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Per una comprensione del metodo teologico di Agostino d'Ippona: la struttura del De Trinitate

di M. Benedetta Zorzi (25 gennaio 2004)

Agostino, oltre ad essere assieme ad Origene una delle due colonne portanti del cristianesimo antico, ci ha offerto col suo De Trinitate un esempio insuperato della sistematizzazione e riproposizione dei dati primari della fede offerti dal testo biblico e da lui ereditati dal turbolento e fecondo periodo della cosiddetta «crisi ariana». Nel far ciò, egli si è accorto della necessità di dare nuove e ulteriori risposte alle questioni su Dio, come arrischiandosi in una sua «seconda navigazione». È così che ci ha lasciato l'opera patristica più completa sul mistero più profondo della fede cristiana. Su quest'opera hanno continuato a misurarsi i grandi pensatori fino ad oggi.

Il saggio si propone di approfondire a livello generale la comprensione del metodo teologico di Agostino, utilizzando l'approccio, spesso desueto tra i teologi, dell'analisi della struttura e della composizione dell'opera letteraria.

[Il testo del De Trinitate è consultabile in latino e in italiano.]

1. Introduzione

Il De Trinitate1 è una delle opere più compiute di Agostino, sia dal punto di vista teologico che letterario. Nessun'altra opera riflette tanto il suo metodo teologico quanto questa. Seguire il procedimento che ne ha guidato la composizione sarà quindi interessante ai fini della comprensione del metodo teologico di Agostino: «Il metodo teologico del De Trinitate è quello stesso della teologia agostiniana, anzi il De Trinitate è l'espressione più alta e più completa di questa teologia».2 Il De Trinitate presenta, anche se in modo sparso e limitato -- poiché non si tratta di un trattato metodologico vero e proprio --,3 molte riflessioni metodologiche di notevole importanza, ma ciò che più ci interessa in questa sede è cercare di risalire alla struttura stessa del De Trinitate perché «dal metodo dipende il piano dell'opera che è semplice e complesso insieme».4

Quest'opera si è andata formando in un periodo piuttosto lungo (399-420-21),5 che valsero allo scritto il nome di opus laboriosum e come dice Marrou «un lavoro che si protrae a lungo non può che riflettere indecisioni, pentimenti, progressi».6

In questa ricerca ci proponiamo di rispondere alle seguenti questioni: se Agostino abbia avuto un piano iniziale e quale sia stato questo piano; se lo abbia mantenuto o se invece, nel corso della trattazione, esso si sia andato modificando e, in tal caso, perché; infine ci si chiederà il significato complessivo di questa struttura e come essa mostri le caratteristiche del metodo teologico di Agostino.

2. La problematica della struttura

La suddivisione dell'opera è piuttosto chiara. Tutti gli studiosi sono sostanzialmente d'accordo nel vedere in essa tre grandi blocchi: un primo complesso nei libri I-IV, un secondo complesso nei libri V-VII e un terzo nei libri VIII-XV. Non tutti però concordano sull'impianto di fondo che raggruppa questi blocchi.

La critica successiva resterà determinata dalle considerazioni di Marrou. Secondo Marrou infatti tra il libro VII e il libro VIII vi sarebbe una sorta di cesura che dividerebbe l'opera in due generi del tutto distinti:7 i libri I-VII tratterebbero della parte teologica (e ove vi sarebbe in atto il vero e proprio metodo teologico: esegesi e ragionamento sul dato rivelato fornito dalla Bibbia e illuminato dalla tradizione). In questa prima parte Agostino, sempre secondo Marrou, dapprima fonda la sua tesi (I-IV) e poi confuta quella dei nemici (V-VII). Il libro VIII sarebbe di transizione. I libri IX-XV sono il campo proprio della filosofia agostiniana: la ragione tenta di raggiungere con le sue sole forze ciò che prima possedeva per fede. Qui Agostino cerca vestigia della Trinità che possano illuminarne, senza esaurirlo, il mistero. I primi sette libri riflettono tutto quanto era stato detto fino al IV secolo sulla Trinità, mentre il resto dell'opera riflette una via tutta personale e originale della ricerca. Il De Trinitate sarebbe quindi fondamentalmente doppio: si tratterebbe di due trattati, come del resto ci viene detto da Agostino stesso nel prologo (I,2,4).

Anche Studer8 si orienta per questa soluzione, ma preferisce suddividere la prima parte ulteriormente in due: in dogmatico-esegetica (I-IV) e dogmatico-logica o terminologica (V-VII).9 Esita per la collocazione del libro VIII (se cioè la cesura sia prima o dopo il libro VIII o piuttosto se tutto il libro VIII vada considerato una transizione).10

Trapè motiva questa suddivisione sulla base della bipartizione tradizionale dei trattati dogmatici in teologia positiva e teologia speculativa.11 Una tale giustificazione sembra però un po' preconcetta: l'applicazione di categorie storicamente più tarde ad un'opera del V secolo appare infatti un anacronismo. Trapè avverte però che il piano risulta più complesso di quanto si creda.12

Schindler,13 nel suo fondamentale contributo alla comprensione del De Trinitate, sostiene che quest'opera -- la quale contiene quanto di più essenziale è stato detto da Agostino riguardo alla dottrina della Trinità -- consti di tre grandi parti principali: a) i libri I-IV che servono da prova scritturistica, b) i libri V-VII che si occupano della spiegazione del dogma c) i libri VIII-XV con digressioni sulle analogie della Trinità. Anche lui riprende le idee di Marrou, collocando la cesura tra il settimo e l'ottavo libro.14 Secondo Schindler, il De Trinitate ha due intenti: dimostrare che la fede cattolica corrisponde alla Bibbia e confutare gli eretici.

