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Il metodo teologico di Gregorio Magno. Il processo plurisemantico della analogia metaesegetica

di Alfredo Simón (31 agosto 2004)

La mia riflessione vuole essere un approccio al metodo adoperato da Gregorio Magno per l'elaborazione del suo pensiero teologico così come appare nei suoi scritti. Cercherò di individuare alcuni tra i criteri, principi, chiavi di lettura e di interpretazione ed i riferimenti più ricorrenti, che si trovano e soggiacciono alle opere principali di questo Padre della Chiesa. Non mi incentrerò sul contenuto teologico-spirituale, ma piuttosto sull'analisi di alcuni testi significativi per individuare il modo con il quale Gregorio elabora il suo pensiero ed illuminare così i principi che sostengono il suo metodo.

Gregorio Magno è stato monaco e Papa e questi due aspetti biografici della sua persona, la realizzazione della sua vocazione monastica e lo svolgimento della sua attività pontificia, hanno determinano palesemente l'orientamento decisamente spirituale e pastorale che percorre tutta la sua opera e segnano, allo stesso tempo, le caratteristiche della sua riflessione sulla parola di Dio e quindi del suo metodo teologico. Oltre all'esperienza esistenziale, hanno una grande influenza sul metodo le forme letterarie che egli ha scelto per i suoi scritti. I titoli e i generi letterari che ha adottato per le opere principali che prenderò in considerazione (Commento morale a Giobbe, Omelie su Ezechiele, Omelie sui Vangeli e Commento al Cantico dei Cantici) indicano già che lui ha concepito la sua produzione, come altri Padri della Chiesa, soprattutto come commenti alla Scrittura, vale a dire come ricerca approfondita del significato della Parola di Dio per lui e per la Chiesa del suo tempo.

Il suo proposito e la sua idea della teologia si trovano sintetizzati in frasi come sacri eloquii erudiri mysteriis,1 che egli applica, nel Commento morale a Giobbe, in senso negativo all'ipocrita che vuole essere istruito sui misteri della parola divina ma non per viverne. Appare qui il rapporto necessario che si stabilisce tra la conoscenza della parola divina e il vivere la parola divina, che è la finalità di questa conoscenza. La concezione gregoriana della teologia e del sapere e i due elementi già segnalati, l'esperienza biografica e i generi letterari, hanno una influenza previa, sia in modo diretto sia indiretto, nel metodo teologico che Gregorio adopera e che tentiamo adesso di mettere in luce, di capire e di descrivere.

Per quanto riguarda il linguaggio, Gregorio usa molte immagini ed esempi pratici per illustrare il suo pensiero ed è lui stesso a spiegare di voler scrivere senza pretese letterarie, che riterrebbe inadatte al senso della parola di Dio:

Mi sono rifiutato di seguire l'arte del dire quale viene insegnata da una disciplina che cura solo l'esteriorità. Infatti, come lo dimostra il tenore di questa lettera, non rifuggo dall'urto del metacismo, non evito la confusione del barbarismo, non mi preoccupo di osservare l'ordine delle parole, i modi dei verbi, i casi delle preposizioni, perché decisamente ritengo sconveniente assoggettare le parole dell'oracolo celeste alle regole di Donato.2

Ho articolato il mio studio in tre parti. La prima considera l'intelligenza spirituale della Scrittura, che sta alla base del metodo di Gregorio Magno, la seconda espone il principio cristologico che è la chiave per snodare la sua interpretazione teologica e la terza mette in risalto il carattere pratico del suo pensiero il quale partendo dalla prospettiva escatologica e contemplativa ne trae poi le conseguenze morali e pastorali e completa così la relazione tra la conoscenza della fede e la pratica morale per raggiungere la vera conoscenza del mistero di Dio.3 Concluderò con vari spunti sull'attualità di alcuni elementi gregoriani che si rilevano fecondi per la riflessione teologica contemporanea.

1. L'intelligenza spirituale della scrittura o la trasposizione analogica dei significati della parola di Dio come base metodologica della teologia di Gregorio Magno

Nell'opera gregoriana si riscontra una riflessione sulla parola di Dio e sulla fede che scaturisce originariamente dall'esperienza biblica di Gregorio e costituisce certamente l'elemento basilare del suo metodo teologico. La sua teologia non si presenta come una elaborazione sistematica dei contenuti della fede o dei suoi problemi teorici, ma come ricerca ermeneutica di un significato profondo della parola di Dio che possa illuminare la fede e la vita pratica dei credenti e portarli alla salvezza secondo il disegno originario della rivelazione.

Nella lettera scritta a Leandro di Siviglia, che troviamo all'inizio di Moralia in Iob, Gregorio segnala alcuni degli elementi metodologici che adopera. Egli cerca un'intelligenza dei «misteri» della Scrittura che comprende vari livelli di letture e di interpretazioni raggiunti dopo un'elaborazione critica a livello di controllo documentale:

Fu allora che i miei fratelli, spinti da te, se ben ricordi, pensarono di costringermi con molta insistenza a commentare il Libro del beato Giobbe, e a svelare loro, nella misura in cui la Verità mi rendeva capace, i misteri così profondi che esso contiene. Essi poi resero più esigente la loro richiesta pretendendo non solamente l'interpretazione allegorica della storia, ma le sue applicazioni morali; infine, cosa ancor più difficile, mi chiesero di provare ogni interpretazione con documenti e, qualora i documenti non fossero chiari, di illustrarli con ulteriori spiegazioni.4

Gregorio espone così la distinzione dei livelli della storia, del senso allegorico e del senso morale, nella comprensione dei «misteri profondi» della Scrittura per descrivere, infine, il suo modo critico di procedere per l'elaborazione del suo pensiero.

Più avanti, nella stessa lettera a Leandro, spiega questo processo metodologico di carattere plurisemantico richiamando la significazione «tipica» raggiunta per mezzo dell'allegoria. Gregorio usa nel suo linguaggio alcuni simboli della costruzione edile e dell'alimentazione per parlare metaforicamente della conoscenza e della formazione della fede nel credente. Mette in primo posto i fondamenti della «storia» per ricercare poi la significazione «tipica», che costruisce «l'edificio» della fede nell'anima, concludendo con una riflessione morale che perfeziona col «colore» il senso della fede e della verità che trasmette la Scrittura:

Si tenga presente che sorvoliamo sulla spiegazione storica di alcuni passi, mentre di altri esaminiamo in modo approfondito il senso tipico per mezzo dell'allegoria; altri li spieghiamo unicamente con il criterio della moralità allegorica; in certi passi, infine, ricerchiamo con grande impegno ciascuno di questi tre sensi. Infatti, dapprima stabiliamo i fondamenti della storia; poi, per mezzo della significazione tipica, erigiamo l'edificio della nostra anima come città della fede; infine, con la bellezza del senso morale, rivestiamo in qualche modo l'edificio aggiungendo il colore. E infatti, che cosa sono le parole della Verità se non alimenti per nutrire le nostre anime?5

Nelle Omelie su Ezechiele Gregorio parla del passaggio dalla storia all'intelligenza spirituale per mezzo del mistero dell'allegoria prendendo come simbolo la conversione dell'acqua in vino di cui parla il brano evangelico delle nozze di Cana:

E cambia in noi l'acqua in vino quando la storia per mezzo del mistero dell'allegoria si trasforma per noi in intelligenza spirituale.6

Gregorio spiega più volte e con varie sfumature i sensi della Scrittura, soprattutto quello letterale e quello spirituale, chiamati anche corrispettivamente storico e allegorico. Nelle Omelie sui Vangeli, ad esempio, parla della verità della storia (ueritas historiae) per sviluppare poi il significato spirituale dell'allegoria (spiritalis intelligentiae allegoriae)7 nel tentativo di riflettere sulla fede (fidem) e la morale (moralitatem). La storia (historia), che troviamo nel senso letterale (litterae uerba), è solo la superficie (sola superficie) che «nasconde» un senso più profondo dei misteri della fede e rimanda verso la ricerca umile della comprensione della verità (intellegentiam ueritatis).8 Ancora nei Moralia afferma che passi oscuri della storia vengono illuminati dalla spiegazione spirituale.9 Nella figura di Giobbe, in concreto, Gregorio applica una trasposizione semantica dal senso storico-letterale (historiam) al senso allegorico (allegoriam). In virtù dell'allegoria, quello che si dice di una figura veterotestamentaria diventa referente dei membri della Chiesa: «Ma quanto è detto in base al senso storico di uno, secondo il senso allegorico si deve applicare ai diversi eletti della Chiesa».10

