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Scacco matto a El castillo interior? La porta della ragione filosofica: Edith Stein interroga Teresa di Gesù

di Cristiana Dobner (20-21 marzo 2009)

Nel 1935 a E. Stein viene riaperta la strada della ricerca scientifica, subito dopo il 21 aprile, data dell'emissione della professione temporanea dei voti di povertà, castità e ubbidienza, «un santo legame con il Signore del cielo e della terra» e grazie all'intervento del padre provinciale che desidera «mi dedichi al lavoro scientifico» (14 giugno 1935), come ella stessa scrive.

Quando il sacerdote Corrado Schwind, nipote del suo confessore a Speyer, le chiese se si fosse abituata alla vita monastica, Teresa Benedetta rispose: «Della sua domanda non ho potuto che sorridere. Ho trovato qui tutto quello che fuori mi mancava e non sento la mancanza di niente di ciò che avevo fuori» (P VI, 6, 290) .1

Mentre l'ambiente dei colleghi la pensava diversamente, l'opinione di M. Farber espressa a F. Kaufmann è esplicita: «Il passo da lei intrapreso, che in realtà pose fino alla sua esistenza terrena, sbalordisce in una persona così intelligente».2 ... ironia della sorte per un'esistenza terrena che lascia una traccia tanto profonda da indurre Giovanni Paolo II, nell'ottobre 1999 in apertura del sinodo sull'Europa, ad affiancarla a Benedetto da Norcia, Cirillo e Metodio, quale patrona dell'Europa insieme a Caterina di Siena e Brigida di Svezia, in quello che è stato definito un gesto «altamente simbolico».3

Ben a ragione R. Ingarden, che la conosceva nelle sue tensioni intellettuali ed umane, ebbe a dire: «Edith Stein era una filosofa e una scienziata, e tale è rimasta anche in monastero... Edith Stein ha sempre condotto le proprie ricerche con passione e dedizione personale, come dimostrano i suoi lavori che hanno visto la stampa: esse hanno costituito l'asse della sua vita spirituale».4 Eppure H. -G. Gadamer, quando riconosce giunto il momento di scrivere «una storia del movimento fenomenologico»,5 ne ignora nome e contributi.

Anche il suo Maestro E. Husserl, comunicatagli la proposta della possibile ricerca per la sua ex-allieva e collaboratrice, si era espresso in tal senso: «Non credo che nella Chiesa ci sia un neo-scolastico della qualità di Edith Stein, sia ringraziato Dio che ha potuto continuare a lavorare nel Carmelo di Colonia».6

Quale la reazione personale della carmelitana? La conosciamo da un dialogo con P. Nota sj: «Ella disse una volta che filosofare era un continuo mutamento sull'abisso. Anche nel Carmelo ella sapeva di vivere sull'"orlo dell'abisso", ma aveva compreso il senso della vita umana e della sofferenza guardando a Cristo. Con Lui voleva consegnarsi a Dio».7

Quale era il progetto a lei affidato? In una lettera del dicembre 1934 all'amica fenomenologa H. Conrad Martius aveva confidato: «La madre sottopriora desidera molto che io prepari per la stampa questo lavoro [Atto e Potenza]». Tuttavia, non vi si immerse immediatamente: «Dapprima di trattò di piccole cose, solo religiose o recensioni di libri. Ma subito dopo la mia professione (nella Pasqua 1935), mi venne affidato un grande progetto di cui fino ad oggi mi sono occupata per prepararlo per la stampa. Ho ben presto cassato il progetto e iniziato di nuovo a riscriverlo. Si tratta di un opus in due volumi "Essere finito ed Essere eterno". Il manoscritto del primo volume è già stato consegnato all'editrice Anton Pustet di Salisburgo. Per il secondo dovrei ancora avere un poco di tempo per limarlo. Forse ora il suo lavoro sulla costruzione formale degli oggetti individuali mi sarebbe utile».

L'avvio si dimostra arduo, tanto che in una lettera del giugno del 1935 Teresa Benedetta asserisce: «Mi trovo dinanzi ad un grande compito, per il quale molto molto mi manca di quanto sarebbe necessario. Se non potessi confidare nella benedizione dell'obbedienza e quindi che il Signore può concludere qualche cosa anche con uno strumento del tutto debole e inetto, quando ciò gli piaccia, di corsa vi rinuncerei. Così faccio quel che posso e mi lascio sempre nuovamente rinforzare il coraggio davanti al tabernacolo, quando in me viene schiacciato dall'erudizione degli altri».

