Giovanni Salmeri | Ancora l'uomo | Glossario filosofico minimo

Glossario filosofico minimo

Il volume Ancora l'uomo. Una piccola introduzione alla filosofia cerca il più possibile di evitare termini tecnici e i pochi introdotti sono in genere chiariti dal loro contesto. Questo piccolo glossario ha lo scopo di facilitare, con alcune sommarie indicazioni, la lettura di testi filosofici più impegnativi (tra cui quelli antologici forniti in questo sito). Non si è dunque tentato di sintetizzare le concezioni filosofiche su questo o quell'argomento, facendo solo qualche piccola eccezione dove è parso opportuno (per esempio per il termine «Dio»). Si è però cercato, almeno in breve, di correggere alcune frequenti false concezioni. I termini più rappresentati sono quelli usati da Aristotele, Tommaso d'Aquino, Immanuel Kant: sia per la loro importanza, sia perché le loro scelte lessicali hanno avuto una grande influenza sui filosofi successivi. La scelta è inoltre limitata ai soli termini il cui senso tecnico si allontana di più da quello comune: per questo è per esempio quasi completamente assente il lessico di carattere etico, in genere di più facile comprensione.

Come d'uso, l'asterisco * indica i termini che sono spiegati all'interno del glossario stesso. Come si vedrà, in molti casi è inoltre importante notare che i termini da un'epoca all'altra mutano di significato: in tal caso le diverse accezioni sono separate dal simbolo ◊. Slittamenti di significato continuano ad avvenire nell'epoca contemporanea, quando molti filosofi hanno usato termini tradizionali dando loro un significato nuovo, oppure hanno coniato termini nuovi per concetti tradizionali. Caveat lector!

abito (gr. héxis, lat. abitus)
Lett. «modo di essere, disposizione». Attitudine stabile; nel caso degli esseri ragionevoli, attitudine a compiere certi atti2*. Le virtù sono un caso particolare di abiti.
accidente (gr. symbebekós, lat. accidens)
Lett. «ciò che accade» o «è accaduto». ◊ In Aristotele, evento o caratteristica che non è «sempre o per lo più», ovvero che è (a seconda dei casi) casuale, accessorio, che dipende da circostanze esteriori: scoprire per caso un tesoro è accidentale, avere i capelli biondi è accidentale rispetto all'essere uomo, essere ammalato è accidentale rispetto all'essere vivo. L'«accidente» si intende sempre rispetto a qualcosa: essere razionali è accidentale rispetto all'essere un vivente, ma non rispetto all'essere un uomo. In questo senso l'«accidente» è opposto a ciò che qualcosa è essenzialmente. (Senza ulteriori indicazioni, l'accidente s'intende rispetto all'essenza* specifica: da ciò la frequente contrapposizione tra «sostanza»* e «accidenti»). ◊ Nel pensiero moderno (per esempio Locke), qualsiasi determinazione, opposta al semplice essere (chiamato «sostanza»), affermato di conseguenza «inconoscibile». Tale uso ha qualche (scarsa) radice già nel medioevo e anche in Aristotele: in base ad esso si può dire che tutte le categorie* diverse dalla prima (la sostanza) sono accidenti.
analogia (lat. analogia)
◊ In generale, somiglianza di rapporti. Parlando del significato di termini, l'analogia è a metà strada tra l'univocità* e l'equivocità: per esempio «sano» ha un significato analogo se attribuito ad un uomo o ad un cibo. ◊ L'«analogia dell'essere» è la concezione, sviluppata nel medioevo ma avente origine in Aristotele, che afferma che «essere»* ha diversi significati, benché collegati tra di loro. L'analogia si può costatare da diversi punti di vista: la sostanza* e l'accidente* «sono» entrambi, ma non nello stesso senso; l'individuo, la specie* e il genere* «sono» tutti e tre, ma non nello stesso senso; ecc. ◊ Per Tommaso un caso importante si ha nella dottrina di Dio: sia la creatura sia Dio* «sono», ma non nello stesso senso: Dio «è» l'essere, la creatura «ha» l'essere.
a posteriori (lat.)
Lett. «a partire da ciò che è posteriore». Si usa per indicare affermazioni o concetti che vengono formulati in seguito ad una certa esperienza.
a priori (lat.)
