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La personalità delle vergini e l'epilogo del Simposio di Metodio d'Olimpo: una critica all'encratismo

di M. Benedetta Zorzi (1º settembre 2003)

L'encratismo di Metodio è questione discussa, ma l'epilogo e le indicazioni sparse sul carattere delle dieci ragazze, riunite in simposio nella lode della castità, sembrano criticare una certa concezione fortemente dualista della corporeità e della dottrina dell'apatheia, dietro cui si potrebbero probabilmente intravedere alcuni movimenti ascetici coevi a Metodio, di tendenza encratita. In questo modo la cosiddetta teologia asiatica mostra tutto il suo fascino e la sua bellezza in campo antropologico.

1. Le consacrate: figure eteree?

Sebbene si tratti di un artificio letterario, i caratteri delle dieci ragazze del Simposio,1 opera sull'eros cristiano, personificano il concetto metodiano di hagnéia, concetto articolato e complesso.2

Al contrario di alcune descrizioni che possiamo trovare nella letteratura latina su questo genere -- si ricordino le «pallide in viso... che circola[no] ridotte quasi ad uno spettro» di Girolamo, ep. 22, 17 -- la personalità che Metodio assegna a queste donne è tutt'altro che pallida ed evanescente: ci troviamo di fronte a tipizzazioni di una umanità diversificata e vivida e non davanti a delle «figure eteree», come vorrebbe Peter Brown che ne fa quasi una caricatura di alcuni dèi pagani.3

L'encratismo di Metodio è questione discussa:4 l'ipotesi che il suo Simposio sia un'opera antiencratita è vagamente suggerita dal modello proposto dalle ragazze e può essere rafforzata alla luce dell'epilogo dialogato tra Gregorion e Eubulion, che mostra -- a nostro parere in modo inequivocabile -- come dietro questo trattato sull'eros vi sia una critica a certi movimenti ascetici e monastici coevi a Metodio e decisamente encratisti. In questo campo la cosiddetta teologia asiatica di Metodio dispiega tutto il suo fascino e la sua bellezza in campo antropologico e diventa il perno dell'argomentazione polemica.

Le notazioni di passaggio, tra un discorso e l'altro del Simposio, sulla personalità delle 10 ragazze, le caratteristiche con cui Metodio colora questi personaggi, lasciano trapelare una umanità non negletta, come ci abituerà una certa folcloristica letteratura monastica, maggiormente influenzata dalla tradizione encratita o forse maggiormente platonica (in accezione peggiorativa).5 Seguendo il modello di questa antropologia, di stampo maggiormente platonico, tesa quindi ad una separazione tra anima e corpo (cfr. Phaed.), queste ragazze ci sembrerebbero davvero «troppo umane»: esse denotano una estrema libertà nel parlare e nell'interpretare la Parola, una vivacità e una gamma di emozioni dalle quali si lasciano attraversare e che sanno vivere e gestire. La ricerca della castità non ha reso le fanciulle di Metodio degli esseri al di sopra della umana natura. Tutto questo è appunto eredità dell'antropologia asiatica che ha sempre di mira l'uomo intero, la salvezza del plasma (Gn 2, 7). Ma c'è forse dietro anche una convinzione comune nei primi secoli e di un dato di fatto: che cioè la scelta della verginità abbia dato alle donne, anche o soprattutto a livello sociale, una posizione e una coscienza di sé che a quel tempo doveva risultare più che rivoluzionaria, sciolte, come venivano a trovarsi, dai legami e dalle macchinazioni politiche e economiche delle grandi famiglie della società del tempo.

