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Sacramentalità, simbolo, storicità nel pensiero di Schillebeeckx

di Paola Mancinelli (20-21 marzo 2009)

1. Introduzione

La nostra opzione di dedicare questo saggio a Schillebeeckx nasce dal presupposto che la ricerca teologica ha una via via crescente urgenza di fare i conti con la storicità, nella quale viene ancor oggi attualizzata la Verità della sua Tradizione; necessita, dunque, di un fecondo dialogo con l'antropologia filosofica ove si esprime tanto l'idea dell'homo symbolicus, quanto quella della necessaria interpretazione dei segni ontologicamente pregnanti che traguardano all'essere come mistero. Uno di questi è proprio la corporeità, che per altro attesta tale commercium con il mistero che ci fa creaturalità, salvata in virtù dell'Incarnazione.

Avendo Schillebeeckx ravvisato nella cifra incarnativa la possibilità di scrivere la Storia di un vivente, sviluppando una cristologia incentrata sull'amore da cui scaturisce il dono della nostra esistenza1 e -- conseguentemente -- ponendo nella figura di Cristo la presentificazione del Mistero di Dio, ci sembra del tutto naturale che egli abbia desunto la sua idea di sacramento dalla stessa parabola di Cristo in quanto tangibile esperienza dell'Amore di Dio.

Incarnazione da un lato e sacramentalità dall'altro, ricompongono a nostro avviso il senso di una Rivelazione dinamica, per la quale- richiamando la Dei Verbum- Dio si manifesta gestis verbisque assumendo la storia come luogo teologico.

Da un lato Rivelazione e storicità, dall'altro cristologia e sacramentalità consentono di riflettere sulla dimensione antropologica della teologia, e quindi su quei loci antropologici (quali la persona, la relazione, l'impegno etico) nei quali la verità della salvezza si traduce efficacemente in forme nuove, coinvolgendo naturalmente la dimensione sacramentaria come performatività compiuta del kerygma. Per questo motivo è necessaria un'intelligenza della fede. Osserva Schillebeeckx a tal proposito:

Il cristianesimo non è soltanto una spiegazione dell'esistenza ma è anche essenzialmente un rinnovamento dell'esistenza la cui «theoria» è un momento implicito.2

È qui ravvisabile una necessaria dimensione ermeneutica, dato che il kerygma presuppone l'intelligere della sua verità; essa, tuttavia, non si limita affatto ad una subtilitas explicandi, perché se così fosse, non si potrebbe mai rendere ragione della contemporaneità dell'annuncio ad ogni tempo e ad ogni epoca storica, dunque del suo presente storico intenzionalmente aperto a Dio come futuro (evidenti in Schillebeeckx le suggestioni blochiane), bensì implica una subtilitas applicandi, in quanto dono del rinnovamento dell'esistenza.

Cifra ermeneutica è, da un lato l'hapax legomenon dell'Incarnazione del Verbo, dall'altro il suo rinnovarsi come evento salvifico nel tessuto sacramentale della Ekklesia che è presenza in mysterio del Christus passus e risorto, e assunzione, in quanto realtà teandrica, della storicità nella quale tale presenza si dona. Si cercherà di investigare la ricaduta antropologica e simbolica sulla teologia sacramentaria, in modo tale da rendere ragione di come essa ritrovi una sua propria legittimazione biblica ed ermeneutica.

