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La «storia della teologia» nella prospettiva della «modellistica»

di Lubomir Zak (15 giugno 2007)

Non è lo storico a creare la storia,
ma il corso stesso delle cose.
Lo storico arriva un bel giorno,
la trova bell'e fatta e la racconta:
ma che egli arrivi o no,
la storia esiste lo stesso,
ognuno la porta nel fondo del suo essere.

-- P.J. Caadaev

La teologia non è un sistema completamente
definito e non potrà mai essere concluso.
Essa si sviluppa storicamente come progressiva
assimilazione concettuale e penetrazione
del patrimonio rivelato trasmesso per tradizione.

-- Edith Stein

1. Introduzione: la storia nella/della teologia

La nascita della Storia della Teologia (= SdT) come disciplina rappresenta uno degli ultimi frutti del lungo cammino della teologia verso il suo progressivo risveglio al senso storico.1 Una delle prime tappe di tale cammino sta nell'imporsi alla coscienza teologica della storia dei dogmi, intesa sia come un tema e un trattato di natura epistemologica, inerente alla dogmatica, sia come una sorta di orizzonte ermeneutico della teologia stessa.2 È noto che il genere letterario della storia dei dogmi nasce in Germania durante la metà dell'800 e diventa famoso grazie al contributo apportato da studiosi (Seeberg, Loofs, Harnack...) provenienti principalmente dal protestantesimo liberale e, quindi, critici nei confronti della dogmatica tradizionale. Quanto, invece, ai precursori dello sviluppo e della diffusione di questo nuovo genere nel mondo cattolico, è obbligatorio nominare J.H. Newmann, autore dell'Essay on Development of Christian Doctrine (1845), e M. Blondel, autore dell'Histoire et dogme (1904);3 mentre la prima trattazione sistematica dedicata alla storia dei dogmi viene pubblicata, in tre volumi, da J. Tixeront, con il titolo: Histoire des dogmes dans l'antiquité chrétienne (1905-1911). Inizialmente, soprattutto a causa della crisi modernista, il problema del rapporto tra storia e dogma viene impostato in maniera conflittuale. Tuttavia, con il passare del tempo comincia a emergere sempre di più il contributo positivo che la prospettiva storica dà allo studio dei dogmi, offrendo i presupposti necessari per la ricerca di un corretto approccio alla loro interpretazione. Non solo; tale contributo inizia ad essere percepito come esigenza di grande attualità, in quanto la ratio moderna e postmoderna tende a privare il termine 'dogma' del significato originario, parlando di una costrizione e di un ostacolo alla vera libertà di vita e di pensiero. Confutando simili riduzioni, lo studio della storia dei dogmi «permette ai cristiani di oggi di meglio conoscere e comprendere la genesi e il contenuto delle affermazioni che la loro fede implica».4

Quanto alle tappe più recenti del cammino della teologia verso una seria rivalutazione dell'istanza storica, se diamo per scontato il raggiungimento, ormai consolidato, del pieno e indiscutibile inserimento della Storia della Chiesa in un iter teologico istituzionale,5 allora la nuova tappa è collegata con la comparsa, nel '900,6 del genere della SdT. Alla sua nascita e al suo sviluppo contribuiscono in modo determinante sia la pubblicazione di numerose opere, collettive o di autori singoli,7 sia il suo stesso ingresso nelle aule degli atenei ecclesiastici. Un ingresso, certo, ancora troppo timido -- in quanto non tutte le Facoltà teologiche e non tutti gli Istituti teologici prevedono l'inserimento della SdT nel programma dei corsi --, ma comunque già da tempo in atto,8 accompagnato da alcuni incoraggianti avvenimenti. Tra di essi vanno annoverati: la fondazione dell'Istituto per la Storia della Teologia Medievale, con sede a Milano,9 dell'Istituto di Storia della Teologia a Lugano10 e dell'Istituto Mabillon del Pontificio Ateneo Sant'Anselmo di Roma.

Si deve subito precisare che, sin dalla sua comparsa, il genere della SdT non si limita a studiare esclusivamente lo sviluppo storico della teologia tout court, ma si diversifica a partire dal suo orientamento, verso un determinato periodo storico o verso una determinata disciplina teologica. Oltre, infatti, ai compendi di ampie o ristrette dimensioni dedicati alla bimillenaria storia della teologia (= sdt), presentata e analizzata nell'insieme del suo complesso svolgimento, da una parte, vengono pubblicati molti studi interessati in modo specifico alla teologia o dell'età patristica, o del periodo medievale, ecc.,11 dall'altra, compaiono diversi saggi in cui viene approfondita la sdt spirituale, morale, liturgica, ecumenica e così via. Ovviamente, una simile suddivisione -- che rinforza notevolmente i benefici della riscoperta della coordinata storica da parte della teologia (per non parlare della sua importanza in riferimento ad ogni singola disciplina teologica, in quanto ognuna viene sottoposta all'obbligo di una costante ricerca del suo ricentramento epistemologico, che non può non avere come uno dei punti di verifica la propria storia come scienza) -- si nota anche nell'impostazione dei corsi tenuti presso le Facoltà teologiche.

Prendendo in considerazione le esigenze di un piano di studio del ciclo istituzionale -- quelle, cioè, di offrire allo studente una prima sintesi del pensiero teologico, con approfondimenti tematici di tipo introduttivo --, il presente contributo si concentrerà sullo studio della sdt intesa non nella sua divisione in settori, ma nella sua globalità. Parto dal presupposto che un docente della disciplina in questione ha la possibilità e la libertà di impostare il suo insegnamento seguendo diversi percorsi, scelti a seconda delle preferenze personali o dell'obiettivo che si vuole raggiungere. Il fatto è che i risultati raggiunti possono essere anch'essi molto differenti e di varia qualità. I risultati con i livelli più bassi si verificano quando l'insegnamento della sdt si accontenta di una semplice presentazione di un insieme di dati, e di elenchi di nomi di teologi più o meno illustri o di opere teologiche più o meno conosciute. Tale scelta rischia di ridurre lo studio ad una pura raccolta di informazioni, accrescendo la pericolosa presunzione di poter misurare le proprie conoscenze teologiche in base alla quantità delle informazioni raccolte. Ciò che, al contrario, esige lo studio della sdt -- e ciò che porta a risultati di un livello decisamente superiore -- è che esso venga animato e condotto da uno spirito di ricerca attento al senso della storia. A dire il vero, una tale convinzione viene professata da molti autori di recenti opere di SdT, desiderosi di mettere in evidenza l'energia vigorosa e attiva del cristianesimo e del suo pensiero, «pronta ad affrontare compiti sempre nuovi e a ripensare il patrimonio tradizionale».12

Eppure, come viene rilevato da alcuni studiosi, affinché possano emergere di più le potenzialità di contenuto e di prospettiva della SdT -- concepita sia come un tema che come una disciplina --, i passi da fare sono ancora tanti, iniziando dalla ricerca della risposta alle domande di fondo relative sia ai concetti di teologia e di storia messi a confronto, sia all'elaborazione di una metodologia appropriata, che permetta di cogliere la spesso grande complessità degli elementi da studiare e da valutare, assieme alla dinamica del loro reciproco interagire.13 Ed è proprio in questa prospettiva che si inserisce la presente riflessione sul metodo dei modelli storici, fatta con la convinzione che tale metodo, se opportunamente ripensato, è in grado di dare un contributo significativo all'insegnamento e allo studio della SdT.

2. Studiare la teologia in chiave storica

Per poter entrare nel cuore della riflessione sui modelli è necessario rispondere preliminarmente ad una domanda di fondo: quella, cioè, riguardante il significato del genere della SdT e, prima ancora, il significato della storia nello studio della teologia, articolata nelle sue molteplici discipline teologiche. In che cosa consiste tale significato? E qual è il suo effettivo apporto allo studio della teologia in generale? La risposta verrà cercata presso due insigni studiosi della storia del pensiero teologico: il domenicano M.-D. Chenu (1895-1990), noto conoscitore della teologia medievale,14 e il redentorista M.L. Vereecke (1920-), autorevole studioso della teologia morale nel periodo moderno.15

2.1. La centralità del metodo storico globale (Chenu)

Le convinzioni di Chenu circa il ruolo e il significato della coordinata storica nello studio della teologia traspaiono da ogni pagina delle sue opere. Il saggio Introduction à l'étude de saint Thomas d'Aquin (1950), ad esempio, rappresenta un tentativo di superare un approccio puramente documentaristico, per mettere in atto «le risorse soggettive che erano procurate a san Tommaso dal suo stato di vita: come figlio di san Domenico egli partecipa al risveglio evangelico del popolo cristiano attraverso le nuove fraternità in effervescenza per trasformare le strutture e la mentalità di una Chiesa inserita nella feudalità».16 Un simile intento anima La théologie comme science au XIIIe siècle (1927, 1942, 1957), un'altra celebre opera di Chenu. Concentrandosi sui Grandi medievali, il teologo francese è interessato di cogliere nel modo più completo possibile le tappe di sviluppo del loro pensiero: «non solo quelle cronologiche, ma anche le posizioni dottrinali, con le loro difficoltà, le loro opzioni e il loro spirito».17 Per questo sceglie di sostituire a un'analisi successiva dei passi in questione, determinata da una scansione cronologica, una ripartizione in temi tra loro connessi (dalla dialettica alla scienza, retorica e apologetica, intelligenza della fede...), «il cui stesso enunciato individua i punti salienti della riflessione epistemologica».18

Nella stessa linea si pone La théologie au XIIe siécle (1957), considerata un vero e proprio capolavoro. Tale linea viene evocata subito nella Premessa, con le seguenti parole: «Crediamo che la storia debba raggiungere il sottosuolo dei testi, delle controversie, dei sistemi, dei geni stessi, se è vero che il genio è colui le cui parole hanno più senso di quanto non potesse dargliene lui stesso. Essa pretende, per essere degna del suo oggetto, soprattutto se questo oggetto è il pensiero e la vita del popolo cristiano, di cogliere le leggi interne che determinano il clima del secolo e la fede dei credenti; manifesta allora, in questo clima e in questa fede, le consapevolezze collettive che compongono, attraverso le più disparate congiunture, l'unità e le tensioni delle generazioni nel loro divenire. Gli strati geologici diversamente inclinati non dividono i prodotti del suolo che costituiscono, ma ne spiegano l'originale e molteplice fecondità».19 Lo stesso concetto di globalità o di stratiformità della storia viene richiamato dall'autore in occasione della terza edizione italiana dello stesso saggio, quando scrive che quella sua vorrebbe essere una 'storia delle mentalità' che esamini, nello studio della teologia medievale, il continuo incrociarsi degli elementi di tipo mentale e culturale: grammatica, correnti filosofiche, simbolismo, risveglio evangelico, influssi orientali, tecniche pedagogiche, istituzioni universitarie, tradizione e progresso, e così via. Allo stesso tempo, però, Chenu confessa: «Se dovessimo rifare quest'opera, ormai antica, daremmo un posto ancora maggiore al ruolo dei condizionamenti socio-economici, alle evoluzioni delle strutture politiche dal regime feudale ai movimenti comunitari, come riserveremmo uno spazio più largo alla storia delle arti, sia letterarie sia plastiche: esse sono, a loro modo, non soltanto delle illustrazioni estetiche ma dei veri 'luoghi' teologici».20

Riassumendo, si può dire che, con la proposta di un metodo globale, Chenu individua nella sdt un approccio imprescindibile alla comprensione della teologia in quanto tale: dei suoi concetti e dei suoi temi principali, dei suoi illustri protagonisti e delle opere che rappresentano il suo patrimonio. La storia, infatti, è la conditio sine qua non della retta interpretazione, in quanto aiuta a comprendere la genesi delle cose illuminando sulla loro vera natura. Ciò vale anche per la teologia, anche se il suo caso è del tutto particolare: «è il suo stesso oggetto ad includere la dimensione della storia, dato che la parola di Dio, da cui procede il sapere teologico, trova il suo luogo nello sviluppo della comunità che la riceve e la veicola, in una tradizione viva che sarebbe erroneo ridurre ad un semplice deposito».21 Tutto ciò significa che la sdt è da intendere come «parte integrante della teologia stessa», perché è anche grazie ad essa che la teologia può riconoscersi e rinnovarsi come un sapere che «si esprime e si costruisce secondo la logica dell'incarnazione».22 E sta qui, infatti, il grande merito di Chenu, la sua lezione magistrale: nel contribuire, cioè, a far capire «quale intimo e profondo legame vi sia tra il lavoro di una intelligente storia della teologia e la riflessione sulla natura stessa della teologia».23

2.2. La storia e l'arte dell'interpretare (Vereecke)

Per quanto riguarda il teologo redentorista, le sue profonde convinzioni circa la necessità di una costante ricerca della relazione tra teologia e storia vengono sviluppate nell'ambito della teologia morale,24 ma la loro validità è estendibile a tutte le altre discipline teologiche. Convinzioni che, per dirla in sintesi, giungono ad affermare che «la storia della teologia è importante per l'identità stessa della morale teologica, per il carattere storico dell'esistenza cristiana e infine per il valore metodologico di tale studio».25

La sdt è necessaria, prima di tutto, per la stessa scienza morale, in quanto la riconduce alle sue origini. Facendoci assistere alla nascita e alle evoluzioni della morale, ci illumina «sulla sua vera natura».26 La storia, infatti, insegna a saper distinguere tra il centro della morale cristiana, che è il Vangelo con la magna charta della legge di Cristo, e gli elementi culturali che ad esso si sono aggiunti e si aggiungono ancora, in quanto la rivelazione di Dio e la sua trasmissione accadono necessariamente dal di dentro di una cultura, dovendosi così confrontare con la grande complessità di un determinato periodo storico. Un importante presupposto dello studio della teologia morale consiste nel conoscere l'arte del distinguere tra gli elementi essenziali e quelli avventizi in una formulazione morale, e tale arte si può imparare ed esercitare solo a contatto con la storia. Quest'ultima -- spiega Vereecke -- «può risparmiarci innumerevoli anacronismi, aiutarci a distinguere nell'eredità del passato l'essenziale dall'accessorio, a scoprire le modalità e le cause delle evoluzioni; ci mette a disposizione la produzione arricchente delle generazioni passate, soprattutto dei grandi geni; ci suggerisce le leggi generali che possono aiutarci nelle nostre ricerche e nei nostri adattamenti».27

La storia, di conseguenza, illumina la vera natura della teologia morale, mettendo i teologi morali in guardia davanti ad un duplice pericolo. Da un lato, quello di perdere dal proprio centro di interesse la fede viva come realtà normativa della morale, dimenticando che ogni formula o espressione va interpretata, con l'aiuto del magistero della Chiesa e sotto la guida dello Spirito Santo, nella prospettiva di una logica dell'incarnazione. Dall'altro, quello di rimanere incastrati nella trappola dello storicismo. Quest'ultimo, invece, va evitato ad ogni costo, in nome di un'importante convinzione di natura ecclesiale, e cioè che: la «chiesa, nel ricordare le parole del Signore e nell'esplicitare la dottrina di Cristo in un determinato momento storico, può fornire una soluzione definitiva di questo o quel problema morale, una soluzione che sarà valida per ogni epoca». Infatti: «Non tutto ciò che è accaduto nella chiesa nel corso dei secoli è necessariamente accessorio e contingente, ma può godere di un carattere d'assolutezza».28 La storia, dunque, aiuta la teologia morale a riscoprire e a mantenere in atto la sua dimensione paradossale, che la protegge davanti alle riduzioni di ogni tipo.