Abbiamo quindi in Metodio vergini piene di desiderio, di entusiasmo, di euforia, di ironia: Eubulion stava cercando Gregorion desiderosa di conoscere (Prol.) cosa si sia detto della riunione delle vergini; la sua curiosità spinge Gregorion a non tralasciare nemmeno i dettagli. Gregorion la rimprovera bonariamente dicendo che è sempre tremendamente desiderosa di sapere. Riesce ad eccitare il desiderio delle altre senza arrivare al litigio. Si afferma sommariamente come le vergini si siano cimentate in modo stupendo e incisivo. Gregorion a sua volta è piena di entusiasmo e facile quindi alla delusione; prova però molta euforia e si compiace a dare notizia del colloquio; cammina in fretta e non vuole farsi precedere per dare la notizia. Gregorion si lamenta dell'asperità del cammino e della fatica, probabilmente è anziana (cfr. III,14). Alla fine Gregorion emerge con la sua fierezza ed Eubulion per la sua amenità e ironia (Epil.).

Nell'interpretazione della Scrittura questi personaggi assumono addirittura un che di «agonistico»: il carattere di Marcella (I), la prima oratrice, emerge più nel dibattito successivo che nel suo discorso. Interrompe la collega e la corregge (II,3) ritenendo che nel discorso vi sia un errore dottrinale (!). Marcella con un gioco di astuzia ritiene che Teofila (oratrice del II discorso) abbia saputo dissimulare questo errore ma a lei (alla sua sagacia) esso non è sfuggito! Si tratta addirittura dello scottante problema di come considerare i figli nati illegittimamente da un adulterio (II,3) e Marcella si oppone a volerli considerare fuori dalla misericordia di Dio. Ella lascia poi la parola a Teofila, la quale a sua volta le fa notare una grande lacuna nel discorso (questo modo di dialogare ricorda i discorsi benevoli e le domande e risposte senza invidia di Platone, Ep. VII, 344c1). Marcella è chiamata dottissima (II,5) da Teofila, che le riconosce l'esattezza del ragionamento pur essendo stata ripresa. Marcella -- sulla scia di un discorso che ricorda quello del prologo del Simposio di Platone -- sembra nutrire una certa idiosincrasia per le nature meschine, presuntuose («piene di finta saggezza», I,1), ciarlone o forse un poco (diremmo noi) ossessive:

Non è infatti ridicolo che costoro si mettano a ciarlare, sforzandosi in ogni modo per cose di poco conto, di compiere scrupolosamente alla perfezione atti minuziosi, mentre quelli necessari ad accrescere maggiormente l'amore stesso della continenza non ritengano utili gli sforzi più grandi? (I,1).

Teofila (II)6 si lancia in una difesa della procreazione addentrandosi in descrizioni anche molto dettagliate dell'atto sessuale. Queste donne sconcertano per come sappiano descrivere senza licenziosità il mistero della vita divina inscritta nell'atto sessuale. L'atto sessuale è parte costitutiva della vita dell'uomo e come tale -- sembrerebbero dire Teofila e Talia che la segue -- rivela qualcosa di Dio.7 Interrotta da Marcella e attaccata sul suo discorso, Teofila è presa da vertigini e si riprende a stento8 (II,4), ma sa gestire queste debolezze e, una volta ripresasi, coglie l'occasione dell'osservazione di Marcella per chiarire la sua posizione. Mantiene il dialogo anche con chi l'ha contraddetta secondo tipiche riprese che ricordano i dialoghi socratici. Conclude il suo discorso che le è risultato difficile senza dissimulare la sua fatica (II,7). Le altre unanimemente la lodano alla fine del suo discorso con dolce mormorio (cfr. Platone, Symp. 198a, che ne fa il parallelo del discorso di Agatone), cosa che non avviene nemmeno per la vincitrice, Tecla.9

