come il Prologo di Giovanni e la figura di Maria sono stati in passato considerati dal sommo magistero il rimedio contro le eresie che vivacizzano la vita della fede della grande Chiesa, così i dottori dell'esperienza della mistica trinitaria sono il miglior antidoto ai vagheggiamenti post-hegeliani o neognostici del pensiero contemporaneo.36

3. «Ben più di Salomone c'è qui»: l'oggettività del mistico è la rivelazione di Cristo

Il Padre pronunciò una parola: suo Figlio. Questa parla sempre in un eterno silenzio e nel silenzio dev'essere ascoltata dall'anima.

Giovanni della Croce, Avvisi e sentenze n. 307

Cristo infatti ci è stato annunciato in quanto re, sacerdote, Dio, Signore, angelo, uomo, capo supremo, roccia, bambino nella sua natività, uomo dei dolori, poi asceso in cielo, che tornerà nella gloria con la regalità eterna.

San Giustino martire, Dialogo con Trifone, 36

La poesia dell'opera di Dio è il creare degli esseri che sono il suo opposto, e tale opera non è dominata da costrizioni dettate dalla ristrettezza della razionalità umanamente concepita. L'excessus mentis che venne cantato dai mistici consiste prima di tutto nel farsi rapire dall'abisso della divina passione, passione voluta da Dio nella sua scelta di legarsi al destino di creature ontologicamente incommensurabili a Lui nella loro piccolezza, creature che si volgono all'eterno dalla loro prigione temporale. Questa è la poesia di Dio, mai riducibile ad un sistema, ma, come comprende bene von Balthasar, descrivibile come la narrazione archetipica, l'inserimento dell'uomo nel subabbraccio della Trinità, fino al compimento del mondo in Dio. Questa è anche l'origine del pensiero che sempre risorge nella storia della teologia, nella sua terribile insostenibilità, da Origene a Leibniz, sino da ultimo nel pensiero di von Balthasar stesso: l'apocatastasi, l'impossibilità di pensare la dannazione nella finale presa di possesso del mondo da parte dell'Amore trinitario. Kierkegaard non cade però in questo vicolo cieco, con il suo ennesimo paradosso: «sono letteralmente certo che ogni altro da me sarà facilmente beato, soltanto io no.» La volontà santa sa che la beatitudine può essere garantita a chiunque altro, in quanto l'altro è dominio della provvidenza di Dio: a noi è dato in affidamento solo il piccolissimo dominio dell'incertezza più assoluta, quello della nostra volontà sempre a rischio di cadere. L'abbandono di Dio è vero in primo luogo per il Figlio, per l'uomo invece non vi è abbandono, ma esclusione del proprio nemico, e questa è la causa di tutte le sofferenze. Questa è la terribile barriera sempre ripresentatasi nella storia degli uomini, la scusa per sfuggire al peso della beatitudine, l'esperienza soave e terribile dei santi, capaci di patire le parole della Fiamma viva d'Amore di San Giovanni della Croce: «rompi la tela a questo dolce incontro!».37

L'esclusione dell'altro è una esclusione teorica, compensabile solo nella prassi includente. Questa prassi è l'unica possibile esperienza della alterità più irriducibile, quella di un Dio che si è fatto terzo a se stesso, nella ipostasi dello Spirito Santo. Questo scindersi di Dio è stato indagato con mitologemi più svariati e questa indagine ha condotto alla decadenza dello gnosticismo, che ha preteso di incrementare la gnosi vera, la conoscenza che Dio Padre ci ha voluto donare nella rivelazione per il tramite del Figlio. Alla vera tradizione si è quindi affiancata una tradizione spuria, che sovente risorge nelle opere dei più disparati artisti.

Nella rivelazione la Trinità si è dato a conoscere agli uomini, fino al punto di divenire egli stesso uomo, e questo per attirare a sé e a sé riunire tutto quanto il mondo per mezzo del Figlio incarnato Gesù Cristo. Non si tratta quindi di comunicazioni intellettuali, ma di un processo vitale, nel quale Dio si avvicina all'uomo; in questo processo poi naturalmente si manifestano anche contenuti che interessano l'intelletto e la comprensione del mistero di Dio. L'incarnazione di Cristo è il mistero per cui la fede cristiana si differenzia da ogni altra religione, e non è un caso che per i rappresentanti degli altri monoteismi questa resti una affermazione inconcepibile. L'uomo è l'espressione di Dio in quanto si manifesta a se stesso come amore. La Trinità non ha bisogno dell'uomo per questo, come vorrebbe la tradizione kabbalistica che influenzò Boehme e tanti autori misticheggianti dopo di lui. Ci sembra molto suggestivo riprendere la contemplazione che s. Ignazio propone al principio della seconda settimana dei suoi Esercizi spirituali: le Persone della Trinità contemplando la miseria del genere umano ab aeterno decise di donarsi gratuitamente per divinizzare gli uomini che avessero corrisposto al Suo amore. Questo venne chiarito in maniera massima nella esperienza della Trasfigurazione.38 Il processo riguarda l'uomo tutto intero e così anche la ragione, ma non solo essa. Poiché Dio è uno solo, anche la storia, che egli vive con l'umanità, è unica, vale per tutti i tempi ed ha trovato il suo compimento con la vita, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo. Questa storia eccede sempre i tentativi di cristallizzarla nella convenzione della narrazione come testo. Afferma De Certeau: «Quando recepiamo il testo, è già stata effettuata un'operazione che ha eliminato l'alterità e il suo pericolo, per non conservare del passato, integrati nelle storie che una società intera si va narrando a veglia, che dei frammenti incastrati nel puzzle di un presente».39 Questa operazione si può applicare anche allo studio della mistica, concepita frequentemente come unione sovratemporale con l'Eterno, quindi sempre uguale nel tempo e nello spazio.

In Cristo Dio ha detto tutto, cioè se stesso, e pertanto la rivelazione si è conclusa con la realizzazione del mistero di Cristo, che ha trovato espressione nel Nuovo Testamento. Il Catechismo della Chiesa Cattolica cita, per spiegare questa completezza della rivelazione, proprio un testo di San Giovanni della Croce: «Dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva parola, ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola... Infatti quello che un giorno diceva parzialmente ai profeti, l'ha detto tutto nel suo Figlio... Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse e novità» (CCC 65, S. Giovanni della Croce, Salita al Monte Carmelo, II, 22).

