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Che cosa non va nel modalismo?

di Daniele Bertini (Roma, 26-28 maggio 2011)

Il modalismo è la concezione teologica cristiana secondo la quale credere un unico Dio nella Trinità delle Persone e una Trinità di Persone nell'unità di Dio significa credere in un unico essere divino che si manifesta per le creature (appare a esse) in tre modi diversi, ossia come Padre, come Figlio e come Spirito Santo.

La dottrina viene originariamente formulata nell'età patristica, nel periodo a cavallo fra il secondo e il terzo secolo. Ne danno notizia: a) il libro nono della Refutatio omnium haeresium che la tradizione attribuisce a Ippolito; b) i frammenti del Contra Noetum, opera ancora attribuita a Ippolito; c) l'Adversus Praxeam di Tertulliano; d) le sezioni 57 e 62 del Panarion adversus omnes haereses di Epifanio di Salamina (fonte che tuttavia non aggiunge niente di nuovo alle precedenti, basandosi sul testo della Refutatio nella presentazione del materiale dottrinale eretico).

Gli eresiologi divergono circa il fondatore dell'eresia. Secondo Ippolito si tratterebbe di Noeto, nativo di Smirne, ma attivo a Roma, dove ebbe come seguaci Epigono e Cleomene. Quest'ultimo, appoggiato dai Papi Zefirino e Callisto, fondò una vera e propria scuola, che ebbe poi in Sabellio il suo teologo più noto.1 Secondo Tertulliano, invece, il modalismo dovrebbe essere ricondotto al nome di Prassea, anche egli originario dell'Asia Minore.2

La condanna ufficiale della dottrina avviene durante il Concilio Costantinopolitano I del 381. Si legge nella Lettera dei Vescovi a Papa Damaso, che precede i canoni approvati dall'assemblea:3

La fede evangelica confermata dai trecentodiciotto Padri di Nicea di Bitinia [...] insegna a credere nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, cioè in una sola divinità, potenza, sostanza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in una uguale dignità, e in un potere coeterno, in tre perfettissime ipostasi, cioè in tre persone perfette, ossia tali, che non abbia luogo in esse né la follia di Sabellio con la confusione delle persone, con la soppressione delle proprietà personali, né prevalga la bestemmia degli Eunomiani, degli Ariani, dei Pneumatochi, per cui, divisa la sostanza, o la natura, o la divinità, si aggiunga all'increata, consustanziale e coeterna Trinità una natura posteriore, creata o di diversa sostanza.

Il mio proposito in questo lavoro è difendere la tesi che ogni genere di speculazione trinitaria che intenda restare rigidamente monoteista sottoscrive necessariamente, almeno in modo implicito, una qualche forma di modalismo. Procederò nel modo seguente. Nella prima sezione offrirò una presentazione della dottrina modalista. L'obiettivo che mi propongo di raggiungere in questa presentazione è mettere in luce: il genere di problema a cui la dottrina intende rispondere; le ragioni principali a sostegno della soluzione modalista al problema; la più importante delle conseguenze teologiche alla assunzione della posizione. Nella seconda sezione prenderò invece in considerazione i quattro orientamenti principali per la trattazione della nozione della Trinità che la tradizione teologica ha consegnato alla speculazione. Nella terza sezione delineerò un argomento che esporrà le ragioni per le quali ogni tentativo di pensare l'unità di Dio a partire dal suo essere non lascia spazio ad articolazioni pluralistiche di tale unità (a meno che non rinunci al dogma monoteista). A tale argomento seguono (almeno) quattro corollari, che costituiscono quattro argomenti ad hoc contro ognuno degli orientamenti principali per la trattazione della nozione di Trinità. Concluderò quindi brevemente con un esame dei risultati ottenuti.

1. Il modalismo classico

Per cominciare è necessario richiamare l'attenzione su due questioni preliminari. In primo luogo si deve rilevare come, al fine di discutere teologicamente che genere di dottrina trinitaria sia il modalismo e perché la tradizione lo abbia annoverato fra le eresie, l'indagine storica circa l'attendibilità delle fonti patristiche non abbia alcuna rilevanza. Che siano davvero esistiti uomini chiamati Noeto, Prassea, Epigono, Cleomene e Sabellio, che abbiano formulato la dottrina modalista così come la leggiamo nelle opere eresiologiche, che le vicende storiche che li riguardano siano accadute così come esse sono narrate in tali fonti, sono tutte questioni di importanza cruciale per la nostra conoscenza della storia del cristianesimo delle origini. E tali, tuttavia, da non avere alcuna rilevanza speculativa relativamente alla problematica della Trinità. Quello che sta a cuore agli eresiologi è, infatti, descrivere una certa dottrina trinitaria che presenta un carattere evidente: parrebbe prima facie rispondere in modo molto attraente, perché estremamente intuitivo, ai problemi posti dalla simultanea predicazione della pluralità e della unità di Dio. Indicando i motivi per i quali essa è sbagliata, Ippolito, Tertulliano ed Epifanio ambiscono a correggere un tipo di approccio ai contenuti della fede che, per quanto errato, sembra in qualche misura spontaneo, immediato, plausibile.

Ossia, il valore dell'attività letteraria eresiologica per la teologia sistematica cristiana non consiste tanto nella correttezza delle notizie dossografiche trasmesse dai padri, quanto nell'aver fissato, attraverso l'individuazione, la formulazione e la confutazione di posizioni che appaiono essere opzioni di base per la riflessione trinitaria, un inventario di errori speculativi la cui chiarificazione pone pienamente in luce i confini entro i quali deve essere contenuta ogni dottrina ortodossa. Per questo motivo tralascerò di affrontare questioni di ordine storiografico, concentrandomi piuttosto sulla questione teorica.

In secondo luogo è bene determinare in modo rigoroso che genere di problema ponga l'affermazione della Unicità di Dio nella Trinità delle Persone.

1.1. Il problema a cui risponde il modalismo

Fra le molte formulazioni deduttive del problema trinitario, la versione recentemente elaborata da M. Rea ha il pregio di porre in piena luce quale genere di difficoltà sia implicitamente contenuta nella nozione di consustanzialità. Si considerino le seguenti proposizioni:

  1. C'è uno e un solo Dio, il Padre Onnipotente (dall'autorità della Scrittura);
  2. Il Padre è un Dio (conseguenza della proposizione precedente);
  3. Il Figlio è consustanziale ma non identico al Padre (dall'autorità della Scrittura);
  4. Siano dati due individui x e y, tali che se x è un Dio e x è non identico a y e y è consustanziale a x, allora non è vero che ci sia uno e un solo Dio (da PDN -- Principio di Distinzione Numerica --: se due entità che hanno la stessa proprietà P non sono identiche, allora le due entità sono numericamente distinte);
  5. Non è vero che ci sia uno e un solo Dio [da (2), (3) e (4)].4

Risulta evidente che le due proposizioni (1) e (5) non possono essere entrambe razionalmente credute. Di conseguenza il pensiero trinitario è costretto a cercare delle vie d'uscita. Ci sono due strategie fondamentali per evitare la contraddizione. Quella maggioritaria nella teologia cristiana consiste nel rifiutare (4); quella minoritaria nel rifiutare (3).5

Rifiutare (4) significa abbandonare PDN: chi nega (4) ritiene che, data l'attestazione di (1) e (3) da parte delle Scrittura, sia meglio rinunciare a un principio, indipendentemente dalla sua plausibilità, piuttosto che contraddire la Rivelazione. Chi nega (3) ritiene, invece, che PDN sia tanto intuitivamente evidente da non poter essere abbandonato (di conseguenza la Scrittura non dovrebbe affermare (3); e questo è quello che, in effetti, ritengono coloro che negano la proposizione).

Ci sono due modi fondamentali di negare (3): a) si può dire che il Padre e il Figlio non sono consustanziali (subordinazionismo o arianesimo); b) si può dire che il Padre e il Figlio, essendo consustanziali, sono identici (modalismo o sabellianesimo).

Alla luce di queste considerazioni si può esplicitare la natura del problema trinitario e il tipo di risposta che la soluzione modalista offre ad esso. Il punto del contendere riguarda la validità di PDN. Il problema trinitario consiste sostanzialmente nel fatto che quando si utilizza PDN per rispondere alla domanda quante entità numericamente distinte ci sono nel divino? si ottiene di necessità una risposta apparentemente assurda: una / tre; perché ogni qual volta io applichi PDN ai dati rivelati dalla Scrittura e dalla Tradizione per contare le entità per cui valga il predicato essere Dio, ottengo che c'è una sola entità che è Dio, ma anche che ognuna delle tre Persone divine è Dio. Infatti, la lettura cristiana della Scrittura attesta che esistono almeno tre entità (Padre, Figlio e Spirito Santo) che hanno la proprietà essere Dio. Tali entità non sono identiche, avendo fra loro relazioni di generazione e processione. Inoltre queste entità sembrerebbero avere compiti economici differenziati nei confronti della creazione. Ne risulta, per PDN, che le tre entità sono numericamente distinte. Tuttavia, la lettura cristiana della Scrittura attesta anche che esiste una sola entità per la quale vale il predicato essere Dio. Pertanto, sembrerebbe necessario confessare l'Unicità di Dio nella Trinità delle Persone. Ma tale confessione sembra presupporre che l'uso di PDN per comprendere la natura dell'identità divina abbia dei risultati inconsistenti: Dio è contato una volta come una entità, una volta come tre entità, in modo tale che l'essere uno e l'essere tre non si riferiscono a due diversi modi di considerare la stessa identità (per esempio secondo la dialettica di tutto e parti del tutto), bensì alla identica considerazione della medesima. Data la necessaria equivocità cui conduce l'uso di PDN qualora esso sia applicato al divino, la teologia mainstream rigetta il principio e tiene salva la propria lettura della Scrittura.

Tuttavia le cose sembrerebbero stare in modo tale che PDN non possa essere tanto facilmente rigettato. Infatti esso sembrerebbe alla base di tutte le assegnazioni di identità determinate: noi riconosciamo che c'è una entità (che essa è numericamente distinta rispetto ad altro) laddove essa, pur avendo delle proprietà in comune con altre entità, non è identica a queste. Vale a dire che PDN sembrerebbe essere un principio preteoretico, perché assunto implicitamente nella comprensione di ogni comune esperienza di entità numericamente distinte: se la totalità dell'esperibile non appare alla mente come un magma indifferenziato di sussistenze, ma piuttosto come una collezione di persone, eventi e oggetti distinti, è perché nella comune esperienza di persone, eventi e oggetti la mente coglie la distinzione numerica di queste entità a partire dalla loro non identità nella comunione di qualche proprietà. Per esempio: in questo momento nel cesto della frutta che sta sul tavolo della mia cucina ci sono due mele rosse, due pere rosse, quattro limoni, tre banane, dieci arance. La risposta alla domanda quanti frutti ci sono nel cesto della frutta è evidentemente ventuno. Sul tavolo della cucina c'è solo il cesto della frutta. Se la domanda fosse allora quanti oggetti ci sono sul tavolo la risposta sarebbe ventidue. Ciò significa che rispondere a domande del tipo quanti x ci sono presuppone che io abbia di fronte entità che hanno la proprietà essere x e che queste non siano identiche; così che ogni qual volta io possa riconoscere una entità che ha la proprietà essere x e questa non sia identica alle altre, io possa contare tale entità come una.

Il modalismo è quel tipo di soluzione al problema trinitario che muove dalla necessità imprescindibile di accettare PDN. Un motivo apparentemente molto intuitivo per la giustificazione di questa assunzione è il seguente: rinunciare a PDN significa rinunciare all'esperienza comune tout court. Di conseguenza, dato che il contenuto della Rivelazione riguarda entità di cui si fa una esperienza possibile, la compatibilità con PDN sembrerebbe essere la conditio sine qua non per poter comprendere la Rivelazione.

1.2. La dottrina modalista

A grandi linee il modalismo afferma la congiunzione di due distinte credenze:

M1) che esiste uno e un solo Dio (questo modo di essere è identificabile con il tipo di vita personale che la Rivelazione attribuisce al Dio dell'Antico Testamento);

M2) che è l'unico Dio che è in sé ad incarnarsi nel corpo umano di Gesù (con l'Incarnazione l'essere in sé di Dio appare secondo la natura di un padre e quella di un figlio, perché il nascere nella forma umana da una donna distingue gli eventi originatesi a partire dalla nascita da quelli che li precedono: ciò che segue è dunque identificabile con il tipo di vita personale che la Rivelazione attribuisce al Figlio del Nuovo Testamento; ciò che precede con quella attribuita al Padre).