Lo stesso Schindler, tuttavia, ci rende avvertiti del fatto che nella mente di Agostino l'originale impianto era tutt'altro che questo: egli infatti avrebbe contemplato una prima parte comprendente i libri I-IV, che avrebbe dovuto occuparsi della fede della chiesa sulla base delle prove scritturistiche e una seconda parte comprendente tutto il resto dell'opera, nella quale si sarebbe tentato di controbattere gli avversari sullo stile della controversia. Questa seconda parte sarebbe stata divisa da Agostino ulteriormente in due, per il diverso metodo che egli vi usa: V-VII virtuosissime argumenta (trin. IV,32) modo interiore (trin. VIII,1).15

Vediamo allora, più da vicino, cosa Agostino stesso abbia pensato dell'impianto dell'opera. A questo scopo ci vengono in aiuto testi in cui l'autore parla del progetto e della composizione della sua opera. Le suddividiamo in testimonianze esterne ed interne.

3. Testimonianze esterne

Chiamiamo testimonianze esterne i riferimenti al progetto dell'opera rilevabili in altre opere del nostro autore. Purtroppo però le Retractationes, che normalmente svolgono un ruolo preminente per le opere di Agostino in questo senso, nel caso presente non ci sono molto di aiuto. In queste, Agostino fa solo riferimento al lungo tempo impiegato per la composizione dell'opera; accenna al fatto del trafugamento dei suoi primi dodici libri; al fatto che la lettera che fa da prologo generale è stata inserita alla fine.16 La sola spia che possa indurre ad incuriosirci è che Agostino parla di un progetto voluto e non del tutto attuato17 che suggerisce che egli non sia riuscito a dare all'opera quella forma che avrebbe voluto, ossia che non abbia attuato completamente il suo piano originario.18 Per il resto, nelle Retractationes troviamo solo due correzioni ad altrettante affermazioni che appaiono nell'XI e nel XII libro del De Trinitate, che però non ci interessano in questa sede.

Più interessante è il sermo 52,5,14ss, databile tra il 410 e il 412,19 in cui ci viene presentata una sorta di abbozzo del De Trinitate. È un documento importante, perché qui Agostino distingue la materia in due parti.20 La prima parte, dopo una introduzione (1,1), va da 2,2 a 4,13. Qui si tratta infatti della fede fondata sulla testimonianza apostolica contro l'eresia che ha origine dalla presunzione di una opinione particolare.21 Sulla testimonianza della Scrittura si ritorna più avanti -- dopo aver trattato il problema dell'unità e inseparabilità delle operazioni divine e della loro distinzione -- laddove si dice in 4,8: pertinet ergo ad me sanctorum librorum testimoniis demonstrare... Anche nel punto 5, che è di transizione, si afferma lo stesso concetto,22 mentre più avanti si annuncia anche il nuovo metodo di ricerca: acriorem intentionem (5,15).23 La seconda parte va da 6,16 alla fine. Nel 6,16 si parla di un abbaglio di splendore che la mente non può sostenere, a causa di una infirmitas, aegritudo, languor dell'anima24 e si riparte quindi da 6,17, con una sorta di exercitatio mentis, per vedere se nelle creature si trovino similitudini della Trinità (cioè di realtà separate che però agiscano inseparatamente). Si perviene così all'uomo.25 Più avanti vi sarà l'esplicitazione delle tre facoltà: memoria, intelletto e volontà, infine il riconoscimento del sempre maggior mistero che è la Trinità.

È evidente insomma che qui l'impostazione è molto simile a quella del De Trinitate. Ricorrono gli stessi argomenti, gli stessi procedimenti, lo stesso impianto. Impianto binario dunque: fede e testimonianza delle Scritture da una parte, mente ed exercitatio dall'altra.

4. Testimonianze interne

Di maggiore interesse risultano le testimonianze all'interno dello stesso De Trinitate. Si tratta delle sezioni di passaggio, delle introduzioni o conclusioni dei libri o dei temi. Spesso infatti, alla fine di ciascun libro, Agostino compone una sorta di transizione al libro successivo e di ricapitolazione.26 Tali testi denotano lo sforzo di mantenere presente alla mente del lettore lo schema che si è proposto.27 Inoltre, dal momento che quest'opera ha comportato un lungo periodo di maturazione e varie riprese, le introduzioni e i prologhi in essa presenti vanno considerati come delle spie del procedimento compositivo. È qui che vengono enunciati i principi metodologici.

Il De Trinitate presenta molte di queste introduzioni e riassunti: oltre al prologo generale, i testi più rilevanti si trovano nei libri I, IV, VIII e XV. Questi prologhi comprendono alcuni luoghi comuni tra cui la captatio benevolentiae, lo scopo dello scritto, il metodo, il piano dell'opera.

4.1 Il prologo generale (trin. I,1)

Il prologo dell'intera opera è costituito da una lettera al vescovo Aurelio, il quale aveva pregato Agostino di terminare il trattato. Qui l'autore ci dice alcune cose utili alla nostra indagine: che cioè egli aveva stabilito di pubblicare i libri tutti insieme perché sono tutti connessi strettamente;28 che è riuscito a correggere i testi non come avrebbe voluto, ma solo come ha potuto e che quindi essi presentano una certa qual incompiutezza.29

4.2 Altri prologhi

Tra questi testi di passaggio in cui si rileva anche qualcosa del metodo della composizione e della struttura, i più importanti sono senza dubbio i passi I,2,4; VIII,1,1; XV,3,4s (di quest'ultimo ci occuperemo a parte).30

In I,2,4 si abbozza un principio di struttura: si tratta di reddere rationem primum secundum auctoritatem scripturarum sanctarum ... deinde istis garrulis ratiocinatoribus serviemus ut inveniant aliquid unde dubitare non possint. Si distingue chiaramente quindi da una parte un ambito biblico e dall'altra, in termini di controversia, una polemica con coloro che danno troppa importanza alla ragione.31 Bisogna iniziare dalla Bibbia (initium fidei, I,1,1) perché essa adeguandosi alla incapacità della nostra mente di elevarsi direttamente alla comprensione del mistero di Dio, prepara l'animo, purificandolo, per permettergli di arrivare gradatamente alla verità.32 Ma come si può notare, ancora non è chiaro se la prima parte comprenda i libri I-IV o piuttosto i libri I-VII e, di conseguenza, se la seconda sia costituita dai libri V-XV oppure dai libri VIII-XV. La questione non è irrilevante, giacché si tratta del problema se la sezione costituita dai libri V-VII, in cui Agostino presenta in modo più vigoroso l'argomentazione intellettuale nel rifiuto delle obiezioni contrarie, vada ascritta alla parte filosofica o a quella dogmatica,