Il metodo teologico di Gregorio ha dunque un chiaro carattere dialettico che oscilla tra la «lettera» e l'«allegoria», tra la conoscenza della storia e l'intelligenza spirituale, le quali sono indirizzate in un'interrelazione semantico-analogica che supera la distanza contestuale originaria con il fine di raggiungere una comprensione della verità, sia della fede che della morale, che nella sua globalità misterica trascende il senso delle concrezioni letterarie parziali e diventa metaesegesi. Nelle Omelie su Ezechiele lui spiega, con la metafora allegorica delle due soglie della porta, questo duplice principio che regge tutta la sua comprensione biblica e configura a sua volta la sua ermeneutica teologica: la Scrittura è come una porta che ha una soglia esterna prima di passare alla soglia interna; il senso «esterno», storico o letterale, precede il senso «interno», allegorico o spirituale:

Se poi, in questo passo, nella porta vediamo la sacra Scrittura, anche questa ha due soglie, una esterna e l'altra interna, perché si divide in lettera e in allegoria. La lettera è la soglia esterna della sacra Scrittura, l'allegoria è la soglia interna. Poiché infatti per mezzo della lettera tendiamo all'allegoria, e in certo modo arriviamo alla soglia interna attraverso la soglia esterna.11

Il senso esterno delle realtà visibili che presenta la «lettera» e la «storia» è orientato verso un senso interno delle realtà invisibili, più profondo, il senso allegorico e l'intelligenza spirituale.

Il libro della sacra Scrittura, infatti, è scritto dentro a motivo dell'allegoria, fuori a motivo della storia. Dentro a motivo dell'intelligenza spirituale, fuori a motivo del semplice senso letterale, adatto a chi è ancora debole. Dentro, perché promette le realtà invisibili, fuori, perché con la rettitudine dei suoi precetti dispone le realtà visibili.12

La funzione dell'allegoria è quella di trovare un senso intelligibile relativo alla fede o alla morale nei brani biblici che sono di difficile interpretazione per il lettore, e in modo particolare per quei passi dell'Antico Testamento che risultavano molto lontani dall'orizzonte culturale romano. Rendendosi conto della notevole distanza temporale e culturale che esisteva tra il mondo letterario ebraico e il lettore romano, Gregorio cerca dei significati nei testi biblici che siano comprensibili per il lettore della sua epoca e proprio per questa ragione adopera la tecnica di applicazione teologico-letteraria della molteplicità dei sensi della Scrittura dentro una cosmovisione integrale e profonda del mistero della fede nella Chiesa.

Leggiamo ancora nei Moralia che per historiam si crede nei fatti, per allegoriam si vedono adempiuti nella sua totalità, in un riferimento alla storia di Giobbe compiuta in Cristo.13 Questa funzione è pertanto di carattere teologico e oltrepassa la finalità puramente esegetica, benché sia anche presente. Il principio della parola divina viva e operante in Cristo per mezzo dello Spirito Santo permette di creare un collegamento tra vicende diverse, tra i fatti storici di Israele e i misteri riguardanti Cristo e la Chiesa, che sono sempre «nuovi» e permangono pur nella mutevolezza del tempo.

In questo modo, la historia narra i fatti accaduti trasmessi dalla lettera e l'allegoria rinvia ad un ulteriore significato di carattere cristologico, profetico o etico. Per Gregorio quindi il senso letterale non è sempre sufficiente per spiegare il messaggio salvifico più profondo della parola di Dio, penetrabile integralmente solo in virtù di un'intelligenza spirituale alla luce del Nuovo Testamento.

Gregorio espone chiaramente la sua concezione teologica della Sacra Scrittura. Afferma, ad esempio, «la Sacra Scrittura è di gran lunga superiore ad ogni scienza e dottrina... perché con un medesimo discorso narra un fatto e rivela un mistero».14 La Scrittura rivela un mistero e contiene in se stessa un'autenticità dinamica che permette nuove interpretazioni a seconda delle diverse situazioni e letture. La Scrittura «cresce» con i lettori, diventa sempre più comprensibile per i lettori, semplici o dotti.15 La Scrittura ha una mirabile profondità, dichiara con linguaggio simbolico Gregorio, e la sua lettura e meditazione è simile alla raccolta di freschissime erbe che sono poi ruminate.16 La Scrittura quindi trasmette nel suo contenuto un mistero divino profondo ed inesauribile per l'uomo. La distinzione presente in Gregorio tra lo scriptor, l'estensore del testo, ed il vero auctor che è lo Spirito Santo17 stabilisce una base teologica fondamentale per procedere all'intertestualità che feconda il senso allegorico e trascende il senso letterale. Gregorio venera la storia sacra18 ma, nella sua ricerca dei «misteri» dell'allegoria, egli sottomette la Scrittura ad un processo di decontestualizzazione originario per riproporla in illimitati contesti viventi, creando così un criterio ermeneutico di autonomia semantica rispetto alla situazione della narrazione scritta.19 Con questo criterio un mistero che trascende il tempo e lo spazio può farsi accessibile in un certo modo alla mente umana.

Per realizzare il suo progetto Gregorio stabilisce una circolarità ermeneutica tra i diversi significati estrapolabili nella Scrittura rispondenti ad una molteplicità di livelli di lettura e di interpretazione, che è stato definito dagli studiosi delle tradizioni patristiche come teoria dei sensi della Scrittura.

Il pensiero di Gregorio si configura quindi come una spiegazione della Scrittura e della sua intrinseca potenzialità plurisemantica in un tentativo globale e processuale di illuminare la fede e la morale dei credenti. A seconda dei testi evidenziati, egli adopera una varietà di concetti per distinguere i diversi livelli di comprensione della Parola di Dio, che avendo una fonte di verità unica nel mistero di Dio, quando entra in rapporto con gli uomini deve trovare diverse forme di espressione adatte alle varie capacità di intelligenza umana. Così troviamo i concetti di «storia», «senso allegorico», «significato tipico», «senso morale», «intelligenza spirituale», che in differenti forme e in una certa libertà di espressione linguistica Gregorio utilizza per spiegare molti aspetti della fede e della morale prendendo come base i diversi sensi della Scrittura e applicando loro una trasposizione di significati di creatività analogica e nessi metaforici, simbolici e allegorici. In questo modo egli vuole cogliere il senso ultimo ed una comprensione coerente della parola di Dio in rapporto con la salvezza dell'uomo. Dunque, la sua non è solo un'esegesi ma anche una teologia, che parte dalla Scrittura ed elabora una riflessione sul mistero della fede e della salvezza.

Prende come base quello che costituisce il contenuto della rivelazione trasmessa dalla Scrittura, cioè la storia della salvezza, per costruire poi, attraverso un linguaggio fortemente simbolico, un pensiero che intende coinvolgere, in una interpretazione unitaria, un'intelligenza della realtà alla luce del mistero salvifico di Dio nella quale convergono molteplici aspetti teologici, cristologici, ecclesiologici, antropologici, morali ed escatologici. L'azione di Dio nella storia è costante e Gregorio si sente in dovere di comprendere e far capire agli altri quale sia la logica di Dio che la Scrittura trasmette illuminando la storia e la realtà di ogni uomo in ogni epoca. La sua quindi non è solo un'esegesi ma una teologia configurata come metaesegesi e sviluppata riflessivamente verso una visione globale di fede e morale sulla realtà, su Dio, sull'uomo alla luce della parola di Dio. In realtà la sua preoccupazione principale è pienamente teologica tanto che la sua ricerca della comprensione della verità (intellegentiam ueritatis) si inserisce nel cuore della finalità concreta della parola divina, la quale attua nella storia il rapporto di Dio con l'uomo e rivela il mistero della salvezza.