Talia si alza per terza: vediamo queste donne entrare in contraddittorio, proponendo varie interpretazioni anche di uno stesso versetto della Scrittura:10 rifiutando l'atteggiamento che potrebbe risultare cavilloso e portato a discutere su tutto (III,1) (forse pensa a Marcella?), elogia il discorso di Teofila ed esprime la sua obiezione con classe, sotto forma di un suo proprio impaccio. Talia oppone all'interpretazione fisiologica di Gn 1 e 2 di Teofila, quella spirituale (III,2) seguendo Paolo. Talia esorta a non restare sconvolta (III,2) di fronte alle argomentazioni di Paolo. Si propone di rilevare con maggior incisività le affermazioni di Paolo (!), mettendosi senza falsa umiltà in un certo senso sul suo stesso piano. Invece di fronte al mistero grande (Ef 5) Talia confessa la sua debolezza e ottusità di mente, tuttavia decide di cimentarsi lo stesso nella spiegazione. Questa degna rappresentante di una esegesi origenista esorta le altre a considerare più in profondità (III,2), il testo e a prendere in mano la Scrittura ciascuno per suo conto al fine di esaminare autonomamente che le cose siano nella linea di quanto ella ha sostenuto (III,14). Gli argomenti con cui dimostra il suo assunto sono molti e perciò viene lodata da Eubulio, qui introdotta di nuovo in dialogo con Gregorion.

Teopatra (IV), da vera filosofa, esordisce con un'affermazione di stampo platonico dicendo che vi sono numerosi accessi ad una conversazione e mille le possibilità di svilupparle (IV,1), e termina il suo discorso porgendolo a Virtù un po' a guisa di trastullo,11 un po' a conferma del suo zelo (IV,6). Sono donne capaci di giocare eppure di essere zelanti.

Tallusa si prende uno spazio di silenzio e riflessione prima di cominciare (V,1), perché deve improvvisare (V,8), ma afferma poi le sue convinzioni con decisione e parla della verginità come di una lotta (V,1).12

Se qualcuna risulta esitante è tuttavia cosciente del suo zelo e della sua bellezza: Agata viene toccata da Virtù con lo scettro e subito si alza a parlare. Sembra un po' esitante, ma invece non ha remore nel portare avanti la sua prospettiva, nel dire che parlerà a suo modo di vedere e non secondo quanto è stato detto (VI,1). Con Agata fa capolino la vergine stolta (I,1) (è la sesta e nel suo discorso si fa esplicito riferimento alla parabola, VI,2) che potrebbe emergere in lei se cercasse di emulare le vergini che l'hanno preceduta e superata in sapienza (attributo biblico). Agata fa un discorso sulla bellezza (attributo greco), che è forse il primo in ambito cristiano. Alla fine notiamo in lei un certo autocompiacimento nel rendersi conto che con il suo discorso ha a modo suo eguagliato le altre compagne (VII).

Tisiana dispiega un sorriso (IX,1), segno delle sue emozioni, ma parla senza incertezze (IX,5). Eubulion la immagina turbata e agitata in cuor suo al timore che le venissero meno le parole e vuole sapere da Gregorion se la sua emozione interna trasparisse anche sul suo corpo all'esterno (IX,5); collegamento degno di nota e non è un caso infatti che Procilla (VII) proponga la lode non di un discorso ma di un testimone superiore alla parola elogiata (VII,1). Gregorion conferma che benchè Tisiana fosse indubbiamente molto agitata riuscì a dominarsi e non le mancarono le parole. Le vergini di Metodio sono donne che conoscono le sfumature della gamma dei sentimenti umani, le rifrazioni sul corpo di atteggiamenti interiori, sanno dominarle certo, ma anzitutto le vivono. Anche Domnina (X) quindi, timidissima e fragile, che vediamo coprirsi di molto rossore (X,1), sembrerebbe in un primo momento quasi soccombere alle sue emozioni: a stento respira, ma dopo la preghiera è ricolmata di coraggio e di una calma divina sì da fare un dolce discorso anche se non del tutto chiaro come le rimprovera Virtù (XI).

