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Trascendenza ed unità del Dio trinitario in Abelardo ed in Pietro Lombardo

di Ester Brambilla Pisoni (Roma, 26-28 maggio 2011)

All'interno del dibattito filosofico medievale impegnato nella definizione del dogma trinitario un ruolo significativo è assunto dalla produzione teologica del XII secolo.

In questo contributo si vogliono prendere in esame due esempi di tale riflessione trinitaria: Pietro Abelardo e Pietro Lombardo. A partire dalla finalità sottesa alle loro opere teologiche, si cercherà di mettere in luce qualche affinità e distinzione, pur senza alcuna pretesa di esaustività.

In particolare, due saranno le linee guida di questa riflessione: il presupposto imprescindibile dell'alterità dell'oggetto di indagine (la Trinità), ovvero la radicale distanza di ogni discorso umano dal mistero divino, ed il ruolo centrale assunto dalla categoria dell'unità divina, la cui specificazione e difesa costituisce preoccupazione fondamentale per entrambi i pensatori.

1. Il XII secolo alla ricerca di sistematicità teologica

L'«urgenza di offrire una trattazione completa sul mistero di Dio, cosa inesistente prima del medioevo»,1 si riflette in modo peculiare nel contesto delle Scuole del XII secolo avviate ad una sistematizzazione del sapere teologico e coinvolte nel rapporto delicato tra ortodossia ed eterodossia. La teologia non viene più concepita come esposizione della sacra pagina ma come scienza argomentativa, coniugando esigenze di completezza e chiarezza espositiva, grazie alla mediazione della ratio: un teologo che si ponga a guida degli studenti per formarli nella disciplina e nell'acquisizione degli strumenti necessari per indagare la Scrittura non può pertanto esimersi, da credente e da filosofo, dall'affrontare la questione trinitaria.

Senza entrare nel merito della vastissima tradizione e letteratura critica sulle fonti, è utile richiamare soltanto che ogni discussione su temi trinitari non può prescindere dall'apporto del pensiero di S. Agostino, che si ritiene abbia «determinato in gran parte il modo di pensare la Trinità in occidente»2 al punto da definirsi «un tornante interpretativo imprescindibile» nell'impostazione della teologia medievale.3

Una certa prospettiva storiografica ha a lungo insistito nel ritenere che Agostino parta dall'unità per arrivare alla Trinità in contrapposizione alla tradizione orientale che parte dalla Trinità per arrivare all'unità; occorrerebbe tuttavia uscire da facili semplificazioni interpretative per riconsiderare Agostino alla luce della sua ricchezza e fecondità.4 È vero che secondo la teologia trinitaria agostiniana, distinguendosi dalla tradizione orientale, il punto di partenza non è il Padre ma la natura divina stessa; ciò nonostante per alcuni studiosi la sua riflessione non può ritenersi appiattita su una concezione puramente sostanzialistica della trinità, perdendo cioè la dimensione trinitaria-relazionale delle Persone a favore della unità divina; quando infatti Agostino parla di Deus intende prima di tutto il Padre, raccogliendo già nel termine l'idea della filiazione e della processione delle altre due persone. Inoltre, la categoria che meglio di altre consente di salvaguardare la distinzione personale e la perfetta unicità e perfezione divina è per Agostino quella della relazione:5 relazione dice infatti la paternità, la filiazione e la donazione passiva. Per Agostino pertanto la Trinità è concepita sempre simultaneamente come unità di Padre, Figlio e Spirito Santo, in quanto per lui Dio è sempre insieme le tre relazioni.

Per tali motivi, si potrebbe ritenere che Agostino rappresenti non solo la tradizione occidentale, in una pretesa opposizione alla tradizione orientale, quanto piuttosto «la fede comune della chiesa antica»,6 rispettando l'eredità, non univoca, raccolta dai secoli e dai pensatori a venire. Di conseguenza, Autori come Abelardo e Pietro Lombardo si iscrivono tra i numerosi sviluppi di una lettura agostiniana, secondo un modello che potrebbe definirsi di tipo ontologico-intellettualistico.7

In particolare due sono le linee fondamentali che si possono individuare nelle trattazioni che si vengono a sviluppare in teologia, a seconda che si segua o uno schema storico-biblico, strutturato su creatio-lapsus-reparatio, e concentrato più sull'economia della salvezza, oppure uno schema aderente ad un ordine più logico, e propriamente teo-logico, per un discorso sull'intelligibilità di Dio.8

Tra i diversi modelli di teologia sistematica, Abelardo, si mostra più interessato ad individuare la logica relazione tra i temi della teologia dogmatica, morale e dei sacramenti, rispetto ad esempio alla scuola dei Vittorini, più attenta invece a considerare gli eventi in una successione cronologica all'interno della storia della salvezza.9

Per quanto riguarda Pietro Lombardo, Ciola, in particolare, sostiene che «L'indole della trattazione su Dio [...] era fondamentalmente teologica».10 Tralasciando il giudizio relativo ad una presunta mancanza di originalità nell'apporto lombardiano ai contenuti della teologia in senso proprio, occorre ricordare che, nei secoli successivi, la struttura tipica dei trattati su Dio seguirà progressivamente proprio quella presentata nel suo Liber sententiarum, secondo una struttura di questo tipo: dallo schema dell'immagine psicologica della Trinità, riflettendo l'eredità agostiniana, alla problematizzazione dell'unitrinità ai nomi divini.

Come si discuterà in seguito infatti, l'interpretazione a lungo condivisa da una buona parte della letteratura critica incline a ravvisare, con eccessiva semplificazione, un'antitesi tra due linee di pensiero, una dialettica, più scientifica, accanto ad una più teologica, o compilativa, e parimenti un'antitesi tra Abelardo e Pietro Lombardo, dovrebbe probabilmente essere riconsiderata anche alla luce di quegli studi che riportano al contesto teologico e dottrinale comune ad entrambi gli Autori, rivelando in entrambi aspetti di novità e di sviluppo, in modo diverso autonomi ed originali.11

2. Finalità apologetica di due Maestri

Prima di mettere a fuoco analogie e differenze tra la dottrina trinitaria di questi due Autori, tre considerazioni si impongono a partire dall'esame delle finalità sottese alle loro opere teologiche, ravvisabili e ben espresse nel Prologus sia alla Theologia Scholarium di Abelardo sia al primo libro delle Sententiae del Lombardo.

È vero che, se nei trattati trinitari (dalla Theologia Summi Boni alla Theologia Scholarium) 12 il maestro palatino investiga il dato rivelato con le armi della dialettica, attento a non incorrere concettualmente nei pericoli delle eresie contemporanee, pur rimanendone storicamente vittima, la preoccupazione del Maestro di Sententiae risulta invece più decisa a collocarsi nell'ambito dell'ortodossia. Ciò nonostante, una duplice intenzione accomuna i due Autori e li rende ancor più rappresentativi del loro tempo: in primo luogo la destinazione agli studenti delle Scholae, quindi un'intenzione didattico-pedagogica; in secondo luogo, seguendo ad esempio la lettura della Dreyer, un'intenzione polemica ed insieme apologetica,13 ossia l'attenta considerazione delle dispute che in tali scuole andavano impegnando studenti ed insegnanti, nella volontà di combattere efficacemente gli errori della fede cristiana.14 Infine, da non dimenticare che il terreno culturale e lo sfondo teoretico su cui si muovono i due pensatori è intrinsecamente caratterizzato dal rapporto dinamico o conflittuale, dialettico o semplicemente non a-problematico, tra ratio e fides.