2. Il principio cristologico come chiave di interpretazione teologica convergente

Gregorio definisce il rapporto stretto esistente tra Antico e Nuovo Testamento spiegando metaforicamente, con l'immagine circolare doppia della ruota dentro un'altra ruota, come il Nuovo Testamento sveli il senso di quanto era stato annunziato nell'Antico. Introduce inoltre l'esempio di Adamo ed Eva a cui attribuisce il significato tradizionale di Cristo e la Chiesa. Stabilisce così il principio fondamentale e convergente di interpretazione cristologica che guida la sua comprensione biblica soggiacente al suo pensiero teologico, in questo caso concreto con un riferimento cristologico ed ecclesiologico:

Ruota in mezzo a un'altra ruota è il Nuovo Testamento in mezzo all'Antico Testamento, perché il Nuovo Testamento ha fatto vedere ciò che l'Antico Testamento annunziava. Per fare un esempio, che cosa significa il fatto che Eva vien fuori da Adamo immerso nel sonno, se non che la Chiesa viene formata dal Cristo morente?20

Gregorio illustra ancora in questo brano del Commento a Ezechiele, con più esempi veterotestamentari, la sua idea centrale della completezza significativa di essi in Cristo definito anche Redentore, Sacerdote e Mediatore. Entrambi i testamenti «parlano» in realtà di Cristo, in cui convergono tutti e due. Si delineano così le tracce della sua teologia convergente mettendo in rapporto a livello scritturistico elementi cristologici, antropologici e soteriologici:

Che significa il fatto che Isacco viene condotto al sacrificio e porta la legna, viene posto sopra all'altare e rimane vivo, se non che il nostro Redentore, condotto alla passione, portò sulle sue spalle il legno della croce? E come uomo morì per noi nel sacrificio, in modo tale, però, da rimanere immortale come Dio. Cosa significa che l'omicida dopo la morte del sommo pontefice ritorna assolto nella propria terra, se non che il genere umano, che peccando si era inflitto la morte, dopo la morte del vero Sacerdote, cioè del nostro Redentore, viene prosciolto dai vincoli dei suoi peccati e ritorna in possesso del paradiso? Si ordina di fare nel tabernacolo il propiziatorio, di mettervi sopra, sulle due estremità due cherubini di oro puro, con le ali stese per coprire il luogo dove Dio parlava, rivolti l'uno verso l'altro e insieme verso il propiziatorio. Che cosa significa questo, se non che i due Testamenti convergono verso il Mediatore tra Dio e gli uomini, in modo tale che uno fa vedere quanto l'altro adombra? Che cosa vuol significare, infatti, il propiziatorio, se non lo stesso Redentore del genere umano?21

Il processo analogico della trasposizione semantica che va dal senso letterale all'intelligenza spirituale dell'Antico Testamento, simbolizzato da Gregorio con l'immagine circolare delle ruote, ci è stato rivelato attraverso l'incarnazione di Cristo, chiamato qui «Redentore nostro», ed è simile al passaggio da una comprensione carnale ad un'intelligenza vivificata spiritualmente. Cristo fonda quindi l'intelligenza spirituale della rivelazione. Gregorio stabilisce così un'ermeneutica analogica di carattere metaesegetico mettendo in relazione interpretativa, attraverso alcune similitudini letterarie e semantiche, il significato dei testi veterotestamentari con l'assoluta potenzialità di senso che scaturisce dal mistero di Cristo; tale operazione, che oltrepassa il puro compito esegetico sul testo, è possibile grazie al carattere unitario dei misteri della fede che Gregorio reinventa a partire del reperto della tradizione:

Abbiamo detto che le ruote indicano i Testamenti. È vero, l'Antico Testamento ha camminato, perché ha raggiunto per mezzo della predicazione le menti degli uomini, ma si è voltato indietro, perché nei suoi precetti e sacrifici non poteva essere osservato alla lettera fino in fondo. Non è rimasto immutato, perché mancava in esso l'intelligenza spirituale. Ma quando il nostro Redentore è venuto nel mondo, ha fatto comprendere in senso spirituale ciò che in senso carnale non si poteva sostenere. E così mentre la lettera viene intesa in senso spirituale, viene vivificata in essa ogni espressione carnale.22

In una allusione al fatto stesso dello studio dei misteri della parola di Dio, Gregorio dimostra la sua libertà espressiva nella denominazione dell'intelligenza spirituale di chiave cristologica che è chiamata anche senso o «intelligenza mistica»:

A quale altezza siamo elevati per scrutare i misteri della parola di Dio. È certo che nei nostri antenati noi eravamo cultori degli idoli. Ma ecco che ormai in virtù dello Spirito della grazia noi ricerchiamo le parole celesti. A che dobbiamo noi questo? Il Redentore del genere umano ha compiuto ciò che disse per mezzo del profeta: I forestieri si nutriranno nei deserti trasformati in pascoli ubertosi. Sì, questi oracoli dei profeti per i Giudei erano deserti, perché non vollero coltivarli ricercandone il senso mistico. Per noi si sono trasformati in pascoli ubertosi, perché ciò che il profeta dice della sua visione a livello storico, ha acquistato per dono di Dio, un sapore spirituale per la nostra anima.23

La storia della salvezza, dalla legge e i profeti fino al Vangelo e gli apostoli era orientata alla predicazione dell'incarnazione del Signore (Dominum) che il Padre rivelò nei cuori degli uomini (corda hominum) per la nostra redenzione:

Dove si dirigono le parole di Dio se non verso i cuori degli uomini? Ma andavano in quattro direzioni, perché la Sacra Scrittura si dirige ai cuori degli uomini indicando i misteri per mezzo della Legge. Per mezzo dei profeti si dirige al cuore degli uomini in modo più chiaro, profetando il Signore. Per mezzo del Vangelo si dirige al cuore degli uomini, mostrando Colui che è stato profetato. Per mezzo degli apostoli si dirige al cuore degli uomini, predicando Colui che il Padre ha mostrato per la nostra redenzione. Le ruote hanno dunque facce e vie, perché gli oracoli divini offrono la conoscenza dei precetti facendo vedere le opere. E si muovono in quattro direzioni, perché, come abbiamo detto prima, parlano in tempo distinti, e anche perché predicano il Signore incarnato in tutte le regioni del mondo.24

Qui vediamo in un linguaggio allegorico, simbolico e profetico un'interpretazione cristologica e soteriologica di tutto il mistero della salvezza trasmesso dalla Sacra Scrittura ed indirizzato al cuore degli uomini. Il senso allegorico permette di raggiungere questo senso cristologico e quindi un'elaborazione teologica convergente e unitaria intorno ad un nucleo essenziale.

La penetrazione di un senso più profondo che ci permetta di comprendere i passaggi oscuri della Scrittura è fondata da Gregorio sulla spiegazione che Cristo stesso fece ai discepoli di Emmaus:

Il rotolo è il linguaggio oscuro della Sacra Scrittura, che è avvolto da pensieri così profondi che non è facile a tutti penetrarne il senso... E così il rotolo viene svolto quando ciò che era stato proferito in maniera oscura, viene spiegato nel suo significato. La Verità svolse questo rotolo quando compì davanti ai discepoli ciò che fu scritto: Allora aprì loro la mente perché comprendessero le Scritture.25

L'interpretazione cristologica di molti riferimenti veterotestamentari ricorre frequentemente in Gregorio. Cristo è designato spesso con i termini di Mediatore o Redentore in rapporto con l'uomo e accoglie il significato più o meno analogico di molti simboli della Scrittura come il balenìo, il candelabro, il monte, la porta, il firmamento:

Che cosa significa il balenìo dell'elettro se non Cristo Gesù Mediatore fra Dio e gli uomini?26

Ecco, qui ci si riferisce all'Uomo del quale è scritto: Egli, pur essendo di natura divina... .27

Che cosa simboleggia il candelabro, se non il Redentore del genere umano?28

Cosa significa il monte altissimo se non il Mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù?29

Ma in questa espressione c'è un chiaro riferimento all'incarnazione del Signore.30

Ora, con l'indicazione di questa porta, a chi altri si allude se non al Signore e Redentore nostro.31

Si può intendere il firmamento come figura del nostro Redentore.32

Prendiamo a modo di esempio in un contesto più ampio l'omelia sesta del primo libro su Ezechiele.33 Commentando il brano di Esodo 25,31 Gregorio elabora un'esegesi allegorica sul candelabro d'oro puro di carattere cristologico ed antropologico.34 Il candelabro è Cristo perché lui è la luce che risplende nel mondo. Poi ci sono due aspetti, la materia da cui è fatto il candelabro e la qualità di questa materia. Il candelabro è fatto d'oro purissimo. Questo indica il fatto che l'uomo Gesù Cristo è senza peccato. La qualità dell'oro è la duttilità, la quale manifesta che tramite la sofferenza Gesù, concepito e nato come vero Dio e vero uomo, è arrivato alla gloria tramite i dolori della passione.

In seguito, nella stessa omelia, viene fatta una descrizione articolata del corpo di Cristo che è la Chiesa, «che siamo noi»,35 attribuendo un significato simbolico alle parti del corpo umano e alla loro connessione. La testa, il capo, Cristo, che ha più vicino il petto, gli apostoli, a cui si uniscono le braccia, i martiri, e le mani (i pastori ed i dottori). Prendendo l'immagine del candelabro, in tutte le sue parti. Così fa vedere che Cristo cresce nella misura in cui il suo corpo (che siamo noi) cresce nella perfezione spirituale; nella misura in cui si avvicina alla «plenitudine» del Cristo, secondo l'allusione paolina che Gregorio cita.

