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La razza umana, o come le donne possono essere state create a immagine e somiglianza di Dio? Da Gregorio di Nissa ai giorni nostri (2/2)

di John M. Rist (5 settembre 2011)

Viene qui pubblicata la seconda parte traduzione italiana di una delle più acute e complete ricognizioni della questione femminile nei primi secoli del cristianesimo. Testo originale: John M. Rist, What is Truth? From the Academy to the Vatican, Cambridge University Press, Cambridge 2008, Copyright © John M. Rist 2008, «The human race, or how could women be created in the image and likeness of God?», pp. 18-103; trad. italiana di Benedetta De Marchi e M. Benedetta Zorzi, con revisione dell'Autore. Il testo è qui pubblicato con licenza dell'editore (9 dicembre 2010) per fini di istruzione e ricerca. Questa pagina Internet può essere stampata solo per lo scopo di studio personale. Per la prima parte, vedi La razza umana, o come le donne possono essere state create a immagine e somiglianza di Dio? Dalla mitologia greca a Gregorio di Nissa.

1. La tradizione non platonica: Ireneo e Tertulliano

Lo stesso vale per le interpretazioni della risposta platonizzante alla domanda se le donne siano create ad immagine di Dio. In questa tradizione si ritiene che le donne sono create così poiché l'anima, degli uomini come delle donne, nella sua essenza, è o maschile o asessuata, e il corpo (che non costituisce la nostra vera natura, come si ritrova nel «platonico» Alcibiade) sicuramente non è creato ad immagine di Dio. Come ho già osservato, questa tradizione incontra difficoltà con il concetto di resurrezione, poiché tende o a negarla o ad attenuarla. Prima di esaminare l'alternativa più profonda ed interessante di Agostino, mi occupo dell'alternativa maggiormente «paolina» o «ebraica» in cui si fa meno uso della distinzione anima-corpo, ma nella quale ci si chiede se l'essere umano completo, maschile o femminile, sia creato a immagine di Dio. Comunque, trattando quest'altra tradizione, riprendo la mia premessa iniziale, che cioè che nel pensiero occidentale ci sono solitamente due modi di considerare «l'uomo»: la prima (vagamente platonica e quindi quella che stiamo trattando) sottolinea l'uomo come agente morale, l'altra maggiormente interessata al problema metafisico dell'unità dell'essere umano in quanto «corpo» (spesso materiale) e «anima» (spesso immateriale).

Mentre la tradizione «platonizzante» è incline a considerarci, dal punto di vista morale, in quanto esseri più o meno spirituali, l'altra tendenza più incline a sottolineare l'unità metafisica (sia in senso filosofico, sia di senso più comune) comporterà una maggiore rilevanza del corpo sessuato. In altre parole, e nel contesto del nostro presente dibattito, se noi «platonizziamo», tendiamo a negare l'importanza del corpo e tralasciare la resurrezione del corpo. Se fossimo più «paolini» (senza una radicale distinzione tra spirito e corpo) tenderemmo a sciogliere il problema ontologico «anima-corpo» -- problema che molto preoccupò gli antichi Platonici, come Plotino, ovvero: come un corpo materiale possa essere mescolato o unito a un'anima immateriale. Questo comporta una sorta di interpretazione materialista o vitalista dell'anima stessa: si tende quindi a rendere anima e corpo sostanze fisiche e simili. Il chiaro materialismo stoico (o, meglio, vitalismo) di Tertulliano e il materialismo de facto di molti primi cristiani, prima e anche dopo Clemente, possono essere considerati risultati logici di questo processo.

Consideriamo per primo Ireneo, vescovo di Lione. A differenza di Filone e di molti «platonizzanti», egli non propone una creazione in due fasi.1 Né egli offre un qualche aiuto diretto perché non si domanda se la donna sia creata ad immagine di Dio, anche se sostiene che il composto anima-corpo lo è: «L'uomo perfetto è il composto e l'unione di anima e carne» (Contro le eresie V, 6, 1). «È l'uomo, e non una parte dell'uomo, che è fatto ad immagine di Dio. »2 Se così fosse, tuttavia, ci potrebbe essere un corollario circa la natura originaria delle donne, ma Ireneo non lo menziona.

Uno schema molto simile può essere trovato in Tertulliano, non da ultimo nel suo Sulla resurrezione dei morti: «Tutto è previsto per l'uomo ed è dato non solo all'anima ma anche alla carne» (34, 1 -- 2). È l'uomo nella carne quello per cui Cristo morì (cfr. Sulla carne di Cristo 4, 3 -- 4). È in una carne umana che Cristo si è incarnato. Sia l'incarnazione che la resurrezione implicano che la carne sia considerata e voluta come parte essenziale della struttura umana, non quindi quale «ripensamento» della creazione, non necessariamente come occasione di peccato o semplice come appendice della nostra natura decaduta. Come ho già osservato, non è da ultimo la vicinanza di anima e corpo ad incoraggiare Tertulliano a spiegare la loro unione in un linguaggio stoico, che implica la materialità dell'anima. Egli era ancora molto lontano da quelle idee che lo avrebbero dovuto incoraggiare a ritenere che le differenze tra corpi maschili e femminili siano irriducibili; il che avrebbe dovuto portarlo a ritenere entrambi i sessi creati a immagine di Dio; invece avviene il contrario.

Sembra che sia riaffermata la vecchia nozione di un'unica forma perfetta del genere umano: rinforzata dalla dottrina secondo la quale Cristo, maschio, è l'uomo perfetto. In ogni caso, come dice Børresen, l'atteggiamento di Tertulliano verso la donna non è «innocente»: Eva è la porta del diavolo che ha distrutto l'immagine di Dio, cioè l'uomo (L'eleganza delle donne 1. 1. 2). Le donne saranno resuscitate come sessualmente maschi (anche se in una forma «spirituale» della materia [1. 2. 5]).

Se la posizione di Tertulliano sull'unità materiale di anima e corpo può essere vista come una versione «filosofica» della concezione di Paolo della persona umana in quanto sostanza unitaria, per quanto riguarda la più specifica questione della creazione delle donne ad immagine di Dio, ho notato che non c'è ragione di negare che per Paolo stesso le donne, benché non create tali, possono tuttavia giungere a uno stato di perfetta virilità, grazie alla pratica della virtù cristiana e della grazia di Dio. Una variante di questa idea è stata offerta nel tardo quarto secolo a Roma dall' «Ambrosiaster», un non meglio identificato commentatore di Paolo, la cui opera assunse successivamente molta importanza per essere stato falsamente attribuito ad Ambrogio o ad Agostino. Secondo l'Ambrosiaster, le donne non sono create a immagine di Dio. Per l'Ambrosiaster la limitatezza femminile emerge non tanto perché Dio avrebbe assegnato il «dominio» sugli animali solo ad Adamo (come suggerirono successivamente alcuni degli Antiocheni) -- infatti Eva condivide questo potere -- ma poiché «l'autorità» è stata trasmessa da un unico Dio a un unico uomo/maschio, al quale Eva è subordinata. E come Dio Padre generò il Figlio, che è della sua stessa sostanza, così Adamo è l'origine di Eva .3