La prima credenza non pone evidentemente alcun problema all'ortodossia cristiana. Essa va assunta per l'autorità della Scrittura ed è il punto di inizio di qualsiasi speculazione teologica. Al contrario la seconda credenza esprime la comprensione della Trinità peculiare al modalismo. Di conseguenza sembra scontato che le informazioni trasmesse da Tertulliano circa le principali ragioni a sostegno della dottrina riguardino esclusivamente la giustificazione della seconda credenza. Queste ragioni sono tre:6

RM1) Numerare per non identità le entità che, secondo la Scrittura, godono della proprietà essere Dio implica che non vi sia un solo Dio;

RM2) Dio in sé e Dio per noi sono distinti;

RM3) Se Dio è monarca della creazione Dio deve necessariamente essere una ed una sola entità.

Definisco modalismo classico (MC) la congiunzione di proposizioni RM1, RM2, RM3, M1, M2. La dottrina può essere formulata nel modo seguente.7 Dall'affermazione scritturistica dell'unicità divina può essere assunta la proposizione che esiste un solo essere che gode della proprietà essere Dio:

1) ∃! x D(x)

Questa proposizione esprime M1. I dati scritturistici affermano tuttavia anche che il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio. Si ottiene quindi:

2) ∃! x [P(x) ∧ D(x)]

3) ∃! y [F(y) ∧ D(y)]

4) ∃! z [S(z) ∧ D(z)]

Come visto nella sezione precedente il modalismo ritiene di non poter abbandonare PDN. Ora, la proprietà diadica essere il Padre per il Figlio è evidentemente diversa dalla proprietà diadica essere il Figlio per il Padre. Infatti chi gode della prima gode della proprietà essere ingenerato di cui non gode chi gode della seconda, mentre chi gode della seconda gode della proprietà essere generato di cui non gode chi gode della prima. E ancora, la proprietà triadica essere lo Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figlio è evidentemente diversa tanto dalla proprietà diadica essere il Padre per il Figlio che da quella essere il Figlio per il Padre, perché chi gode della prima gode della proprietà essere procedente da della quale non godono coloro i quali godono delle due seconde proprietà. E ancora, coloro i quali godono delle due seconde proprietà godono anche della proprietà essere ingenerato (chi gode della seconda) ed essere generato (chi gode della terza) di cui non gode chi gode della prima. Si ottiene allora che ci sono tre entità non identiche che godono della medesima proprietà essere Dio. Questo è un caso per l'applicazione di PDN. Sostituendo in PDN ottengo perciò RM1:

5) ∃! x, ∃! y, ∃! z {{D(x) ∧ D(y) ∧ D(z) ∧ [P(x) ≠ F(y)] ∧ [F(y) ≠ S(z)] ∧ [P(x) ≠ S(z)]} ⊃ {[D(x) ≠ D(y)] ∧ [D(y) ≠ D(z)] ∧ [D(x) ≠ D(z)]}}

Da (5) segue M2. Poiché (1) è desumibile dalla Scrittura in modo molto evidente, sembra plausibile negare che ∃! x, ∃! y, ∃! z {[D(x) ≠ D(y)] ∧ [D(y) ≠ D(z)] ∧ [D(x) ≠ D(z)]} sia vero. Per Modus Tollens si ha allora che:

6) ¬(∃! x, ∃! y, ∃! z) {D(x) ∧ D(y) ∧ D(z) ∧ [P(x) ≠ F(y)] ∧ [F(y) ≠ S(z)] ∧ [P(x) ≠ S(z)]}

Ora, dato che (1) afferma l'unicità di Dio, la clausola ¬(∃! x, ∃! y, ∃! z) in RM1 diviene (∃! x, ¬∃ y, ¬∃ z). Di conseguenza si eliminano y e z, sostituendo x come variabile nelle funzioni P, F, S in RM1 e si ottiene M2:

7) ∃! x {{D(x) ∧ [P(x) ≠ F(x)] ∧ [F(x) ≠ S(x)] ∧ [P(x) ≠ S(x)]} ⊃ D(x)}

che esprime l'unicità di Dio congiuntamente al fatto che Dio in quanto Padre è diverso da Dio in quanto Figlio e da Dio in quanto Spirito Santo, e che Dio in quanto Figlio è diverso da Dio in quanto Spirito Santo.

La deduzione di M2 mostra chiaramente come il modalismo sembrerebbe fondarsi in prima istanza sulla semplice applicazione del criterio per distinguere numericamente le entità ai dati scritturistici. Si potrebbe quindi sostenere che la dottrina non si costituisca come un vero e proprio approccio teologico alla Rivelazione. Questa tesi è tuttavia falsa: il modalista assume le due ulteriori ragioni RM2 e RM3 a sostegno di M2. Entrambe queste ragioni hanno una radice eminentemente teologica. Infatti, l'Incarnazione è un evento di natura economica: i nomi di Padre, Figlio e Spirito Santo compaiono come nomi propri, e non come titoli divini, solo in relazione all'evento dell'Incarnazione. Pertanto si può assumere RM2:

8) ∃! x {[D(x) ∧ Dn (x)] ≡ [D(x) ≠ Dn (x)]}

Poiché la Rivelazione attesta che l'esistere di Dio in sé è diverso dal suo esistere per noi, si può assumere che [D(x) ≠ Dn (x)] è vera. Pertanto:

9) ∃! x [D(x) ∧ Dn (x)]

Ma, che Dio appaia a fini economici secondo la natura di un Padre e di un Figlio e di uno Spirito Santo significa:

10) Dn (x) = [P(x) ≠ F(x)] ∧ [F(x) ≠ S(x)] ∧ [P(x) ≠ S(x)]

Si sostituisce (10) in (9):

11) ∃! x {D(x) ∧ {[P(x) ≠ F(x)] ∧ [F(x) ≠ S(x)] ∧ [P(x) ≠ S(x)]}}

Da (11) segue quindi M2:

13) ∃! x {{D(x) ∧ [P(x) ≠ F(x)] ∧ [F(x) ≠ S(x)] ∧ [P(x) ≠ S(x)]} ⊃ D(x)}

Lo stesso risultato può essere ottenuto a partire da RM3. La Scrittura afferma a più riprese che Dio è un monarca per la creazione, ossia che l'attività economica divina deve essere compresa come l'esercizio della propria potestà da parte di un sovrano. Ma, l'essere sovrano implica l'unicità dell'individuo per cui vale la proprietà essere sovrano. Si assume allora:

14) ∀ x [M(x) ⊃ ∃! x M(x)]

D'altra parte, dalla Scrittura segue che:

15) ∀ x [D(x) ⊃ M(x)]

Da cui si ottiene RM3:

16) ∀ x [D(x) ⊃ ∃! x M(x)]

La proposizione (16) afferma che l'attività economica divina è esercita da un solo Dio. Nel caso essa appaia il risultato dell'azione di più entità divine sarà dunque necessario ricondurre tale pluralità a diversi modi di essere del medesimo individuo. Il che porta nuovamente (9) e quindi a M2.

1.3. Una conseguenza di MC: la tesi del patripassianismo

Tanto Ippolito che Tertulliano sono concordi nel caratterizzare il modalismo come un approccio al problema della Trinità originato da un interesse teologico fortemente focalizzato sulla questione della economia divina.

Ippolito testimonia infatti come il modalismo tratti la natura del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo solo in relazione al tema del controllo divino sulla creazione.8 Operando in un contesto concettuale costituito dalla filosofia del divenire di Eraclito, che l'eresiologo legge come una forma di monismo che riconduce l'apparente pluralità degli enti all'ignoranza umana del nesso necessario che regola l'alternanza dei contrari (così che essi, correttamente intesi, si mostrerebbero tutti momenti apparenti di un ente medesimo, l'Uno-Tutto) ,9 il modalismo afferma che Dio assume, secondo l'ordine temporale, i modi d'essere più appropriati al fine di garantire la salvezza della creazione: prima dell'Incarnazione l'essere Padre, con l'Incarnazione l'essere Figlio, dopo la Resurrezione l'essere Spirito Santo.

Tertulliano mette pienamente in luce questo aspetto del modalismo perché fra le proprie obiezioni alla dottrina annovera il fatto che il modalismo non intende l'essere trinitario di Dio che in funzione della relazione fra Dio e creazione. La lunga sezione che va dal quinto all'ottavo capitolo del trattato antimodalistico ha per obiettivo proprio la dimostrazione che l'essere di Dio nelle Persone del Padre e del Figlio precede la creazione.10 Ossia, per Tertulliano, mentre il modalismo pensa Dio immanentemente come Unicità ed economicamente come Trinità, l'ortodossia pensa Dio come Trinità tanto da un punto di vista immanente che economico.

Data questa concentrazione della dottrina sull'economia divina nei confronti della creazione, sembra lecito aspettarsi che la più contestata conseguenza di MC riguardi la comprensione dell'Incarnazione. Tradizionalmente si indica tale comprensione con l'etichetta di patripassianismo. Questo può essere definito nel modo seguente:

Defpatripassianismo = Dio il Padre ha sofferto sulla croce.

La tesi può essere così dimostrata:

  1. Padre è uno dei nomi della divinità (tesi da assumersi per l'autorità delle Scritture);
  2. Figlio è uno dei nomi della divinità (tesi da assumersi per l'autorità delle Scritture);
  3. Per RM1, RM2, RM3, da (1) e (2): il Padre e il Figlio sono la stessa persona;
  4. Il Figlio ha sofferto sulla croce (tesi da assumersi per l'autorità delle Scritture);
  5. da (3) e (4): Il Padre ha sofferto sulla croce.

2. Orientamenti per la trattazione della Trinità

La teologia cristiana nel suo complesso ha elaborato quattro orientamenti principali per la trattazione della Trinità: a) trinitarismo sociale (o greco); b) trinitarismo latino; c) misterianesimo; d) plurisostanzialismo.

I primi due orientamenti costituiscono le opzioni di base del pensiero trinitario. Lungo il corso della storia della teologia, infatti, la maggior parte dei teologi ha elaborato la propria riflessione posizionandosi nell'uno o nell'altro. Tradizionalmente essi vengono definiti in funzione del momento (nell'opposizione di unicità e pluralità) sul quale è posta l'enfasi dottrinale:

a) Trinitarismo Sociale (TS): nella confessione dell'Unicità di Dio nella Trinità delle Persone la pluralità delle Persone è prioritaria rispetto all'unicità di Dio;

b) Trinitarismo Latino (TL): nella confessione dell'Unicità di Dio nella Trinità delle Persone l'unicità di Dio è prioritaria rispetto alla pluralità delle Persone.

Solitamente la formulazione originaria delle due forme di trinitarismo viene fatta risalire ai Padri Cappadoci (trinitarismo sociale) e Agostino (trinitarismo latino). Dato che a partire da questi autori i due orientamenti hanno dato origine a due diverse tradizioni trinitarie, sviluppatesi secondo una relazione di opposizione l'una all'altra, TS e TL sono generalmente classificate come posizioni mutualmente disgiuntive.

Tuttavia, nonostante il peso della tradizione, è recentemente emersa nella letteratura, tanto di ordine storiografico che teoretico, una linea interpretativa che nega che le due posizioni siano effettivamente mutualmente disgiuntive.11 Questa tesi è sostenuta in almeno due modi diversi: alcuni autori ritengono che TS e TL siano in realtà compatibili, affermando sostanzialmente la stessa cosa a partire da due diversi punti di vista; altri autori, invece, ritengono che TS non colga il significato della dottrina sostenuta da coloro ai quali TS viene attribuita, così che essa appaia priva di una reale efficacia ermeneutica (di conseguenza: non caratterizza la posizione di tali autori in opposizione a quella di TL).

Al di là della plausibilità delle singole argomentazioni portate a sostegno della tesi, la valutazione del cui peso esula completamente dagli intenti di questo lavoro, credo che la definizione tradizionale di TS e TL debba comunque essere abbandonata. Il motivo è il seguente: la definizione tradizionale stabilisce un criterio di distinzione delle due posizioni di natura ontologica. Nell'assegnare la priorità al momento della pluralità piuttosto che a quello dell'unicità, infatti, si compie una affermazione circa la natura di Dio, che sarebbe in un caso trinitaria perché prioritariamente unitaria (TL) e nell'altro unitaria perché prioritariamente trinitaria (TS). Questa distinzione appare, tuttavia, troppo netta e precisa per rendere effettivamente conto delle varie posizioni che si collocano nell'una e nell'altra tradizione; perché le differenze fra le une e le altre sono spesso più sfumate e meno dirimenti. Ciò di cui si ha bisogno è, cioè, una definizione che, mentre esprime l'evidenza storica che i due orientamenti si sono effettivamente costituiti in tradizioni alternative, escluda, però, che l'elemento differenziale di essa qualifichi la divergenza fra le due tradizioni in funzione dell'assunzione di una differente ontologia del divino.