Osserviamo brevemente qualche passaggio da tali Prologhi.

Scholarium nostrorum petitioni prout possumus satisfacientes, aliquam sacre eruditionis summam quasi divine scripture introductionem conscripsimus.

Il maestro palatino si appresta a soddisfare la richiesta dei suoi studenti che, già istruiti negli studi filosofici e nelle arti secolari, necessitano di una summa della sacra dottrina, che serva da introduzione alla Sacra Scrittura, persuasi che l'ingegno del maestro possa penetrare l'intelligenza delle ragioni della fede più facilmente degli abissi filosofici. Attingere alle arti secolari e profane consente pertanto di munirsi di quelle risorse linguistiche necessarie sia a difendere e corroborare le verità della fede, sia a sedare le controversie e combattere i falsi filosofi per mezzo delle armi della ragione. («sive ad defendendam sive ad astruendam veritatem eius pertinet»).

A sua volta il Lombardo così asserisce: «non valentes studiosorum fratrum votis iure resistere», collocando il suo sforzo di chiarire l'intelligenza della fede («Ac theologicarum inquisitionum abdita aperire»), in un contesto comunitario, ponendosi altresì in polemica e difesa rispetto agli errori degli eretici e di chi si allontana dalla verità delle fede cristiana, come infatti continua:

fidem nostram adversus errores carnalium atque animalium hominum Davidicae turris clypeis munire vel potius munita ostendere [...] studuimus.

Dopo aver compreso queste finalità, una seconda considerazione concerne l'ottica dalla quale i due Autori si avvicinano allo studio ed alla comprensione del dogma trinitario. L'assoluta trascendenza del Dio cristiano rimane presupposto imprescindibile sia per Abelardo sia per il Lombardo, e si affida alla possibilità umana già nel segno della finitezza. Questa consapevolezza assumerà tuttavia uno sviluppo differente nella speculazione dei due Autori.

Nei trattati trinitari Abelardo, nel precisare quali siano i limiti del lavoro del teologo, argomenta ogni sua posizione a partire dal credo professato dalla chiesa cattolica. L'incomprensibilità piena ed esaustiva del dogma trinitario, che affonda le sue radici inevitabilmente nel cuore stesso del mistero della vita divina, si traduce per lui naturalmente in un'ineffabilità logico-linguistica: il dato rivelato precede, con una priorità del tutto evidente ed indiscutibile, sia nell'ambito della natura delle cose, vale a dire a livello ontologico, sia nell'ambito della conoscenza, vale a dire a livello gnoseologico e di conseguenza anche a livello linguistico ed espressivo. La teologia si pone dunque per Abelardo come teologia "negativa" ed apre soprattutto ad un'analisi del linguaggio con cui Dio si dice e si affida alla parola umana, parola di cui ha comunque necessariamente bisogno per esprimersi al cuore della Sua creatura.

L'ottica assunta da Pietro Lombardo è invece quella di una teologia positiva: egli sostanzialmente rifiuta la concezione porretana che il linguaggio umano sia troppo povero per parlare delle cose divine così da doversi affidare soprattutto a strumenti metaforici o ad una via negativa: pur nella consapevolezza della naturale impossibilità di esaurire un discorso su Dio o di afferrarne l'essenza (da notare infatti che a più riprese l'Autore ribadisce la propria "umiltà"), il Lombardo utilizza il linguaggio del credo, si affianca alla guida dei Padri e ricerca correttezza e coerenza per un linguaggio teologico che possa rivelarsi utile a molti nell'indagine delle realtà soprannaturali.

Infine, una terza considerazione pone l'accento sulla peculiarità delle caratteristiche che di Dio si danno a pensare al teologo che si avvicina al problema della Trinità: centrale sia in Abelardo sia nel Lombardo risulta la categoria dell'unità divina, in primis poiché ancora da difendersi da eventuali accuse o contaminazioni eretiche, inoltre poiché pare di ravvisare in essa l'inconfondibile tratto di un Dio, come quello cristiano, che sceglie di farsi relazione attraverso le Persone preservando tuttavia un'inseparabile comunione ed una perfetta coeguaglianza e coeternità nell'intera Sua natura.

Dopo queste preliminari osservazioni, possiamo ora lasciarci interrogare e guidare al mistero trinitario dall'approccio teologico specifico di ciascuno dei due Autori.

3. La teologia trinitaria di Pietro Abelardo

Abelardo espone la sua riflessione teologica in tre opere, successive rielaborazioni di un primo trattato trinitario, a partire dalle quali ora cercheremo di individuare l'intreccio tra trascendenza ed unità divina.15

Il presupposto da cui avvicinarsi alla sua teologia riconosce la base ed i limiti della "ragione teologica": d'un lato la consapevolezza che il punto di partenza di qualsivoglia riflessione su Dio sia Dio stesso, cioè la necessità della Rivelazione di Dio nel Figlio; dall'altro l'impossibilità di conoscere Dio per mezzo delle «piccole ragioni umane», a causa della distanza radicale che separa l'oggetto dallo strumento della conoscenza.16 Dio resta «longe remotus», «omnino incomprehensibile»,17 «cum cuius excellentia omnem longe exsuperet intellectum»;18 tre espressioni per dire di un'alterità a livello ontologico, gnoseologico e di conseguenza anche logico-linguistico.

Da questa ineliminabile distanza tra Dio e l'uomo derivano per Abelardo due ulteriori considerazioni.

Prima di tutto si impone una attenta analisi delle modalità sia conoscitive sia espressive dell'uomo quando rivolte al mistero di Dio; Abelardo inserisce infatti nei suoi trattati scrupolose e raffinate analisi terminologiche e linguistiche (ad esempio dei termini idem, diversum e persona).

Secondariamente, ed in conseguenza di ciò, emerge l'importanza della figura, che si presenta al teologo come la via precipua per avvicinare il mistero, come strumento per dire l'ineffabile: come si dirà, similitudo e translatio (dall'immagine di cera19 al sigillo di bronzo)20 definiscono infatti la teologia di Abelardo anche come "intelligenza figurale del mistero rivelato".

Si legge infatti nella Theologia Summi Boni:

Che cosa c'è di sorprendente se Dio, che in modo ineffabile trascende ogni cosa, oltrepassa qualsiasi termine istituito dall'uomo?21

Per questo in Dio nessun vocabolo sembra conservare il significato per cui è stato inventato, ma tutti gli sono attribuiti in modo traslato e sotto forma di enigmi figurati; essi devono perciò venir indagati attraverso una similitudine che si fondi su un rapporto, così da assaporare superficialmente quella ineffabile maestà utilizzando la congettura piuttosto che la conoscenza.22

Di conseguenza, se l'unico ambito nel quale potrà applicarsi la ragione è proprio quello del linguaggio e delle sue regole, al teologo non è dato di approdare alla verità, che resta possesso di Dio soltanto nella Sua assoluta trascendenza, ma, conformemente ad i suoi limiti, l'unico spazio della teologia sarà quello affidato al verosimile, alla «congettura», come spazio che il linguaggio offre per sanare la frattura e la distanza tra Dio e le creature:

aliquid verisimile atque humane rationi vicinum nec sacre scripture contrarium proponere libet;23

umbram, non veritatem esse profitemur, et quasi similitudinem quandam, non rem.24

Tenendo sullo sfondo queste preliminari osservazioni possiamo entrare nel cuore del testo e meglio comprendere l'analisi del dogma trinitario condotta da Abelardo, il quale difende strenuamente l'unità divina, argomentando dunque con precisione linguistica ed efficacia figurata per sostenere nella discretio proprietatibus delle Persone divine la suprema coeguaglianza e perfetta coeternità del Dio trinitario onnipotente, sapiente e buono.