2. La tradizione antiochena

Una delle poche eccezioni alla tradizione aristotelica, ignorata dagli scrittori patristici, è fornita dall'erudito filosofo Nemesio, vescovo di Emesa nel quarto secolo. Nel discutere le difficoltà della teoria delle due sostanze nella natura umana, Nemesio sembra aver provato a riformulare la teoria aristotelica dell'anima come forma del corpo, ma alla fine risolse con l'idea che c'è una «non confusa unità» tra i due elementi: tesi derivante da un certo Ammonio, il quale non fa che ridescrivere il problema originario.4

Nemesio fu poco influente sul cristianesimo della tarda tradizione antiochena, ma questa tradizione, occupandosi dell'esegesi letterale delle Scritture, rimase a livello filosofico analfabeta, se non addirittura ostile alla filosofia. Per quanto riguarda la «scuola» antiochena mi limiterò a Diodoro di Tarso, Giovanni Crisostomo,5 Teodoro di Mopsuestia e Teodoreto di Cirro. Le tesi di questo gruppo sulla possibilità che la donna sia creata ad immagine di Dio hanno recentemente ricevuto un'attenzione minuziosa6 ed è chiaro che, sebbene Teodoreto offra un quadro più ricco della natura umana, in cui l'immagine di Dio è data dalla nostra sola capacità di fare una scelta libera in vista della vita buona, il resto del gruppo accetta l'idea che sarebbe l'autorità assegnata ai maschi ad indicare l'essere stati creati direttamente a immagine di Dio.

Anche Teodoreto ammette la conclusione che la donna è qualcosa come un'immagine di un'immagine (PG 82, 312C). Per Crisostomo, la donna è subordinata all'uomo, come Eva ad Adamo, e quindi non può essere stata creata per una posizione di tale autorità quale essere un'immagine divina.7 Ella è subordinata perché nessuna famiglia (o altra unità sociale)8 può avere due capi. In una tale situazione, il conflitto sarebbe inevitabile,9 e in ogni altro caso (secondo la teoria «olistica») le donne sono inferiori agli uomini, sia nel loro intelletto -- che risulta maggiormente «infantile» -- così come nel corpo (PG 62, 148).

Non si può pensare che gli Antiocheni più «paolini», per i quali la prima Lettera ai Corinzi 11, 7 («la donna è la gloria dell'uomo») è uno dei testi favoriti, non abbiano supposto che solo l'anima maschile o asessuata sia creata a immagine di Dio e ancor meno che le donne fossero state create con anime maschili e ad immagine di Dio. Il corpo femminile (progettato per sconfiggere la morte con il parto) comporta un carattere di non somiglianza con Dio nell'intera donna. Chiaramente gli uomini e le donne hanno, in quanto esseri umani, la stessa natura (physis) e sono eguali in onore10 -- di nuovo una frase ambigua -- ma nelle donne tale natura è più debole (se il corpo è più debole, lo spirito è debole) e quindi, come dice Crisostomo, non sono state create a immagine di Dio (PG 54, 589).11La stessa conclusione apparentemente necessaria, fu elaborata da Diodoro e da Teodoreto, anche se a volte Teodoro e Nestorio dissentirono.12 La tesi dominante fu considerata essere del «beato Paolo»,13 anche se non vi è indicazione specifica per l'uso di Efesini 4, 13 che sostiene che dovremmo cercare di essere, come Cristo, maschio perfetto.

Forse possiamo recuperare e sottolineare un assioma: ciò che non è assunto non è salvato. Quindi, se il corpo maschile è stato assunto da Cristo e se le femmine sono a loro volta salvate, assumere un corpo maschile significa assumere un corpo femminile.

Quindi, a meno che assumere un corpo femminile non comporti l'assunzione di un corpo maschile -- il che è impossibile -- allora il corpo femminile, e di conseguenza la donna nella sua interezza, è meno simile a Dio che l'uomo a Dio. La donna infatti, per gli Antiocheni, al momento della creazione non è a immagine di Dio. Ma pur non essendo create a immagine di Dio, le donne possono acquisire tale immagine tramite una vita buona: cioè, ancora una volta, imitando quanto più il maschio, assumendo uno spirito «virile».14

Teodoreto addirittura sostiene con Gregorio di Nissa che al momento della resurrezione non ci sarà distinzione sessuale, saremo cioè come angeli. Difficile determinare come egli avrebbe potuto giustificare una tale posizione senza sostenere parimenti con Gregorio anche una visione più platonizzante, secondo la quale l'immagine originale sarebbe sia incorporea sia asessuale -- cioè de facto maschile (anche se sessualmente inattiva) -- , come pure in generale il suo concetto di corpo risorto, incorporeo e asessuato. Ma come avevo segnalato, gli Antiocheni erano piuttosto contrari ad un approccio filosofico.

Se accettiamo l'essenziale correttezza della tesi paolina che considera l'intera persona, non solo l'anima maschile o asessuale, creata a immagine di Dio, allora chiunque desideri affermare che le donne furono create tali -- come fa la teologia moderna -- si deve confrontare con i testi paolini che apparentemente negano questa possibilità, i quali offrono alle donne solo un'immagine escatologica. Questo confronto necessario non è stato ancora completato, sia perché si è rivelato troppo difficile determinare quando i testi paolini non debbano essere presi alla lettera, sia per l'inveterata insistenza nel confondere la teologia con la storia della teologia. Prima di passare a questo, però, si deve considerare se la versione più platonizzante circa la creazione della donna a immagine di Dio non trovi una difesa più soddisfacente in Agostino -- e tra eventuali correttori di Agostino.

3. Il dilemma di Agostino

Agostino, seguendo la tradizione platonizzante, sostiene che la donna sia creata a immagine di Dio nella sua anima razionale; che ella non sia creata tale nel suo corpo femminile è simboleggiato dall'uso del velo.15 Ma Agostino è probabilmente il primo Padre della Chiesa a sostenere che non solo la Genesi, ma anche Paolo della 1 Corinzi 11, 7, insegna che anche la donna è (in una certa misura) creata a immagine di Dio (De Genesi ad litteram 3, 22). Per comprendere il significato di tale affermazione che appare contraria rispetto al contesto più generale delle sue convinzioni sulla creazione a immagine di Dio, dobbiamo rivedere i testi più importanti in ordine cronologico.16 Così facendo, ricapitoleremo buona parte dello sviluppo, sia spirituale che ontologico, del nostro tema attraverso il periodo patristico, sottolineandne i suoi punti forti e le debolezze, specialmente a livello ontologico.