In un secondo momento, si serve della stessa immagine del candelabro: la Chiesa (il fusto), che è propriamente il corpo di Cristo, da cui sorgono i predicatori (i bracci) che fanno sentire nel mondo «una voce dolce» (dulcem sonum). I calici, che sono le menti degli ascoltatori, sono riempiti del vino della conoscenza che arriva grazie alla predicazione (sfera). L'ecclesiologia è fortemente fondata sulla cristologia e si dischiude verso la pastorale (la predicazione) e la spiritualità ed ha senso solo in quanto Cristo è insieme il suo punto di partenza (Redemptor noster) e il suo punto di arrivo (plenitudinis Christi).

Questa interpretazione simbolica del candelabro biblico è insieme cristologica ed ecclesiologica perché tratta del Cristo totale, il capo e il corpo. Il suo linguaggio analogico mostra la potenzialità ermeneutica di un simbolo veterotestamentario suscettibile di un riferimento semantico che lo trasforma in un insegnamento teologico.

Nel Commento al libro di Giobbe, Gregorio propone una significazione «tipica» del personaggio secondo l'uso ermeneutico paolino (typus) del rapporto tra la prefigurazione di un episodio veterotestamentario e il suo completamento nel Nuovo Testamento. Ciò avviene non solo per una somiglianza esteriore ma anche per il modo coerente con cui Dio agisce nell'economia della salvezza compiuta in Cristo. La tipologia dischiude anche l'intelligenza contemplativa dell'ineffabile divino verso una comprensione più alta della parola di Dio: «Un altro cerca attraverso il "tipo" la comprensione contemplativa».36

In Giobbe, che offre il sacrificio nell'ottavo giorno, è prefigurato profeticamente Cristo nel mistero della risurrezione, non per arbitraria attribuzione, ma per ispirazione dello Spirito Santo.37 In Cristo, infatti, si riconosce l'adempimento delle Scritture (cf. Lc. 4,17-21; 22,37; 24,27). La spiegazione tipologica del libro di Giobbe si articola principalmente in due fasi, cristologica ed ecclesiologica: «Per lo più espone i fatti propri in modo tale da annunciare profeticamente attraverso il "tipo" i fatti della santa Chiesa e del nostro Redentore».38

Giobbe come figura di Cristo appare rappresentato, secondo un'interpretazione comune, come il Cristo paziente, che rimane fedele nelle prove. Egli dice infatti che tutti i giusti che vissero santamente prima di Gesù, lo hanno annunciato con le loro opere e con le loro parole. In questo senso Giobbe è considerato da Gregorio una figura dei misteri (mysteria) dell'incarnazione e un'icona privilegiata dei misteri (sacramenta) della Passione di Cristo.

Non ci fu nessun giusto che non abbia prefigurato e preannunziato il Cristo. Era infatti opportuno che tutti mostrassero in se stessi la bontà di lui, dal quale attingevano la loro bontà e l'utilità da rendere agli altri. Doveva essere promesso senza interruzione Colui che si donò per essere ricevuto senza misura e per essere posseduto senza fine. Nel loro insieme i secoli dissero ciò che la fine dei secoli ha manifestato per la redenzione universale. Fu dunque necessario che il beato Giobbe, il quale annunziò i grandi misteri dell'Incarnazione, esprimesse altresì nella propria vita Colui che descriveva con le sue parole; che mostrasse con le proprie sofferenze ciò che il Cristo avrebbe sofferto e predicesse i misteri della Passione con tanta maggior verità in quanto li profetava con le sue sofferenze più che con le sue parole.39

Anche più avanti, nella Prefazione, Gregorio torna sull'identificazione figurata tra Giobbe e il futuro Redentore, alla luce del fatto che Giobbe significherebbe «il sofferente».40

L'unione tra Cristo e la Chiesa, simbolizzata con l'analogia dello sposo e della sposa, fa che Giobbe sia ugualmente identificato come figura della Chiesa, sposa di Cristo e vessata da più parti. Questa lettura di Gregorio amplifica il significato originale di Giobbe per illuminare la comprensione di quello che è la Chiesa. Ciò che si dice di Cristo, come capo del corpo, si può predicare anche della Chiesa, corpo di Cristo. E il titolo di sofferente si può attribuire anche alla Chiesa. Leggiamo infatti: «Il nostro Redentore forma una sola persona con la santa Chiesa».41 E più avanti, nello stesso paragrafo:

Colui che come capo è lo sposo, come corpo è la sposa; è necessario quindi che ogni volta che si dice qualcosa del capo immediatamente si estenda al corpo e, viceversa, occorre risalire subito al capo quando si fa riferimento al corpo. Il beato Giobbe è simbolo profetico (typum) del Cristo che doveva venire e insieme del suo corpo.42

L'ermeneutica tipologica applicata al linguaggio biblico mostra la potenzialità di un messaggio sempre aperto al riempirsi di nuovi significati concreti da parte della comprensione dei lettori, come dice Gregorio, oltre al senso originale del testo voluto dall'autore umano: le parole della Scrittura «come spesso abbiamo già detto, diventano più intelligibili secondo la disposizione dei lettori».43 Le nuove interpretazioni scaturiscono necessariamente, secondo Gregorio, a causa della distanza contestuale esistente tra le molteplici letture del testo sacro fatte in differenti epoche. Infatti, la lettura della Scrittura, realizzata in diversi contesti e momenti, va applicata a situazioni diverse e illumina differenti realtà. In questo caso Gregorio per mezzo del senso tipico applica la figura di Giobbe al nuovo contesto della Chiesa in cui lui vive, che è diverso del significato originale del testo, e con questa applicazione di lettura annulla la distanza di significati esistente tra il senso originale ed il nuovo senso da lui attribuito per rendere più significativa una realtà all'interno di un contesto differente. Gregorio non cerca tanto il significato originale della Scrittura ma il significato nella sua realtà vitale alla luce della Scrittura. La sua preoccupazione è rendere permanentemente significativa la lettura della Scrittura.44

3. Escatologia e morale, contemplazione e pastorale

L'interpretazione spirituale della Scrittura sta alla base della tensione escatologica e morale, contemplativa e profetica ed ha al suo interno lo sguardo sulla realtà del suo tempo che contribuisce alla configurazione metodologica della sua teologia. La visione che egli ha dell'azione di Dio nella storia è articolata secondo le circostanze storico-culturali del suo tempo e la teoria dei sensi della Scrittura con il conseguente processo plurisemantico dell'analogia metaesegetica. L'orientamento prevalentemente spirituale ed etico è segnato proprio da due aspetti, quello vitale e quello teorico che permettono di stabilire dinamicamente la circolarità coriflessiva pragmalinguistica che feconda il pensiero gregoriano. I significati allegorico-tipologici vanno completati con il senso morale in modo che sia completato il pensiero con l'insegnamento cristiano e «l'edificazione degli altri». La finalità pastorale dischiude il metodo che Gregorio adopera nella configurazione del suo pensiero. Come abbiamo già esposto, Gregorio basa l'elaborazione del suo pensiero teologico sulla componente «storica» degli eventi biblici letti secondo la «lettera» per svilupparne poi, attraverso l'«allegoria», il loro senso attuale, vitale e parenetico come chiave di comprensione della storia presente, ispirandosi alla lettera a Timoteo che afferma l'utilità della Scrittura per insegnare, per esortare e per la dottrina (cf. 2Tim. 3,16).