Ella avvertì l'esigenza di una concentrazione maggiore, di un tempo più disteso e, quindi, dell'esenzione dalla partecipazione alla ricreazione delle sorelle. Il Provinciale però non era dello stesso parere... il 10 settembre 1935 le scrisse: «"Primum vivere -- modo carmelitico- deinde philosophare"», inoltre non voleva infliggere un vulnus legis, anche se era in gioco la necessità di concentrazione; «nel suo stesso interesse»8 aggiunse, ergo la dispensa non venne concessa.

La comunità era in turbolenza per la novità introdotta: «... Le più grandi difficoltà per il proseguimento dei suoi studi, furono causate alla Serva di Dio da alcune consorelle» (P I, 3, 22). L'arguta osservazione di R. De Monticelli forse avrebbe smosso quelle consorelle? «Un santo di più in Paradiso non significa necessariamente un fenomenologo di razza in meno»,9 nella storia e nella storia del Carmelo Teresiano aggiungo.

Anche qualche richiesta comunitaria interferiva: «La Serva di Dio veniva spesso disturbata per consigli da una consorella che faceva traduzioni dal francese. Sopportò sempre con pazienza queste interruzioni, senza risentirsi» (P I, 3, 22). La strada si presentava ripida e ostica. Le venne in soccorso l'amico fenomenologo A. Koyré dopo la lettura di alcuni capitoli di Essere finito e essere eterno; così Teresa Benedetta il 17 novembre 1935 poté affermare: «Egli mi ha incoraggiata a proseguire. Ci voleva, perché un lavoro di questo tipo non si inserisce bene nella nostra vita, e richiede sacrifici non solo da parte mia, ma anche da parte delle consorelle. E non si può esigerlo se non ne vale la pena».

Per E. Przywara «quest'opera di E. Stein è così obiettiva che il "pensiero personale" della sua autrice vi si consuma».10 Essenziale per comprendere lo spirito dell'opera è il giudizio di B. Dupuy: «Abitata dai più grandi nomi -Platone e Aristotele, Agostino, Tommaso d'Aquino e Duns Scoto, Husserl e Heidegger -- ella ha reso giustizia a tutti senza essere vassalla di nessuno».11 Mentre X. Tilliette afferma che Essere finito ed Essere eterno «offre l'esempio di una tranquilla appropriazione dei dati rivelati per un edificio filosofico».12 In fin dei conti appare nella sua veste di «un autoritratto stilizzato sulla modalità dell'attrezzo filosofico».13

La profonda conoscenza della personalità umana ed intellettuale di E. Stein da parte di R. Ingarden, suo collega e ex-fidanzato, gli consente di mirare al centro del bersaglio: «Per Edith, credo proprio che ad agire su di lei profondamente, orientando la sua ricerca di Dio, sia stata la lettura di san Tommaso, insieme al suo desiderio di penetrare l'esperienza mistica del santo. La sua opera principale, Essere finito ed Essere eterno, è un libro bellissimo. Rappresenta ai miei occhi la sua "biografia spirituale": risulta dalla tensione di tutta una vita consacrata alla ricerca del senso dell'essere, rivolta poi verso Dio e anelante alla conoscenza di Dio attraverso l'esperienza mistica, questa esperienza in sé dell'amore di un Altro».14

Teresa Benedetta ha ben elaborato una postura di grande portata e levatura quella di chi «pensa con il cuore» (EE 402; 451/2).

È necessario prendere in considerazione anche un altro aspetto di questa opera: «Essere finito ed essere eterno è appunto il titolo della grande opera ontologica di Stein, che volutamente e scientemente travalica i limiti di ogni fenomenologia pura, in quanto presuppone in molte delle sue pagine un'esperienza che non è data al volere procurarsi, che cioè non è certamente accessibile a tutti -- quella dell'incontro con la Persona Infinita. ... del resto, il sottotitolo di quest'opera -Per un'elevazione al senso dell'essere -- le riconosce la stessa funzione che la tradizione mistica riconosce alle preghiere».15

A conclusione di quest'opera sagace, documentata e profondamente riflessa, E. Stein pone due appendici, La filosofia esistenziale di Martin Heidegger16 e Il Castello dell'anima,17 di cui quest'ultima regolarmente espunta dagli editori che non compresero la movenza profonda e l'approdo della lunga meditatio filosofica.