Già nello scorrere l'articolazione della materia teologica nella Theologia Scholarium si nota come la categoria dell'unità divina sia fondamentale.

Nel primo libro, l'Autore espone il tema ed il piano dell'opera: la Trinità delle Persone nell'unità della sostanza divina come summa della fede cristiana, dapprima posta poi discussa:

Primo itaque hanc fidei summam ponamus, de unitate scilicet ac trinitate divina; deinde positam, prout dominus dederit, disseramus.25

La posizione, certa, della fede cristiana afferma l'esistenza di un unico Dio, cioè di un'unica sostanza, per numero e per natura, assolutamente individua e semplice, fatta eccezione per la distinzione delle tre Persone quanto alle loro rispettive proprietà:26 potenza, sapienza e bontà.

L'alterità riguarda infatti le Persone e non l'essenza di Dio, come è ben chiarito in questi passi, già presenti nella Theologia Summi Boni:

Non est, inquam, aliud in natura, cum unaque trium personarum sit eadem divina substantia. Sed alius est in persona alter ab altero; ita scilicet discretus personaliter;27

Non vi è nulla in Dio che non sia Dio stesso.28

Del resto, Buytaert osserva che Abelardo usa il termine "sostanza" nel descrivere Dio, apparentemente sotto l'influenza della tradizione che fa capo ad Agostino e Gregorio Magno; tale sostantivo non si applica tuttavia a Dio in senso strettamente logico: Aristotele, Porfirio e Boezio intendono infatti per "sostanza" ciò che è passibile di ricevere accidenti ma nessun Cristiano potrebbe attribuire a Dio qualcosa che va e viene, che è prima presente poi assente, come gli accidenti. Occorre infatti aggiungere che "sostanza" è identificata, per Abelardo, con "sussistenza" e significa ciò che sta sotto agli accidenti e che li sostiene (sub-stare) oltre ad indicare anche ciò che è in grado di sussistere senza di essi, per sé soltanto (sub-sistere).29

Dalla distinzione delle tre Persone quanto alle loro rispettive proprietà il maestro palatino muove per difendere e confermare con congrui esempi e similitudini la fede nell'unitrinità divina.30

Nel libro secondo Abelardo giunge al cuore del suo sforzo intepretativo: la theologia appare infatti come "spiegazione spirituale della Trinità" proprio a partire dalla semplicità ed unità della natura divina:

Quanta sit unitas in deo. Hic spiritualiter incipit edisseri trinitas.31

Il tentativo dell'Autore è quello di mettersi in sintonia con le parole che la fede pronuncia alla luce dello Spirito, che solo può illuminare e guidare la ricerca, permettendoci di ascoltare e comprendere quanto è consegnato alla Sacra Scrittura ed alla tradizione.

È a questo punto che Abelardo introduce l'uso di figurae: la più famosa è quella del sigillo di bronzo,32 preceduta nella altre opere da quella dell'immagine di cera,33 o della statua di cera,34 accanto alla ripresa di triadi più classiche di derivazione agostiniana.35

La mancanza di un linguaggio adeguato, la povertà delle parole e l'insufficienza delle consuete regole della predicazione, «adatte alla condizione delle creature» («ad creaturarum status maxime accomodata») ,36 fanno sì che il teologo ricorra alla torsione di quei termini istituiti a significare altro, cioè allo spostamento semantico di una parola al di fuori del suo ambito normale, per ovviare all'impossibilità dell'espressione del mistero («dictiones transferimus»).37

Come sottolinea Jolivet, le similitudini non costituiscono, per Abelardo, un'adeguata espressione dei rapporti intratrinitari e tuttavia esse servono a mostrare, mediante chiari esempi, come si possano formare dei giudizi in cui la stessa realtà sia conosciuta, ad un tempo, come identica e come diversa.38 L'imago e la similitudo del resto stanno a fondamento della translatio e la preservano dall'arbitrarietà: le prime sono coerenti, rispettose del contesto predicativo ed efficaci per l'analogia attinta dal mondo delle creature, la seconda va limitata e circoscritta allo scopo preciso di comunicare ed istruire, contestando le piccole ragioni degli avversari della fede.

L'intento di Abelardo, sempre secondo la lettura di Jolivet, non appare dunque quello di «costruire una teologia induttiva, 'razionale', ma di difendere la lettera ed il contenuto della rivelazione».39

Alla luce del mistero incomprensibile della Trinità, che professa da credente, Abelardo dialettico e teologo rilegge dunque in modo originale i rapporti intratrinitari, istituendo un legame tra status e proprietas; infatti la differenza per proprietà (applicabile alle Persone divine) è espressione di un proprium (per cui il Padre genera, il Figlio è generato e lo Spirito procede) che appartiene ad una determinata realtà e non ad un'altra, in quanto la prima ha uno status che la differenzia dalla seconda e che sta anche a fondamento dell'imposizione del nome, in quanto momento rivelatore della peculiarità della cosa.

Da notare inoltre che Abelardo non parla mai semplicemente di proprietates, bensì quasi sempre di discretio proprietatibus,40 che assume infatti un significato analogico come ha ben sottolineato G. Allegro: infatti solo il rapporto tra le tre proprietà, non tra ciascuna di essa e neppure tra tutte considerate nel loro insieme, può essere paragonato all'ineffabile ed incomprensibile rapporto intratrinitario tra Padre, Figlio e Spirito Santo.41 Allegro conclude infatti sostenendo che le similitudini mettono in moto una connessione triplice, la quale collega insieme le relazioni reciproche fra tre terne di elementi in gioco, e cioè i tre elementi del sigillo di bronzo, la triade delle proprietà e le tre Persone divine, senza altresì fissare alcun vincolo di identità o totale equivalenza, bensì «solo e sempre di corrispondenza, somiglianza, simmetria».42

Dopo aver trattato nei primi due libri del credo trinitario, nucleo della professione di fede cattolica, nel terzo libro infine l'Autore si concentra sulla conoscenza di Dio, ancora una volta considerato nella Sua assoluta unità: Dio viene scoperto come Sommo Bene e fondamento "razionale" di tutta la creazione.

Si tratta dunque, per l'Autore, di dover ricapitolare in primo luogo l'unità divina e secondariamente la Sua Trinità di Persone, nelle proprietà dei loro attributi, onnipotenza, sapienza e benignità; l'originalità di Abelardo consiste tuttavia nel mostrare come l'articolazione e lo sviluppo di Dio nelle tre Persone sia in realtà necessario, e non marginale od occasionale, per comprendere l'assoluta unità del Sommo Bene e, al contempo, il suo presentarsi come sommo bene anche per l'uomo.

Pertanto unità e Trinità si richiamano continuamente in una dialettica mai esaurita: il ritmo triadico è costitutivo della vita divina e permette di coglierla come Sommo Bene, cioè come Onnipotenza che si esprime in una logica d'amore, il che equivale a gustare in essa il volto amorevole del Padre.