Lett. «a partire da ciò che è anteriore». Si usa per indicare affermazioni o concetti che vengono formulati prima di un corrispondente dato empirico, per esempio sulla base di pure considerazioni logiche o grazie all'esame di un semplice concetto.
atto1 (gr. enérgeia [lett. operatività] o entelécheia [lett. compiutezza], lat. actus)
Concetto correlativo di potenza*, applicabile tanto all'essere quanto al divenire. ◊ Applicato all'essere, esso indica l'esistenza reale di qualcosa, contrapposta alla semplice capacità. Un ente attuale è ciò che è (già diventato) completamente qualcosa. La pianta realizza la potenza del seme, l'armadio la potenza del legno. In questo senso, la nozione di atto si fonde spesso con quella di forma*, aggiungendovi però la connotazione di uno scopo raggiunto: il seme raggiunge il suo scopo nella pianta, il legno raggiunge lo scopo del falegname nell'armadio. La nozione di atto costituisce così per Aristotele il chiarimento maggiore possibile dell'essere: l'essere è raggiungimento della propria finalità. ◊ Applicato al divenire, esso indica la trasformazione (movimento*) attuata da un ente che ne possiede la capacità. La costruzione di una casa è dunque «atto» sia rispetto ai mattoni «costruibili», sia rispetto al muratore è «costruttore».
atto2 (gr. praxis, lat. actus)
Sinonimo di azione. Al contrario della «fabbricazione», l'atto ha in sé, e non in qualche cosa di esterno, la sua realizzazione (p.es., parlare è un atto).
buono (gr. agathón, lat. bonum)
Il quinto trascendentale* per Tommaso (il terzo per Bonaventura). Esso indica la possibilità di essere desiderato, in quanto fine, da una mente razionale. Ogni ente* è buono in quanto può costituire oggetto di desiderio. Solo il nulla è assolutamente indesiderabile. Dio è sommamente buono in quanto origine di ogni bontà e tendenza ad una totale autocomunicazione («il bene tende a diffondersi», bonum est diffusivum sui).
categoria (gr. kategoría [lett. predicazione], lat. predicamentum)
In Aristotele, uno dei generi in cui si divide l'essere*, ovvero uno dei significati che «essere» può assumere nelle proposizioni. Le categorie catalogate sono otto: sostanza*, quantità, qualità, relazione, luogo, tempo, fare, patire. (Talvolta ne vengono aggiunte altre due: disposizione e posizione.) ◊ In Kant, per il quale le cose* in sé non sono conoscibili, categoria è sinonimo di «concetto* puro», cioè di contenuto intellettuale che non deriva dall'esperienza e inquadra necessariamente i dati sensibili che giungono alla mente umana. Le categorie si desumono da considerazioni puramente logiche e ne risultano dunque esclusi spazio e tempo, che sono forme* pure della sensibilità.
causa (gr. aitía, lat. causa)
◊ In generale, ciò che spiega l'esistenza di qualcos'altro. Aristotele distingue quattro tipi di causa: causa come materia*, causa come forma*, causa efficiente, causa finale. (Per esempio e nell'ordine: il blocco di marmo, la forma della statua, lo scultore, lo scopo della statua). La causa formale e la causa finale tendono tuttavia a coincidere per le realtà naturali, in cui il fine consiste nella realizzazione della propria essenza. ◊ Nella prospettiva di Tommaso Dio* viene considerato non solo causa finale più alta, ma causa finale universale, a cui tende direttamente l'uomo e indirettamente ogni ente. ◊ Gran parte del pensiero moderno (Galilei, Spinoza) è segnato dal rifiuto della causa finale, intesa come inconoscibile o come una semplice proiezione antropomorfica. L'empirismo (Hume) afferma che anche la causa efficiente è in realtà inconoscibile, perché ciò che percepiamo è solo una successione di eventi, non un loro nesso necessario. ◊ In Kant la causa è una delle dodici categorie*: non indica dunque nulla di oggettivamente presente nelle cose, bensì un rapporto istituito (necessariamente) dall'intelletto*.
concetto (lat. conceptus, ted. Begriff)
Rappresentazione mentale di qualcosa, dunque sinonimo di specie* intellegibile o di idea* nel senso moderno. Il concetto è di sua natura sempre universale*.