Un altro importante aspetto della rivalutazione della storia da parte della teologia riguarda, secondo Vereecke, la comprensione del vero significato dei termini, impossibile senza una paziente opera di contestualizzazione e di ambientamento storico. L'importanza di tale operazione è stata ricordata da diversi teologi, tra cui Y. Congar il quale vede nello sforzo di evitare le confusioni terminologiche uno dei motivi principali dell'introduzione della storia nello studio della teologia.29 Non si può dimenticare -- spiega Congar -- che la filologia è «la nutrice della storia» (L. Ganshof) e, quindi, che i termini utilizzati dalla teologia nell'arco di duemila anni non hanno «lo stesso senso, o ad ogni modo lo stesso contenuto o le stesse connotazioni di oggi».30 Vereecke, da parte sua, cita almeno alcuni casi in cui è più che evidente un simile cambiamento semantico. L'espressione 'jus gentium', ad esempio, utilizzata da Francesco de Vittoria in senso diverso rispetto a quello di Tommaso d'Aquino -- cosa non sempre avvertita e riconosciuta dagli studiosi --, n'è «solo un esempio tra mille».31

Secondo il teologo redentorista non c'è nessun dubbio che una profonda conoscenza della storia rappresenti per ogni teologo un percorso obbligatorio da seguire per poter maturare nell'arte dell'interpretare. Grazie ad essa è possibile giungere ad una lettura e una valutazione competenti ed equilibrate del patrimonio semantico dei termini, difendendo la teologia dai controsensi, dagli anacronismi e dagli irrigidimenti mentali che facilmente si evolvono nelle prese di posizione di tipo ideologico.32

2.3. La questione dell'identità della teologia cristiana

Come già accennato, la conoscenza della storia permette alla teologia di riflettere con maggiore rigore sulla sua stessa essenza, cogliendo gli elementi e le dinamiche principali della sua costituzione. Ed è proprio questo uno dei motivi che giustificano a pieno titolo anche l'insegnamento e lo studio della SdT. Secondo I. Biffi, teologo da anni impegnato nell'approfondimento della proposta interpretativa di Chenu, la SdT è in grado di offrire un prezioso contributo alla riflessione sulla natura del sapere teologico, in quanto «discerne le vicissitudini e le peripezie della fede cristiana, individua i suoi condizionamenti, riconosce le sue risultanze culturali e la sua efficacia, identifica i suoi modelli e insieme ravvisa i limiti delle sue differenti espressioni».33 Tutto ciò vale in modo particolare quando il metodo utilizzato è quello 'globale' proposto da Chenu o, in un'altra prospettiva, da Vereecke. Un metodo, cioè, che, ponendo l'accento sulle questioni riguardanti l'identità della fede ecclesiale nel suo progressivo dispiegarsi durante i due millenni della cristianità, permette alla SdT di intravedere le fondamenta della teologia in quanto tale, mettendo a fuoco la sua stessa identità epistemologica o il suo 'carattere tradizionale' (Biffi) quale teologia cristiana o, per essere più precisi ancora, quale teologia cattolica.

La conoscenza di tale identità o di tale carattere non è ovviamente una questione da poco; anzi, si tratta di una questione fondamentale. Basti pensare, ad esempio, al fatto che essa permette al teologo l'acquisizione «di un senso della misura e delle proporzioni, persuadendolo di essere «un nano sulle spalle dei giganti» -- per usare la vivace ed eloquente immagine di Bernardo di Chartres -- e inducendolo a radicare le sue 'novità' e il suo stesso linguaggio dentro una tradizione che ha saputo porre interrogativi e formulare soluzioni non raramente con acutezza e lucidità insospettate, maggiori, comunque, di quelle ovviamente occultate dall'ignoranza della storia».34 Un passivo abbandonarsi alle sintesi e alle interpretazioni generali offerte in modo spesso assai sintetico dai manuali -- che coincide con la rinuncia all'approfondimento delle risorse originali e ad una conoscenza più dettagliata degli elementi che insieme compongono il volto 'tradizionale' della teologia cristiana --, invece, fa cadere nella trappola di un magistero pedagogicamente deleterio: «esso non può che imbricare gli alunni e contagiarli col virus della passiva e ingannevole ripetitività di alcuni moduli linguistici, confusa con la scientificità, di cui è solo la maschera. Da questa non potranno nascere dei veri teologi, allenati all'ardua frequentazione dei classici, al fine non di ripeterli, ma di comprenderli e 'oltrepassarli', secondo il senso dell'immagine dei nani sulle spalle dei giganti».35

Il fatto che lo studio della SdT possa portare ad una maggiore conoscenza dell'essenza stessa della teologia deve essere considerato un dato di massima importanza soprattutto oggi, quando il sapere teologico si presenta frammentato e come tale viene percepito anche dagli studenti del ciclo istituzionale, in difficoltà soprattutto nel momento in cui, al termine del loro percorso di studio, devono compiere una sintesi di quanto appreso. Non pochi studenti di teologia, cioè, pur avendo visto accostare le une alle altre le varie discipline, e i loro contenuti, tuttavia sperimentano una duplice difficoltà: «innanzitutto, quella di acquisire una forma mentis teologica equilibrata e unitaria; in secondo luogo, quella di cogliere e di esprimere il centro della fede approfondito dalla teologia in maniera vitale e rigorosa a un tempo».36 Secondo il parere di J. Ratzinger, la frammentazione della teologia è, comunque, un dato oggettivo che va ben oltre la sola percezione degli iniziati al pensiero teologico. In un certo senso, tutti noi riusciamo solo a stento a riconoscere la teologia come disciplina unitaria. Ci si presenta, infatti, «come un accumulo di discipline specialistiche, la cui connessione è allentata e nella cui associazione i problemi fondamentali circa la razionalità della fede oggi riconoscibile e capace di reggersi rimangono per lo più senza risposta».37 Ciò di cui si ha bisogno, per rimediare a questo stato di cose, è il coraggio di affrontare la totalità della teologia; vale a dire, è richiesta a tutti noi, teologi di professione e studenti, la capacità di preservare, pur nelle specializzazioni, «lo sguardo sull'intero e, muovendo da esso, di conferire anche alle singole discipline il loro specifico senso, che concorre a influire sul loro metodo e sul loro concreto lavoro».38 Per dirla con altre parole ancora: di fronte alla frammentazione si deve oggi osare nuovamente la visione dell'intero della teologia, della sua 'essenza costitutiva'.39

Un simile sguardo «va oltre il compito immediato di fondare la teologia come scienza unitaria e di attribuirle la sua sede secondo la teoria della scienza. Esso comprende anche l'ambito delle religioni, si interroga su ciò che è costitutivo in assoluto per l'esistenza umana».40 Infatti, il raggio della teologia e la sua responsabilità si estendono più largamente, andando oltre le questioni prettamente religiose e confessionali: «Si tratta di comprendere l'uomo, la storia, la realtà in generale».41 Una simile presa di posizione, condivisa da molti teologi, non va certamente considerata un surplus della ricerca e dell'insegnamento della teologia, poiché non sarebbe responsabile voler minimizzare o, ancora peggio, ignorare un duplice problema, oggi sempre più pregnante: il confronto, ormai in atto, tra il cristianesimo e le altre religioni, tra la teologia cristiana e le altre 'teologie'; quello tra il cristianesimo (e, nel nostro caso, la Chiesa cattolica in particolare) e la modernità e la post-modernità. Si tratta di un duplice confronto -- oggi, più che mai, di una rilevanza davvero strategica -- che richiede una matura presa di posizione, al livello delle grandi sfide dei 'segni dei tempi' odierni, e che pone in primo piano la questione del proprium della teologia cristiana (cattolica), da affrontare sul piano sia della dogmatica che dell'epistemologia. Lo sforzo di cercare una soluzione vera e convincente rappresenta un importante presupposto sulla via della maturazione della teologia a strumento efficace, in grado di servire la Chiesa nei suoi dialoghi sia con il mondo e il pensiero moderni, sia con le tradizioni non cristiane.

Per quanto possa sembrare che un simile ragionamento sopravvaluti in modo eccessivo l'aspetto epistemologico, non si può dimenticare, e la storia ce lo insegna, che lo sviluppo della teologia è una questione non solo di interpretazione e di approfondimento dei suoi contenuti (questione dogmatica), ma anche di instancabile ricerca di nuovi metodi e di nuovi linguaggi (questione epistemologica). Di conseguenza, la questione epistemologica è di capitale importanza per l'identità della teologia e della sua natura ecclesiale, e ciò sia ad intra, in riferimento allo sviluppo della dottrina cristiana, sia ad extra, nel confronto di quest'ultima con le dottrine non cristiane. Il punto chiave di tutta la sfida sta, come accennato, nell'imparare a osservare e a conoscere il funzionamento delle strutture portanti e delle dinamiche fondanti della teologia cristiana. Un simile approccio ci permette, da una parte, di cogliere la struttura complessa e stratiforme della teologia come scienza, dall'altra, di conoscere e di attivare i meccanismi necessari per un vero rinnovamento della teologia, da fare in ogni epoca nuova senza tradire la sua identità (il suo 'carattere tradizionale') religiosa e confessionale. Una simile sfida riguarda tutti i teologi di 'professione', ma ad essa non si può sottrarre nemmeno chi si avvicina alla teologia 'solo' da principiante. Anzi, quest'ultimo è invitato in modo particolare ad imparare l'arte dell'interpretare quale presupposto per la maturazione di un pensiero teologico creativo e innovativo, in grado di possedere uno sguardo unitario sulla lunga e complessa sdt e sulla sua complessa e dinamica identità epistemologica.

Le vie che portano ad una tale maturazione possono essere diverse. Fra di esse figura, come ricordato, quella del metodo dei modelli storici, percorsa ormai da tempo da molti autorevoli studiosi della sdt. Si tratta di una via ben conosciuta, ma pur sempre in costruzione.

3. Verso un possibile impiego del metodo dei modelli storici

L'utilizzo del concetto di modello, coniato dal mondo delle scienze naturali,42 è per i teologi ormai un dato di fatto.43 La sua comparsa e la sua ampia diffusione nella teologia sono connesse con lo sforzo di giungere ad una conoscenza sempre più organica e unitaria delle verità della fede, come anche di elaborare una riflessione seria e ben articolata circa lo statuto del pensiero teologico stesso, le sue leggi costitutive e le sue dinamiche interne, i complessi sviluppi e i mutamenti di quegli elementi che ne costituiscono l'essenza.44 Tuttavia, si tratta di un concetto e di un metodo in qualche modo ancora deboli, non sufficientemente incisivi nel processo della riflessione epistemologica in teologia. Una delle cause di tale 'debolezza' sta nel fatto che il termine 'modello' viene spesso utilizzato senza che venga presa in considerazione la sua evidente polisemia -- che esso possiede anche nel mondo delle scienze --, cosa che non può non portare a risultati poco precisi e poco attendibili. Il problema è che vari teologi utilizzano il metodo della 'modellistica' rinunciando a definire che cosa si intenda per 'modello'. E anche se lasciano sottintendere che con esso indicano sia le tappe più significative, sia i casi esemplari o le forme rappresentative del pensiero teologico, non spiegano la loro scelta dei criteri che permettono di stabilire che cosa fa di una realtà un modello, ossia che suggeriscono con chiarezza e rigore scientifico su che cosa si fondi l'esemplarità di un fenomeno preso per modello, e che cosa contraddistingua questo da un altro di natura non esemplare.

3.1. Le molteplici definizioni del concetto di modello

Comunque sia, le differenze nell'utilizzo del termine e, di conseguenza, nella progettazione del metodo dei modelli appaiono anche nel caso in cui i teologi, in vista di un utilizzo epistemologicamente più consapevole del termine, propongono ognuno una propria definizione di quest'ultimo. Le differenze tra le loro definizioni sono dovute a vari fattori, tra cui la scelta delle specifiche prospettive di riflessione, dei differenti oggetti di studio e dei differenti obiettivi da raggiungere.

Nel caso di J. Auer e di I.T. Ramsey, ad esempio, il concetto di modello viene formulato in prospettiva simbolica. Muovendosi nell'ambito della dogmatica, il primo intende per 'modello' un tipo di pensiero o di concettualità di natura paradossale, adatto a esprimere e manifestare in modo comprensibile e chiaro i grandi misteri di Dio. Visto in quest'ottica, il modello appare come «una «strutturata rappresentazione» elaborata come segno di una concretezza sovraindividuale».45 Come il sacramento è imago ut signum, così è anche il modello, poiché esprime e garantisce la verità teologica senza pretesa, però, di essere una sua testimonianza esaustiva e definitiva. Questa natura simbolica e paradossale del modello è la stessa del dogma che, dunque, può esser definito anche come un 'pensiero-modello' (Modell-Denken).46

Nella stessa prospettiva, inserita nell'ambito dell'ermeneutica biblica, sviluppa il suo concetto di 'modello' Ramsey, con l'intenzione di proporre la categoria di modello come uno strumento ermeneutico moderno, adatto per una nuova e più attuale interpretazione della Scrittura.47 I 'modelli' (da lui chiamati disclosure models) indicano i modi di evocare una conoscenza spirituale o analogica, con un impatto prima di tutto esistenziale. Tra gli esempi di una tale comprensione del modello, Ramsey cita le parabole di Gesù. Esse sono uno strumento perfetto di insegnamento circa le verità necessarie per l'esistenza umana, conoscibili anche al di fuori di una logica razionale.48

Un'altra definizione di modello troviamo in Models of the Church (1974) 49 e in Models of Revelation (1983) di A. Dulles, autorevole esponente della teologia nordamericana. Ponendosi nella prospettiva di una teologia della Rivelazione, egli elabora la sua definizione alla luce dalla teoria della classificazione tipologica introdotta nella teologia da E. Troeltsch e H.R. Niebuhr.50 Secondo quest'ultimo, il 'tipo' è una sorta di ipotetico schema costruito sulla base dei fatti concretamente accaduti (individuali o collettivi), che permette di gettare uno sguardo di interpretazione e valutazione sulla storia. Nonostante i limiti del metodo della tipologia per una lettura del cristianesimo, la sua importanza è innegabile. Consiste nel richiamare l'attenzione sulla continuità e sul significato dei grandi temi apparsi e riapparsi durante l'incessante confronto dei cristiani con le perduranti difficoltà di vario genere.51 Riferendosi più specificatamente alla teologia, Dulles comprende la costruzione di un 'tipo' come operazione di astrazione che, partendo dalle elaborazioni teologiche dei singoli teologi, si muove «dal particolare all'universale, dal concreto all'astratto, dall'attuale all'ideale».52 Ogni 'tipo' costituisce perciò un tentativo o di semplificazione o di schematizzazione e, in quanto tale, rappresentando cioè uno schema o un caso ideale, può esser chiamato modello. Prendendo poi in considerazione il tema della Rivelazione e delle diverse teologie della Rivelazione elaborate nel XX secolo, e lasciandosi ispirare da I.G. Barbour, Dulles ad una tale comprensione del modello ne aggiunge un'altra: quella che vede nel 'modello' non solo uno schema prototipico di una determinata teologia della Rivelazione, ma anche un vero e proprio 'modello teoretico' della Rivelazione stessa, che giace nel cuore di un tale tipo di teologia. Alla luce della distinzione che Barbour fa tra il 'modello sperimentale' e il 'modello teoretico', Dulles definisce il modello un'immagine mentale costruita partendo da un fenomeno osservato, utile per elaborare una teoria in grado di offrire un approfondimento maggiore del fenomeno. Egli spiega: «Ricorrendo all'analogia si può dire che il modello teologico è per la religione lo stesso che il modello teoretico per la scienza». Infatti, come «i modelli teoretici della scienza, nemmeno i modelli teologici possono provare la verità di ciò che essi sostengono, ma aiutano a creare ipotesi che successivamente vengono verificate con criteri teologici, includendo il criterio di teologia fondamentale».53

B. Lonergan definisce la nozione di modello nel contesto di una riflessione ancora più specificamente epistemologica. Secondo il gesuita canadese, i «modelli stanno alle scienze umane, alle filosofie, alle teologie pressappoco come la matematica sta alle scienze naturali».54 Essi, cioè, non sono da intendere come semplici ipotesi circa la realtà, né come descrizioni della stessa, ma come insiemi interconnessi di termini e relazioni fondamentali, utili per guidare le indagini, per formulare ipotesi e per fare descrizioni. Con 'termini e relazioni fondamentali' ci si riferisce alle componenti transculturali della vita e dell'azione umana di validità eccezionale. Compreso in tale ottica, il modello appare di grande utilità soprattutto per chi indaga, e ciò in un duplice senso: «o gli può fornire una traccia di fondo che fa realmente a caso, oppure può rivelarsi in larga misura irrilevante, e tuttavia la scoperta di questa stessa irrilevanza può essere l'occasione per trovare delle tracce che altrimenti sarebbero sfuggite».55 La formulazione dei modelli e la loro accettazione generale facilitano, inoltre, la comunicazione delle conoscenze relative alla realtà sottoposta all'indagine.