Come sempre accade con Agostino, dobbiamo iniziare dalla sua biografia. Quando Agostino arrivò a Milano, era preoccupato dalle accuse manichee per le quali, se l'uomo è materiale e creato a immagine di Dio, allora pure Dio deve essere materiale (Confessioni 6. 3. 4): un'idea diffusa sia nell'Occidente cristiano che altrove -- compresa l'Africa dove abbiamo trovato una versione di questa idea difesa da Tertulliano (Contro Praxeas 7) -- e da cui Agostino fu liberato grazie ad Ambrogio che, sulla scia di Origene (forse mediato in parte da Basilio e da Gregorio di Nissa), riteneva Dio come essere immateriale.17 La predicazione di Ambrogio, probabilmente su Genesi, 18 fu presto rielaborata da Agostino tramite i famosi «libri dei platonici». Dal momento che il vescovo di Milano è stato incoraggiato dalle sue avanzate fonti teologiche nel credere non solo che l'intelletto è creato a immagine di Dio (sia negli uomini che nelle donne), ma anche (come sosteneva Filone) che l'intelletto maschile deve rimanere al comando dei sensi corporei «femminili».19

Pochi anni dopo questi drammatici eventi a Milano, Agostino continua a misurarsi col nostro tema nel suo Commentario sulla Genesi contro i Manichei (388/9) -- un testo fondato sulla credenza platonizzante che la sessualità sia un fenomeno strettamente fisico.20 Seguendo i passi intermedi fatti da Origene e Gregorio di Nissa, egli afferma che, prima della caduta, Adamo ed Eva avessero corpi spirituali (2, 7, 9) e che la «riproduzione» non avvenisse in modo sessuale.21 «Siate fecondi e moltiplicatevi» nella Genesi si riferisce alla moltiplicazione di «buone azioni di lode divina» o alla «prole spirituale di gioia eterna» (1, 19, 30). Ma già in questo commentario Agostino modifica Ambrogio («Alcuni di coloro che prima di noi si distinsero come difensori della fede cattolica» hanno associato Eva con i sensi corporei22) e anche Filone, sebbene ancora ritenga che nella storia di Adamo ed Eva il maschio indichi l'intelletto e la femmina la parte animale o l'appetito dell'anima (2, 14, 20 -- 21): l'intelletto maschile, lasciato a se stesso, avrebbe resistito alla tentazione.

In linea con tale interpretazione, sono le anime di Adamo ed Eva secondo Agostino ad essere state create a immagine di Dio. Ma ciò che cosa comporta? Certo l'immortalità e l'assenza di peccato, dal momento che nel più tardo Commentario sulla Genesi (6, 27, 38) Agostino avventatamente osserva che con il peccato la somiglianza è perduta: un'affermazione che censurerà come eccessiva nelle Ritrattazioni (2, 24, 2).23

Simili opinioni riguardo all'assenza di sessualità nell'Eden, sembrano essere rimaste nella mente di Agostino almeno fino al momento delle Confessioni (cfr. Prima catechesi cristiana 18. 29 e Confessioni 13. 24. 26). Anche più tardi, ne La dignità del matrimonio (2. 2), Agostino risulta titubante circa gli atti sessuali prima della caduta, presumibilmente perché ancora ritiene che i corpi di Adamo ed Eva fossero «spirituali». Tuttavia, mentre all'inizio del Commentario sulla Genesi (subito dopo il 405) egli si chiede se la caritas da sola fosse bastata per la riproduzione in paradiso, arrivato al libro 6 è sicuro che l'attività sessuale sarebbe stata necessaria.

Già nel 412, in una Lettera a Marcellino (143, 6), e con riferimento alla 1 Corinzi 15, 42ss., Agostino aveva accennato alla possibilità che nel paradiso Adamo avesse un corpo «animale», e nel sesto libro del Commentario della Genesi (6. 19. 30ff.) questa possibilità divenne per lui una certezza. Nel libro 9 Eva è detta esser stata creata per la procreazione («animale», 9. 5. 9), mentre ne La Città di Dio (13. 19 -- 23) c'è una lunga argomentazione contro i corpi «spirituali». Così, poco dopo il 412, la posizione che sarà quella finale di Agostino -- e cioè che Adamo nel paradiso prima della caduta aveva un corpo animale voluto per la procreazione -- è pienamente manifesta. Ciò potrebbe ben sollevare la questione circa la relazione tra questo corpo animale e l'anima, quindi, implicitamente, della natura dell'immagine di Dio e le conseguenze della sua presenza in Eva così come in Adamo.

Già nel libro 3 del Commentario alla Genesi (3. 22. 34) Agostino non solo è sicuro che nella sua anima Eva sia creata a immagine di Dio, ma è disposto, in una maniera che non ha precedenti, a spiegare che Paolo nella 1 Corinzi 11: 7 affermerebbe che proprio per la sua anima razionale anche Eva è ad immagine di Dio, sebbene apparentemente lo sia un po' meno.24 La sua inferiorità infatti, rimane in quanto simbolizza non le emozioni fisiche contro la ragione -- tesi di Ambrogio e della prima tradizione che Agostino ha già respinto nel 389 -- bensì la ragione pratica rispetto alla più alta ragione contemplativa: una affermazione ripresa ne La Trinità (12. 3. 3). In quest'ultimo passaggio, molto controverso, è chiaro che in quanto collaboratrice di Adamo (e quindi nella sua funzione procreativa), Eva non è a immagine di Dio, ma lo è la sua anima, creata in quanto tale (anche se di grado inferiore).25 Ella è inferiore in quanto nel «mondo» partorisce figli all'uomo,26 ma non in quanto è una sorta di immagine di Dio. Ella è creata in modo tale che possa aver luogo la procreazione; altrimenti un intelletto superiore, maschile sarebbe stato «migliore» (Commentario alla Genesi 9. 5. 9) -- e le sue capacità riproduttive non hanno nulla a che fare con il suo essere ad immagine di Dio; ma nella misura in cui la sua anima è umana, come quella di Adamo, è un'immagine della Trinità.27

Ciò potrebbe significare che in tutto ciò che non è corporeo Eva sia esattamente come Adamo -- ma non è così, dal momento che il suo intelletto è considerato «inferiore». Eppure proprio qui potrebbe esserci il germe dell'idea che ella ha forze psicologiche complementari a quelle di Adamo. Forse è questa l'idea che c'è nella mente di Agostino quando egli osserva che Maria Maddalena ha avuto l'onore di essere la prima a vedere Gesù dopo la Resurrezione per via della sua femminile forza emotiva, del suo amore (affectus).28

Così ora troviamo Agostino nella posizione che conosciamo in quanto sostiene che le anime di Adamo e Eva (a dispetto di quanto afferma Paolo) sono create (anche se diseguali) ad immagine di Dio, ma che i loro corpi animali, anche se alla fine vengono ricreati nella gloria, non lo sono. È stato largamente riconosciuto che lo sviluppo dell'idea di Agostino circa il corpo umano e la sua relazione con l'anima è collegata -- almeno dopo l'arrivo nel 411 a Cartagine di Celestio, portavoce di Pelagio -- alla sua crescente preoccupazione circa per la trasmissione del peccato originale, che sembra richiedere il battesimo dei bambini. Considerando, anche se brevemente, quel dibattito -- vi tornerò nel prossimo capitolo -- sosterrò che alcuni dei suoi problemi riguardano non solo il rapporto tra anime e corpi umani, ma più specificamente la relazione tra l'anima della donna e il suo corpo sessuato.

Ho esaminato altrove i tentativi continui di Agostino di determinare l'origine dell'anima umana, e la sua incapacità o non volontà di proporre una soluzione univoca a favore vuoi del traducianesimo standard -- la tesi per cui l'anima è tramandata da uno dei genitori nel processo della riproduzione -- vuoi dell'alternativa «creazionista», secondo la quale ogni anima individuale è creata da Dio per un corpo specifico. Ho sostenuto che l'apparente indecisione di Agostino è legata alla sua incapacità di spiegare la natura, nel nostro stato decaduto, del nostro complesso anima-corpo e la sua imperfetta unità fenomenologica.29 Avrei potuto aggiungere che le difficoltà sorgono non solo per lo stato presente decaduto, ma anche per quella che sarebbe stata la nostra natura se non fossimo «caduti». Torniamo a questioni più generali, per vedere che cosa concluse Agostino, e ciò che avrebbe potuto concludere, riguardo la natura dell'immagine divina nella donna così come nell'uomo. Dal momento che egli ha fatto dei progressi nella comprensione della struttura ontologica dell'essere umano -- cioè, della relazione intelligibile tra anima e corpo -- l'aver alla fine evitato di prendere posizione a tale proposito, rende la sua soluzione «traducianista» del problema più problematica e la soluzione circa il «problema donna» impossibile.

