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Recensione a Sandra Mazzolini, Chiesa e salvezza. L'extra Ecclesiam nulla salus in epoca patristica

di M. Benedetta Zorzi (3 agosto 2009)

Sandra Mazzolini, Chiesa e salvezza. L'extra Ecclesiam nulla salus in epoca patristica, Urbaniana University Press (collana Missiologia), Roma 2008.

L'atteggiamento contemporaneo nei confronti delle preoccupazioni della correlazione tra la salvezza che Dio offre a tutti e il ruolo della Chiesa è profondamente mutato rispetto a quello dell'antichità. Sentire come problematico e tentare di interpretare in modo inclusivo l'assioma extra ecclesia nulla salus è una tematizzazione recente. Il clima di pluralismo religioso attuale, che ci rende maggiormente sensibili nei confronti di una salvezza universale, arriva infatti a far mettere in discussione non solo la funzione mediatrice della Chiesa in ordine alla salvezza, ma perfino l'unicità e l'universalità della salvezza apportata da Gesù Cristo (che per altri versi arriva ad esprimere l'interrogativo anche sulla salvezza «da cosa?»). È probabilmente questo il motivo per cui nel giro di pochi mesi sono usciti in Italia contemporaneamente tre volumi sullo stesso argomento.1

M. acclara quindi immediatamente il suo punto prospettico:

«... l'odierna temperie richiede il ripensamento del senso e delle implicazioni del rapporto tra la Chiesa e la salvezza, a partire dalle prospettive ecclesiologiche tematizzate dal Concilio Vaticano II (p. 8).»

Con le parole dell'allora card. Ratzinger, leggiamo a p. 9:

«... per gli uomini di oggi il problema è mutato. Quel che ci turba non è più se e come "gli altri saranno salvati. [...] . Ciò che ci preoccupa è piuttosto questo: perché -- malgrado le possibilità più ampie di salvezza -- sono ancora necessari [sic] la funzione della Chiesa e la piena offerta di fede e di vita attraverso e nella Chiesa [...] Qualsiasi analisi della frase salus extra ecclesiam nulla est deve rispondere in particolare a questo problema, altrimenti non giunge a nulla di concreto» (p. 9).»

Stimolata da questa difficile sfida anche a livello personale -- Mazzolini è infatti docente di Ecclesiologia alla Facoltà di Missiologia dell'Università Urbaniana -- la teologa si propone di ripercorrere una analisi dei modelli ecclesiologici tramite la ricostruzione della storia del famoso assioma dalle origini ai nostri giorni. Il presente volume infatti «costituisce la prima tappa di un più ampio percorso» (p. 11).

Questo primo volume è ripartito in sei capitoli suddivisi in due grandi parti.

Nella prima parte, che è anche il primo capitolo (dal titolo «Un angolo prospettico. Il Concilio Vaticano II», pp. 15-59), Mazzolini si impegna a definire le premesse ermeneutiche dell'intero percorso che riguarderà l'impostazione del suo intero progetto di ricerca e che comprende quindi anche le successive epoche storiche non contenute ancora in questo volume. Vi si trattano quindi le «1. Questioni ermeneutiche» (pp. 16-35) circa l'idea de «1. 1. Lo sviluppo dell'interpretazione dei dogmi» (pp. 17-30) e «1. 2. L'uso di immagini, modelli e paradigmi in ecclesiologia» (pp. 30-35), questioni sulle quali Mazzolini rileva la mancanza di «un essenziale condiviso consenso di fondo» (p. 11) e che ella intende invece delineare con precisione. Lo sviluppo del pensiero cristiano si delinea infatti necessariamente in conseguenza del

«rapporto con i contesti culturali nei quali la Chiesa si è radicata... i molteplici rapporti tra cristianesimo e culture umane sono stati reciproci in entrambe le direzioni, dal cristianesimo alle culture e viceversa» (p. 17).