Assieme alla proposta di Dulles, la riflessione dal punto di vista epistemologico più completa e più originale circa i modelli e i criteri della loro cristallizzazione storica è stata sviluppata da C. Vagaggini.56 Muovendosi nella prospettiva di una ricerca storica sullo sviluppo del pensiero teologico e con l'intento di individuare ed analizzare i grandi modelli epocali di teologia ed elaborare l'ipotesi di un nuovo modello, egli parte dalla convinzione che la conoscenza e l'analisi di questi modelli siano capitali non solo dal punto di vista storico, ma prima di tutto dal punto di vista epistemologico, in quanto invitano a una maggiore comprensione delle dinamiche fondamentali e delle strutture costitutive della teologia quale scienza di fede. Per dirla con le parole di Vagaggini: «La costanza del fenomeno» -- che è proprio ciò che caratterizza un modello epocale -- «rimanda a una sua radice ontologica che ne deve essere la fonte».57 Ciò che fa di un fenomeno, ossia di una corrente o di una forma di pensiero teologico, un grande modello epocale sono il suo affermarsi e la sua incisività nel mondo della teologia di una certa epoca. Ma il costituirsi di ogni modello è determinato, dal punto di vista epistemologico, soprattutto dalle preferenze, da parte dei singoli teologi o di una determinata scuola di teologia, date ad uno dei due elementi di una serie di coppie antitetiche che rimandano alla struttura bipolare dell'oggetto della teologia e «dello stesso spirito umano che cerca di penetrarlo: ossia rimandano al mistero. Questo mistero, o struttura multi-bipolare dell'essere e dell'agire, l'uomo non può che costatarlo in tutte le sue ricerche a tutti i livelli».58

Vagaggini individua le seguenti coppie antitetiche: io -- alterità; soggetto -- oggetto; storia -- ontologia (o metastoria); esperienza vitale globale (intuizione, affetto, volontà, prassi) -- concetto; scienza aristotelica -- scienza moderna; scientia sui ipsius gratia -- scientia alterius gratia; funzione irenica espositiva -- funzione apologetica nella scienza; ma ovviamente non dimentica le coppie come fede -- ragione, oppure Scrittura opera divina -- Scrittura opera umana.59 La nascita di un modello è, dunque, da intendere come risultato di una scelta che, determinata dalle situazioni storiche, culturali e vitali, valorizza «assai più uno dei due termini delle consuete antitesi stimandolo almeno ormai insufficientemente valorizzato nel modello antecedentemente imperante».60 Alla luce di una tale concezione di modello, Vagaggini giunge ad individuare tre grandi modelli storici della teologia: «quello gnostico-sapienziale della Bibbia e dei Padri; quello incentrato sull'ideale entitativo metafisico delle cose rivelate sulla scia, almeno pratica, del concetto aristotelico della scienza concretizzato nella sua dialettica e nella sua metafisica: modello che fu proprio della grande scolastica, della seconda scolastica speculativa postridentina e della neoscolastica tomista; quello apologetico-storico delle fonti, proprio della positivo-scolastica postridentina e della manualistica (thesis... probatur), imperante fino al Vat[icano] II».61

Un recente contributo alla riflessione sul concetto di modello e, in particolare, sulle modalità del suo utilizzo in ecclesiologia viene offerto da S. Dianich. Convinto dell'attualità di tale concetto, il noto ecclesiologo distingue tra due usi assai diversi del modello: «si danno modelli che vengono approntati per lo studio di un certo oggetto e, in questo caso, possiamo parlare di modelli euristici, oppure si parla di diversi modelli per indicare le diverse forme che i risultati delle ricerche, una volta completate, assumono». Per dirla in altri termini, occorre distinguere «il modello "in sé" e il modello "per qualcuno", il modello "di qualcosa" e il modello "per qualcosa", il modello "di come accade qualcosa" e il modello "per far accadere qualcosa"».62 Quanto all'ecclesiologia, Dianich opta per il 'modello euristico', in quanto permette di osservare più da vicino l'ontogenesi stessa della Chiesa, ossia rende possibile lo studio di quel «principio dal quale si origina e si sviluppa la struttura ecclesiale, sia dal punto di vista misterico che da quello istituzionale».63 Si tratta di un 'principio' dal quale le altre parti della realtà studiata (= la Chiesa), colta nella sua complessità, traggono la ragione del loro esserci e del loro essere quelle che sono e così come sono.

3.2. Il problema delle differenti mappe dei modelli storici

Penso sia sufficiente questa breve esposizione per dimostrare che il concetto di modello ha una grande varietà di significati. Ciò fa capire che ogni utilizzo del termine esige necessariamente un chiarimento previo circa la prospettiva in cui esso si inserisce e il significato che gli si attribuisce. Il fatto è che le divergenze appaiono anche in casi in cui la prospettiva tematica adoperata è uguale. Mi riferisco all'utilizzo del nostro termine in relazione alla ricerca dei modelli comparsi durante la sdt, utilizzo che, come già rilevato, coincide con l'elaborazione delle differenti mappe dei modelli, disegnate secondo una diversa interpretazione della 'simbologia topografica'. Oltre agli esempi su ricordati, voglio menzionare altre tre elaborazioni di 'mappe dei modelli': quelle proposte da M. Seckler, G. Lafont e P. Coda.

Seckler disegna una mappa con tre principali modelli, intesi come triplice configurazione dell'idea fondamentale della teologia. Il primo è il modello di una teologia dell'/nell'annuncio, dove quest'ultimo viene concepito come «annuncio narrativo di Dio di tipo biblico (o greco antico)».64 Il secondo modello è quello di una teologia fondata sulla ragione, ossia basata sul «controllo critico della ragione nei confronti del discorso su Dio», assieme allo «sforzo, guidato dalla ragione, per conoscere il divino».65 Il terzo, invece, è il modello di una teologia sapienziale quale «contemplazione intellettuale nell'ambito interno del mistero salvifico».66 Seckler invita a interpretare la sdt come storia delle molteplici trasformazioni della configurazione di questi tre modelli strutturali. Nel senso che ogni nuovo fenomeno teologico, come ad esempio quello della teologia scientifica, non è altro che il risultato della trasformazione della configurazione dei tre e, quindi, non si tratta in nessun caso di un quarto modello. Dunque: «Se ci si può augurare una «forma normativa di teologia cristiana», questa non dovrebbe consistere nella predilezione esclusiva di uno solo di questi [modelli], bensì nella coesistenza pacifica o antagonistica di tutt'e tre».67

Un'altra mappa dei modelli storici viene disegnata da Lafont. Anche lui parla dei tre grandi modelli, individuati, però, secondo un'altra chiave interpretativa: quella che riconosce in Agostino, Dionigi Areopagita e Tommaso d'Aquino le tre principali matrici del pensiero teologico. Il modello agostiniano è caratterizzato da tre orientamenti di base: la ricerca di interiorità (illuminazione, carità, umiltà), l'uso di immagini spirituali (il principio di analogia) e la visione diffidente della realtà umana (il ruolo determinante del peccato). Tra i teologi fedeli a questo modello, Lafont nomina Bernardo, Bonaventura, Lutero, Pascal, ma anche H.U. von Balthasar e G. Gutiérrez.68 Del modello dionisiano, invece, è tipica una costituzione paradossale, in quanto esso si fonda su tre elementi coesistenti e al tempo stesso incompatibili: il concetto di indicibilità di Dio (silenzio), l'idea positiva della ragione, la centralità del simbolo. Di conseguenza, esso contiene in sé tre importanti principi metodologici: il principio di corrispondenza (analogia), il principio matematico (analogia dei numeri) e il principio dialettico (armonia dei contrari). Al modello dionisiano si sono ispirati, tra gli altri, Scoto Eriugena, i maestri della Scuola di Chartres, Thierry e Gilberto Porretano, Alberto Magno, Meister Eckhart, Nicolò Cusano, come anche Giovanni della Croce e i teologi della mistica renano-fiamminga del XIV secolo.69 E, infine, vi è il modello tommasiano, caratterizzato da una razionalità che non è né enciclopedica e provvisoria, né simbolica e matematica, ma organica, ossia speculativa e contemplativa insieme. Si tratta di un modello di teologia come scientia, articolata secondo l'ordine del reale e in unione contemplativa con la Scientia Dei. Molti sono i teologi attratti dal modello tommasiano. Purtroppo, la maggior parte di loro si è limitata a commentare semplicemente il pensiero del Doctor Angelicus, senza cogliere in pieno l'ispirazione su cui esso si fonda.70

Attingendo alle ricerche sui principali modelli epocali di Vagaggini, la mappa disegnata da Coda contiene i seguenti tre modelli: il modello gnostico-sapienziale; il modello scolastico medioevale e positivo-scolastico (controversistico) dell'età tridentina e post-tridentina; il modello storico-ermeneutico dell'età moderna e contemporanea.71 Il primo, tipico dei Padri della Chiesa, rappresenta una teologia animata da una percezione globale del sapere, dell'atteggiamento e del sentire religioso scaturiti da un'intensa esperienza di fede quale incontro con la Verità viva e deificante. Il secondo modello è quello di una teologia speculativa quale disciplina della ratio argomentativa a partire dagli articula fidei. Il terzo è il modello di una teologia che recupera l'originalità della Rivelazione cristiana nella sua figura cristologica e che, riconoscendo la storicità della ragione, adopera il metodo ermeneutico.

La diversità tra le varie mappe dei modelli emerge in modo particolare quando si tratta di individuare il modello attuale di teologia. Interpretando la storia teologica del XX secolo, e in particolare il rinnovamento della teologia sancito dal Concilio Vaticano II, Vagaggini ipotizza la nascita di un modello che rassomigli in molti punti a quello gnostico-sapienziale dei Padri.72 Coda, come appena ricordato, constata il progressivo emergere di un modello insieme gnostico-sapienziale («nel senso che recupera la dimensione tipica della teologia dei Padri come sapienza scaturente dalla vita di fede della chiesa, intendendo restaurare in particolare il rapporto con la spiritualità come sorgente e dimensione intrinseca della teologia») e storico-ermeneutico («nel senso che ha una consapevolezza più radicale della rivelazione come evento storico, della struttura «narrativa» della registrazione-trasmissione di quest'evento e della condizione storica e relazionale-dialogica dell'esercizio della ragione teologica»).73 S. Pié-Ninot, invece, individua tre principali modelli di teologia postconciliare: il modello della teologia formalista,74 il modello della teologia interpretativa75 e il modello della teologia contestuale.76 Mentre F. Schüssler Fiorenza, piuttosto che parlare di un modello epocale vero e proprio, indica la presenza di cinque 'tipi ideali' nella teologia contemporanea: trascendentale, ermeneutico, analitico, correlativo e, infine, della teologia della liberazione.77 Al concetto e all'ipotesi di un modello epocale rinuncia anche R. Gibellini il quale, seguendo una metodologia prospettivistica, individua nella teologia del 'secolo breve' quattro movimenti che, a suo avviso, «caratterizzano la tipologia del far-teologia, senza esaurirne impianto, tematica e contestualità»: teologie dell'identità, teologie della correlazione, teologie politiche e teologie dell'era della mondializzazione.78

3.3. La necessità di una criteriologia

L'esistenza di differenti mappe dei modelli storici potrebbe essere percepita come un problema soprattutto da chi sta agli inizi dello studio teologico, in quanto le diverse proposte di lettura e di interpretazione della sdt potrebbero rendere più difficile lo sforzo di giungere ad una concezione unitaria di quest'ultima. La soluzione del problema non sta certo nell'eliminare il metodo dei modelli, quanto piuttosto nel fornire, assieme ad ogni mappa, una serie di spiegazioni circa la metodologia seguita nella creazione della mappa stessa, definendo in modo univoco la sua 'legenda'. Parimenti, però, è opportuno che si faccia un ulteriore passo nella riflessione sul modello e sulla possibilità di stabilire, in una prospettiva metodologica generale, i criteri del suo utilizzo in teologia. Lo scopo di un tale tentativo non dovrebbe consistere nell'impedire che il concetto di modello venga usato con accezioni diverse e in modo differente -- un tale uso, infatti, ha la sua importanza e giustificazione --, ma nel portare a maggior chiarezza un metodo scientifico (quello dei modelli, appunto) che, nel caso contrario, rischia di essere appiattito a livello di semplici analogie ed evocazioni cosicché, del modello, non rimanga altro che il nome.

Quanto all'utilizzo del modello nella prospettiva di una storia teologica generale -- non limitata, cioè, né ad un solo periodo né ad una singola disciplina --, si può constatare che le differenze, su ricordate, nell'individuare i modelli storici di teologia sono dovute sia al differente grado o livello di astrazione di ognuna delle mappe dei modelli sia alla scelta di una determinata prospettiva adoperata come orizzonte ermeneutico di uno specifico 'rilevamento topografico'. Ogni nuova scelta prospettica fa nascere una nuova 'mappa dei modelli'. Di conseguenza, il numero di prospettive da prediligere, e di conseguenza delle nuove 'mappe', è molto alto. Ci possono essere prospettiva attente al rapporto tra teologia e Scrittura (i modelli legati ad un determinato modo di interpretazione della Scrittura),79 tra teologia e filosofia (i modelli che si diversificano in base alle preferenze per una determinata filosofia), tra teologia e carismi (i modelli individuati in riferimento al radicamento di una teologia nella spiritualità dei grandi santi, fondatori e mistici), tra teologia e scienza (i modelli di teologia determinati dai diversi concetti di scienza elaborati lungo la storia della ricerca scientifica), tra teologia e un determinato concetto di Dio o di Rivelazione (cfr. le ricerche di Dulles)..., senza parlare delle prospettive determinate dalla specificità delle singole discipline teologiche (i modelli di teologia morale, di ecclesiologia, di ecumenismo, di teologia fondamentale...).

