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Cuori con-cordi ma non all'uni-sono. L'allegoria alla vita cristiana della vox strumentalis nelle Enarrationes in Psalmos di S. Agostino

di M. Benedetta Zorzi (8 marzo 2007)

L'originale riflessione di Agostino sul melos è stata già analizzata in altri contributi apparsi su questa stessa rivista, in cui era stata annunciata anche un'analisi sugli strumenti musicali.1

Si tratta in realtà di un tema che risulta un po' secondario ai fini di un vero e proprio studio sulla musica. Non è infatti questo il luogo tematico di una elaborazione del significato teologico della musica da parte dei padri, tanto meno di Agostino, che pure è considerato il «primo teorico»2 della musica. Davanti alle affermazioni dei testi veterotestamentari e soprattutto del Libro dei Salmi, in cui si parla esplicitamente dell'uso di strumenti musicali nella lode di Dio, i padri interpretano semplicemente in similitudinibus (En. Ps. 97, 6), cioè spiritualizzando, forse nel tentativo di evitare un certo imbarazzo dovuto al fatto che l'introduzione di questi strumenti nelle chiese era questione assai spinosa se non per lo più assente.

Tuttavia parlare della vita cristiana nella metafora del suono e della musica strumentale è stato ed è un topos non privo di interesse spirituale.

1. I Padri e l'interpretazione figurata degli strumenti musicali

Generalmente si sostiene che l'epoca patristica abbia condannato l'uso degli strumenti musicali nella liturgia in quanto ricordavano le feste pagane, il culto idolatrico, l'immoralità degli spettacoli e del teatro, la musica delle taverne.3 I padri si sarebbero decisi per il canto puro, la sola voce senza accompagnamento musicale e anche questa solo se cantata in modo molto sobrio. C'è chi afferma con tutta sicurezza che tra i padri la musica ha poco rilievo ed è guardata con sospetto.4 Tuttavia tale affermazione, anche se non errata, va presa con prudenza non trattandosi di un giudizio rigido né così inflessibilmente attribuibile a tutti gli autori dell'epoca patristica.5 Le cose sono più sfumate.

Certamente si nota una certa resistenza nei confronti della musica pratica, anche, ma non solo, sulla scia dell'eredità classica.6 Per comprendere tale resistenza, bisogna ricordare, oltre alla portata che la musica strumentale aveva assunto nel paganesimo, ancor più l'intrinseco legame tra esperienza estetica e religiosa, considerata, a causa della sua ambiguità, sempre molto pericolosa. La musica infatti fu considerata fin dalle origini capace di comunicare il senso di un enigma che la sola ragione non riusciva a spiegare o che esorbitava dai limiti del logos, del concettuale e della parola (infatti è presente in molti miti cosmogonici); allo stesso tempo però essa era vista anche come tentazione, come forma del demoniaco, del sensuale7 e così in questa doppia simbolica (la musica intelligibile di origine pitagorica e la musica cosiddetta pratica) ha percorso alterne vicende fino ai padri. Collegata tuttavia all'espressione dell'immediato, come l'arte,8 essa fu sempre assunta nell'esperienza del sacro, per esempio nei riti misterici:9 ma proprio per questo carattere di non-riflessività e di sensualità è chiaro che fosse vista dai primi cristiani con sospettosa attenzione.10

Non a caso si è detto però «attenzione», perché d'altra parte si intuiva che la musica possedesse un legame unico con il trascendente, che i padri non potevano perdere senza rischiare di perdere con essa anche quella forma di accesso al divino che essa dischiudeva (Agostino inserisce il suo mus. in un percorso per corporalia ad incorporalia), un modo di accesso forse più immediato, più spirituale (l'udito è considerato con la vista il senso più «puro»,11) che ci avvicina di più all'ineffabile. Vox dei quodlibet organo sonas, tamen vox dei (En. Ps. 99, 1) dice Agostino: la musica si avvicina ad un inesprimibile significato del mondo, per dirla con Balthasar.12

Nella tradizione biblica del resto la musica ha avuto sempre un ruolo ancillare nei confronti della Parola, come si esprime in modo evidente nei Salmi.13 Fu già la sinagoga a trasmette alla chiesa solo più le opinioni sugli strumenti musicali e la loro simbolizzazione:14

Se un cristiano di quel tempo che non fosse Girolamo l'ebraizzante, incontra una menzione del genere, si tormenta: sa che gli strumenti sono vietati; la disciplina di cui è testimone li rifiuta; non vengono considerati come una realtà nella Bibbia. Si cercano dunque ragioni valide o meno alle citazioni incontrate.15

I padri perciò all'interno della metafora offerta dagli strumenti musicali esplicano la vita cristiana e questo vale per la tradizione indivisa. Leggiamo, tanto per fare un esempio, nelle Omelie spirituali dello Pseudo-Macario:

Allora lo spirito che l'anima ha ricevuto fa salire inni a Cristo che la vivifica, per mezzo del timpano - cioè della carne - e della cetra dell'anima, delle corde spirituali, dei suoi pensieri più sottili, del plettro della grazia divina. Come il vento parla passando attraverso il flauto, così lo Spirito Santo: inneggia per mezzo dei santi e degli pneumatofori, canta e prega Dio in cuore puro.16

Così anche in Atanasio si legge:

È il plettro che produce l'armonia; similmente l'uomo divenuto come un salterio, docile al plettro dello Spirito, è sottomesso in tutte le sue membra e i suoi movimenti per servire alla volontà di Dio [...] lodare Dio con cembali sonori, con la cetra e il decacordo, era ancora simbolo e indice della disposizione regolare delle membra del corpo che sono come corde e dei pensieri dell'anima che sono come cembali e del fatto che tutto riceve movimento e vita al cenno dello Spirito (Ep. ad Marc., 28-29).

Si ritrova lo stesso tema anche in Ambrogio (In Ps. 61, 7) che afferma: «psalterium [...] est homo consummatus in Cristo in quo sicut arte concinentium fila chordarum, ita convenientium resonat opera canora» (In Ps. 43, 69).

I padri quindi si fermano all'interpretazione figurata di questi strumenti, con applicazioni morali e spirituali fino ai minimi particolari di essi. «Quid ergo haec organa nobis figurant?».17 È ciò che si chiede Agostino, ed è questa la domanda che determina la sua interpretazione, che ora guardiamo da vicino.18

2. Gli strumenti musicali nelle Enarrationes in Psalmos di S. Agostino

Sarebbe un anacronismo pensare che la parte strumentale potesse avere assunto già al tempo di Agostino quel ruolo che ebbe solo molto più tardi, a seguito di una lunga evoluzione della musica stessa. In generale è da rilevare che nella storia della musica, la parte specificatamente strumentale arriva a legittimare la sua autonomia in ambito sacro cristiano soltanto in epoche più recenti. Infatti nel mondo antico il musicus è principalmente il teorico, colui che studia e conosce le misure e la disposizione degli intervalli, la natura delle scale. La musica è una scienza dei puri rapporti matematici che infatti fa parte delle discipline del quadrivio; il cantore è considerato di livello inferiore e lo strumentista è addirittura paragonato agli animali, perché la sua abilità sta tutta nell'imitazione, privata di intelligenza.19 Comunque Agostino sembra il primo a considerare seriamente la voce umana come strumento, quella stessa che arriva ad emettere il melos dello iubilus.20 Appare chiaramente che nell'Agostino delle Enarrationes la musica degli strumenti musicali è del tutto sottomessa al canto e quindi a sua volta alla Parola, leggiamo infatti: «organa [...] quae inventa sunt ad cantandum» (En. Ps. 146, 2).

Ovviamente parlare di strumenti musicali si impone quando si tratta del canto dei Salmi, dal momento che non c'è salmo che non sia cantato.21 Il salmo prende il suo stesso nome appunto dal salterio, lo strumento usato per accompagnare il canto.22 Nella LXX il verbo il mizmor viene tradotto con psallein che vuol dire «suonare», «pizzicare uno strumento a corda» o «cantare con accompagnamento dell'arpa». Tale accompagnamento strumentale è ciò che differenzia il salmo dal cantico.23 Sappiamo che nella liturgia giudaica, in cui i Salmi trovano il loro Sitz-im-Leben, gli strumenti musicali venivano normalmente utilizzati, ma tale non era l'uso della chiesa di Ippona o di Cartagine,24 prova ne è il fatto che Agostino fa poche affermazioni sul loro uso reale, laddove si parla di strumenti musicali. Dice che sono stati creati per accompagnare il canto,25 ma non parla della presenza di essi all'interno della liturgia. Questo silenzio delle Enarrationes su un loro uso effettivo, lascia presumere che durante la liturgia non vi fossero strumenti musicali.