Nei suoi primi anni come cristiano, la tesi -- anche esageratamente platonizzante -- dell'uomo in quanto principale agente morale è chiara. Noi siamo le nostre anime; «i nostri corpi non sono ciò che siamo» -- o forse non sono strettamente ciò che noi siamo (La vera religione 46. 89). Sono le nostre anime a riconoscere un Dio immateriale e i suoi attributi, e sono le nostre anime a peccare (come in L'ordine 2. 11. 34). è per questo che, nei Soliloqui e altrove, Agostino vuole conoscere solo Dio e l'anima: cioè, noi stessi e il nostro Creatore, l'immagine e ciò di cui è immagine. Ma poiché noi siamo le nostre anime, forse era nel giusto Porfirio nel sostenere che «bisogna fuggire ogni corpo»: un'affermazione pienamente ripresa nei Soliloqui (1. 14. 24): «Rifuggire totalmente dal sensibile» -- ma espressamente ritrattata ne Le ritrattazioni (1. 4. 3).

«Di che cosa siamo composti? » si chiede Agostino in una delle prime lettere: «Corpo e anima» (3. 4).30 Anima e corpo sono due sostanze separate, e la loro «miscela» o «fusione» siamo noi.31 Il linguaggio della fusione è probabilmente stoica, derivata da Varrone, ma nel 411, in una Lettera a Volusiano, un pagano aristocratico, Agostino (seguendo Tertulliano) introdusse una nuova terminologia, meno stoicizzante: la fusione è una persona. L'introduzione di questa nuova terminologia corrisponde grosso modo al momento in cui Agostino rimpiazza, nell'Eden, il corpo spirituale di Adamo con un corpo di carne: una dichiarazione dibattuta per la prima volta nell'anno successivo alla Lettera 143 a Marcellino. E se la persona di Adamo fu originariamente una fusione di un corpo di carne con un'anima spirituale (e immateriale), possiamo capire sia che il corpo di carne (contraddistinto dagli organi di un'attiva ma ancora docile sessualità) avrebbe avuto più valore, sia che Agostino avrebbe dovuto affrontare in una modo più profondo l'antico dilemma in polemica con i Neoplatonici, circa la relazione tra una sostanza materiale e una non-materiale. Questo problema a sua volta avrebbe condotto -- o avrebbe dovuto farlo -- alla questione se una teoria delle due sostanze dell'uomo sia ontologicamente plausibile o se «l'olismo» della tradizione paolina (come pure di Tertulliano e degli Antiocheni) abbia per certi aspetti -- sebbene certamente non in tutti -- gli ingredienti per una soluzione migliore. Se è vero che Agostino non riuscì a risolvere adeguatamente questi problemi, possiamo chiederci quali nuovi dati o teorie lo avrebbero messo in condizione di farlo?

Potrebbe sembrare che il termine persona (come similmente abbiamo notato con le analoghe tesi di Nemesio) risolva poco e non fa che riformulare il problema: il «mix» («miscela») di anima e corpo è ora una persona -- il che, tuttavia, dovrebbe almeno mettere in chiaro che non si tratta di un'unione «accidentale».32 Forse gli esiti immediati sono per lo più negativi: dovrebbe essere più difficile la semplice identificazione del sé con l'anima. Ma esaminiamo più da vicino la terminologia della miscela. Finché riteniamo di essere, alla maniera stoica, un mix di due elementi più o meno materiali, la terminologia non sembra inappropriata. Ma che tipo di miscela sarebbe possibile tra materiale e non-materiale? Possiamo riconoscere la tentazione di continuare con la terminologia materialista dopo aver abbandonato il materialismo, ma nella teoria rivisitata che cosa potrebbe significare il parlare di mix anima e corpo -- e Agostino che cosa pensò che significasse?

Gli antichi erano spesso disposti a parlare di qualcosa di misto tra essere e non essere, per indicare che l'oggetto in questione è in grado di finire. Così noi siamo un misto di essere e non essere; Dio no. In linguaggio moderno potremmo dire che, usando la terminologia della miscela, in questo caso «essere» e «non-essere» sono concetti formali, non realtà ontologiche: non c'è nessuna «cosa» che non sia. Se un approccio in qualche modo simile si applica al mix di «elementi» spirituali e materiali in noi, un autore che usa tale terminologia sembrerebbe dire che abbiamo caratteristiche «materiali» e «immateriale». A livello terminologico, possiamo riferire a noi stessi due tipi di predicati. Uno si riferisce a noi come corporei (e quindi ci sono alti, grassi, con le spalle curve, ecc.), l'altro indica che tipo morale di persone siamo (giusto, ingiusto, buono, cattivo, subdolo, ecc.). Così siamo un mix di caratteristiche materiali e immateriali e la parola «io» sta per un essere che può mostrare queste due differenti tipi di proprietà non assimilabili «mischiate» insieme.

Se il termine persona di Agostino fosse inteso (inter alia) per indicare un essere in grado di possedere una «mistura» di tali diverse proprietà, avrebbe sicuramente un uso filosofico. Non risolverebbe il problema della relazione ontologica tra anima e corpo, ma potrebbe almeno suggerire che noi non siamo due sostanze, ma una sola sostanza identificabile in termini di due diversi insiemi di proprietà. E, senza necessariamente attribuire tutto questo ad Agostino, possiamo ricordare che è perlomeno vero malgrado egli sostenga regolarmente che siamo un mix di anima e corpo, solo raramente descrive il corpo come una «sostanza».33 Egli potrebbe voler dire che è la natura della nostra «anima» a renderci principalmente (cioè spiritualmente) ciò che siamo, e che in questo senso l'anima può essere adeguatamente descritta come un'immagine di Dio. A fronte di tutto questo potremmo ritenere che considerare Agostino sia stato sul punto di abbandonare la teoria delle due sostanze, ma non ci è mai riuscito.34

Ci può essere anche una spiegazione teologica. È ben noto che la terminologia persona è usata in un altro tipo di «miscela», quella del divino e umano nell'incarnazione. È probabile che Agostino invochi quella che sembra una certezza teologica data per spiegare la natura umana. La nozione secondo la quale Cristo è una persona con due nature appare analoga a quel che abbiamo detto sulla «persona» umana che consiste di anima e corpo. Proprio come la natura di Cristo umana e corporea (e relative caratteristiche) non sono identiche alla sua natura divina, infatti sono «inconfuse», così nella miscela di anima e corpo la parte incorporea è unita con la corporea senza confusione.35 L'analogia è lontana dall'essere esatta, poiché nella cristologia ortodossa la natura umana di Cristo è corpo e anima, ma almeno sembrerebbe offrire un parallelo per la fusione di una sostanza del tutto incorporea e immateriale con un essere incarnato, vale a dire, un corpo fisico vivente. L'uso della parola persona può indicare la volontà di Agostino di vedere la «miscela» anima-corpo come un modo di «rappresentare» l'incarnazione divina. Tale linguaggio è parallelo a quello degli scrittori orientali cristiani come Nemesio e Teodoro di Mopsuestia.36