contingente (gr. endechómenon, lat. contingens)
◊ In Aristotele, sinonimo di possibile*. ◊ Nel pensiero medioevale, ente che non è necessario che esista: tutti gli enti creati sono dunque contingenti, perché dipendono dalla volontà libera di Dio.
cosa (lat. res)
◊ Il primo trascendentale* per Tommaso: esso significa il possesso di un'essenza. In altre parole ogni ente* è una cosa, in quanto è determinato. ◊ In Kant, «cosa in sé» è il termine usato per indicare il concetto moderno di «sostanza»* (inconoscibile), contrapposta al fenomeno* (conoscibile).
creazione (lat. creatio)
Produzione delle cose «dal nulla» cioè «non da qualcosa» (non da una materia preesistente). Per Tommaso la creazione del mondo è una verità accessibile alla ragione: una volta ammesso che Dio è l'essere sussistente, egli dev'essere considerato l'origine di ogni altro essere per partecipazione*, dunque anche di quello della materia* (diversamente dal Dio* di Platone o di Aristotele). Il principio «nulla viene dal nulla» va dunque limitato ai processi naturali.
definizione (gr. horismós, lat. definitio)
L'espressione verbale dell'essenza* di qualcosa. Essa si forma indicando il genere e la differenza specifica: per es., l'uomo è l'«animale (genere*) razionale (specie*)». La definizione propriamente detta è dunque impossibile per tutti quei concetti (tutti i più importanti nella metafisica: essenza, forma, materia, atto, potenza...) che non costituiscono una specie determinata, ma attraversano tutti i generi e tutte le specie mantenendo un significato solo analogo per i diversi enti.
Dio (gr. theós, lat. deus)
◊ In Platone, in un orizzonte sostanzialmente politeista viene introdotta la figura del Demiurgo, colui che ha fabbricato il mondo sensibile operando su uno «spazio» e seguendo il modello del mondo delle idee. Il Demiurgo è reso necessario dalla considerazione che il mondo del divenire suppone qualcuno che l'abbia prodotto. ◊ In Aristotele l'esistenza di Dio è dimostrata (a posteriori*) dal movimento* del mondo: esso è eterno e dunque richiede l'esistenza di un movente eterno, cioè sempre e soltanto «atto»* e mai «potenza»*. L'atto più nobile che conosciamo è il pensiero, dunque Dio è pensiero di sé stesso. Considerato come causa* finale, Dio è l'«ottimo» nell'universo; le sfere celesti (che i filosofi arabi chiameranno intelligenze*) si muovono mosse dall'amore per lui, e causano ogni altro movimento nel mondo. ◊ Anselmo d'Aosta elabora una prova dell'esistenza di Dio che parte dal suo concetto come «ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore» (un concetto cui si giunge a partire da una considerazione delle cose create e dai loro diversi gradi di «grandezza», cioè di bontà). Una volta compreso questo concetto di Dio, si deve affermarne l'esistenza reale per non cadere in contraddizione: un Dio inesistente sarebbe infatti «minore» di un Dio esistente parimenti pensabile. Questa prova verrà spesso fraintesa come una «prova* ontologica». ◊ Tommaso riprende la prova di Aristotele, ma la completa con altre. La più importante di esse è desunta dalla sua concezione della composizione di essenza* ed esistenza*: le cose contingenti* (che possono essere e non essere) devono ricevere l'esistenza da qualcos'altro, ma non potendo andare all'infinito bisogna alla fine ammettere qualcosa in cui essenza ed esistenza coincidono, e questo è Dio*. Dio va dunque inteso come lo «stesso essere sussistente»: ciò non significa però né che Dio vada identificato con l'«essere* comune» delle cose, né che Dio sia privo di essenza, di determinazioni: la sua essenza è anzi la più ricca di determinazioni trascendentali*, benché sia inconoscibile all'uomo che vive sulla terra. Questa inconoscibilità è il solo motivo che spinge Tommaso a rifiutare quella che gli pare (erroneamente) la pretesa di Anselmo, che cioè l'esistenza di Dio sia evidente e non bisognosa di dimostrazione. ◊ Kant ritiene per principio erronea ogni dimostrazione dell'esistenza di Dio, che tenta di raggiungere qualcosa che è di là da ogni possibile esperienza.