2.1 Gli strumenti a corda

Il simbolismo degli strumenti musicali ruota anzitutto attorno al gioco tra i termini (chorda-cor/dis), coro-accordo strumentale (con/cinere-con/sonare; chorus-con/cordia), suono-consonanza (sonus-con/sonantia),26 gli stessi termini che si ritrovano anche nel tema del canto.

Gli strumenti a corda sono simbolo del suono che emette il nostro cuore (appunto per l'assonanza con il termine cor/chorda) o, dice Agostino, della mortificazione della carne,27 in quanto la corda per emettere un suono deve essere sottoposta ad una pressione elastica, ad una tensione.28

Il salmodiare può diventare metafora della vita spirituale conforme alle opere sulla base del fatto che in questa attività la voce deve accordarsi allo strumento e anche le mani in qualche modo vi partecipano: un canto che non può essere altro che la vita stessa.29 Cantare con accompagnamento musicale infatti implica che le mani si muovano (allusione alle opere, alla vita attiva) in modo da produrre armonia (allusione alla coerenza di vita) per ciò che viene cantato.30 Fuor di metafora, cantare sulla cetra o sul salterio è un appello non solo alla coerenza di vita cristiana, ad una ininterrotta lode viva, e che la liturgia si verifica nella vita (ricordiamo che il commento di Agostino nasce in un contesto liturgico).31 Agostino avverte così che in questi strumenti a corda che troviamo nei salmi va cercato un simbolismo da applicare alla nostra vita. Le corde tese sono simbolo della tensione dell'uomo a Dio («cui corde supertenduntur ut resonet», En. Ps. 70, II, 11) la quale tuttavia non emette suono se non è toccata dalla grazia dello Spirito.32 Ciò che rende più corposo il suono, come la cassa di risonanza, è la nostra vita: vita spirituale nel caso del salterio e vita terrena nel caso della cetra.33 Vediamo ora perché.

2.2 Cetra e salterio

Questi due strumenti differiscono nella loro struttura per il fatto che nell'uno la cassa di risonanza è orientata in alto, nell'altra in basso («mementote cithara ex inferiore parte habet quo sonat», En. Ps. 32, II, 5). Da questa vita inferiore o terrena (altrove denota la carne34 in senso spiccatamente paolino), perché appunto rivolta verso il basso, noi riceviamo prosperità e avversità; dobbiamo perciò lodare Dio in ambedue i casi, cosicché sia sempre la sua lode sulla nostra bocca e benediciamo in ogni tempo il Signore.35

Uno degli elementi principali di un canto a Dio è dato dalla benedizione. Essa deve scaturire dal cuore dell'uomo in ogni circostanza, sull'esempio di Giobbe. Così il credente/fedele potrà cantare tranquillo fidando nel suo Dio e toccando le corde del suo cuore. Egli potrà dire, come nella cetra che mirabilmente risuona nella sua parte inferiore: «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come è piaciuto al Signore così è stato fatto: sia benedetto il nome del Signore». La cetra è metafora della lode incessante da rendere a Dio nella vita terrena, la quale ci offre vicende alterne. In qualsiasi avvenimento siamo esortati a lodare il Signore. Modello perfetto di questa preghiera incessante è Giobbe,36 come emerge dalla citazione di Gb 1, 21 e che nella En. Ps. 32, II, 3 era stato considerato il prototipo dell'uomo «retto».

Salterio e cetra denotano la diversità delle azioni umane che dobbiamo attuare nella vita. Ulteriori elementi della cetra sono infatti il legno (che altrove richiamerà la croce) e le corde che toccate emettono un suono. Lo stesso legno concavo su cui sono applicate e su cui si appoggiano, così da vibrare al tocco del plettro,37 rende maggiormente sonore le corde a causa della concavità che ne raccoglie le vibrazioni. Il salterio però ha questa parte concava nella parte superiore e questa è la differenza rispetto alla cetra.38

Questi due elementi, dal basso e dall'alto, offrono lo spunto ad Agostino per parlare anche delle due nature in Cristo: sono congiunte in lui in quanto vero uomo e vero Dio. Si può dire dunque che Cristo ha assunto la parte inferiore (la nostra debolezza) perché ha sofferto la sete, la fame, il sonno, la flagellazione, la derisione, la crocifissione e la sepoltura. Ma ha anche operato miracoli39 e questo veniva dall'alto. Nella sua risurrezione, nella sua carne risorta, riconosciamo come una sola cosa ciò che suona dall'alto e ciò che risuona dal basso: conosciamo il salterio e la cetra40 Il salterio e la cetra parlano perciò della risurrezione della carne («ipsae sunt caro, sed a corruptione liberatae», En. Ps. 150, 7). Dopo questa connessione cristologica,41 si può comprendere meglio perché altrove la cetra sia anche messa dal nostro commentatore in connessione con il sacrificium laudis (che è anzitutto il sacrificio di Cristo) ricordando ai fedeli di celebrare il Signore offrendogli i loro corpi come ostia vivente (cfr. En. Ps. 31, I, 2). Questo elemento è interessante su un doppio versante: da un lato per il carattere marcatamente cristologico che acquista la lode canora, dall'altro per quello antropologico,42 cioè per la stima che anche il corpo assume all'interno della lode.43

La cetra indica la realizzazione di un canto al quale seguono le opere (cfr. En. Ps. 97, 5), cui si conformano i fatti (cfr. En. Ps. 146, 2) e così entriamo nell'ambito della più stretta applicazione morale. L'enarratio 42, 5 spiega che vi sono due tipi di opere: le opere del salterio e quelle della cetra. Entrambe sono gradite a Dio, ma quelle della cetra sono le opere fatte in obbedienza ai precetti di Dio nella tribolazione, nella sofferenza o nella tentazione (perché soffriamo nella nostra «parte inferiore» a causa del peccato) e quindi è una lode e un ringraziamento nella pazienza («tolerando passiones», En. Ps. 42, 8), mentre quelle del salterio sono le opere compiute secondo i precetti di Dio senza che questo ci comporti sofferenza, come avviene agli angeli (allusione alla «parte superiore»).44

Come già accennato sopra, anche il salterio, come la cetra, è spesso metafora della vita morale, infatti ambedue si tengono con le mani e sono l'immagine di qualche nostra opera corporale.45 Come per colui che canta, l'accompagnamento esige la partecipazione del corpo, il movimento consono delle mani, così la cetra diventa metafora dell'ambito morale della nostra lode a Dio («verbo et opere», En. Ps. 91, 5), l'armonia e la conformità della vita pratica («non solum voce sed et opere», En. Ps. 146, 14) e perciò allegoria della lode incessante.46

La spiritualizzazione, a volte un po' forzata, quando non trova un aggancio allegorico, si limita ad una applicazione parenetica, così il simbolismo per il salterio si fa ancor più sofisticato. Avendo la cassa di risonanza costruita verso l'alto, esso diventa simbolo della vita spirituale. Per la cetra si trattava delle opere della carne, le opere del salterio sono invece i miracoli quali: far vedere i ciechi, far udire i sordi, far camminare gli zoppi, far risorgere i morti.47

Le dieci corde del salterio, inoltre, possono facilmente essere associate ai dieci comandamenti e perciò cantare con il salterio significa adempiere la legge,48 che il Signore Gesù non è venuto ad abolire ma a compiere («non solvere sed adimplere»). Tale legge tuttavia si compie nei due comandamenti evangelici dell'amore: poiché dieci sono i comandamenti della legge, e nei dieci comandamenti della legge sta appunto il salterio.49 In esso è la perfezione: vi troviamo infatti l'amore di Dio in tre precetti e l'amore del prossimo in sette. «Ti dice Dio dall'alto che il Signore Dio tuo è l'unico: ecco una corda [...] Tocca il salterio, adempi la legge che il Signore tuo Dio è venuto ad adempiere, non ad abrogare. Compirai con l'amore ciò che non potevi compiere con il timore» 50 (En. Ps. 32, II, I, 6). Se dunque il compimento della legge è l'amore, il più grande dei comandamenti, opera anche questo accordo tra fede e opere,51 parola e azione.52 Celebrare il Signore sul salterio a dieci corde vuol dire mettere le nostre membra al servizio dell'amore di Dio e del prossimo («tangite psalterium oboediendo praeceptis», En 42, 8), in cui si compendia tutta la legge e i profeti (cfr. En. Ps. 32, I, 2). La grazia infatti non si può separare dalla legge, perché è quella a compiere questa.53