O forse Agostino più consapevolmente considerò importante non l'ontologia ma la genealogia della persona. Questo sarebbe potuto essere un effetto della sua polemica con i pelagiani e certamente della sua preoccupazione riguardo all'origine dell'anima stessa. L'obiezione di Agostino al «creazionismo» (ordinario) fu appunto che, se ogni anima è creata nuova da Dio nel momento del concepimento, allora il peccato originale -- in qualche modo derivato da Adamo -- è impossibile, visto che è l'anima a peccare. In qualche maniera l'anima deve essere trasmessa; e ciò che è tramandato non può essere nuovo ma deve essere già presente nel seme maschile che, secondo la vecchia teoria del concepimento, è alimentato e portato fino alla nascita nel grembo materno. Da qui «l'homunculus», che si sviluppa dal seme maschile -- che è la «ragione seminale» più importante (Città di Dio 14. 17, Il bene del matrimonio 20. 23) -- deve avere già un qualche tipo di anima: quell'anima che, nel linguaggio di Agostino, è il vincolo della nostra «vita comune» in Adamo.37 Lo stesso avviene per Eva: anche lei è derivata da Adamo ed eredita originariamente la potenziale debolezza della sua condizione anche se non ancora il suo imminente peccato -- che di fatto ella ha anticipato.38

Così fin dal concepimento l'essere umano è un mix di anima e corpo e per lo meno qualcosa dell'anima è ereditata come parte della nostra comune umanità. Se non ci fosse anima l'«homunculus» non sarebbe vivo, quindi in un certo senso Agostino vede l'anima semplicemente coma la vita del corpo -- mentre il corpo potrebbe essere il modo in cui quella vita è espressa fisicamente al meglio, oppure come l'unico modo in cui l'anima (in quanto immagine di Dio) potrebbe essere espressa. Forse questo è ciò che Agostino avrebbe potuto dire, ma non lo fece. Se lo avesse fatto, non avrebbe potuto evitare di chiedersi se le anime femminili (create a immagine di Dio) debbano necessariamente rivelarsi al massimo del loro potenziale in corpi femminili.

Che Agostino avesse bisogno di affrontare questa questione è confermato dalla sua insistenza, alla fine de La città di Dio, riguardo ai corpi femminili che nella resurrezione saranno restituiti ad una maggiore bellezza fisica in quanto femminili (La città di Dio 22. 17 -- 18). Nel fare questa affermazione lo troviamo ben consapevole di essere in contraddizione con una tradizione:

A causa di queste parole, «Fino a raggiungere lo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Efesini 4: 13), e «essendo formati a somiglianza del Figlio di Dio» (Romani 8: 29), alcune persone suppongono che le donne non risorgeranno nel loro sesso e affermano che tutti risorgeranno di sesso virile, poiché dal fango della terra Dio ha tratto soltanto l'uomo la donna dall'uomo. A mio parere ritengo che sia più ragionevole l'opinione di chi non ha dubbi che risorgerà l'uno e l'altro sesso... Ma il sesso femminile non è imperfezione, ma natura,

cioè sessuazione fisica, ma che cosa pensare riguardo ad un eventuale corrispettivo a livello psicologico?

Un ulteriore sviluppo agostiniano è ostacolato da un linguaggio profondamente tradizionale, che riflette modelli culturali sia cristiani sia pagani: così le donne coraggiose sono considerate alla stregua di uomini, per il loro atteggiamento virile. Per vedere come Agostino risolva questo, ritorno al sogno di Perpetua. Pensando alla prova che l'aspetta nell'anfiteatro, e sognandola come un duello, Perpetua dice, «Fui spogliata e fui fatta maschio. » Agostino, predicando nel giorno del suo memoriale e altrove, osserva che in realtà Perpetua non ebbe un cambiamento fisiologico infatti parlando del suo sogno Perpetua stessa riferisce che lei divenne maschio («facta» è femminile) e il suo commentatore continua nel riferirsi a lei in quanto donna. Secondo Agostino (Discorsi 280. 1) ella era maschio nel suo «uomo interiore» (interiorem hominem). Ripiena di Cristo (Discorsi 281. 2) non era né maschio né femmina (come in Galati 3. 28), ma lo era in quanto in quell'agone «correva verso il maschio perfetto» (in virum perfectum, Efesini 4. 13). Nell'interpretazione del sogno di Perpetua Agostino è quindi in grado di far valere l'idea che se una donna è coraggiosa, ella si comporta come un uomo; certamente, con Efesini, come il maschio perfetto con cui si è unita.39

In L'utilità del digiuno (4. 5) Agostino dice che la carne di ogni persona gli è cara (e quindi appropriata); che c'è «una specie di matrimonio tra carne e spirito»; e ne La città di Dio13. 6 che nella morte l'anima è strappata innaturalmente dal suo abbraccio con la carne.40 Ciò che egli non ha mai spiegato è perché per alcune anime «maschili» sarebbe stato più appropriato un corpo femminile mentre per tutte le altre è appropriato un corpo maschile: resta che l'immagine è nell'anima e (al limite) non può essere femminile (nonostante l'amore superiore di Maria Maddalena). Quindi il problema ontologico riguarda non solo la natura di una persona -- quella speciale miscela di anima e corpo nel quale l'anima ama così tanto il suo corpo particolare -- ma in ultima analisi la relazione in alcune personae tra un'anima maschile e un corpo femminile.

Come con Origene e gli altri, così in Agostino, la nozione di femminilità dell'anima in rapporto a Dio non è invocata per superare la profonda convinzione «dell'inferiorità» di ciò che è specificatamente femminile nelle donne: non solo per quanto riguarda i corpi delle donne che sono, per definizione, «diversi» rispetto all'originale versione umana e quindi inferiori a quelli maschili,41 ma anche per le loro anime in cui domina l'elemento attivo più che quello superiore contemplativo.42 Certamente proprio quest'affermazione, errata o no, suggerirebbe che le differenze tra uomini e donne sono più che semplicemente «fisiche» («sessuali», come intenderebbe Agostino), ma come abbiamo visto Agostino non coglie l'ulteriore opportunità di sviluppare le possibilità metafisiche (più che antropologiche e morali) di una considerazione «sessuata» dell'anima. E noi siamo lasciati con un'altra curiosità e cioè se alla fine -, sebbene la creazione della donna ad immagine di Dio è inferiore a quella del maschio -- tali differenze non facciano apparentemente la differenza. Le differenze della beatitudine in cielo infatti non hanno nulla a che fare con le differenze sessuali, siano queste del corpo o dell'anima. Così permane ancora molta confusione.