La diversità dei volti che l'esperienza cristiana ha assunto è un fatto indubitabile fin dalle origini. M. ricorda con le parole della Commissione Teologica Internazionale che «gli eventi e le parole rivelati da Dio devono essere ripensati, riformulati e nuovamente vissuti all'interno di ciascuna cultura umana» (p. 19, n. 10).

Importante risulta la tematizzazione del rapporto complesso tra contenuto dogmatico e formule: queste ultime, essendo espressioni sempre storicamente e culturalmente condizionate, ammettono sempre una certa incompletezza, così che non c'è sviluppo dottrinale senza interpretazione; viene inoltre chiamata in causa anche la complessa realtà di una ricezione come modalità attuativa della traditio che accetta nuove comprensioni del messaggio (cfr. p. 28).

Per quanto riguarda l'uso delle immagini per indicare la Chiesa, M. ricorda anzitutto l'eccedenza del mistero salvifico che determina l'impossibilità di utilizzare una sola immagine, ma anche la distinzione tra immagini, modelli e paradigmi (cfr. p. 34).

Nel secondo momento di questo capitolo, intitolato «1. 2. Un angolo prospettico: il Concilio Vaticano II», (pp. 35-59), l'ecclesiologa affronta il problema dell'interpretazione stessa del Vaticano II (1. 2. 1. «Elementi per un'ermeneutica conciliare», pp. 36-45), oggi questione quanto mai alla ribalta, e prende una posizione mediana tra ermeneutica della discontinuità e della continuità, posizione assunta anche tramite una particolare attenzione che ella attribuisce al processo di ricezione. L'autrice individua criteri specifici nell'evento stesso del Concilio e nella modalità di rapporti tra i vari documenti conciliari e l'insieme del dibattito; passa poi a rimarcare le prospettive ecclesiologiche conciliari e cioè «1. 2. 3. La Chiesa mistero di comunione, sacramento e popolo di Dio» (pp. 46-53) e «1. 2. 4. L'universalità e la missionarietà della Chiesa mistero di comunione, sacramento e popolo di Dio» (pp. 53-59).

Questa prospettiva iniziale le permette di seguire la convinzione inalterata lungo la storia della necessità della Chiesa in ordine alla salvezza, la funzione e le diverse prospettive di senso dell'assioma, le quali cambiano molto nei vari contesti storico-geografici e periodi. Tale prospettiva aiuta a cogliere anche diversità di concezioni sulla natura e la missione ecclesiali, i mezzi e l'identità della Chiesa stessa.

Con la seconda parte «La formalizzazione dell'assioma nell'età patristica: Origene e la tradizione africana da Cipriano a Fulgenzio di Ruspe» si entra più specificatamente nell'analisi dell'assioma extra ecclesiam in età patristica, nello sforzo di ricollocarlo nell'articolato pensiero in cui esso di volta in volta si radica (esso costituisce il resto del volume, pp. 61-292). Le analisi si focalizzano su quattro grandi tappe della formalizzione dell'assioma e riguardano complessivamente cinque autori, con una attenzione privilegiata data alla Chiesa africana.2

«La rilettura delle fasi di questo sviluppo dottrinale, condotta a partire dall'esperienza di Chiesa e dal conseguente pensiero ecclesiologico peculiari di ciascun autore indagato, consente ... di ipotizzare una certa correlazione tra approfondimento dottrinale della mediazione salvifica della Chiesa e il progressivo e articolato radicamento della Chiesa in molteplici aree geografiche culturali, certamente diverse da quella delle sue origini». (pp. 290-291).

Il capitolo secondo («2. Verso la formalizzazione dell'assioma: Origene e la mediazione salvifica universale della Chiesa», pp. 61-104) è dedicato dapprima ad una sintesi sommaria delle linee ecclesiologiche precedenti ad Origene e alla presentazione generale della prospettiva dell'ecclesiologia origeniana (2. 1. Il contesto delle origini della formalizzazione dell'assioma, pp. 65- 76):

«Origene elabora il proprio pensiero sostanzialmente nell'orizzonte di una Chiesa concepita come mysterion mentre gli autori africani rispondono a situazioni concrete dove si prospetta un modello di chiesa alternativa che portano ad insistere sulla figura istituzionale e la prassi sacramentaria» (p. 281).