La scelta verginale -- come l'eros -- non sradica dunque dalle realtà corporee e non rende meno donne le vergini, anzi esalta le loro potenzialità. Metodio sottolinea, con l'artificio letterario della creazione di questi personaggi, anche il fatto che le ragazze abbiano temperamenti molto diversi, non omologati: a ciascuna ha infatti dato una caratteristica particolare. Qualche esempio: Gregorion è un'entusiasta (Prol.), Eubulion è sempre tremendamente desiderosa; Tecla è una combattente (VIII); Agata è umile, Tisiana odia i preamboli (IX,1) e va subito al sodo; da Domnina trapela una certa devozione; Procilla si permette di alzarsi e cambiare posizione (sappiamo quanto fosse importante nel Simposio di Platone quel "cambiamento di posizione" che avviene ad Alcibiade alla fine del Symp., indice anche di una cambiamento interiore a cui la filosofia cercava di portare le persone;13 cfr. quanto avviene anche a Gregorion). Talia è un tipo calmo (III,14); Marcella è alquanto puntigliosa.

Donne la cui umiltà è tutt'altro che bieca sottomissione o svalutazione delle loro capacità, ma che è tutt'uno con la coscienza della dignità della loro vocazione. Esse sanno di poter e quindi dover parlare secondo le proprie capacità (II,7; VI,1; IX,5; X,1) ma senza per questo credere di aver esaurito il discorso né sottraendosi alle correzioni delle sorelle (II,1), tanto meno al dovere della lode della castità.

Tecla accordata interiormente a guisa di cetra (VIII;1) pronuncia un discorso appropriato e sostenuto: l'idea di armonia tra corpo e spirito (e quindi di musica) ha una lunga tradizione fin da Platone (Resp.) e indica la giusta relazione tra anima e corpo e quindi la «virtù». Sarà lei ad intonare l'inno finale: questa capacità di cantare è spesso nei padri metafora della verginità e oltre che per il fatto di essere segno dell'armonia tra anima e corpo e tra corpo e Spirito, per il fatto che dice il ruolo pieno del corpo all'interno dell'esperienza di fede -- non esplicito nei padri se non da Agostino in poi.14 Tecla parla senza mezzi termini, cerca di essere chiara e esorta a non spaventarsi di fronte ai misteri della Scrittura. Si addentra in sottili ed erudite speculazioni per le quali però prova vergogna e confusione e di cui sembra quasi scusarsi con le altre. Gregorion testimonia di averla sentita parlare anche con particolare facondia, scioltezza di lingua, molta grazia e piacevolezza; è bella anche a vedersi (VIII,17) mostrando la vera unione tra vita interiore e corpo (parlando mostra costantemente come nell'intimo e in realtà vive le cose che dice). Questa idea di unione tra parola e azione ritorna spesso nel testo: anche Talia aveva sottolineato che Teofila supera tutte nell'agire e nel parlare; Tecla è una lottatrice che però conosce il pudore che le imporpora il viso e che è di un candore unico nel corpo e nell'anima. È questa unione, testimone di un traboccante amore per Cristo (VIII,17), che la rende coraggiosa, vigorosa nel corpo quanto nella volontà. Sarà lei a vincere la corona, proprio per l'unità profonda tra corpo e anima, per quell'armonia che la rende arpa vibrante al plettro dello Spirito e cioè personificazione della castità/verginità che meglio ora si esprime come l'esatto rapporto tra interiorità e corporeità.

È quindi anche il modo di intendere il ruolo del corpo all'interno di questo cammino di castità che differenzia tanto Metodio (esponente della cosiddetta teologia asiatica) dalla tradizione latina dei successivi trattati sulla verginità che da lui prenderanno spunto (ancora Girolamo, ma anche certa letteratura monastica): in Metodio il corpo non è trattato crudelmente come campo di mortificazione. La castità si presenta in Metodio (come era in Origene) l'esatta unione tra spirito purificato e corpo. Brown15 considera la posizione di Metodio su questa questione del tutto sulla scia di quel platonismo «selvaggio» (157) di cui parla altrove, e parla delle vergini metodiane come di figure eteree (172). Sarebbe davvero Metodio l'ultimo rappresentante di un ellenismo sfrenato?