È chiaro che ognuna di queste prospettive, a cui se ne potrebbero aggiungere tante altre ancora, rappresenta un particolare tipo di interpretazione della sdt, in quanto si concentra solo su qualcuno degli aspetti dello sviluppo teologico. Di conseguenza, è altrettanto evidente che ogni tentativo di elaborare una mappa dei cosiddetti modelli storici o epocali è anch'esso determinato dalle scelte prospettiche contenute implicitamente nel concetto che si ha di 'storico' e di 'epocale'. Ciò, quindi, spiega perché una determinata mappa possa cogliere e rappresentare solo alcuni dei molteplici aspetti della complessa essenza della teologia, qualunque sia il grado di astrazione che tale mappa contiene.

Le ultime parole non vogliono essere solo una battuta, ma con esse intendo specificare un altro importante aspetto metodologico. Interrogandosi, infatti, sui criteri della composizione di una mappa dei modelli storici non si può non accennare alla questione dei differenti gradi di astrazione. Vi è, tra i teologi, una diffusa tendenza a raggiungere i livelli più alti possibili di astrazione per poter elaborare mappe dei modelli che tendano ad una lettura globale della sdt e dei suoi cambiamenti epocali. Il problema è che, a causa dell'elevato grado di astrazione, tali mappe corrono il rischio di semplificare fin troppo la complessa realtà dello sviluppo teologico, recintandola entro la sola logica di un continuo susseguirsi dei grandi modelli storici. Logica che, partendo dall'idea del dominio di un solo modello in una determinata epoca storica, tende ad escludere una lettura parallela della storia, assolutamente necessaria per poter cogliere la sua costante complessità o pluralità intra- o inter-teologica. Questo tipo di procedimento logico è rinvenibile, ad esempio, nella mappa dei modelli proposta da H. Küng, ben conosciuto proprio per il suo contributo alla riflessione sui modelli o 'paradigmi'. Nonostante il teologo svizzero riconosca giustamente come «in un unico paradigma vi sia la presenza di più teologie»,80 la sua 'mappa dei modelli', identificando la storia dello sviluppo della teologia con il susseguirsi dei mutamenti epocali, sintetizza i duemila anni di teologia in otto principali modelli o 'macroparadigmi': il modello paleocristiano apocalittico (o giudaico-apocalittico del cristianesimo originario), ellenistico della chiesa antica, cattolico-romano medievale, protestante-riformato, cattolico-romano controriformato, protestante ortodosso, illuministico-moderno (o orientato nel senso razionale e progressivo della modernità), ecumenico-contemporaneo (o ecumenico della post-modernità).81

Il problema di una simile mappa è la presunzione di una lettura complessiva ed esauriente. Il fatto è, e gli storici della teologia lo hanno già testimoniato in molte preziose opere, che i mutamenti epocali e i cambiamenti dei modelli/paradigmi sono da intendersi non come evento 'monologico' puro ed eterogeneo, ma piuttosto come interazione complessa e ampia di un'estensione che coincide con quella dello stesso cristianesimo, interazione sempre in evoluzione. Da questo punto di vista, tornando ancora a Küng, risulta molto riduttivo voler sintetizzare la ricchezza della teologia medievale in un unico modello o macroparadigma, definendolo come «cattolico romano medievale» -- di stampo scolastico-tomista --, e ignorando del tutto un altro importante modello dello stesso periodo: quello nominalista che, come dimostrano le accurate ricerche di Vereecke, dominò il mondo della teologia per più di centocinquanta anni.82

Allo stesso tempo diventa anche evidente che, quanto più elevato è il grado di astrazione di una mappa, tanto più è alto il rischio di enfatizzare le somiglianze tra gli stili teologici o le teologie di una determinata epoca, mettendo in ombra le loro reali, e spesso grandi, differenze. Il concetto di «modello ellenistico della chiesa antica», ad esempio, è abbastanza cosciente del fatto che, malgrado le convergenze esistenti, vi è una differenza, di carattere epistemologico, tra la teologia di Ireneo e quella di Origene, la teologia di tradizione antiochena e quella alessandrina, la teologia di Tertulliano e quella dei Padri cappadoci, la teologia di Agostino e quella di Dionigi Areopagita, la teologia di Gregorio Magno e quella di Massimo il Confessore o di Giovanni Damasceno...? Un'astrazione troppo elevata tende necessariamente a produrre un modello che rischia di essere puramente virtuale.83 Questo rischio aumenta ancora di più se si pensa di elaborare 'modelli universali', come frutti di una lettura storica trasversale (ad esempio: il modello di teologia negativa, il modello di teologia narrativa, il modello prassistico..., rinvenibili in diverse epoche storiche).84

Il metodo delle 'mappe dei modelli' funziona solo se si tiene presente che ogni modello è determinato sostanzialmente dal contesto in cui nasce e si sviluppa, e che tutto ciò che sembra essere una sua variante, comparsa in un'epoca successiva, è da considerarsi un nuovo modello in cui si rispecchia un contesto storico ormai decisamente cambiato rispetto a quello precedente. Se tale metodo non evidenzia abbastanza il legame tra il modello e il contesto, si rischia davvero di produrre una mappa poco attenta alla verità storica, con una tendenza a sorvolare le complessità del 'territorio' studiato.

3.4. Il tentativo di una proposta

Prendendo in considerazione le mappe dei modelli a cui avevo fatto cenno e cercando di valorizzare le intuizioni ivi contenute, voglio suggerire alcune idee, nella prospettiva di un ripensamento del metodo dei modelli, tentando di offrire una proposta per un possibile impiego della modellistica in teologia.

Parto dalla convinzione, espressa da alcuni studiosi, secondo cui l'essenza della teologia, ossia il vero volto della sua complessa identità epistemica come intellectus o scientia fidei, possa essere intravista e studiata in modo particolare nei momenti critici della sua storia: quelli dei numerosi confronti/scontri tra le teologie di un determinato periodo o delle progressive e costanti sostituzioni di una corrente teologica (di spessore esemplare) all'altra. Si tratta di sostituzioni che, nella gran parte dei casi, coincidono non solo con la ricerca di nuove soluzioni dogmatiche o pratiche morali e pastorali, ma anche con la ricerca di nuovi metodi e linguaggi. Che queste sostituzioni, realizzatesi vuoi in modo spontaneo vuoi come esito finale di una situazione di conflitto tra le posizioni antagoniste, siano un fenomeno costante della sdt è un dato di fatto. Ciò che interessa è conoscere le loro vere e molteplici cause, sapere perché si sono ritrovate in una situazione di crisi anche le correnti teologiche dominanti e ben consolidate, individuare le dinamiche interne ed esterne di tali momenti di rottura...85 Più si riesce a penetrare nei meandri di questi momenti di svolta presenti in ogni periodo della storia teologica, più si è capaci di cogliere il funzionamento dei 'meccanismi interni' della teologia stessa e, di conseguenza, di elaborare un giudizio di valutazione maturo e equilibrato circa quello che è il suo status attuale. Che il raggiungimento di un tale traguardo sia da considerare il miglior esito di un cammino di formazione teologica, questo è un dato che non necessita di nessun commento.

Un'altra importante precisazione riguarda il concetto di modello. Se esso viene utilizzato con un significato non sufficientemente circoscritto ('paradigma epocale', 'stile teologico', 'forme rappresentative' di teologia...), senza una previa definizione, in quel caso una mappa dei modelli storici si presenta come uno strumento 'debole', il cui uso viene accompagnato da domande come: quali sono e da che cosa dipendono i criteri che ci permettono di parlare di un modello? Dipendono dall'incisività del contributo che esso aveva dato allo sviluppo della teologia (dal punto di vista della dogmatica, della morale, della spiritualità...)? dalla sua diffusione? dal numero di adesioni ad esso? dalla lunghezza del suo permanere sulla scena teologica? dal grado del suo influsso?... Ogni mappa dei modelli storici costruita senza una precisa e verificabile criteriologia limita necessariamente l'efficacia del suo utilizzo. Anzi, essa rischia di diventare uno strumento non solo poco utile, ma persino fuorviante, soprattutto se viene utilizzato con la pretesa di offrire uno sguardo di sintesi su tutta la storia teologica. La situazione cambia radicalmente, invece, se la scelta dei modelli, la loro individuazione e l'ordine di presentazione vengono eseguiti secondo un unico criterio.

La mia proposta86 di una mappa dei modelli parte dalla consapevolezza -- acquisita studiando lo sviluppo semantico del termine 'teologia'87 e confermata dalle intuizioni di Vagaggini -- che la teologia, ossia la realtà della sua essenza, è legata alla presenza o assenza di alcuni elementi strutturali di fondamentale importanza epistemologica. Basta esaminare i molteplici concetti di teologia comparsi nella sdt -- trascritti in modo sintetico per mezzo di classiche espressioni come intellectus fidei, auditus fidei, fides quaerens intellectum... -- per poter identificare questi elementi con la Scrittura, la Tradizione, la fede, la ragione, l'autorità (o il magistero), il sensus fidelium e altri ancora. Tutti questi elementi non solo fanno parte del nucleo costitutivo della teologia, ma insieme determinano sostanzialmente la nascita e lo sviluppo delle forme storiche di cui esso viene rivestito.

Quest'ultima affermazione rappresenta un altro importante presupposto su cui si basa la proposta qui abbozzata. Essa vuol dire che la nascita di ogni nuova forma del pensiero teologico viene determinata dal tipo di relazione che si crea tra gli elementi strutturali, ovvero dal posto che ad ognuno di essi viene assegnato all'interno della nuova composizione. Dire ciò significa: da una parte, dar ragione a Vagaggini quando sostiene che l'identità di ogni modello storico è determinata dalla maggiore o minore valorizzazione di uno dei molteplici elementi organizzati in coppie e presenti nel nucleo costitutivo della teologia; dall'altra, comprendere la composizione di tale nucleo non solo come un insieme costituito dalle coppie degli elementi antitetici, ma prima di tutto come un insieme di relazioni tra tutti questi elementi-coppie, ossia come una specie di 'costellazione' che rappresenta il raggiungimento di un certo tipo di equilibrio o squilibrio relazionale tra di essi. Ogni nuova costellazione è contrassegnata, al suo interno, da una specifica tensione relazionale, determinata sia dal predominio -- maggiore o a volte totale -- di un elemento o di più elementi sugli altri, sia dal significato attribuito ad ognuno di essi da un determinato tipo di interpretazione.88

Se tutto ciò è vero, allora il procedimento che suggerisco nell'elaborazione di una mappa dei modelli storici è il seguente: a) scegliere alcune coppie degli elementi strutturali (Scrittura e Tradizione, fede e ragione...); b) analizzare le molteplici varianti del loro reciproco rapportarsi (studiate sia sull'asse antitetica bipolare che nella prospettiva dell'insieme di tutti gli elementi), concentrandosi in particolare su quelle che sono maggiormente significative per l'epistemologia teologica, in quanto connesse con l'elaborazione dei nuovi metodi, ecc. Ognuna di queste variazioni, verificatesi nella storia, può essere chiamata un 'modello', inteso, appunto, come forma esemplare di una determinata costellazione di elementi di vitale importanza per la teologia. L'insieme dei modelli individuati può essere chiamato una 'mappa dei modelli'. Volendo creare e utilizzare tale mappa, non è necessario che vengano inclusi tutti gli elementi strutturali. È possibile, e ha un senso (soprattutto per un utilizzo didattico), costruire una mappa a partire anche da una sola coppia di elementi antitetici -- messi, cioè, in primo piano rispetto a tutti gli altri (che comunque non possono essere mai ignorati) --, per poter studiare la dinamica del suo sviluppo e delle sue metamorfosi storiche. Nel caso di tale legittima limitazione, è possibile penetrare meglio nelle profondità del meccanismo interno della coppia prescelta, intravedendo la sua complessità interna. Ovviamente, più alto è il numero delle coppie di elementi strutturali, più completo risulta il quadro complessivo offerto dalla mappa dei modelli.

Vi è, però, un importante punto da tenere presente, assieme alla criteriologia proposta, nella costruzione di una mappa dei modelli: quello riguardante il ruolo determinante del contesto. Il nostro studio di una determinata costellazione degli elementi strutturali, identificata con un determinato modello storico, non può dimenticare l'esistenza di uno stretto legame tra tale costellazione e il contesto in cui essa nasce e si sviluppa. La coordinata di contesto -- da intendere nella sua complessità insieme geografica, socio-culturale, intra/interecclesiale e così via -- è una delle coordinate di base da prendere necessariamente in considerazione per un migliore orientamento all'interno dell'universo teologico. E per questo il contesto può essere considerato una costante di valore paradigmatico (di conseguenza vale che il 'paradigma = contesto' è più di un modello), seppure non si debba certo dimenticare che il suo influsso si verifica sempre per mezzo di mediazioni, facendo i conti con le peculiari condizioni della soggettività individuale (il teologo) e/o collettiva (la scuola teologica). Vi è, da una parte, il contesto di valore paradigmatico quale insieme di una concreta situazione storica; dall'altra, una sua mediazione soggettiva determinata da una concreta esperienza di vita e di fede, di un singolo o di un gruppo. Ogni nuovo contesto globale può portare alla nascita di più modelli teologici, e ciò proprio a causa della variante rappresentata dalla soggettività che media, in modo determinante, l'influsso del contesto sul processo di cristallizzazione del plesso relazionale degli elementi strutturali.

Nel caso della mia mappa dei modelli storici, elaborata con l'intenzione di introdurre gli studenti del ciclo istituzionale nel nucleo 'vivo' della teologia, prendo in considerazione solamente quattro elementi: Scrittura e Tradizione, fede e ragione, riconoscendoli come sufficienti per il funzionamento del metodo prescelto e per raggiungere lo scopo, seppur sempre parziale, della sua dimostrazione. Basandomi su di essi, cerco di individuare i 'casi' storici più originali e rappresentativi delle numerose tipologie del loro reciproco relazionarsi. A mio avviso, non è necessario che venga monitorato dettagliatamente tutto il 'terreno' della sdt e che si cerchi di arrivare ad una sua visione esaustiva. La comprensione di ogni singolo 'caso' o modello, e delle ragioni e delle dinamiche della sua singolare costituzione, rappresenta già un passo in avanti verso la costruzione di una mappa che, in ogni caso, è e rimane solo uno strumento provvisorio, sempre nuovamente da rivedere e da completare.

Alla luce di tutto ciò, i passi concreti da fare per proseguire nella costruzione di una mappa dei modelli storici sono: (a) scegliere alcuni periodi storici di grande importanza per lo sviluppo della teologia, che serviranno da 'terreno' su cui verrà effettuata la ricognizione dei modelli; (b) studiare i tratti paradigmatici di ognuno dei periodi scelti; (c) ricercare in ogni determinato periodo storico i modelli più rappresentativi, come specifiche ed esemplari cristallizzazioni della specifica combinazione dei quattro elementi strutturali; (d) mettere a confronto i modelli attivi nella stessa epoca, studiando le ragioni delle loro divergenze che rappresentano o una situazione di tensione e di confronto/scontro tra di loro, o una causa di sostituzione dell'uno con l'altro. Quanto al periodo patristico, propongo uno studio comparativo del modello ariano-eunomiano e di quello cappadoce; del modello agostiniano, del modello boeziano e di quello dionisiano. Quanto, invece, al Medioevo, è doveroso studiare il modello scolastico assieme al modello di teologia monastica (in Occidente) e al modello esicasta-palamita (in Oriente). Mentre il periodo del Rinascimento dà la possibilità di mettere a confronto il modello di Lutero, il modello nominalista e quello della scolastica barocca. L'età moderna, poi, permette il confronto tra il modello della teologia manualistica, il modello di teologia liberale e il metodo ortodosso-slavofilo. Concentrando l'attenzione al plesso relazionale dei quattro elementi, la scelta dei periodi storici e dei modelli qui proposti è ovviamente molto limitata e necessariamente saltuaria, ma non per questo poco istruttiva.