doppia composizione (lat. duplex compositio)
Teoria di Tommaso secondo cui nelle sostanze corporee vanno distinte due diverse composizioni: quella tra materia* e forma*, in cui la materia svolge il ruolo della potenza*, la forma quello dell'atto* (questa composizione costituisce l'essenza*); e quella tra essenza* ed essere o esistenza* (questa composizione costituisce l'ente reale). In questa seconda composizione, l'essere o esistenza svolge il ruolo di atto: l'essere può dunque venir chiamato «l'atto di tutti gli atti». Nelle sostanze spirituali, prive di materia (cioè le intelligenze* o angeli) si trova soltanto la composizione tra essenza ed essere.
eidetico (ted. eidetisch)
In Husserl, sinonimo di «essenziale», cioè riferito all'essenza*.
ente (gr. ón, lat. ens)
◊ Ciò che è, ogni cosa che è. In polemica con Platone, Aristotele dimostra che l'ente non è un genere*, non è il «genere sommo» della realtà: ciò significa che esso assume diversi significati in rapporto alle diverse realtà di cui si predica. In linea generale, egli distingue quattro significati di ente: l'ente per sé (ovvero come essenza*), l'ente come accidente*, l'ente come vero*, l'ente come potenza* e atto*. ◊ Tommaso precisa il senso di «ente» come «ciò che ha l'essere», intendendo così l'ente creato. Le determinazioni universali dell'ente sono i trascendentali*. Dio* può essere chiamato ente intendendo però «ciò che è l'essere».
esistenza (lat. existentia, ted. Existenz)
Significa astrattamente ciò che «essere»* significa concretamente. ◊ Concetto che Aristotele, in polemica con Platone, afferma coincidere con quello di essenza*: esistere significa infatti coagulare quell'insieme di caratteristiche stabili (diverse per ogni specie di enti) che costituiscono l'essenza. ◊ Tommaso, più platonicamente, lo distingue invece dall'essenza, per significare la contingenza* degli enti, cioè la loro possibilità di essere o non essere: io posso conoscere l'essenza della fenice (cioè la sua descrizione concettuale) senza sapere nulla se essa esista o meno. Essenza ed esistenza (o essenza ed essere, come preferisce dire Tommaso) formano dunque una «composizione» negli enti creati, mentre coincidono solo in Dio*, essendo egli assoluta semplicità in quanto principio primo. Questa concezione della «distinzione reale» tra essenza ed esistenza viene spesso considerata il carattere più tipico del tomismo, pur essendo stata spesso contestata in nome di Aristotele nel medioevo stesso. ◊ In Heidegger, carattere tipico dell'uomo, per il quale egli è capace di interrogarsi sul suo proprio essere (da qui deriva nel linguaggio comune contemporaneo l'uso di «esistenza» come sinonimo di «vita»).
essenza (lat. essentia, originariamente usato per tradurre il gr. ousía [poi substantia], successivamente e oggi comunemente per tradurre il gr. tí én éinai [prima reso letteralmente con quod quid erat esse, «ciò che era l'essere»])
◊ In Aristotele, il significato più autentico di sostanza*: l'essenza è l'insieme delle determinazioni che distinguono un ente concreto dagli altri, caratterizzandolo «sempre o per lo più» (dunque si identifica con la forma*); l'essenza è intesa come individuale (in polemica con Platone): due uomini posseggono sì un'essenza identica, ma non la stessa e unica essenza (altrimenti essi sarebbero lo stesso uomo). ◊ Tommaso riprende il senso aristotelico, intendendo tuttavia l'essenza come universale (quasi come l'idea* platonica: da qui nasce il problema dell'individuazione*). La sua diversa concezione della sostanza* si riflette inoltre sull'essenza, che è considerata negli enti materiali come unione di forma e materia. L'essenza viene considerata distinta dall'esistenza*. ◊ Emmanuel Levinas usa il termine nel senso di «atto di essere*», dunque grosso modo come un sinonimo di esistenza* nel significato medievale.