Il modo migliore per farlo, a mio avviso, è quello di pensare la posizione dell'enfasi sull'uno o l'altro momento dell'opposizione di unicità e pluralità non in senso ontologico, ma in senso epistemologico. Ossia, credo sia necessario intendere TS e TL come due ipotesi di lavoro sulla Trinità che muovono da due alternativi punti di partenza, così da non presupporre o implicare alcuna conseguenza ontologica.12 In questo modo è possibile avanzare le seguenti definizioni dei due orientamenti, che restano sostanzialmente immuni alle critiche avanzate recentemente contro la tendenza a distinguere fra TS e TL:

a') Trinitarismo Sociale (TS): al fine di spiegare il significato della confessione dell'Unicità di Dio nella Trinità delle Persone la pluralità delle Persone è epistemologicamente prioritaria rispetto all'unicità di Dio;

b') Trinitarismo Latino (TL): al fine di spiegare il significato della confessione dell'Unicità di Dio nella Trinità delle Persone l'unicità di Dio è epistemologicamente prioritaria rispetto alla pluralità delle Persone.

Passo adesso a trattare i due orientamenti minoritari. Per quanto non sia quasi mai sistematicamente formulato, il misterianesimo è un orientamento che attraversa l'intero corso della storia della teologia, traendo la propria origine nella reazione all'acuirsi delle controversie dottrinali trinitarie. Esso pervade (spesso) la teologia apofatica, la teologia riformata, le teologie che si originano esclusivamente dalla meditazione della Scrittura e le teologie eminentemente interessate alla natura pratico-esistenziale della riflessione dottrinale. Ogni qual volta le polemiche teologiche raggiungono un grado elevato di elaborazione, con l'utilizzo massiccio e rigoroso di argomenti e controargomenti tecnici (che mettono generalmente in luce i rischi eterodossi inevitabilmente insiti nel perseguire una certa intuizione in modo radicale), il misterianesimo appare come un incitamento alla modestia epistemologica e alla accettazione della condizione minoritaria dell'intelligenza umana di fronte alla comprensione della trascendenza. Il misterianesimo può essere definito nel modo seguente:

c) Misterianesimo (MIST): nella confessione dell'Unicità di Dio nella Trinità delle Persone il compito del credente non è quello di comprendere concettualmente una realtà che si trova al di sopra delle possibilità della ragione umana, quanto quello di adorare la Divinità così come ci si è rivelata nell'Incarnazione e nella Resurrezione, conformandosi esistenzialmente al dettato della Scrittura e della Tradizione.

Giungo infine al plurisostanzialismo (PS). A differenza degli altri, questo orientamento è esclusivamente un frutto della riflessione teologica contemporanea. Esso nasce dai dibattiti seguiti all'applicazione della dottrina logica dell'identità relativa, elaborata a partire dalla seconda metà degli anni sessanta del Novecento da P. Geach, prima, e N. Griffin, poi, al problema della Trinità. L'idea chiave di tale dottrina è quella secondo la quale la relazione d'identità non è assoluta ma relativa a una certa proprietà determinata.

Si consideri il caso seguente. Il pittore P ha dipinto il quadro q. Osserva il materiale a disposizione nel suo studio e decide di fabbricarsi la cornice c. Passa un po' di tempo e P espone le proprie opere a una mostra. Fra queste è presente anche q. Un visitatore V della mostra rimane particolarmente impressionato da q e decide di comprarlo. Una volta in possesso del quadro, tuttavia, lo porta in un negozio di cornici perché, non ritenendo c adatta a q, desidera che il negoziante N monti una nuova cornice su q. Gli accordi fra N e V sono i seguenti: 1) la nuova cornice deve avere lo stesso valore di c; 2) N può tenersi c; 3) V pagherà solo la mano d'opera per il montaggio. N sostituisce quindi c con c1. Il caso vuole che successivamente all'uscita di V dal negozio un altro cliente veda c e chieda a N di montarla su un suo quadro di dimensioni eguali a q. Ora, quando V torna a prendere il suo quadro vede q incorniciato da c1 ma non ne resta soddisfatto, pensando che tutto sommato c fosse migliore. Chiede quindi a N di montare nuovamente una cornice c2 dalla stessa forma e colore di c. Si domanda: V ha ancora adesso la stessa opera d'arte dipinta da P? Da un lato la risposta è sì: da un punto di vista estetico l'oggetto qc2 ha esattamente la stessa apparenza dell'oggetto qc. Tuttavia, V è davvero proprietario dello stesso oggetto materiale acquistato da P? Sembrerebbe di no, perché c2c. Quando, infatti, V acquista l'opera d'arte da P egli prende possesso dell'oggetto qc, mentre l'opera d'arte attualmente posseduta da V è l'oggetto qc2.

Casi come questi dovrebbero indurci, secondo i teorici dell'identità relativa, a considerare l'identità non una relazione assoluta fra due apparenze fenomeniche, ma una relazione fra due apparenze fenomeniche relativa a una certa proprietà:

  1. se OA indica la proprietà essere un'opera d'arte e o = q ∧ c è il quadro esposto alla mostra da P e o1 = q ∧ c2 è il quadro posseduto da V, ne segue che o1 = o in quanto OA;
  2. se OM indica la proprietà essere un oggetto materiale e o = q ∧ c è il quadro esposto alla mostra da X e o1 = q ∧ c2 è il quadro posseduto da Y, ne segue che o1 ≠ o in quanto OM.

Ossia, l'identità fra apparenze ha senso solo relativamente alla proprietà che identifica l'entità di cui le apparenze sono apparenze. Un modo alternativo per affermare la dottrina dell'identità relativa è dire che una entità ha una identità nella misura in cui quella entità è una identità determinata (è una entità in quanto determinatamente qualcosa).

Questa dottrina offre una soluzione intuitiva al problema trinitario: Padre, Figlio e Spirito Santo sono identici in quanto Dio, mentre sono diversi in quanto Persone divine. Il caso del quadro mostra come questa relatività dell'identità delle entità non abbia in sé niente di misterioso.

A causa della propria novità nel panorama delle discussioni trinitarie, il plurisostanzialismo non emerge come un orientamento tematicamente definibile: esso consiste piuttosto in un dibattito, ricco di posizioni molto differenziate, intorno all'applicabilità della dottrina dell'identità relativa al problema della Trinità e alla distinzione di tale dottrina da altre apparentemente simili. Esso comprende pertanto anche quelle dottrine, di ascendenza aristotelica, che affermano che nel medesimo oggetto materiale possano contemporaneamente sussistere diverse sostanze primarie (sostanze che condividono la medesima materia ma differiscono per la forma).

Così introdotti i quattro orientamenti, credo sia necessario illustrare brevemente quelle che, a mio avviso, sono le versioni paradigmatiche delle dottrine formulate all'interno di ognuno di essi.

2.1. Trinitarismo sociale

Il modello classico per TS è quello tradizionalmente attribuito ai Padri Cappadoci. Ciò non significa, naturalmente, che i Padri Cappadoci abbiano davvero sostenuto la versione di trinitarismo che a loro è attribuita, ma solo che la tradizione è attraversata da una interpretatio vulgata del loro pensiero che ha costituito il fondamento di ogni altra dottrina trinitaria che cade sotto TS. A grandi linee TS è la congiunzione delle seguenti proposizioni:

TS1) il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono effettivamente distinti l'uno dall'altro;

TS2) il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono egualmente predicabili della proprietà essere Dio;

TS3) ogni individuo predicabile di un certo modo di essere specifico è eguale, quanto al proprio modo di essere specifico, a ogni altro individuo predicabile dello stesso modo di essere specifico;

TS4) la proprietà essere Dio esprime un modo di essere specifico;

TS5) la proprietà essere Dio esprime un'attività;

TS6) la proprietà essere Dio esprime un modo di essere specifico come esecuzione di un'attività;

TS7) il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono eguali relativamente al proprio modo di essere specifico come esecuzione di una attività;

TS8) il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo eseguono sempre nello stesso modo la propria attività;

TS9) non ci sono altri individui oltre al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo che hanno per modo di essere specifico l'essere Dio;

TS10) c'è una e una sola attività che realizza il modo di essere specifico essere Dio;

TS11) Dio è uno e uno solo.

Secondo i Padri (TS1) e (TS2) sono chiaramente attestati dalla Rivelazione. (TS3) deve invece essere assunto per la propria evidenza intuitiva (per esempio, un gruppo di uomini è composto da individui che sono uomini tutti nello stesso modo). Le due proposizioni seguenti (TS4) e (TS5) sono ancora attestate dalla Rivelazione. (TS6) segue da (TS4) e (TS5). (TS7) segue da (TS2), (TS3) e (TS6). (TS8) e (TS9) sono attestate dalla Rivelazione. (TS10) segue da (TS8) e (TS9). (TS11) segue da (TS7) e (TS10).

L'idea chiave di TS è che Dio non sia un individuo, ma una società di persone divine. Ciò che è peculiare di tale società è che i suoi componenti eseguono tutti la medesima attività nello stesso modo e che, in tale esecuzione, esprimono integralmente il proprio modo di essere specifico comune. Se questo è il caso non è possibile dire che ci siano tre dei, ma è necessario affermare che vi sia un solo Dio in tre Persone. Infatti, sarebbero così dati tre distinti individui dall'identico modo di essere specifico, le cui attività sarebbero, tuttavia, identicamente sovrapposte.

Una magistrale esemplificazione di TS, dal valore di paradigma, è offerta dalla interpretazione della Crocefissione avanzata da J. Moltmann.13 Secondo il teologo tedesco la croce di Gesù costituisce la vera e propria Rivelazione dell'essere trinitario di Dio, perché tale evento ha una reale spiegazione teologica solo se compreso come attualizzazione costitutiva della vita delle tre Persone divine: se da un punto di vista storico-mondano la crocefissione non è altro che l'esecuzione della pena di morte per un profeta apocalittico di orientamento sapienziale a capo di una comunità itinerante di ex-pescatori provenienti dalla Galilea, da un punto di vista teologico la Crocefissione è l'avvenire di una scissione radicale in Dio, di un collasso divino nel nulla, di una esperienza assoluta della morte da parte di Dio, che realizza economicamente nel mondano ciò che da sempre sussiste immanentemente nell'oltremondano.

Questo è quello che avviene. Il Padre e il Figlio sono uniti nella separazione e separati nell'unione, secondo due diversi ambiti d'attività: quello dell'abbandono e quello della consegna. Lo schema seguente illustra la situazione:

Abbandono (unione nella separazione)Consegna (separazione nell'unione)
PadreÈ abbandonante il FiglioÈ consegnante il Figlio
FiglioÈ abbandonato dal PadreÈ consegnato dal Padre

L'abbandono determina la separazione in Dio: il Padre lascia morire il Figlio e il Figlio si lascia morire per il Padre. Così il Figlio conosce la separazione da Dio: la vita divina lo abbandona e muore la morte della creatura, della finitezza. Dalla parte del Figlio l'abbandono si realizza, dunque, come esperienza diretta della morte: sulla croce il Dio abbandonato dalla Pienezza muore. Nello stesso tempo anche il Padre conosce la separazione da Dio: abbandonando il Figlio il Padre resta in sé, resta solo. Tale restar solo è evidentemente a sua volta un abbandono: il Padre è abbandonato dal Figlio che muore. Dalla parte del Padre l'abbandono è però una esperienza indiretta della morte: laddove l'esperienza del Figlio è l'esperienza di chi si perde, l'esperienza del Padre è l'esperienza di chi perde.

Al contrario la consegna determina l'unione in Dio: il Padre accetta di consegnare il Figlio e il Figlio accetta di farsi consegnare dal Padre. Così il Figlio si unisce a Dio: esegue il volere divino e si fa uno con questo. Dalla parte del Figlio la consegna si realizza, dunque, come esperienza diretta dell'unione con il Padre: con la morte sulla croce il Figlio realizza il volere del Padre. Nello stesso tempo anche il Padre conosce l'unione con Dio: accettando la consegna del Figlio il Padre vuole il medesimo del Figlio e si unisce a lui in tale volizione dell'identico.

Ora, la separazione e l'unione non sono due poli distinti e contrapposti dell'essere del Padre e Figlio: nella separazione il Padre e il Figlio sono uniti dal reciproco abbandono, così come nell'unione il Padre e il Figlio sono separati dalle conseguenze della consegna. Questa unione nella separazione e questa separazione nell'unione è la sussistenza dell'amore assoluto che unisce i distinti. Il Padre e il Figlio sono distaccati, separati, allontanati assolutamente dall'abisso che scava la morte dell'uno per l'altro: Dio Figlio muore in Dio Padre e Dio Figlio muore per Dio Padre come Dio Padre muore in Dio Figlio e Dio Padre muore per Dio Figlio (è la perdita della vita divina del Padre a uccidere il Figlio sulla croce). Tuttavia nel reciproco amore, il Padre e il Figlio restano uniti dall'infinità del desiderio d'unione: nell'evento della Crocefissione questo amore sopravanza la posizione dell'abbandono nella consegna e congiunge infinitamente il Padre e il Figlio. Questo amore è lo Spirito Santo: nella sua sussistenza il Figlio è nuovamente ricondotto al cospetto del Padre, e, nella Gloria, eternamente unito a Lui.

La Crocefissione si mostra così:

  1. come un evento propriamente appartenente alla Vita divina;
  2. come l'effettiva realizzazione delle distinzioni personali fra le Persone divine;
  3. come l'effettiva realizzazione dell'identità dell'esecuzione della loro attività;
  4. come l'effettiva Rivelazione della totalità dell'essere divino alla creazione.