Di fronte alla potenza terribile del male e all'apparente assenza di Dio, la fede cristiana guarda al silenzio della passione del Figlio di Dio. Non possiamo evitare tali questioni, tanto meno negarle, altrimenti la nostra fede sarebbe ingannevole e vuota: come gli amici di Giobbe, balbettando ipocrite scuse e bonarie consolazioni. La domanda sul male ci interroga in quanto persone, credenti o meno: è la domanda di Ippolite, il giovane nichilista dell'Idiota di Dostoevskij. Sta morendo e si chiede quale sia la bellezza che salva il mondo, dove sia la bellezza se un giovane muore di tisi: il principe Miškin, il protagonista, tace e gli sta accanto. Di fronte alla potenza terribile del male e all'apparente assenza di Dio, la fede cristiana guarda al silenzio della passione del Figlio di Dio. La logica dei doppi pensieri che caratterizza Dostoevskij (come notarono Romano Guardini e Reinhard Lauth) è la logica della verità che è in Cristo: il silenzio del principe è il silenzio di Cristo. E se la verità fosse fuori di Cristo, sarebbe da preferire Cristo alla verità stessa. Questo l'atteggiamento di chi tenta di pensare seriamente la propria fede.

Tale è la ricchezza pluriforme dell'esperienza di chi ha la grazia di avere la fede come sostanza della propria speranza che è necessario sviluppare una apposita ermeneutica per i dati della vita spirituale. La soluzione della scelta di un metodo per la teologia mistica sta nell'approccio interdisciplinare alla vita mistica, come ha fatto notare Federico Ruiz riferendosi allo studio di Giovanni della Croce. Ed è questo il compito più importante di una filosofia della mistica che si voglia anche non solo fenomenologia ma anche ermeneutica spirituale.40 Per il Dottore carmelitano la mistica è prima di tutto conoscenza di Dio per fede: è esperienza totalizzante determinata dalla conoscenza della realtà oggettiva del Cristo. Per questo, attraverso la sua testimonianza di mistico, di chi ha fatto esperienza diretta dei misteri divini egli passa spontaneamente da una mistica soggettiva a una mistica oggettiva

La fede è agone, lotta, e l'agone ha la stessa radice di agape, amore. Lotta e amore sono la sostanza della fede, e la fede è la sostanza della speranza. Come ricorda Ruiz la fede è mistagogia.41

In particolare si tratta di una mistagogia orientata verso la sperimentazione della circuminsessione, il sommo mistero e la vetta mistica della inabitazione della Trinità nell'anima del battezzato. Con parole di De Lubac: «Se bisogna intendere per 'mistica', una certa perfezione raggiunta nella vita spirituale, una certa unione effettiva alla Divinità, allora, per un cristiano non può trattarsi d'altro che dell'unione col Dio Tri -- Personale della rivelazio-ne cristiana, unione realizzata in Gesù Cristo e per mezzo della sua grazia; dono 'infuso'di contemplazione 'passiva'».42 Nella progressione verso la piena in abitazione sono state tentate varie classificazioni o schemi. Secondo la classica ripartizione di Tanquerey43 ci sono tre fasi principali nell'estasi: l'estasi semplice, il ratto e il volo dello spirito. L'estasi semplice è una specie di perdita temporanea di coscienza che avviene dolcemente, provocando nell'anima come una ferita, dolorosa e deliziosa nello stesso tempo: lo Sposo le fa sentire la sua presenza ma per un po' di tempo soltanto, mentre lei ne vorrebbe godere continuamente, onde soffre di tale privazione. Dice S. Teresa: «L'anima sente di essere dolcissimamente ferita ma non riesce a spiegarsi né come né da chi; conosce però bene che è cosa preziosa, così che no vorrebbe guarir mai di tale ferita. Si lamenta, non potendo far altro, collo Sposo con parole di amore anche esteriormente; perché conosce che è presente ma non vuole manifestarsi in modo da lasciarsi godere. È pena vivissima quantunque soave e piena di dolcezza... e di là più diletto che la saporosa sospensione dell'orazione di quiete, che pur non porta seco alcuna pena». Sono possibili in questa fase locuzioni soprannaturali e rivelazioni. Il rapimento (o raptus) così chiamato in seguito alla esperienza del terzo cielo riportata da San Paolo s'impossessa dell'anima con impetuosità e violenza in modo da non potervi resistere. È come se un'aquila ti rapisse sulle sue ali senza saper dove si vada. Nonostante il diletto che si prova, l'umana debolezza risente le prime volte un brivido di terrore. Ma è terrore misto a grandissimo amore, che di nuovo si concepisce per colui che così grande lo mostra a un essere così piccolo. Nel ratto può avvenire lo sposalizio spirituale. Dopo il raptus può avvenire il volo dello spirito, che è così impetuoso da parere che lo spirito si separi dal corpo senza che gli si possa resistere. Afferma S. Teresa «Pare all'anima di essere trasportata tutta intera in altra regione molto diversa da quella in cui viviamo, ove le si mostra una luce nuova con altre cose così diverse da quelle di quaggiù, che non sarebbe mai riuscita a immaginarsele, quand'anche vi avesse impiegata tutta la vita. Talora le sono, in un istante, insegnate tante cose insieme, che, dove si fosse con l'immaginazione e con l'intelletto affaticata i lunghi anni a metterle insieme, non sarebbe mai riuscita a raccapezzarne la millesima parte». Un apripista a una interpretazione irenica della mistica, nello stile dei Grandi iniziati di Schurè, viene forse offerta dall'interpretazione induttiva che parte dai fenomeni mistici per ricondurli alla teologia. Una forma estrema di pensiero di tipo induttivo si ritrova nell'ampio studio di Jean Baruzi, Saint Jean de la Croix et le problème de l'expérience mystique. A suo parere, la mistica costituisce un modo di conoscere «teopatico» che scaturisce dal profondo della Trinità stessa. La dogmatica è assolutamente secondaria. «In definitiva si tratta di una sottomissione della fede mistica alla fede dogmatica, per il fatto che san Giovanni della Croce identifica l'Assoluto con la Trinità».44 Secondo Baruzi, la fede dogmaticamente condizionata è una fase che dovrà essere superata a partire dalla mistica.45 Questa scuola si oppone al deduzionismo di impronta prevalentemente domenicana, che vede in Garrigou-Lagrange un maestro che abbiamo già menzionato. Ci sembra, riprendendo quanto è stato più volte affermato da Borriello e da altri autori in prevalenza carmelitani, che sia necessaria una integrazione tra questi due modi diversi di comprendere la mistica, intgrazione che in realtà in Lagrange e in altri autori di spessore è senz'altro avvenuta.