Le interpretazioni tipologica e morale sono interconnesse ed esprimono un valore profetico in numerose espressioni di parole e personaggi biblici. Ma l'interesse principale ed esplicito è legato, come già accennato, all'esperienza della contemplazione e all'applicazione morale pratica intesa come edificazione degli altri:

In questo commento può sembrare che io trascuri spesso il senso letterale per applicarmi con maggiore impegno nel vasto campo della contemplazione e della moralità.45

Il significato morale è spiegato in seguito da Gregorio con la metafora del fiume ed esprime la preoccupazione pastorale che ha sempre in mente nella sua teologia. È importante per chi parla di Dio, completare il discorso con il senso morale e pratico che contribuisce da una parte a compiere la finalità della parola di Dio e, dall'altra, a completare una conoscenza teologica integrale:

Ma è necessario che chi parla di Dio si preoccupi di istruire moralmente quelli che lo ascoltano, e quindi può ritenere di condurre bene il suo discorso, se, quando l'opportunità di edificare lo richiede, si allontana utilmente dal suo punto di partenza. Il commentatore della parola di Dio deve comportarsi come un fiume. Un fiume, quando lungo il suo corso viene a trovarsi in valli profonde, subito vi si precipita con impeto e non rientra nel suo alveo se non dopo averle sufficientemente riempite. Proprio così deve comportarsi il commentatore della parola di Dio: qualunque sia il tema che tratta, se lungo il suo cammino incontra una buona occasione di edificare, rivolga verso questa valle l'onda della sua parola e non rientri nell'alveo del suo discorso se non dopo esserci sufficientemente riversato nel campo dell'argomento sopraggiunto.46

La teologia della storia della salvezza, della dispensatio, ha in Gregorio alcune particolarità originali in quanto la convergenza cristologica tradizionale è completata con una prospettiva etica che percorre tutto il suo pensiero. Alcune virtù come la carità e l'umiltà hanno una rilevanza maggiore. L'umiltà occupa un posto centrale nella via della sapienza e della contemplazione di Dio e si oppone radicalmente alla superbia e alle sue conseguenze che impediscono di raggiungere la luce della verità.

Quelli che credono di essere sapienti non possono contemplare la sapienza di Dio, poiché sono tanto più lontani dalla sua luce in quanto non sono umili presso di sé; perché nella misura in cui nella loro mente cresce il gonfiore della superbia, esso chiude lo sguardo della contemplazione; e nella misura in cui essi ritengono di essere più luminosi degli altri, si privano della luce della luce della verità.47

Si mette così in risalto la relazione stretta e vincolante tra conoscenza della verità, contemplazione di Dio e pratica dell'umiltà. Anche nella Regola Pastorale leggiamo che «è cieco chi non conosce la luce della contemplazione celeste».48

L'interpretazione della storia assume spesso in Gregorio una prospettiva teologica ed escatologica con un senso di vicinanza del giudizio e della fine del mondo che comporta a sua volta una concezione particolare della vita attiva e della vita contemplativa. Lui sottolinea che senza la vita contemplativa una persona può salvarsi, ma senza la vita attiva delle buone opere no:

Chi, infatti, conoscendo Dio può entrare nel suo regno se prima non ha operato bene? Perciò, senza la vita contemplativa possono accedere alla patria celeste coloro che non trascurano le opere buone che possono compiere; mentre, senza la vita attiva non possono entrarvi se trascurano le opere buone che possono compiere.49

La vita contemplativa è superiore a quella attiva perché quella attiva finisce con la vita mortale e quella contemplativa invece raggiunge la sua pienezza nella vita immortale. Gregorio prende l'immagine tradizionale dei personaggi evangelici di Marta e Maria come simboli di entrambi i tipi di vita, aggiungendo il ricordo di Mosè per cui la vita attiva era considerata servitù e la vita contemplativa era legata alla libertà.50

La sua preoccupazione per la situazione critica di Roma causata dall'impatto con i barbari e la sua assunzione di responsabilità politiche come praefectus urbi gli impediscono di dedicarsi all'oggetto che costituisce la sua priorità spirituale, cioè la vita contemplativa (contemplandi otia). I barbari sono considerati crudeli e feroci, oltre che infedeles, ma la loro azione devastatrice è attribuita da Gregorio anche come conseguenza dei propri peccati e presa quindi come insegnamento per la pratica dell'umiltà.

Il rapporto tra contemplazione, escatologia e storia concreta non diminuisce l'interesse di Gregorio per quest'ultima. Egli, infatti, aveva esortato anche a non trascurare la base della storia quando si cerca l'intelligenza spirituale:

Una cosa però raccomando caldamente: chi si eleva all'intelligenza spirituale, non venga meno al rispetto della storia.51

Il mistero dell'azione salvifica di Dio nella storia è la chiave d'interpretazione gregoriana degli avvenimenti cruciali della storia sacra e profana: l'elezione del popolo di Israele, l'elezione dei pagani, il ruolo dell'impero romano, l'impatto con i barbari, la cristianizzazione dei barbari, la redenzione finale di tutti i popoli. Le sue lettere ci mostrano che egli prende parte attiva nella missione inviata nel 596 verso gli Anglosassoni, nella promozione della conversione dei Longobardi e dei Visigoti e nella confermazione del cattolicesimo dei Franchi in una visione universale della Chiesa (sancta uniuersalis Ecclesia). Quest'ultima è interpretata, con una citazione del Cantico dei Cantici, come la Gerusalemme della visione di pace alla quale tende nell'anelito escatologico delle realtà celesti.52

Il passaggio dalla storia all'allegoria, dall'esterno all'interno, richiama in Gregorio corrispettivamente la tensione spirituale che si genera passando dalla azione alla contemplazione, dalle cose terrene alle cose celesti, dalle opere esteriori al ritorno in se stessi per trovare Dio.53 Questa complementarità psicologica ed esistenziale della dialettica foris -- intus è costante in Gregorio. L'amore ha un suo ruolo nel processo della conoscenza e della contemplazione:

Conosciamo, mediante l'amore, la bellezza del nostro creatore offerta alla nostra contemplazione, alla quale tendiamo.54

Nel suo Commento al Cantico dei Cantici Gregorio stabilisce una scala di tre gradini nella sua considerazione della morale e le cose del mondo per arrivare alla contemplazione di Dio:

Prima certamente viene il mettere in ordine il comportamento; poi il considerare tutte le cose presenti come se non fossero; e in terzo luogo viene il guardare le cose pure con una celeste e interiore penetrazione di cuore. Così, per questi gradi dei libri si fa una scala verso la contemplazione di Dio: perché, mentre per prima le cose oneste del mondo sono gestite bene, poi sono disprezzate anche le cose oneste del mondo, si contemplino anche le cose intime di Dio fino all'estremo.55

Con la simbologia del bacio e del contatto sensuale ricorrente nel Cantico dei Cantici Gregorio vuole parlare della conoscenza interiore e dell'esperienza intima e gioiosa che proviene da Dio:

Mi baci con il bacio della sua bocca, mi tocchi dentro, perché conosca con intelligenza e gioisca, non già delle voci dei predicatori ma con il tatto della sua grazia interiore.56

La visione della contemplazione nella vita eterna trascende la conoscenza (scientia) che per fede si ha nella vita terrena. I simboli di entrambi i tipi di conoscenza, presi dal Cantico, sono il vino e il petto (ubera) dello sposo, risultando quest'ultimo superiore in quanto per Gregorio l'esperienza della visione oltrepassa l'esperienza della fede:

Perché i tuoi petti sono migliori del vino. Giacché il vino è la scienza di Dio, che possiamo ottenere in questa vita. Tuttavia il petto dello sposo è abbracciato quando nella patria eterna già è contemplato per l'abbraccio della presenza. Dica allora: il tuo petto è migliore del vino, e dica così: grande è la scienza che di te mi hai dato in questa vita; grande è il vino della tua conoscenza con cui mi ubriachi; ma il tuo petto è migliore del vino: perché allora per la visione e per la contemplazione sublime si trascenderà quello che di te si sa per fede.57

La visione escatologica della conoscenza ed il ruolo dell'esperienza della contemplazione sono presenti quindi in Gregorio al momento di individuare gli elementi che confluiscono nel suo metodo teologico e nell'elaborazione finale della sua riflessione.

4. Conclusione

Il metodo teologico di Gregorio Magno ci si rivela come esperienza ermeneutica della Sacra Scrittura configurata letterariamente in un processo plurisemantico di trasposizioni analogiche metaesegetiche verso una riflessione teorica e pratica sulla fede e la verità. Tanti elementi individuati che confluiscono nel metodo teologico gregoriano, come la base fondamentale della Scrittura e i suoi sensi, la centralità del mistero di Cristo, la ricorrenza dell'esperienza spirituale, la prospettiva escatologica o la finalità pastorale, hanno una valenza permanente per la metodologia teologica e recenti documenti della Chiesa ne hanno ricordato la portata per l'attualità. La parola di Dio come anima della teologia e punto di partenza per capire il mistero di Dio nella sua rivelazione all'uomo fu messa in risalto dal Concilio Vaticano II (Optatam totius 16). D'altra parte il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 espone anche la teoria tradizionale dei sensi della Scrittura ai numeri 115-117. Ugualmente è rilevata in Optatam totius 14 la centralità del mistero di Cristo e del mistero della salvezza oltre che la finalità pastorale della teologia. Dei Verbum 8 allude alla crescente comprensione della parola di Dio che sotto l'assistenza dello Spirito Santo progredisce nella Chiesa sia attraverso la contemplazione e lo studio dei credenti, sia attraverso l'esperienza dell'intelligenza spirituale, verso la pienezza della verità nel compimento definitivo della parola di Dio.