2.2. Trinitarismo latino

Il modello classico per TL è fornito dalla formulazione della dottrina delle relazioni sussistenti da parte di Tommaso.14 In breve, l'essere di Dio è un unico atto d'essere. Tale atto d'essere da origine a quattro relazioni sussistenti (paternità, filiazione, processione, spirazione); ossia individua quattro modi di essere la cui sussistenza costituisce anche l'essere attuale dei propri termini. Le quattro relazioni stanno fra loro in opposizione reale. Di conseguenza esse definiscono il modo di essere di tre termini distinti, secondo la schema seguente:

Padrepaternità →
opposta a
← filiazione
Figlio
↓ processione
opposta a
spirazione passiva ↑
Spirito Santo

A mio avviso TL ha due versioni paradigmatiche, che pongono in evidenza aspetti diversi delle dottrine formulate all'interno dell'orientamento. La prima è la trattazione della nozione di Trinità da parte di K. Rahner,15 che ha notoriamente dato impulso al riaccendersi della speculazione trinitaria nel pensiero teologico e filosofico contemporaneo. La seconda è il tentativo, elaborato da B. Leftow, di fornire un'evidenza intuitiva al fatto che Dio è Uno nella Trinità e Trino nell'Unità.16

Il punto di partenza di Rahner è l'assunzione del suo celeberrimo assioma:

TL1 (R): La Trinità economica è la Trinità immanente e la Trinità immanente è la Trinità economica.

L'assioma afferma che le distinzioni personali in Dio, presentate dalla Rivelazione in termini esclusivamente economici, non esprimono il divino relativamente (alla storia della salvezza), ma costituiscono eminentemente l'essere Dio. Vale a dire che:

1) Dio è in sé come appare alle creature nella sua relazione alla creazione.

Ora:

2) Dio appare triplicemente alle creature come Padre, Figlio e Spirito Santo.

Tale apparire triplice implica per le creature l'apparire di una distinzione reale in Dio: per noi Padre, Figlio e Spirito Santo non sono gli stessi. Pertanto, se valgono (1) e (2), segue che:

3) la nostra relazione a Dio, nell'identità della sua manifestazione economica ed essere immanente, attesta il suo essere trinitario in quanto Padre, in quanto Figlio e in quanto Spirito Santo.

Si potrebbe allora essere indotti a ritenere che l'assunzione di TL1 (R) posizioni la dottrina trinitaria di Rahner all'interno di TS. Tuttavia le cose stanno diversamente:

4) l'esperienza di Dio è in primo luogo costituita trascendentalmente, perché «l'orientamento originario dell'uomo al mistero assoluto, che costituisce l'esperienza fondamentale di Dio, è un esistenziale permanente dell'uomo»;17

5) infatti, «ogni conoscenza di Dio espressa nella religione e nella metafisica è [...] comprensibile e genuinamente attuabile in quel che essa dice solo e sempre quando tutte le parole [...] richiamano l'esperienza atematica del nostro orientamento al mistero ineffabile»;18

6) tale esperienza atematica è una autocomunicazione di Dio: ossia è un'esperienza in cui Dio si rende attualmente disponibile per la creatura nella propria immediatezza;19

7) nella «reale autocomunicazione di Dio» Egli appare «in quanto uno, unico e medesimo»;20

8) perché, «l'unicità della natura dice e include l'unicità di una coscienza una e di una libertà unica».21

Il pensiero di Rahner circa il punto di partenza della speculazione trinitaria sembra pertanto compendiabile nella tesi che:

TL2 (R) se la relazione della creatura umana al Creatore passa materialmente dai dati trinitari rivelati nella storia, la comprensione di tali dati come autocomunicazione di Dio presuppone trascendentalmente l'originaria esperienza atematica dell'orientamento umano al mistero assoluto; il che si attua nell'esperienza di Dio come uno, unico e medesimo.

La congiunzione di TL1 (R) e TL2 (R) qualifica pertanto la dottrina rahneriana come una dottrina secondo la quale nella riflessione teologica la priorità epistemologica è data all'esperienza dell'unità, unicità e medesimezza di Dio, nonostante il fatto che i dati rivelati presentino tale esperienza in tre distinti modi fondamentali. Di conseguenza la dottrina trinitaria si deve costituire come una deduzione della trinitarietà della sussistenza divina a partire dalla sua originaria esperienza unitaria; il che è equivalente a dire che la dottrina inerisce in TL.

La posizione trinitaria di Rahner consiste delle tesi seguenti:

TL3 (R) il termine Persona nell'espressione Persona divina non qualifica la medesima realtà del termine persona nell'espressione persona umana;

TL4 (R) il termine Persona indica un modo di essere del divino che esprime necessariamente la totalità dell'essere divino;

TL5 (R) ogni Persona è necessaria;

TL6 (R) ogni Persona è necessariamente costituita dalla relazione ad altre Persone;

TL7 (R) in Dio ci sono tre Persone e una sola persona;

TL8 (R) Dio si comporta triplicemente nei nostri confronti.

A grandi linee la dottrina è così giustificabile. Essere Dio è essere una unica realtà in rigorosa identità, perché le distinzioni personali esprimono soltanto relazioni d'origine.22 Questo significa che se si prescinde da tali relazioni fra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, essere il Padre, essere il Figlio ed essere lo Spirito Santo consistono esattamente nello stesso modo di essere Dio. Cioè, ognuna delle tre Persone divine è riconosciuta essere lo stesso Dio (TL2 (R)). Un modo alternativo per esprimere tale assunto teologico è dire che, a prescindere dalle relazioni d'origine, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono immanentemente fra loro indistinguibili.23

Il problema della Trinità consiste per Rahner esattamente nelle conseguenze economiche di questa indistinguibilità: se ogni Persona è lo stesso Dio (ogni persona esprime lo stesso essere Dio) perché, a fini economici, ognuna di queste gioca un ruolo distinto nella storia della salvezza? Sembrerebbe non esserci alcuna necessità nel fatto che il Figlio, e non il Padre, muoia sulla Croce, per esempio. Tuttavia questo sarebbe assurdo: se la Rivelazione è rivelazione dell'essere trinitario divino, tale dato deve avere un qualche grado di necessità, almeno da un punto di vista soteriologico.24 Sembra quindi necessario assumere un assioma che rifiuti l'idea che le distinzioni personali economiche esprimano qualcosa di diverso dalle distinzioni personali immanenti (assunzione di TL1 (R)).

Ora, se Dio è uno, unico e medesimo, ma si manifesta a noi essente tripersonalmente, così da indurci a pensare che il suo essere sia effettivamente tripersonale, si pone il problema di giustificare come ognuna delle Persone divine sia l'unico Dio e tuttavia sia distinta dalle altre. Rahner ritiene che la tradizione teologica abbia adeguatamente mostrato che valgono TL3 (R), TL7 (R), TL8 (R). Il compito principale della dottrina trinitaria consiste perciò nell'assegnare un significato al termine Persona che non sia soggetto al fraintendimento della sua identità con quello di persona.

La soluzione avanzata da TL consiste nell'intendere con Persona il sostrato ontologico del triplice modo di comportarsi divino: Dio sussiste in tre modi diversi di sussistenza, ognuno dei quali giustifica il suo triplice modo di essere rispetto alla Creazione, ossia come Padre, come Figlio e come Spirito Santo (TL4 (R)). Ciò che garantisce che una tale posizione sia conforme al dato rivelato consolidatosi nella tradizione teologica è la netta individuazione di criteri che consentano di confessare autenticamente la distinzione personale: l'essere Padre, l'essere Figlio e l'essere Spirito Santo non sono tre diversi modi di manifestarsi del medesimo divino, tre attributi della medesima sostanza; piuttosto, ognuno di essi è necessariamente identico all'essere Dio. L'essere questa o quella Persona in Dio è una necessità: Dio non si manifesta come Padre o come Figlio o come Spirito Santo, perché essere Dio è essere Padre ed essere Figlio ed essere Spirito Santo (TL5 (R)). Non solo, le tre Persone sono realmente distinte, essendo necessariamente costituite dalle reciproche relazioni: ciò significa che i tre modi necessari di sussistenza di Dio, oltre a essere i tre modi necessari di essere Dio, sono diversi l'uno dall'altro in quanto ognuno di essi necessita dell'essere dell'altro per costituirsi in quanto tale (necessita della distinzione dall'altro per poter essere sé stesso). Di conseguenza l'essere Padre è determinato dal suo essere Padre del Figlio e dall'essere colui che spira con il Figlio l'essere Spirito Santo; l'essere Figlio è determinato dal suo essere Figlio del Padre e dall'essere colui che spira con il Padre l'essere Spirito Santo; l'essere Spirito Santo è determinato dal suo procedere dal Padre e dal Figlio, essendo passivamente spirato da questi (TL6 (R)).25

Mentre la preoccupazione di Rahner sembra quella di offrire una versione di LT che, tenendo nel debito conto il dato rivelato circa la tripersonalità di Dio, resti tuttavia saldamente nel solco magisteriale della tradizione teologica, Leftow appare piuttosto interessato a mostrare in che modo potrebbe essere dato un ente trinitario. Egli difende cioè la tesi che la nozione di Trinità non implica necessariamente una contraddizione a partire da un caso esplicativo che illustri intuitivamente la possibilità di sussistere tri-unitariamente. A tal fine immagina una ipotetica situazione nella quale una medesima persona si presenti simultaneamente in tre modi onticamente distinti l'uno dall'altro a compiere tre azioni diverse, sebbene coordinate in modo tale che, assieme, queste costituiscano un'unica azione.

Si consideri un certo agente A, libero di viaggiare indietro nel tempo grazie a uno strumento costruito da uno scienziato. Secondo Leftow questa supposizione è in linea di principio possibile se l'universo fosse conforme alle leggi dei campi della teoria generale della relatività e fosse data la corretta distribuzione di massa-energia. Pertanto, si immagini che A sia una ballerina di nome Jane, appartenente al celebre corpo di ballo The Rockettes. A causa di una epidemia che colpisce tutte le ballerine eccetto Jane nel giorno dello spettacolo abitualmente tenuto al Radio City Music Hall di Manhattan, Jane resta l'unica in grado di eseguire la propria performance. Il momento in cui lo spettacolo comincia è il tempo t0. Jane balla la parte assegnatale (tale azione è a1). Quindi, Jane al tempo t0 esegue l'azione a1. Ora, al tempo t1 successivo al tempo t0 Jane utilizza la macchina del tempo a sua disposizione per tornare al tempo t0 ed eseguire la parte della ballerina abitualmente posizionata alla sua destra (tale azione è a2). Evidentemente le due azioni sono causalmente connesse fra loro: quando Jane esegue a1, Jane balla come se alla sua destra ci fosse una ballerina che esegue a2; quando Jane esegue a2, Jane balla in relazione a come lei stessa alla sua sinistra (lei stessa nel proprio passato a cui è tornata con la macchina del tempo) sta eseguendo a1. Infine, al tempo t2 successivo al tempo t1, Jane torna nuovamente indietro al tempo t0 e balla la parte della ballerina abitualmente posizionata alla sua sinistra (tale azione è a3). A questo punto le tre azioni sono causalmente connesse fra loro: quando Jane esegue a1, Jane balla come se alla sua destra ci fosse una ballerina che esegue a2 e alla sua sinistra una ballerina che esegue a3; quando Jane esegue a2, Jane balla in relazione a come lei stessa alla sua sinistra (lei stessa nel proprio passato a cui è tornata con la macchina del tempo) sta eseguendo a1 e un'altra lei stessa alla sinistra della lei stessa alla sua sinistra sta eseguendo a3; infine, quando Jane esegue a3 Jane balla in relazione a come lei stessa alla sua destra sta eseguendo a1 e a come lei stessa alla destra della lei stessa alla sua destra sta eseguendo a2.

Leftow ritiene che se questo fosse il caso avremmo esattamente un ente sussistente pluripersonalmente, perché l'azione complessiva eseguire lo spettacolo del corpo di ballo The Rockettes (ER) sarebbe compiuto da un insieme distinto di persone X, Y, Z, ecc., ognuna delle quali definibili grazie a clausole come X = A che esegue an al tempo tn-1. Infatti, X, Y, Z, ecc. sarebbero ognuno lo stesso A; tuttavia sarebbero anche onticamente distinti l'uno dall'altro e individuati esclusivamente dalle relazioni causali instaurate nell'esecuzione di ER.