Oltre a questa Stimmung, a questo ac-cordo e con-cordia, fa parte dell'economia dell'amore il sentimento di gratitudine e di gioia con cui si mette in pratica il comandamento («non simus pigri ad operanda terrena, quia psalterium iucundum», En. Ps. 80, 5), secondo l'affermazione dell'apostolo: «il Signore ama chi dona con gioia» (2Cor 9, 7). Questa gioia risulta essere un carattere peculiare che il canto sempre denota.54

Applicata agli strumenti, in quanto compimento dell'amore, la laetitia è la gioia che ha una sua espressione esteriore,55 frutto di una vita che trova coerenza e realizzazione nell'amore. Anche il salterio è quindi identificato a questa gioia.56 La gioia è la verifica e il riscontro di un vero compimento della legge. Cantare con il salterio significa adempiere il precetto dell'amore con tutto se stessi, senza soffrire57 ma fino a gioirne. Sul salterio a dieci corde si canta e si gioisce per Dio, perché pienezza della legge è l'amore.58 Infatti non basta avere in mano il salterio, ma occorre anche cantare con questo salterio. Coloro che cantano con il salterio sono coloro che praticano la legge. Coloro che la praticano a malincuore ancora non cantano col salterio, mentre coloro che vi cantano sono coloro che compiono il bene con letizia. Qualunque cosa si faccia se si fa con letizia lo si fa bene facendo il bene. Chi opera con tristezza sia pure che per suo mezzo si faccia del bene, non lo compie: è come se reggesse il salterio senza cantarvi.59

Riassumendo, quindi, il salterio è sempre interpretato metaforicamente. Abbiamo l'interpretazione cristologica (sia per la sua allusione alla parte superiore, come abbiamo visto assieme alla cetra, sia perché come la carne nella crocifissione vi si distendono sopra le corde). In altro modo anche il salterio ricorda che il vero canto dei salmi è il canto della vita intera,60 richiamando ad una unione tra liturgia e vita in cui l'una prende verità dall'altra61 e in cui il canto vero si fa mediante una vita62 vissuta nell'amore evangelico: il salterio a dieci corde infatti ricorda il vero decalogo che si riassume nell'amore per Dio e per il prossimo.

Il salterio ricorre spesso citato anche in coppia con il timpano: accomuna questi due strumenti il riferimento alla crocifissione («in utroque organo caro crucifigitur», En. Ps. 149, 8). In uno si tirano le corde, nell'altro la pelle.

2.3 Il timpano

Il timpano ci ricorda la trasformazione della corruzione terrena nella crocifissione della carne.63 In esso si tende il cuoio e come per le corde del salterio anche qui si fa riferimento alla crocifissione della carne:64 sia in senso cristologico che, di conseguenza, in senso morale. Come il cuoio del timpano deve essere seccato, così l'uomo deve abbandonare le concupiscenze della carne. Il grado di tiratura della pelle, la tensione escatologica, fa emettere un suono più acuto al tocco di Cristo.65 Abbiamo in questo caso una allusione al rapporto tra sforzo dell'uomo e grazia divina, tra vita ascetica e azione di Dio. Il suono (i frutti dello Spirito) non si emette se la corda non è toccata da Cristo (tocco della grazia), e le corde devono essere ben tirate (sforzo) per poter produrre suono (carità).

Il salmo 33 correla il verbo tympanizare con affectare. Affectare vuol dire avere affetto e questo secondo Agostino spiega come Gesù Cristo ha avuto compassione delle nostre infermità e perciò volle assumere la nostra stessa carne per uccidere in essa la morte. «Compassus ergo nobis affectasse dictus est» (En. Ps. 33, 1, 9). Suonare il timpano è perciò essere umili come Gesù Cristo.66 Per Agostino perciò è Gesù Cristo stesso che suona il timpano perché ha manifestato affetto stendendosi sul legno della croce, così si è umiliato sino alla morte di croce. Colui che è crocifisso infatti si stende sul legno della croce allo stesso modo che in un timpano, la carne, ossia il cuoio, si distende sul legno dello strumento musicale.67

L'interpretazione cristologica (che è anzitutto tipologica68) apre lo spazio - altrimenti un po' rigido - dell'applicazione morale del simbolismo degli strumenti. La crocifissione di Cristo viene identificata alla crocifissione della carne, in modo che ciò che poteva sembrare un po' moralistico assume un valore più marcatamente teologico. L'umiltà che il cristiano deve imitare non è perciò una virtù eroica da guadagnare, ma un processo di conformazione a Cristo.

2.4 Le trombe

Delle trombe, dice Agostino, dovremmo avere la duttilità. Il cuore del cristiano produce un suo suono che è il desiderio del regno di Dio. Questo desiderio spesso è suscitato dalle tribolazioni che colpiscono i cristiani provenendo da ogni parte: infatti nei salmi è detto che dobbiamo lodare Dio in duttili trombe. La tromba si rende duttile con il martello e del pari il cuore cristiano si protende a Dio nel dolore delle angustie69 Anche Ambrogio presenta il simbolismo delle trombe,70 ma di segno del tutto opposto da Agostino che rivela quindi la sua libertà di interpretazione.

Anche in questo caso lo strumento diventa un'allegoria. Essa è sviluppata sulla base del fatto che la tromba, essendo di metallo, deve essere battuta per essere forgiata a produrre un suono. Il cristiano si purifica e diventa duttile sopportando le angustie e le tribolazioni. Il cristiano sarà dunque una tromba duttile, costruita a gloria di Dio nel momento in cui, quando giunge la tribolazione, sa ricavarne del frutto spirituale, come Giobbe.71 La tribolazione è il picchiare del maglio, il profitto è il modellarsi della tromba (cf. En. Ps. 97, 6-7). Agostino interpreta la debolezza (infirmitas) di Paolo proprio come questa duttilità così da poter arrivare a dire: «in infirmitate virtus perficitur».72 La tromba ha un suono molto acuto («excellentissima claritate», En. Ps. 150, 7), allusione anche questo al tipo di lode che il cristiano dovrebbe tributare a Dio. Il cristiano deve alzare la voce come la tromba (En. Ps. 46, 7).

2.5 Il corno

C'è un tipo particolare di tromba, quella di corno, che ha una sua simbologia particolare. L'allegoria qui si fa molto curiosa.

Ogni corno infatti arriva dove non arriva la carne. Poiché il corpo si spinge oltre la carne la sua caratteristica sarà quella di essere duro e resistente: nonostante ciò esso può emettere dei suoni. Come si spiega questo fatto? Agostino risponde su un livello metaforico dicendo: perché supera la carne. In tal modo chiunque vuole essere una tromba di corno deve «superare la carne» cioè trascendere gli affetti carnali e superare gli appetiti inferiori.73

Sporgendo fuori74 della pelle dell'animale, il corno diventa simbolo della rinuncia a vivere secondo la carne e del suo trascenderla. Nella vita spirituale essere tromba di corno vuol dire levarsi contro il diavolo e non quindi contro il proprio fratello, diventando così una tromba di «carne» (di peccato)75 Abbiamo quindi di questo strumento una applicazione morale alla vita cristiana.

2.6 L'organo

Il termine organum era per lo più usato in latino in senso generico al pari del nostro termine «strumento»,76 tuttavia con esso si designava anche quello strumento che si gonfia con i mantici (prototipo dell'attuale organo).