Questi elementi, evidenziati dal Vaticano II, si riscontrano come principi fondamentali della riflessione teologica di Gregorio Magno e proclamano l'ineludibilità della relazione tra parola di Dio, esperienza spirituale e teologia per un futuro fruttuoso e di convergenza integrale della teologia. La mancanza di alcuni di questi elementi metodologici di base può risultare causa di sterilità della teologia nel senso che si potrebbero dimenticare alcuni aspetti che contribuiscono a fornire un significato della parola di Dio veramente pieno, globale e profondo per l'uomo contemporaneo. Ogni teologo offre la sua lettura teologica della storia per illuminare la vita degli uomini dentro un mistero della salvezza rivelato, celebrato, pensato, sperimentato. Gregorio lo fece nel suo tempo. A noi tocca rinnovare questo proposito permanente nel nostro contesto esistenziale. Certamente non possiamo ripetere oggi il risultato riflessivo della produzione di Gregorio, ma nella sua teologia abbiamo trovato alcuni elementi essenziali che possono fecondare una lucida teologia contemporanea.

Il metodo teologico di Gregorio si basa sull'interpretazione della Scrittura e quindi sull'esperienza ermeneutica con la parola di Dio divenuta linguaggio significativo che rivela una realtà e un mistero che la Chiesa custodisce sotto la guida dello Spirito. La sua non è solo un'esegesi ma una vera e propria teologia che oltre a spiegare il puro significato della Scrittura elabora una riflessione globale sulla fede e la morale nel contesto culturale della patristica del suo tempo.

Non dobbiamo attribuire a Gregorio Magno schemi teologici anacronistici e il nostro contesto culturale, i nostri problemi ed il livello delle nostre conoscenze sono ovviamente diversi, ma il suo pensiero appare coerente in se stesso, intelligente, sapiente e creativo. Riesce a illuminare tanti aspetti del mistero di Dio e del mistero dell'uomo, della storia e della vita.

La pretesa di conoscenza oggettiva della realtà non è possibile al di fuori della mediazione del linguaggio ed il linguaggio è sempre un'interpretazione. La ragione teologica di Gregorio Magno si basa sulla sua esperienza della Scrittura, cioè il testo scritto della parola di Dio tramutato in forma, che diventa ragione ermeneutica nel tentativo di comunicare interpretazioni significative per la comunità cristiana. Gregorio ci offre una interpretazione della Scrittura nell'ampio contesto della fede ecclesiale e quindi elabora una teologia di carattere ermeneutico nell'autoconsapevolezza del fatto che non può appropriarsi di quello che interpreta. Il significato permanente del mistero della salvezza di Dio in Cristo offerta all'uomo costituisce una profonda esperienza che ad ogni autore spetta di reinterpretare nella Chiesa e nel contesto culturale del suo tempo senza esaurire mai la pienezza reale della verità. La riflessione teologica di Gregorio stabilisce il processo di correlazione critica che vuole superare la distanza semantica esistente tra la lettura originale della Scrittura e la lettura che lui fa per la sua comunità in un contesto storico diverso. Questo processo risulta in Gregorio di carattere plurisemantico dal momento che lui crea molte interpretazioni attraverso una tecnica metodologica tradizionale nei Padri della Chiesa che si potrebbe chiamare analogica in quanto cerca delle analogie linguistiche o semantiche con altri testi della Scrittura di cui risultano sensi che oltrepassando il carattere meramente esegetico sono addirittura metaesegetici e propriamente teologici. La sua ragione teologica è guidata fondamentalmente dal principio cristologico e dalla prospettiva escatologica ma anche dalla ragione pratica, morale e pastorale, che è matrice di senso per una intelligenza nuova e integrale dell'evento cristiano. La circolarità ermeneutica, possibile grazie allo Spirito Santo, è raggiungibile all'uomo solo nella misura in cui partecipa nella fede alla dinamica misterica cristiana. La verità totale rimane sempre trascendente e insubordinata alla nostra esperienza finita ed alla nostra parziale ragione ermeneutica.

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Note

  1. «Hypocrita etiam sacri eloquii erudire mysteriis studet; non tamen ut ex eisdem uiuat», Mor. 15,13,16, OGM I/2, p. 442 («l'ipocrita si applica ad essere istruito nei misteri della Parola divina, ma non per viverne»). Conoscere la Parola di Dio implica per San Gregorio applicarla alla vita. Altrimenti se diventa ipocrita e quindi la conoscenza di Dio non raggiunge la sua finalità propria. OGM= Opere di Gregorio Magno, ed. lat.-it., Città Nuova, Roma 1990-2001. Mor= Moralia in Iob (Commento morale a Giobbe). Testo

  2. «Vnde et ipsam loquendi artem, quam magisteria disciplinae exterioris insinuant, seruare despexi. Nam sicut huius quoque epistolae tenor enuntiat, non metacismi collisionem fugio, non barbarismi confusionem deuito, situs modos que etiam et praepositionum casus seruare contemno, quia indignum uehementer existimo, ut uerba caelestis oraculi restringam sub regulis Donati», Mor., Ep. Fratri Leandro, 5, OGM I/1, p. 88. Testo

  3. Cf. J.C. Cavadini (ed.), Gregory the Great, Notre Dame, Indiana 2001. G. Penco, La dottrina dei sensi spirituali in Gregorio Magno, in Benedictina 17 (1970) 161-201. G. Colombás, La tradición benedictina. Ensayo histórico, II. Los siglos VI y VII, Zamora 1990, pp. 171-273. B. Calati, La preghiera nella tradizione monastica dell'alto medievo, in C. Vagaggini (ed.), La preghiera nella Bibbia e nella tradizione patristica e monastica, Cinisello Balsamo 1988, pp. 513-614. B. Calati, S. Gregorio Magno e la Bibbia, in C. Vagaggini - G. Penco (edd.), Bibbia e spiritualità, Roma 1967, pp. 121-178. Testo

  4. «Tunc eisdem fratribus etiam cogente te placuit, sicut ipse meministi, ut librum beati iob exponere importuna me petitione compellerent et, prout ueritas uires infunderet, eis mysteria tantae profunditatis aperirem. Qui hoc quoque mihi in onere suae petitionis addiderunt, ut non solum uerba historiae per allegoriarum sensus excuterem, sed allegoriarum sensus protinus in exercitium moralitatis inclinarem, adhuc aliquid grauius adiungentes, ut intellecta quaeque testimoniis cingerem et prolata testimonia, si implicita fortasse uiderentur interpositione superadditae expositionis enodarem», Mor., Ep. Fratri Leandro, 1, OGM I/1, pp. 82-83. Testo

  5. «Sciendum vero est, quod quaedam historica expositione transcurrimus et per allegoriam quaedam typica investigatione perscrutamur, quaedam per sola allegoricae moralitatis instrumenta discutimus, nonnulla autem per cuncta simul sollicitius exquirentes tripliciter indagamus. Nam primum quidem fondamenta historiae ponimus; deinde per significationem typicam in arcem fidei fabricam mentis erigimus; ad extremum quoque per moralitatis gratiam, quasi superducto aedificium colore vestimus. Vel certe quid ueritatis dicta nisi reficiendae mentis alimenta credenda sunt?», Ep. Fratri Leandro, 3, OGM I/1, pp. 84-85. Testo

  6. «Et aquam nobis in vinum vertit, quando ipsa historia per allegoriae mysterium in spiritalem nobis intelligentiam commutatur», In Hiezech., I, VI, 7, OGM III/1, p. 188. In Hiezech = Omelie su Ezechiele. Testo

  7. «In sacra Scriptura prius statuenda historiae ueritas, postea quarendus allegoriae fructus. In uerbis sacri eloquii, fratres carissimi, prius seruanda est ueritas historiae, et postmodum requirenda spiritalis intelligentia allegoriae. Tunc namque allegoriae fructus suauiter carpitur, cum prius per historiam in ueritatis radice solidatur. Sed quia nonnunquam allegoria fidem aedificat, et historia moralitatem», In euang. II, XL, 1, OGM II, p. 562. In euang. = Omelie sui vangeli. Testo