Edith Stein come è noto elaborò una prima e ispirata elaborazione filosofica della mistica carmelitana ispirandosi alla fenomenologia nella sua Scientia Crucis. Tale ricerca ha potuto fruire del suo rigore filosofico incentrato sulla datità fenomenica e di una esperienza di prima mano della stessa sublime datità. Come è stato di recente sintetizzato da Occhialini: «l'uomo, e soltanto l'uomo, è capace di ex-sistere, cioè di superarsi, di uscire fuori da se stesso, di trascendersi. L'estasi, fenomeno dalle molteplici espressioni, legate fra loro dall'analogia, sta a indicare uno stato in cui l'uomo esce dalla sua condizione normale per la forza di attrazione di qualcuno o di qualcosa che assorbe in maniera tale le sue facoltà spirituali, da fargli perdere momentaneamente la capacità percettiva delle altre».46

È assolutamente necessario rivendicare il carattere cristiano della mistica di san Giovanni della Croce. Come afferma Barsotti: «La sua esperienza mistica rimane un'esperienza di fede, e la fede di san Giovanni della Croce è la fede nella Trinità e nella incarnazione del Verbo. Egli ci insegna di fatto che senza il mistero dell'incarnazione non si potrebbe parlare di una comunione dell'uomo con Dio. L'esperienza mistica di san Giovanni della Croce dipende da questi due misteri».47

Il Signore venne abbandonato alla volontà dei crocifissori e, per schernire la sua dignità regale, gli fu imposto di portare lo strumento del suo supplizio; questo accadde perché si compisse ciò che il profeta Isaia aveva predetto, dicendo: «Sulle sue spalle è il segno della sovranità» (Is 9, 5). Cristo portava il legno della croce, che si sarebbe poi mutato nel simbolo della sua sovranità: il vincitore del demonio, il potentissimo trionfatore delle potenze infernali, portava con dolce umiltà il segno del suo trionfo sulle spalle della sua invitta pazienza: strumento di salvezza, degno di adorazione da parte di tutti. Ed era proprio come se volesse, col suo esempio, rendere forti tutti i suoi imitatori, dicendo: «Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 10, 38) .48

Il mistero dell'incarnazione, però, non è solo mistero di morte e risurrezione. Esso abbraccia anche l'ascensione e la glorificazione del Cristo. Ciò vuol dire che occorre includere nella vita del cristiano, quale elemento di crescita, quest'ultima realtà del Cristo. Difatti, egli in qualità di uomo pneumatico, trasfigurato nella gloria di Dio è il Signore della storia umana e la destinazione ultima cui deve pervenire ogni credente in lui. Con l'ascensione l'umanità del Cristo è stata definitivamente reinserita nella divina comunità intratrinitaria e glorificata alla destra del Padre. Questa comprensione dell'uomo a partire dall'umanità del Cristo è ciò che sperimentarono alcune anime sante di abissale semplicità, donne come Gemma Galgani, Francesca Romana, Maddalena de' Pazzi. Abissale semplicità che è assoluta dedizione all'amore contagioso, alla fiamma che dal seno della Trinità si espande, con la libera collaborazione degli uomini, al mondo per il tramite della Chiesa. Questo è il diletto ineffabile ma comunque da comunicare ai fratelli di cui narra l'estasiato Giovanni: "accade che qualche volta questa mistica e amorosa teologia, oltre che infiammare la volontà, ferisca anche, illuminandola, l'altra potenza, quella dell'intelletto [...]. Questo incendio di amore insieme con l'unione delle due potenze, intelletto e volontà, che avviene in questo momento, è per l'anima sorgente di grandi ricchezze e diletto. " Giovanni della Croce, Notte oscura, in Opere, OCD, Roma 1991, p 438.

Vivere la inabitazione della Trinità produce una nuova dottrina, una vera amorosa teologia che ci mostra come oggi siamo ancora al principio di un itinerario abissale di pensiero e di esperienza di Chiesa, per dirlo con parole di La Pira, dopo appena due millenni «nella preistoria del cristianesimo». Dopo l'assalto della gnosi o la drammatica crisi ariana che contagiò sembra metà dell'episcopato ora ecco la sfida del neomonoteismo imposto come un pensiero unico, una nuova pansofia neomessianica che accomuna tanti profeti del XX secolo, quali Renè Guènon, Nicholas Roerich, Rudolf Steiner e una miriade di altri pensatori e araldi.49 La Chiesa risponde con la serenità dei suoi santi a questi novatores che nulla di molto nuovo in realtà esibiscono.

Vorrei concludere con una delle più belle preghiere del XX secolo, una orazione semplice e abbandonata, sapienziale ed appassionata di Elisabetta Catez alla quale abbiamo già fatto riferimento. Con le parole di questa discepola di Giovanni della Croce così vicina a noi ci viene narrata una vera esperienza di amorosa presa di possesso dell'anima cristiana da parte della Trinità.

Elevazione alla Santissima Trinità (1904)

O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi interamente per stabilirmi in te, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell'eternità. Che nulla possa turbare la mia pace, né farmi uscire da te, o mio Immutabile, ma che ogni minuto mi porti più addentro nella profondità del tuo Mistero.

Pacifica la mia anima, fanne il tuo cielo, la tua dimora amata e il luogo del tuo riposo. Che non ti ci lasci mai da solo, ma che sia là tutta intera, tutta desta nella mia fede, tutta adorante, tutta abbandonata alla tua Azione creatrice.

O mio Cristo amato, crocifisso per amore, vorrei essere una sposa per il tuo Cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti... fino a morirne! Ma sento la mia impotenza e ti chiedo di «rivestirmi di te stesso», d'identificare la mia anima a tutti i movimenti della tua anima, di sommergermi, di invadermi, di sostituirti a me, affinché la mia vita non sia che un'irradiazione della tua Vita. Vieni in me come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore.

O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarti, voglio farmi tutta ammaestrabile, per imparare tutto da te. Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio fissarti sempre e rimanere sotto la tua grande luce; o mio Astro amato, affascinarmi perché io non possa più uscire dalla tua irradiazione.