Accettate le premesse relativistiche della storia di Jane, non vi sarebbe niente di particolarmente misterioso da un punto di vista metafisico circa la natura di A, perché:

  1. la vita di A è una sequenza temporale lineare di eventi rispetto ai quali A agisce in un modo o nell'altro;
  2. quando A torna al tempo ti precedente il tempo attuale tn la vita di A rispetta la sequenza temporale lineare (per A gli eventi si succedono normalmente in modo lineare);
  3. quando A torna al tempo ti una certa sequenza (temporalmente lineare) della sua vita viene tagliata dalla sequenza temporale di tutti gli osservatori esterni alla vita di A (che non utilizzano lo strumento per andare avanti e indietro nel tempo) in modo che essa sia collocata al tempo ti;
  4. l'azione ER non è altro che la collocazione al tempo ti delle varie sequenze (temporalmente lineari) della vita di A per gli osservatori esterni alla vita di A (che dunque vedono per un numero n di volte A compiere azioni con lo scopo di eseguire ER).

Secondo Leftow questo caso illustra chiaramente come sia possibile essere trinitariamente un unico ente. Infatti, sebbene Dio non sia un essere temporale, così che il suo essere Padre, il suo essere Figlio e il suo essere Spirito Santo non possano essere considerati come diversi momenti di una unica sequenza temporale, intersecanti simultaneamente la sequenza temporale della creazione grazie a ripetuti viaggi indietro nel tempo, ciò che rende l'essere divino comprensibile in funzione della storia di Jane è il fatto che la storia mostra come sia concettualmente possibile che la medesima sostanza (A) possa eseguire simultaneamente al medesimo tempo tn azioni diverse a1, a2, ..., an, fra loro causalmente connesse. La sola differenza è che nel caso di Dio tale possibilità è (eventualmente) spiegata dalle proprietà della natura divina (infinità, onnipotenza, semplicità, necessità), mentre nel caso di Jane tale possibilità è (concettualmente) spiegata dalla teoria generale della relatività.

Si ottiene allora che:

TL1 (L) Dio è un'unica sostanza;

TL2 (L) Dio è un'unica persona;

TL3 (L) la vita di Dio da origine a tre serie di eventi simultanei;

TL4 (L) una prima serie di eventi è generata dal godere l'essere di Dio della proprietà diadica paternità (P);

TL5 (L) una seconda serie di eventi è generata dal godere l'essere di Dio della proprietà diadica figliolanza (F);

TL6 (L) una terza serie di eventi è generata dal godere l'essere di Dio della proprietà triadica spirazione passiva (SP);

TL7 (L) le serie di eventi generati dalle proprietà P, F, e SP di Dio sono causalmente connesse fra loro in modo necessario.

2.3. Misterianesimo

Il misterianesimo è un orientamento scettico, il cui fine principale consiste nel confutare le posizioni alternative. In quanto tale non avanza una particolare intellezione positiva della dottrina della Trinità, impegnandosi piuttosto a mostrare che gli orientamenti alternativi peccano nell'elaborare una spiegazione della natura di Dio epistemologicamente troppo robusta. Il misterianesimo afferma, cioè, che ogni versione di trinitarismo positivo non può fare a meno di risultare immotivatamente self-confident.

Il modello paradigmatico della dottrina nel pensiero contemporaneo è elaborato da K. Kilby.26 La pars destruens di MIST consiste nel mostrare che la sicurezza con la quale i teologi e i filosofi della religione caratterizzano la personalità delle Persone divine, le relazioni intercorrenti fra queste, la natura di Dio in generale e, infine, l'attività economica della Trinità, è generalmente mal riposta perché:

  1. qualsiasi dottrina sviluppata per risolvere il problema della Trinità riposa su presupposti ermeneutici proiettivi;
  2. la dottrina della Trinità non è una porzione della Rivelazione biblica che il credente deve credere in modo chiaro e definito a fini soteriologici, ma l'esito storico di un processo speculativo definitivamente conclusosi nel quarto secolo.

La Kilby afferma MIST (1) argomentando contro le dottrine elaborate in ST. Il motivo è semplice: ST è l'orientamento maggioritario nel pensiero trinitario post-rahneriano. Tuttavia le sue considerazioni si fondano sulla relazione generale sussistente fra la natura di Dio e il processo umano di comprensione della natura di Dio. Di conseguenza possono essere estese a qualsiasi altro orientamento trinitario. In breve:27

MIST1 se gli esseri umani fossero in grado di trattare positivamente la natura di Dio (cioè, fossero in grado di impiegare concetti nell'analisi che esprimano adeguatamente il proprio oggetto), il processo di comprensione della natura di Dio darebbe necessariamente risultati univoci (qualora fossero impiegati i concetti adeguati all'espressione di tale oggetto);

MIST2 la tradizione teologica ha stabilito che i concetti trinitari usualmente impiegati nella trattazione della natura divina sono adeguati da un punto di vista epistemologicamente realista (le affermazione conciliari fanno parte della Rivelazione);

MIST3 le dottrine trinitarie non caratterizzano la Trinità in modo univoco e spesso sono in conflitto fra loro;

MIST4 gli esseri umani non sono in grado di trattare positivamente la natura di Dio;

MIST5 quando gli esseri umani non sono in grado di trattare positivamente la natura di Dio, vengono introdotti concetti al fine di nominare ciò che non è positivamente trattabile;

MIST6 i concetti così introdotti traggono la propria capacità di esprimere la natura di Dio dalla normale esperienza umana dell'ambito mondano;

MIST7 essi proiettano dunque sull'oltremondano l'esperienza mondana.

Quanto a (2):28

MIST8 la dottrina della Trinità non è espressa dalle Scritture,

MIST9 la dottrina della Trinità è l'esito delle controversie cristologiche del periodo patristico;

MIST10 la teologia non è una disciplina deduttiva come lo sono le scienze positive (la teologia non deduce una dottrina da altre dottrine come fanno le scienze positive);

MIST11 una dottrina teologica è dunque una parte a sé stante della teologia, la cui relazione con altre dottrine non è deduttiva;

MIST12 la dottrina della Trinità è una dottrina teologica;

MIST13 la dottrina della Trinità è una dottrina a sé stante, che conclude un periodo di controversie speculative stabilendo definitivamente quali affermazioni cristologiche abbiano natura ereticale e quali non la abbiano.

A partire dal rifiuto dell'attitudine tradizionale di voler rendere conto positivamente del significato della tripersonalità divina nell'unità della sostanza, MIST avanza la propria pars costruens come difesa della tesi che le dottrine teologiche stabiliscono cosa debba essere legittimamente creduto indipendentemente da una completa comprensione logico-concettuale del contenuto delle credenze affermate.

Infatti, essendo Dio in ultima istanza incomprensibile, sembra necessario ammettere che lo scopo della Rivelazione non possa essere quello di offrire informazioni cognitive sullo stato di fatto della natura divina. Echeggiando un approccio che sebbene minoritario è comunque ben radicato nella tradizione teologica, la Kilby chiede:29

È possibile ipotizzare che la riflessione sulla dottrina della Trinità renda più acuta la nostra sensazione dell'inconoscibilità di Dio, piuttosto che diminuirla? È possibile accettare il fatto che tale riflessione ci fornisca uno schema concettuale che non siamo in grado di comprendere, piuttosto che offrirci qualche nuova intelligenza di Dio? Cosa cambierebbe se si ipotizzasse che il modo nel quale le tre Persone sono un Dio, che il modo nel quale queste stanno in relazione alla sostanza divina, che ciò che sono immanentemente queste relazioni, siano tutte questioni che si trovano semplicemente al di là della nostra portata? [...] È possibile ipotizzare che la dottrina della Trinità, proprio in quanto dottrina, non ci offra alcuna immagine di Dio, alcuna intuizione della natura immanente di Dio, della vita interiore di Dio?

Alla luce di queste domande, MIST sviluppa una dottrina apofatica della Trinità, secondo la quale:

MIST14 confessare una credenza non significa comprendere logicamente tutto ciò che è presupposto o implicato dalla credenza;

MIST15 la trascendenza divina è disponibile all'intelligenza della creatura nella storia della salvezza, ossia nel modo finito, limitato e mondano attraverso il quale Dio è voluto apparire;

MIST16confessare la fede nella Trinità delle Persone nell'Unicità di Dio è confessare la fede in un Dio che si offre nella Rivelazione dell'essere Padre, dell'essere Figlio e dell'essere Spirito Santo a prescindere dalla comprensione logica di tutto ciò che è presupposto o implicato dalla credenza nella possibilità di un entità essente tri-unitariamente;

MIST17 le dottrine rivelate indicano semplicemente alla creature l'eccedenza di senso di ogni esperienza dell'assolutezza di Dio.

2.4. Plurisostanzialismo

All'interno di PS debbono essere distinti due tipologie di dottrine di diversa provenienza. Alla prima tipologia appartengono le dottrine che applicano la logica dell'identità relativa alla discussione del problema trinitario. Esse hanno due forme fondamentali:30

IR(a): almeno una versione della dottrina dell'identità relativa è vera; e, di conseguenza, i predicati essere Dio ed essere distinto da nelle formulazioni trinitarie non esprimono identità e distinzione assolute, ma solo relative;

IR(b): indipendentemente dalla questione se la dottrina dell'identità relativa sia vera, i predicati essere Dio ed essere distinto da nelle formulazioni trinitarie non esprimono identità e distinzione assolute, ma solo relative.

A prescindere dalle difficoltà generali sollevate dalla dottrina dell'identità relativa, le dottrine che cadono sotto IR(a) sono soggette a una obiezione prettamente teologica. Tale obiezione può essere così esposta:31

  1. la dottrina logica dell'identità relativa fa senso solo nel contesto di una epistemologia antirealista forte;
  2. una epistemologia antirealista forte ritiene che il contenuto proposizionale delle credenze non dipenda dal modo in cui il mondo è, fondandosi piuttosto sulle forme soggettive per mezzo delle quali alla mente è dato un mondo;
  3. spiegare la dottrina della Trinità per mezzo della logica dell'identità relativa presuppone che il contenuto proposizionale delle credenze a cui ci impegna la confessione del Credo (tanto di quello ricondotto al nome di Atanasio che al Simbolo Apostolico fissato dai concili di Nicea e di Costantinopoli) sia associato a una epistemologia antirealista forte;
  4. ma la fede nella Trinità affermata dalla tradizione teologica è incompatibile con una epistemologia antirealista forte.

Di conseguenza, le dottrine inerenti in IR(a) non dovrebbero essere considerate come trattazioni plausibili della dottrina della Trinità: esse appaiono inadatte a caratterizzare adeguatamente, da un punto di vista teologico, l'oggetto che pretenderebbero di caratterizzare.

Al contrario, le dottrine inerenti in IR(b) non si pongono il problema della verità della dottrina dell'identità relativa: risultando epistemologicamente neutrali esse restano dunque immuni alla difficoltà appena esposta.

Per questo motivo passo a trattare la più nota delle dottrine appartenenti a IR(b), avanzata da P. Van Inwagen.32 Il punto di partenza di Van Inwagen è l'assunto che i predicati essere lo stesso ente ed essere la stessa persona nelle formulazioni trinitarie non esprimono identità e distinzione assolute, ma solo relative. Questo assunto consente di formalizzare logicamente il problema trinitario in modo da mostrare che la presunta contraddizione cui sarebbe necessariamente sottoposta la confessione della natura trinitaria di Dio non è effettivamente implicata dalle versioni tradizionali del Credo. Ossia, la dottrina dell'identità relativa consente di formalizzare le proposizioni del Credo in modo tale da non far seguire alcuna contraddizione. In breve:

PS1 (VI) D(x) sta per «x è Dio e ∀ y [D(y) ⊃ (x e y sono lo stesso ente)]»;

PS2 (VI) P(x) sta per «x genera ___»;

PS3 (VI) F(y) sta per «y è generato ___»;

PS4 (VI) S(z) sta per «z procede ___»;

PS5 (VI) Per i predicati P, F, S, vale che: a) se sono soddisfatti, sono soddisfatti da una Persona divina; b) se x e y soddisfano lo stesso predicato, x e y sono la stessa Persona; c) se x e y soddisfano due predicati diversi, x e y non sono la stessa Persona;

PS6 (VI) «Il Padre è Dio» è espresso dalla formula «∃ x [D(x) ∧ P(x)]»;

PS7 (VI) «Il Figlio è Dio» è espresso dalla formula «∃ y [D(y) ∧ F(y)]»;

PS8 (VI) «Lo Spirito Santo è Dio» è espresso dalla formula «∃ z [D(z) ∧ S(z)]»;

PS9 (VI) ∃ x ∃ y ∃ z [P(x) ∧ F(y) ∧ S(z) ∧ «P(x) e F(y) non sono la stessa persona» ∧ «P(x) e S(z) non sono la stessa persona» ∧ «F(y) e S(z) non sono la stessa persona»];

PS10 (VI) ∃ x ∃ y ∃ z {[P(x) ∧ D(x)] ∧ [F(y) ∧ D(y)] ∧ [S(z) ∧ D(z)]};

PS11 (VI) ∃ x D(x).