C'è qui qualcosa di assai interessante. Dichiarando che agli altri strumenti va aggiunto anche l'organo, Agostino introduce il germe della nascita della polifonia che non considera più come simbolo di contrasto e di opposizione, ma come simbolo di una diversità concordata (e così espressione di chiesa). Infatti questo tipo di strumento ha una notevole possibilità di polifonia e ricorda che le corde non devono suonare da sole, ma armonizzandosi tra loro. Tale strumento, che ha una diversità di suoni, diventa simbolo di una armonia tanto più grande, quanto più si riescono ad armonizzare suoni diversi.77

Il motivo della concordia e dell'armonia di suoni diversi sembra essere veramente originale in Agostino rispetto ad altri padri, che invece non ammettevano la polifonia nelle liturgie78 perché simbolo della molteplicità e quindi della discordia (per questo preferiscono una voce, cioè un canto monodico). Agostino afferma che qualora la concordia e l'unità si creino dalla diversità, risultano ancora più grandi. In questo Agostino coglie una intuizione forse non sufficientemente dispiegata e sicuramente getta le basi teologiche per il futuro processo di sviluppo della polifonia. La musica realizza ed esprime infatti quel gioco tra uno e molti, che ritroveremo nel tema del canto, in cui si manifesta una unione, un uni-sono come con-sonanza cercata ma non come uniformità imposta. La differenza dovrebbe esaltare l'armonia dell'insieme.79

Il salmista mentre contempla le parti della tenda è condotto alla dimora di Dio seguendo un certa dolcezza, un non so quale nascosta e interiore delizia, come se dalla casa di Dio risuonasse soavemente un organo. Questo suono interiore guida con dolcezza il salmista che, seguendo ciò che sente risuonare, astraendosi da ogni rumore della carne e del sangue giunge alla casa di Dio.80 Dalla stessa casa di Dio, dunque viene un suono, una melodia81 che ci ricorda come il tema del canto sia collegato a quello del cammino verso la città celeste82 e quello della costruzione della casa di Dio (cfr. En. Ps. 94).

Concludiamo con una nota curiosa: la Corbin avvicina fortemente la musica dell'organo a quella dello iubilus, (entrambi devono molto ad Agostino!) coll'affermare: «La nozione di adorazione contemplativa è passata dal pensiero e dalle usanze alla musica: si traduce dapprima nello iubilus, di cui l'organista raccoglie più tardi il mistero, che consiste nel mantenere l'anima in una attitudine adatta al raccoglimento».83

2.6 I cembali

I cembali per suonare devono urtarsi l'uno con l'altro. Agostino non coglie questa occasione per parlare della vita comunitaria, ma paragona questo urtare alle nostre labbra. I cembali, come le labbra, non suonano se non sono l'uno con l'altro. Si tratta ancora di una allusione, ma questa volta il riferimento rimanda al canto reale.

Più bella l'allegoria alla vita comunitaria ma sotto l'aspetto questa volta della stima reciproca, quasi un commento a quello che dice Paolo: «gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12, 10). Infatti riprende l'interpretazione simbolica per parlare dei rapporti interpersonali di reciproca stima e fiducia: si loda Dio con i cembali quando uno riceve l'onore da un altro, non ne va a caccia da sé, e così i due onorandosi scambievolmente, lodano Dio.84

3. Conclusione

In conclusione nelle Enarrationes non si parla dell'uso degli strumenti musicali in senso reale né viene detto alcunché sull'uso di essi nella liturgia della chiesa di Ippona o cartaginese, tuttavia questo argomento risulta profondamente legato ad una teologia del canto. Agostino infatti affronta molto spesso nelle Enarrationes la spiegazione degli strumenti musicali secondo la metafora. La chiave di lettura di questa operazione ce la offre la En. Ps. 150: le cose che si dicono degli strumenti si riferiscono alla vita dello spirito «sed per similitudines, non per proprietas».85 Gli strumenti musicali parlano cioè di un'altra realtà e Agostino si limita a richiamarne il simbolismo. Anche se aperto alla lettura allegorizzante, Agostino resta tuttavia un esegeta spirituale moderato,86 la sua lettura spirituale non travalica i limiti di una interpretazione cristologica.

Questa lettura è allo stesso tempo il limite e l'apporto di Agostino. Limite perché il tema avrebbe potuto offrirgli il luogo di una elaborazione teologica del musicale che evidentemente fallisce, anche se possiamo aspettarla altrove e cioè nel concetto di iubilus. L'apporto sta nel genio del nostro predicatore che arriva a incentrare su Cristo e sulle esigenze della vita cristiana quello che, ormai fuori da una teoria musicale religiosa, non sarebbe che un dettaglio privo di interesse.87

Particolarmente interessanti sono le affermazioni che rilevano l'esigenza di una profonda unità tra canto reale e quello spirituale, tra liturgia e vita quotidiana. Agostino si serve delle affermazioni dei salmi su questi strumenti, soprattutto circa la cetra e il salterio, per parlare della lode di Dio che deve essere la nostra vita. La funzione reale degli strumenti, la loro costituzione fisica, gli offrono uno spunto per affermazioni morali sulla vita del cristiano. La menzione della cetra esorta alla lode incessante, il salterio al compimento dell'amore, le trombe alla duttilità, il timpano ad accettare la croce, l'organo alla comunione fraterna, i cembali alla stima fraterna. In tal modo capiamo come per il vescovo, sono i cristiani stessi, coloro che con vocabolo antico egli chiama «santi», ad essere simboleggiati da tutti gli strumenti musicali.88 Il salterio per Agostino ha una logica che, sebbene egli dichiari di non capire,89 procede dalla penitenza (salmo 50) passando per la misericordia di Dio (salmo 100) e arrivando alla lode (salmo 150).90 La lode è dunque frutto del cammino di conversione del cristiano. Possiamo riassumere quanto detto con una citazione tratta dalla en. 150:

Naturalmente in un linguaggio non proprio ma figurato [...] Voi siete la tromba, il salterio, la cetra, il timpano, il coro, le corde e l'organo, e i cembali del giubilo che emettono bei suoni, che cioè suonano armoniosamente. Voi siete tutte queste cose.91

In questo modo il suono è inteso come una grande allegoria della vita cristiana.

Invano quindi ci aspetteremmo dalla trattazione sugli strumenti da parte di Agostino la teoria teologica sulla vox istrumentalis omologa alla parola. Paradossalmente non troviamo in questa sede l'espressione a livello meramente musicale di ciò che nella liturgia è altrettanto espresso dalla parola o dal gesto. Agostino sa che in musica «tria esse genera sonorum: voce, flatu, pulsu» (En. Ps. 150, 8), ma sembra vi sia una differenza netta tra il primo genere che è peculiare dell'uomo (cantantis hominis) e gli altri due che appartengono al genere strumentale. La musica strumentale è ancora del tutto sottomessa alla parola cantata: toccherà invece alla vox humana, lo iubilus appunto, portare ad espressione e a realizzazione in un modo particolare, al pari della Parola, la Rivelazione. Vale per questo concetto ciò che è stato affermato riferendosi a tutto il percorso che la musica ha fatto all'interno della liturgia cristiana «la vox instrumentalis è voluta diventare ella stessa Logos: parola dell'indicibile e pensiero dell'ineffabile».92

Con la trattazione degli strumenti musicali, non siamo ancora però a questo significato teologico del mero musicale e in fondo, l'interpretazione spirituale cui essi vengono sottoposti, è una stilizzazione che non solo rischia di andare troppo al di là rispetto alla presenza del musicale nella liturgia, ma resta di fatto al di qua di una comprensione del testo stesso del salmo. Si ha come l'impressione che il testo biblico sia solo pretesto di una simbolizzazione piuttosto spinta. L'interpretazione allegorica non riesce a ritrovare il legame originario dello strumento alla parola, quel legame che il contesto liturgico prevedeva nel momento stesso in cui il salmo veniva cantato accompagnato dalla voce strumentale. Il legame evidente nel testo biblico si perde per ritrovarsi solo nel melos del canto senza parole. È curioso tuttavia che l'esigenza di trovare uno spazio liturgico e religioso al musicale emerga comunque, anche se sotto altra forma, in cui il legame però è a scapito della parola.