La stessa Virtù, maestosa figura che va incontro alle vergini alla fine del loro impervio cammino (Prol.) è austera ma gaia, certamente più pacata e armonizzata delle altre vergini, eppure non esita a correre loro incontro e a baciarle, è capace di vergogna. Le giovani al banchetto stanno con tanta allegrezza. Virtù (XI) dà il ritratto finale della vergine in un discorso che è una sorta di trattato sul discernimento degli spiriti, con molti elementi che ricordano il trattato pratico sulla vita monastica di Evagrio (comune origine da Origene o interdipendenza?), a sostegno ancora una volta del fatto che l'idea di castità in Metodio è concetto ampio e articolato:

Molti ritenendo che la verginità consista maggiormente nell'opporsi ai desideri ardenti della carne, hanno peccato contro di essa per non essere stati vigilanti sulle altre passioni... (XI)

L'armonia alla quale la verginità richiama kainó érgo kai lógo si riflette nell'inno finale,16 il canto intonato da Tecla, la vincitrice (parallelo trasposto all'inno finale del Fedro?).

2. L'interludio finale: Metodio antiencratita

L'interludio finale del dialogo tra Eubulion e Gregorion evidenzia in modo davvero efficace due (o forse più, vista l'affermazione di Eubolion su queste cose molti sapienti fanno oggetto di divergenze, Epil.) posizioni diverse circa il cammino spirituale. Tali posizioni diverse rispondono a questa domanda posta da Eubulion:

Sono migliori coloro che non sono soggetti a passioni o piuttosto quelli che ne sono posseduti, ma che le dominano e vivono la loro verginità?.

Gregorion sembrerebbe portavoce della dottrina dell'apátheia e risponde che sono coloro che sono senza passioni, vergini, puri e incorrotti, anzi alla domanda di spiegazione di Eubolion risponde diffusamente in un discorso che potrebbe essere uno spaccato delle correnti encratite del tempo di Metodio:

Essi conservano pura la loro anima e lo spirito santo abita sempre in essa non essendo travolta né turbata da immagini o da pensieri di incontinenza, così da non venire deturpata nemmeno nell'intimo del sentimento. La passione inoltre non trova vie d'accesso alla loro carne e al loro cuore, ed i desideri non turbano le loro tranquillità (galhvnh).

Tutte le parole qui sono pregnanti, ma ancora più interessante è la caricatura di Gregorion dell'eros platonico (secondo le descrizioni vivide della fiamma di eros che raggiunge l'anima dell'amante attraverso lo sguardo, presenti nel Fedro):

Coloro che invece per via dello sguardo, sono attratti dalle immagini esterne, accolgono in sé le passioni che a guisa di un torrente, irrompono nel loro cuore...

Eubolion risponde cercando di fare il Socrate della situazione (aveva già detto sopra che riconosce di non sapere) e discutendo con la compagna restando sul livello delle immagini platoniche del Fedro, in modo particolare dell'auriga del carro dell'anima:

Dimmi, chi è per te un buon nocchiero? ... quello che ha salvato la sua nave in mezzo a grani e difficili tempeste oppure nella bonaccia e in un mare calmo? ... analogamente, quell'anima che è sommersa dalle potenti ondate delle passioni e non si abbatte né si infiacchisce, ma dirige la nave, cioè la propria carne fieramente verso il porto della continenza, la chiameremo migliore dell'altra che naviga nella tranquillità e l'apprezzeremo di più?