In quest'ottica, la teologia si comprende in Abelardo come opera umana, ma prima ancora, e in più profondità, come frutto dello Spirito. Se, come ha sottolineato il Bonanni «Per Abelardo far teologia vuol dire dispiegare spiritualmente il mistero», allora la sua ricerca si potrebbe collocare a metà strada tra gli estremi di una theologia di tipo "assiomatico", come quella boeziana, legata all'univocità delle parole, ed una theologia "tradizionale", sulla scia dei grandi Padri della Chiesa, legata ad una lettura spirituale dei testi, in cui la parola è metafora del vero, parola che esprime ed al contempo vela l'essere.43

4. La teologia trinitaria di Pietro Lombardo

Anche le Sententiae di Pietro Lombardo si collocano all'interno della speculazione teologica del XII secolo44 intento nella costruzione della theologia come disciplina scientifica e sistematica; esse vanno pertanto comprese alla luce della ricchezza, ermeneutica e concettuale, dei diversi modelli che via via si affermano in teologia e con cui direttamente o indirettamente egli si confronta ed entra in dialogo. A riguardo emergono infatti tre considerazioni.

In primis, le Sententiae possono rappresentare un tentativo filosofico a metà strada tra la Scuola di Abelardo e quella di San Vittore; inoltre esse paiono riflettere la tensione tra la tradizione greca e quella latina: d'un lato il modello di teologia trinitaria basato sul De fide orthodoxa di Giovanni Damasceno, nel quadro concettuale di un'economia della Trinità, che analizza cioè le Persone principalmente nelle loro manifestazioni all'uomo, come fossero tre ipostasi in cui è contenuta la natura divina,45 e dall'altro lato il modello di teologia trinitaria basato sul De trinitate di Agostino, per l'importanza (se pur problematica come si è accennato sopra) accordata all'unità della natura divina, distinguendo successivamente gli attributi della Trinità da quelli specifici di ciascuna delle tre Persone divine.46 Da ultimo occorre considerare che nella preferenza accordata da Pietro Lombardo al termine essentia, piuttosto che a quello di substantia, si potrebbe anche vedere un'eco della distinzione tra il pensiero di San Bernardo, che predilige una teologia dell'essere (qui est), nel rispetto della Rivelazione (in Esodo 3, 14) e secondo la tradizione di Ilario di Poitiers, e quello di Gilberto Porretano, che sembra invece preferire una teologia dell'essenza (ipsa substantia) secondo la tradizione dei Greci, ripresa da Agostino e da Boezio.47

Come si è detto sopra, fin dall'analisi del Prologo delle Sententiae si evince l'intenzione di una sistematizzazione teologica e si colgono anche le linee programmatiche dell'opera;48 scegliamo di dedicarci (come fatto per Abelardo) ad una prima, seppur veloce, rilettura degli argomenti del primo libro delle Sententiae, in cui il tema dell'unità divina risulta riferimento costante, per delineare infine qualche elemento di confronto tra i due Maestri.

Nel primo libro delle Sententiae, secondo un ordine di trattazione nuovo, nell'inquadramento concettuale del rapporto agostiniano res/signa49 solo dopo un primo approccio al mistero del Dio trinitario sulla base dell'Antico e Nuovo Testamento e delle vestigia nel creato e nell'anima umana,50 il tema diviene chiaramente quello dell'essenza divina: la natura divina viene identificata dal Lombardo con l'essere di Dio, cioè con il carattere fondamentale di immutabilità o incommutabilità, seguito poi da semplicità ed ubiquità.51 L'unità del Dio trinitario precede dunque l'analisi dell'essenza divina e viene richiamata più volte, quasi a rafforzarne l'istanza o a difenderne continuamente il valore, proprio nell'assoluta trascendenza di Dio.52

È solo dalle caratteristiche peculiari dell'essenza divina, che verrà in seguito considerata la distinzione tra le Persone divine analizzando i nomi che a ciascuna proprie si possono attribuire,53 per poi concludere sull'uguaglianza tra le Persone stesse. In questo schema si potrebbe ravvisare una certa circolarità, in quanto l'Autore passa dall'unità e indivisibilità delle proprietà, alla specificità dei nomi personali, per evidenziare di nuovo le caratteristiche che le Persone condividono (eternità, magnitudine, potenza), così da sottolinearne, esplicitamente, ancora una volta, l'unità.54

Proviamo dunque ad analizzare alcuni dei passaggi in cui il Lombardo richiama l'unità e dove del resto evidente è l'eco del dibattito dei contemporanei tra relazioni e proprietà, e tra nomi e proprietà, nonché l'analisi degli attributi di potenza, sapienza e bontà soprattutto in polemica con Abelardo.55

Nelle prime distinzioni a più riprese l'Autore inserisce la difesa dell'unità (della trinità divina) sulla base dell'autorità agostiniana. Due passaggi, in d. II, 1 e in d. III, 4, risultano in un certo qual senso complementari: egli discute infatti De Trinitate et Unitate (d. II, 1) e De Trinitatis unitate (d. III, 4).

Leggiamo nel primo:

Hoc itaque vera ac pia fide tenendum est, "quod Trinitas sit unus et solus verus Deus", ut ait Augustinus in primo libro de Trinitate scilicet Pater et Filius et Spiritus sanctus; et haec Trinitas unius eiusdemque substantiae vel essentiae dicitur, creditur et intelligitur".

Pietro Lombardo dichiara di ammettere per fede e per ragione che la Trinità sia un solo ed unico Dio, e che si dica di una medesima sostanza od essenza, pur richiamando la difficoltà e pericolosità di tale impresa umana, quella della teologia, dinanzi alla suprema ed eccellentissima realtà divina;56 L'Autore farà seguire infatti le testimonianze bibliche.

Nel secondo passaggio (d. III, 4) il Lombardo riafferma di credere che le tre persone siano un solo Dio dopo aver studiato le analogie nel creato e nell'animo umano:

Quapropter iuxta istam considerationem, ut ait Augustinus in libro nono de Trinitate, credamus, Patrem et Filium et Spiritum sanctum unum esse Deum, universae creaturae conditorem et rectorem.

Infine, questo discorso si conclude circolarmente, seppur temporaneamente, nella d. IV, 2 (Utrum Trinitas de uno Deo praedicetur, sicut unus Deus de tribus personis) in cui l'Autore si rifà al dogma della fede cattolica per combattere opinioni contrastanti affermando che come la Trinità si dice di un solo Dio così l'unico Dio si dice delle tre persone:

Fides autem catholica tenet ac praedicat, et tres personas esse unum Deum, unam substantiam sive essentiam sive naturam divinam, et unum Deum sive essentiam divinam esse tres personas.57

All'interno del primo libro delle Sententiae il tema dell'unità viene poi ripreso indirettamente in numerosi altri passaggi che sarebbe impossibile analizzare adeguatamente in questa sede; si veda ad esempio quando il Lombardo tratta della semplicità divina, quindi dall'esclusione in Dio di parti;58 o dell'inseparabilità delle tre Persone divine.59

Con numerose argomentazioni l'Autore difende l'unitrinità divina dai pericoli eretici, soprattutto dal triteismo, come nell'esemplare passaggio della d. XXIII, 5:

Ecce ex praedictis ostenditur, quod nec singularis nec diversus nec unicus vel solitarius confitendus est Deus, quia singularitas vel solitudo personarum pluralitatem excludit, et diversitas unitatem essentiae tollit. Diversitas inducit separationem Divinitatis, singularitas adimit distinctionem Trinitatis.60

Vogliamo concludere questo rapido excursus con uno sguardo alla d. 34, 2 in cui il tema dell'unità è riferito ai limiti del linguaggio del teologo e ancora connesso alla preoccupazione di una deriva triteista. Pietro Lombardo si sta interrogando se il nome di Dio coincida con il termine di essenza e, di conseguenza, se si possa dire unico Dio di tre persone, come si dice unica essenza di tre persone, e, viceversa, se si possa dire tre persone di un unico Dio come tre persone di un'unica essenza. Significativo è il termine usus (laddove nel capitolo precedente il Lombardo parla di sensus) per indicare la necessità di rifarsi in primo luogo alla Sacra Scrittura che preferisce parlare di 'essenza' anziché di 'Dio', termine che invece si è più soliti usare in riferimento alle cose create emulandone il linguaggio; in seconda istanza usus rimanda anche all'autorità delle fonti, che però qui l'Autore non cita esplicitamente («sanctos doctores»).