Come afferma Sequeri, l'evoluzione dell'elemento sonoro, ha conosciuto una omologia della musica con la parola e il pensiero che è rimasta sconosciuta alle culture estranee all'influsso della Bibbia e del cristianesimo. L'evoluzione della pratica strumentale porta fin dalle origini l'impronta di una sorta di competizione nei confronti della vocalità. La tradizione biblica da una parte tende a ristabilire il privilegio della parola cantata, dall'altra legittima lo spazio necessario di una risonanza strumentale che la parola evoca ed esige, ma con la quale entra anche in collisione. La chiesa paradossalmente ha costantemente censurato l'invasione dello strumentale come zona di espansione del non-vocale, ma l'ha ammessa poi come espansione sonora del vocale. In questo modo notiamo come la musica in genere non si fosse ancora al tempo di Agostino riconciliata con la storia e il sensibile. Lo sforzo di una interpretazione spiritualizzante ne è la prova. Tale frattura rischia di restare presente nella tradizione musicale dell'Occidente, negativamente determinata da una antropologia divisiva, se non si riconosce che, come sapeva l'autore dei salmi, si può guardare ad una consonanza possibile tra voce e strumento, sulla base del fatto che lode si è.93

Cogliamo infine l'intensità dello spunto purtroppo non sufficientemente sviluppato: il tipo di musica liturgica che ogni determinata epoca produce è certamente anche espressione del suo modello di chiesa e del suo modo di intendere la comunità. Nella fattispecie, il gregoriano è certamente il frutto di un'epoca e della sua idea di Chiesa e non è un caso che con la modernità i nuovi repertori liturgici si siano naturalmente orientati verso la polifonia (è significativo che tra i compositori vi troviamo Lutero!), in cui scorgiamo un determinato modo di intendere la communio, più connaturale allo spirito dei tempi.94 Restano tuttavia seri dubbi sugli esiti attuali della prassi liturgica musicale, in modo particolare in Italia.95

[Di prossima pubblicazione in Inter Fratres 56 (2006), pp. 211-230.]

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Note

  1. Cf. M. B. Zorzi, L'esperienza del canto liturgico secondo le Enarrationes in Psalmos di Sant'Agostino, in «Inter Fratres» 52 (2002), pp. 27-52, 211-238. Per quanto riguarda l'approfondimento teologico agostiniano del musicale si veda Id., Autonomia della musica e mistica cristiana. Lo iubilus in Agostino d'Ippona, in «Reportata. Passato e presente della teologia» [in linea] http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm e soprattutto Id., Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino d'Ippona. Una questione di mistica agostiniana, in «Augustinianum» 41 (2002), pp. 383-413. Per un contributo alla questione sul rapporto tra musica e teologia, si rimanda alla recente tesi di dottorato di J. Piqué Collado, Teología y música: Una contribución dialécto-trascendental sobre la sacramentalidad de la percepción estética del Misterio (Augustín, Balthasar, Sequeri; Victoria, Schönberg, Messiaen), Pontificia Università Gregoriana, Roma 2006. Testo

  2. Cf. S. Corbin, La musica cristiana dalle origini al gregoriano, Milano 1987 [tit. or.: L'Église à la conquête de sa musique, Paris 1960], p. 36. Testo

  3. La raffinata musica greca da parte sua utilizzava pochi strumenti per accompagnare il canto, mentre quella romana contemplava una presenza massiccia di essi soprattutto nei giochi e al teatro (di qui il sospetto dei padri). Ricordiamo la tibia, il lituus bronzeo di origine etrusca, la tuba e anche l'hydraulis (il nonno del nostro organo) oltre a numerosi strumenti a percussione (cf. M. Baroni - E. Fubini - P. Pettazzi - P. Santi - G. Vinay, Storia della musica, Torino 1988, p. 20.). Nel mondo pagano gli strumenti erano inevitabilmente presenti nei banchetti e nelle orge, le suonatrici di tibia e di aulos assieme alle danzatrici rievocavano queste atmosfere. Anche gli strumenti a percussione erano conosciuti e utilizzati soprattutto per le cerimonie funerarie: con essi si cercava di allontanare gli spiriti o più probabilmente la paura degli astanti (cf. Corbin, La musica, pp. 35-36). Ambrogio fa questa affermazione: Illic commensantium tumultus, concertantium clamor, litigantium cedes, concentus canentium (De Cain. 14). Tutte le citazioni sulla musica in Ambrogio (eccettuato che Ep. ad Marc.) sono tratte dall'antologia di testi raccolti da A. Amelli, Pensieri di Sant'Ambrogio intorno alla musica, in «Biblioteca Ceciliana», 1 (1907), pp. 89-125; per il culto idolatrico cf. J. Quasten, Musik und Gesang in den Kulten der heidnischen Antike und christlichen Frühzeit, Münster 1930, capp. I e II; per il teatro cf. Ambrogio, In Ps. 118, V, 28; 118, XVII, 45; a questo proposito cf. X. Basurko, El canto cristiano en la tradición primitiva, Madrid 1966, cap. VI; M. Kunzler, La liturgia della chiesa, Milano 1998 che però colloca Agostino all'origine del rifiuto della chiesa di tale uso a causa «di un certo scetticismo legato a motivi ascetici nei confronti del piacere 'sensibile' connesso alla musica» (p. 186) e non considera che il giudizio del vescovo è connotato da ambiguità (ed è semmai questa che più inciderà nell'atteggiamento della chiesa nei secoli successivi) e anzi tende a risolversi positivamente. Per una panoramica riassuntiva sulla teoria musicale, esecuzione canora e strumenti musicali nei primi secoli della storia della chiesa cf. Corbin, La musica, pp. 34-37; sulle taverne, sempre Ambrogio afferma: cum cithara et psalterio et tympanis vinum bibunt (Is V, 11); Praeterim certe ego citharam psalteria tympana quae cognovimus conviviis huiusmodi frequenter adhiberi ut vino et cantu excitentur libidines (De Elia 53, 54). Testo

  4. Cf. Baroni- Fubini, Storia della musica, pp. 20-21. «Nei commentari patristici riguardo al canto e alla musica, uno dei filoni più prolifici è quello relativo alla interpretazione allegorica degli strumenti musicali. La tradizione primitiva rifiutò globalmente, per una serie di ragioni, l'uso degli strumenti musicali nel culto cristiano» (Basurko, Canto cristiano e canto pagano, p. 187); sul canto puro cf. Basurko, El canto, pp. 188-191. Testo

  5. Anche il famoso luogo comune di un Atanasio refrattario all'introduzione della musica nella liturgia, che secondo Agostino faceva cantare in modo così sobrio tanto che il canto sembrava quasi una recitazione (conf. X, 33) sembra agli studiosi più recenti un po' esagerato. Rimandiamo allo studio di I. M. Fossas, "L'epistola ad Marcellinum di Sant'Atanasio sull'uso cristiano del salterio. Studio letterario, liturgico e teologico": Studia Monastica 39 (1997) Fasc. 1, pp. 27-76. Testo

  6. L'esplicito riferimento a Pitagora che troviamo in Ambrogio è sicurezza del fatto che i pensieri sulla musica di questa filosofia confluirono nella tradizione patristica: Denique etiam primus philosophiae ipsius nomen invenit (Pythagoras) quotidie priusquam cubitum iret, tibicinem jubebat molliora canere, ut anxia curis saecularibus corda mulceret (De Virg. LXIX, 3). Pensiamo ai termini in cui ne parla Basilio a più riprese nel Discorso ai giovani (poiché la musica ha un influsso sull'animo bisogna vigilare su quale tipo di musica ascoltare). Testo

  7. Ambrogio ricorda la pericolosità del canto delle sirene di omerica memoria (cf. In Ps. XLIII, 75; De Fide III, 4). Cf. N. Pace, Il canto delle sirene in Ambrogio, Gerolamo e altri Padri della Chiesa, in «Nec timeo mori. Atti del Congresso internazionale di studi ambrosiani nel XVI centenario della morte di sant'Ambrogio. Milano, 4-11 Aprile 1997», a cura di F. L. Pizzolato - M. Rizzi, Milano 1998, pp. 673-695. Testo