essere (gr. éinai, lat. esse)
Significa concretamente ciò che «esistenza»* significa astrattamente. ◊ Verbo che indica la totalità di ciò che può essere conosciuto ed espresso, al cui chiarimento è dedicata la metafisica in quanto scienza universale. In Aristotele interrogarsi sull'essere equivale a cercare la nozione di sostanza*. ◊ Tommaso distingue due diverse nozioni di essere: l'essere come «essere comune» (esse commune) che indica l'esistenza* di tutte le cose in generale; l'essere come «essere sussistente» (esse subsistens) che indica Dio* in quanto unico ente la cui essenza si identifica con il suo stesso essere.
fenomeno (ted. Erscheinung, Phänomen)
Lett. «ciò che appare». ◊ In Kant indica ciò che è conoscibile in quanto si manifesta ai sensi umani, opposto al «noumeno» (cioè «oggetto di puro pensiero ma non di conoscenza») cioè alla la cosa* in sé. ◊ In Husserl, il fenomeno è la cosa in quanto si manifesta e rende quindi accessibile alla mente umana le sue determinazioni eidetiche*.
forma (gr. morphé, lat. forma)
◊ Termine correlativo di «materia»*, che indica l'insieme delle determinazioni che rendono qualcosa appunto ciò che è. Per l'armadio la forma è la configurazione che assume il legno, per l'uomo è l'anima intesa come realizzazione delle funzioni vegetative, sensitive e intellettuali potenzialmente presenti nel corpo, ecc. Il concetto di forma si identifica quindi in Aristotele con quello di essenza*. ◊ Kant usa il termine in un significato più debole, per indicare la sola configurazione sensibile di qualcosa; spazio e tempo sono «forme pure», in quanto non sono ricavati dall'esperienza sensibile ma al contrario sono il presupposto di essa.
genere (gr. génos, lat. genus)
Suddivisione logica superiore alla specie*: se «uomo» è la specie, generi sono «vivente», «animale», «mammifero» ecc.
idea (gr. idéa [lett. figura], lat. idea, fr. idée, ingl. idea)
◊ In Platone, modello eterno e perfetto di ogni singola specie di realtà, corporea o morale. Il mondo visibile è imitazione o partecipazione* del mondo delle idee e ha in esso il suo essere. Aristotele respinge questa teoria come inutile, mitologica e non esplicativa, affermando che ogni cosa deve possedere in sé stessa il proprio essere (donde la sua teoria dell'essenza*). ◊ Tommaso, seguendo il neoplatonismo, riprende la teoria delle idee considerate però come il contenuto della mente divina: Dio crea il mondo con la sua volontà seguendo ciò che il suo intelletto* ha pensato. Il mondo delle idee può essere così accostato alla seconda persona della Trinità, «verbo» di Dio. ◊ Nel pensiero moderno, idea è ogni contenuto della mente umana. Kant però preferisce in questo senso il termine «rappresentazione» (Vorstellung), mantenendo per «idea» un significato più vicino a quello platonico: costruzione mentale che pretende di rappresentare qualcosa di inconoscibile (p.es. «idea di Dio*»).
individuazione (lat. individuatio)
◊ Distinzione dei diversi individui all'interno di una stessa specie*. L'individuazione costituisce un problema solo quando l'essenza* viene concepita come universale: è per questo che esso non compare in Aristotele. ◊ Tommaso, che concepisce l'essenza come universale, afferma invece la necessità di un «principio di individuazione»: esso viene ravvisato (seguendo Platone) nella materia*. Non tuttavia una materia generica (che è parimenti inclusa nell'essenza universale), ma la materia signata, sottoposta cioè a determinazioni spazio-temporali. Un uomo è distinto dall'altro per il fatto di avere questa carne e queste ossa. Dato che le intelligenze* (o angeli) non posseggono materia, bisogna ammettere che in esse ognuna costituisce una specie a sé. ◊ Giovanni Duns Scoto respinge la soluzione di Tommaso (riavvicinandosi di fatto ad Aristotele): l'individuazione è data da un'ultima determinazione formale (chiamata dai suoi discepoli «ecceità») che individualizza l'essenza universale.