O Fuoco Consumante, Spirito d'amore, «scendi su di me», affinché si faccia nella mia anima come un'incarnazione del Verbo: che io sia per Lui una umanità aggiunta nella quale Egli rinnovi tutto il suo Mistero.

E tu, o Padre, chinati verso la tua povera piccola creatura, «coprila con la tua ombra», non vedere in lei che il «Prediletto nel quale hai riposto tutte le tue compiacenze».

O miei Tre, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine infinità, Immensità in cui mi perdo, mi abbandono a voi come una preda. Seppellitevi in me perché io mi seppellisca in voi, nell'attesa di venire a contemplare nella vostra luce l'abisso delle vostre grandezze.

Copyright © 2009 Giovanni Cogliandro

Giovanni Cogliandro. «"¡Oh noche amable más que el alborada!". Un tentativo filosofico di approccio alla mistica unitiva di Giovanni della Croce». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno, Parma 20-21 marzo 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [87 KB].

Note

  1. «L'aggettivo mystikós proviene dal verbo muo, che vuol dire tacere, chiudere gli occhi; da qui deriva, in primo luogo, mysterion, mistero, nel senso ellenistico del termine, cioè il rito segreto d'iniziazione che mette in contatto l'uomo con la divinità. In secondo luogo, deriva mysteriasmós, che vuol dire iniziazione al mistero del mystés, dell'iniziato. Il termine mystikós, invece, è adoperato, in modo generale, relativamente ai misteri, cioè ai riti iniziatici delle religioni chiamate per questo misteriche. Stando dunque al significato comune del termine mysterion, il campo mistico implica sempre l'esistenza di una realtà segreta, nascosta alla conoscenza ordinaria e che, quindi, si rivela attraverso una iniziazione quasi sempre di tipo religioso. Nell'area greco-ellenistica, il termine mystikós era usato molto raramente e sottintendeva già l'idea di mistero, ma in un senso molto limitato e difficile da precisare» . L. Borriello, Esperienza mistica, in: Dizionario di mistica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1998, p. 463. Testo

  2. Cf M. Bergamo, La scienza dei santi. Studi sul misticismo del Seicento, Firenze 1984. Oggi è diventata attuale anche trattare della «teologia dei santi», come fa F.M. Léthel, Connaître l'Amour du Christ qui surpasse toute connaissance. La Théologie des Saints, Venasque 1989. Testo

  3. Due testi molto influenti al riguardo sono Michel de Michel De Certeau, Fabula mistica: la spiritualità religiosa tra il XVI e XVII secolo, Bologna, Il Mulino, 1987; M. De Certeau, Politica e mistica: questioni di storia religiosa, Milano, Jaca Book, 1975. Testo

  4. Henry Corbin, L' immagine del tempio, Boringhieri 1983. Testo

  5. Si legga ad esempio la preghiera per ottenere la sapienza in Sap 9, 1-4: «Dio dei padri e Signore di misericordia, che tutto hai creato con la tua parola, che con la tua sapienza hai formato l'uomo, perché domini sulle creature fatte da te, e governi il mondo con santità e giustizia e pronunzi giudizi con animo retto, dammi la sapienza, che siede in trono accanto a te e non mi escludere dal numero dei tuoi figli». Testo

  6. Il tema delle viscere misericordiose è di attualità teologica e pastorale: al riguardo si veda il bel testo di Antonio Bello, Con viscere di misericordia. Gli undici verbi della carità nell'icona biblica del buon samaritano, Ed. Insieme 2001. Testo

  7. Eloquente al riguardo è lo stile di von Balthasar: «Infine l'unità divina del fare e del lasciar fare (di cui si è dimostrata l'equipollenza nell'amore) si traduce mondanamente nella duplicità dei sessi. Trinitariamente il Padre appare certo, in quanto generante non originato, primariamente (super)-maschile, il Figlio, in quanto colui che si lascia avvenire, a tutta prima (super)-femminile, ma, poi, in quanto attivamente espirante con il Padre, di nuovo come (super)-maschile, lo Spirito come (super)-femminile. E mentre il Padre, come già indicato, si lascia nel suo generare ed espirare con-determinare da sempre dai procedenti da lui, c'è perfino in lui un che di (super)-femminile, senza che per questo venga intaccato il suo primato nell' ordine, ma proprio l'elemento trinitario in Dio vieta una proiezione del mondo-sessuale nella divinità (come avviene in molte religioni e nelle syzygie gnostiche) ci si deve accontentare di vedere la sempre nuova reciprocità del fare e del lasciar fare (che è per sua parte una forma di attività e di fecondità), come l'origine immisurata di quanto verrà tradotto il mondo della vita creata come forma e possibilità dell'amore e della sua fecondità sul piano sessuale.» (H. U. von Balthasar, TeoDrammatica, Vol. V, L'Ultimo Atto, Jaca Book, Milano, 1995, p. 78). Testo

  8. Il tema del dono ha una certa attualità filosofica, inteso anche come approfondimento del tema della datità (Gegebenheit) fenomenologica, che nella tradizione francese si traduce con «donazione». Testo

  9. Questa tematica ha contribuito anche a plasmare la teologia più sensibile al dialogo con la filosofia: citiamo ad esempio Jüngel «Dio ha sé stesso donandosi e solo donandosi. Ma così, donandosi, si ha. Così è. Il suo aversi è l'evento, è la storia di un donarsi, e, in questo senso, la fine di ogni mero aversi. Come questa storia egli è Dio, anzi questa storia dell'amore è Dio stesso». (E. Jüngel, Dio, mistero del mondo, Queriniana, Brescia, 1982, p. 427). In Italia il rappresentante più eminente di questa tradizione dialogica è Bruno Forte. Si veda ad esempio questo passo sulla struttura relazionale della Trinità: «La fondazione intradivina della dottrina dell'autolimitazione dell'Eterno è dunque veramente possibile solo nell'ottica del monoteismo trinitario, che colga la relazione in Dio stesso, e non in un preteso «al di fuori» di Lui. La consistenza del mondo non esige un contrarsi del divino che faccia «spazio» all'altro da sé, ma rimanda all'eterno dinamismo dell'amore umile dei Tre, per il quale ciascuno esce da sé e si dona all'altro, perdendosi per ritrovarsi nella comunione con l'altro.» B. Forte, Trinità per atei, Cortina Editore, Milano 1996, pp. 70-71. Testo