Il prologo al libro VIII è particolarmente importante, dal momento che vi si espongono vari temi fondamentali al fine della comprensione del metodo: anzitutto vi si afferma che le verità comprese e dette hanno bisogno di essere più e più volte riconsiderate, per renderle familiari (c'è chi ha parlato in questo caso di una forma di vera e propria ruminatio).33 È il tema della exercitatio mentis che Marrou chiama una vera e propria «ginnastica intellettuale»:34 di fatto Agostino, da qui in poi, tratterà la materia in modo molto particolare, con digressioni e tornando e ritornando varie volte sui temi. Si afferma inoltre che c'è bisogno della preghiera e della pietà per procedere, perché l'intelligenza da sola è incapace di arrivare al fine: è il tema della purgatio. Infine, di capitale importanza, viene detto che il metodo che si intraprende, da questo libro in poi, sarà modo interiore.

In altri prologhi si conferma il blocco comune dei capp. I-IV.35 Anche secondo Schindler nel libro IV ci sarebbe una piccola cesura: nella conclusione36 Agostino dice che questo libro si chiude (e con esso si chiude forse anche un certo tipo di argomento?) e che ora egli si accingerà a confutare gli eretici.37

4.3 Il riassunto finale (trin. XV,3,4s)

Il testo più importante per il nostro intento è certamente trin. XV,3,4s, in cui Agostino, prima di proseguire per il suo ultimo sforzo, fa una retrospettiva di tutta la materia trattata e ce ne dà la sintesi. Riassumendo la ricerca precedente, egli specifica meglio il suo intento. Il testo trin. XV,3,4 è una introduzione al riassunto, il quale appare solo in 3,5.

L'autore si rende conto che le cose dette per esigenza della discussione (disserendi et ratiocinandi necessitas) non si possono abbracciare tutte sotto un unico sguardo (cuncta simul aspicere non valemus); si prefigge perciò, al fine di inoltrarsi ad apprendere quello che si sta cercando (ut ad id quod apprehendere volumus), a riassumere (ea celeri cogitatione referamus; ... breviter congeram) di ciascun libro solo le conclusioni cui è pervenuto (quidquid in singulis voluminibus ad cognitione perduxit), tralasciando la discussione che ha condotto ad esse (remota disputatione; ... non quaedadmodum res quaeque persuasit), ma in modo che si possa quanto più restare vicino anche a questa e che, rileggendo brevemente, si possa ricordare il tutto (relegendo recolligi). Dunque Agostino stesso ci assicura che questo riassunto sarà quanto mai aderente a ciò che ha trattato.

In trin. XV,3,5 leggiamo che nel primo libro l'oggetto della ricerca è la sacras unitas et aequalitas summae illius Trinitatis. L'indagine è stata condotta secundum scripturas (da estendere però anche al secondo, al terzo e al quarto libro se è vero che quel eadem vada riferito oltre che all'argomento anche al metodo). Lo stesso si era affermato in I,2,4 (sed primum secundum auctoritatem Scripturatum sanctarum) e forse è da correlare con quanto viene detto in XV,3,5 in riferimento al libro ottavo.38 Infatti sempre in I,2,4, laddove si fa riferimento ai ratiocinatoribus ... ut inventiant aliquid unde dubitare non possint, si parla evidentemente del metodo filosofico, il quale riguarderebbe tutto ciò che segue il libro IV. Secondo questo passo, come visto, Agostino afferma esplicitamente di voler esporre nei primi quattro libri la fede della chiesa, sulla base delle prove scritturistiche e che, nel resto dell'opera, tenterà di controbattere le accuse degli avversari.39 È quindi evidente che, alla fine dell'opera, le cose sono cambiate.

In modo più particolare si dice che nei libri II-IV si è trattato de Filii missione et Spiritus Sancti. Infatti Agostino -- benché abbia affermato di non volerlo fare, tuttavia ci ricorda non solo le verità provate, ma anche gli argomenti con cui le ha provate -- dice che ha dimostrato che il mandato e il mandante sono uguali,40 dal momento che quae Trinitas per omnia aequalis est. La successiva affermazione, secondo la quale pariter in sua natura immutabilis, invisibilis, ubisque praesens inseparabiliter operetur, sembra affermare quanto la teologia recente dice nell'assioma: la Trinità immanente è la Trinità economica.41 Infatti, per Agostino, le missioni rivelano le processioni. Il riassunto di questi libri, in realtà, sembra tralasciare tutta la questione delle apparizioni (da ravvisare, tuttavia, in quell'invisibilis che sottintende che la sostanza di Dio in sé è invisibile all'uomo: tesi sottostante a tutta l'argomentazione della discussione sulle teofanie).42

Nel quinto libro propter eos quibus non eadem Patris et Filii esse substantiam, Agostino ha evidentemente di mira gli avversari della fede. Ora l'attenzione si sposta sulla terminologia,43 che nella tradizione era stata oggetto di controversia: soprattutto i termini relatio, essentia / substantia,44 persona. La tesi con cui Agostino esce dall'impasse è riassunta in questa frase: non omne quod de Deo dicitur secundum substantia dicitur sed relative cioè non a se, sed ad aliquid quod ipse non est. Il problema del limite del linguaggio umano -- già prospettato da Ilario come unica soluzione delle controversie teologiche della metà del IV secolo, impugnata poi dai Cappadoci per uscire dall'impasse della terza fase della controversia ariana -- verrà del tutto esplicitato in modo originale nell'ultima pagina del trattato.45 Nel sesto libro Agostino ha spiegato in che modo Cristo sia detto Dei virtus et Dei sapientia. Di qui la questione se colui che ha generato Cristo debba essere detto Padre della sapienza o sapienza egli stesso (sapientia sapientiam genuerit) -- questione che però egli rinvia. Ne deriva comunque l'uguaglianza della Trinità (Trinitatis aequalitas non Deus triplex sed Trinitas). Poi spiega una frase di Ilario: Aeternitas in Patre, specie in Imagine, usus in Munere. Nel settimo libro viene affrontata la questione che era stata rinviata.46 In queste riprese degli argomenti, vediamo come Agostino sia impegnato nel far esercitare la mente, per fortificarla e per portarla così alla contemplazione del mistero di Dio. Agostino conclude che non solo il Figlio, ma lo stesso Padre deve essere chiamato ipse virtutus atque sapientia, come anche lo Spirito (sic et Spiritus), in modo però che i tre non siano tre virtù e tre sapienze, ma una virtus una sapientia unus Deus, come del resto essi sono una essentia tres personae o piuttosto, come preferisce dire Agostino, una essentia tres substantiae.