intelletto (gr. nous, lat. intellectus, ted. Verstand)
◊ L'attitudine ad intuire o comprendere i princìpi primi di una scienza*. ◊ In Aristotele, intelletto è chiamata anche la facoltà umana che ricava i concetti dalle specie* sensibili (li «astrae») e li fa propri. Questi due aspetti vengono assegnati a due parti o funzioni dell'intelletto, rispettivamente chiamati «intelletto agente» e «intelletto passivo». Il processo intellettivo è complessivamente uno dei due momenti fondamentali di ciò che comunemente si chiama «pensare». Il secondo è quello compiuto dalla ragione*. ◊ Nella filosofia moderna viene abbandonata la distinzione tra «intelletto agente» e «passivo» e (soprattutto in Kant) si pone come carattere tipico dell'intelletto la sua «spontaneità»: il pensiero non è vincolato ai dati sensibili e dunque è totalmente libero nelle sue operazioni.
intelligenza (lat. intelligentia)
◊ Termine usato da Tommaso (che lo riprende da filosofi arabi) per indicare in sede filosofica le creature spirituali, in sede teologica chiamati «angeli». Esse corrispondono alle entità che in Aristotele causano il movimento delle sfere celesti. ◊ Nell'epoca moderna, spesso è sinonimo di intelletto*.
materia (gr. hýle, lat. materia)
◊ Ciò «di cui» qualcosa è fatto, costituendone la componente indeterminata: il legno per l'armadio, il corpo per l'uomo, il metallo per l'utensile. È possibile parlare di materia a diversi livelli: la materia della casa sono i mattoni, la materia dei mattoni è l'argilla (si può dunque dire che i mattoni sono la materia prossima della casa, mentre l'argilla è la materia remota). Da qui nasce il problema di una «materia prima» assolutamente indeterminata: Aristotele nega che possa esistere, Tommaso la ammette. ◊ Dalla concezione di una materia assolutamente indeterminata e dallo slittamento del concetto di sostanza*, nel pensiero moderno deriva talvolta l'identificazione delle due, ritenute in sé parimenti inconoscibili.
movimento (gr. kínesis, lat. motus)
◊ Definito da Aristotele «l'atto di ciò che è in potenza dal punto di vista per cui è in potenza»: atto* e potenza* si intendono qui applicate al divenire. «Movimento» va quindi inteso nel senso generico di «mutamento, trasformazione». Per Aristotele esistono solo quattro tipi di movimento: secondo la sostanza* (generazione e corruzione), secondo la quantità (accrescimento e diminuzione), secondo la qualità (alterazione), secondo il luogo (traslazione). Secondo le altre categorie* non può parlarsi invece di movimento. Tutti i movimenti richiedono la permanenza di un soggetto*: la materia* nella generazione e corruzione, la sostanza* negli altri casi. ◊ Tommaso aggiunge un quinto genere di movimento, non naturale, in cui non è richiesta la permanenza di un soggetto: la «transustanziazione» (il cui unico esempio si ha nell'eucarestia) in cui si trasforma l'intera sostanza intesa come composto di materia e forma.
natura (gr. phýsis, lat. natura)
◊ In senso proprio, ciò che è dotato di un principio intrinseco di movimento*: fanno dunque parte della considerazione della natura («fisica») l'uomo, l'animale, la pianta, gli astri, qualsiasi elemento che è inserito in un sistema di forze spontanee (per es. la pietra che cade). Ne sono esclusi gli oggetti di tecnica (che hanno il loro principio di mutamento in chi li fabbrica) e Dio (che non muta). ◊ In senso traslato, sinonimo di essenza*. ◊ Nel linguaggio moderno, si intende spesso per natura tutto ciò che è distinto dalle realtà tipicamente umane, complessivamente indicate con «spirito».
partecipazione (gr. méthexis, lat. participatio)
Concetto platonico, respinto in quanto non esplicativo da Aristotele, ma ripreso da Tommaso per indicare il rapporto tra Dio* e le creature: in Dio l'essere è originario, nelle creature esso è «partecipato» (cioè viene ricevuto in dono senza che il donatore lo perda). Il concetto di partecipazione si applica anche a tutte le perfezioni trascendentali* (bontà, verità ecc.).
possibile (gr. dynatón, lat. possibilis)
Si dice di un'affermazione che può rispecchiare la realtà. Il «possibile» è dunque sul piano logico ciò che la «potenza»* è sul piano della realtà. Il criterio della possibilità è costituito dalla non contraddizione: possibile è ogni affermazione che non contiene nessuna contraddizione, palese o nascosta.