Qui pongo il punto nevralgico di questo mio intervento: una critica radicale viene mossa a E. Stein perché avrebbe mancato di rigorosità attingendo «ad altre fonti, non strettamente filosofiche», transitando arbitrariamente dal «pensiero nella sua accezione più stretta» allo «spirito».18 A mio avviso invece, filosofia e teologia confluiscono e sfociano nell'esperienza dell'Incontro elaborandolo. Per toccare il vertice in Il Castello dell'anima, -- in cui commenta e postilla la grande opera di Teresa di Gesù19 -- un unicum, un vertice simultaneamente teoretico e spirituale, perché E. Stein «è tra quei pensatori i quali, nel secolo che si conclude, hanno serbato integra l'antica idea della ragione»,20 coniugandola però con la più profonda Erlebnis.

Dai tredici anni, dal momento cioè in cui decise che non avrebbe più pregato, E. Stein, inconsapevolmente stava camminando sulla ronda del Castello, ne percorreva la cerchia delle mura, non era però in grado di potervi entrare. Unanumo sostiene che «vedendo Avila si comprende come e da dove venne in mente a Santa Teresa l'immagine del castello interiore o delle dimore e del diamante. Perché Avila è un diamante di roccia granitica dorata dal sole dei secoli e dai secoli di sole».21

La ricerca spirituale di E. Stein22 tuttavia, fu diuturna23 e con una valenza specifica: «Dio è la verità. Chi cerca la verità cerca Dio, lo sappia o no», come ebbe a scrivere in una lettera il 23 marzo 1938. Con una nota di originalità riconosciutale da L. Muraro: «L'ho compreso studiando, con alcune di Diotima, la biografia e l'opera di Edith Stein: quello che lei tenta di teorizzare nei suoi scritti a cominciare da L'empatia, e che mostra con il movimento a zigzag della sua ricerca, è una struttura di alterità come punto di partenza della ricerca della verità, struttura di cui non ci sono precedenti nella nostra tradizione filosofica...».24

In Causalità psichica, pubblicato nel 1922 ma redatto nel corso degli anni antecedenti, si ritrova qualche traccia di una sorta di avvicinamento a Dio: «Posso bramare una fede religiosa, posso dar premura e adoperarmi con tutte le forze per averla, ma non essermi accordata... (PS 43; 81). Le è ben chiaro che si tratta di una Stellungnahme, di un accogliere un dono. P. Ricci Sindoni afferma:

Nel cuore del '900 l'esperienza mistica è tornata a parlare a donne e uomini: il sentimento della presenza immediata della trascendenza dell'essere è di nuovo sentito come il modo più radicale per arrivare al centro di sé. Eppure risulta difficile rintracciare analogie, che non siano sentimentali o dogmatiche, tra quel contatto estremo, diretto con Dio e esperienze quotidiane sensibili, di relazione con altre, con altri, con il reale. Una pensatrice di formazione fenomenologica e che ha percorso la via della mistica, Edith Stein, ha chiamato empatia l'atto mediante il quale l'essere umano si costituisce attraverso l'esperienza dell'alterità (Dio, l'altra, l'altro, la storia, la società, lo Stato, il corpo vivente). In questa intuizione, Edith Stein traduceva il suo profondo ascolto della vita femminile, ma essa conferma anche un dato di realtà: che pure in epoche di smarrimento dell'attenzione per l'alterità, le donne hanno continuato a custodirne l'esperienza attraverso l'ascolto, la cura di corpi e di anime e l'amore per la vita spirituale.25

La postura si fa prossima a chiunque, in ascolto, silenzio ed interrogativi, tessa il rapporto fra Dio e persona nel presente storico, che si trova al punto d'intersezione tra uno «spazio di esperienza» e un «orizzonte d'attesa» (P. Ricoeur).