  10. S. Weil, Quaderni I, Milano 1982, pp. 240-241. Testo

  11. Da una delle ultime opere di Idel prendiamo anche spunto per una metodologia inclusiva, un approccio panoramico, cioè capace di includere per comprendere meglio senza confondere: «take into consideration as many possible sources as possible in order to better understand the emergence or the surfacing of themes that belongs to the constellation of ideas that describe.» M. Idel, Ben: Sonship and Jewish Mysticism, Continuun 2008, preface, p. ix. Testo

  12. Anche nella liturgia cattolica il «nome di Dio» è presente in maniera potente, e solo i vescovi possono pronunciare alcune preghiere di esortazione alla benedizione del nome del Signore, in particolare a conclusione della Messa. Questa invocazione è anche la prima del Padre Nostro «Sia santificato il tuo nome», la preghiera del Figlio. Ma questo tema richiederebbe uno spazio che qui non è possibile dedicarvi, ma che ci riproponiamo di affrontare, in quanto le metamorfosi e le costanti della santità del nome possono offrire gli estremi per giustificare la determinazione della forma della Gloria, cioè la bellezza irradiante di Dio sui suoi angeli e sul creato, Gloria che viene sostituita dalla indistinta santità. Nella teologia cattolica questo tema è trattato in particolare dai teologi spirituali e dai grandi dottori mistici come Giovanni della Croce, Teresa d'Avila e Caterina da Siena che esaltano la potenza trasformante del Figlio che glorifica il Padre. Testo

  13. Eckhart infatti è ben noto per le sue teorie sul mistico fondo dell'anima, sfruttate per irenismi acrobatici da autori come Vannini. Dopo gli ultimi scritti di Zolla e la teologia fallimentare (in più sensi) di Quinzio un ulteriore contributo al tentativo di decristianizzazione della mistica viene da Vannini, lo studioso che più in Italia ha divulgato proprio Eckhart. Testo

  14. Questa corrente di influenze estatico-politiche non poteva rimanere indifferente a un pensatore come Olivetti, che vi fa sovente riferimento nei suoi scritti, ma tuttavia si limita sempre ad accenni, riferimenti, evocazioni quasi. In particolare si veda il denso M. M. Olivetti, Filosofia della Religione, in La Filosofia, diretta da Paolo Rossi, UTET, Torino 1995, vol. II, pp. 137-220; pp. 182-183. In questo testo si connettono queste evocazioni al costituirsi della massoneria come naturale prosecuzione dello spirito protestante, nella pretesa che l'iniziazione a misteri umani, troppo umani sia un valido contrappeso alla divina fondazione della gerarchia tradizionale. Ci chiediamo inoltre se è solo una coincidenza (molto probabilmente lo è ma è una coincidenza panoramicamente suggestiva) che Frank abbia lo stesso cognome di Jacob Frank, il secondo messia mistico degli ebrei della Galut -Diaspora, che sconvolse le comunità ebraiche corrompendo lo cassidismo un secolo dopo Shabbatai Zevi. Testo

  15. Si confrontino due eminenti esponenti della teologia del novecento su questa tendenza che ha origini commiste con l'oriente ortodosso, a sua volta influenzato in maniera feconda dalla mediazione di von Baader: «Sergej Bulgakov, nella sua teoria della redenzione, tenta di comprendere le kenosi della croce come l' ultima delle autodonazioni di Dio, che iniziano con l' auto disappropriazione intratrinitaria di Dio il Padre a favore del Figlio e si continuano con la kenosi della creazione" (H. U. von Balthasar, TeoDrammatica, vol. IV, L'Azione, Jaca Book, Milano, 1986, p.291). Si potrebbe aggiungere che non è secondaria in questa Wechselwirkung l'opera di De Maistre. Di segno opposto ma complementare è l'interpretazione di queste dinamiche che si ritrova negli scritti di Rahner: «il concetto (Begriff) «Dio» non è un afferrare (Ergreifen) Dio con cui l'uomo s'impossessa del mistero, bensì è un lasciarsi afferrare (Sich-ergreifen-lassen) da un mistero presente e sempre sottraentesi. Tale mistero rimane mistero anche quando si dischiude all'uomo e precisamente così fonda permanentemente l'uomo come soggetto. Su questo fondamento può poi naturalmente emergere il cosiddetto «concetto di Dio», il discorso esplicito su di lui, la parola «Dio» e quel che con essa intendiamo e cerchiamo di dirci riflessamente, e ovviamente all'uomo non è neppure lecito sottrarsi alla fatica di questo concetto riflesso. Dal momento che l'esperienza originaria di Dio non è un incontro con un singolo oggetto accanto ad altri, ma invece Dio è colui che si sottrae in maniera assoluta e sovrana all'esperienza trascendentale del soggetto umano, possiamo parlare di Dio e dell'esperienza di Dio, della creaturalità e dell'esperienza della creatura, nonostante la diversità di ciò che intendiamo di volta in volta indicare, in un'unica affermazione.» K. Rahner, Corso fondamentale sulla fede. Introduzione al cristianesimo, Cinisello Balsamo 19905, p. 84. Anche il sottotitolo di questa opera si inserisce in una serie di interpretazioni che da von Harnack in poi (ma la tendenza risale alla scuola alessandrina) cercano di concettualizzare e quindi di neutralizzare la rivelazione, proprio descrivendola come avvento della radicale alterità nel discorso della teologia. Testo

  16. T. F. Mathews, Scontro di Dei. Una reinterpretazione dell'arte paleocristiana, Milano, Jaca Book, 2005. Testo

  17. Queste tesi sono presentate nell'imponente opera di Ch. Taylor, A Secular Age, Harvard 2007. Questo volume pluripremiato è stato salutato come un approccio rivoluzionario all'intreccio quasi inestricabile dei problemi epocali connessi al fenomeno della secolarizzazione. Anche «Civiltà Cattolica» gli ha dedicato un articolo nel novembre 2008. Testo