potenza (gr. dýnamis, lat. potentia)
Concetto correlativo di atto*, applicabile tanto al divenire quanto all'essere. ◊ Applicato al divenire, esso indica la capacità di un ente di essere trasformato (potenza passiva) o trasformare (potenza attiva), un altro ente o anche sé stesso. I mattoni sono «costruibili» (potenza passiva), il muratore è «costruttore» (potenza attiva). ◊ Applicato all'essere, esso indica la capacità di essere qualcosa. Un ente in potenza è ciò che non è (ancora) qualcosa, ma può diventarlo. Il seme è in potenza la pianta, il legno è in potenza l'armadio. In questo senso, la nozione di potenza si fonde spesso con quella di materia.
prova ontologica (ted. ontologischer Beweis)
Kant chiama così la dimostrazione dell'esistenza di Dio* che parte da un puro concetto, senza usare alcun dato empirico (dunque a priori*). La sua vera e propria formulazione si trova per la prima volta in Leibniz (non nella prova dell'esistenza di Dio di Anselmo, come spesso si crede).
qualcosa (lat. aliquid)
Il terzo trascendentale* per Tommaso: esso significa la distinzione dagli altri enti. Ogni ente è qualcosa (aliud quid, un «qualcos'altro») perché individuale e non identificantesi con nessun altro.
quiddità (lat. quidditas)
Sinonimo di essenza*, in quanto risposta alla domanda «che cos'è» (quid est).
ragione (gr. logos, lat. ratio, ted. Vernunft)
◊ La facoltà dell'uomo che passa da un concetto all'altro «ragionando», cioè esaminandone i reciproci rapporti. Questo processo è uno dei due aspetti fondamentali di ciò che comunemente si chiama «pensare». Il primo è quello compiuto dall'intelletto*. ◊ Più in generale, sinonimo di motivo, causa*. ◊ La «distinzione di ragione» è quella che deriva solo da un diverso modo di considerare una stessa cosa: per esempio tra «la capitale d'Italia» e «la sede del Papato» c'è una distinzione solo di ragione. In caso contrario si parla di distinzione reale.
scienza (gr. epistéme, lat. scientia, ted. Wissenschaft)
◊ In generale, sistema di conoscenze rigorosamente dimostrate (in opposizione alla semplice opinione). In questo senso generale, la filosofia è, secondo la maggior parte dei filosofi, una scienza o la scienza per eccellenza. ◊ In Aristotele, anche l'attitudine a dedurre correttamente le conseguenze dai princìpi primi. ◊ Nell'età contemporanea, spesso sinonimo di «scienza naturale» (che studia campi della natura) o «scienza esatta» (che usa la matematica come strumento). In questo senso la filosofia è spesso contropposta alle scienze.
soggetto (gr. hypokéimenon, lat. subiectum)
◊ In senso logico, ciò a cui viene attribuito un predicato: «S è P». Dal senso logico derivano i due seguenti sensi reali. ◊ La sostanza* in quanto soggetta a movimenti*: «il cane abbaia», «la casa crolla». ◊ La materia* in quanto presupposto di una sostanza*: «queste pietre sono una casa», «questo corpo è un essere umano». ◊ L'essere umano in quanto conoscente e distinto dalle cose conosciute, chiamate correlativamente «oggetti».
sostanza (lat. substantia, originariamente scelto per tradurre il gr. hypokéimenon [poi subiectum], successivamente e oggi comunemente per tradurre il gr. ousía [prima essentia])
◊ In Aristotele, il primo significato dell'essere, che è presupposto da tutti le altre categorie*. Un uomo per camminare (o per avere determinate qualità, relazioni ecc.) deve anzitutto esistere: dunque il camminare (come azione) presuppone l'uomo come sostanza. Il problema fondamentale della metafisica consiste quindi nel chiarire che cosa sia la sostanza: per Aristotele si tratta dell'insieme delle caratteristiche che determinano «sempre o per lo più» un certo ente concreto. Contro Platone, Aristotele sostiene dunque l'individualità della sostanza: sostanza è anzitutto il singolo uomo (o la singola pietra, casa ecc.) e solo in un senso subordinato la specie* umana. D'accordo con Platone, ritiene invece che la sostanza sia anzitutto forma* (e non materia*). Originale è la sua concezione della sostanza come atto*. ◊ In Tommaso, il significato aristotelico viene sostanzialmente ripreso, con almeno una differenza notevole: nel caso degli enti corporei (per es. l'uomo in opposizione all'angelo), «sostanza» è il «composto» (gr. sýnolon) di forma e materia: non ci sarebbe altrimenti possibilità d'individuazione*. ◊ Nel pensiero moderno (Locke ad esempio) si intende con sostanza il puro fatto d'essere di qualcosa, che prescinde da ogni determinazione conoscibile. Da qui deriva spesso l'affermazione della inconoscibilità della «sostanza» (da Kant chiamata «cosa* in sé»).