Una mappa dei modelli costruita secondo una precisa criteriologia fa vedere che la teologia è una realtà complessa e costantemente viva, in quanto rappresenta un insieme di mediazioni e interpretazioni, che riconduce al concreto e soggettivo evento storico di una fede vissuta e raccontata.

4. Conclusione: verso una 'forma mentis' creativa

Sono convinto che lo studio teologico nella prospettiva storica, orientato ad una conoscenza più profonda del nucleo costitutivo della teologia e impostato secondo il metodo dei modelli, possa dare molto a chi si sta addentrando nel mondo della bimillenaria esperienza teologica. Esso fa capire, ad esempio, che non vi è mai stato un modello che si connotasse quale l'unico e il più perfetto rappresentante 'ufficiale' della Chiesa, ma che sempre e in ogni epoca la teologia si è espressa in diversi e molteplici forme e stili, influenzati: dalla varietà dei contesti in cui essa si sviluppa; dal susseguirsi dei sempre nuovi eventi storici e dal mutamento del clima culturale, con i quali essa e la Chiesa in generale si confrontano; dalla differente formazione intellettuale e spirituale e dalle differenti condizioni di vita e di impegno teologico dei suoi autori.89 In altre parole, la storia, con l'aiuto del metodo dei modelli, insegna che il pluralismo è un tratto essenziale e legittimo della teologia, da intendere non come un segno di decadenza o un male da evitare, ma come un dato cui non si può mai rinunciare, se si vuole rimanere fedeli all'identità per così dire 'tradizionale' della teologia stessa.90 Tale insegnamento ci è stato trasmesso da molti teologi, sia del presente che del passato, tra cui, già nella prima metà del XV secolo, Eimerico di Campo (van der Velde) 91 o Nicola Cusano. Quest'ultimo, nel De filiatione Dei, scrive: «Chi frequenta una scuola di teologia non troverà niente che sia capace di turbarlo, in tutta la varietà delle congetture».92

Un altro merito -- strettamente connesso con quello precedente -- di una simile impostazione dello studio teologico, è che essa fa emergere l'identità storica e contestuale dei modelli. Seguendo il percorso tracciato dal metodo in questione, diventa infatti chiaro che un modello storico non può essere mai percepito come realtà di natura 'universalistica' e che, dunque, non è possibile effettuare un suo trapianto in un nuovo contesto storico e geografico. La verità è che ogni modello porta in sé necessariamente le proprie origini, l'impronta del contesto in cui nasce, il suo specifico kairós, e perciò è impensabile che esso venga ricostruito esattamente tale e quale in un'epoca diversa da quella in cui nasce e si sviluppa. Voler fare ciò significherebbe rimanere insensibili alle particolari esigenze e alle specifiche condizioni di un nuovo momento storico, partecipato in pieno dalla Chiesa in uno specifico contesto geografico e in confronto con i nuovi paradigmi. Significherebbe, insomma, commettere uno sbaglio che la teologia dovrebbe evitare ad ogni costo: l'insensibilità alla storia e, assieme ad essa, l'indifferenza di fronte ai nuovi 'segni dei tempi'. Quello che, invece, è non solo possibile, ma anche molto utile, è un modo di riferirsi ai modelli storici tale che permetta di rilevare le originali intuizioni dei loro autori, intravedendo in esse le spesso coraggiose proposte metodologiche elaborate da un'intelligenza teologica innovativa e creativa, attivata a contatto con una determinata situazione intra ed extra ecclesiale. Studiati in questa prospettiva, i modelli del passato ci possono insegnare ancora tanto, divenendo validi punti di riferimento per il presente.

Molti altri ancora sono i meriti dell'insegnamento della SdT in chiave modellistica. Tuttavia, il merito senz'altro più significativo riguarda soprattutto la possibilità di maturare verso una forma mentis (teologica) insieme organica e creativa, in grado, cioè, di tenere lo sguardo sull'intero dell'essenza costitutiva della teologia, cogliendo le dinamiche interne della sua complessa strutturazione. Una forma mentis che, da una parte, comprende la teologia in termini dinamici e processuali e, quindi, come una realtà, sul piano epistemologico, in costante evoluzione; dall'altra, riesce a intravedere ciò che in essa, vista sempre nella prospettiva epistemologica, è la sua vera sostanza, ossia il suo nucleo costitutivo quale fondamento della sua specifica identità religiosa e confessionale. Per dire tutto ciò con altre parole ancora, l'insegnamento della SdT, se ben impostato, permette di cogliere, sul piano epistemologico, il proprium originario del teologare cristiano, la sua più profonda identità, invitando lo studente ad una conoscenza più profonda dei criteri tipici di una teologia cristiana. Non c'è bisogno di ribadire che questa è un'acquisizione di grande attualità, viste le molteplici sfide che il cristianesimo e le chiese devono affrontare, come: il confronto sempre più frequente e in diversi casi drammatico tra il cristianesimo e le grandi religioni mondiali, l'espansione praticamente inarrestabile delle 'nuove dottrine' pseudoreligiose, il confronto permanente e sempre molto importante tra il cristianesimo e la modernità/post-modernità, per non parlare delle numerose e grandi sfide intra- e interecclesiali.93

Lo studio della SdT può, dunque, offrire sul piano epistemologico un significativo orientamento verso la maturazione di un pensiero di dichiarata identità cristiana ed ecclesiale -- fedele, cioè, al 'carattere tradizionale' della teologia --, animato, allo stesso tempo, da una forma mentis creativa e, perciò, flessibile e dialogica. A mio avviso, il punto chiave di tale orientamento sta nella centralità epistemologica della Rivelazione, quale fondamento della fede e della teologia cristiana, del loro proprium. Quest'ultimo, infatti, non può essere mai ridotto all'insieme dei tratti caratteristici (dal punto di vista tematico ed epistemologico) dei modelli storici più rappresentativi della teologia, ma va cercato all'interno dello stesso evento della Rivelazione, da considerare come il momento fondativo e la forma originaria della teologia cristiana.94 Con ciò non intendo dire ingenuamente che la Rivelazione di Dio, avvenuta, per mezzo dello Spirito Santo, in Gesù Cristo, contenga e produca una vera e propria epistemologia teologica nel senso stretto del termine. Mi riferisco, piuttosto, a quegli spunti o germi epistemici che qualificano sostanzialmente la logica e il meta-odos rivelativi dell'evento trinitario. Spunti/germi di un intellectus incarnationis,95 in grado di ispirare e informare ogni ulteriore sviluppo dei nuovi metodi e dei nuovi linguaggi teologici, assicurando loro una fedeltà epistemologica alla 'prima teologia', quella divina appunto. Gli specifici contenuti di quest'ultima esigono, infatti, una corrispondente forma trinitaria e teantropica di comprensione, di approfondimento e di comunicazione. Penso, ad esempio, alla dinamica rigorosamente dialogica del teologare cristiano, da mantenere costantemente in atto sul piano sia interpersonale (ma anche soggettivo-spirituale) sia intra- e interecclesiale, interculturale e interreligioso; alla dimensione simbolica della teologia; oppure alla centralità della prospettiva kenotico-staurologica e alla logica del paradosso.96

Un'attenta interpretazione della sdt fa emergere che i modelli maggiormente incisivi e determinanti per lo sviluppo della dottrina e per il sostegno all'azione evangelizzatrice della Chiesa sono stati e sono quelli che sono riusciti ad avvicinarsi di più, sul piano epistemologico, al metodo, alla forma e al linguaggio del theologeîn di Dio in Gesù Cristo, ossia alla logica dell'incarnazione. 'Incarnare' nelle strutture e dinamiche epistemologiche fondamentali una tale logica teantropica: ecco la grande impresa e la costante sfida della teologia cristiana! Essa spiega anche perché la teologia abbia trovato e continui sempre a trovare vie nuove per il suo sviluppo. Infatti, ogni nuovo contesto e ogni nuova situazione storica rappresentano per la teologia una nuova possibilità -- ma anche un nuovo banco di prova -- di servire la Chiesa nella sua fedeltà alla Verità rivelata per mezzo di forme e parole nuove, più attuali, ma comunque sempre corrispondenti alla logica dell'incarnazione. Si potrebbe di conseguenza dire, parafrasando le parole della Fides et ratio (n. 93), che i modelli maggiormente 'ecclesiali' sono, sì, quelli che fanno riferimento all'intelligenza della Rivelazione e al contenuto della fede», ma soprattutto quelli che una simile intelligenza riescono ad incarnare epistemologicamente, accogliendola/esercitandola come «intelligenza della kenosi di Dio».

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Note

  1. Per quanto riguarda il tema del rapporto tra teologia e storia approfondito nella prospettiva epistemologica, si veda il breve ma importante saggio di Y. Congar, «Teologia storica», in B. Lauret -- F. Refoulé (edd.), Iniziazione alla pratica della teologia, vol. 1, tr. it., Brescia 1986, 255-290. Tra le pubblicazioni più recenti segnalo M. Bielawski -- M. Sheridan (edd.), Storia e teologia all'incrocio. Orizzonti e percorsi di una disciplina, Roma 2002; G. Coffele, «Storia della teologia», in G. Canobbio -- P. Coda (edd.), La Teologia del XX secolo. Un bilancio: 1. Prospettive storiche, Roma 2003, 249-325. Testo

  2. Una rassegna bibliografica delle principali opere dedicate al tema della storia dei dogmi si trova in D. Bonifazi, «Dogma», in Dizionario teologico Interdisciplinare, vol. 1, Casale Monferrato 1977, 717-718. Per uno sguardo di sintesi sulla posizione cattolica rimando a J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, tr. it., Milano 1993, 109-142; W. Kasper, Per un rinnovamento del metodo teologico, tr. it., Brescia 19923, 47-78. Testo

  3. È meno noto che il tema dello sviluppo storico del dogma interessa, nella seconda metà dell'800, anche il mondo dell'Ortodossia; cf. il breve saggio di V.S. Solov'ev, Dogmatièeskoe razvitie Cerkvi [Lo sviluppo dogmatico della Chiesa] (1885), in cui il pensatore russo evidenzia la dinamica pneumatologica dello sviluppo dei dogmi, basata sul concetto di 'tradizione viva', intesa come un evento ecclesiale. Importanti, inoltre, le puntuali e innovative riflessioni sullo sviluppo dei dogmi di S.N. Bulgakov, «Dogma e dogmatica», in Id., Lo spirituale della cultura, tr. it., Roma 2006, 127-144. Testo

  4. B. Sesboüé, «Presentazione», in B. Sesboüé -- J. Wolinski, Storia dei dogmi, vol. 1: Il Dio della salvezza, tr. it., Casale Monferrato 20002, 9. La Storia dei dogmi, diretta da Sesboüé e pubblicata in quattro volumi (Paris 1994-1996), rappresenta una delle realizzazioni più recenti e più valide di una simile impostazione dello studio dei dogmi. Testo

  5. Non mancano, comunque, voci critiche che segnalano un'emarginazione di questa disciplina nei programmi di studio teologico degli atenei ecclesiastici, nonostante le precise e insistenti indicazioni del Concilio Vaticano II a favore dello studio della storia generale della Chiesa (cf. Optatam totius 16). «Nonostante questo autorevole appello» -- scrive Tanzarella riferendosi alla situazione in Italia -- «non sembra che la storia della Chiesa sia ancora messa nelle condizioni di esercitare il ruolo che le compete. Non è soltanto un problema di ore di lezione previste durante il corso istituzionale di teologia, certo pochissime a fronte di un intenso biennio filosofico. Chi leggesse il Regolamento degli studi teologici dei Seminari maggiori d'Italia troverà, al n. 53, che la storia della Chiesa 'dovrà limitarsi a illustrare i fatti generali della vita globale del popolo di Dio'. [...] Avevo scritto anni fa: «Conoscenza delle vicende e illustrazione dei fatti sono due scopi che propongono una storia della Chiesa ridotta a cronologia narrativo-aneddotica di papi e di santi, di ordini religiosi e di concili. Cioè un repertorio di notizie (l'eruditio), terreno ideale per le genericità e le illazioni più pericolose. Probabilmente il tipo di storiografia che deve fare ancora il suo ingresso nello studio teologico in Italia è quello della storia della mentalità religiosa, che privilegi davvero il vissuto del popolo cristiano e storicizzi una teologia troppo a lungo rimasta ingabbiata nell'idealismo accademico, nell'astrazione asettica, tanto da risultare incomprensibile ai più e conservatrice delle condizioni di ingiustizia del mondo» [P. Vanzan -- S. Tanzarella, Nuovi orizzonti per la formazione dei laici, Roma 1989, 36]. Non mi sembra di avere elementi per poter giudicare cambiata la situazione odierna. Contrariamente a questa situazione, la storia della Chiesa ha il compito di introdurre e familiarizzare lo studente di teologia alla storicità del cristianesimo, poiché è la dimensione storica a innervare e problematizzare la teologia» (S. Tanzarella, «La storia della Chiesa», in G. Lorizio -- N. Galantino [edd.], Metodologia teologica. Avviamento allo studio e alla ricerca pluridisciplinari, Cinisello Balsamo 19972, 285). Per una presentazione della Storia della Chiesa quale disciplina teologica, del suo metodo e delle sue fonti, si veda il saggio di M. Sensi, «La storia della Chiesa», in G. Lorizio -- N. Galantino (edd.), Metodologia teologica. Avviamento allo studio e alla ricerca pluridisciplinari, Cinisello Balsamo 2004, 3. ed. completamente rivista e aggiornata, 329-375. Testo

  6. Mi riferisco esclusivamente al mondo della teologia cattolica, in quanto la teologia ortodossa non ha dato finora segni sufficientemente persuasivi di tale comparsa, mentre la teologia riformata l'ha anticipata di un secolo, concentrandosi, però, del tutto sulla storia della teologia protestante (per una rassegna delle principali opere dei teologi riformati cfr. W. Pannenberg, Storia e problemi della teologia evangelica contemporanea in Germania. Da Schleiermacher fino a Barth e Tillich, tr. it. di G. Sansonetti, Brescia 2000, 9-51). Testo