Il motivo per il quale questa formulazione della dottrina della Trinità non da origine ai tradizionali problemi di consistenza è evidente: poiché i predicati essere lo stesso ente ed essere la stessa Persona sono predicati relativi, P(x), F(y) e S(z) sono lo stesso ente in quanto Dio (poiché per ognuno di essi vale D, PS1 (VI) giustifica PS11 (VI)), ma non sono il medesimo in quanto Persone (per PS5 (VI)). Naturalmente il fatto che questa formulazione non dia origine a problemi di consistenza non significa che la dottrina della Trinità non sia contraddittoria, ma semplicemente che la contraddizione non emerge necessariamente (a differenza di quello che il senso comune sembrerebbe presumere) dalla simultanea predicazione di divinità e personalità per le Persone divine.

La seconda tipologia di dottrina appartenente a PS non è invece una applicazione della dottrina dell'identità relativa, sebbene riposi anch'essa sull'intuizione che lo stesso sostrato ontologico può essere condiviso da enti diversi. Mentre per le dottrine inerenti in IR(a) e in IR(b) questo è reso possibile dal fatto che il criterio di individuazione di qualsiasi sostrato ontologico è relativo a una fra le sue molteplici proprietà (così che esso possa contenere un numero molteplice di identità a seconda del suo essere individuato da proprietà divergenti in relazione alla propria estensione sul sostrato), questa seconda tipologia di dottrina riposa sulla presunta evidenza che nello stesso sostrato ontologico due enti diversi possono essere completamente sovrapposti.

La dottrina è formulata congiuntamente da J. E. Brower e M. Rea.33 Essa consiste di due parti: in primo luogo si rende evidente la possibilità della sovrapposizione di enti diversi nello stesso sostrato; in secondo luogo si mostra che, se questo è il caso, il problema della Trinità sarebbe definitivamente risolto.

Quanto al primo punto, si formalizza il criterio di numerazione per contare i sostrati ontologici. Tale criterio è la relazione di eguaglianza numerica, sotto la quale cadono due relazioni diverse: a) eguaglianza accidentale (senza identità) ; b) identità. Ossia, quando si ha un numero n di sostrati ontologici, questi sono sempre contati come n non in funzione dell'individuazione dell'ente o degli enti istanziati nel sostrato, ma in funzione della eguaglianza numerica del sostrato. Si ha cioè che:

Defun solo sostrato ontologico = ∃ x [«x è un sostrato ontologico» ∧ ∀ y («y è un sostrato ontologico» ⊃ «x è numericamente lo stesso sostrato ontologico di y»)]

Defdue soli sostrati ontologici = ∃ x, y («x è un sostrato ontologico» ∧ «y è un sostrato ontologico») ∀ z {(«z è un sostrato ontologico» ⊃ [«z è numericamente lo stesso sostrato ontologico di x» ∨ «z è numericamente lo stesso sostrato ontologico di y»)]}

...

...

...

Defn soli sostrati ontologici = ∃ x, y, ..., n («x è un sostrato ontologico» ∧ «y è un sostrato ontologico» ∧ ... ∧ «n è un sostrato ontologico») ⊃ z {(«z è un sostrato ontologico» ∨ [«z è numericamente lo stesso sostrato ontologico di x» ∨ «z è numericamente lo stesso sostrato ontologico di y») ∨ ... ∨ «z è numericamente lo stesso sostrato ontologico di n»)]}.

Il fatto che la relazione di eguaglianza numerica sia il genere comune alle relazione di eguaglianza accidentale e di identità significa che quando due apparenze fenomeniche stanno fra loro nella relazione di eguaglianza numerica (le due apparenze fenomeniche sono diversi grappoli di proprietà inerenti nello stesso sostrato ontologico), le due apparenze fenomeniche possono stare fra loro secondo due diverse relazioni. Nel caso che esse stiano nella relazione di eguaglianza accidentale, esse condividono il sostrato ontologico ma esprimono l'essere di due enti diversi; al contrario, se stanno fra loro nella relazione d'identità esse esprimono l'essere del medesimo ente. Al fine di rendere plausibile questa tassonomia di relazioni si portano alcuni esempi:

  1. si consideri un pianoforte e l'insieme di materiali (legno, avorio, parti in metallo e corde) da cui è costituito. Essi sono due enti diversi che condividono lo stesso sostrato ontologico perché hanno diverse condizioni di persistenza: se le corde si usurassero e venissero sostituite (così come qualsiasi altra parte) il pianoforte continuerebbe ad esistere in quanto tale, ma l'insieme di materiali evidentemente no (sostituendone alcuni, l'insieme cambierebbe); al contrario, se il pianoforte venisse smontato e il legno, l'avorio, le parti in metallo e le corde fossero conservate in un magazzino, il pianoforte non esisterebbe più, mentre l'insieme dei materiali continuerebbe a esistere (come insieme dei medesimi materiali).34
  2. si consideri un architetto che progetti un palazzo signorile. All'entrata principale dell'edificio decide di porre due pilastri portanti di marmo, scolpiti a forma di uomini che sorreggono un peso sulle spalle. Ogni colonna è un unico sostrato ontologico condiviso da due enti diversi, il pilastro e la statua, perché questi hanno diverse condizioni di persistenza: l'interno del sostrato potrebbe andare incontro a fenomeni di corruzione, così che il pilastro perda la propria capacità di assicurare la tenuta statica dell'architrave d'accesso. In questo caso il sostrato sarebbe rimosso: il pilastro non sarebbe più tale, mentre la statua continuerebbe a esistere. Oppure: la superficie del sostrato potrebbe andare incontro a fenomeni di erosione che levighino progressivamente la scultura fino a farle perdere l'aspetto di uomo che sorregge un peso sulle spalle. In questo caso la statua non sarebbe più tale, mentre il pilastro continuerebbe a esistere (sorreggendo l'architrave d'accesso).35

Come è possibile che nello stesso sostrato ontologico ineriscano enti diversi? La dottrina plurisostanzialista di Brower e Rea risponde aristotelicamente che ogni sostrato ontologico è un composto ilemorfico di materia organizzata da una forma. Un composto ilemorfico può evidentemente avere la propria materia organizzata simultaneamente da due forme diverse, come avviene per un pianoforte e l'insieme di materiali da cui è composto oppure per il pilastro e la statua.

Si ha pertanto:

PS1 (BR) un sostrato ontologico è un composto ilemorfico di materia e forma;

PS2 (BR) un sostrato ontologico può essere un composto ilemorfico di materia condivisa da più forme;

PS3 (BR) i sostrati ontologici si contano per eguaglianza numerica;

PS4 (BR) quando la materia di un sostrato ontologico è individuata da una sola forma, diverse apparenze fenomeniche nella relazione di eguaglianza numerica sono fra loro in relazione d'identità, esprimendo dunque l'essere di un medesimo ente;

PS5 (BR) quando la materia di un sostrato ontologico è individuata da una pluralità di forme, diverse apparenze fenomeniche nella relazione di eguaglianza numerica sono fra loro in relazione d'eguaglianza accidentale, esprimendo dunque l'essere di un numero di enti pari a quelle delle forme inerenti nel sostrato.

Così formulata la prima parte della dottrina, la seconda mostra che essa risolve il problema della Trinità. Infatti:

PS6 (BR) un sostrato ontologico divino è un composto ilemorfico di sostanza divina (materia) e Persone (forma);

PS7 (BR) il Padre è una Persona;

PS8 (BR) il Figlio è una Persona;

PS9 (BR) lo Spirito Santo è una Persona;

PS10 (BR) il sostrato ontologico divino è numericamente uno (diverse apparenze fenomeniche del sostrato ontologico divino stanno fra loro in relazione di eguaglianza numerica);

PS11 (BR) il sostrato ontologico divino è individuato da tre Persone;

PS12 (BR) diverse apparenze fenomeniche della medesima Persona stanno fra loro in relazione d'identità;

PS13 (BR) apparenze fenomeniche di diverse Persone stanno fra loro in relazione di eguaglianza accidentale;

PS14 (BR) Dio è uno nella Trinità delle Persone.

3. L'argomento per il modalismo e i suoi corollari

Delineati gli orientamenti tradizionali per la trattazione della dottrina della Trinità, procederò adesso ad avanzare un argomento generale a favore dell'interpretazione modalista di essa. Tale argomento consiste nel mostrare che non c'è alcuna possibilità di comprendere l'essere uno di Dio in quanto essere Dio identicamente espresso da ciascuna delle Persone divine indipendentemente dal pensiero che le Persone divine non sono attualmente distinte.

L'argomento riposa sull'intuizione che se, in una successione di esperienze di apparenze fenomeniche, tali apparenze risultassero fra loro indiscernibili, allora le apparenze apparirebbero identiche (essendo apparenze fenomeniche di un unico ente). Ciò significa che l'argomento non intende dimostrare che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo siano attualmente la medesima entità. Piuttosto, esso rende evidente che per l'intelligenza umana è possibile fare esperienza di una pluralità di enti distinti se e solo se essi differiscono fra loro per almeno un aspetto fenomenico (la distinzione minima è l'ineguaglianza numerica delle apparenze fenomeniche, ossia il fatto che tali apparenze siano manifestazioni di sostrati ontologici attualmente distinti). Tale intuizione giustifica l'incapacità di immaginare in che modo potrebbe essere data sensibilmente una distinzione fra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo qualora l'essere Dio del Padre fosse indiscernibile dall'essere Dio del Figlio e dall'essere Dio dello Spirito Santo. Ossia, se non ci fosse distinzione nell'essere Dio del Padre rispetto all'essere Dio del Figlio o all'essere Dio dello Spirito Santo, allora l'essere Dio del Padre risulterebbe indiscernibile dall'essere Dio del Figlio e dall'essere Dio dello Spirito Santo. Pertanto, Padre, Figlio e Spirito Santo apparirebbero necessariamente la medesima entità.

Sebbene tale intuizione possa essere logicamente formulata come caso particolare del principio leibniziano dell'indiscernibilità degli identici («eadem sunt quorum unum in alterius locum substitui potest, salva veritate»), il mio argomento non muove logicamente dall'indiscernibilità degli identici perché tutte le dottrine in IR(a) e IR(b) contestano l'applicabilità del principio alla trattazione dell'identità degli enti, formulandone una versione che evita il sorgere di problemi di consistenza nella dottrina della Trinità. A prescindere dunque dalla plausibilità o meno di tale riformulazione, eviterò di dedurre formalmente la tesi modalista dal principio di indiscernibilità degli identici. Per lo stesso motivo, per quanto l'assunzione di PDN sia a mio avviso un principio autoevidente e indispensabile per qualsiasi dottrina dell'esperienza, rinuncerò a sviluppare un argomento formale che contenga PDN come ragione per il modalismo.

3.1. Un argomento per il modalismo

Si considerino quattro insiemi di predicati divini, ΔD, ΔP, ΔF, ΔS. Al primo insieme appartengono i predicati che tradizionalmente sono ritenuti valere per la sostanza, ossia predicati come l'essere l'essere, l'essere eterno, l'essere trascendente, l'essere semplice, l'essere onnipotente, l'essere creatore, ecc.; al secondo quelli che tradizionalmente sono ritenuti valere per il Padre, ossia predicati appartenenti al primo insieme e predicati come l'essere generante, l'essere inviante, ecc.; al terzo quelli che sono ritenuti valere per il Figlio, ossia predicati appartenenti al primo insieme e predicati come l'essere generato, l'essere inviato, l'essere incarnato, ecc.; al quarto quelli che sono ritenuti valere per lo Spirito Santo, ossia predicati appartenenti al primo insieme e predicati come l'essere procedente, l'essere spirato, l'essere inviato dal Padre e dal Figlio, ecc. Si ottiene allora:

1) ΔD ≡ {Ω: {∃ x [D(x) ⊃ Ω(x)]}}

2) ΔP ≡ {Ω: {∃ x [D(x) ⊃ Ω(x)]}; Π : {∃ x [(D(x) ∧ P(x)) ⊃ Π(x)]}}

3) ΔF ≡ {Ω: {∃ y [D(y) ⊃ Ω(y)]}; Υ : {∃ y [(D(y) ∧ F(y)) ⊃ Υ(y)]}}

4) ΔS ≡ {Ω: {∃ z [D(z) ⊃ Ω(z)]}; ΑΠ : {∃ z [(D(z) ∧ S(z)) ⊃ ΑΠ(z)]}}

Poiché la Rivelazione (tanto la Scrittura che la Tradizione) non afferma univocamente niente circa la possibile identità o differenza di Π con Ω, di Υ con Ω, e di ΑΠ con Ω, non siamo in grado di stabilire se a Dio in quanto Padre convengano predicati diversi da quelli che convengono a Dio in quanto Dio (così come se a Dio in quanto Figlio convengano predicati diversi da quelli che convengono a Dio in quanto Dio e se a Dio in quanto Spirito Santo convengano predicati diversi da quelli che convengono a Dio in quanto Dio).36 Pertanto segue che:

5) ΔD ⊆ ΔP

6) ΔD ⊆ ΔF

7) ΔD ⊆ ΔS

Ora, tutti gli orientamenti per la trattazione della dottrina della Trinità affermano che l'essere di ogni Persona divina esprime esattamente il medesimo essere Dio, individuando la distinzione fra l'una e le altre esclusivamente nelle relazioni d'origine fra le stesse (Tesi dell'Indistinzione dell'Essere, TIE). Infatti:

a) TS assume la proposizione TS7, che afferma esplicitamente TIE;

b) TL assume la proposizione TL6 (R) oppure la congiunzione di proposizioni TL1 (L) ∧ TL4 (L) ∧ TL5 (L) ∧ TL6 (L). Tanto nel primo che nel secondo disgiunto, essendo l'essere in Dio unico e la Personalità delle Persone costituita dalla necessaria relazione fra esse, ogni Persona esprime necessariamente il medesimo essere a prescindere dalla costitutiva relazionalità alle altre (relazionalità che consiste nelle relazioni d'origine fra le Persone);

c) MIST assume la proposizione MIST2. Ora, poiché TIE fa parte dei concetti trinitari che la tradizione teologica ritiene adeguati a trattare la natura divina da un punto di vista realista, ne segue che MIST assume TIE;

d) PS assume la congiunzione di proposizioni PS9 (VI) ∧ PS10 (VI) ∧ PS11 (VI) oppure la congiunzione di proposizioni PS10 (BR) ∧ PS11 (BR). Tanto nel primo che nel secondo disgiunto la contraddizione a cui danno origine le proprietà della Trinità, è evitata perché si conta l'unicità di Dio in quanto espressione dell'essere di Dio, rispetto al quale essere la distinzione fra le Persone non esprime alcunché di diverso, essendo essa una differenza solo a un livello di realtà diverso da quello nel quale è espresso l'essere di Dio.