Lo slittamento di Agostino in direzione dell'abbandono della teoria delle due sostanze trova un parallelismo improbabile in un suo contemporaneo. Girolamo, i cui rapporti con il giovane Agostino furono burrascosi, lo appoggiò di tutto cuore contro i Pelagiani. Ma proprio su questo punto avviene il suo voltafaccia nei confronti di Origene e contro la spiegazione origenista sulla trascendenza della sessualità. In gioventù Girolamo, come Ambrogio si diede molto da fare per diffondere in Occidente la lettura spirituale della natura umana e divina. Egli aveva dedicato la sua traduzione delle Omelie sul Cantico dei Cantici di Origene a Papa Damaso, e nel suo Commento alla Lettera agli Efesini (c. 388) aveva proposto una spiegazione eterica della perfezione, ma anche se permane in lui, fino alla fine, un'alta stima dell'erudizione di Origene, giunge ad obiettare violentemente la sua tesi sulla natura umana, la dottrina dell'apatheia insegnata dal suo seguace Evagrio, e in particolare l'affermazione per cui la natura umana un tempo fu asessuale e lo dovrebbe quindi diventare di nuovo. Per Girolamo lo scopo non è quello di divenire angelici, ma di imitare Cristo e Maria (Ef. 22. 18). Girolamo giunse a considerare la sessualità43 come qualcosa di pericoloso proprio perché continua a fa parte della natura umana -- e qui lo vediamo per lo più orientarsi nella stessa direzione di Agostino, [anche] se per ragioni molto diverse e molto meno sofisticate. Come Agostino si allontanò dall'Origenismo e dal quasi-angelismo di Ambrogio,44 così Girolamo si allontanò dall'Origenismo del suo vecchio amico Rufino e [che fu] suo.45 Nonostante le loro differenze, Agostino e Girolamo condivisero questa importante convinzione teologica: la crescente insistenza sull'importanza della resurrezione fisica di ciò che è corporeo in senso «ordinario».46 Insomma la resurrezione, in quanto esseri umani personali e individuali, comporterà ancora i caratteristiche sessuali sebbene senza che vi sia desiderio per l'unione sessuale. Per Girolamo come per Agostino, divenne possibile mettere insieme la convinzione per cui «la donna nella sua interezza» è creata (comunque in modo inadeguato) ad immagine di Dio insieme ad una concezione della relazione anima-corpo maggiormente accettabile a livello filosofico rispetto a quanto potesse offrire la terminologia della «miscela». Mancava loro tuttavia l'intenzione di spiegare i fenomeni a livello filosofico.47 A quanto pare, preferirono le caratteristiche sessuali senza la sessualità!

4. L'aristotelismo può aiutare? Il caso di Tommaso d'Aquino

Come abbiamo visto, un fenomeno tipico di gran parte del pensiero patristico fu l'uso limitato di Aristotele. Nella sua indagine delle scuole filosofiche, Giustino perse interesse per i Peripatetici perché pretendevano (anti-socraticamente) di essere pagati. Nella vasta cultura filosofica di Origene, l'aristotelismo ha poco spazio. Quando Tertulliano cerca un modello antropologico olistico per comprendere l'agente, si rivolge agli stoici più che ad Aristotele. Nel quarto secolo, vediamo emergere una certa polemica su Aristotele: negando le azioni della Provvidenza e ponendola al di sotto del potere del Fato, risultava da condannare come ateo. Ma a parte Nemesio, egli si ritrova ampiamente anche nel contesto del dibattito sulla logica tra Ariani e anti-Ariani o pro-Niceni: sembrerebbe che lo studio di Aristotele avrebbe portato all'ingresso in teologia di inappropriate minuzie logiche. Eppure il protratto disinteresse per Aristotele è fortemente rilevante dal momento che dopo Plotino, Porfirio alla fine diede una soluzione al problema dell'inclusione degli scritti aristotelici all'interno della cultura prevalentemente platonica del tardo paganesimo filosofico: Aristotele poteva essere usato come introduzione agli studi platonici; il suo lavoro andava «letto» in uno spirito platonico. Quindi, eccetto che Temistio, la maggior parte dei commentatori «aristotelici» dopo Alessandro di Afrodisia erano furono neoplatonici.48

Forse più di chiunque altro fu Plotino il responsabile della continua virtuale esclusione di Aristotele dal tardo pensiero patristico dagli ambiti di cui mi sto occupando. Plotino considerò come parte importante della sua impresa filosofica aggiornare l'opera di Platone e replicare ai critici di Platone, non da ultimo gli aristotelici e lo stesso Aristotele. Parte di questo progetto riguardava l'ampia discussione della teoria di Aristotele circa la relazione tra l'anima e il corpo. Plotino si rendeva conto, non da ultimo per le ansie di chi lo sosteneva, come Porfirio, che il platonismo risulta vulnerabile in questo campo se non è revisionato. Nella visione di Plotino, tuttavia, la teoria di Aristotele riguardo l'anima come forma sostanziale del corpo è una versione poco più che rivisitata dell'idea -- confutata sia da Platone che dallo stesso Aristotele -- per cui l'anima è una «armonia» del corpo o delle parti del corpo.49

Agostino sembra essersi convinto che Plotino fosse nel giusto in questo, e a conclusioni presumibilmente simili arrivarono la maggior parte di quei (pochi) pensatori cristiani che presero sul serio la critica di Aristotele al platonismo. In ogni caso, come abbiamo visto, sebbene Agostino (come Nemesio, anche se in modo meno specifico) sviluppi a volte un'unione «ipostatica» di anima e corpo in una modalità che sembra andare nella direzione di una spiegazione aristotelica -- una spiegazione certamente più genuina della versione dell'Aristotelismo respinto da Plotino -- e sebbene sarebbe stato molto utile in vario modo se lui e altri avessero preso più seriamente l'ilemorfismo aristotelico, tuttavia non lo fecero.

L'adozione di Aristotele da parte dei suoi commentatori neoplatonici nella tarda antichità significò molto di più che l'uso dei suoi scritti come fonte difendere a livello logico le posizioni platonizzanti. Come è ormai sempre più chiaro, ciò significò la trasmutazione di Aristotele in un filosofo molto più accettabile per un mondo teistico, sia cristiano che ebreo o musulmano -- non da ultimo a seguito di alcune della sue dottrine più sgradite (condivise dai Neoplatonici) come l'eternità del mondo, contestata dai cristiani, come Filipono, pensatore del sesto secolo. La «necessità» di un Aristotele cristiano fu riconosciuta nel sesto secolo da Boezio, anche se il suo progetto di tradurre gli scritti di Aristotele in latino, per renderli così disponibili al mondo occidentale, più o meno monolingue, era destinato a rimanere sostanzialmente incompiuto.

Nonostante tutto il lavoro di Boezio e dei commentatori sulla questione della relazione anima-corpo, rimanevano delle difficoltà filosofiche di fondo -- alcune delle quali da ricondurre a incertezze di pensiero dell'Aristotele storico -- nel caso in cui si potesse arrivare ad un'accettazione cristiana di Aristotele. Sebbene Aristotele fosse sicuro che l'anima è forma del corpo, nel suo famoso quinto capitolo del trattato Sull'anima, così come nella Generazione degli animali, egli ha lasciato poco chiara, per non dire di più, la relazione tra l'anima come forma e «l'intelletto dall'esterno» o «intelletto attivo». Tale confusione generò dibattiti che sono durati fino al medioevo, di cui non ci occupiamo qui, uno degli effetti dei quali fu quello di consentire a Tommaso d'Aquino di sostenere sia che l'anima umana sia la forma sostanziale del corpo e sia che essa può esistere separatamente da questo. Non è difficile riconoscere che questo potrebbe intorbidare in generale gli esiti dell'ilemorfismo e in particolare nel caso dell'anima femminile: se, cioè, ci siano anime femminili. Eppure, per altri versi, l'aristotelismo permette a Tommaso d'Aquino di sviluppare gli aspetti olistici della tradizione «paolina» o «ebraica» riguardo la natura umana e di evitare molte delle difficoltà inerenti alla alternativa teoria delle «due sostanze» nel concetto di persona che -- consapevolemnte o no -- gli era stata tramandata da parte della tradizione prevalentemente platonica dei suoi predecessori patristici.