  18. Si pensi alla produzione di Marramao, ma più ancora ai recenti lavori di Serra e Tronti. Si veda G. Marramao, Potere e secolarizzazione. Le categorie del tempo, Editori Riuniti 1984, tematiche che l'autore ha sviluppato ulteriormente in Marramao, Cielo e terra. Genealogia della secolarizzazione, Laterza 1994. Pasquale Serra ha posto le premesse per un approccio filosoficamente rigoroso a questi problemi nel suo Europa e mondo. Temi per un pensiero politico europeo Ediesse 2004. Nella ricca produzione di Tronti è emblematico M. Tronti, La politica al tramonto, Einaudi, Torino, 1998; ma si veda anche M. Tronti (con contributi di AA.VV. sul pensiero di Tronti), Politica e destino, Sossella editore, Roma, 2006. Un caso particolare è infine il recente lavoro del gruppo di Epimeteo, Finis Europae. Una catastrofe teologico politica, Bibliopolis 2008: si propone una teoria d'insieme del processo storico che ha condotto alla morte politica dell'Europa e all'emergere della "terra promessa" americana, partendo dal processo in cui il divino ha compiuto il suo esodo in un nuovo mondo. Testo

  19. H. Mynarek, Religioes ohne Gott, Wien 1983. Testo

  20. Non è un caso che La religione della ragione (Bruno Mondadori 2007) sia introdotto da Roberta De Monticelli "Come raramente accade, questo libro non si limita a porre una questione, ma offre anche una risposta. Le risposte, anche quando non le si dovessero condividere, non debbono mai spaventare, e tanto meno in questo caso; una delle frasi più belle che ho sentito pronunciare dal suo autore è: "Con me percorrerai sempre inizi". E una citazione da Gregorio di Nissa, "padre della mistica cristiana", vissuto nel IV secolo, fratello di Basilio, il fondatore del monachesimo orientale. Ecco: questo libro dovrebbe proprio leggersi come un nuovo inizio..." (Dalla Prefazione di Roberta De Monticelli). Ci chiediamo: inizio di che cosa? Iniziato sulla base di quale esperienza o privilegio o autorità? come già affermava G. Mucci in La Civiltà Cattolica 2004 quaderno 3687, pp. 235-244, è chiaro che gli studi sulla mistica di questo autore e di altri che a lui si possono ricondurre appartengono alla cultura contemporanea influenzata dai presupposti filosofici della modernità e sono ben lontani dall'offrire un contributo a un'autentica teologia cristiana della mistica. Testo

  21. In questo approccio sono da ricordare le suggestioni che offrirono con i loro studi sulla filosofia della gnosi moderna V. Mathieu, Speranza nella rivoluzione, Milano 1972, ed E. Samek Ludovici, Metamorfosi della gnosi, Milano 1991. Flaubert per scrivere "La tentazione di Sant'Antonio" studiò a fondo le eresie dell'antichità. Gli gnostici erano persone consapevoli della loro natura divina e, grazie a ciò, salve. Non per il bene fatto, bensì per la loro posizione. Erano i puri, in un'età in cui la vita politica era tutta vestita di teologia. Nel loro determinismo gli gnostici distinguevano due classi di uomini: gli uomini della carne o sarchici e gli uomini dello spirito o pneumatici. Lo gnostico considera manchevole la promessa di Cristo, e vuole superarla con la dissoluzione di ogni forma: egli aspira a un potere totale su di sé, senza alcun Signore o Legislatore. Evidentemente risuona nelle sue orecchie la suadente sirena del serpente antico: «Voi sarete come dèi», e non tollera nulla di meno. Per significare la tensione verso l'informe e la perdita del limite, le sette gnostiche adottarono la sessualità aberrante come tecnica ascetica: attraverso l'unione erotica si elimina la sofferenza e la finitezza. I soggetti si riassorbono in un omogeneo universale e disintegrandosi perdono la loro individualità: il sesso doveva essere infruttuoso, perché dare esistenza è male. Testo

  22. «Certe verità riguardanti la grandezza di Dio rimangono nell'anima così scolpite, che quand'anche non vi fosse la fede a dirle chi Egli sia, e a imporle di riconoscerlo per suo Dio, l'adorerebbe come tale fin da quel momento, come fece Giacobbe dopo aver veduto la scala (Gen 28,12). In quella visione egli dovette intendere molti altri segreti che poi non seppe manifestare... Non so se in quello che dico do nel segno: l'ho udito raccontare e nemmeno so se mi ricordo bene. Neppure Mosé seppe dire tutto quello che vide nel roveto: disse soltanto quello che Dio gli permise. Certo che se il Signore non gli avesse mostrato dei segreti, e con tale certezza da fargli credere e vedere che Egli era Dio, mai Mosè si sarebbe gettato in tanti e così gravi travagli. Sotto le spine del roveto dovette intendere grandi cose che gli dettero coraggio per tutto quello che poi fece in favore del popolo d'Israele. Perciò, sorelle, dobbiamo guardarci dal voler intendere le cose occulte di Dio e dai cercarne le ragioni. Come crediamo che Egli è onnipotente, dobbiamo pur credere che vermiciattoli di così poca capacità come noi non possono comprendere le sue grandezze. Lodiamolo molto, affinché si compiaccia di farcene intendere qualcuna.» Santa Teresa d'Avila, Castello Interiore, seste mansioni, cap. 4. Testo

  23. Tra le sue molte opere oggi in italiano è stata riedita solo Réginald Garrigou-Lagrange, Le tre età della vita interiore preludio di quella del cielo: trattato di teologia ascetica e mistica, Vivere in, 1984. Sul suo pensiero si veda Giuseppe M. Paparone, La teologia mistica in padre Garrigou-Lagrange, ESD 1999. Testo

  24. Maria è la prima di tutti i mistici, la più semplice delle creature in quanto in lei non vi fu alcuna complicazione dovuta al peccato. Il fatto che Maria sia naturaliter figlia di Adamo non comporta la mancanza di grazia ex se. L'introduzione del concetto di "priorità di natura privativa" consente a Duns Scoto di introdurre il concetto della grazia ex merito alterius, ossia come redenzione preventiva di Cristo e come preservazione dalla privazione della grazia, in cui per "priorità di natura positiva" ne sarebbe rimasta priva in quanto figlia di Adamo. Sovrabbondanza che si è riversata prima e principalmente su Maria Vergine, preservandola dalla colpa originale e confermandola nella grazia divina per sempre. Si vedano al riguardo i recenti volumi di Giovanni Lauriola, Duns Scoto e la nuova evangelizzazione, ed. AGA, Alberobello 2004, e Da Cristo a Maria, (a cura di Giovanni Lauriola), ed. AGA, Alberobello 2005. Testo

  25. Julia Kristeva, Teresa, mon amour. Santa Teresa d'Avila: l'estasi come un romanzo, Donzelli 2009. Testo

  26. Non sarà inopportuno riportare per esteso il cap. 11 della lettera agli Ebrei al riguardo: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza. Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare. Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città. Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo.» Lettera agli Ebrei 11,1-2.8-19. Testo