2. Il sacramento nella sua dimensione simbolico-antropologica

Nell'affrontare questo tema, è innanzi tutto opportuno, seguendo le indicazioni di Schillebeeckx, concentrare l'attenzione sul concetto di forma ecclesiale del sacramento, la quale implica un rapporto ontologico con il suo presupposto fondante, l'incarnazione come assunzione, nell'atto salvifico del Verbo, dell'umanità. Così scrive Schillebeeckx:

I sacramenti sono questa volontà di salvezza sotto una forma ecclesiale visibile e tangibile. Sono il dono attuale della grazia che si impadronisce di noi in modo visibile e storico. Il segno che fa presente il dono attuale della grazia.3

In questo primo passaggio pare importante la categoria di segno. Non si tratta semplicemente di una sorta di semiotica per cui il segno porta un significato traslato, in modo tale che quest'ultimo risulti da un processo dialettico e dinamico, che renda quasi necessaria una transignificazione. Il segno è qui forma della stessa res, proprio come la Parola della Rivelazione viene contrassegnata in greco con la locuzione ta remata (parola e cosa insieme). La res qui implicata è la grazia santificante in quanto attualizzazione ecclesiale del Mistero di Cristo sulla base di cui si dà il rinnovamento della vita. Il segno non solo significat ma efficit, per questo motivo è forma compiuta di grazia, per citare i termini della filosofia classica. D'altro canto, esso abbraccia in toto una dimensione storica e di conseguenza teandrica, in virtù dello stesso presupposto da cui consegue. Il teologo olandese prosegue, poi, in modo assolutamente ineccepibile:

Il dono della grazia si rende presente in forma visibile e agisce in una presenza visibile; si rende presente in una corporeità tratta da questo mondo, più precisamente in un atto umano (l'atto del ministro della Chiesa). Di fatto, ci troviamo dinanzi a due realtà: un atto del Cristo ed un atto del ministro, ma nella linea della sacramentalità e dell'attività del segno, l'atto umano personalmente un atto del Cristo, il gran sacerdote.4

Il secondo aspetto molto notevole concerne la sottolineatura della corporeità come portatrice di grazia e come termine della presentificazione stessa della grazia. Schillebeeckx sottolinea come essa sia tratta da questo mondo, in un atto umano. Qui è implicata tanto la dimensione ecclesiale e storica come ipostasi di umanità salvata, quanto quella cristologica. Implicitamente si richiama l'istanza ipostatica per cui ogni atto umano di Cristo è assunto dal Verbo, quindi è atto salvifico, dunque semeion, segno della grazia.

Su questa base teandrica l'atto ministeriale presentifica questa misteriosa economia. Di conseguenza, dovremmo fermarci sul sacramento in quanto res. Esso ha un carattere simbolico, dato che unisce deità ed umanità: nell'umanità sottende la partecipazione di Dio alla storia dell'uomo, per mezzo dell'uomo Gesù, mentre nella deità ipostatizza l'assunzione della carne umana da parte di Dio in quanto salutis cardo. Per questo esso riunisce in sé la dimensione del Christus passus (come emerge dalle parole della consacrazione: hoc est corpus meum quod pro vobis datur), così come quella agapica, in nome della quale lo Spirito santificante partecipa Dio all'uomo perché l'uomo possa essere deificato.

In ogni caso, il carattere simbolico del sacramento sta ad attestare il valore dell'atto umano nel tessuto ecclesiale in quanto la Chiesa si presenta come Corpo di Cristo. In una communicatio idiomatum il simbolismo sacramentale riassume la stessa missione della Chiesa storica che realizza la salvezza in virtù dello stesso Verbum efficax Dei, risuonato una volta per tutte nel kerygma e reso storicamente presente nell'epiclesi. Dunque se, l'Eucaristia fa la Chiesa, così come la Chiesa fa l'Eucaristia, ciò è possibile per il fatto che la prima ed autentica dimensione sacramentale del Regno presente si dà in Cristo, nella sua natura teandrica. Questa si rende, però, riconoscibile nell'agire teandrico di Lui, dato che ogni atto è semeion. Cristo è dunque il primo sacramento di Dio (il genitivo è naturalmente oggettivo), in quanto esprime il dinamismo della Sua volontà di accogliere ed incontrare l'uomo. In tal senso Gesù è esegesi attualizzante di Dio nel Suo darsi all'uomo, tra-ducendo Egli storicamente il Mistero del Padre invisibile. Tale immensa tra-duzione, contrassegnabile anche come parabola è da ravvisare nella stessa sacramentalità della Chiesa.