  8. Cf. T. Gérold, Les Pères de l'Église et la musique, Paris 1931, p. VII. Testo

  9. Cf. Quasten, Musik und Gesang, pp. 3-77 (in particolare pp. 45-62). Testo

  10. Cf. A. Torno - P. A. Sequeri, Divertimenti per Dio. Mozart e i teologi, Casale Monferrato 1991, pp. 125-157. Testo

  11. Proprio questi due sensi sono presi da Agostino nel trin. XI per parlare delle analogie della Trinità. Testo

  12. Cf. H. U. von Balthasar, Lo sviluppo dell'idea musicale. Testimonainza per Mozart, Milano 1995, p. 47. Testo

  13. Cf. Corbin, La musica, p. 36: «[lo strumentista] ha il proprio posto nelle feste, per accompagnare il cantore: ma appena un corteo nuziale entra in chiesa, il cantore diviene cantor ecclesiastico mentre lo strumentista diviene un fedele silenzioso e devoto». La maggior parte delle testimonianze bibliche sugli strumenti musicali si presenta senza un contesto ben preciso che permetta di definire la loro struttura e funzione (Cf. E. Gerson-Kiwi, Musica, in «Enciclopedia della Bibbia», I-VII, a cura di G. Marocco - F. Ardusso, Rivoli 1970 [tit. or.: Enciclopedia de la Biblia, Barcelona s. d.] 4 (1970) cc. 1390-1402, con elenco dettagliato e classificazione degli strumenti musicali della Bibbia, questioni sul canto liturgico ebraico e sua evoluzione, qui c. 1391). Nel tempio, gli ebrei ne conoscevano l'uso anche se la sinagoga li aveva già estromessi dal culto e di conseguenza essi non vennero trasmessi alla chiesa. Anzi, il culto cristiano primitivo ha mostrato un certo ostracismo nei confronti dell'introduzione e dell'uso degli strumenti musicali. La chiassosa liturgia ebraica del Tempio si trasformò totalmente nel suo passaggio alla sinagoga e ancor più quando di qui passò alla pratica clandestina e silenziosa dei primi cristiani. Nel mondo ebraico l'arpa e in generale tutti gli strumenti a pizzico (kinnor e nebel: arpa e cetra), riservati ai leviti, erano di Davide e perciò considerati nobili. Il flauto invece (ma anche le zampogne e le campanelle, i tamburelli), era considerato uno strumento impuro e per questo andrà solo in mano a donne: quale strumento non liturgico e popolare, serviva tra l'altro per accompagnare le lamentazioni funebri e di conseguenza vietato anche per il suo significato magico, perché partecipava in qualche modo al mondo dei morti. Il famoso corno (schofar o anche jobel e keren) aveva addirittura un ruolo sacro e per questo era usato solo dai sacerdoti, dal momento che veniva usato per richiamare i fedeli al culto; la sua voce (la Bibbia gli riserva il termine qol) misteriosa e oscura si ricollegava all'ariete del sacrificio di Isacco, quindi all'alleanza, e la si credeva avere qualità magiche. La tromba, antagonista dello schofar, mandava il suono che segnava le solennità e aveva anche la funzione di richiamare al combattimento (cf. Corbin, La musica, pp. 34; 61; 161-164; Gerson-Kiwi, Musica, c. 1392.). Testo

  14. Cf. Corbin, La musica, p. 34. Testo

  15. Ibidem., p. 162; cf. anche pp. 163-164. Testo

  16. Cf. H. Berthold (Hrsg.), Makarios/Symeon. Reden und Briefe. Sammlung I des Vaticanus Graecus 694 (B), in «Die griechischen christlichen Schriftsteller der ersten Jahrhunderte», Berlin 1973, I, p. 148, 6. Testo

  17. En. Ps. 56, 16. Non ci soffermiamo sul problema dell'uso di Agostino del binomio proprie - figurate (tanto meno al più complesso proprie - communiter), ma ci limitiamo a rimandare a B. Studer, Schola christiana. Die Theologie zwischen Nizäa und Chalcedon, Paderborn - München - Wien - Zürich 1998, p. 201. Testo

  18. Uno sguardo particolarmente attento sarà dato alle parallele concezioni di Atanasio e soprattutto di Ambrogio, anche se non direttamente al fine di cercare dipendenze o influssi su Agostino. Testo

  19. L'idea è dello stesso Agostino: cf. mus. I, 4, 5-9, Anche gli animali riproducono suoni per imitazione (cf. En. Ps. 18, I, 1). Cf. anche Corbin, La musica, pp. 34-37. Testo

  20. È stato già mostrato come il percorso autonomo che la sola vox instrumentalis ha seguito nella storia occidentale, cioè dal celebrare solo la Parola all'esprimersi da sola, deve probabilmente la sua origine proprio al varco che si è creato con il concetto di iubilus agostiniano, cf. Zorzi, Melos e Iubilus, pp. 383-413. «Perché si affermi l'intrinseca qualità semantica del sonorico, con la sua indefinita plasticità oltre la limitata sostanza fonica della parola [...] bisognerà che il varco estatico (ed estetico) aperto dall'antico iubilus percorra il lungo cammino che lo condurrà ad una sorta di «discorsività» indipendente e parallela nei confronti della parola: come pura sequenza melodica di una autonoma vox instrumentalis»: P. A. Sequeri, Una teologia del "sacro in musica", in «Rivista liturgica», 1987 (4), pp. 453-466, qui, p. 460. A questo autore si deve oggi, almeno in Italia, il merito di tenere desta l'attenzione per una elaborazione teologica del musicale, del rapporto tra esperienza religiosa ed esperienza estetica, cf. Piqué Collado, Teología y música, pp. 157-197. Testo

  21. Lo si deduce anche dal fatto che Agostino usa sempre questa espressione: psallit psalmum o cantat psalmum. Cf. tra altri, le En. Ps. 65, 1; 38, 1; 18, II, 1; 56, 16; 34, I, 1; 48, 2, 10; 21, II, 2; 64, 2: 86, 1; 102, 7. Testo

  22. «Psalmi autem dicuntur, qui cantantur ad psalterium» (En. Ps. 4, 1). Testo

  23. «Psalmum quippe cantus est, non quilibet, sed ad psalterium. Psalterium autem quoddam organum est cantilenae, sicut lyra, sicut cythara, et huiusmodi organa, quae inventa sunt ad cantandum. Qui ergo psallit, non sola voce psallit; sed assumpto etiam quodam organo, quod vocatur psalterium, accedentibus manibus voci concordat» (En. Ps. 146, 2). E ancora: «Canticum ore profertur, psalmum autem visibili organo adhibito, id est psalterio, canitur» (En. Ps. 67, 1). Testo

  24. Tuttavia W. Roetzer, Des Heiligen Augustinus Schriften als liturgie-geschichtliche Quelle. Eine liturgie-geschichtliche Studie, München 1930, afferma che la musica strumentale era categoricamente esclusa dalla liturgia. Rimanda inoltre al s. 311, 5 e a F. Leitner, Der gottesdienstliche Volkgesang im jüdisches und christliches Altertum, p. 257ss. in cui tale rifiuto viene dimostrato in modo preciso, cf. pp. 230-231. Testo

  25. En. Ps. 56, 16; 146, 2. Testo

  26. «Tange chordas in corde» (En. Ps. 32, II, I, 5); «chorus autem concordiam significat» (En. Ps. 87, 1); «bene sonantia, quia consonantia» (En. Ps. 150, 8). Testo

  27. «In utroque organo caro crucifigitur» (En. Ps. 149, 8). Testo

  28. «Quia et ipsae sunt caro, sed iam a corruptione liberata » (En. Ps. 150, 7). Testo

  29. In questo forse c'è una certa dipendenza da Ambrogio: «Bonum psalterium cum fidei vita consentit, et caro animae, virtuti adspirat voluntas. Hoc est dulce psalterium, ubi canora est disciplina vivendi» (In Ps. 41, 7). Testo

  30. «Ne gaudeatis ore, et cessetis manibus. Si gaudetis plaudite manibus [...] Et voce, et manibus. Si tantum voce, non bene, quia pigrae sunt manus; si tantum manibus, nec hoc bene, quia muta est lingua; concordet manus et lingua: illa confiteatur, illae operentur» (En. Ps. 46, 3). Cf. anche, En. Ps. 97, 5; Testo

  31. «Psalle ergo nomini Dei, ut fixum sit apud Deum nomen tuum. Psallere autem quid est fratres? Psalterium organi genus est; chordas habet. Opus nostrum, psalterium nostrum est; quicumque manibus operatur opera bona, psallit Deo; quicumque ore confitetur, cantat Deo. Cantat ore, psalle operibus» (En. Ps. 91, 3); «Cantat Deo, qui vivit Deo; psallit nomini eius, qui operatur in gloriam eius. Ita cantando, ita psallendo, id est sic vivendo, sic operando» (En. Ps. 67, 5). Testo

  32. In Agostino questo «tocco» lo compie Cristo stesso: cf. En. Ps. 149, 8. Non c'è in Agostino una supina dipendenza da Ambrogio dal quale a questo proposito rileviamo invece la seguente affermazione: «Habet enim citharam suam anima nostra [...] nisi haberet citharam quae plectro Santi Spiritus resultaret» (Interp. Job et David II, 70). Testo