Non bisogna del resto dimenticare che la specificità della riflessione teologica del XII secolo, che ha visto nascere e fiorire la dialettica, esige e di per sé si presta ad un'attenta analisi del linguaggio peculiare utilizzato qualora attribuito alle Persone intradivine od all'agire ad extra di Dio.

5. Due Maestri a confronto

Dopo aver tracciato questi profili delle teologie di Abelardo e di Pietro Lombardo, proviamo ad accennare un confronto tra le loro dottrine trinitarie; di esse si prenderanno brevemente in considerazione il metodo e gli strumenti d'indagine adottati, la struttura e l'articolazione della materia teologica, i capisaldi concettuali.

Innanzi tutto è evidente che Pietro Lombardo raccoglie l'insegnamento del maestro palatino, egli non nasconde infatti di rifarsi alle precise regole metodologiche messe a punto da Abelardo nel Sic et Non di cui del resto riprende lo schema espositivo. Inoltre egli conosce i maggiori dibattiti che attraversano il suo tempo, a cui dà importanza e risonanza; è attento, ma non prigioniero, alla precisione terminologica e chiarificatrice che anima le migliori dispute dialettiche a lui contemporanee, e non appare tuttavia interessato ad un uso indiscriminato delle arti del trivium (di cui critica Abelardo): il ricorso alle autorità e la loro conciliazione sono funzionali alla difesa "critica" che il Lombardo fa della tradizione stessa, come emerge dalla selezione e dall'utilizzo, diretto o indiretto, delle fonti (per lo più di matrice agostiniana) e di cui sceglie spesso solo la più significativa,61 mostrandosi piuttosto interessato piuttosto alle ragioni delle fonti stesse.62

Secondo l'autore delle Sententiae, Abelardo ha compiuto uno studio proficuo e lodevole quanto a logica e semantica, non riuscendo tuttavia a svincolarsi da tale prospettiva; egli ritiene infatti che il maestro palatino sia rimasto un logico più che un teologo,63 non in grado di risolvere i problemi che introduce o di dar risposta alle domande fondamentali della teologia stessa. Del resto la logica in teologia, dovrebbe servire solo a chiarire controversie interpretative sul testo sacro e nel Lombardo appare slegata da una precisa collocazione ontologica e da una specifica teoria del linguaggio,64 giustificando forse in tal modo la duttilità e non univocità di alcune delle categorie semantiche usate. Tale scelta metodologica del Maestro di Sententiae potrebbe rispondere sia a motivazioni pratiche e ad una maggior fruibilità della sua dottrina in un contesto didattico, sia alla volontà di non compromettersi in ipotesi rischiose dal punto di vista dottrinale (come invece aveva fatto Abelardo).

Precisato tale aspetto metodologico, occorre considerare che il Lombardo inizia a criticare l'inadeguatezza della trattazione teologica di Abelardo, il quale oltre ad aver previsto di esporre nelle sue opere teologiche il piano tripartito di fede, sacramenti e carità, riuscendo tuttavia a trattare del primo solamente, ha finito per confondere la comprensione latina e greca riguardo alla Trinità.65 Inoltre l'articolazione della dottrina trinitaria nel primo libro delle Sententiae almeno per alcuni importanti aspetti sembra differire da quella abelardiana: come si è già detto l'ordine della trattazione appare invertito nel Lombardo, in quanto egli analizza l'essenza divina solo dopo aver posto la fede nella divinità trinitaria.

Il Maestro di Sententiae, rifiutando l'uso indiscriminato delle arti del trivium se rivolte ad indagare il mistero dell'unitrinità del Dio cristiano, critica soprattutto la dottrina dei nomi trinitari di Abelardo e si mantiene più vicino a strumenti di origine agostiniana rifiutando l'uso teologico delle figurae; dissente infine anche dall'idea di una forma di rivelazione alla sapienza pagana prima dell'Incarnazione del Verbo.

Ci concentreremo qui in particolare sulla dottrina dei nomi divini, intorno a cui ruota comunque ed inevitabilmente anche ogni altra considerazione.

Il Lombardo deplora l'uso polivalente che Abelardo farebbe di alcuni termini (come "sostanza", "natura", "persona"), in quanto gli unici termini per il primo attribuibili alla divinità nelle sue tre Persone sono in ultima istanza quelli di ingenerato, generato e procedente66

La Colish, che apprezza la cautela che il Lombardo usa rispetto all'insegnamento di Abelardo, indica alcune formulazioni trinitarie di quest'ultimo che appaiono soprattutto criticabili: innanzi tutto l'introduzione di potenza, sapienza e bontà come attribuiti in modo eminente al Padre, al Figlio o allo Spirito Santo, di cui sono nomi propri; in tal modo, si escluderebbero le altre due Persone dai medesimi, contrariamente all'autorità della Sacra Scrittura, e non si farebbe un'adeguata riflessione sulla Trinità non manifesta, su cui invece il Lombardo pone per lo più la sua attenzione. Inoltre questi respinge la figura del sigillo di bronzo introdotta da Abelardo per spiegare le relazioni trinitarie67 in quanto essa non riuscirebbe a spiegare la consustanzialità ed eternità delle tre Persone; infine non condivide neppure il riferimento ai termini neoplatonici di Uno, Mente ed Anima del mondo, che sembrano introdurre una relazione di tipo gerarchico nella Trinità, avvicinando ad un modello emanazionista.68

Per il Lombardo il concetto di proprietas abelardiana è una definizione di Persona; i nomi devono invece riferirsi alla relazione tra le Persone divine che sono uniche e non alle persone divine in rapporto agli altri esseri creati: è l'intera Trinità ad agire in tutte le manifestazioni esterne che Dio dà ed offre di Sé.69 Per il Maestro di Sententiae dunque, potenza, sapienza e bontà si dicono di Dio secondum substantiam e convengono parimenti alle tre Persone trinitarie:

Una est ergo potentia, sapientia, bonitas Patris et Filii et Spiritus Sancti, et in tres eadem potentia, eadem sapientia, eadem bonitas. Unde aperitur in trinitate summa esse perfecte.70

Di fronte allo sforzo del maestro palatino di difendere il platonismo dall'accusa di subordinazionismo, Pietro Lombardo rifiuta invece l'idea della manifestazione della Trinità anticipata, prima dell'Incarnazione, alla ragion naturale dei filosofi pagani, essendo infatti più interessato a definire la natura divina della trinità non manifesta, piuttosto che le implicazioni a livello cosmologico di essa (anche riguardo allo Spirito Santo, ad esempio, il Lombardo rafforza la differenza tra la funzione non manifesta e manifesta).71 In ciò egli difende strenuamente l'assoluta incommutabilità e trascendenza delle tre Persone nella natura divina: per lui nessuna Persona trinitaria è preminente rispetto alle altre in alcuna determinazione della divina essenza.