  7. Per una rassegna di tali opere rimando a J.-A. Rocha Scarpetta, Bibliografia orientativa per lo studio della storia della teologia, in M. Bielawski -- M. Sheridan (edd.), Storia e teologia, 337-340 (Storia della Teologia in generale). Tra le opere più recenti, cf. Storia della Teologia, in 3 volumi (vol. 1: Dalle origini a Bernardo di Chiaravalle, a cura di E. Dal Covolo; vol. 2: da Pietro Abelardo a Roberto Bellarmino, a cura di G. Occhipinti; vol. 3: da Vitus Pichler a Henri de Lubac, a cura di R. Fisichella), Roma-Bologna 1995; B. Mondin, Storia della teologia, 4 voll., Bologna 1996-1997; R. Osculati, La teologia cristiana nel suo sviluppo storico, 2 volumi: 1. Primo Millennio; 2. Secondo Millennio; e soprattutto i 7 volumi di Storia della teologia curati per la editrice Piemme (Casale Monferrato 1993-2003) dall'Istituto patristico Augustinianum (vol. 1), dalla Facoltà teologica dell'Italia Settentrionale (vol. 4) e da G. D'Onofrio (voll. 2, 3; Età Medievale: voll. 1-3). Un'altra opera da segnalare, riconosciuta ormai come classica, rappresenta il saggio in tre volumi di E. Vilanova, Historia de la teología cristiana, vol. 1: De los orígenes al siglo XV; vol. 2: Prerreforma, Reformas, Contrarreforma; vol. 3: Siglos XVIII, XIX y XX, Barcelona 1987-1992 [tr. it., Roma 1991-1995]. Un altro strumento utile per lo studio della storia della teologia è il dizionario The Dictionary of Historical Theology, a cura di T.A. Hart, Grand Rapids 2000. Tra gli studi interessati in modo esplicito alle questioni epistemologiche rimando al recente saggio di C. Delpero, La teologia nella storia. Genesi ed evoluzione del metodo teologico, tr. it., Brescia 2004. Testo

  8. Come viene giustamente notato, non corrisponde più alla realtà attuale la critica di B. Mondin (Storia della teologia, vol. 1, 6), secondo cui oggi «praticamente in nessun seminario e università ecclesiastica si offrono corsi di storia della teologia» (C. Marabelli, «Marie-Dominique Chenu, ispiratore delle recenti 'storie' della teologia», in I. Biffi -- C. Marabelli [edd.], La teologia dal XV al XVII secolo. Metodi e prospettive, Milano 2000, 7). L'opera citata di E. Vilanova, ad esempio, è nata dai corsi sulla storia della teologia in generale e dai cicli di lezioni sulla teologia di determinati periodi, tenuti dall'autore alla Facoltà teologica di Barcellona. Allo stesso tempo, però, si deve riconoscere che l'organizzazione degli studi teologici non ha finora riservato all'insegnamento della storia della teologia il posto meritato. Siamo ancora lontani, cioè, dal «recupero pieno della centralità della 'prospettiva storica', non sempre adeguatamente realizzato nelle Facoltà teologiche cattoliche, se è vero che il numero delle cattedre di storia della teologia vi rimane ancora piuttosto limitato» (S. Cavalotto, «Premessa all'edizione italiana», in E. Vilanova, Storia della teologia cristiana, vol. 1, tr. it., Roma 1991, 8). Testo

  9. Il piano di studio e di ricerca dell'Istituto milanese è connesso con la nascita, nel 1996, della collana Eredità medievale della Jaca Book, diretta da I. Biffi e C. Marabelli. Si tratta di un progetto internazionale che intende offrire nell'arco di cinquanta volumi, maneggevoli e scientificamente attrezzati, una sdt che si incrocia e vive di reciproco arricchimento con la storia della filosofia, dell'arte e della mentalità, ossia che ingloba in sé le varie forme della coscienza della fede dell'epoca medievale. Testo

  10. Il progetto di ricerca globale dell'Istituto è «quello di una storia della teologia dall'umanesimo al secolo XVII, a partire dalla riflessione sul genere di sapere o sulla disciplina teologica che è la storia della teologia» (I. Biffi, «Una concezione e un progetto di storia della teologia», in I. Biffi -- C. Marabelli [edd.], La teologia dal XV al XVII secolo, VII). Per una presentazione più dettagliata del programma cf. ibidem, XIV-XVI. Testo

  11. Per la rassegna delle principali opere riguardanti i determinati periodi storici più rilevanti cf. J.-A. Rocha Scarpetta, Bibliografia orientativa, 342-367. Testo

  12. R. Osculati, La teologia cristiana, 9. In termini simili si esprimono, ad esempio, i curatori della Storia della teologia edita presso le ED-EDB, quando scrivono: «La storia della teologia dovrebbe, quindi, aiutare a comprendere che non esiste un ciclico ripetersi degli eventi, ma che si è sempre davanti al rischio del nuovo da scoprire, e spesso da inventare, forti dell'esperienza del passato» (vol. 1, a cura di E. Dal Covolo, 7). Testo

  13. Tra le voci più critiche spicca quella di E. Salmann. Egli scrive: «Ora, in un breve tempo abbiamo assistito stupiti alla pubblicazione di tante opere del genere che si distinguono per il loro impegno e per la loro qualità. Esse hanno, però, il comune difetto che manca loro ogni riflessione sul concetto sottostante di teologia e di storia e ancor più sul carattere teologico della storia e su quello storico della teologia, cioè un'idea di che cosa potrebbe significare una vera e propria teologia della storia. [...] Nessuna delle storie di teologia che abbiamo sotto mano si rende veramente conto del proprio metodo e dei suoi limiti, nonché del proprio interesse culturale ed ermeneutico» (E. Salmann, «Teologia della storia o storia della teologia: una circolarità rimossa da re-inventare», in M. Bielawski -- M. Sheridan [edd.], Storia e teologia, 306-307). Una delle opere più riuscite è, secondo Salmann, La teologia cristiana nel suo sviluppo storico di Osculati, in quanto «l'autore riesce a far confluire uno sguardo fenomenologico-ermeneutico moderno (che viene quasi da fuori), un'empatia e sensibilità per la dimensione sperimentale-mistica e vissuta che sa rivalutare anche il ruolo degli eretici, dei movimenti emarginati e dei devoti (sulla scia dei suoi lavori sul pietismo), una rilettura critica e «romantica» che valorizza la singolarità storica e «geniale» di ogni personaggio, nonché le affinità ai suoi simili (un gesto imparato alla scuola di Schleiermacher) e un gesto poetico-ermeneuta nel ricostruire la situazione culturale e l'insieme della «Wirkungsgeschichte» di un'epoca e tra i tempi, rilevando le parentele tipologiche di un pensiero e di un gesto attraverso la diversità delle Chiese, denominazioni e culture (sulla scia di Dilthey e Gadamer). Tutto questo viene animato da un fascino per il senso missionario della Chiesa minoritaria primitiva che oggi andrebbe riscoperto» (ibidem, 320). Testo

  14. Quanto all'originalità del suo contributo per lo studio della teologia medievale, rimando al numero monografico (Hommage au père M.-D. Chenu) di Revue des Sciences philosophiques et théologiques (1991/3), contenente indicazioni bibliografiche circa le opere di Chenu e gli studi dedicati al suo pensiero. Testo

  15. Per una presentazione del pensiero e dell'opera di Vereecke (con una dettagliata bibliografia) si veda R. Tremblay-D.J. Billy (edd.), Historia: memoria futuri. Mélanges Louis Vereecke (70e anniversaire de naissance), Roma 1991, pp. 11-27. Tra gli altri autorevoli studiosi vanno ricordati senz'altro I. Biffi e E. Vilanova. Quest'ultimo ha cercato di impostare il suo studio della storia della teologia nella prospettiva di un metodo storico globale inteso nei seguenti termini: «Per molto tempo la storia della teologia, come del resto la storia della spiritualità, ha implicato l'inventario e l'analisi di quelle opere che -- attraverso il tempo e lo spazio -- esplicavano la riflessione, e si è sforzata di discernere, nell'ambito così delimitato, i motivi che avevano determinato da una parte i comportamenti spirituali, e dall'altra le espressioni con cui questi si presentavano. Certo, gli storici procedevano così in tutti i campi, dall'economia e dalle scienze fino alla vita politica: attenta ai fatti, alle cronologie, ai grandi uomini, alle strutture, ai conflitti, una tale storia cercava di spiegare -- in maniera documentaria e intellettuale -- il passato tramandato nelle testimonianze scritte e considerato nella sua oggettività brutta. La storia della teologia seguiva lo stesso modello; ne risultava una scienza ausiliaria, che offriva la sua esposizione sistematica alla teologia, eretta nella sua astrazione atemporale. L'attuale crisi della teologia -- crisi intesa nel senso positivo della parola -- conferisce a questo problema di metodo storico un'importanza decisiva. Se la teologia è la comprensione della parola di Dio che agisce nel mondo, e non una deduzione di conseguenze speculative e pratiche elaborate partendo da ben classificate esposizioni testuali, il metodo degli storici ha profondamente modificato la portata umana del lavoro, da cinquanta o sessanta anni circa. Senza rinunciare né alle esigenze critiche né all'obiettività documentaria, la storia viene ad essere la conoscenza globale dei diversi livelli di vita umana in cui i fenomeni collettivi, nella vita sociale, penetrano le più libere iniziative degli individui. Dalle grandi scoperte naturali alle ispirazioni mistiche, dal progresso della tecnica alle ampie strategie politiche, la convergenza dei fenomeni culturali esige il ricorso alle diverse discipline umane. La penetrazione storica considera allora di dover tenere in conto -- oltre agli avvenimenti ed alle istituzioni -- le mentalità che li hanno diretti e nello stesso tempo li determinano» (E. Vilanova, Storia della teologia, vol. 1, 17). Testo

  16. E continua: «Resto sorpreso che tanti e tanti 'tomisti' abbiano insegnato la teologia del loro maestro senza tener conto e neppure menzionare il carisma evangelico della sua vocazione, come se la sua speculazione fosse un prodotto esterno alla sua vita profonda. In realtà la sua teologia della fede è comandata dal primato della Parola di Dio» (citato in I. Biffi -- C. Marabelli, Invito al Medioevo, Milano 1982, 38). Testo

  17. M.-D. Chenu, La teologia come scienza nel XIII secolo, tr. it., Milano 19953, 24. Testo

  18. Ibidem, 24. Comunque sia, un simile apprezzamento della storia caratterizza già il programmatico saggio Une école de théologie. Le Saulchoir (1937), in cui Chenu, tra l'altro, scrive: «Il teologo non ha e non può avere alcuna speranza d'incontrare il proprio dato fuori dalla storia, fuori da quell'auditus fidei che si diffonde nel tempo, da Abramo 'cui fides reputata est ad justitiam' fino a Cristo, e nella Chiesa di Cristo in modo permanente lungo i secoli. Storia santa, evidentemente, ma che non estrae e non astrae la propria santità dai contesti che sono la materia e la legge della storia umana: altrimenti non sarebbe più appunto una incarnazione» (M.-D. Chenu, Le Saulchoir. Una scuola di teologia, tr. it., Casale Monferrato 1982, 47). Testo

  19. M.-D. Chenu, La teologia nel XII secolo, tr. it., Milano 19993, 16. Testo

  20. Ibidem, 9. Testo

  21. «Lettera di M.-D. Chenu» (25 ottobre 1984), in E. Vilanova, Storia della teologia, vol. 1, 11. Testo

  22. Ibidem, 11. Testo

  23. C. Marabelli, Marie-Dominique Chenu, ispiratore, 4; cf. G. Colombo, «Chenu e l'intelligenza 'critica' della fede», in M.-D. Chenu, La teologia come scienza, 13-14. Testo

  24. Tali convinzioni animano tutta la ricerca del teologo francese, confluita in gran parte nel poderoso saggio: De Guillaume d'Ockham à saint Alphonse de Liguori. Études d'histoire de la théologie morale moderne 1300-1787, Roma 1986 (Da Guglielmo d'Ockham a sant'Alfonso de Liguori. Saggi di storia della teologia morale moderna 1300-1787, tr. it., Cinisello Balsamo 1990). Testo

  25. Ph. Delhaye, «Préface», in L. Vereecke, De Guillaume d'Ockham, 11ss. Testo

  26. L. Vereecke, Da Guglielmo d'Ockham a sant'Alfonso, 17. Testo

  27. Ibidem, 26. Non c'è dubbio che queste parole vengono formulate nello spirito della distinzione che va fatta tra il deposito della fede e le formulazioni con cui le verità di fede vengono enunciate. Tale importante distinzione viene richiamata da Giovanni XXIII (cf. AAS, 54 [1962], 792) e, in seguito, ripresa da Giovanni Paolo II con le parole: «Certamente occorre cercare e trovare delle norme morali universali e permanenti la formulazione più adeguata ai diversi contesti culturali, più capace di esprimerne incessantemente l'attualità storica, di farne comprendere e interpretare autenticamente la verità» (Veritatis Splendor, 53). Testo

  28. L. Vereecke, Da Guglielmo d'Ockham a sant'Alfonso, 28. Testo

  29. L'importanza di una conoscenza esatta del significato dei termini viene ricordata anche da Waldenfels, il quale imposta la sua Kontextuelle Fundamentaltheologie (1985) con l'intenzione di cogliere e salvaguardare l'ampiezza semantica di ogni singolo termine teologico utilizzato; cfr. H. Waldenfels, Teologia fondamentale nel contesto del mondo contemporaneo, tr. it., Cinisello Balsamo 1988, 180, 59-60, 63, 74-75, 135-136, 178-182, 204-205. Testo

  30. Quanto a qualche esempio concreto, Congar spiega: «Sacramentum è lungi dal significare sempre quello che noi intendiamo con «sacramento». Ecclesia, in sant'Agostino, significa «la comunità cristiana». L'epiteto di immaculata attribuito alla Vergine Maria non significa, nel sec. XII (san Bernardo, Guerrico di Igny) quello che noi intendiamo con «Immacolata» dopo il dogma del 1854. Giovanni Scoto Eriugena ha tradotto con «sacra potestas» il termine hierarchia dello Pseudo-Dionigi, presso il quale però il termine aveva un altro significato» (Y. Congar, Teologia storica, 271); cf. E. Vilanova, Storia della teologia, vol. 1, 19. Testo

  31. L. Vereecke, Da Guglielmo d'Ockham a sant'Alfonso, 22. Testo

  32. Riguardo ad un simile pericolo, bisogna ribadire con Tanzarella: «Ciò che serve è [...] una dimensione storica che penetri tutto l'insegnamento teologico, in modo da contribuire a creare una mentalità non rigida. Quindi una disponibilità ad accogliere e comprendere le diversità e le trasformazioni di una società dove si sovrappongono razze, lingue, culture e religioni in un confuso miscuglio che ben sappiamo dolorosamente quanto sia potenzialmente esplosivo quando prevalgono le forze irrazionali dell'intolleranza, alle quali nemmeno la cosiddetta cultura cattolica si è in passato sottratta» (S. Tanzarella, «Problemi e prospettive degli ISR e ISSR», in Rassegna di Teologia 31 [1990] 72). Testo

  33. I. Biffi, Una concezione e un progetto, XII. Testo

  34. Ibidem, XII. Testo

  35. Ibidem, XIII. Testo

  36. P. Coda, Teo-logia. La Parola di Dio nelle parole dell'uomo, Roma 1997, 27. Per una presentazione e un'analisi del fenomeno della frammentazione della teologia rimando al saggio di G. Lorizio -- S. Muratore (edd.), La frammentazione del sapere teologico, Cinisello Balsamo 1998. Testo

  37. J. Ratzinger, «Premessa», in J.S. Drey, Breve introduzione allo studio della teologia, tr. it., Brescia 2002, 8. Testo