Infine arriviamo al punto in cui Eubolion-Metodio esplica il suo concetto di castità:

Disporsi ... ad affrontare gli assalti intentati dallo spirito del male, senza lasciarsi scuotere o essere sopraffatti, ma col capo rivolto a Cristo combattere energicamente e interamente contro i piaceri, si merita lode più grande che se si conserva una verginità (parqeneuvontoò) senza burrasche e tempeste... . Perciò anche un'anima che si porta dietro un corpo più proclive alla passione e cerca di sedare i mali connessi ai piaceri del corpo con i rimedi della continenza, non si può chiamare più esperta nelle cure di quell'altra anima che ha avuto in sorte di governare un corpo sano e privo di passioni?

Passando all'immagine paolina della lotta, lo stesso concetto è espresso da Eubulion in altri termini:

Anche nel campo della lotta, il miglior combattente è colui che ha davanti a sé dei grandi e vigorosi avversari e si batte incessantemente senza essere atterrato... l'anima che s'ingegna contro gli assalti della concupiscenza senza lasciarsi travolgere, anzi resistendo e opponendosi, si mostra più forte di quella che non prova passioni

Purtroppo le scelte del recente traduttore non sempre aiutano a rendere ragione di quanto stiamo dicendo, soprattutto nelle ultime due battute finali, la chiusa di classe della polemica antientratita di Metodio:

Eub.: pertanto quell'anima che è presa dai desideri e si conserva nella verginità è migliore, dopo quanto abbiamo detto, di quella che resta vergine non essendo assalita dalla passione.

Come alla fine del Simposio, il dialogo riesce a far «cambiare opinione» o meglio posizione all'interlocutore e quindi Gregorion afferma:

Gr.: è tutto vero quello che hai detto e avrei desiderio di andare più a fondo su questo argomento. Se ti tornerà gradito, verrò di nuovo ad ascoltarti. Ora, come tu vedi, è tempo che noi ci rivolgiamo alle cure dell'uomo esteriore.

Con grande ironia Metodio chiude così la sua opera antiencratita.

Forse questa umanità vivace delle vergini di Metodio avrebbe suggerito anche un modello diverso di «religiosa», rispetto a quello al quale ci ha abituato un certa tradizione latina e monastica successiva.17 Ma a ben vedere, al di là di un modello ideologico proposto dai teorici che furono ovviamente sempre e solo uomini, le concrete figure storiche sono state di ben altro calibro.18

Ci sembra indubbio scorgere dietro il Simposio metodiano una polemica contro l'encratismo e certi circoli ascetici che forse esasperavano la negazione di tutte le passioni e gli affetti umani. Certo, oggi siamo più sensibili a questa posizione di Metodio e alla sua antropologia di quanto forse non lo siano state le generazioni precedenti e si simpatizza più facilmente con un Metodio che con un Girolamo. Non sconcerta più quindi che nel duetto finale Gregorion affermi la tesi comune secondo la quale sarebbe migliore colui che non è posseduto dalle passioni,19) mentre Eubulion le obietta che:

Disporsi ad affrontare gli assalti intentati dallo spirito del male senza lasciarsi scuotere o essere sopraffatti, ma col capo rivolto a Cristo combattere energicamente e interamente contro i piaceri, si merita più lode che se si conserva una verginità senza burrasche e tempeste...

... sono migliori non coloro che non sono soggetti a passioni ma quelli che essendone posseduti le dominano e vivono la loro verginità.

E tali ci sono sembrate le ragazze che hanno parlato nell'agone verbale.

Per secoli una certa dottrina spirituale cristiana sulla verginità si è nutrita di un diafano platonismo spiritualizzante, attingendo principalmente dalla tradizione alessandrina con aspetti stoici in morale, arrivando a volte vicina ad aspetti dello gnosticismo o comunque di un encratismo opposto alla visione biblica di Dio Creatore buono. Il modello del consacrato cristiano così si è sempre ammantato di un aspetto scolorito, che si avvicinava più all'ideale dello stoico greco che non a quello di un mediorientale di Galilea. Ci si compiace quindi nel vedere le donne di Metodio così appassionate anche se altrettanto austere sul loro cammino cristiano. Chissà quale aspetto avrebbe preso la dottrina spirituale cristiana se si fosse avvalsa maggiormente della tradizione asiatica piuttosto che di quella platonico-alessandrina in versione scolorita. Ma la storia -- si sa -- non si fa né coi se, né coi ma.