  33. L'idea appena esposta riappare in vari passi, per es. in En. Ps. 56, 16: «cithara autem hoc genus ligni concavum et resonans in inferiore parte habet». Cf. anche En. Ps. 80, 5. Testo

  34. «Significari videtur per psalterium spiritus, per citharam caro» (En. Ps. 70, II, 11). Testo

  35. «Iubemur autem modo confiteri in cithara et psallere in psalterio decem chordarum. Non dixit in cithara decem chordarum neque in hoc psalmo, neque, si non fallor, alicubi [...] Ex inferiore vita, id est terrena, habemus prosperitatem et adversitatem, unde Deum laudemus in utroque, ut semper sit laus eius in ore nostro, et benedicamus Dominum in omni tempore» (En. Ps. 32, II, I, 5). Testo

  36. Cf. En. Ps. 133, 2; 143, 16. Testo

  37. Il plettro nei padri è simbolo dello Spirito che tocca le corde. Su questo tema cf. Basurko, El canto, p. 80. Testo

  38. «Ut in ista diversitate duorum instrumentorum musicorum, diversitatem factorum humanorum inveniamus, significatam per haec, implendam autem per vitam nostram. Cithara lignum illud concavum tamquam tympanum pendente testudine, cui ligno chordae innituntur, ut tactae resonent; non plectrum dico quo tanguntur, sed lignum illud dixi concavum cui superiacent, cui quodammodo incumbunt, ut ex illo cum tanguntur tremefactae, et ex illa concavitate sonum concipientes, magis canorae reddantur; hoc ergo lignum cithara in inferiore parte habet, psalterium in superiore. Haec est distinctio» (En. Ps. 32, II, I, 5). Testo

  39. «Per carnem suam Dominus duo genera factorum operatus est, miracula et passiones; miracula desuper et passiones de inferiore fuerunt» (En. Ps. 56, 16). Testo

  40. «Cum ergo vides in illa carne quaedam sonuisse desuper, quaedam de inferiore parte, una caro resurrexit, et in una carne agnoscimus et psalterium et citharam» (En. Ps. 56, 16). Testo

  41. In Ambrogio invece resta morale o, curioso, sacramentale: «Cithara est caro nostra quando peccato morimur, ut Deo vivat. Cithara est quando septiformem accipit Spiritum in baptismatis sacramento [...] Dulcis sonus est castimoniae, dulcis sonus timentium Deum» (Interp. Job et David II, 70). Testo

  42. «Qui cantat et operatur, psallit in cithara et psalterio» (En. Ps. 97, 5). Testo

  43. Elemento notevole del cambiamento che l'idea ha fatto rispetto al mus.? Testo

  44. «Cum autem aliquid patimur tribulationum, tentationum, scandalorum in hac terra, quia non patimur nisi ex inferiore parte, id est ex eo quod mortales sumus, ex eo quod primae nostrae causae quiddam tribulationem debemus, et quia patimur multa ab eis qui non sunt desuper, cithara est» (En. Ps. 42, 5). «Caro ergo divina operans, psalterium est; caro humana patiens, cithara est» (En. Ps. 56, 16). Cf. anche 137, 3. Testo

  45. «Utrumque hoc manibus portatur et tangitur, et significat opera quaedam nostra corporalia (En. Ps. 42, 5); Verbo et opere laudate: ore quippe cantatur; psalterio autem, hoc est manibus, psallitur» (En. Ps. 104, 2). Testo

  46. Ambrogio dice lo stesso ma del salterio: «bonum psalterium cum fidei vita consentit, et caro animae, virtuti adspirat voluntas. Hoc est dulce psalterium, ubi canora est disciplina vivendi» (In Ps. 61, 7). Testo

  47. «Sonet psalterium; illuminentur caeci, audiant surdi, stringantur paralytici, ambulent claudi, surgant aegroti, resurgant mortui: iste est sonus psalterii» (En. Ps. 56, 16). Testo

  48. Sul salterio come legge si dice inoltre che il vero salterio a dieci corde è il decalogo (En. Ps. 110, 1) e anche: «decachordum psalterium significat decem praecepta legis» (En. Ps. 91, 5). Testo

  49. Più teologica qui l'interpretazione di Agostino rispetto a quella morale di Ambrogio: «Psalterium ergo est homo consummatus in Christo: in quo sicut arte concinentium fila chordarum, ita convenientium resonat opera canora virtutuum» (In Ps. 40, 40). Testo

  50. «Convertere et ad psalterium, psalle Domino in psalterio decem chordarum. Praecepta enim legis decem sunt; in decem praeceptis legis habes psalterium. Perfecta res est. Habes dilectionem Dei in tribus, et dilectionem proximi in septem [...] Dicit tibi Deus desuper, quia Dominus Deus tuus, Deus unus est: habeas unam chordam. [...] Tange psalterium, imple Legem, quam Dominus Deus tuus non venit solvere, sed adimplere. Implebis enim amore, quod timore non poteras». Testo

  51. «Et pulsu atque opere manuum vocibus concordare» (En. Ps. 65, 3). Testo

  52. «Quare assumit tympanum et psalterium? Ut non sola vox laudet, sed et opera. Quando assumitur tympanum et psalterium, manus concinunt voci. Sic et tu, si quando Alleluia cantas, porrigas et panem esurienti, vestias nudum, suscipias peregrinum, non sola vox sonat sed et manus consonat, quia verbis facta concordant. Assumpsisti organum, et consentiunt digiti linguae» (En. Ps. 149, 8). Testo

  53. «Sed ne putes gratiam a lege discedere, cum magis per gratiam lex impleatur: in psalterio decem chordarum psallam tibi» (En. Ps. 143, 16). Testo

  54. Cf. En. Ps. 29, 16; 94, 1; Una affermazione significativa su questo argomento è anche in conf. IX, 7, 15: «Non longe coeperat Mediolanensis ecclesia genus hoc consolationis et exhortationis celebrare magno studio fratrum concinentium vocibus et cordibus [...] Tunc hymni et psalmi ut canerentur secundum morem orientalium partium, ne populus maeroris taedio contabesceret, institutum est». Testo

  55. Sulla differenza tra gaudium, laetitia, exultatio cf. M. Vincent, Saint Augustin Maître de Prière d'après les Enarrationes in psalmos, Paris 1990, pp. 410-412. Testo

  56. «Psalterium meum, gaudium meum» (En. Ps. 137, 3). Testo

  57. «Ubi facimus et non patimur, psalterium est» (En. Ps. 42, 5). Testo

  58. «In psalterium decem chordarum, in legem decem praeceptorum: ibi tibi psallam, ibi tibi gaudeam, ibi tibi cantem canticum novum; quia plenitudo legis caritas est» (En. Ps. 143, 16). Testo

  59. «Sed cantare in illo opus est, non portare psalterium. Nam et Iudaei habent Legem; portant, non psallunt. Qui sunt qui psallunt? Qui operantur. Parum est: qui operantur cum tristitia, nondum psallunt. Qui sunt qui psallunt? Qui cum hilaritate faciunt bene. In psallendo enim hilaritas est [...] Hilarem enim datorem diligit Deus. Quidquid facis, cum hilaritate fac; bonum tunc et bene facis. Si autem cum tristitia facis, fit de te, non facis; et portas magis psalterium, non cantas. In psalterio decachordo, cum cantico in cithara, hoc est, verbo et opere. Cum cantico, verbo; in cithara, opere. Si verba sola dicis, quasi canticum solum habes, citharam non habes; si operaris, et non loqueris, quasi solam citharam habes. Propter hoc et loquere bene, et fac bene, si vis habere canticum cum cithara» (En. Ps. 91, 5). Testo

  60. «Cantet canticum novum non lingua, sed vita» (En. Ps. 32, II, I, 8); cf. anche En. Ps. 146, 2. 3; 49, 30. Testo

  61. «Verum ut audiatis, fratres carissimi, non poteritis probare quam vera cantetis, nisi coeperitis facere quod cantatis» (En. Ps. 119, 9). Testo

  62. Cf. per es. En. Ps. 146, 2. Testo

  63. «Tympanum laudat Deum, cum iam in carne mutata nulla est terrenae corruptionis infirmitas. De corio quippe fit tympanum exsiccato atque firmato» (En. Ps. 150, 7). Testo

  64. «Non dimittat psalterium suum, non dimittat tympanum: extendatur in ligno, et siccetur a concupiscentia carnis» (En. Ps. 149, 8); cf. anche En. Ps. 33, II, 2. Testo