  38. Ibidem, 8. Testo

  39. Cf. ibidem, 8. Testo

  40. Ibidem, 8. Testo

  41. Ibidem, 8. Testo

  42. Una presentazione sintetica del concetto di modello elaborato, con accezioni diverse, nel mondo delle scienze naturali si trova in G. Giorello -- L. Geymonat, «Modello», in Enciclopedia Einaudi, vol. VIII, Torino 1980, 383-422. Per un confronto tra la concezione scientifica e quella teologica del modello cf. F. Ferré, «Mapping the Logic of Models in Science and Theology», in The Christian Scholar XLVI (1963) 9-39; R. Biord Castillo, «El Conocimento por Modelos. Análisis de la pluralidad de los lenguajes cientifico y religioso», in Anthropos (Venezuela) 37 (1998) 51-73; C. Caltagirone, Scienze e teologia. Incontri e scontri ai confini della conoscenza, Bologna 2002 (in particolare 135-149). Testo

  43. Per la bibliografia delle opere dedicate all'utilizzo del concetto di modello in teologia si veda M. Bielawski, «La questione dei modelli teologici», in M. Bielawski -- M. Sheridan (edd.), Storia e teologia, 280 (nota 6). Cf. inoltre G. Sparks, «Theological models», in Saint Luke's Journal of Theology 9 (1966) 22-34; M. McLain, «On theological models», in Harward Theological Review 62 (1969) 155-187; R. Scharlemann, «Theological models and their construction», in Journal of Religion 53 (1973) 65-82; P. Ricœur -- E. Jüngel, Dire Dio, tr. it., Brescia 1980; S. Morandini, «Scienza e teologia in dialogo: il concetto di modello», in Vivens homo 2 (1991) 69-95; l'art. Model: Philosophisch (U. Nortmann), Naturwissenschaftlich (L. Schäffer), Systematich-theologisch (A. Kreiner), Theologisch-ethisch (W. Lesch), Praktisch-theologisch (H.-G. Ziebertz), in LThK, vol. VII, 1998, coll. 358-361; J.H. Kroeger, «The theological Model's Approach: its Relevance Today», in AFER 43 (2001) 86-98; G. Bof, art. «Teologia», in G. Barbaglio -- G. Bof -- S. Dianich (a cura di), Teologia (Dizionari San Paolo), Cinisello Balsamo 2002, 1627-1631; D. Klemm -- W. Klink, «Costructing and Testing Theological Models», in Zygon 38 (2003) 495-528; L. Gilkey, «Problems and Possibilities of Theological Models: Responding to David Klemm and William Klink», in Zygon 38 (2003) 529-534; D. Klemm -- W. Klink, «Models Clarified: Responding to Langdon Gilkey», in Zygon 38 (2003) 535-541. Testo

  44. Cf. M. Bielawski, La questione dei modelli, 279. Si può, inoltre, aggiungere che l'utilizzo dei modelli «preserva la teologia dall'imporre i suoi assiomi, i suoi principi in modo autoritario e fortemente normativo consentendole di trovare un posto adeguato nel dialogo multi-inter-transdisciplinare delle scienze» (C. Caltagirone, Scienze e teologia, 146). Testo

  45. J. Auer, «Die Bedeutung der 'Modell-Idee' für die 'Hilfsbegriffe' des katholischen Dogmas«, in J. Ratzinger -- H. Fries (edd.), Einsicht und Glaube, Freiburg-Basel-Wien 1962, 267; cf. G. Söhngen, «La sapienza della teologia sulla via della scienza», in J. Feiner -- M. Löhrer (edd.), Mysterium Salutis, vol. 2, tr. it., Brescia 19774, 546-547. Testo

  46. L'essenza del modello sta nel suo essere contemporaneamente 'immagine' e 'concetto': immagine «che riproduce in modo immediato e statico una realtà individuale e concreta»; e concetto «che, come una specie di «parola-immagine», fissa in modo definitivo una realtà universale (sovraindividuale e perciò sovrastorica)» (J. Auer, Die Bedeutung, 267). Secondo Auer, una tale definizione del modello invita a comprendere la conoscenza teologica non come qualcosa di dato, raggiunto una volta per sempre, ma come un processo di atti conoscitivi che fissano, ognuno in un determinato momento, la verità su ciò che è invisibile e perciò difficilmente comunicabile, offrendo allo stesso tempo le indicazioni per un ulteriore procedimento conoscitivo. Dire che il dogma è un 'modello' (Modell-Denken) significa riconoscere che esso non è né una semplice immagine (si tratta, infatti, di una formulazione che garantisce in modo chiaro la verità rivelata) né un concetto univoco, analogo cioè a quello che si può avere di una realtà del mondo visibile. La stessa natura paradossale è ciò che caratterizza la formula cristologica di Calcedonia, il dogma trinitario, il dogma eucaristico (il concetto di sostanza), i nuovi dogmi mariani e tutti gli altri dogmi, tutti da comprendersi come 'concetti ausiliari', in quanto essi comunicano in termini chiari la verità del mistero senza impedire, però, una sua ulteriore conoscenza (cf. ibidem, 270-279). Una simile concezione, decisamente simbolica, del dogma viene proposta in J. Ratzinger, Natura e compito, 138. Testo

  47. Cfr. il suo Models and Mystery, London 1964. Tra le altre opere di I.T. Ramsey, importanti per il tema del modello, sviluppato in relazione alla esegesi biblica, cf.: Religious Language, London 1957; Freedom and Immortality, London 1960; On Being Sure in Religion, London 1963; Religion and Science, London 1964; Christian Discourse, London 1965. Testo

  48. Il problema nell'utilizzo dei 'modelli' biblici sta, a parere di Ramsey, nel capire le dinamiche del loro funzionamento nei tempi nostri, ossia nello scoprire come usare un determinato modello in modo che esso oggi ci possa rivelare la stessa verità d'allora, in grado di incidere sulla nostra vita. Egli stesso propone il concetto di co-relational model, che mette in relazione l'origine biblica della verità e l'uomo moderno quale destinatario di quest'ultima. Sul concetto di co-relational model cf. A.A. Glenn, «Criteria for Theological Models», in Scottish Journal of Theology 25 (1972) 3, 296-308. Testo

  49. A. Dulles, Modelli di chiesa, tr. it. di L. Dal Lago, Padova 2005. Il teologo americano è convinto che il metodo dei modelli o tipi possa avere «grande valore nell'aiutare le persone a superare i limiti della propria prospettiva particolare, entrando in un dialogo fruttuoso con quelli che hanno una mentalità fondamentalmente diversa» e, pertanto, «dovrebbe aiutare a favorire il genere di pluralismo che guarisce e unifica piuttosto di un pluralismo che divide e distrugge» (ibidem, 17). Ponendosi nella prospettiva ecclesiologica, il teologo statunitense individua cinque principali modelli: la Chiesa (a) come istituzione, (b) come comunione mistica, (c) come sacramento, (d) come kerigma, (e) come serva. Allo stesso tempo riconosce la necessità di elaborare una criteriologia di discernimento tra i modelli. Egli scrive: «La critica e la scelta dei modelli dipende, o dovrebbe dipendere, da dei criteri. Ma qui si trova l'ostacolo. Riflettendo sul problema, appare evidente che gran parte dei criteri presuppone o implica una scelta di valori. A loro volta, i valori presuppongono una certa comprensione delle realtà di fede» (ibidem, 225). Secondo Dulles, vi sono fondamentalmente sette criteri da prendere in considerazione nella valutazione di un modello: 1) la sua fondazione nella Scrittura; 2) la sua incardinazione nella Tradizione; 3) la sua capacità di dare ai membri della chiesa un senso alla loro identità sociale e alla loro missione; 4) la sua capacità di promuovere le virtù e i valori tipicamente cristiani; 5) la sua corrispondenza con l'esperienza religiosa degli uomini d'oggi; 6) la sua fecondità teologica; 7) la sua posizione dialogica nei confronti dei non cattolici e dei non cristiani (ibidem, 227-228). Un'analisi critica della teoria dei modelli di Dulles si trova in T. Merrigan, «Models in the Theology of Avery Dulles: A Critical Analysis», in Bijdragen. Tijdschrift voor Filosofie en Theologie 54 (1993) 141-161. Testo

  50. Cf. A. Dulles, Models of Revelation, New York 1983, 25. Nel Christ and Culture di Niebuhr vengono individuati cinque tipi fondamentali del rapporto tra cristianesimo e cultura, emersi durante la storia del cristianesimo (per una loro sintetica presentazione cf. R. Gibellini, La teologia del XX secolo, Brescia 1992, 106). Testo

  51. Cf. A. Dulles, Models of Revelation, 26. Testo

  52. Ibidem, 30. Testo

  53. Ibidem, 32. Cf. M. Bielawski, La questione dei modelli, 281-283. Alla luce di una tale definizione del modello, Dulles individua cinque modelli di teologia della Rivelazione elaborati dai teologi nel XX secolo: (a) il modello dottrinale (Rivelazione compresa come autorevole insegnamento); (b) il modello storico (Rivelazione come serie di eventi storici); (c) il modello esperienziale (Rivelazione come esperienza interiore); (d) il modello dialettico (Rivelazione come evento pasquale); e) il modello di autocoscienza (awareness model) (Rivelazione come evento di novità che interpella la coscienza); cf. A. Dulles, Models of Revelation, 36-114. Testo

  54. B. Lonergan, Il metodo in teologia, tr. it., Roma 2001, 317. Testo

  55. Ibidem, 317. Testo

  56. Mi riferisco in particolare ai saggi: Il senso teologico della liturgia, Roma 1957; «L'insegnamento teologico e la vita di fede speranza carità», in Seminarium 20 (1968) 570-590; l'art. «Teologia», in Nuovo Dizionario di Teologia, a cura di G. Barbaglio e S. Dianich, Roma 19947, 1549-1652. Una presentazione sintetica del suo pensiero si trova in M. Löhrer, «Il modello gnostico-sapienziale della teologia. La prospettiva di base della metodologia teologica di C. Vagaggini», in G.J. Békés -- G. Farnedi (edd.), Lex orandi, lex credendi, Roma 1980, 19-47. Testo

  57. Cf. C. Vagaggini, art. Teologia, 1598. Coda puntualizza: «Il termine «modelli» va qui inteso in un significato euristico e non valutativo: si tratta, cioè, di evidenziare le caratteristiche esibite dalla teologia nelle diverse epoche storiche, tenendo conto di una certa novità in una continuità che, sia sotto l'aspetto contenutistico sia sotto quello epistemologico, è certamente sempre più grande» (P. Coda, «Il ruolo della ragione nei diversi modelli teologici: verso un modello ermeneutico di teologia?», in I. Sanna [ed.], Il sapere teologico e il suo metodo, Bologna 1993, 118; cf. P. Coda, Teo-logia, 80-81). Testo

  58. Il problema, per la conoscenza in generale e per la teologia in particolare, consiste nel fatto che «ogni tentativo di spiegazione spinge l'uomo a valorizzare or l'uno or l'altro dei due poli apparentemente antitetici, vedendo tuttavia che non può ragionevolmente negarne uno per lasciare sussistere solo l'altro. Questo universale mistero dell'essere bipolare può esprimersi e di fatto è stato espresso nella storia in un numero sconfinato di formule binomiche. Ognuna di queste rimanda alla stessa realtà fondamentale, a livelli diversi, con angolature diverse, con sfumature e accenti diversi nei quali l'essere può essere visto dall'uomo individualmente o socialmente, sincronicamente o diacronicamente» (C. Vagaggini, art. Teologia, 1601-1602). Testo

  59. Cf. ibidem, 1600. Il numero complessivo delle coppie individuate da Vagaggini è comunque molto più alto (44). La loro enumerazione prende in considerazione quattro livelli di realtà: (a) ontologico in generale (uno-molteplice, finito-infinito...); (b) cosmologico (materia-spirito, cosmocentrismo-teocentrismo...); (c) antropologico (corpo-anima, libertà-necessità...); (d) di fede cristiana (Dio Uno-Dio Trinità, divinità-umanità di Cristo...); cf. ibidem, 1602-1603. Testo

  60. Vagaggini spiega: «Così, nella scolastica, la volontà di valorizzare, assai più di quanto non avveniva nella gnosi-sapienza tradizionale dell'alto medioevo e negli stessi padri, la ratio (aristotelica); poi, nella positivo-scolastica, la volontà di valorizzare la storia dalle fonti assai più di quanto non era avvenuto nella scolastica; poi ancora, nei tempi moderni, la volontà di valorizzare assai più il soggetto e l'antropologico concreto di quanto non era mai avvenuto nei modelli precedenti. E ogni volta non si è mai mancato di criticare i pericoli o anche i limiti o difetti reali del modello antecedente e di affermare la volontà di lumeggiare proprio quel polo dell'antitesi che si stimava troppo negletto antecedentemente» (ibidem, 1600-1601). Testo

  61. Ibidem, 1558; per una presentazione ed un'analisi più approfondite di questi tre modelli cf. 1558-1580. Testo

  62. S. Dianich, «Questioni di metodo in ecclesiologia», in A. Barruffo (ed.), Sui problemi in ecclesiologia. In dialogo con Severino Dianich, Cinisello Balsamo 2003, 40-41. Tra i saggi in cui il teologo italiano propone il suo concetto di modello si vedano anche Id., Ecclesiologia. Questioni di metodo e una proposta, Cinisello Balsamo 1993; S. Dianich -- S. Noceti, Trattato sulla Chiesa, Brescia 2002, 139-240. Testo

  63. S. Dianich, Questioni di metodo, 42. Egli puntualizza: «Non di un prototipo costruito a priori abbiamo bisogno, ma di un modello euristico che ci rappresenti in maniera facilmente analizzabile la dinamica vitale interna della chiesa. Dovremmo poter individuare e quindi assumere a modello un momento, o un aspetto, o una componente del nostro oggetto interno, con il quale poter più facilmente interpretare i movimenti complessi attraverso i quali la chiesa si dà forma e dà forma al suo operare» (ibidem, 42); cf. S. Dianich -- S. Noceti, Trattato sulla Chiesa, 157-159. Testo

  64. M. Seckler, Teologia, scienza, Chiesa, tr. it., Brescia 1988, 24; cf. Id., «La teologia come scienza della fede», in W. Kern -- H.J. Pottmeyer -- M. Seckler (edd.), Corso di teologia fondamentale, vol. 4: Trattato di gnoseologia teologica, tr. it., Brescia 1990, 208-210. Testo

  65. M. Seckler, Teologia, 26; cf. Id., La teologia come scienza, 210-212. Testo

  66. M. Seckler, Teologia, 24; cf. Id., La teologia come scienza, 213-215. Testo

  67. M. Seckler, Teologia, 36. Testo

  68. Cfr. G. Lafont, Modelli di teologia nella storia, in R. Fisichella -- G. Pozzo -- G. Lafont (edd.), La teologia tra rivelazione e storia. Introduzione alla teologia sistematica, Bologna 1999, 328-332, 336-340. Testo

  69. Cfr. ibidem, 332-335, 340-347. Testo

  70. Cfr. ibidem, 347-356. Testo

  71. Cfr. P. Coda, Teo-logia, 81-169 (parte II: La teologia nella storia. Rassegna e valutazione dei modelli epocali). In uno studio precedente a questo saggio Coda, riflettendo sullo sviluppo della teologia contemporanea nella direzione di un modello ermeneutico, individua i seguenti modelli epocali: il modello fontale del Nuovo Testamento (narrazione e sapienza); il modello gnostico-sapienziale dei Padri e della teologia monastica; il modello speculativo della scolastica; cf. P. Coda, Il ruolo della ragione, 118-129. Testo