  8. «Quia nonnumquam sibi litterae uerba contradicunt; sed dum, a semetipsis per contrarietatem dissidunt, lectorem ad intellegentiam ueritatis mittunt. ... Nisi quod ipsi litterae uerbis innuit ut qui difficultatem exterius patitur, ueritatis intellegentiam consideret, quam sequatur. Quae nimirum ueritatis intellegentia cum per cordis humilitatem quaeritur, legendi assiduitate penetratur», Mor. IV, praef. 1, OGM I/1, pp. 302. Testo

  9. «Dicta legis quae caliginosa nimis historia obscurat, nunc expositio spiritalis illuminat», Mor. XVIII, XXXIX, 60, OGM I/2, p. 686. Testo

  10. «Sed haec quae iuxta historiam de uno diximus, iuxta allegoriam necesse est ut de diuersis electis ecclesiae sentiamus», Mor. XX, XXXVIII, 74, OGM I/3, p. 162. Testo

  11. «Si uero portam Scripturam sacram hoc in loco accipimus, ipsa quoque duo limina habet, exterius et interius, quia in littera diuiditur et allegoria. Limen quippe Scripturae sacrae exterius littera, limen uero eius interius allegoria. Quia enim per litteram ad allegoriam tendimus, quasi a limine quod est exterius, ad hoc quod est interius uenimus», In Hiezech. II, III, 18, OGM III/2, p. 86. Testo

  12. «Liber enim sacri eloquii intus scriptus est per allegoriam, foris per historiam. Intus per spiritalem intellectum, foris autem per sensum litterae simplicem, adhuc infirmantibus congruentem. Intus, quia inuisibilia promittit, foris, quia uisibilia praeceptorum suorum rectitudine disponit», In Hiezech. I, IX, 30, OGM III/1, p. 290. Testo

  13. «Haec per historiam facta credimus sed per allegoriam iam qualiter sint impleta uideamus», Mor. I, XI, 15, OGM I/1, pp. 122-123. Testo

  14. «Quamuis omnem scientiam atque doctrinam scriptura sacra sine aliqua comparatione transcendat... quia uno eodemque sermone dum narrat textum, prodit mysterium», Mor. XX, I, 1, OGM I/3, p. 86. Testo

  15. «Aliquo modo cum legentibus crescit, quod a rudibus lectoribus quasi recognoscitur, et tamen doctis semper noua reperitur», Mor. XX, I, 1, OGM I/3, p. 86. Testo

  16. «O quam mira est profunditas eloquiorum Dei... Ibique uiridissimas sententiarum herbas legendo carpimus, tractando ruminamus», In Hiezech. I, V, 1, OGM III/1, p. 168. Testo

  17. «Inter multos saepe quaeritur, quis libri beati Iob scriptor habeatur... Sed quis haec scripserit, ualde superuacue quaeritur, cum tamen auctor libri Spiritus sanctus fideliter credatur», Mor. praef. I, 1-2, OGM I/1, p. 92. Testo

  18. «Sed nos sacram historiam uenerantes, haec egisse beatum Iob pro cultu iustitiae certum tenemus, atque ad indaganda allegoriae mysteria ducimur», Mor. XIX, XVI, 25, OGM I/3, p. 48. Testo

  19. Cf. P.C. Bori, L'interpretazione infinita, Bologna 1987. H.-G. Gadamer, Verità e metodo, Milano 1988, pp. 99 ss. H. De Lubac, La Sacra Scrittura nella tradizione, Brescia 1969. Testo

  20. «Rota intra rotam est Testamentum Novum, sicut diximus, intra Testamentum Vetus, quia quod designavit Testamentum Vetus, hoc Testamentum Novum exhibuit. Vt enim pauca de multis loquar, quid est quod Adam dormiente Eua producitur, nisi quod moriente Christo Ecclesia formatur?», In Hiezech. I, VI, 15, OGM III/1, p. 196. Testo

  21. «Quid est hoc quod Isaac ad immolandum ducitur et ligna portat, arae superimponitur et vivit, nisi quod Redemptor noster ad passionem ductus lignum sibi crucis ipse portavit? Et sic in sacrificio pro nobis ex humanitate est mortuus, ut tamen immortalis maneret ex divinitate. Quid est quod homicida post mortem summi Pontificis absolutus ad terram propriam redit, nisi quod humanum genus quod peccando sibimetipsi mortem intulit, post mortem veri Sacerdotis, videlicet Redemptoris nostri peccatorum quorum vinculis solvitur et in paradisi possessione reparatur? Quid est quod in tabernaculo propitiatorium fieri iubetur, super quod duo Cherubim, unum a summitate una, et alterum a summitate alia, ex auro mundissimo ponuntur expandentes alas et operientes oraculum, qui se mutuo respiciunt versis vultibus in propitiatorium, nisi quod utraque Testamenta ita sibi in Mediatore Dei et hominum congruunt, ut quod unum signat alterum exhibeat? Quid enim per propitiatorium, nisi ipse Redemptor humani generis designatur?», In Hiezech. I, VI, 15, OGM III/1, p. 196. Testo

  22. «Rotas quippe signare Testamenta diximus. Et Testamentum Vetus ambulauit quidam, quia per praedicationem ad mentes hominum uenit, sed post semetipsum reuersum est, quia iuxta litteram in praeceptis suis et sacrificiis usque ad finem seruari non potuit. Non enim sine immutatione permansit, cum in eo spiritalis intelligentia defuit. Sed cum Redemptor noster in mundum venit, hoc spiritaliter fecit intellegi, quod carnaliter invenit teneri. Itaque dum spiritaliter littera eius intellegitur, omnis in eo illa carnalis exhibitio vivificatur», In Hiezech. I, VI, 17, OGM III/1, p. 198. Testo

  23. «Usque ad quae sacri eloquii mysteria perscrutanda subleuamur. Certe in antiquis parentibus nostris cultores idolorum fuimus, sed ecce per spiritum gratiae verba iam caelestia rimamur. Unde hoc nobis? Sed implevit Redemptor humani generis quod per prophetam dixit: Et deserta in ubertatem versa advenae comedent. Haec quippe prophetarum dicta deserta apud Iudaeos fuerunt, quia per intellectum mysticum ea excolere inquisendo noluerunt. Nobis autem in ubertatem versa sunt, quia iuxta historiam visionis dicta largiente Deo menti nostrae spiritaliter sapiunt», In Hiezech. I, III, 19, OGM III/1, p. 153. Testo

  24. «Quo alibi diuina eloquia nisi ad corda hominum uadunt? Sed per quatuor partes euntes ibant, quia Scriptura sacra per legem ad corda hominum uadit, signando mysterium. Per prophetas uadit paulo apertius, prophetando Dominum. Per Euangelium uadit, exhibendo quem prophetauit. Per apostolos uadit, predicando eum quem Pater pro nostra redemptione exhibuit. Habent rotae facies et uias, quia ostendunt sacra eloquia notitiam praeceptorum cum exhibitione operum. Et per quatuor partes uadunt, quia distinctis, ut praediximus, temporibus loquuntur, uel certe quia in cunctis mundi regionibus incarnatum Dominum praedicant», In Hiezech. I, VI, 16, OGM III/1, p. 198. Testo

  25. «Liber autem inuolutus est Scripturae sacrae eloquium obscurum, quod profunditate sententiarum inuoluitur, ut non facile sensu omnium penetretur... Inuolutus itaque liber expanditur, quando hoc quod obscure prolatum fuerat, per latitudinem intellectus aperitur. Hunc inuolutum librum Veritas expandit quando in discipulis egit quod scriptum est: Tunc aperuit illis sensum, ut intellegerent Scripturas», In Hiezech. I, IX, 29, OGM III/1, p. 290. Testo

  26. «Quid electri species, nisi Christus Iesus Mediator Dei et hominum designatur?», In Hiezech. I, II, 14, OGM III/1, p. 124. Testo

  27. «Sed quis hoc loco homo describitur, nisi ille de quo scriptum est: Qui cum in forma Dei esset...», In Hiezech. I, II, 19, OGM III/1, p. 128. Testo

  28. «Quis in candelabro nisi Redemptor humani generis designatur?», In Hiezech. I, VI, 8, OGM III/1, p. 188. Testo

  29. «Quem ergo significat mons excelsus nisi Mediatorem Dei et hominum hominem Christum Iesum?», In Hiezech. II, I, 4, OGM III/2, p. 24. Testo

  30. «Sed in hoc verbo quid aperte nisi Dominica incarnatio demonstratur?», In Hiezech. II, II, 5, OGM II/2, pp. 52-54. Testo

  31. «Quis uero alius portae huius appellatione signatur, nisi ipse Dominus ac Redemptor noster», In Hiezech. II, III, 1, OGM III/2, p. 68. Testo