La dimensione simbolica, d'altro canto, traduce storicamente una realtà invisibile che viene resa nota in primis dalla volontà di Dio che è grazia (la teologia classica la definirebbe liberalità) e, di conseguenza, da colei che è depositaria di tale grazia, la Sponsa Verbi, la quale mai annunzia ed amministra se stessa, ma custodisce il dono della salvezza facendosene signum efficax, ovvero atto umano che è assunto da sempre nel Verbo.

Chiamare in causa la simbolicità significa d'altro canto implicare quella modalità della fede che si esprime nell'ambito dell'ascolto (fides ex auditu), dato che l'uomo è uditore della Parola e questa risuona nella sua condizione fenomenologica di corporeità, nella quale accade l'evento kerygmatico.5

Tuttavia Schillebeeckx accentua ulteriormente la dimensione del segno, in quanto visibilità terrestre che convoglia l'azione sacramentale come azione teandrica. Così asserisce:

Quando consideriamo il segno nella sua vera dimensione antropologica abbiamo già la causalità efficiente: perché segno significa appunto che si rende presente un attività che comunica grazia.6

Se p. es. si pensa all'abluzione corporale che avviene nel battesimo, in quel segno è la stessa grazia di purificazione che si fa presente ed agisce, come visibilità terrestre. Per questo motivo Schillebbeckx sottolinea la visione antropologica e la contrassegna nel senso di una causalità efficiente, dato che l'atto di Cristo, espresso come atto visibile della grazia, non si esplica se non in una dimensione storica che attiene a quella dell'esperienza umana. D'altra parte, il teologo olandese è erede di una tradizione filosofica e gnoseologica che si esplica come sintesi di tomismo e fenomenologia, per la quale i concetti non esprimono tanto la realtà conosciuta ma offrono un senso intenzionale per poterla cogliere. In tale dinamica ermeneutica, possiamo leggere l'idea che Schillebeeckx ha del segno; in tal modo la stessa asserzione di S. Tommaso; non enim formamus enuntiabilia nisi ut per ea de rebus cognitionem habeamus, sicut in scientia ita in fide risuona in maniera più forte e pregnante.

Il segno, nella sua dimensione visibile, esprime il mistero di una realtà che supera la capacità di comprensione, e che, dunque, riesce a manifestare a partire dall'intenzionalità umana come apertura ad un orizzonte di senso, ma soprattutto, attraverso la visione spirituale che ci viene offerta dal kerygma dell'Incarnazione di Cristo.

Si tratta, dunque, di un'antropologia del soprannaturale (anche se assolutamente differente rispetto alla pur notevole elaborazione rahneriana) che connota la stessa sacramentalità, e che ne fa, per esprimerci in termini fenomenologici, l'orizzonte di riempimento di senso. In altri termini, il soprannaturale del kerygma si fa incontro all'appetito soprannaturale dell'uomo designando un dinamismo dell'incontro che si ripete nell'orizzonte storico, in virtù di tale istanza sacramentale

3. La sacramentalità come aspetto performativo della parola ed analogia Verbi

L'elaborazione sacramentale di Edward Schillebeeckx rappresenta, per un verso, un notevole sviluppo della dottrina di Tommaso, così che non può escludere l'aspetto verbale e la dimensione performativa che la parola implica.

Così, il segno è presenza e visibilità terrestre della grazia in quanto, in qualche modo signum loquens. Osiamo parlare di segno loquente in quanto traduzione di quel primo, ineludibile appello rivolto all'uomo come istante decisivo della sua salvezza e quindi memoriale di quell'hapax legomenon che manifesta Cristo come Incontro con Dio. Del resto lo stesso Tommaso d'Aquino ha accentuato in modo chiaro e suggestivo il dinamismo sacramentale asserendo: accedit Verbum ad elementum et fit sacramentum.