  72. Cf. C. Vagaggini, art. Teologia, 1594-1597. Testo

  73. P. Coda, Teo-logia, 193. Secondo altri teologi, il modello ermeneutico ha ormai esaurito le sue potenzialità ed è perciò arrivato il tempo della sua sostituzione. Per dirla con le parole di G. Lorizio: «Ma proprio nel momento in cui questo modello esprime al massimo le sue potenzialità e sembra ormai in maniera indiscussa dominare la scena, mostra anche i suoi limiti ed entra in una crisi a nostro avviso tanto profonda quanto ineludibile. Di qui la necessità da un lato di non perdere i grandi guadagni teoretici che l'ermeneutica ha certamente apportato al sapere della fede ed in particolare alla teologia fondamentale, dall'altro di proporre un superamento non traumatico, ma graduale e prudente del modello e dei suoi esiti» (G. Lorizio, Il progetto: verso un modello di teologia fondamentale fondativo-contestuale in prospettiva sacramentale, in Id. [ed.], Teologia fondamentale, 407-408). Testo

  74. Il teologo spagnolo spiega: «Il suo metodo è «regressivo», dato che procede dalla «norma prossima» delle asserzioni autoritative del magistero, mentre la Scrittura e la Tradizione sono «norme remote» che servono per legittimare le affermazioni magisteriali. I concili, i padri della Chiesa, i teologi... sono forme testimoniali della tradizione. [...] Si tratta di un modello fedele alla dottrina del Vaticano II, ma in generale non molto creativo dal punto di vista dell'intellectus fidei e che dà poco rilievo al dialogo con l'auditus temporis et alterius, se non con spirito essenzialmente critico, e che preferisce concentrarsi nel raccogliere, ordinare e presentare primariamente e formalmente in modo rilevante i dati dogmatici e magisteriali» (S. Pié-Ninot, «L'indagine teologica», in R. Fisichella, Il Concilio Vaticano II. Recezione e attualità alla luce del Giubileo, Cinisello Balsamo 2000, 431). Testo

  75. «Si tratta del modello dominante in questo periodo post-conciliare e che ha come caratteristica più rilevante non soltanto lo sforzo di leggere formalmente i testi fondamentali della fede, ma quello di rileggerli in una chiave di comprensione che accentua l'interpretazione storica, ecclesiale e antropologica del testo in questione. Si tratta di una teologia «teologica» -- mi si permetta la ridondanza --, che partendo chiaramente dalla priorità dell'auditus fidei cerca l'intellectus fidei proprio del discorso teologico coll'aiuto dell'auditus temporis specialmente per le prospettive che comporta per una maggiore comprensione della Bibbia, della patristica, del magistero, della tradizione teologica...» (ibidem, 432). Testo

  76. «Il terzo modello è centrato in quella che potremmo chiamare la teologia contestuale a partire dalle conosciute teologie del «genitivo» nelle quali l'auditus temporis et alterius assume un maggior protagonismo. [...] In questo modello pertanto è inclusa una delle esperienze più dinamiche della teologia postconciliare: la teologia e le teologie della liberazione con i suoi correlati: la teologia politica, la teologia del terzo mondo...» (ibidem, 433). Testo

  77. Cf. F. Schüssler Fiorenza, «Systematic Theology: Task and Methods», in F. Schüssler Fiorenza -- J.P. Galvin (edd.), Systematic Theology. Roman catholic perspectives, vol. 1, Mineapolis 1991, 35-65. Testo

  78. Cf. R. Gibellini, «Passione per il Regno. Percorsi del Novecento teologico», in Id. (ed.), Prospettive teologiche per il XX secolo, Brescia 2003, 6. Sono degne di nota, invece, l'ipotesi e la descrizione dei modelli di teologia fondamentale del XX secolo proposte in A. Sabetta, «Modelli di teologia fondamentale del XX secolo», in G. Lorizio (ed.), teologia fondamentale, 341-400. Vengono individuati: il modello neoscolastico, il modello dell'immanenza, il modello antropologico-trascendentale, il modello fondativo, il modello fondativo-trascendentale, il modello ermeneutico e, infine, il modello contestuale. Testo

  79. Per quanto riguarda questa prospettiva, va ricordata la proposta -- articolata in termini più generali rispetto a quelli legati alla storia della teologia -- di G. Ebeling di rivisitare la storia del cristianesimo come storia delle interpretazioni della Sacra Scrittura (cf. il suo Die Geschichtlichkeit der Kirche und ihrer Verkündigung als theologisches Problem, Tübingen 1954). Alla luce di tale proposta, G. Moretto individua cinque principali paradigmi: 1) il paradigma giudaico-cristiano; 2) il paradigma ellenistico-ortodosso; 3) il paradigma cattolico-romano; 4) il paradigma protestantico-riformato; 5) il paradigma della razionalità moderna (G. Moretto, art. «Ermeneutica», in G. Barbaglio -- G. Bof -- S. Dianich [a cura di], Teologia, 522-526). Testo

  80. H. Küng, «Was meint Paradigmenwechsel?«, in H. Küng -- D. Tracy (edd.), Theologie -- wohin? Auf dem Weg zu einem neuen Paradigma, Zürich-Köln 1984, 22. Testo

  81. Cf. H. Küng, Teologia in cammino. Un'autobiografia spirituale, tr. it., Milano 1987, 145; Id., Was meint Paradigmenwechsel?, 25. In realtà, Küng considera veramente rappresentativi soprattutto i paradigmi n° 1-4, 7-8 (cf. Id., Cristianesimo, tr. it., Milano 1997). Al di là dei limiti della proposta del teologo svizzero, essa contiene alcune importanti intuizioni, come ad esempio quella riguardante le dinamiche strutturali del mutamento dei modelli (cf. Teologia in cammino, 155-172). Testo

  82. Vereecke scrive: «Da una storia ancora frammentaria dell'evoluzione delle idee nel corso dei secoli XIV e XV vediamo emergere un movimento intellettuale vivo e originale: il nominalismo. Non bisogna sottovalutare l'influsso di questa scuola. [...] Il pensiero di costui [Guglielmo d'Ockham] non comprende solo una nuova metodologia, un rigoroso sistema di logica, una teologia dogmatica polemica verso il tomismo, ma anche una nuova morale che caratterizzerà l'evoluzione dei teologi e dei moralisti ben oltre gli inizi del XVI secolo» (L. Vereecke, Da Guglielmo d'Ockham a sant'Alfonso, 34). E ancora: «Dal secolo XIV alla fine del XVIII il mondo occidentale è attraversato da un intenso movimento intellettuale; è necessario conoscerlo bene per scoprire i molteplici influssi che ha indubbiamente esercitato sui teologi e sui moralisti. È inutile ricordare ancora una volta l'importanza delle teologie nominalistiche per la filosofia, per la teologia, per la stessa cultura occidentale. Per più di un secolo sono state l'anima del pensiero; quando si risale indietro nel tempo, si tratti di ambiti diversi come le scienze esatte, la teologia o la spiritualità, ci s'imbatte sempre nel nominalismo come componente del pensiero o nella reazione contro il suo eccessivo influsso. Se non si comprende il ruolo storico del nominalismo, è inutile sperare di capire l'evoluzione intellettuale nell'epoca moderna» (ibidem, 52). Testo

  83. Scrive I. Alfeev, teologo e vescovo ortodosso: «Molti sono abituati a parlare dei «Santi Padri» come si trattasse di un gruppo di persone che lavoravano collettivamente e scrivevano le stesse cose. In realtà, i Padri della Chiesa sono vissuti in epoche diverse, scrivevano a partire da diversi contesti storico-culturali e teologico-ecclesiali, spesso in contrasto gli uni con gli altri. [...] In questo senso ci si potrebbe addirittura chiedere se sia giustificato parlare in assoluto di «dottrina dei Santi Padri» come di un sistema teologico unitario e coerente, oppure se l'espressione «teologia patristica» sia da usare solo come concetto generale (così come parliamo di «filosofia antica»)» (I. Alfeev, «L'eredità dei Padri e l'epoca contemporanea», in La Nuova Europa 4 [2000] 6-7). Testo

  84. Questo rischio viene avvertito, ad esempio, da D. Valentini, quando alla conclusione di un seminario (organizzato presso la Pontificia Università Salesiana di Roma nel 1987) dedicato ai modelli di teologia sistematica (sono stati individuati ed esaminati: il modello della teologia narrativa, il modello veritativo, il modello prassistico, il modello della teologia pastorale), ammette che «una riflessione formale su «modello» tout-court avrebbe allargato la precomprensione e facilitato il raccordo fra epistemologia, ermeneutica e metodologia, da una parte, e i modelli di teologia esaminati nel seminario, dall'altra. Talora è parso che si stesse come camminando su una terra piuttosto ingrata» («Epistemologia, ermeneutica e metodologia in alcuni modelli di teologia», in Salesianum 4 [1987] 811). Testo

  85. Le ricerche di Küng sul mutamento dei modelli o macroparadigmi vanno in questa direzione e, malgrado i limiti della sua prospettiva interpretativa di fondo -- quelli, cioè, riguardanti la sola logica della sostituzione --, rappresentano un importante contributo allo studio dello sviluppo della teologia. Ribadendo la presenza dei parallelismi tra scienza naturale e teologia e rifacendosi alle teorie di Kuhn, il teologo svizzero parla di cinque presupposti principali del mutamento di un modello/macroparadigma: a) l'autorità dei «classici»; b) la situazione di crisi; c) la nascita di un nuovo macroparadigma/modello; d) le circostanze soggettive; e) il confronto tra il vecchio e il nuovo macroparadigma/modello (cf. il suo Teologia in cammino, 155-172). Testo

  86. Cfr. L. Zak, «La teologia: statuto, metodo, fonti e strumenti. Epistemologia generale», in G. Lorizio (ed.), Teologia fondamentale. Epistemologia, vol. 1, Roma 2004, 73-115. Testo

  87. Cf. L. Zak, La teologia: statuto, metodo, 16-55. Testo

  88. In riferimento alla Scrittura, ad esempio, si pensa non solo alla sua centralità o meno in una determinata teologia, ma anche al modo in cui viene interpretata. Una cosa analoga si potrebbe dire di tutti gli altri elementi. Lo stesso vale anche per la ragione, il cui posto all'interno di un modello storico può variare da quello centrale fino a quello di piena emarginazione. Ma la stessa ragione può essere, inoltre, intesa in diversi modi di esercizio (quale ratio speculativa, intellectus, sapientia...) e in riferimento a differenti filosofie. È evidente, perciò, che ogni coppia presenta potenzialmente un'infinità di variazioni. Testo

  89. Voglio sottolineare, in particolare, la diversità degli influssi di natura spirituale, legata ad uno specifico cammino di santità che è anch'esso una causa rilevante della diversità dei modelli. Lo ricorda Ratzinger quando scrive: «Non è pensabile Atanasio senza la nuova esperienza di Cristo di Antonio abate; Agostino senza la passione del suo cammino verso la radicalità cristiana; Bonaventura e la teologia francescana del XII secolo senza la nuova gigantesca attualizzazione di Cristo nella figura di san Francesco d'Assisi; Tommaso d'Aquino senza la passione di Domenico per il Vangelo e l'evangelizzazione; e si potrebbe continuare, così, lungo tutta la storia della teologia» (J. Ratzinger, Natura e compito della teologia, 55). Testo

  90. Cf. C. Geffré, «Pluralità delle teologie e unità delle fede», in B. Lauret -- F. Refoulé (edd.), Iniziazione alla pratica della teologia, vol. 1: Introduzione, Brescia 1986, 121-167; P. Coda, Teo-logia, 26-39; J. Ratzinger, Natura e compito della teologia, 67-87. Testo

  91. Cf. la sua idea della «theologia variarum sectarum consona» (Centheologicum, tractatus continens centum theologias, codex Bruxellensis 11571-75, ff. 1r-74r). Testo

  92. «De filiatione Dei», tr. it., in Opere filosofiche, Torino 1972, 348. Testo

  93. Quanto alla ricerca delle nuove vie della teologia di fronte alla sfida del dialogo interecclesiale, il contributo che uno studio della Sdt, fatto in chiave epistemologica, può offrire in questo senso non deve essere sottovalutato. Per dirla con Delpero: «Oltre che a formare concretamente un solido metodo teologico, lo studio del suo sviluppo storico contribuisce anche a fornire le basi per lo stesso dialogo ecumenico, dal momento che consente di verificare l'origine e le motivazioni dei diversi atteggiamenti nei confronti delle stesse verità di fede, che storicamente sono stati condizionati da differenti situazioni culturali e geografiche, trattisi di atteggiamenti ortodossi o eterodossi. In tal modo si ingenera gradualmente quella maturità di giudizio che è l'autentica meta del teologo professionale, perché conta sull'appropriata contestualizzazione dei dogmi e delle eresie» (C. Delpero, La teologia nella storia, 14). Testo

  94. Tra i saggi dedicati a questo tema segnalo M. Seckler, «Il concetto di Rivelazione», in W. Kern -- H.J. Pottmeyer -- M. Seckler (edd.), Corso di teologia fondamentale, Brescia 1990, 66-94; R. Fisichella, «Prospettive epistemologiche circa il fondamento della teologia», in Ricerche teologiche 2 (1991) 5-20; Id., Che cos'è la teologia, 43-56; G. Lorizio, art. «Rivelazione», in Teologia, a cura di G. Barbaglio, G. Bof, S. Dianich, 1336-1376; C. Greco, «Intellectus revelationis. Elementi per uno statuto ontologico ed epistemologico della rivelazione di Dio», in A. Ascione -- M. Gioia (edd.), Sicut flumen pax tua, Napoli 1997, 235-252. La centralità della Rivelazione, compresa nella prospettiva epistemologica, è l'idea ispiratrice dei saggi di E. Salmann, Neuzeit und Offenbarung. Studien zur christlichen Analogik des Christentums, Roma 1986; Id., Der geteilte Logos. Zum offenen Prozeß von neuzeitlichem Denken und Theologie, Roma 1992. Di grande interesse, inoltre, le intuizioni di T.F. Torrance, elaborate -- sulle orme della teologia dialettica di Barth -- alla luce dell'idea della Trinità come «the innermost heart of the Christian faith, the central dogma of classical theology, [and] the fundamental grammar of our knowledge of God» (Trinitarian Perspectives: Toward Doctrinal Agreement, Edinburgh 1994, 1). Tra le sue opere: Reality and Scientific Theology, Dundee 1970; God and Rationality, London 1971; The Ground and Grammar of Theology, Belfast 1980; Transformation and Convergence in the Frame of Knowledge: explorations in the Interrelations of Scientific and Theological Enterprise, Belfast 1984. Testo

  95. Come afferma, ad esempio, Torrance, l'incarnazione di Dio in Gesù Cristo determina sia «la materia che la forma specifica» della teologia cristiana (The Christian Doctrine of God, One Being Three Persons, Edinburgh 1996, 1; cf. anche 216). Testo

  96. Per un approfondimento di questi fondamentali aspetti della teologia cristiana, derivati dalla riflessione sulla Rivelazione come 'teologia esemplare di Dio' (o theologia subalternans), mi permetto di rinviare a La teologia: statuto, metodo, 183-228. Testo