Di conseguenza sembra evidente che se, così come afferma la Rivelazione, c'è una distinzione attuale fra le Persone divine, tale distinzione sia proposizionalmente espressa come distinzione fra alcuni predicati che convengono al Padre senza convenire anche al Figlio e altri predicati che convengono al Figlio senza convenire al Padre (lo stesso per i predicati che esprimono la distinzione fra Padre e Spirito Santo e fra Figlio e Spirito Santo), se e solo se tali predicati risultano essere espressivi di proprietà che non riguardano l'essere Dio del Padre, l'essere Dio del Figlio e l'essere Dio dello Spirito Santo. Ossia, tali predicati esprimono distinzioni inerenti un campo esperienziale per il quale nel divino la discernibilità di enti distinti è consistente con l'identità dell'essere degli stessi (oppure, tali predicati esprimono distinzioni inerenti un campo esperienziale diverso da quello per il quale nel divino l'indiscernibilità di apparenze del medesimo ente implica l'identità delle apparenze). Poiché valgono (a), (b), (c) e (d) si può assumere che per TS, TL, MIST e PS tali predicati sono quelli che esprimono le proprietà diadiche o triadiche di cui gode ognuna delle Persone divine in funzione delle costitutive relazioni d'origine.

È esattamente questa assunzione a rivelarsi fatale per la dottrina trinitaria. Tutti gli orientamenti tradizionali ritengono, infatti, di poter affermare l'unicità di Dio (l'indistinzione dell'essere) e la distinzione attuale delle Persone (la distinzione nell'essere una delle tre Persone divine e non essere le altre) perché affermano che l'unità di Dio abbia a che fare con il campo esperienziale espresso dai predicati di tipo Ω, ossia con la natura specifica dell'essere Dio; esprimendo i predicati di tipo Π, Υ, e ΑΠ quel genere di distinzioni che non presuppongono discernibilità a livello specifico, in quanto comunque determinanti la distinzione fra le Persone come realizzazione dell'unità dell'essere Dio nella congiunzione di azione e di volere. È questo pensiero ad essere esperienzialmente impossibile per gli esseri umani (non è possibile immaginare alcuna esperienza per la quale individui differenti di una medesima specie siano numericamente uno). Ed è da questa assunzione che sorge la contraddizione nella dottrina trinitaria.

Mostrerò, brevemente, il sorgere della contraddizione, prima di ritornare a questo punto per terminare nel modo corretto la deduzione della tesi modalista, perché così mettendo a confronto il procedere argomentativo deducibile dagli assunti degli orientamenti tradizionali e quello procedente verso il modalismo si pongono nella giusta evidenza la debolezza delle ragioni dei primi e la forza di quelle dell'ultimo.

Pertanto, dall'assunzione di (a), (b), (c) e (d) si ha che:

8) ΔP − ΔF ≠ ΔF − ΔP;

9) ΔP − ΔS ≠ ΔS − ΔP;

10) ΔF − ΔS ≠ ΔS − ΔF.

Da (2), (3), (4), (8), (9), (10) segue allora che:

11) (Π ≠ Υ) ∧ (Π ≠ ΑΥ) ∧ (ΑΠ ≠ Υ).

Come conseguenza di (11) si ha che (5), (6) e (7) debbano essere sostituite da:

12) ΔD ⊂ ΔP;

13) ΔD ⊂ ΔF;

14) ΔD ⊂ ΔS.

Per (1), (2), (3), (4), (11), (12), (13) e (14) vale quindi che:

15) ΔD ≡ ΔP ∩ ΔF ∩ ΔS;

Ora, la Rivelazione afferma comunque che l'essere Dio di Dio è espresso integralmente dall'essere Persona di ciascuna delle Persone, pena l'accettazione di una qualche forma di politeismo. Se, infatti, le Persone condividessero la medesima natura divina, distinguendosi semplicemente come individui di una specie, avremmo evidentemente tre individui che godrebbero della proprietà essere Dio; risultando, perciò, assai difficile affermare che esiste uno e un solo Dio. Si deve dunque ammettere che il Figlio in quanto Figlio esprime l'essere Dio del Padre, così come lo Spirito Santo in quanto Spirito Santo esprime l'essere Dio del Padre e l'essere Dio del Figlio; ossia, l'essere Dio è l'essere Dio del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nelle proprie relazioni reciproche (si può evidentemente portare qualche riferimento scritturistico a sostegno di questa tesi; per esempio Gv 17. 20-17. 23). Pertanto si ha che:

16) ΔD ≡ ΔP ∪ ΔF ∪ ΔS;

Ma da (15) e (16) segue che:

17) ΔP ∩ ΔF ∩ ΔS ≡ ΔP ∪ ΔF ∪ ΔS.

A questo punto è evidente che (17) può essere vera se e solo se:

18) ΔP ≡ ΔF ≡ ΔS;

il che non può risultare se è vera (11).

Come precedentemente mostrato, (11) è giustificata dalla assunzione di (a), (b), (c) e (d), perché sono queste ragioni ad avere per conseguenza la congiunzione di (8), (9) e (10). Si deve allora mostrare perché queste ragioni non siano assumibili. La risposta è, a mio avviso, la seguente: l'indiscernibilità e la distinzione sono categorie continue sul campo esperienziale espresso da predicati di tipo Π, Υ, e ΑΠ e su quelle espresso da predicati di tipo Ω. Altrimenti detto, se predicati di tipo Π, Υ, e ΑΠ esprimono distinzioni, essi esprimono qualcosa di incompatibile con la tesi che tali predicati affermino la medesima identità espressa dal sostrato cui convengono i predicati Ω. Ossia, l'indiscernibilità rispetto al campo esperienziale espresso dai predicati di tipo Ω è incompatibile con la distinzione rispetto al campo esperienziale espresso dai predicati di tipo Π, Υ, e ΑΠ.

Per convincersene basta considerare il seguente caso: i predicati di tipo Π esprimono generalmente l'inverso di ciò che esprimono i predicati di tipo Υ. Cioè, il Padre genera mentre il Figlio è generato; il Padre invia mentre il Figlio è inviato; il Padre glorifica mentre il Figlio è glorificato; e così via. Chi genera non può evidentemente, rispetto al generare, esprimere lo stesso essere di chi è generato; chi invia non può, evidentemente, rispetto all'inviare, esprimere lo stesso essere di chi è inviato; chi glorifica non può, rispetto al glorificare, esprimere lo stesso essere di chi è glorificato; e così via. Di conseguenza, rispetto al generare, all'inviare, al glorificare, e così via, l'ente a cui convengono i predicati Π è diverso rispetto all'ente a cui convengono i predicati Υ.

Perché non è possibile che questa diversità ammetta un'unica identità rispetto all'ambito esperienziale espresso dai predicati di tipo Ω? Perché questi ultimi esprimono esattamente il modo di essere specifico degli enti a cui convengono i predicati di tipo Π, Υ, e ΑΠ. Pertanto, delle due l'una: o i predicati di tipo Π, Υ, e ΑΠ non esprimono alcunché di sostanziale in merito all'essere Dio degli enti a cui convengono (non intaccano l'unità della natura perché esprimono accidenti), oppure, se lo esprimono, la discernibilità nel campo esperienziale definito da essi presuppone diversità nel campo esperienziale definito dai predicati di tipo Ω. Il primo disgiunto è chiaramente da rifiutare: TL1 (1) è esplicitamente assunto da tutti gli orientamenti per la trattazione della dottrina.37 Di conseguenza, se l'ente a cui convengono i predicati Π è diverso rispetto all'ente a cui convengono i predicati Υ, tale diversità non riguarderà semplicemente l'ambito esperienziale per cui valgono tali predicati (l'ambito dell'essere Persona delle Persone divine) ma anche quello per cui valgono i predicati Ω. Ossia, fare esperienza di enti la cui diversità è espressa dalla distinzione dei predicati che a essi convengono, qualora tale distinzione sia relativa all'espressione di proprietà inverse, presuppone sempre che si faccia esperienza di tale diversità anche al livello specifico del loro essere.

Se così stanno le cose è necessario rifiutare (a), (b), (c) e (d):38 in Dio non può esservi identità di essere laddove vi siano distinzioni espresse da proprietà inverse (ciò non toglie che se le distinzioni fra le Persone fossero espresse da predicati che non esprimano proprietà inverse, la distinzione personale potrebbe essere compatibile con l'identità nell'essere Dio; ma questo non è il caso, e sarebbe possibile mostrare che in Dio se le proprietà personali non sono inverse, esse sono tutte integralmente convergenti, il che è altro modo di affermare la tesi modalista). Ne segue che l'assunzione di (8), (9) e (10) è immotivata. Dunque, (11) deve essere rifiutata, e (5), (6) e (7) non devono essere sostituite da (12), (13) e (14).

A questo punto torno al procedere dell'argomento. Si ha che (15) e (16) giustificano (17), valenti (5), (6) e (7): la conclusione (18) risulta perciò del tutto giustificata. Ma questo equivale a dire che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono lo stesso Dio perché essi non sono attualmente distinti; essendo nomi diversi del medesimo ente a cui convengono i medesimi predicati (fra i quali i predicati economici). Il che equivale alla tesi modalista.

Naturalmente resta il fatto che TS, TL, MIST e PS propongono interpretazioni della dottrina della Trinità che sono importanti per la tradizione teologica (così che debbono essere ritenute cogliere qualcosa di importante circa l'oggetto della fede), mostrandosi in alcuni casi anche logicamente consistenti. A meno che non si desideri sopportare il prodursi di argomentazioni antinomiche si rende dunque necessario mostrare che TS, TL, MIST e PS non possono effettivamente pensare l'unicità dell'essere Dio senza cadere in una interpretazione modalista della nozione di Trinità. Di conseguenza, accennerò brevemente a quattro corollari dell'argomento per il modalismo che sottraggono forza a suggestioni antinomiche.

3.2. Corollario 1: il modalismo di TS

Gli avversari di TS accusano generalmente le dottrine proposte all'interno dell'orientamento di essere forme velate di triteismo, a causa dell'insistenza sulla tesi che Dio non sia una sostanza di stampo personale, risultando piuttosto una società di sostanze di tipo personale.

Il punto del contendere riguarda l'assunzione di (TS3). Tale proposizione sembra scontata per tutte le specie i cui individui appaiano possedere proprietà accidentali. In questo caso la natura comune a tutti gli individui della specie è ciò che resta al netto di tutte le proprietà accidentali, ammesso che essa sia in grado di giustificare l'inerenza degli accidenti negli individui.

Ora, si supponga di assumere anche (TS4) e (TS5). Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo risulteranno essere tre individui di una specie che eseguono congiuntamente la medesima attività; di conseguenza potranno essere detti uno e un solo Dio perché esprimenti sempre una unica e medesima natura.

Tuttavia questo non può essere: l'unica ragione per assumere (TS3) è la nostra esperienza delle relazioni individuo-specie valide per enti che hanno o possono avere proprietà accidentali. Questo non è evidentemente estensibile a Dio, la cui natura sembra dover essere necessaria.

Pertanto, dall'assunzione di (TS3) segue che si deve dire in che senso le Persone siano necessariamente distinte nel compiere congiuntamente la medesima attività che esprime una unica e medesima natura. Ecco che si presenta una disgiunzione esclusiva: o le distinzioni fra le Persone esprimono differenze attuali, oppure le distinzioni fra le Persone non le esprimono. Se si accetta la verità del primo disgiunto, portando a sostegno la tesi che le Persone godono di proprietà inverse, l'accusa di triteismo è corretta. Se si accetta la verità del secondo disgiunto, risulta corretto l'approccio modalista.