Da questo punto di vista, crediamo si possa parlare di una sorta di analogia Verbi, non tanto dissimile dalla barthiana analogia fidei, che rende il segno sacramentale presentificazione e re-istituzione della realtà invisibile spirituale della salvezza. Partecipare al sacramento è vivere la condizione del simul peccator et justus così come anticipare nella fede e per la grazia santificante, la propria morte e Resurrezione in Cristo. Scrive Schillebeeckx:

Dobbiamo dunque dire: come elemento dell'attività simbolica di Cristo nella Chiesa e per mezzo della Chiesa, il sacramento è salutare, perché è segno nel senso antropologico della parola (e dunque non solo come riferimento ad una realtà ulteriore). (Significando causant, diceva già S. Tommaso.7

L'asserzione di S. Tommaso denota una dimensione performativa, definita dalla filosofia del linguaggio di Austin perlocutoria, in quanto ottiene quello che afferma, e quindi mette in opera un senso.8 In questo caso il segno sacramentale mette in opera la Verità, dunque non si limita alla dimensione rappresentativa di una realtà ulteriore ma implica proprio una renovatio.

Nel sacramento sono realmente giustificato, divengo homo novus in Christo. Questo accade in virtù del Verbo di Dio che la Chiesa, in quanto espressione della pienezza sacramentale, fa risuonare come nuovo nell'oggi divino celebrato, vissuto, creduto. Vi è più di una memoria; si tratta qui di una vera e propria dimensione profetica ed anticipatrice del Dio futuro dell'uomo, per usare i termini cari al nostro teologo.

Proprio Schillebeeckx mette in evidenza come, nonostante si sia fatto riferimento dianzi alla causalità di simbolo, tale categoria sia troppo debole e inadatta ad esprimere il senso sacramentale. Per questo egli fa una distinzione fra dimensione simbolica ed antropologica, intendendo con la prima la possibilità di intenzionare una realtà invisibile, e con la seconda la dimensione del Corpo di Cristo e della natura ipostatica, grazie a cui il sacramento efficit quod significat:

Pensiamo tuttavia che il termine di «causalità di simbolo» sia insufficiente per quanto riguarda i sacramenti. Se questo termine sembra proprio spiegare gli atti simbolici immediati del Cristo stesso (per esempio del Cristo sulla terra) non è adatto per spiegare gli atti simbolici del Cristo in un atto della Chiesa ed attraverso di esso. Perché il Corpo di Cristo è l'elemento reale che rende visibile la sua interiorità umana, e appartiene, così, ipostaticamente alla persona del Figlio di Dio, è difficile usare il termine di «strumentalità» per l'elemento corporeo incarnato del suo atto umano.9

Il Corpo di Cristo è realmente la Presenza di Dio nella Chiesa ed è ipostasi personale che rende attuale l'opera della Redenzione. Naturalmente si tratta di molto più che una strumentalità, dato che esso implica più propriamente l'Atto con cui, nella Chiesa, il Cristo partecipa se stesso ad ogni membro.

Tuttavia, lo stesso Corpo di Cristo in cui la Chiesa si costituisce e che costituisce la Chiesa, diviene presente per mezzo della parola esplicantesi come memoriale in virtù dell'epiclesi, e dunque tale elemento incarnato è certamente molto di più di una «strumentalità», sottende, bensì, l'atto di Dio che santifica la Chiesa, e rammemora l'unyo hypostatica.

Per questo motivo Schillebeeckx evidenzia come il Corpo di Cristo, in quanto modo di essere del Figlio di Dio non è affatto uno strumento quanto l'espressione perfetta della storia di Dio con l'umanità, riassunta nell'opera sacramentale della Chiesa Santa.