La notte di Bergzabern, con il suo «secretum meum mihi» sempre da E. Stein ben custodito, parlò ed introdusse la giovane fenomenologa all'interno del Castello interiore, ma le domandò anche una ricerca specifica che ella non esitò a condurre, portandola a rilevare nel grande messaggio iconico di Teresa di Gesù - «soprattutto percezione delle meraviglie dell'anima»26 -- e nell'insieme della sua grandezza il fianco debole: «La preghiera è la porta, per la quale si entra in questo castello» (NC 295), simbolo teresiano in cui sono racchiusi i grandi protagonisti della storia: il mondo, l'uomo e Dio. Simbolo che contiene e sopporta più matrici culturali, come si vedrà. E. Stein è implacabile e tagliente nel suo interrogativo:

La Santa Madre Teresa descrive il "castello interiore" dimora di Dio, e narra quanto ella stessa ha provato: come il Signore richiami l'anima che si è persa nel mondo esterno, la attiri a sé sempre di più, finché Egli può unirsi ad essa nel suo centro. Non le importava neppure lontanamente di appurare se la struttura dell'anima avesse un significato prescindendo dall'inabitazione di Dio in essa, e se ci fosse un'altra "porta" oltre alla preghiera, per raccogliersi in sé. A tutte e due queste domande dobbiamo rispondere tuttavia affermativamente (EE 395; 445).

Teresa, «la mistica spagnola è un momento divino della storia degli uomini»27 ed insieme «una donna d'affari tra le più accorte di Spagna»,28 viene passata al vaglio! Unamuno, con molta fierezza ispanica scrisse: «Altri popoli ci hanno lasciato soprattutto istituzioni, libri; noi abbiamo lasciato anime. Santa Teresa vale per qualsiasi istituto, per qualsiasi Critica della ragion pura».29 Il Castello si dimostra realmente un simbolo dal valore specifico, una realtà concreta che contiene una potenzialità ulteriore di significato ed apertura.

La filosofa ebrea infatti non ha varcato la porta della preghiera, né ebraica né cristiana, ma una porta altra, quale? Come allora è entrata nel Castello?

La porta è passaggio fra due stati dell'essere, fra due mondi, passaggio custodito o impedito, luogo però se non aperto almeno apribile. Il varcarlo risulta ancora più prezioso oggi in un mondo in cui chi prega è davvero un esemplare raro, mentre offre un appiglio di speranza umana e secolare alla persona che non ha più bisogno di Dio per spiegare il mondo e la necessità antropologica, cioè a quell'uomo che «non ha bisogno di Dio per esistere nella coscienza di sé e per fondare la propria certezza».30 La fenomenologa, guardando «il mondo con occhi spalancati» (EINF 22/37), rimase aperta al pathos dell'esperire e della ricerca: «Edith Stein riconobbe nei "pensieri del cuore" la vita originaria dell'anima, la fonte della vita personale, qualcosa che "sale dall'interno" e viene percepito come dotato di valore. Tutti possiedono questa vita interiore, anche se non si raccolgono su di sé e non vi prestano attenzione o che non sono sulla via dell'incontro con Dio».31

E. Stein quindi varcò le mura del Castello attraverso due porte:

Le due porte poggiano su di una base ineludibile: la verità. Ella la cercò senza soluzione di continuità e con energia sempre desta, tanto da poter affermare: «La mia ricerca della verità era una sola preghiera» (TR 55).

La prima porta:

Il rapporto con gli uomini offre una possibilità di entrata nell'interiore. L'esperienza naturale ce ne offre un'immagine e ci porta all'immagine che anch'essi hanno di noi. Così anche noi giungiamo a considerare noi stessi dal di fuori. Se può cogliere qualche cosa di corretto, raramente siamo sospinti più profondamente; a questa conoscenza sono collegate molte fonti di errore che ci rimangono nascoste fino a quando Dio, con un'autentica scossa interiore -- con il suo richiamo dall'interiore -- non ci toglie dagli occhi la benda che cela a ciascuna persona in particolare modo il suo stesso interiore (NC 321).

La seconda porta:

Un altro impulso a rivolgersi verso il proprio stesso io emerge, secondo l'esperienza, proprio dal rafforzarsi dell'individualità nel tempo della maturazione dalla fanciullezza alla giovinezza. Le stesse mutazioni percepibili nell'interiore vi inclinano lo sguardo. Al genuino e sano desiderio della conoscenza di se stessi che la scoperta di questo mondo interiore risveglia, si mescola abitualmente una sollecitazione eccessiva a prendere in considerazione questo io. Questo, di nuovo, diviene una fonte di illusione che lascia sorgere una falsa immagine di se stessi. Vi si aggiunga poi che, fin da questo periodo è iniziata la considerazione del proprio io in quell'immagine che gli altri vedono dall'esterno, quindi si tratta una formazione dell'anima (Seele) dall'esterno che contribuisce all'occultamento del suo autentico essere (NC 321-322).