sostrato, supposto (gr. hypokéimenon, lat. substratum, suppositum)
Sinonimi di soggetto* (escluso il senso logico).
specie (gr. éidos [lett. aspetto], lat. species)
◊ Suddivisione logica inferiore al genere*, al di sotto della quale c'è soltanto la moltiplicazione in individui: specie sono quindi «uomo», «cane», «abete» ecc. (la caratterizzazione della specie è particolarmente significativa nel caso degli esseri viventi). Ogni specie è caratterizzata da una o più «differenze» che la distinguono dalle altre specie dello stesso genere. Il concetto di specie va così a confondersi con quello di forma*. ◊ In Tommaso, «specie sensibile» e «specie intellegibile» sono i tramiti della conoscenza: la prima è l'immagine di una cosa ricostruita dai sensi, la seconda la rappresentazione della sua essenza* operata dall'intelletto, chiamata più brevemente «concetto*».
trascendentali (lat. trascendentia o trascendentalia)
◊ Nel medioevo, caratterizzazioni universali dell'ente* che superano ogni genere*, e hanno dunque la sua stessa estensione. La distinzione tra di essi è dunque solo di ragione* e non reale. Per Tommaso essi sono: cosa*, uno*, qualcosa*, vero*, buono*. In altri autori (Bonaventura, Giovanni Duns Scoto) l'elenco viene ridotto a tre voci: uno, vero, buono. Talvolta viene aggiunto il bello. I trascendentali costituiscono un filo conduttore importante nella teologia razionale: Dio*, in quanto sommo ente, possiede in pienezza tutte le determinazioni trascendentali. ◊ In Kant si dice di conoscenze che riguardano la possibilità di una conoscenza universale. I trascendentali sono dunque caratteristiche non più delle cose* ma della mente umana.
universale (lat. universalis)
Si dice di ciò che può essere identicamente predicato di più soggetti*. Ogni concetto* è di sua natura tale (il concetto di «sedia» si può predicare infatti di molti oggetti, cioè di tutte le sedie esistenti).
univocità (lat. univocitas)
◊ In generale, caratteristica dei termini che vengono usati con un identico significato. ◊ L'«univocità dell'essere» è la concezione, sviluppata nel medioevo (Giovanni Duns Scoto soprattutto), che afferma che «essere» ha almeno in parte un identico significato quando applicato a Dio e alle creature. Per Scoto ciò è necessario per spiegare la validità delle dimostrazioni dell'esistenza di Dio*: se «essere» significasse cose diverse, sarebbe impossibile passare dall'essere delle creature a quello del Creatore. Tale dottrina è diversa da quella dell'analogia*, ma può essere ritenuta conciliabile con essa.
uno (gr. hén, lat. unum)
Il secondo trascendentale* per Tommaso (il primo per Bonaventura): esso significa l'identità con sé stesso. Ogni ente è uno in quanto rispetta il principio di non contraddizione. Dio* è uno in quanto assolutamente semplice.
vero (gr. alethés, lat. verum)
◊ Si dice di un'affermazione che rispecchia la realtà: la frase «la neve è bianca» è vera se e solo se la neve è bianca. Questa concezione della verità, che inizia da Aristotele e giunge fino alla logica contemporanea, è detta «teoria dell'adeguazione» (adaequatio rei et intellectus, «adeguazione della cosa e dell'intelletto»). ◊ Il quarto trascendentale* per Tommaso (il secondo per Bonaventura). Esso significa la possibilità di concordare con una mente conoscente. Ogni ente è vero in quanto è in linea di diritto comprensibile, conoscibile. Solo il nulla è assolutamente inconoscibile. Dio* è massimamente vero in quanto è la stessa origine di ogni verità.