Nell' ottavo libro, abbiamo l'introduzione di un nuovo metodo: Agostino afferma di aver fatto ricorso alla riflessione (ratione reddita intelligentibus). Ma cambia anche la prospettiva dell'oggetto: Dio non viene più considerato a partire dalla Trinità, per dimostrarne l'unità, ma a partire dalla sua unità per dimostrarne la Trinità (queritur quid Tres sint). È la domanda sul dio dei filosofi. Il metodo infatti ora è per veritatem quae intellecta conspiciuntur e non più secundum Scripturam. Infatti i concetti che qui ricorrono sono quelli di Bene supremo, Giustizia e Verità, che sono appunto quelli della ricerca filosofica. Da qui, Agostino intraprende una sua via propria, che è quella della ricerca delle immagini della Trinità. Riflettendo quindi sulla caritas (anche il tema dell'amore collega l'oggetto della ricerca dei filosofi con il Dio delle Sacre Scritture) abbiamo -- come in un lampo47 -- un'immagine della Trinità, una prima analogia: l'amante, l'amato e l'amore. Secondo Marrou, da questo momento in poi, l'uso della dialettica si fa volutamente lento, al fine di esercitare la mente del lettore per renderlo in grado di arrivare allo scopo. Il libro nono giunge ad analizzare l'immagine di Dio nell'homo secundum mentem: mens, notitia, amor. Ma ecco che la trattazione sembra dapprima tornare indietro, per poi farsi man mano più lenta e sottile (diligentius, subtiliusque), finché si arriva alla triade: memoria, intelligentia, voluntate. Nell'undicesimo libro, si torna di nuovo indietro, all'uomo esteriore. Si trovano analogie della Trinità nel senso della vista48 e poi si procede all'interno dell'animo.49 Nel libro dodicesimo, si fa una digressione (quasi andando fuori tema) sulla differenza tra scientia, che è il modo di conoscenza delle cose mutabili, e sapientia che è invece la contemplazione delle cose eterne.50 Secondo Marrou «tutte le digressioni che interrompono il trin. hanno un profondo valore religioso».51 Il tredicesimo libro riprende la trattazione dell'immagine di Dio, secondo la fede cristiana. Il quattordicesimo ritorna ancora una volta al tema della vera sapienza, connotata come Dei munere in eius ipsius Dei partecipatione donata. Il libro quindicesimo conduce poi lo sforzo finale, per cercare Trinitatem quae Deus est, la quale, già apparsa in baluginìo nel libro VIII,52 si mostra ora come il Creatore di tutte le cose. Ma anche qui, all'apice del cammino resta un profondo senso del mistero, della trascendenza divina e dei limiti della ragione umana; infatti Agostino ricorderà che ciò che riusciamo a vedere qui è ancora solo in aenigmate et per speculum e non è la visione faccia a faccia.53

5. Conclusioni: significato della struttura per la comprensione del metodo teologico

Benché non esposte in modo sistematico, nel De Trinitate si ritrovano (soprattutto nelle prefazioni) molte osservazioni sui princìpi metodologici del lavoro teologico agostiniano. Questi princìpi sono non solo enunciati, ma costituiscono anche la ragione della struttura del De Trinitate. Agostino sembra metterli in pratica, in modo che il lettore stesso sia esortato e anche messo in grado, lungo la lettura, di fare un cammino di conoscenza e di adesione a Dio.54

Abbiamo visto come una prima funzione dell'opera sia quella di giustificare la retta fede (libri I-IV) sulla base dei testi biblici.55 Il dato biblico, infatti, non serve solo a fondare la fede ortodossa sull'auctoritas, ma anche e soprattutto a purificare la mente tramite la fede: il linguaggio biblico, nella sua semplicità, riconduce la mente dalla superbia e dall'ostinazione -- che la porterebbe all'errore -- al riconoscimento della sua debolezza, aprendola così alla vera conoscenza.56 Solo in un secondo momento la mente potrà approfondire, con l'elaborazione concettuale, la comprensione più profonda di questa fede (libri VIII-XV).57 Sebbene intuita all'inizio solo come in un lampo, la mente non può infatti subito attingere la verità. Il lavoro di riflessione implica una exercitatio mentis (uno sforzo per far diventare poco a poco sempre più familiari i concetti allo spirito58) dalla quale si viene gradualmente abilitati alla conoscenza del mistero di Dio. La via che conduce a questa conoscenza è una via interiore, perché proprio nell'uomo la Trinità ha la sua immagine più vicina, ma tale conoscenza non arriva mai ad essere perfetta, perché Agostino ha un grande senso del mistero inesauribile di Dio, e quindi anche la ricerca è inesauribile. Del resto, da questa analogia tra anima e Trinità, si comprende che Dio non è solo l'essere supremo e trascendente, ma è anzitutto amore e quindi lo conoscerà solo chi entra in un cammino di amore. Amarlo diventa quindi il termine di ogni umano desiderio. Qui Agostino si mostra il grande erede della tradizione filosofica.59