E. Stein varcò la prima porta e scoprì se stessa, la laicità, intesa nel senso di pensare con la propria testa e di interloquire criticamente nel gnîqi seautÒn, poi varcò la seconda e scoprì il volto dell'altro, e gli si aprì, fino a diventarne l'ostaggio, apprendendo «a vivere da una certa profondità» (EE 396).

L'integrazione all'opera teresiana procede però ancora, perché E. Stein vi introduce l'indispensabile nozione di Io ed Io-puro:

L'ente, il cui essere è vita (e non esattamente vita come struttura materiale, ma come sviluppo dell'Io in un essere, che sgorga da se stesso) e in questo essere è il sé stesso interiore (nella forma inferiore del percepire sensibile confuso, o in quella superiore della coscienza vigile). Non è equivalente con l'anima, come neppure con il corpo. "Abita" nel corpo e nell'anima, è presente in ogni punto in cui percepisce qualcosa di presente e di vivo, anche se ha il suo particolarissimo "posto" in uno specifico punto del corpo animato e in un particolare "luogo" dell'anima, e perché il "suo" corpo e la "sua" anima gli appartengono, allora il termine Io si riferisce anche a tutto l'uomo (EE 345/6; 396).

Da questo momento cronologico si scopre una dimensione nuova che «non è puntiforme come l'Io puro, ma è uno "spazio" (Raum), un "Castello" con molte abitazioni», il grembo dell'essere dell'uomo che si viene connotando teresianamente:

... è lo "spazio" nel centro del tutto corporeo animato, dell'anima e delle facoltà superiori; in quanto anima sensibile (Sinnenseele) abita nel corpo animato, in tutte le sue membra e parti, riceve da esso, agisce formandolo e conservandolo; in quanto anima delle facoltà superiori (Geistseele) si eleva al di sopra di sé, guarda il mondo posto al di fuori del proprio Io -- un mondo di cose, persone, eventi -, entra in rapporto comprendendo e da esso riceve; in quanto anima, nel senso più proprio, però, abita in sé, in essa l'Io personale è di casa. Qui si raccoglie tutto quanto entra provenendo dal mondo sensibile e da quello mentale, e qui ha luogo la disputa interiore, da qui si prende posizione, da qui si ricava quanto diventerà la peculiarità personale, la componente essenziale del proprio Io, ciò che (parlando metaforicamente) si "trasforma in carne e in sangue". L'anima come "castello interiore", come l'ha indicata la nostra santa Madre Teresa, non è puntiforme come l'Io puro, ma è uno "spazio", -- proprio un "castello" con molte abitazioni, -- dove l'Io si può muovere liberamente, andando ora verso l'esterno, ora ritirandosi sempre più nell'interiore. Non si tratta di uno "spazio vuoto", sebbene possa penetrarvi un riempimento ed esservi accolto, anzi deve essere così, quando deve sviluppare la propria vita. L'anima non può vivere senza ricevere; essa si nutre infatti dei contenuti che accoglie spiritualmente "sperimentandoli", come il corpo delle sostanze nutritive che trasforma; ma questa immagine mostra più chiaramente di quella dello spazio che non si tratta soltanto di riempire un vuoto, ma che quanto riceve è un ente di essenza propria (una oÙs... a), che riceve a suo modo e trasforma quanto ha accolto in sé. È l'essenza dell'anima con le proprietà e capacità in essa radicate, che si schiude alla vita e accolte quanto di cui ha bisogno per diventare quanto deve essere. Questa essenza con la sua proprietà specifica dà al corpo, e ad ogni attività spirituale personale, la sua impronta caratteristica e da questa si diffonde in modo inconscio e involontario (EE 344/345; 394/395).