Si passa poi a analizzare «La formula origeniana extra ecclesiam nemo salvatur» (2. 2.). Dopo una contestualizzazione che riguarda la ricezione delle opere di Origene e la loro traduzione latina (2. 2. 1. e 2. 2. 1. 1.), si passa ad una esposizione della metodologia esegetica di Origene (2. 2. 1. 2.) infine si affronta il testo dell'Omelie su Giosuè 3, 5, dove appare l'assioma (2. 2. 2).

Il senso della frase in Origene sottolinea la responsabilità personale nei confronti di una salvezza universale che si è compiuta unicamente in Cristo; risulta più difficile determinare l'esatta natura della mediazione ecclesiologica e sacramentale.

Il capitolo terzo tratta de «La tradizione della Chiesa africana: Cipriano di Cartagine e la Chiesa una e unica mediatrice di salvezza» (pp. 105-148).

Dopo la contestualizzazione delle caratteristiche della Chiesa dell'Africa proconsolare (3. 1.) -- alla quale è dedicato il resto dell'indagine -, alla sua organizzazione nel III sec. (3. 1. 1.) e degli elementi ecclesiologici presenti in Cipriano (3. 1. 2.), si passa a considerare la prospettiva (3. 2.) in cui collocare il testo del Ep. 73, 21 in cui si trova l'affermazione salus extra ecclesiam non est. M. lo fa contestualizzandolo all'interno di altri testi di Cipriamo come il De unitate ecclesiae 6. 8 (3. 2. 1.) in cui analizza le immagini dell'arca, di Raab, e dell'agnello. Risulta chiaramente che quando Cipriano usa tale assioma, lo pensa riferito esclusivamente al pericolo dello scisma all'interno della Chiesa africana. Nella lettura contestuale è evidente altresì che la prospettiva ciprianea è il problema del battesimo fuori della catholica, quindi è in questione anzitutto il rapporto Chiesa-sacramenti. Non c'è insomma ancora la preoccupazione di una salvezza dei pagani (cfr. p. 142) né è in questione il rapporto tra Chiesa-mondo, ma l'assioma si riferisce a coloro che vogliono separarsi dalla Chiesa, quindi eretici o scismatici. In tale contesto extra ecclesiam assume anche il significato di contra ecclesiam (cfr. p. 145) che fa perdere ovviamente la possibilità di conseguire la salvezza (cfr. p. 146).

Nel quarto capitolo, «Chiesa e salvezza nella prospettiva della cattolicità della Chiesa: Ottato di Milevi e Agostino di Ippona», dopo la consueta panoramica sul contesto storico della Chiesa africana proconsolare del IV-V secolo (4. 1.), M. evidenzia come il problema de «la mediazione ecclesiale della salvezza» (4. 2.) prenda la forma della necessità di precisare l'ubi ecclesiae «dal momento che sia i donatisti che i cattolici rivendicano in senso assoluto ed esclusivo l'ecclesialità per la loro tradizione» (p. 159). Viene quindi affrontata la tradizione donatista circa le tematiche purità/santità, salvezza e sacramenti (4. 1. 1.), tradizione che «radicalizzando il pensiero di Cipriano, stabiliscono un legame assoluto tra Chiesa, spirito santo, battesimo e salvezza, senza introdurre alcuna distinzione» (p. 160). A questi risponde dapprima Ottato di Milevi (4. 2. 2.) che introduce la distinzione tra scismatici e eretici, spiega la validità del sacramenti in riferimento a Dio e non al ministro, insiste sull'idea di cattolicità.