  27. Questa temperie importata dall'occidente si è fusa con il platonismo e ha preceduto quindi i moti dei corpi sociali, ed in particolare la rivoluzione comunista: essa aveva già dato i suoi frutti nel percorso dei grandi teologi russi dell'età d'argento. Non ci è possibile qui sviluppare questo tema, tuttavia almeno possiamo far riferimento a un passo emblematico di questo sistema sofianico: già e non ancora che accomuna la presenza della sapienza (per cui la filìa vi è ormai pervenuta e la filo-sofia ha terminato il suo corso) alla riserva escatologica (emblematica nel nuovo pensiero dell'Israele metaforico e territoriale): «L'io individuale diviene se stesso in pienezza, quando cessa il proprio porsi per sé, quando perde la propria individualità. Soltanto in quel momento, esso che fino ad allora, quale raggio individualmente qualificato, risplendeva solo del proprio colore, si infiamma della luce del pleroma ed è incorporato a quella pienezza integrale, in cui Dio è tutto in tutti. [...] ogni uomo non è un pezzo della totalità degli uomini, ma è la moltiplicazione dell'uni-totalità umana al suo interno [...]. ogni singolo uomo si realizza solo nella co-ipostaticità con altre persone, cioé, unendosi ad esse con l'amore reciproco. Ogni ipostasi creaturale, non quale individualità, cioé limitatezza, ma quale centro ipostatico del tutto, è già sufficiente ontologicamente a contenere e a realizzare in sé la pienezza dell'essere nella propria natura» (S. Bulgakov, La Sposa dell'Agnello, EDB, Bologna, 1991, p. 162). Testo

  28. Olam ha-tikkun, mondo della restaurazione contrapposto al caos delle origini. Così lo definirebbe Isaac Luria. Si veda al riguardo G. Scholem, La Cabala, Edizioni Mediterranee 1992, p 429 sgg. Prima ancora della scuola di Luria la tradizione della mistica della Merkavah, il trono di Dio altissimo, ha delineato il momento centrale della transizione tra lo gnosticismo e la mistica giudaica. Al riguardo è fondamentale il recente testo di Nathaniel Deutsch, L'immaginazione gnostica. Gnosticismo, mandeismo e misticismo della Merkavah, Arkeios 2001. Testo

  29. Citiamo un passo emblematico: «Per favorire la chiarezza ricordo, citando l'autorevole manuale dei gesuiti Flick e Alszeghy, quanto sostiene il dogma: «Adamo peccando ha trasmesso a tutto il genere umano il peccato che è morte dell'anima», così che ogni bambino viene al mondo «in uno stato di inimicizia con Dio». Di contro io sostengo che il centro del cristianesimo ci impone di ritenere che non vi è nessuna «inimicizia» tra Dio e il bambino che nasce, e che quindi il dogma del peccato originale va riscritto in termini di «caos» originale, intendendo con ciò la condizione umana bisognosa di disciplina che, come scrivo nel libro, «può avere un'oscura forza distruttiva e farci precipitare nei vortici del nulla». Sostengo, in altri termini, che il centro del cristianesimo consiste in un tale legame tra Dio Padre e l'umanità da rendere insostenibile l'idea che gli uomini siano peccatori agli occhi di Dio per il fatto stesso di essere uomini, come invece vuole sant'Agostino, padre del dogma del peccato originale, il quale li destina alla dannazione solo per il fatto di essere stati generati e il cui pensiero è recepito dal dogma del Concilio di Trento quando proclama che il peccato è «propagatione, non imitatione, transfusum». A mio avviso questa prospettiva, per quanto definita come dogma, è un'offesa alla creazione e alla paternità divina, di cui la mente prima si libera meglio è.» Tratto dal testo online http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2008/04/02/replica-a-bruno-forte-di-vito-mancuso/. Testo

  30. Articolo sul Foglio del 1º settembre 2008. Testo

  31. È sempre molto suggestivo ciò che scrive sulla morte San Giovanni Crisostomo (345-407), vescovo di Antiochia e poi di Costantinopoli, uno dei 33 dottori della Chiesa e uno dei più influenti tra i Padri di Questa: «È evidente che adesso la morte non è più nient'altro che un sonno; è questa una verità, oggi più luminosa del sole. - Ma, dici, Cristo non ha risuscitato mio figlio! -- Questo è vero, ma lo risusciterà, con molta più gloria. Questa fanciulla infatti, che egli ha resa alla vita, è morta di nuovo, mentre tuo figlio, quando egli lo risusciterà, rimarrà immortale. Perciò, nessuno pianga, nessuno gema, nessuno critichi l'opera di Cristo. Egli infatti ha vinto la morte. Perché spargere lacrime inutili? La morte è diventata un sonno: perché gemere e piangere?» Giovanni Crisostomo, Omelie su Matteo, nº 31, par. 3. Testo

  32. M. Cacciari, Icone della legge, Adelphi 2002 (4. ed.), pp. 17-18. Testo

  33. Tra la letteratura sterminata al riguardo ci limitiamo a segnalare due testi di un autore di notevole levatura intellettuale: Gedaliahu Guy Stroumsa, La Sapienza nascosta. Tradizioni esoteriche e radici del misticismo cristiano, Arkeios, Roma 2000, Id., Form(s) of God: Some Notes on Metatron and Christ, HTR, 76 (1983), pp. 269-288. Testo

  34. Antonio Maria Sicari, Elisabetta della Trinità, Jaca Book 2000, p. 10-11. Testo

  35. Robert Hugh Benson, figlio dell'arcivescovo di Canterbury e convertito al cattolicesimo, pubblicò nel 1907 un romanzo di fantascienza destinato ad avere grandissimo successo; Lord of the World (Il padrone del mondo, edito in Italia per la prima volta nel 1921). Un passo suggestivo riguardante la nuova fede transconfessionale che si va impondendo: «Eccolo più rapido ancora l'Erede delle età temporali, ma esule dalla eternità, l'infelice Principe dei ribelli, la creatura contro Dio, più cieco del sole stesso che impallidiva e della terra che tremava. E, mentre Egli veniva, passando dalla ultima effettiva comparsa alla evanescenza di una apparizione spettrale, le sue vittime roteavano dietro a Lui, agitandosi come uccelli fantastici dietro la scia di un vascello fantasma. ...Egli veniva... e la terra scissa una volta ancora da opposta fede, vacillava raccapricciata nell'agonia di due adorazioni.» Robert Benson, Il padrone del mondo, Jaca Book 1987. Testo