Alla luce dei più recenti studi della sua teologia trinitaria, si può tuttavia ritenere, come già detto sopra, che Abelardo non voglia affatto insinuare una gerarchia tra le Persone divine, all'interno della Trinità. Egli infatti sostiene, nella Theologia Summi Boni, così come nelle seguenti opere teologiche: "unicam et singularem, individuam penitus ac semplicem substantiam divinam".72

Inoltre anche Abelardo, come si è mostrato, mantiene una ferma preoccupazione nel difendere la semplicità ed unità della natura divina nella totale co-uguaglianza e co-eternità delle tre Persone trinitarie:

Ciascuna delle tre persone non è antecedente alla Trinità, anzi è assolutamente contemporanea ad essa, poiché ogni persona non può in alcun modo esistere senza le altre, e dunque senza la Trinità, dal momento che l'intera Trinità, come ogni sua persona, è eterna e necessaria.73

Il suo modo di intendere i nomi divini è del resto nuovo rispetto alla tradizione patristica: le proprietà divine non sono più sostanziali alle Persone ma si attribuiscono ai singoli sebbene siano predicate in modo indiviso di tutta la Trinità; le proprietà non si risolvono pertanto nella relazione, le si predica di Dio ma non sono altro da Dio dal punto di vista dell'essenza: esse permettono di cogliere le tre Persone nella peculiarità che le garantisce sia l'una rispetto all'altra, sia rispetto al pericolo di risolversi nella sostanza divina come in un sostrato indifferenziato od in una piatta unità.

L'ineffabilità divina legata alla trascendenza del resto si coniuga in Abelardo all'uso di similitudines e translatio, strumenti razionali di potenza esplicativa ed euristica rinnovata che Abelardo sceglie per dire il mistero trinitario ma che il Lombardo, che del resto si allontana da una teologia che resti solo "negativa", propriamente contesta e a cui sembra preferire la via analogica di stile agostiniano.

6. Qualche conclusione

Aperto e critico risulta dunque il confronto tra questi due Maestri: le loro teologie esemplificano come la riflessione trinitaria e la sua formulazione in campo filosofico non risultino certo dotate di ovvietà, né si mostrino affatto esenti da controversie interpretative.

In conclusione, se Abelardo muove dalla Rivelazione per approdare ad una complessa dialettica delle proprietà, avvalendosi dell'analisi logico-linguistica degli enunciati e di figurae per sopperire alla finitezza creaturale umana, Pietro Lombardo è decisamente più impegnato nella ricerca di correttezza e completezza nell'analisi delle fonti e delle autorità, tali da sostenere criticamente lo sforzo del teologo dinanzi alla res suprema divina, ma anche dinanzi all'ortodossia della Chiesa cattolica. Riduttivo sarebbe tuttavia rinchiudere questi due tentativi in troppo semplici schematizzazioni o in facili definizioni, poiché in entrambi occorre considerare la fedeltà e l'apertura del cuore del credente al mistero della vita trinitaria stessa, nonché un deciso impegno a non rinunciare ad esplorare il dato rivelato con gli strumenti della ratio.

Due giudizi sulla teologia di Abelardo ben descrivono la complessità di quest'Autore: Allegro ritiene che la theologia abelardiana sia intrinsecamente e metodologicamente dialettica, poiché è come se la dialettica fosse per il maestro bretone la struttura portante e la natura stessa della theologia, facendo di quest'ultima un'unica grande quaestio.74 D'altro canto secondo l'interpretazione di Bonanni, theologia per il Maestro palatino ha voluto dire «farsi condurre dal Paraclito nel cammino di rinvenimento ed esplicitazione delle chiavi di lettura sempre nuove che egli stesso suggerisce», guidando ad «un lavoro di riscrittura della grammatica e della logica trinitaria».75

A propria volta, la teologia del Lombardo rappresenta in modo simile alla Scuola dei Vittorini, ma in termini ancora più accentuati, un modo non solo per "ordinare" le autorità, ma anche per far avanzare lo studio della teologia sistematica del XII secolo in modo significativo, offrendo un coerente piano razionale. Il Lombardo, senza subordinare il suo materiale teologico alla storia della salvezza, non sembra cioè dipendere da un piano strettamente biblico o storico, ed il suo sforzo si potrebbe allora definire non solo di carattere e valore strettamente teologico, ma anche conoscitivo in genere, antropologico, morale e metafisico.76

Pietro Abelardo e Pietro Lombardo: in essi assistiamo a due vicende tormentate per aspetti diversi, a due sensibilità, a due approcci alla conoscenza ed alla ratio, a due scuole, a due teologie, diverse seppur unite dall'unità della fede o forse proprio dall'unità del Dio trinitario. Con loro intraprendiamo infine due vie, complesse ma ugualmente rappresentative non solo del loro tempo, ma anche dell'anelito del cuore umano a lasciarsi condurre dal soffio dello Spirito, cuore umano che assapora lievemente l'assoluta semplicità di Dio nella relazione e nella comunione delle tre Persone, che intravede da lontano il segreto dell'unità nel mistero della Trinità.

Copyright © 2011 Ester Brambilla Pisoni

Ester Brambilla Pisoni. «Trascendenza ed unità del Dio trinitario in Abelardo ed in Pietro Lombardo». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**67 B].

Note

  1. N. Ciola, Teologia trinitaria: storia, metodo, prospettive, EDB, Bologna, 1996, p. 97. Testo

  2. Ibi, p. 83. Testo

  3. Ibi, p. 89. Testo

  4. Cfr. ibi, pp. 84-88 Testo

  5. Agostino preferisce il concetto di "relazione" a quello di "persona", che appare invece come un concetto quasi assoluto, indicante l'io o il soggetto; ciò nonostante è da notare che Agostino non usi direttamente il termine relatio, poiché utilizza forme composite per esprimere quanto evoca tale categoria. Cfr. ibi, p. 82. Testo

  6. Ibi, p. 88. Testo

  7. Piuttosto che un modello più personalistico o storico, cfr. ibi, p. 89-98. Testo

  8. Cfr. ibi, p. 97. Testo

  9. Cfr. P.W. Rosemann, Peter Lombard, Oxford New York, Oxford University Press, 2004, p. 57. Testo

  10. Ciola, p. 98: «nel senso che l'autore del Libro delle Sentenze non aggiungeva riflessioni filosofiche determinanti, ma si atteneva alle definizioni dogmatiche ricavate dalla Rivelazione. Egli non era preoccupato di problematizzare riflessivamente, per cui il limite della sua trattazione sulla Trinità risultò quello di essere troppo costruito sulle definizioni magisteriali scaturite dalle controversie cristologico-trinitarie, assumendo e recependo della rivelazione su Dio preferibilmente gli aspetti che le controversie mettevano in discussione, non preoccupandosi di allargare la propria indagine o raccolta su Dio a tutta la Rivelazione». Testo