Si passa poi ad Agostino (4. 2. 3) nel trattare il quale, forse per eccesso di volontà sistematica, M. manca di vedere incoerenze, sviluppi e sfumature di pensiero («complesso ma non incoerente» p. 171). Risulta comunque chiaro come Agostino sia il primo a porsi il problema della salvezza dei pagani (4. 2. 3. 2.), sia di quelli nati prima (4. 2. 3. 2. 1.) che dopo Cristo (4. 2. 3. 2. 2.): tale problema era inesistente prima di lui. Con l'Ipponate l'assioma assume anche un nuovo valore. La tematizzazione della ecclesia ab Abel (Ep. 102) è uno sviluppo oltre che in senso spaziale anche in senso temporale della nota cattolica (4. 2. 3.). Così se la fede e una conoscenza di Dio in una vita eticamente buona sono condizioni di una appartenenza alla Chiesa prima della venuta di Cristo -- tematizzata come coestensiva alla creazione -- sul tipo dell'appartenenza che distingue le due città, nei confronti dei pagani nati dopo la venuta di Cristo abbiamo interessanti aperture cristologiche (cfr. Sermo 26 Dolbeau) «giacchè non è assolutamente esclusa per essi la possibilità di una qualche forma di rivelazione del Salvatore, senza la quale non c'è salvezza» (p. 216). Agostino ipotizza quindi che nell'umiltà (connotata cristologicamente) e in altri mezzi aliquo modo (che possono riferirsi in generale alla testimonianza di vita dei cristiani, «testimonianza della propria fede implica quindi non soltanto la conoscenza puntuale di ciò che si crede ma anche il non vergognarsi di proclamare a chiare lettere ciò che si consoce e il difendere ciò in cui si crede», p. 233) possano aversi aperture inclusive in tal senso. Nei mezzi aliquo modo vi sono inclusi anche «modi che Agostino ammette di non conoscere e che rimandano in ultima istanza al progetto salvifico di Dio» (p. 243).

Il quinto capitolo tratta di «Fulgenzio di Ruspe: Chiesa e mezzi salvifici. » La prima parte è dedicata al pensiero teologico di Fulgenzio (5. 1. Prospettive del magistero del vescovo di Ruspe) la seconda più puntualmente all'assioma (5. 2. Chiesa e mezzi di salvezza) inquadrato all'interno delle implicazioni del rapporto tra Chiesa e mezzi di salvezza. Il rapporto Chiesa-salvezza risulta ancora una volta secondario rispetto alle polemiche dottrinali del tempo (arianesimo, pelagianesimo e semipelagianesimo) e cioè ai mezzi con i quali la Chiesa attua la sua funzione mediatrice (remissione dei peccati, 5. 2. 1. e battesimo 5. 2. 2). In Fulgenzio l'assioma ne esce quindi irrigidito. Egli «non lascia spazio neppure all'ipotesi di una possibile eccezione» (p. 258) e tale lo consegna all'epoca successiva. Ancora una volta però egli non è impegnato a proposito della salvezza dei pagani (cfr. p. 260) ma insiste sul valore della professione pubblica di fede, accentuando così piuttosto il rapporto tra essere umano e salvezza (cfr. p. 273).

La fine di ogni capitolo (compresi i paragrafi) presenta sempre buone sintesi del percorso, che tuttavia subentrano quasi invisibilmente nella digressione, mentre sarebbero potute essere evidenziate con un titolo a sé stante.

Una felice conclusione (pp. 277-292) riassume gli esiti e le prospettive del percorso: si ricorda che il tema specifico del volume

«riguarda il necessario rapporto tra la Chiesa e la salvezza, affermato in maniera peculiare con formule anche lessicamente differenti che le successive stagioni ecclesiali hanno recepito nella formulazione extra ecclesiam nulla salus e interpretato nella prospettiva del modello ecclesiologico di riferimento» (p. 278).