L'Erlebnis, però, non penetra in una sorta di vuoto, il Raum del Castello interiore è organizzato e specificato:

Spesso si è parlato dell'anima come di uno "spazio", della sua "profondità" e della sua "superficie". L'immagine del Castello interiore vuole esprimere lo stesso, cioè che ha le dimore in alto e in basso, ed infine una parte più profonda interna. L'Io è l'abitatore di questo Castello, può trattenersi in una delle dimore esterne oppure può ritirarsi nella parte interna più profonda. [...] L'Io che percepisce se stesso, osservato e plasmato come una cosa esterna, evidentemente non si pone nella parte più profonda interna. Sembra quasi che abbia lasciato il castello per osservarlo dal di fuori. Questo naturalmente non è possibile; infatti l'osservazione di sé è l'Io-vita, e l'Io non ha vita che non sia anche vita dell'anima; senza coesione con essa non sarebbe nulla. Anche se spiritualmente si pone nel punto fermo di un osservatore, per considerare se stesso, rimane con questo atteggiamento prigioniero in se stesso. Si può dire però che ha lasciato il luogo naturale del suo essere, il centro di gravità, che ha abbandonato la direzione originaria della vita, e che non possiede la piena forza della vita, indivisa ed intatta. Però, se si trova in un punto dove non è interiormente ed indivisibilmente "se stesso", non può neppure comprendersi interamente con la forza che lo configura (EE 398;448).

Fenomenologia, riflessione filosofica, si intrecciano profondamente con l'Erlebnis, con l'esperire mistico, la stessa persona umana trova tutta se stessa senza dicotomie.

Nello spazio (Raum) del Castello interiore l'anima, a sua volta, è "spazio" (Raum) nel centro del tutto: corpo, psiche e spirito:

... in quanto anima sensibile (Sinnenseele) abita nel corpo, in tutte le sue membra e parti, riceve da esso e opera dando ad esso figurazione (Gestalt) e conservandolo; in quanto anima dotata di facoltà superiori (Geistseele) si eleva al di sopra di sé, guarda il mondo posto al di fuori del proprio Io -- un mondo di cose, persone, avvenimenti -, entra in contatto comprendendo e da esso riceve; in quanto anima, nel senso più proprio, però, abita in se stesso, in esso l'Io personale è a casa. Qui si raccoglie tutto quanto entra dal mondo sensibile e dal mondo spirituale, e qui ne segue il confronto interno perché, da qui si prende posizione, da qui si guadagna quanto diventerà proprietà personale, la componente del proprio Io, quanto (parlando metaforicamente) si "trasforma in carne e sangue" (EE 344/345; 394/395).

Su questa postura, tipica del processo cognitivo interiore, si apre, quasi a fioritura, la via della conoscenza di sé attraverso l'unione con Dio, si snoda il percorso dalle mura del castello alla stanza più remota dove dimora il gran Re, il centro più profondo dell'anima.

Quando la persona ha raggiunto il suo centro, e da questo riceve e si dipartono le sue reazioni, raggiunge anche un'altra possibilità: produrre atti liberi.

Il diritto di decisione su se stessa spetta alla stessa anima. È il grande mistero della libertà personale, davanti a cui Dio stesso si arresta. Egli vuole la signoria sugli spiriti creati solo come un libero dono del loro amore. Egli conosce i pensieri del cuore, Egli penetra con lo sguardo le profondità e gli abissi dell'anima, in cui neppure lo sguardo dell'anima stessa penetra, se Dio non la illumina. Egli però non vuole strappare nulla al suo possesso, senza che ella stessa lo voglia. Perciò Egli fa tutto per arrivare alla libera consegna della volontà alla Sua, come dono del suo amore e così può condurla all'unione beatificante (K 183).

La salita all'Essere -- così si può tradurre il sottotitolo di Essere finito ed Essere Eterno, per cogliervi la sfumatura tipicamente carmelitana che riecheggia Giovanni della Croce -- si compie nel rispetto e nella gioia della libertà .

Salita tutta femminile, in un contesto storico ben noto, in un ambiente di chiesa e di vita quotidiana tipico del suo tempo: «Credo che non sia azzardato dire che la cultura del nostro secolo deve al pensiero di alcune donne il contributo più alto, e comunque più originale e profondo, forse l'unico davvero all'altezza della gravità inaudita delle questioni. Delle contraddizioni terribili di cui è stata intessuta la sua storia. E non solo a motivo delle grandi doti intellettuali e creative infine espresse in piena libertà e consapevolezza, ma innanzitutto a motivo della straordinaria capacità di mettere a nudo le miserie della modernità, gli orrori della cultura della forza».32

E. Stein, con il suo comportamento soggettivo, indica la dimora, l'abitare in cui ogni uomo si trova alla nascita, ella appartiene ad un ethos, ma anche forgia un ethos.