  32. «Potest autem firmamenti nomine ipse per figuram noster Redemptor intellegi», In Hiezech. I, VII, 19, OGM III/1, p. 226. Testo

  33. Cf. OGM III/1, pp. 190-192. Testo

  34. «Quis in candelabro nisi Redemptor humani generis designatur? Qui in natura humanitatis infulsit lumine diuinitatis, ut mundi candelabrum fieret, quatenus in eius lumine omnis peccator in quibus iaceret tenebris uideret. Qui pro eo quod naturam nostram sine culpa suscepit, candelabrum tabernaculi ex auro purissimo fieri iubetur. Ductile autem feriendo producitur, quia et Redemptor noster qui ex conceptione et natiuitate perfectus Deus et homo exstitit, passionum dolores pertulit, et sic ad resurrectionis gloriam peruenit. Ex auro ergo mundissimo ductile candelabrum fuit, quia et peccatum non habuit, et tamen eius corpus per passionis contumelias ad immortalitatem profecit», In Hiezech. I, VI, 8, OGM III/1, pp. 188-190. Testo

  35. «Corpus quippe illius nos omnes sumus». «Ipsa Ecclesia debet intelligi, quae corpus eius est», ibid., p. 190. Testo

  36. «Alius uero intellegentiam per typum contemplatiuam quaerit», In Ez. I, VII, 10, OGM III/1, p. 216. Testo

  37. «Aperte historia indicat quod beatus Iob octauo die sacrificium offerens mysterium resurrectionis colat... plenus septiformis gratiae Spiritu», Mor., I, VIII, 12, OGM I/1, p. 120. Testo

  38. «Ut tamen per typum ea quae sunt sanctae ecclesiae ac Redemptoris nostri proferat», Mor. XIV, XXXVIII, 46, OGM I/1, p. 394. Testo

  39. «Nullus etenim iustus fuit qui non eius per figuram nuntius exstiterit. Dignum quippe erat ut in semetipsis bonum omnes ostenderent, de quo et omnes boni essent et quod prodesse omnibus scirent. Vnde et sine cessatione promitti debuit quod et sine aestimatione dabatur percipi et sine fine retineri, ut simul omnia saecula dicerent quod in redemptione communi saeculorum finis exhiberet. Vnde et necesse fuit ut etiam beatus Iob qui tanta incarnationis eius mysteria protulit, eum quem uoce diceret ex conuersatione signaret; et per ea quae pertulit, quae passurus esset ostenderet; tanto que uerius passionis illius sacramenta praediceret quanto haec non loquendo tantummodo, sed etiam patiendo prophetaret», Mor. Praef. VI, 14, OGM I/1, p. 106. Testo

  40. Cfr. Mor. Praef. VI, 16, ibid., p. 108. Testo

  41. «Sed quia Redemptor noster unam se personam cum sancta Ecclesia quam assumpsit», Mor. Praef. VI, 14, OGM I/1, p. 106. Testo

  42. «Quia igitur ipse in capite sponsus, ipse est in corpore sponsa, necesse est ut cum nonnumquam aliquid de capite dicitur, sensim ac subito etiam ad uocem corporis deriuetur; et rursum cum de corpore aliquid dicitur, repente ad uocem capitis ascendatur. Beatus ergo Iob uenturi cum suo corpore typum Redemptoris insinuat», ibid., p. 108. Testo

  43. «Ut saepe iam dictum est, iuxta sensum legentium per intellectum crescunt», In Hiezech., I, VII, 9, OGM III/1, p. 216. Testo

  44. Cf. A. LaCocque - P. Ricoeur, Pensar la Biblia. Estudios exegéticos y hermenéuticos, Barcelona 2001. Testo

  45. «Vnde et in eo saepe quasi postponere ordinem expositionis inuenior et paulo diutius contemplationis latitudini ac moralitatis insudo», Mor., Ep. Fratri Leandro, 2, OGM I/1, p. 84. Testo

  46. «Quisquis de Deo loquitur, curet nocesse est, ut quicquid audientium mores instruit rimetur, et hunc rectum loquendi ordinem deputet, si cum opportunitas aedificationis exigit, ab eo se, quod loqui coeperat, utiliter derivet. Sacri enim tractator eloquii morem fluminis debet imitari. Fluvius quippe dum per alveum defluit, si valles ex latere concavas contigit, in eas protinus sui impetus cursum divertit, cumque illas sufficienter impleverit, repente sese in alveum refundit, Sic nimirum, sic divini, verbi esse tractator debet ut, cum dde qualibet re disserit, si fortasse iuxta positam occasionem congruae aedificationis inuenerit, quasi ad uicinam uallem linguae undas intorqueat et, cum subiunctae instructionis campum sufficienter infunderit, ad sermonis propositi alueum recurrat», ibid. Testo

  47. «Contemplari enim Dei sapientiam non possunt qui sibi sapientes uidentur, quiatanto ab eius luce longe sunt, quanto apud semetipsos humiles non sunt; quia in eorum mentibus dum timor elationis crescit, aciem contemplationis claudit; et unde se lucere prae ceteris aestimant, inde se lumine ueritatis priuant», Mor. XXVII, XLVI, 79, OGM I/3, p. 616. Testo

  48. «Caecus quippe est, qui supernae contemplationis lumen ignorat», Reg. Past. I, 11, Sources Chrétiennes 381, p. 164. Testo

  49. «Quis enim cognoscens Deum ad eius regnum ingreditur, nisi bene prius operetur? Sine contemplativa ergo vita intrare possunt ad caelestem patriam, qui bona quae possunt operari, non negligunt; sine activa autem intrare non possunt, si negligunt bona operari quae possunt», In Hiezech. I, III, 10, OGM III/1, p. 142. Testo

  50. Ibid., pp. 141-143. Testo

  51. «Hoc tamen magnopere petimus ut qui ad spiritalem intellegentiam mentem sublevat a veneratione historiae non recedat», Mor. I, XXXVII, 57, OGM I/1, p. 159. Testo

  52. «Quia enim Hierusalem pacis uisio interpretatur, cuius nomine patria caelestis, exprimitur, sancta Ecclesia suauis et decora ut Ierusalem dicitur, quia eius uita et desiderium, uisioni iam pacis intimae comparatur», In Hiezech. I, VIII, 6, OGM III/1, p. 240. Cf. C. Ricci, Mysterium Dispensationis. Tracce di una teologia della storia in Gregorio Magno, Roma 2002. Testo

  53. «Primus ergo gradus est ut se ad se colligat, secundus ut uideat qualis est collecta, tertius ut super semetipsam surgat ac se contemplationi auctoris inuisibilis intendendo subiciat», In Hiezech. II, V, 9, OGM III/2, p. 130. Testo

  54. «Per amorem agnoscimus auctoris nostri contemplandam speciem, quam sequamur», Mor. X, VIII, 13, OGM I/2, p. 144. Testo

  55. «Prius quippe est mores conponere; postmodum omnia, quae adsunt, tamquam non adsint considerare; tertio vero loco munda cordis acie superna et interna conspicere. His itaque librorum gradibus quasi quandam ad contemplationem Dei scalam fecit: ut, dum primum in saeculo bene geruntur honesta, postmodum etiam honesta saeculi despiciantur, ad extremum etiam Dei intima conspiciantur», In Cant. 9, SC 314, p. 84. Grégoire le Grand, Commentaire du Cantique des Cantiques, ed. R. Belonger, Sources Chrétiennes 314, Paris 1984. Cf. Müller, S., »Fervorem discamus amoris«. Das Hohelied und seine Auslegung bei Gregor dem Großen, St. Ottilien 1991. Testo

  56. «Osculetur me osculo oris sui ipse me tangat intus, ut cognoscam intellegentia, et non iam praedicatorum vocibus sed internae eius gratiae tactu perfruar», In Cant. 15, SC 314, p. 92. Testo

  57. «Unde et apte subiungitur: quia meliora sunt ubera tua vino; vinum enim est scientia Dei, quam in ista vita positi accepimus. Ubera autem sponsi tunc amplectimur, cum eum in aeterna patria iam per amplexum praesentiae contemplamur. Dicat ergo: meliora sunt ubera tua vino ac si dicat: magna est quidem scientia, quam de te mihi in hac vita contulisti; magnum est vinum notitiae tuae, quo me debrias; sed ubera tua vino meliora sunt: quia tunc per speciem et per sublimitatem contemplationis transcenditur, quidquid de te modo per fidem scitur», Ibid., 19, SC 314, p. 100. Testo