Vengono quindi elencati «gli assi portanti del pensiero sulla mediazione della chiesa» riproposti in maniera sincronica nelle analisi del volume (p. 279) che hanno orientato la ricerca e cioè: 1. la relazione tra Chiesa e mistero trinitario/cristologico con le immagini sposa, madre, corpo, popolo; 2 . il rapporto Chiesa e storia della salvezza e la destinazione universale della salvezza mediata dalla Chiesa; 3 l'intrinseca e necessaria relazione tra Chiesa, Dio Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

M. pone sempre grande attenzione alle immagini femminili usate per esprimere il mistero della Chiesa e cerca di mostrarne la funzione inclusiva. Si evidenzia spesso la figura della Chiesa-Raab, «una delle più antiche per esprimere il rapporto tra la Chiesa e la salvezza che si è compiuta nella Pasqua di Cristo» (p. 99). In riferimento all'immagine della Chiesa-madre, M. rileva come sia significativo che gli africani la sviluppino nell'ottica della unicità/unità della Chiesa e quindi della comunicazione sacramentale della vita di grazia, mentre dalla prospettiva orientale la maternalità viene sviluppata in una più ampia visione della mediazione ecclesiale e viene correlata con i temi dei semina verbi e della praeparatio evangelica (cfr. p. 282). M. mostra come tale funzione maternale non implichi quindi una impostazione ecclesiocentrica ma rimanda a «Cristo nel cui nome soltanto è data la salvezza» (p. 291).

Nella bibliografia (pp. 293-317) dispiace rilevare l'assenza del nome di W. H. C. Frend, un classico per la trattazione sul donatismo che nel volume risulta consistente.

Un indice analitico (pp. 325-336) di intelligente struttura chiude il volume.

La pubblicazione si presenta come una guida all'ecclesiologia antica e un contributo di storia della teologia, anche se, in quest'ultima prospettiva, non di rado si avverte la mancanza di citazioni dirette alle fonte patristiche, spesso proposte per così dire di seconda mano, attraverso le parole di interpreti moderni e contemporanei.

Da teologa sistematica qual è, l'autrice non soltanto offre un'eccellente scelta della letteratura secondaria, ma si muove con non troppa rigidità nella contestualizzazione storica, ecclesiologica e testuale delle affermazioni degli autori presi in esame, sebbene talvolta accada di trovarsi alle prese con digressioni su problemi molto specifici che a prima vista non sembrano del tutto pertinenti alla méta della ricerca (p. es. p. 79) ma probabilmente rispondono alle esigenze dell'insegnamento.

L'aver rinunciato in alcuni passaggi alla ricostruzione sulla base della rilettura delle fonti dirette può far apparire il volume come un compendio di snodi dell'ecclesiologia dei padri, che sotto un altro punto di vista ne favorisce la fruibilità e che non può che stimolare la lettura diretta dei testi patristici. Del resto quando M. abbandona i «maestri» per confrontarsi con i testi suscita questioni interessanti, articolando sfumature di intuizioni tutt'altro che secondarie (come nelle pagine dedicate all'ipotesi agostiniana della possibilità della salvezza per i pagani vissuti dopo l'incarnazione di Cristo, cfr. pp. 227-238).3

Incoraggiamo quindi la prosecuzione dello studio nelle successive epoche storiche con il suggerimento di abbandonare un certo eccesso di prudenza nell'avanzare interpretazioni, che un uso più rigoroso delle voci dirette dei padri non può che confermare.

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Note

  1. Cfr. B. Sesboüé, Fuori dalla Chiesa nessuna salvezza. Storia di una formula e problemi di interpretazione, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo 2009; G. Canobbio, Nessuna salvezza fuori della Chiesa? Storia e senso di un controverso principio teologico, Queriniana, Brescia 2009. Testo

  2. La teologa accoglie qui l'esigenza espressa dal Sinodo dell'Africa del 1994 ed entrata poi nell'Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa di Giovanni Paolo II del 1995. Testo

  3. Ma contrariamente a quanto pensa Mazzolini -- sulla scia di J.Tch'ang Tche Wang, A. Solignac e R. Dodaro -- si veda J.M. Rist, What is Truth? From the Academy to the Vatican, UCP, Cambridge 2008, 120-123. Testo