Come abbiamo visto in precedenza, Aristotele sostiene che negli uomini e nelle donne la virtù è per certi aspetti differente, e nello specifico le donne mancano della perseveranza nella scelta, tipica degli uomini, quindi la loro abilità di agire efficacemente nella vita pubblica è di conseguenza più debole. Questa debolezza psicologica -- che non è una questione di intelligenza -- visto che le donne sono, a quanto si può vedere, intelligenti tanto quanto gli uomini -- è il corrispettivo intellettuale dell'inferiorità del corpo femminile. Dato che, in termini fisiologici, una donna è un uomo menomato, questa menomazione deve avere una qualche forma di corrispettivo psicologico. La menomazione femminile, non è certamente, nella visione di Aristotele, dovuta all'educazione o a fattori sociali; è «naturale» o, come diremmo noi, genetica.

Come ho già osservato, molte di queste idee -- per quanto filosoficamente coerenti -- derivano da ciò che noi ora considereremmo una cattiva scienza: un concetto inadeguato del concepimento e dell'embriologia, la teoria del seme unico, la tesi sul pneuma femminile come non sufficientemente caldo rispetto a quello maschile.50 Per Platone la differenza sessuale è un fenomeno puramente fisico; non incide necessariamente sulla psiche di una guardiana/regina-filosofo. Per Aristotele, tale considerazione unilaterale della natura umana è inevitabilmente inadeguata: devono esistere sempre controparti psicologiche ai fenomeni strettamente fisici.

Tommaso d'Aquino riprese la biologia aristotelica, inclusa la teoria secondo la quale le donne sono maschi fisiologicamente difettosi,51 e assieme a tale biologia sviluppò una considerazione prevedibilmente più chiara dell'inferiorità psicologica femminile, idea problematica che tuttavia sarebbe potuta essere per certi aspetti la versione agostiniana della creazione della donna a immagine di Dio. Eppure benché Agostino abbia insistito sul fatto che le donne siano create a immagine di Dio, tentando di interpretare Paolo in questo senso, egli ha anche fornito spie per quella potrebbe risultare un'idea maggiormente aristotelica: cioè che anche psicologicamente le donne sarebbero inferiori -- con ripercussioni sulla qualità dell'immagine divina presente sin dalla creazione nelle donne. Il sesso maschile, come egli a volte ritiene, è superiore di grado non da ultimo perché è più razionale, o perché la sua razionalità è più comunemente considerata la forma di razionalità più alta, quella della contemplazione, in confronto alla forma più bassa, più «attiva» e corporea della forma femminile.

Come Agostino, e in gran parte seguendo le sue orme, -- non da ultimo nel ritenere che l'uomo è un'immagine di tutta la Trinità (ad es., in ST Ia. 93; 75. 2. 6) e che tale immagine si può ritrovare «principalmente» nella mente52 -- l'Aquinate crede che la donna sia creata a immagine di Dio, ma anche che la sessualità, ancora una volta intesa in maniera puramente fisica e più o meno identificabile con l'attività genitale e riproduttiva, non fa parte di tale immagine. Se egli avesse seguito una versione meno convenzionale e più coerente di ilemorfismo «aristotelico», non avrebbe potuto sostenere una tale tesi. Forse le pressioni religiose e sociali che si trovava ad affrontare gli resero impossibile riconoscere gli inconvenienti di una tale tesi. Oltre tutto egli aveva bisogno di mantenere l'idea «platonizzante» che l'anima può esistere separata dal corpo prima della resurrezione generale.

L'Aquinate sembra anche seguire a volte Aristotele nel sostenere che l'inferiorità delle donne non è semplicemente fisica ma si manifesta anche nell'intelletto.53 La donna è per natura subordinata all'uomo «perché tra gli esseri umani la capacità di discernimento razionale varia notevolmente» (ST 1a. 92. 1 responsio 2 e 3);54 e ancora: «La donna è assoggettata all'uomo a causa della debolezza della sua natura, sia dello spirito che del corpo» (Supplemento 81. 3, ad2).55Ciò che manca qui, comunque, è una trattazione se la debolezza mentale femminile possa essere derivata dalla sessualità dell'anima femminile: a causa di tutto il suo aristotelismo l'Aquinate non può proporre questa possibilità, ritenendo, come fa, che l'anima non sia sessuata, o almeno non femminile -- anche se può aver pensato che l'inferiorità dell'anima femminile sia collegata con la necessaria associazione al corpo femminile. Per l'Aquinate l'inadeguatezza delle donne in quanto maschi incompleti non implica l'imperfezione nella loro stessa natura (ST 1a. 92. 1 responsio): la natura nel complesso ha bisogno della donna in quanto tale, poiché scopo delle donne è quello di aiutare alla procreazione, intesa in senso ampio, inclusa la vita domestica (ST 1a. 92. 2 contra, seguendo Aristotele, 1182A19) -- e niente e nessuno potrebbe fare meglio questo lavoro.56 L'incompletezza delle donne si rivela solo quando sono paragonate agli uomini, come si mostra nel processo del concepimento, dal momento che «la potenza attiva nel seme del maschio tende a produrre qualcosa di simile a se stesso, perfetto nella mascolinità» -- e Tommaso d'Aquino offre varie spiegazioni aristoteliche sul perché a volte il potere attivo fallisce e viene generata una femmina. In breve, per l'Aquinate la donna è creata a immagine di Dio, ma non nella stessa misura dell'uomo.

Qui v'è una chiara incoerenza, e la sua causa principale è l'insistenza dell'Aquinate sulla vecchia tesi «platonizzante» per cui la sessualità è una funzione puramente corporea, combinata con una credenza non specificata secondo la quale essere femmina significa essere meno razionale che essere maschio -- e questo a dispetto della tradizione da Filone e Origene (sulla quale ritornerò) secondo la quale tutte le anime veramente religiose in relazione a Dio sono donne. Come vedremo, nella sua visione di ciò che significa essere donne, Tommaso d'Aquino ignora le implicazioni della femminilità «simbolica» e «teologica» in relazione a Dio Creatore per una corretta valutazione delle donne. La sua tesi su quest'ultimo punto, che deriva ampiamente dalla biologia inadeguata e dagli effetti delle convenzioni sociali, identifica erroneamente le apparenti incapacità femminili con la nozione di femminilità stessa, anche se senza un'adeguata considerazione della relazione tra la femminilità come tale e l'attività genitale e riproduttiva della donna.