  65. «Et ipsum mysterium tympani et psalterii non est tacendum. In tympano corium extenditur, in psalterio chordae extenduntur: in utroque organo caro crucifigitur. Quam bene psallebat in tympano et psalterio, qui dicebat: mihi mundus crucifixus est, et ego mundo! Ipsum psalterium, velut tympanum tollere te vult, qui amat canticum novum [...] Non dimittat psalterium suum, non dimittat tympanum: extendatur in ligno, et siccetur a concupiscentia carnis. Nervi quanto plus fuerint extenti, tanto acutius sonant. Ut ergo acute sonaret Pauli apostoli psalterium, quid dixit? Quae retro oblitus, in ea quae ante sunt extentus, sequor ad palmam supernae vocationis. Extendit se ipse; tetigit Christus, et sonavit dulcedo veritatis» (En. Ps. 149, 8). Testo

  66. «Audiamus illum simul, audite illum per nos; docere enim vult ille humilis, ille tympanizans, ille affectans, docere nos vult» (En. Ps. 33, II, 16). Testo

  67. «Et quoniam qui crucifigitur in ligno extenditur; ut autem tympanum fiat, caro, id est corium, in ligno extenditur, dictum est: et tympanizabat, id est crucifigebatur, in ligno extendebatur» (En. Ps. 33. 1, 9). «De corio quippe tympanus fit exsiccato atque firmato» (En. Ps. 150, 3). Testo

  68. «Et tympanizabat David significans quod crucifigendus esset Christus» (En. Ps. 33, II, 2). Testo

  69. «Quod desiderium tribulationibus hinc atque hinc contundentibus producitur, ut simus canori auribus Domini tamquam tubae ductiles. Dictum est enim et hoc in Psalmis, ut in tubis ductilibus laudemus Deum. Tuba ductilis malleo producitur, ita christianum cor in Deum pressurarum plagis extenditur» (En. Ps. 32, II, II, 10). Testo

  70. «In diebus laetitiae suae in neomeniis suis concinerent tubarum sono» (De Elia 697). «Quid sibi velit tubarum significatio [...] ipse faciat sibi rationabiles tubas quibus non raucum increpans terribili sonitu murmur interstreper, sed sublimes gratiae Deo continua jubilatione fundantur» (De Resurrect. 2, 106). «Canamus tuba ut annuntiemus solemnitatis diem» (De Elia 1, 1). Testo

  71. «Tuba ductilis erat Job, quando repente percussus tantis damnis et orbitate filiorum, tunsione illa tantae tribulationis factus tuba ductilis, sonuit: Dominus dedit, Dominus abstulit» (En. Ps. 97, 6). Testo

  72. «Et audi iam ipsam tubam ductilem bene sonantem: quando infirmor, tunc potens sum» (En. Ps. 97, 6). Testo

  73. «Vox tubae corneae quid est? Cornu excedit carnem; necesse est ut carnem superando sit firmum, firmum ad perdurandum, et capax vocis. Sed unde hoc? Quia carnem superavit. Qui vult esse tuba cornea, superet carnem. Quid est, superet carnem? Transcendat carnales affectus, vincat carnales libidines» (En. Ps. 97, 7). Testo

  74. Si usano i verbi: superare, excedere (En. Ps. 97, 7). Testo

  75. «Tuba cornea te erigat adversus diabolum, non tuba carnea adversus fratrem tuum» (En. Ps. 97, 7). Testo

  76. «Organa dicuntur omnia instrumenta musicorum» (En. Ps. 56, 16). «Organum autem generale nomen est omnium vasorum musicorum; quamvis iam obtinuerit consuetudo, ut organa proprie dicantur ea quae inflantur follibus: quod genus significatum hic esse non arbitror. Nam cum organum vocabulum graecum sit, ut dixi, generale omnibus musicis instrumentis; hoc cui folles adhibentur, alio Graeci nomine appellant. Ut autem organum dicatur, magis latina et ea vulgaris est consuetudo» (En. Ps. 150, 7). Testo

  77. «Quibus fortasse ideo addidit organum, non ut singulae sonent, sed ut diversitate concordissima consonent, sicut ordinantur in organo. Habebunt enim etiam tunc sancti Dei differentias suas consonantes, non dissonantes, id est consentientes, non dissentientes; sicut fit suavissimus concentus ex diversis quidem, sed non inter se adversis sonis» (En. Ps. 150, 7). Testo

  78. Cf. quanto dice Basurko sul canto puro, El canto, pp. 188-191. Testo

  79. Cf. P. A. Sequeri, Vox humana, vox instrumentalis in «La Maison-Dieu», 194 (1993) p. 125. Testo

  80. «Tamen dum miratur membra tabernaculi, ita perductus est ad domum Dei, quamdam dulcedinem sequendo, interiorem nescio quam et occultam voluptatem, tamquam de domo Dei sonaret suaviter aliquod organum; [...] audito quodam interiore sono, ductus dulcedine, sequens quod sonabat, abstrahens se ab omni strepitu carnis et sanguinis, pervenit usque ad domum Dei» (En. Ps. 41, 9). Testo

  81. «Ut bene ab homine laudetur Deus, laudavit se ipse Deus; et quia dignatus est laudare se, ideo invenit homo quemadmodum laudet eum» (En. Ps. 144, 1). Anche altrove Agostino dice che Dio stesso quasi intona il canto da cantare (cf. En. Ps. 32, II, I, 8). Nella En. Ps. 95, 6 si dice che lo Spirito pulsa lo strumento-uomo (riferimento al soffio e ai mantici) il quale traduce il soffio in sillabe; in En. Ps. 128, 1 si dice che lo Spirito stesso canta un canto e altrove che nessuno canta degnamente se non chi da Lui ha ricevuto di che poter cantare, perché ciò che cantiamo è detto dallo Spirito (cf. En. Ps. 34, I, 1). Testo

  82. Cf. Zorzi, L'esperienza del canto liturgico, pp. 223-232. Per il tema delle due città si rimanda alle En. Ps. 136, 1; 145, 1; 64, 2. 3. Testo

  83. Corbin, La musica, p. 221. Testo

  84. «Cymbala invicem tangunt ut sonent, ideo a quibusdam labiis nostris comparata sunt. Sed melius intellegi puto in cymbalis quodammodo laudare Deum, dum quisque honoratur a proximo suo, non a seipso; et invicem honorantes dant laudem Deo» (En. Ps. 150, 8). Testo

  85. En. Ps. 150, 8. Cf. M. Simonetti, Lettera e/o allegoria. Un contributo alla storia dell'esegesi patristica, Roma 1985, p. 354. Testo

  86. Simonetti, Lettera e/o allegoria, p. 354. Testo

  87. In realtà, come già accennato, tra i padri tale interpretazione non è nuova, anche se in Agostino ha un taglio peculiare. Testo

  88. «Idem ipsi sancti sunt in omnibus musicis organis deinceps significati, ad laudandum Deum» (En. Ps. 150, 6). Testo

  89. «Quamvis ordo psalmorum, qui mihi magni sacramenti videtur continere secretum nondum mihi fuerit revelatus» (En. Ps. 150, 1). Testo

  90. «Non enim frustra mihi videtur quinquagesimus esse de penitentia, centesimus de misericordia et iudicio, centesimus quinquagesimus de laude Dei in sanctis eius» (En. Ps. 150, 3). Testo

  91. «Sed per similitudines, non per proprietates [...] Vos estis tuba, psalterium, cithara, tympanum, chorus, chordae et organum, et cymbala iubilationis bene sonantia, quia consonantia» (En. Ps. 150, 8). Testo

  92. Sequeri, Vox humana, (trad. mia), p. 126. Testo

  93. Cf. ibidem., pp. 127-130. Testo

  94. Si pensi allo stile/scelta di Taizé o a quello del monastero di Bose. È anche interessante notare che una vera esperienza di chiesa produce un repertorio liturgico. Testo

  95. Cfr. Editoriale. Peccati che gridano vendetta (al cospetto di S. Cecilia), in «Reportata. Passato e presente della teologia» [in linea] http://mondodomani.org/reportata/editoriale02.htm; A. Grillo, Dalla Riforma necessaria alla Riforma non sufficiente. Il Movimento Liturgico come «effetto» del Concilio Vaticano II? , in «Reportata. Passato e presente della teologia» [in linea] http://mondodomani.org/reportata/grillo02.htm. Testo