Va rilevato che la stessa difficoltà nel cercare i limiti netti della separazione tra prima e seconda parte (se quest'ultima sia da vedere cioè a partire dal libro V o rispettivamente dal libro VIII) non è stata risolta. Agostino inizialmente aveva un piano (separare i primi quattro libri dal resto), ma alla fine tale piano risulta diverso (i primi sette libri e gli ultimi otto). A nostro parere ciò dipende dal fatto che le relazioni tra fides e ratio sottendono dall'inizio alla fine ogni sezione, senza poter essere mai del tutto distinte o separate. La fede stessa tende sempre alla ratio e la ratio procede costantemente sostenuta dalla fede verso la visione, che però non è mai perfetta.60 Così la questione se la sezione del rifiuto delle obiezioni contrarie (libri V-VII)61 vada ascritta alla parte filosofica o a quella dogmatica, sembra essere destinata a non risolversi. Si tratta in fondo di un cammino verso la conoscenza unitario, che non può essere spezzettato, perché per nessun pensatore antico la ragione è mai separata dalle altre facoltà dello spirito in senso cartesiano. Anzi, come visto, la ragione e la fede non sono neppure separate dall'amore perché è in fondo quest'ultimo che motiva e unifica il cammino di conoscenza.

Si deve ammettere quindi che, nonostante l'intenzione, Agostino non risulta poi così metodico: lungo la lettura, egli spesso appare come distratto dall'intenzione primaria. Ma questo suo gusto per le digressioni, la fluidità della sua composizione o quella che giudicheremmo prolissità, non è mero esercizio letterario, né dipende solo dal fatto che l'opera sia stata in cantiere per lunghi anni, o che il materiale che l'autore tratta fosse ancora (storicamente) allo stato primitivo. Bisogna certo riconoscere, come rileva Marrou, che «Agostino compone male anche perché ha molte idee ... [e questo] ... carattere tumultuoso del suo pensiero lo rende incapace di stare in contorni stabiliti».62 Tuttavia il significato profondo di questo suo modo di esporre sembra vada fatto risalire proprio a quella exercitatio che fa del De Trinitate sia nel suo processo formativo, sia nella sua struttura, sia nel suo contenuto, un vero modello di ogni metodo teologico.

Se volessimo ricapitolare il procedimento che ha guidato la composizione e la struttura del De Trinitate, possiamo notare infatti che ritroviamo senza dubbio i grandi criteri propri di un metodo teologico che non si limita ad essere solo quello agostiniano.63 Secondo i quattro principi che caratterizzerebbero la teologia agostiniana enunciati da Trapè,64 vediamo anzitutto lo sforzo di una ferma adesione all'autorità di Cristo manifestata nelle Scritture; in secondo luogo la riflessione sulla ragionevolezza e il contenuto dell'atto di fede; poi l'unione tra vita e teologia nella carità come oggetto e metodo insieme della conoscenza; infine il senso del mistero e della trascendenza di Dio e dei limiti della conoscenza umana.65 Ma questa netta suddivisione sa ancora troppo di categorie scolastiche, anacronistiche per valutare un tardoantico.

Bisognerà invece sottolineare il rapporto forte e creativo che Agostino ha non solo con la Scrittura (libri I-IV) ma anche con quella che costituiva la «tradizione» per lui, cioè la riflessione trinitaria del secolo IV: egli ne conosce bene e ne riprende i dati, che suppone, su cui si appoggia,66 a partire dai quali però percorre una via del tutto personale e nuova, che in fin dei conti risulta del tutto originale (dal libro IX).

Ciò su cui più vorremmo insistere però è proprio questo carattere desultorio della riflessione teologica agostiniana, che abbiamo cercato di evidenziare in questo studio e sul quale vorremmo spendere ancora qualche parola. Si pensi anzitutto al lungo tempo (venti -- ventidue anni!) della composizione di questo trattato, che ci cala nel contesto anche quotidiano e forse addirittura banale (il trafugamento dei dodici libri!) in cui è immerso ogni sforzo di ricerca sul Senso ultimo. Inoltre abbiamo visto che Agostino afferma di non essere riuscito a dare la forma che aveva previsto alla sua materia: questo ci riporta alla sua estrema onestà intellettuale, al suo lasciarsi anche deviare rispetto ai suoi presupposti; non è solo la ragione ad «avere ragione» del suo oggetto, ma la materia trattata stessa, il lavoro intellettuale conduce Agostino ed egli se ne lascia guidare, cambiare e trasformare nelle sue convinzioni. Perché per cambiare le nostre convinzioni sappiamo che non basta il ragionamento, ma ci vuole anche il tempo e soprattutto qualcosa che riesca a far leva sul nostro cuore e sulle sue persuasioni profonde -- che sono anche questioni di abitudini, affetti, relazioni fondanti, e (di nuovo) tempo. Questo ci prospetta una certa fragilità del cammino teologico e un certo andare a tentoni che esso condivide con ogni altra vera ricerca. Perché se anche basato sulla «certezza» delle Scritture e della tradizione, alla fine se un progetto arriva a conclusioni inaspettate, ciò è sigillo prima che di debolezza del pensiero, di veracità della ricerca e anche del ricercatore. Nessuna persona che sia davvero alla ricerca della Verità potrà infatti mai restare la stessa in un percorso a lungo tratto, se questa ricerca davvero la appassiona e quindi la interpella globalmente.

Inoltre gli intensi ma circoscritti punti di «splendore» che spesso costituiscono quelle «piattaforme roteanti» (libro VIII) -- per utilizzare l'espressione già trovata di Marrou -- di un percorso riflessivo, quei baluginii intravisti a metà strada, alla cui luminosità distesa però spesso la mente non arriva se non dopo lunga ruminatio, supportano la fatica della pazienza intellettuale per la necessaria lunga abitazione e convivenza con i temi da trattare; Agostino ha la delicatezza di abituare a questo non solo la sua mente ma anche l'interlocutore/lettore con cui dialoga. Le strane digressioni presenti nella seconda metà dell'opera danno lo spessore dell'umana debolezza; si torna addirittura indietro a volte: ciò suscita però quasi un senso di tenerezza, non un giudizio spietato (e disperato) sul limite; perché al «tanto grande» di Dio lo spirito dell'uomo può esercitarsi, è questa la grande scommessa della teologia, che rifiuta da una parte il ripiegamento depresso verso il pensiero debole e dall'altra l'illusione superba o forse semplicemente folle di arrivare ad assimilarsi all'oggetto (Hegel). Abbiamo anche visto come si tratti spesso quasi di abbordare l'oggetto da punti di vista diversi, con metodi diversi. Oggi più che mai la teologia (e ancor più la storia della teologia), si dovrà fare amalgamando o intentando i raffinati metodi che la scienza ha ormai a disposizione in diversi campi.