All'interno della Erlebnis vissuta di Teresa di Gesù, viva esperienza di Dio, e decifrata porgendola agli altri, la fenomenologa E. Stein ha innestato tutta la riflessione filosofica ontologica, quindi l'esercizio della ragione, rompendo così l'isolamento psicologico dell'Erlebnis stessa, elaborandola, unendo la persona umana con tutte le sue prerogative di coscienza laica, ragionevole, e di coscienza passiva, in attesa dell'Incontro, coniugandole nel «pensare con il cuore».

Copyright © 2009 Cristiana Dobner

Cristiana Dobner. «Scacco matto a El castillo interior? La porta della ragione filosofica: Edith Stein interroga Teresa di Gesù». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno, Parma 20-21 marzo 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [37 KB].

Note

  1. Legenda: EE: Endliches und ewiges Sein. Versuch eines Aufstiegs zum Sinn des Seins, ESW 1986, Band II; Essere finito e essere eterno. Per una elevazione al senso dell'essere, Città Nuova, Roma, 1988; EINF: Einführung in die Philosophie, ESW 1991, Band XIII; Introduzione alla filosofia, Città Nuova, Roma 1998; K: Kreuzeswissenschaft. Studie über Johannes a Cruce, ESW 1954, Band I; Scientia Crucis, Edizioni OCD, Morena (Roma), 2002; NC: Stein E., Nel Castello dell'anima. Pagine spirituali, traduzione e commento di Cristiana Dobner, Edizioni OCD, Morena 2004, pp. 292-329; P: Positio super causae introductione, Roma 1983; PS: Stein E., Psychische Kausalität, in Beiträge zur philosophischen Begründung der Psychologie und der Geisteswissenschaften, «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung» 5 (1922), pp. 2-116; SB: Selbstbildnis in Briefen. Erster Teil (1916-1933), ESW 1998, Band VIII; Selbstbildnis in Briefen. Zweiter Teil (1934-1942), ESW 1977, Band IX; TR: Teresia Renata DE Spiritu Sancto OCD, Edith Stein, Lebensbild einer Philosophin und Karmelitin, Glock u. Lutz, Nürberg, 1952; Edith Stein, Morcelliana, 1952. La prima cifra indica l'originale tedesco, la seconda la traduzione italiana, spesso modificata nel contesto di queste pagine. Testo

  2. Payne S., Documentation Edith Stein Materials, in «Teresianum» (2004) I, p. 203. Testo

  3. Pellettier A.-M., Il cristianesimo e le donne, Jaca Book, Milano 1990, p. 151. Testo

  4. Ingarden R., Über die philosophischen Forschungen Edith Steins, «Znack» (Cracovia), 1971, 202, pp. 2 ss . Testo

  5. Gadamer H.-G., Il movimento fenomenologico, Laterza, Bari 1963, p. 27. Testo

  6. Jaegerschmid A. OSB, Gespräche mit Edmund Husser (1913-1936), in Stimmen der Zeit, 199 Band, (1981), p. 52. Testo

  7. Herbstrith W., Das wahre Gesicht Edith Steins, Kaffke, Bergen-Enkheim, bei Frankfurt a. Mein 1987, p. 14. Testo

  8. Fermín F. J., Edith Stein carmelita, ambiente y espiritualidad, in Teresianum (1999) I-II, p. 201. Testo

  9. De Monticelli R., La conoscenza personale. Introduzione alla fenomenologia, Guerini e Associati, Milano 1998, pp. 108-111. Testo

  10. Pryzwara E., Edith Stein et Simone Weil. Essentialisme, existentialisme, analogie, in «Les Études Philosophique» 3 (1956), p. 459. Testo

  11. Dupuy B., Au commencement était le sens. L'herméutique de Edith Stein in Interpréter. Hommage amical à Claude Geffré, Du Cerf, Paris 1992, p. 176. Testo