In tal senso il sacramento non è forse segno efficace della grazia per l'Incarnazione di Cristo, ove l'Atto del Verbo assume ipostaticamente le azioni dell'uomo Gesù? Non lo è, dunque, per la Parola di Dio che risuona nel kerygma e che rinnova nella Chiesa l'oggi salvifico?

Non vorremmo cadere in una sorta di positivismo del Verbo ma riteniamo che solo a partire dalla centralità della Parola di Dio e dall'atto incarnativo che da sempre la contrassegna è possibile elaborare una teologia del sacramento che non si limiti alla res ma che si radichi nell'istanza ontologica dell'Incarnazione di Cristo. Solo in tal modo, anche nell'ambito del sacramento si attua quanto la fede crede, per il fatto che esso è un evento della Parola di Dio, sia pur in senso analogico: si tratta, in effetti, di un verbum fidei10. La stessa Chiesa, in quanto continuazione di quella originaria sacramentalità di Cristo diviene prolungamento di quell'incontro. In effetti, come asserisce il teologo olandese:

Il segno d'amore che ci dà il Cristo non è nei sacramenti divenuto «cosa». Non è solo il riferimento ad un amore assente, che si rend ein qualche modo presente con questo riferimento. La manifestazione sacramentale di amore costituisce una unità vivente con la volontà salvifica celeste umana del Cristo che, essendo un atto personale di Dio Figlio, trascende- anche se in una manifestazione umana -il tempo e lo spazio e perciò si incarna, nel senso letterale della parola, nel rito esteriore come l'anima nel corpo.11

Schillebeeckx sottolinea ancora tanto la dimensione incarnativa quanto la ricaduta performativa, in quanto entrambe conseguono dall'Atto del Verbo di Dio, che nell'oggi di un tempo kairologico si mostra nell'aspetto storico-ecclesiale. Una proposta suggestiva che induce a ripensare la sacramentaria sotto un aspetto biblico ed ecumenico.

4. Possibilità di una sacramentaria in termini interconfessionali?

Il saggio di Schillebeeckx evidenzia una cristologia particolare che si connette all'ambito dell'ecclesiologia così come a quello della sacramentaria. Essa sembra attagliarsi su di un'ermeneutica biblica che, per altro, esprime il dogma cristologica in termini dinamici, della storia di un vivente, per parafrasare l'opera del nostro teologo. Da questa peculiarità dipende indubbiamente la suggestiva elaborazione della teologia sacramentaria che recupera la centralità dell'evento kerygmatico così come quella di una fondazione ecclesiale nella Croce, da cui scaturisce la stessa sua capacità soteriologico-sacramentale.

Tuttavia si tratta di un'elaborazione che, a nostro avviso, sembra ridurre di molto le distanze dalla riflessione teologica ricorrente nelle altre Chiese cristiane, essendo molto prossima a quella luterano-calvinista. Quindi ci chiediamo, sperando nella fecondità della stessa problematizzazione, se la speculazione schillebeeckxiana non abbia una ricaduta ecumenica e non debba spingere necessariamente (ma si tratta di una necessità benedetta) ad una possibile elaborazione interconfessionale.

Il saggio di Schillebeeckx presenta non poche assonanze con l'elaborazione teologica sacramentaria di Eberhard Jüngel, uno dei più eminenti teologi evangelici, di recente apparsa in traduzione italiana.12 Procederemo, dunque, ad un confronto testuale al dine di indicare questa singolare e straordinaria corrispondenza. Afferma Schillebeeckx:

Se consideriamo, dunque, i sacramenti dal basso, possiamo dire: essi sono l'attività simbolica cultuale, specifica, di una comunità religiosa determinata, cioè la Chiesa, nella quale il Cristo celeste compie con la missione del suo Spirito un mistero più profondo. Così considerato, l'atto simbolico della Chiesa (»segno») è carico della virtù divina propria all'atto di salvezza. Se consideriamo i sacramenti dall'alto, cioè a partire dall'atto di salvezza celeste che il Cristo sacramentalizza in un atto della Chiesa, e cioè come un atto simbolico personale del Cristo attraverso la mediazione ufficiale della Chiesa, essi ci appaiono immediatamente come la visibilità ecclesiale della volontà di redenzione del Cristo nei confronti del soggetto che riceve il sacramento.13