Anche lo sforzo finale (XV) che arriva ad innalzarsi come alla nota più alta alla quale la voce possa arrivare, è debole e grandioso assieme. Il teologo di fronte al limite della ragione, da una parte si lascerà supportare dalla preghiera (perché Dio nella ricerca teologica è «oggetto» ma anche «tu» di un rapporto d'amore, perché anzitutto sempre l'«Io sono»), per chiedere l'intervento effettivo di Colui col quale e sul quale si sta investigando e conoscendo perché egli lo renda capax, ma dall'altro lo riconoscerà quale luogo di una passione per il finito che è la passione stessa di Dio.

Fa pensare infine che uno dei maggiori sforzi mai compiuto dalla riflessione cristiana per investigare il mistero di Dio, sia un'opera incompiuta (vale lo stesso per la Summa di Tommaso): forse è effetto collaterale di ogni vero capolavoro, ma non basta; dall'altra parte esso ha l'impatto che desta alla contemplazione una Pietà Rondanini di Michelangelo: la creatura non potrà mai compiutamente esprimere e riflettere il mistero divino, certo; però è solo e proprio così che essa lo traduce e lo racconta.

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Note

  1. Le abbreviazioni delle opere di Agostino sono quelle fissate da Augustinus-Lexicon, C. Mayer (Hrsg.), Basel 1986--. Testo

  2. A. Trapè, Introduzione a La Trinità = Agostino, Nuova Biblioteca Agostiniana. [=NBA] Opere di Sant'Agostino 4, A. Trapè -- M.F. Sciacca (edd.), Roma 1973, XI. Testo

  3. Cfr. B. Studer, Storia della teologia I. Epoca patristica, A. Di Berardino -- B. Studer (edd.), Casale Monferrato 1993: «Nessuno si aspetterà trattati propriamente metodologici dai teologi cristiani antichi, comunque riflessioni anche considerevoli sul significato del lavoro teologico non mancano», 494. Testo

  4. Trapè, NBA 4, XIV. Testo

  5. Cfr. A. Schindler, Wort und Analogie in Augustins Trinitätslehre, Tübingen 1965, 6-9; B. Studer, Dio salvatore nei padri della chiesa, Brescia 1986, 238; Id., Gratia Chisti -- Gratia Dei bei Augustinus von Hippo. Christozentrismus oder Theozentrismus? : SEA 40, Roma 1993, 187; Trapè, NBA 4, XVIII. Testo

  6. H.-I. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, Milano 1989 [tit. or.: Saint Augustin et la fin de la culture antique, Paris 19492], 80. Testo

  7. Cfr. Marrou, S. Agostino, 73. Testo

  8. Cfr. Studer, Dio salvatore nei Padri della Chiesa. Trinità-cristologia-soteriologia, Roma 1986 [tit. or.: Gott und unsere Erlösung im Glauben der alten Kirche, Düsseldorf 1985], 238; id., «Trinità»: Dizionario patristico e di antichità cristiane [=DPAC], A. Di Berardino (ed.), Casale 1983-1988, 3519; id., Storia della teologia, 496. Testo

  9. Cfr. Studer, Gratia Chisti -- Gratia Dei bei Augustinus von Hippo. Christozentrismus oder Theozentrismus?: Studia Ephemeridis «Augustinianum» 40, Roma 1993, 193. Testo

  10. Studer, Dio salvatore: «Come si ammette in genere oggi, il De Trinitate comprende due parti principali: una parte più dogmatica (libri 1-8) e una parte più speculativa (libri 9-15)», 238; ma poi Id., DPAC: «Appoggiandosi anzitutto sulla Scrittura, nella prima parte, di carattere prevalentemente dogmatico, egli indica il contenuto del dogma trinitario... Dopo una transizione (Libro VIII) nella seconda parte ... (libri IX-XV)», 3519; id., Storia della teologia: «... [da]l libro ottavo ... costituisce una transizione dalla prima alla seconda parte» 496. Qui l'autore richiama altri testi di Agostino che giustificano questa struttura bipartita (serm. 52 e la struttura stessa del ver. rel. [cfr. ib., nota 63]); inoltre Id., Gratia Christi: «Nach diesen dogmatisch-exegetisch und dogmatisch-logisch geprägten Ausführungen der ersten sieben Bücher leitet Augustinus in achten Buch auf den zweiten Teil», 193. Testo

  11. Trapè, NBA 4: «... la divisione consueta del trin. in due parti ineguali che corrisponderebbero più o meno alla distinzione tradizionale di teologia positiva e teologia speculativa: alla prima apparterrebbero i primi sette libri, alla seconda gli ultimi otto», XIV. Testo

  12. Oltre ai blocchi consueti vede in libro VIII una introduzione alla cognizione mistica di Dio attraverso i concetti di verità, bontà, giustizia, carità e dal blocco IX-XIV distingue ulteriorimente il libro XV che considera un riassunto dell'opera: un ritorno meditativo sulla vita dello spirito e i dati della Bibbia (cfr. Trapè, NBA 4, XIV). Testo

  13. Schindler, Wort und Analogie, Tübingen 1965. Testo

  14. Cfr. Schindler, Wort und Analogie, 119. Testo

  15. Cfr. Schindler, Wort und Analogie, 120. Testo

  16. retr. 2,15. Testo

  17. ... si servari mea dispositio potuisset... (cosa di cui del resto si parla anche nel prologo generale e su cui torneremo). Testo

  18. ... quo tam prologo exposui et quid accidisset, et quid facere mea cogitatione voluissem, et quid fratrum caritate compellente fecissem (trin. 2,15,1). Testo