  12. Tilliette X., Il Cristo della filosofia. Prolegomeni a una cristologia filosofica, Morcelliana, Brescia 1997, p. 24. Testo

  13. Secretan P., De la Personne. Presenté et traduit par Philibert Secretan, Du Cerf, Paris 1992, p. 16. Testo

  14. Miribel de E., Edith Stein, Paoline, Milano 1987, p. 96. Testo

  15. De Monticelli R., La conoscenza personale, Introduzione alla fenomenologia, Guerini, Milano 1998, p. 165, n. 12. Testo

  16. Stein E., La ricerca della verità, dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, Città Nuova, Roma 1993, pp.153-226. Testo

  17. Ead., Il Castello dell'anima, in Nel Castello dell'anima, Pagine spirituali, Morena OCD, Roma 2004, pp. 292-329. Testo

  18. Vigone L., Introduzione al pensiero filosofico di Edith Stein, Città Nuova, Roma 1991 II ed, I 1973, p. 96. Testo

  19. Il Castello interiore venne scritto fra Toledo e Avila, nel 1577. Teresa, da quindici anni, ha concluso la prima redazione della Vida e da dodici quella finale. Dal novembre 1572, ella vive la grazia del matrimonio spirituale, le grazie mistiche si susseguono come attestano le Relazioni. Vivrà ancora cinque anni. Castellano J., Introducción a la lectura del Castillo interior, Roma, Teresianum, 1992; AA. VV., Introducción a la lectura de Santa Teresa, Madrid, 1978; Tomás de la Cruz, Introduzione alla lettura delle Mansioni, Roma, 1967; Id., En torno al Castillo Interiore de Santa Teresa, Roma, 1978. Testo

  20. Paolinelli M., La ragione salvata. Sulla "filosofia cristiana" di Edith Stein, Franco Angeli, Milano 2001, p. 16. Testo

  21. Unamuno M., Frente a Avila in Andanzas y visiones española, Escelicer, Madrid 1957, p. 229. Testo

  22. García Rojo E., Edith Stein: la filosofía como apertura al Otro in Revista de Espiritualidad 58 (1999), pp. 9-42; Id., Edith Stein y la búsqueda de Dios in Revista de Espiritualidad 58 (1999), pp. 43-74; Id., Edith Stein: conversión y vida cristiana in Revista de Espiritualidad, 58 (1999), pp. 211-237. Testo

  23. Grasso D., Contrasti e problemi nella conversione degli ebrei, in Civiltà Cattolica, 106 (1955), p. 402; Coreth E. -- Neidl W. -- Pfligerdorfer, La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, vol. II, Città Nuova, Roma 1994; Conzemius V., La vita dell'ebrea, filosofa e monaca Edith Stein, in Humanitas, 42 (1997), pp. 319-331; Neyer M. A., Edith Steins Werk"«Endliches und ewiges Sein", in «Edith-Stein Jahrbuch» Die menschliche Gewalt, (1995), p. 311 ss. Testo

  24. Muraro L., La nostra comune capacità d'infinito, in Diotima. Mettere al mondo il mondo. Oggetto e oggettività alla luce della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1990, p. 64. Testo

  25. Boella L. -- Buttarelli A., Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein, R. Cortina, Milano 2000, pp. 8-9. Testo

  26. Gallinaro I., I Castelli dell'anima, Architetture della ragione e del cuore nella letteratura italiana, Olschki, Firenze 1999, p. 170. Testo

  27. Cioran E., Lacrime e santi, Adelphi, Milano1990, p. 14. Testo

  28. Zolla E., La filosofia perenne, L'incontro fra le tradizioni d'Oriente e d'Occidente, Mondadori, Milano 1999, p. 128. Testo

  29. Unamuno M., Del sentimiento trágico de la vida, Obras Completas, Escelicer Madrid, 1968, VII, p. 298. Testo

  30. Geffré C., L'esperienza spirituale in AA. VV., Corso di spiritualità, esperienza, sistematica, proiezioni, Queriniana, Brescia, 1989 p. 242. Testo

  31. Boella L. -- Buttarelli A., Per amore di altro..., op. cit., p. 27. Testo

  32. Gaeta G. -- C. Bettinelli -- A. Del Lago, Vite Attive, Simone Weil, Edith Stein, Hannah Arendt, Edizioni lavoro, Roma, 1996, p. 15. Testo

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