  11. Il contributo di Marcia Colish del 1994 ha aperto una nuova fase, nonché una prospettiva scientifica più positiva, per gli studi intorno all'Autore delle Sententiae, pur non mancando di sollevare nuove questioni; anche il recente studio di Philipp Rosemann concorda con la necessità di una più attenta lettura ed analisi delle stesse. (Cfr. M.L. Colish, Peter Lombard, 2. voll., Leiden-New York-Köln, E. J. Brill, 1994; P.W. Rosemann, Peter Lombard e New interest in Peter Lombard: the current state of research and some desiderata for the future, in «Recherches de Théologie et philosophie médiévales», Leuven, LXXII, 1, 2005, pp. 133-152). Infine il XLIII Convegno storico internazionale dedicato a Pietro Lombardo, svoltosi nel 2006 a Todi, ha già mostrato di raccogliere alcune di tali istanze e di riconoscere la centralità di tale Autore. Testo

  12. Per l'interpretazione relativa alla stesura ed alla cronologia dei trattati trinitari di Abelardo (Theologia Summi Boni, Theologia Christiana e Theologia Scholarium) si rimanda alla bibliografia del volume di Allegro (La Teologia di Pietro Abelardo fra letture e pregiudizi, Palermo, Officina di studi medievali, 1990) e a quella segnalata dal Bonanni in seguito alla sua opera di traduzione e studio del III libro della Theologia Scholarium (Pietro Abelardo, Teologia 'degli Scolastici' Libro III, tr. it. di S. P. Bonanni, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 2004). Testo

  13. Cfr. M. Dreyer, Razionalità scientifica e teologia nei secoli XII-XIII, Milano, Jaca Book, 2001, pp. 81-82. Testo

  14. Il panorama culturale e religioso del XII secolo, ancora esposto a possibili derive eretiche o non ortodosse, non può certo essere sottovalutato, poiché consente di comprendere l'ansia non solo pedagogica ma anche apologetica che caratterizza le opere dei due Autori. Ricordiamo per brevi cenni alcuni esempi: il Sabellianesimo o modalismo, con la perdita di distinzione personale nella Trinità; l'arianesimo, che introduce una distinzione per natura e dunque una certa inferiorità del Figlio rispetto al Padre, di cui Abelardo fu imputato per aver attribuito al Figlio il proprium della sapienza, definito "una certa sapienza" rispetto all'onnipotenza del Padre; il triteismo, contro l'unità e semplicità della natura divina, di cui era imputato Roscellino, primo maestro di Abelardo, e di cui questi fu a sua volta accusato nel concilio di Soissons (1121) da due discepoli di Anselmo di Laon (Alberico di Reims e Lotolfo di Lombardia), mentre il maestro Roscellino lo accusava in verità di Sabellianesimo. Occorre ricordare che nel successivo concilio di Sens (1140) l'accusa ad Abelardo, mossa da Guglielmo di S. Thierry riguarda invece la questione dell'onnipotenza divina, che Abelardo sembra attribuire alla Persona del Padre soltanto. Pietro Lombardo viene accusato invece da Gioacchino da Fiore di quaternalismo, da cui il primo si difenderà nel noto Concilio Lateranense IV (1215), durante il quale il testo delle Sententiae verrà ratificato come legittima dottrina, al punto da diventare il manuale d'insegnamento per la formazione dei teologi almeno fino al XVI secolo. Testo

  15. Si farà riferimento ai seguenti testi: Petri Abaelardi, Theologia Summi Boni, Theologia Christiana e Theologia Christiana in Opera Teologica, CCCM XII, Brepols, Turnhout, ed. E. M. Buytaert-C.J. Mews, 1987. Per le traduzioni italiane si vedano: Pietro Abelardo, Teologia del Sommo Bene, tr. it. di M. Rossini, Milano, Rusconi, 1996; Pietro Abelardo, Teologia 'degli Scolastici' Libro III, ed. cit. Testo

  16. Cfr. Teologia del Sommo Bene, II, 20: "Se infatti Dio non manifesta se stesso, la nostra mente non ha la capacità di vederlo". Testo

  17. Theologia Summi Boni, II, 64. Cfr. anche ibidem: «longe et inexcogitabili modo omnium spirituum naturam ita proprie sinceritatis subtilitate divinitas transcendit», e ibi, II, 69: «illam summam maiestatem omnino exclusam esse», «nec ullo modo regulas aut traditiones eorum ad illam summam atque ineffabilem celsitudinem conscendere, sed creaturarum naturis inquirendis eos esse contentos». Testo

  18. Ibi, II, 73. Testo

  19. Cfr., ibi, III, 52-61 e Theologia Christiana, IV, 85-90. Testo

  20. Cfr. Theologia Scholarium, II, 111-112. Testo

  21. Teologia del Sommo bene, II, 73 («Quid itaque mirum si, cum omnia ineffabiliter transcendat deus, omnem institutionis humane sermonem excedat?»). Testo

  22. Ibi, II, 78 («Unde in deo nullum propriam inventionem vocabulum servare videtur, sed omnia que de deo dicuntur, translationibus et parabolicis enigmatibus involuta sunt et per similitudinem aliquam vestigantur ex parte aliqua inductam, ut aliquid de illa ineffabili maiestate suspicando potius quam intelligendo degustemus.»). Testo

  23. Ibi, II, 26: «A proposito di queste cose non ci impegniamo ad insegnare la verità, che evidentemente non possiamo conoscere né noi né alcun altro mortale, ma ci sembra giusto proporre qualcosa di verosimile, vicino all'umana ragione e non contrario alla sacra Scrittura, contro coloro che si vantano di combattere la fede attraverso ragioni umane e non si curano che di esse». Testo

  24. Ibi, II, 27: «Al teologo non è dato dunque di approdare alla verità, che resta possesso di Dio soltanto, ma solo all'ombra della verità che è in rapporto a quella come la cosa ad una sua similitudine». Testo

  25. Theologia Scholarium, I, 18. Testo

  26. Cfr. Ibi, I, 19: "credit unitatem excepto quod ad personarum pertinet multitudinem." Testo

  27. Theologia Summi Boni, II, 31(corsivo nostro). Testo

  28. Teologia del Sommo Bene, II, 34 ("nichil scilicet in deo sit quod deus non sit"). Testo

  29. Cfr. É. M. Buytaert, Abelard's trinitarian doctrine, in Peter Abelard. Proceedings of the International Conference. Louvain, may 10-12, 1971, ed. É. M. Buytaert, Medievalia Lovaniensia, Series I/Studia II, Louvain, Leuven University Press, 1974, p. 132. Testo

  30. Cfr. Theologia Scholarium, I, 27: "Nunc autem fidei summa circa unitatem ac trinitatem divinam a nobis proposita, superest ut adversus inquisitiones dubitantium congruis eam similitudinum exemplis defendamus atque astruamus." Testo

  31. Ibi, II, 67. Testo

  32. Cfr. Theologia Scholarium, II, 111-112. Testo

  33. Cfr. Teologia del Sommo Bene, III, 54. Testo

  34. Cfr. Theologia Christiana, IV, 85-90. Testo

  35. Cfr. Theologia Christiana, IV, 82, 83 e Theologia Scholarium, II, 118-120. Testo

  36. Teologia del Sommo bene, II, 70. Testo

  37. Ibi, II, 71. Testo

  38. Cfr. J. Jolivet, Abélard ou la philosophie dans le language, Fribourg, Suisse, Paris, Editions universitaires, 1994, p. 92. Testo