Naturalmente, rifiutare apertamente il dogma dell'unicità di Dio sarebbe negare la propria appartenenza al Cristianesimo: TS è perciò costretto a rigettare il primo disgiunto e restare implicitamente modalista.

3.3. Corollario 2: il modalismo di TL

Fra tutti gli orientamenti tradizionali, TL è quello più in difficoltà con il modalismo. Rahner è costretto a riconoscere che il modalismo è un pericolo molto minore del triteismo, mentre Leftow insinua il dubbio che ogni dottrina in TL, per quanto possa essere elaborata in modo da non affermare eresie, renderà difficilmente conto della distinzione personale in modo altrettanto intuitivo di quanto lo facciano le dottrine in TS.39

Entrambi i pensatori ritengono di poter rifiutare il modalismo affermando la necessità della costituzione trinitaria. Con le parole di Rahner:40

La «trinità» del comportamento di Dio verso di noi nell'ordine della grazia di Cristo è già la realtà di Dio [...] Questa proposizione sarebbe sabellianesimo o modalismo soltanto se essa non consentisse che la «modalità» del rapporto di Dio con la creatura, elevata soprannaturalmente e dotata della realtà propria di Dio [...] fosse la «modalità» di come Dio è in sé e soltanto se Dio fosse concepito come così non affetto da questo comportamento che questa distinzione non comporterebbe [...] alcuna distinzione in Dio stesso, ma soltanto dalla parte della creatura.

Per questo motivo in TL si assumono proposizioni come TL5 (R) e TL6 (R) oppure come TL7 (L). Tuttavia questo non basta: in primo luogo TL4 (R) o TL2 (L) escludono che in Dio si dia una pluralità di persone, essendovene solo una; in secondo luogo la distinzione fra i modi di essere divini, siano essi sussistenti o necessari, si trova di fronte all'impossibilità di rispondere adeguatamente alla questione della distinzione fra natura sostanziale ed essere Personale.

Se l'essere Personale esprime una unica natura, la serie di eventi che si originano da una modalità di essere divina non può esprimere una distinzione reale dalla serie di eventi che si originano dalle altre modalità di essere divino. E, infatti, l'assunzione di TL5 (R) e TL6 (R) o TL7 (L) determina la relazione fra tali modalità come causalmente necessaria, pena l'evidenza di ammettere una qualche forma di politeismo (la relazione causalmente necessaria implica che la congiunzione delle attività dei modi di essere divini esaurisca completamente in modo attuale l'essere di Dio: in Dio non vi è possibilità, ma solo attualità). Ma se così stanno le cose in Dio non si può dare una reale distinzione se non come distinzioni di parti di un unico essere (ipotesi che Leftow sembrerebbe voler caldeggiare): ancora una volta l'affermazione monoteista di una distinzione in Dio conduce al modalismo.

3.4. Corollario 3: il modalismo di MIST

È evidente che MIST rifiuta il modalismo con un espediente. Assumendo MIST14 e MIST17 l'orientamento non fa altro che confessare esplicitamente la natura trinitaria di Dio, rinunciando tuttavia a comprenderla nella sua relazione al sistema dottrinale entro il quale essa è contestualizzata (con l'ottima motivazione, a mio avviso, che l'unico contesto sensato per la maggior parte delle dottrine teologiche è storico).

Qualora una qualsiasi dottrina in MIST passi da tale confessione senza comprensione al tentativo di comprendere l'essere Dio, essa si troverà nella difficoltà avanzata dall'argomento per il modalismo, perché costretta a rifiutare (c). Dunque, se MIST non accetta il modalismo è perché rifiuta di affrontare il problema logico della Trinità. Se lo affronta è costretta dall'argomento ad accettare il modalismo.

3.5. Corollario 4: il modalismo di PS

Le dottrine in PS si fondano tutte sull'idea che il medesimo sostrato ontologico possa istanziare una pluralità di enti diversi. Può darsi che questo sia possibile, in linea di principio, da un punto di vista immaterialista. Personalmente, pur essendo immaterialista, non vedo come questo potrebbe realizzarsi. Intendo comunque ammettere la possibilità. Dubito, tuttavia, che i proponenti di PS accetterebbero una tale opzione: dal lato di PS (VI) l'assunzione della dottrina dell'identità relativa sembrerebbe fare senso solo o in un contesto in cui i predicati sortali individuano specie che variano su un sostrato materiale indeterminato; dal lato di PS (BR) definizioni come Defun solo sostrato ontologico, Defdue soli sostrati ontologici, ..., Defn soli sostrati ontologici presuppongono una metafisica ilemorfica di stampo neoaristotelico. Da un punto di vista materialista è invece evidente che non sia possibile che la stessa porzione di materia sia occupata da diversi sostrati ontologici.

Questo conduce a rifiutare (d), perché non si danno casi esperienzialmente possibili per i quali l'identità di essere in Dio ammetta una discernibilità individuale delle Persone. Dunque, se le dottrine in PS colgono la natura trinitaria divina, esse sono costrette a coglierla secondo il procedere dell'argomento per il modalismo. Se ne conclude che PS è implicitamente modalista.

4. Una breve conclusione

Personalmente ritengo che l'unico Dio si presenti nella storia in una molteplicità di forme, perché Esso è in primo luogo Spirito Santo che vivifica la creazione e l'esistenza delle creature apparendo a esse secondo le modalità immaginative finite a disposizione degli individui creati. In questo senso Dio è nei Profeti e in Gesù, ma anche in ogni altra tradizione religiosa che parla autenticamente dell'Assoluto a una comunità di fede o all'esistenza mistica.

Ovviamente è molto probabile che io mi sbagli; così che il mio errore mi inclini a sostenere tesi non corrette come quella sostenuta in questo lavoro. Dunque potrebbe anche essere che affermando che il modalismo sia l'unico approccio sensato alla questione della Trinità, io stia sostenendo una eresia e sia meritevole di riprovazione. Tuttavia, se così è, mi deve essere mostrato il perché: non mi basta l'autorità della tradizione, né tantomeno la ripetizione rituale di una confessione del Credo. Pretendo ragioni per capire i miei errori, e se qualcuno vuole mostrarmi perché il mio argomento non funziona sono ben lieto di stare ad ascoltare.

Temo, comunque, che nessuna delle soluzioni attualmente disponibili sia granché meritoria, per i motivi precedentemente espressi. A me sembra, infatti, che la ragione ultima per la quale la distinzione fra le Persone in Dio non possa essere colta che in modo modalista risieda non tanto nelle capacità della nostra ragione, quanto nella struttura della nostra sensibilità: le dottrine formulate in PS mostrano modi di delineare la nozione della Trinità in modo da non dare origine a problemi di consistenza; per quanto tali soluzione restino incomprensibili per la mancanza di una intuizione che fornisca un'evidenza esperienziale alla plausibilità di esse.

Per questo motivo sono fortemente incline a credere che la condizione oltremondana dell'anima non possa essere incorporea: ciò di cui difettiamo non sono i pensieri proposizionali, bensì sensi adeguati all'unione mistica. Forse a questo alludeva Paolo, quando scriveva si semina nella corruzione, risorgeremo nell'incorruzione; si semina nell'ignominia, risorgeremo nella gloria; si semina nella debolezza, risorgeremo nella forza; si semina un corpo animale, risorgeremo un corpo spirituale (1 Cor 15. 42-15. 43).

5. Bibliografia

5.1. Fonti

5.2. Letteratura

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Daniele Bertini. «Che cosa non va nel modalismo?». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**111 B].

Note

  1. Cfr. Ippolito, Refutatio, pp. 342-343; 349-350. Testo

  2. Cfr. Tertulliano, Adversus Praxeam, p. 156. Testo

  3. Cfr. Decisioni dei Concili Ecumenici, Concilio Costantinopolitano I, Lettera dei Vescovi. Testo

  4. Cfr. Rea 2009, p. 693. Testo

  5. La negazione di (1) non può in alcun modo essere presa in considerazione dal cristiano. Infatti, ogni comandamento contenuto nelle tavole della Legge è un ordine che non può essere negoziato dal credente (Es 19.5-6). L'osservazione del monoteismo e la condanna del politeismo sono contenute nelle tavole della Legge (Es 20.2-17; Dt 5.6-21). Pertanto, non possono essere negoziate dal credente. Testo

  6. Cfr. Tertulliano, Adversus Praxeam, p. 158: «Simplices [...] numerum et dispositionem trinitatiis divisionem praesumunt unitatis; [...] Monarchiam, inquiunt, tenemus». Testo

  7. a) x, y, z indicano variabili; b) D indica la proprietà essere Dio; c) Dn indica la proprietà poliadica apparire come Dio per le creature umane; d) M indica la proprietà essere monarca; e) P indica la proprietà diadica essere il Padre per il Figlio; f) F indica la proprietà diadica essere il Figlio per il Padre; g) la funzione S la proprietà triadica essere lo Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figlio. Testo

  8. Cfr. Ippolito, Refutatio, p. 348. Testo

  9. Cfr. Ippolito, Refutatio, pp. 344-348. Testo

  10. Cfr. Tertulliano, Adversus Praxeam, pp. 159-164. Testo

  11. Cfr. Ayres 2004; Barnes 1995; Benner 2007; Cary 1992; Coakley 1999; Cross 2002; Rea 2009. Testo

  12. Cfr. Leftow 2010, p. 441. Testo

  13. Cfr. Moltmann 2002, pp. 276-291. Testo

  14. Cfr. Bottarini 2006. Testo

  15. Cfr. Rahner 1998. Testo

  16. Cfr. Leftow 2004. Testo

  17. Cfr. Rahner 2004, p. 81. Testo

  18. Cfr. Rahner 2004, p. 83. Testo

  19. Cfr. Rahner 2004, pp. 161-166. Testo

  20. Cfr. Rahner 2004, p. 187. Testo

  21. Cfr. Rahner 2004, p. 184. Testo

  22. Cfr. Rahner 1998, p. 33. Testo

  23. Cfr. Pugliese 2003, p. 245. Testo

  24. Cfr. Rahner 1998, pp. 35-36. Testo

  25. Cfr. Rahner 1998, pp. 108-109. Testo

  26. Cfr. Kilby 2000; Kilby 2010. Testo

  27. Il nucleo concettuale dell'argomento si trova in Kilby 2000, pp. 441-442. Testo

  28. Cfr. Kilby 2010, pp. 68-70. Testo

  29. Cfr. Kilby 2010, pp. 67-68. Testo

  30. Cfr. Rea 2003, p. 437. Testo

  31. Cfr. Rea 2003, pp. 442-444. Testo

  32. Cfr. Van Inwagen 1995. Testo

  33. Cfr. Brower & Rea 2005. Testo

  34. Cfr. Brower & Rea 2005, p. 491. Testo

  35. Cfr. Rea 2009, pp. 712-713. Testo

  36. Che la Rivelazione non affermi niente di univoco non significa naturalmente che non affermi niente. Siccome tali affermazioni si prestano alle interpretazione più disparate lascio per il momento indeterminato il senso di tali affermazioni. Testo

  37. Per Dio l'essere Padre, Figlio e Spirito Santo non è evidentemente un accidente come è per gli esseri umani l'essere padre o l'avere i capelli castani. Nel secondo caso nessuna di queste proprietà esprime qualcosa di essenziale per il possesso della natura specifica: posso non fare figli (così che non sarò mai padre) e tuttavia resto uomo; posso avere i capelli rossi invece che castani e resto ancora uomo. Per Dio, al contrario, le distinzioni personali esprimono qualcosa di necessario: se Dio non fosse Padre, Figlio e Spirito Santo non sarebbe più il Dio della Rivelazione, ma qualcosa d'altro. Testo

  38. Naturalmente si potrebbe credere che le quattro ragioni siano da conservare, perché si ritengono affermate dalla Rivelazione. In questo caso, tuttavia dovrebbe cadere (16). Se, infatti, l'essere Dio fosse l'insieme delle predicati che convengono comunemente al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo e ognuno di essi fosse distinto dagli altri perché avente proprietà di cui gli altri non godono, allora ognuno di essi esprimerebbe l'essere Dio in modo diverso da come è espresso dagli altri. Ma allora l'unione dei predicati che convengono a tutte le Persone sarebbe qualcosa di diverso dall'insieme che contiene i predicati convenienti alle Persone in quanto esprimenti la loro natura specifica di esseri divini. In questo caso il plurale sarebbe d'obbligo: cadendo (16) non avremmo più un Dio e tre Persone, bensì tre dei perché tre Persone. Testo

  39. Cfr. Rahner 1998, pp. 48-49; Leftow 2004, pp. 330 e seguenti. Testo

  40. Cfr. Rahner 1998, p. 44. Leftow compie dichiarazioni analoghe. Testo

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