  19. NBA XXX, 1,59. Testo

  20. Più brevemente e semplicemente di quanto fatto qui, Studer riassume in: prima parte (dicenda commemoranda) e seconda parte (intelligenda-elaboranda) e rileva che anche la struttura del ver. rel. è improntata su questo doppio schema narratio -- argumentatio (cfr. Storia della teologia, 496, nota 63). Testo

  21. ... fidem enim nostra, id est fides vera ... non opinione praesumptionis sed testimonio lectionis collecta, nec heretica temeritate incerta, sed apostolica veritate fundata, hoc insinuat. Testo

  22. ... exolvimus quae promisimus: propositiones nostras firmissimis, ... testimoniorum documentis probavimus (5,14). Testo

  23. Inoltre: quidquid est quod Deus est pie credatur, sancte cogitetur, et quantum datur, quantum potest, ineffabiliter intellegatur... excitetur cor (s. 5,15). Testo

  24. In parallelo al libro VIII del De Trinitate. Testo

  25. ... hominem enim Deus fecit ad imaginem et similitudinem suam. In te quaere, ne forte imago Trinitatis habeat aliquot vestigium Trinitatis (s. 6,17), cfr. Studer, «Zur Bedeutung der heiligen Schrift in Augustin's De Trinitate»: Augustinianum 42/1 (2002), 127-147, in particolare 134 che sottolinea l'importanza dell'interpretazione del testo di Gen 1,25ss come punto acme dell'exercitatio mentis nel De Trinitate. Testo

  26. Marrou, S. Agostino: «questi richiami allo schema sono spesso accompagnati da una ricapitolazione, che permette di misurare la via percorsa», 77. Testo

  27. Cfr. Marrou, S. Agostino, 76. Testo

  28. ... omnes simul edere ea ratione decreveram quoniam praecedentibus consequentes inquisitione proficiente nectuntur (Prol.). Testo

  29. ... in quibus si servari mea dispositio potuisset, essent profecto etsi planiores quantum rerum tantarum explicandarum difficultas et facultas nostra pateretur. Testo

  30. Studer ricorda anche I,7,14; XV,9; VI,10,12 (Storia della teologia, 496, note 65-67). Testo

  31. Coloro che immaturo et perverso trationis amore falluntur (trin. 1,1). Testo

  32. Per quanto riguarda l'importanza della Scrittura nel De Trinitate cfr. B. Studer, Zur Bedeutung. Testo

  33. Cfr. Studer, Storia della teologia, 472. Testo

  34. Cfr. Marrou, S. Agostino, 259. Testo

  35. Nel cap. II si parla di una indagine da farsi sulla doppia base di due metodi sive per scripturam eius sive per creaturam (II,1). Questo libro II si chiude con queste parole che indicano chiaramente come esso sia strettamente congiunto al III e al IV: ... ne immoderatius progrediatur secundi huius voluminis longitudo, ea quae restant in consequentibus videamus. Il prologo al III libro presenta un riassunto del precedente per poi procedere sullo stesso argomento come dimostrano le parole: hinc itaque tertius hic liber sumat exordium, quousque secundus pervenerat (III,3). Che anche questo sia congiunto strettamente con il libro IV lo dimostrano le affermazioni che chiudono il libro III: è solo per comodità che l'argomento della missione del Figlio si rimanda al IV libro (III,11,27). Testo

  36. ... iste igitur sit huius voluminis modus; deinceps in ceteris, adiuvante Domino, illa haereticorum versutissima argumenta qualia sint, et quaemadmodum redarguantur videbimus (IV,21,32). Testo

  37. Il prologo al libro V introduce una nuova sezione con le questioni di linguaggio: hinc iam exordiens ea dicere, quae dici ut cogitantur vel ab homine aliquo, vel certe a nobis non omni modo possunt (V,1,1). Il libro manca di conclusione e si riallaccia immediatamente al VI il quale a sua volta manca di prologo. Il VII libro inizia riprendendo un argomento tralasciato nel libro precedente, formando quindi con esso un unico blocco. Testo

  38. ... ratione etiam reddita intellegentibus clarum est. In VIII,1,1 Agostino esprime questo metodo riflessivo usando la formula modo interiore. Testo

  39. Cfr. Schindler, Wort und Analogie, 120. Testo

  40. ... non minorem mittente qui missus est. Testo

  41. Come ha mostrato Studer, per Agostino questo assioma vale per la sua teologia anche se non è formulato esplicitamente (cfr. B. Studer, «The 1996 Saint Augustine Lecture. History and Faith in Augustine's De Trinitate»: Augustinian Studies 28 (1997) 1,7-50). Testo

  42. Agostino dimostra che in nessuna teofania appare mai la substantia divina, che è invisibile. Tutte le apparizioni sono da ascrivere ad angeli o ad una forma creata dall'intera Trinità. Nell'incarnazione si è avuta una unione del tutto personale e perenne con l'umanità creata. Nella colomba e nelle lingue di fuoco si è manifestato solo lo Spirito, anche se egli non si è unito in modo durevole e personale alla colomba e al fuoco. Poiché del Padre non si dice mai che sia stato mandato, se ne deduce che egli è l'origine (esempio di come la Trinità economica riveli la Trinità immanente). Testo

  43. Qui si nota come Agostino sia molto refrattario ad un uso molto preciso del linguaggio in relazione al mistero della Trinità. Egli è infatti convinto che la realtà del mistero di Dio sia superiore al pensiero e che questo a sua volta è superiore al linguaggio (cfr. trin. V,1,1). Se accetta di parlare nella terminologia tradizionale lo fa solo con riserva, convinto che si è costretti a farlo elocutionis necessitate. Testo

  44. Agostino preferisce parlare di essentia piuttosto che di substantia. Quest'ultimo termine infatti è stato usato anche come traduzione del termine hypostasis infatti evoca l'idea di soggetto cui ineriscono accidenti, individuo concreto, sinonimo di persona, mentre essentia sembra un termine più biblico, forse a causa di Es 3,14 (cfr. trin. V,2,3). Testo