D'altro canto, Jüngel scrive:

Se si prende le mosse da ciò che è visibile sembra che, nel caso della rappresentanza simbolico-reale di Gesù Cristo attraverso la Chiesa, si tratta di opera della chiesa . Anche la teologia evangelica non può legittimamente contestare che l'essere della Chiesa accada e si manifesti in determinate azioni. La chiesa, sia come ecclesia docens sia come ecclesia audiens, è compresa nell'agire come chiesa che predica, ascolta, confessa canta, celebra. Sottolineo anche come chiesa che ascolta. L'innegabile passività dell'atto dell'ascolto non deve tratte in inganno da far dimenticare che anche il recipere è un'azione -- cosa che sperimentiamo in modo particolare nella decisione di non ascoltare. Tanto più importante è chiarire il carattere dell'azione, che, in quanto agire ecclesiale, deve «rappresentare» contemporaneamente l'agire di Dio.14

Ove Schillebeeckx parla di una sorta di sacramentalità ex alto, chiasticamente Jüngel allude ad una fides ex auditu come presupposto dell'agire teandrico della Chiesa. Ove, invece Jüngel fa riferimento ad un recipere, per evidenziare che tale passività è apertura all'operare di Dio, il teologo olandese si riferisce all'atto sacramentale del Cristo celeste. Le prospettive si richiamano in modo sorprendente ponendo entrambe l'accento sul fatto che l'atto simbolico sacramentale ha un primato incontrovertibile nell'iniziativa di Dio in Cristo nello Spirito, mettendo in risalto, come abbiamo già avuto nodo di notare, che è l'atto trinitario, esplicato in Cristo e misticamente significato nel tessuto ecclesiale a sottendere il dinamismo sacramentale come istanza soteriologica ed anticipante del Cristo Risorto. Questo ci sembra molto importante a livello interconfessionale, specie perché le controversie sul senso della transustanziazione e transignificazione hanno lacerato e ferito l'unità della stessa fede ed il senso dell'unità nella Chiesa Santa.

In qualche modo, il recupero trinitario e quello dell'analogia Verbi riduce a nostro avviso un fossato scabroso, per usare il termine di Lessing.

Forse, nella prospettiva di un dinamismo della storia del dogma sarebbe necessario un ripensamento della Traditio vivente, dato che è lo stesso eterno kerygma a risuonare nella Chiesa rap-presentante dell'opera di Dio in Cristo. Dunque, le indicazioni di entrambi i teologi stanno a sottolineare la possibilità di considerare la dimensione sacramentale nei termini di un incontro di salvezza attualizzatesi nell'oggi del memoriale liturgico, per cui Cristo è conosciuto kata pneuma, e per cui si rinnova in qualche modo l'evento di Emmaus, vero evento dell'Ecclesia viatorum che cammina a fianco al Suo Signore nella certezza escatologica e. prima ancora kairologica del Suo venire.

5. Conclusione

L'evento cristologico è ciò che fonda un'antropologia del soprannaturale che, innegabilmente viene significata nel sacramento, visto che l'umanità riceve la propria santificazione da questo partecipare misticamente all'atto teandrico del Signore Gesù, presente nella Chiesa affidataria come nel Suo Vero Corpo e come visibilità della grazia offerta ad ogni creatura. Quindi una teologia sacramentaria di questo tipo non può evitare di recuperare un'ermeneutica biblica alla luce della quale ripensare la Tradizione ecclesiologica e la comunione con il Cristo patiens e glorioso che nella sacramentalità della Chiesa si esprime. In tal senso sarà possibile leggervi la renovatio della propria vita cristiana, rileggendo nell'atto sacramentale tanto il simbolo reale dell'Azione di Dio ma anche la possibilità di un'esistenza storica capace di applicare quanto celebrato, se è vero, che in virtù dello stesso sacerdozio conferito dal battesimo, si può e si deve agire en que chretien (J. Maritain) facendosi contemporanei del Vivente.