  36. Già Lewis Ayres nel suo suggestivo Nicaea and Its Legacy, Oxford University Press 2004 riteneva necessario un riappropriarsi del dogma trinitario che richiede un superamento dei residui hegeliani nel teologare, ora forse una tale intento sarà fruttuoso e necessario anche nella filosofia della mistica. Testo

  37. Da questo approccio si può quindi comprendere quanto afferma von Balthasar commentando Hölderlin: «Una densità nuova acquista il termine dove si tratta del Mistero superiore che vige fra gli amanti. Così noi dobbiamo offrire di tanto in tanto un sacrificio alla divinità che è tra me e te, ma la cosa si chiarirà del tutto solo nella visione del comune Spirito Santo.» H. U. von Balthasar, Gloria. Vol. 5, Nello spazio della metafisica: l'epoca moderna, Milano 1981, p. 279. Testo

  38. Con le parole di Giovanni Damasceno, dottore della Chiesa: «Uscì una voce dalla nube 'Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!'» (Mt 17,5). Tali sono le parole del Padre uscite dalla nube dello Spirito: «Questi è il Figlio mio prediletto, che è uomo e ha preso la forma di un uomo. Ieri si è fatto uomo, ha vissuto umilmente tra di voi; ora il suo volto risplende. Questi è il Figlio mio prediletto; era prima dei secoli. È il Figlio unigenito del Dio unico. Fuori dal tempo ed eternamente è generato da me, il Padre. Non è venuto all'esistenza dopo di me, bensì da sempre è da me, in me e con me». Per la benevolenza del Padre, il Figlio unigenito, suo Verbo, si è fatto carne. Per la sua benevolenza il Padre ha compiuto, nel suo Figlio unigenito, la salvezza del mondo intero. La benevolenza del Padre ha fatto l'unione di ogni cosa nel suo Figlio unigenito... Veramente è piaciuto al Maestro di ogni cosa, al Creatore che regge l'universo, di unire nel suo Figlio unigenito la divinità e l'umanità e, in essa, ogni creatura, «perché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15,28). «Questi è il Figlio mio prediletto, 'irradiazione della mia gloria e impronta della mia sostanza'; da lui ho creato gli angeli, per lui il cielo è stato consolidato e la terra stabilita. Egli 'sostiene tutto con la potenza della sua parola' (Eb 1,3) e con il soffio della sua bocca, cioè con lo Spirito che guida e dona la vita. Ascoltatelo, perché chi accoglie lui accoglie me (Mc 9,37), che l'ho mandato, non in virtù del mio potere sovrano, ma come un padre. In quanto uomo infatti, è stato mandato, ma in quanto Dio, dimora in me e io in lui... Ascoltatelo, perché ha parole di vita eterna» (Gv 6,68). » Giovanni Damasceno, Omelia sulla Trasfigurazione del Signore, 18; PG 96, 573. Testo

  39. M. de Certeau, Quello che Freud fa della storia: a proposito di «nevrosi demoniaca nel XVII secolo», in Id., Politica e mistica, Milano 1975, 271. Testo

  40. Ciò è quanto fa notare f. ruiz a conclusione del suo articolo Unitad y contrastes: hermeneutica sanjuanista in AA.VV., Experiencia y pensamiento en San Juan de la Cruz, Madrid 1990, pp. 51-52. Testo

  41. «La parola «mistagogia» oggi ha un significato più concreto nell'ambito spirituale. Significa l'iniziazione graduale del credente ai misteri della fede, trasmessa e assimilata per via di esperienza interiore e di prassi impegnata, con l'aiuto di un maestro sperimentato. Sono quattro gli elementi che intervengono e in questo ordine: il mistero di Dio vivo che si comunica; assimilazione e trasformazione del soggetto che lo riceve; aiuto del maestro; mediazione di dottrina e di prassi... Il centro di attrazione e di irradiazione sta nel mistero, cioè in Dio vivo che si rivela e si mette in sintonia con il soggetto. L'esperienza mistica possiede in se stessa una grande forza mistagogica, in sintonia con l'esperienza di fede» F. ruiz, Mistica e mistagogia, in AA.VV., Vita cristiana ed esperienza mistica, Roma 1982, pp. 280-281. Testo

  42. H. De Lubac, Mistica e mistero cristiano, pp. 7-8; cit. in L. Borriello, Esperienza mistica, in Luigi Borriello et alii (cur.), Dizionario di mistica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p 474. Testo

  43. Il Compendio di Teologia Ascetica e Mistica pubblicato da Tanquerey nel 1927 contiene molte notazioni interessanti sulle precise dinamiche e le forme del peccato nell'anima umana, e sulle tecniche per la purificazione della propria anima: contiene alcuni dei primi frutti dell'incontro fra il dogma cattolica e la psicanalisi. Testo

  44. J. Baruzi, Saint Jean de la Croix et le problème de l'expérience mystique, Paris 19312, p. 448. Testo

  45. Cf J. Baruzi, Saint Jean de la Croix, in Histoire génerale des religions, IV, Paris 19147, pp. 185-197. Più tardi, Baruzi avrebbe rivisto questo punto di vista estremista, riconoscendo il ruolo importante svolto dalla Sacra Scrittura nella mistica del Dottore spangnolo ed esprimendo la convinzione che «la teologia della grazia è in totale accordo con l'analisi della vita contemplativa» (Ibid., 188). Testo

  46. U. Occhialini, Introduzione. L'esperienza cristiana dell'estasi, in: U. Occhialini e altri, L'estasi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2003, p. 5. Testo

  47. D. Barsotti, La teologia spirituale di san Giovanni della Croce, Roma 1979, p. 62. Testo

  48. Si vedano al riguardo le suggestive pagine di san Leone Magno, papa e dottore della Chiesa, in particolare i Discorsi sulla Passione del Signore. Testo

  49. Tra i testi emblematici dello stato d'animo, della vera e propria aria di famiglia comune a questa corrente così incredibilmente ramificata è da segnalare il recente Louis De Maistre, L'enigme Rene Guenon et les superieurs inconnus, Arché 2004. Testo

Copyright © Elaborare l'esperienza di Dio 2008 | teologia@mondodomani.org