  45. Cfr. M. B. Zorzi, «Autonomia della musica e mistica cristiana. Lo iubilus in Agostino d'Ippona» [in linea], Reportata, <http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm>, [1º settembre 2003], 97 KB). Oltre però ad un valore «mistico» dobbiamo riconoscere nei problemi del linguaggio teologico una delle chiavi d'accesso alla storia della teologia: spesso i termini in vari autori di uno stesso periodo non sono usati in senso tecnico e quando lo sono essi si restringono di significato. Va altresì ricordato che spesso questi termini sono compresi da un autore all'altro nel loro significato preciso così che nel riferimento reciproco non sempre garantiscono un esatto passaggio di significato. C'è inoltre il problema dei sottili slittamenti semantici di uno stesso termine lungo la storia o a seconda delle diverse culture, senza parlare dei passaggi semantici spesso notevi nelle traduzioni per esempio dalla lingua greca alla latina. La storia del pensiero è piana di questi concetti-chiave, seguendo il decorso dei quali si potrebbe ricostruire tanta parte della storia della teologia: l'esempio più vicino per tema e tempo qui sono indubbiamente le problematiche relative ai termini ousia, physis, prosopon, hypostasis e le rispettive traduzioni latine substantia, essentia, natura, persona (dove oltre al fatto che ousia, physis e hypostasis sono spesso sinonimi come essentia e substantia, ci sono anche i problemi relativi al fatto che nelle traduzioni ousia equivale a substantia ma anche ad essentia; hypostasis a substantia e persona; c'è inoltre il problema relativo a ousia che può avere senso universale o individuale a seconda del contesto di pensiero rispettivamente platonico o aristotelico, etc...). Nella discussione circa la sostanza/qualità, Agostino dipende dal concetto stoico, e non aristotelico, come spesso si pensa. Testo

  46. ... quaestio quae dilata ... explicatur. Testo

  47. Marrou, S. Agostino: «... alla fine del libro VIII sant'Agostino bruscamente mette in risalto ... una prima immagine della Trinità ... transizione a piattaforma girevole che denota una concezione tutta particolare della composizione», 74. Testo

  48. ... ita exterioris hominis trinitas: corpus quod videtur, forma, intentio voluntatis. Testo

  49. ... in ipso animo altera trinitas: imaginatio corporis quae in memoria est, informatio, intentio voluntatis. Testo

  50. Per un approfondimento del binomio scientia-sapientia cfr. Studer, Zur Bedeutung, 138-140. Testo

  51. Marrou, S. Agostino, 274. Testo

  52. ... Trinitas appareat in immagine Dei, quod est homo secundum mentem. Testo

  53. Cfr. trin. XV,23,43-44. Testo

  54. Studer, Storia della teologia: «Nel trin. il metodo teologico non è solo teorizzato, ma anche praticato», 495. Testo

  55. Studer intitola il suo riassunto di questa sezione fondamenti biblici della fede trinitaria (cfr. Gratia Christi, 189); cfr. anche Id., Zur Bedeutug, 135 che evidenzia questa dinamica quando Agostino afferma: ad imaginem trinitatis factum hominem credimus et quanta potuimus investigatione comprehendimus (trin. XIV,19,25); Testo

  56. Studer, Storia della teologia: «Accettando con la fede la parola di Dio, il credente si umilia e si libera dalla propria superbia. Rimettendosi totalmente a Dio, egli si apre alla luce che lo rende simile a Dio, lo mette in grado di conoscere pienamente il suo creatore ... ragionando e ruminando le verità della fede, il credente diventa ancora più spirituale e disposto a vedere meglio, a desiderare di vedere Dio», 472. Testo

  57. Cfr. Studer, Gratia Christi, 193. Testo

  58. Il termine spirito si usa qui nel senso antico di nous, e quindi anche di ragione, come ancora resta nella semantica del termine tedesco Geist. Testo

  59. Cfr. Studer, Gratia Christi, 194. Testo

  60. Su questo argomento bisogna necessariamente rimandare a Studer, History and Faith soprattutto 23-28 in cui si dimostrano i tre momenti della fede e il loro rapporto alla ratio o cogitatio; Marrou, sull'utilizzo anche nei primi sette libri dello «strumento logico» (cfr. S. Agostino, 376). Testo

  61. Il titolo che Studer dà a questa parte è formulazione dogmatica della fede trinitaria (cfr. Gratia Christi, 191). Testo

  62. Marrou, S. Agostino, 81. A livello psicologico si distingue spesso tra uno modo si pensare «lineare» e uno «globale»; Agostino sembrerebbe avere piuttosto un cursus di pensiero «globale», uno stile cioè in cui la consequenzialità del pensiero non segue una linea del genere A-B-C-D, ma piuttosto i punti devono essere pensati quasi messi a circolo, così che resta logico e consequenziale per lui passare da A ad E e da C a B per esempio, ma più difficile risulta seguire tale logica da parte di chi ha un pensiero che scorre in modo cosiddetto «lineare». Testo

  63. Nel De Trinitate si incontrano principi metodologici che valgono per tutta la teologia, anche se lì la sua questione è limitata. Quest'opera sarà modello per altre monografie teologiche e per le grandi sintesi teologiche (cfr. Studer, Storia della teologia, 496). Testo

  64. Cfr. Trapè, NBA 4, XI-XII. Testo

  65. Marrou: «Il problema è dunque quello di raggiungere il limite stesso che non è permesso all'uomo di superare, di spingere avanti lo sforzo della ragione fino al momento in cui la sua energia si spezza... nella conoscenza di Dio si tratta di avanzare fino al cuore dell'abisso, si deve sondare quel mistero che la ragione umana su questa terra non può mai esplorare completamente», S. Agostino, 271. Testo

  66. Pensiamo al primo abbozzo di Mario Vittorino di una esposizione psicologica della Trinità o alla frase di Ilario che struttura il libro VI e in generale la competenza che Agostino dimostra di avere delle tematiche trinitarie della tradizione nei libri V-VII. Per la dipendenza (critica) di Agostino da Mario Vittorino cfr. N. Cipriani, «La presenza di Mario Vittorino nella riflessione trinitaria di Agostino», Augustinianum 42/1 (2002) 261-313. Testo