Tuttavia da un certo tempo e ormai in modo sempre più consistente, la teologia si occupa in modo serio del posto del corpo all'interno del cammino spirituale. Questo grande assente nei millenni passati sembra oggi essere reintrodotto a pieno diritto nella teologia cristiana. La tradizione successiva a Metodio ha seguito la scia dei padri maggiormente platonizzanti, laddove però si è trattato solo di una certa linea del platonismo mista ad elementi stoici che hanno considerato il corpo e in specie la sessualità gravata da un'ombra peccaminosa. Metodio si oppone a certe forme estremiste e -- come sempre in posizione polemica -- sottolinea una reintroduzione a pieno diritto della generazione fisica nel cammino con Dio. Metodio ha dato grande rilievo anche al ruolo femminile. Ci auguriamo che Metodio possa costituire oggi ancora un punto di riflessione e rielaborazione «tradizionale» non solo sull'esercizio della sessualità (inutile limitarsi a deplorarne la mancanza del suo raccordo oggi al «mistero grande», Ef 5) ma anche sulla verginità-castità.20

[Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in Mneme il 30 agosto 2002.]

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Note

  1. Metodio d'Olimpo, La verginità, a cura di Normando Antoniono, [Testi patristici 152], Roma 2000. Testo

  2. Cfr. B. Zorzi, «Castità e generazione nel bello: l'eros nel Simposio di Metodio d'Olimpo», in Mneme, <http://mondodomani.org/mneme/abz02.htm>, 30 agosto 2002; ora in Reportata, <http://mondodomani.org/reportata/zorzi02.htm>, 1º settembre 2003. Testo

  3. P. Brown, Il corpo e la società. Uomini, donne e astinenza sessuale nel primo cristianesimo, [Biblioteca di cultura storica 189], Torino 1992, 171-172. Testo

  4. Sull'antiencratismo di Metodio le posizioni degli studiosi, come si sottolineerà lungo il percorso, si diversificano: c'è chi attribuisce a Metodio un encratismo «morbido» (G. Sfameni Gasparro, Enkrateia e antropologia. Le motivazioni protologiche della continenza e della verginità nel cristianesimo dei primi secoli e nello gnosticismo, [Studia Ephemeridis Augustinianum 20], Roma 1984, 228) e chi ritiene Metodio un antiencratita (E. Prinzivalli, «Desiderio di generazione e generazione del desiderio. Metodio d'Olimpo e le polemiche sull'Eros tra III e IV secolo», in L'Eros difficile. Amore e sessualità nell'antico cristianesimo, a cura di Salvatore Pricoco, Catanzaro 1998). Testo

  5. Cfr. Carlo Nardi, L'eros nei Padri della chiesa. Storia delle idee, rilievi antropologici, [L'altra biblioteca], Firenze 2000, 53. Testo

  6. Il rimprovero di Tisiana a Marcella ricalca in parte quello di Pausania a Fedro (Symp. 180c) e in parte quello di Erissimaco a Pausania (cfr. Symp. 185e = II,1,2-3). Testo

  7. Cfr. commento dettagliato al discorso III,8 in <http://mondodomani.org/reportata/zorzi02.htm#par9>. Testo

  8. Calco platonico. Testo

  9. Cfr. Prinzivalli, Desiderio, 61. Testo

  10. In questo caso si tratta del versetto «crescete e moltiplicatevi» (Gn 1, 28) che è stato interpretato da Teofila in modo letterale-fisico. Talia si accinge ad una interpretazione spirituale. Testo