Copyright © 2009 Paola Mancinelli

Paola Mancinelli. «Sacramentalità, simbolo, storicità nel pensiero di Schillebeeckx». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno, Parma 20-21 marzo 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [29 KB].

Note

  1. La nostra pista ermeneutica è quella che collega l'opera di Schillebeeckx Gesù la storia di un vivente al suo importante saggio, oggetto della nostra analisi, Cristo sacramento dell'incontro con Dio, in quanto ci sembra che tale connessione renda ragione di quanto il teologo olandese sia sensibile alla storicità della Rivelazione che si esplica nel dinamismo di cristologia-ecclesiologia, il cui cemento è l'Incarnazione connessa all'idea di Corpo di Cristo, su cui basare necessariamente la sacramentalità dell'appartenenza a Cristo nella Chiesa, intesa come Patto che si rinnova, pur hapax legomenon nell'oggi della storia. Testo

  2. E. Schillebeeckx,De Chirstusontmoetig als Sacrament van de Godsonmoeting, trad. it. di E. Balducci, Cristo sacramento dell'incontro con Dio, Edizioni Paoline, Roma 1970, p. 116. Testo

  3. Ibidem Testo

  4. Su questo si confronti in particolare il prezioso studio M. Heidegger, Einleitugn in die Phänomenologie der Religion, trad. it. di G. Gurisatti, Fenomenologia della vita religiosa, Adelphi, Milano 2004 e il più recente studio di antropologia sacramentaria di G. Bonaccorso, Il corpo di Dio, Cittadella, Assisi 2006. Testo

  5. E. Schillebeeckx, De Christusontmoeting..., trad. it. cit., pp. 116-117. Testo

  6. Ivi, p. 117. Testo

  7. Intendiamo riferirci all'opera How to do things with words, la cui traduzione italiana porta il titolo Quando dire è fare. Testo

  8. Ivi, pp. 117-118. Testo

  9. Su questo è importante richiamare quanto sottolinea Agostino a proposito del verbum fidei i quanto egli evidenzia che il signum efficax lo è non quia dicitur ma quia creditur. Tale asserzione è stata interpretata da Tommaso attraverso la contrapposizione fra exterior sonum vocis e sensum verborum qui fide tenetur. In tal senso il verbum che rende tale il sacramento attinge alla dimensione della fede che è fides ex auditu e rinvia, dunque al Verbum Dei. Testo

  10. Cfr. Schillebeeckx, De Christusontmoeting..., trad. it. cit., pp. 120-121. Testo

  11. Eberhard Jüngel, uno degli eminenti teologi evangelici contemporanei, già noto in Italia per il suo famoso saggio Dio mistero del mondo, è autore per altro di un saggio davvero notevole apparso in traduzione italiana per i tipi di Cittadella Editrice di Assisi nel 2002 con il titolo Segni della Parola. Per una teologia del sacramento, nel quale, non diversamente dalla proposta schillebeeckxiana, imposta la sua elaborazione a partire dall'evento cristologico, senza dimenticare per altro né il ruolo dell'uomo né la dimensione antropologica, la cui declinazione è necessitate ecclesiologica. In esso, dunque, l'idea del simbolo come rap-presentanza dell'azione originaria di Dio nel tessuto ecclesiale viene sviluppata in modo assolutamente pregnante. Testo

  12. Cfr. Schillebeeckx, De Christusontmoeting..., trad. it. cit., pp. 115-116. Testo

  13. Cfr. Jüngel, op. cit., p. 106. Testo

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