  39. Ibi, p. 37. Testo

  40. Inoltre in un senso negativo più che propositivo, ossia confutatorio nei confronti delle questioni più controverse. (Cfr. G. Allegro, L'analogia nei trattati trinitari di Pietro Abelardo, in «Pagine medievali tra logos e dialettica, Scrinium, quaderni ed estratti di schede medievali», 12, Palermo, Officina di Studi medievali, 1990, pp. 6-7.) Testo

  41. Cfr. G. Allegro, La Teologia di Pietro Abelardo, fra letture e pregiudizi, Palermo, Officina di studi medievali, 1990, pp. 28-32. Testo

  42. Cfr. G. Allegro, Teologia e metodo in Pietro Abelardo, Officina di Studi Medievali, Palermo 2010, pp. 200-231. Testo

  43. Cfr. S.P. Bonanni, Parlare della Trinità: lettura della Theologia 'Scholarium' di Abelardo, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1996, pp. 134-135. Testo

  44. Si farà riferimento a: Magistri Petri Lombardi Parisiensis episcopi, Sententiae in IV libris distinctae, Grottaferrata: Editiones Collegii S. Bonaventurae Ad Claras Aquas, 1971-1981, I vol. In proposito, si può osservare che la datazione dell'opera è ancora affidata a diverse interpretazioni: secondo la ricostruzione del Bertola de Gellinck propende per gli anni 1150-1151, mentre Van Eynden ed il Buytaert per gli anni 1157-1158 (Cfr. E. Bertola, Le Sententiae e le Summae, in «Pier Lombardo: rivista di teologia, filosofia e cultura varia», [s.d.], n. 19, p. 30). La Colish invece sostiene che il Lombardo probabilmente iniziò tale raccolta dopo la prima redazione del commento alle lettere di S. Paolo, nel 1139, e ne terminò la rielaborazione negli anni tra il 1155 e il 1157-58. (Cfr. Peter Lombard, vol. I, pp. 23-24). Rosemann infine riferisce di due versioni di quest'opera, dal carattere infatti "non statico": una prima tra il 1150 ed il 1154, una seconda invece tra il 1157 ed il 1158 (Cfr. Peter Lombard, pp. 54-55). Testo

  45. Colish, Peter Lombard, pp. 91-96; cfr. anche Rosemann, Peter Lombard, pp. 55-57. Testo

  46. Occorre del resto considerare che per alcuni studiosi appare semplicistica la schematizzazione che vedrebbe prevalere nel Lombardo un'ottica trinitaria al contrario di quella unitaria tomista: (Cfr. ad esempio Ciola, op. cit., p. 98). Testo

  47. E. Bertola, Il problema di Dio in Pier Lombardo, in «Rivista di filosofia neoscolastica», Anno XLVIII, fasc. II, marzo-aprile 1956, p. 135; cfr. anche A. Ghisalberti, "Auctoritas e inquisitio veritatis. Pietro Lombardo e l'evoluzione della teologia nel secolo XII", in Pietro Lombardo, Atti del XLIII Convegno storico internazionale, Todi, 8-10 settembre 2006, Centro Italiano di Studi sul Basso Medioevo, Accademia Tudertina, Centro di Studi sulla spiritualità medievale dell'Università degli Studi di Perugia, Spoleto, Ed. Fondazione Centro italiano di Studi sull'Alto Medioevo, 2007, p. 18. Testo

  48. Cfr. anche Ghisalberti, "Auctoritas e inquisitio", pp. 1-22. Testo

  49. Cfr. d. I. Testo

  50. Cfr. d. II - d. III, 3. Testo

  51. Cfr. d. V, 1 e d. VIII. Testo

  52. Cfr. d. III, 4. Testo

  53. Cfr. d. IX e d. X. Testo

  54. Cfr. d. XIX. Testo

  55. Cfr. dalla d. XXII. Testo

  56. Cfr. d. II, 1: «De hac igitur re summa et excellentissima cum modestia et timore agendum est, et attentissimis auribus atque devotis audiendum, ubi quaeritur unitas Trinitatis, Patris scilicet et Filii et Spiritus sancti, quia nec periculosius alicubi erratur, nec laboriosius aliquid quaeritur, nec fructuosius aliquid inventiur». Testo

  57. Da notare che questo punto segue al primo riferimento del Lombardo, sempre all'interno del primo libro, alla questione problematica della generazione divina. Testo

  58. Cfr. d. VIII, 3; d. XIX, 5-7. Testo

  59. Nella d. XXI infatti, che funge in certo qual modo da raccordo tematico tra l'analisi degli attribuiti dell'essenza divina e l'analisi dei nomi delle persone trinitarie, ci si prepara a discutere la singolarità delle persone divine pur nella strenua difesa dell'inseparabilità delle stesse all'interno della Trinità. Interessante è la riflessione che sulla scia di Agostino il Lombardo compie riguardo all'aggettivo solus, se riferito ad una delle tre persone divine o a Dio, quindi alla trinità considerata indivisa. Testo

  60. Si vedano anche d. XXIII, 6 («Dio è trinus et simplex, nec multiplex»); d XXXI, 3; d. XXXII, 4-5 collegate a d XXXIV, 2, 4 per affermare che si dà una sola potenza, una sola potenza ed una sola bontà divine. Testo

  61. Cfr. Colish, Peter Lombard, vol. I, pp. 87-90. Testo

  62. Cfr. E. Bertola, Le citazioni di Giovanni Damasceno nel I libro delle Sentenze lombardiane, in: «Pier Lombardo: rivista di teologia, filosofia e cultura varia», Anno I, n. 3, 1957, p. 17. Testo

  63. Cfr. Colish, Peter Lombard, vol. I, pp. 269-270. Testo

  64. Cfr. L. Valente, "Logica e teologia trinitaria in Pietro Lombardo e nel trattato porretano Summa Zwettlensis", in Pietro Lombardo, Atti del XLIII Convegno storico internazionale, pp. 23-50. Testo

  65. Cfr. Colish, Peter Lombard, vol. I, p. 120 Testo

  66. Cfr. Colish, La cultura del Medioevo, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 455. Cfr. anche Colish, Peter Lombard, vol. I, pp. 247-248, dove si discute su come il Lombarda si interroghi poi sulla legittimità in teologia di alcuni altri gruppi di nomi. Testo

  67. Cfr. Theologia Scholarium, II, 111-112. Testo

  68. Cfr. Colish, La cultura, pp. 444-452. Testo

  69. Cfr. Colish, Peter Lombard, vol. I, p. 126 Testo

  70. d. XXXIV, 3. Testo

  71. Cfr. Colish, Peter Lombard, vol. I, pp. 259-260. Testo

  72. Theologia Summi boni, I, 1. Testo

  73. Teologia del Sommo bene, III, 11 («ita quelibet trium personarum non est prior trinitate, imno naturaliter simul cum ea, cum videlicet alia personarum sine aliis esse nullatenus queat, ac per hoc nec sine trinitate, cum videlicet tota trinitas atque unaqueque trinitatis persona eterna sit atque ex necessitate».) Testo

  74. Allegro, Teologia e metodo in Pietro Abelardo, p. 81-89. Testo

  75. Bonanni, Parlare della Trinità, p. 138. Testo

  76. Cfr. Colish, Peter Lombard, vol. I, p. 78. Testo

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