  11. C'è dietro il tema del gioco presente anche in Phaedr. 265c. Testo

  12. Cfr. E. Rindone, «Eros, Agape, Charitas: L'amore dalla Grecia classica alla fine del Medioevo [1]», in Il Giardino dei Pensieri -- Studi di storia della Filosofia, <http://www.ilgiardinodeipensieri.com/storiafil/rindone-1.htm>, dicembre 2000: «Contrariamente a quanto si pensa comunemente, non è affatto vero che l'amore platonico escluda la dimensione corporeo-sessuale. Nel Fedro Platone mostra di conoscere bene i brividi della passione amorosa e le sue pene, che descrive con estremo realismo: l'amante "se scorge un volto d'apparenza divina, o una qualche forma corporea che ben riproduca la bellezza, subito rabbrividisce e si sente mancare; poi, rimirando questa bellezza, la venera come divina e, se non temesse d'essere giudicato del tutto impazzito, sacrificherebbe al suo amore come all'immagine di un dio" (Fedro 251 a). Se l'amato è assente, l'anima innamorata soffre, ma appena lo rivede "torna a respirare, si riposa delle trafitture e degli affanni, e di nuovo gode, almeno per il momento, questo soavissimo piacere. E non si staccherebbe mai dalla bellezza dell'amato, che apprezza più di ogni cosa, sino a dimenticarsi della madre, dei fratelli e di tutti gli amici; se il patrimonio va in rovina perché lo ha abbandonato, non gliene importa nulla, e, trascurando regole e convenienze, a cui prima teneva tanto, accetta volentieri ogni schiavitù. [...] Questo patimento dell'anima [...] è ciò che gli uomini chiamano amore" (Fedro 251 e-252 b). E alla forza contagiosa dell'amore l'amato non può resistere: egli "desidera ed è desiderato, perché ha in sé un'immagine riflessa d'amore, un amore di risposta. [...] Desidera ugualmente [...] vedere, toccare, baciare l'amante e giacere con lui: e ci arriva, naturalmente, assai presto" (Fedro 255 d-e)». Testo

  13. Cfr. John M. Rist, «On the Aim and the Effect of Platonic Dialogues», Iyyun, The Jerusalem Philosophical Quarterly 46 (1997) 29-46. Testo

  14. Cfr. B. Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristiana, in Mneme, <http://mondodomani.org/mneme/abz01.htm>, 30 novembre 1999; ora in Reportata, <http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm>, 1º settembre 2003. Testo

  15. Brown, Il corpo, 156. Testo

  16. Su questo inno si veda l'analisi di M. Pellegrino, L'inno del Simposio di S. Metodio Martire, Torino 1958. Testo

  17. Si veda la già citata ep. 22 di Girolamo. Testo

  18. Possiamo solo accennare, rimandando a qualche studio, ma la letteratura comincia a farsi consistente: A. Valerio, Cristianesimo al femminile. Donne protagoniste nella storia delle Chiese, D'Auria, Napoli 1990. Testo

  19. Coscienti del fatto che questo concetto ha ancora bisogno di uno studio approfondito che ne specifichi i vari significati non solo nelle varie tradizioni filosofiche ma anche nei vari padri e a volte all'interno di uno stesso padre (per esempio Girolamo), la diamo per buona non potendo approfondire. Testo

  20. Alcuni interpreti affermano che Metodio parli di una verginità spirituale. L'ipotesi sarebbe interessante alla luce della posizione a riguardo del recente documento vaticano Verbi Sponsa 13 Maggio 1999, dedicato (ancora da uomini!) alle claustrali. La reazione critica a questo documento da parte del mondo monastico femminile è stato segnalato (Dall'Osto) a più riprese nella rivista Testimoni -- EDB. Per quanto riguarda Metodio, bisognerebbe capire meglio con uno studio più approfondito, l'uso di Metodio dei termini hagnéia, parthenía, enkráteia, sophrosýne. Testo