Sembra che una tesi non platonizzante, per cui le donne sono create parimenti a immagine di Dio, può essere sostenuta coerentemente solo se si ammettesse -- e anche allora non necessariamente -- una versione più completa della concezione aristotelica della relazione corpo-anima. Tale versione dovrebbe includere affermazioni circa le differenze genitali e riproduttive tra uomini e donne, implicando anche corrispettive differenze nell'anima e circa il fatto che tali differenze psicologiche (che sarebbero da precisare) non implicano mancanze in entrambe i casi. Certo bisognerebbe abbandonare la vecchia nozione precristiana per cui c'è un unico tipo di essere umano perfettibile e con essa la difesa «cristiana» del fatto che, poiché Cristo è maschio, allora l'essere umano perfetto è (in qualche modo) maschio. Da abbandonare sarebbe anche l'idea che una vergine sia asessuata, piuttosto che semplicemente genitalmente non attiva.

Anche se Tommaso d'Aquino non ha dubbi che la donna sia creata a immagine di Dio, mostra immediate difficoltà circa la parità della sua immagine originaria, per diverse ragioni:57

  1. Perché sembra combinare una credenza nel maschio come categoria superiore -- perché deve esserci una categoria superiore -- con un'adesione al principio aristotelico per cui le differenze fisiche riflettono differenze psicologiche e quindi le debolezze del corpo devono riflettere le debolezze psicologiche: in un linguaggio moderno le differenze ormonali, benché siano anche fisiche, indicano in maniera diseguale consistenti differenze psicologiche tra maschi e femmine e quindi una differenza necessaria ed essenziale che riguarda la qualità dell'immagine divina nella sua forma originaria nei sessi.
  2. Perché sebbene egli abbia aderito alla più ampia versione della tradizionale interpretazione circa l'intenzione di Dio nel creare la donna -- ella non è stata voluta semplicemente per la riproduzione ma anche per altri aspetti della vita domestica58 -- Tommaso mantiene la vecchia concezione per cui nel mondo secolare le donne sono destinate esclusivamente alla sfera privata e familiare, in quanto hanno una scarsa capacità per la sfera pubblica.
  3. Poiché alcuni testi biblici dicono che le donne non dovrebbero esercitare l'autorità sugli uomini (ad es., 1 Timoteo 2, 12, 1 Corinzi 7; cfr. ST 1a. 92. 1, ad2) -- così come anche la tradizione che egli riceve, apparentemente sostenuta dalla Scrittura, in cui la mascolinità in quanto tale è una forma superiore umanità. Sin dai tempi patristici, è l'autorità ad essere tradizionalmente considerata uno caratteri distintivi dell'immagine (maschile) di Dio.

Una confutazione di quella che sembra essere la tesi dell'Aquinate richiede una tesi sulle donne riveduta a livello sia scientifico che sociale, ma anche -- di fondamentale importanza per i cristiani -- a livello biblico. Qui, però, la difficoltà non riguarda solo una mera correzione di Tommaso d'Aquino; bisognerebbe arrivare a elaborare una tesi difendibile che possa divergere -- in buona fede59 -- da ciò che spesso è stato considerato il senso letterale della Scrittura e della tradizione riguardo alla donna come immagine di Dio. Come ho notato, quando ho trattato gli antiocheni, questa sfida è stata finora affrontata in modo inadeguato da teologi ed esegeti, e quindi dal Magistero, anche se teologi e Magistero sembrano nel giusto ogni qual volta affermano l'eguaglianza della donna in riferimento alla sua immagine creazionale.

Quando la sfida è affrontata con successo, tuttavia, ci si rende conto che le differenze sessuali sono dell'intera persona -- cioè sia dell'anima sia del corpo -- e che pertanto tali differenze sono incluse nella struttura originaria come immagini di Dio. Proprio come la verginità consacrata non è una condizione asessuale, ma una in cui si rinuncia all'espressione genitale della sessualità, così la condizione sessuata è qualcosa alla quale non possiamo rinunciare e quindi non può che essere una componente stabile della natura umana in quanto immagine di Dio. In una tale interpretazione della natura umana, non è certo necessario trattare «maschio» e «femmina come categorie assolute e distinte, non da ultimo perché siamo tutti «femmine» nella nostra relazione a Dio.

Perciò sorge un problema più ampio all'orizzonte: se l'uguaglianza creazionale della donna in quanto immagine di Dio è possibile all'interno dei confini della cristianità cattolica -- come oramai si pensa ampiamente, anche a livello ufficiale -- che cosa ci dice questo riguardo all'attuale dibattito a livello filosofico dell'«antropologia» cristiana e dell'attuale stadio di sviluppo della nostra comprensione generale della dottrina cristiana?

Non ho tuttavia concluso con Tommaso d'Aquino. Qualunque sia la verità circa la disuguaglianza dell'immagine, un certo numero di scrittori recenti hanno indicato altri passaggi nei suoi scritti in egli appare più «moderno» e in linea con il pensiero corrente cattolico. Alcuni sostengono che lo stesso Aquinate avrebbe introdotto questi testi per correggere la versione del suo pensiero che ho presentato.60 Dubito della plausibilità storica di una tale interpretazione, che sembra essere condizionata dagli ampliamenti precisazioni proposti in particolare da Karol Wojtyla, prima e dopo essere Papa -- e che sono quindi più interessanti per lo storico dello sviluppo della dottrina che per un commentatore di Tommaso d'Aquino. Poiché ci sono parti del pensiero dell'Aquinate riguardo alle donne e l'immagine di Dio, alcune delle quali ereditate dal suo passato patristico -- e indubbiamente da Agostino in particolare -- che in effetti furono da lui respinte e che, una volta analizzate, mostrano come la sua posizione necessitava di una rielaborazione.

Recenti interpretazioni di Tommaso d'Aquino hanno cercato di trovare testi sui quali potesse essere sostenuta una teoria tomistica della complementarità degli uomini e delle donne. Ma se tale teoria intende soddisfare l'idea dell'uguaglianza umana dell'immagine di Dio, allora essa dovrebbe dimostrare non solo che la donna è complementare all'uomo (e viceversa), ma anche che nella relazione complementare nessuna delle parti è inferiore all'altra, anche se sono entrambe necessarie. Al momento, pertanto, lascio da parte gli sviluppi contemporanei e tratto solo i temi che in Tommaso d'Aquino potrebbero contribuire a tali sviluppi e che dimostrano che, sebbene incompleti, costituiscono una rielaborazione di ciò che lo stesso Aquinate aveva proposto in una prima fase del suo pensiero.

Dovrebbe essere evidente che una più approfondita analisi aristotelica della relazione anima-corpo dovrà essere un requisito imprescindibile per una teoria tomistica revisionata: Ovvero: un aristotelismo che rifiuti però come base della metafisica una biologia inadeguata. Tale rettifica dovrebbe certamente includere l'abbandono dell'idea che la sessualità sia da limitarsi al corpo, e che quindi l'immagine di Dio andrebbe limitata all'anima. Lo stesso Tommaso d'Aquino ha indicato timidamente questa direzione sottolineando che è nell'anima che «principalmente» dobbiamo ritrovare l'immagine [di Dio], indicando che una praefiguratio di tale immagine può essere riconosciuta nel corpo degli esseri umani in generale, sia maschi sia femmine.

Ci sono altri temi tomistici che, sebbene difficilmente collegati al concetto di immagine sviluppato da Tommaso d'Aquino, potrebbero essere utili in una ricostruzione contemporanea e di certo sono stati così usati: la sua interpretazione di Eva in quanto «aiuto» di Adamo; la sua idea del ruolo ricettivo (non solo passivo) nel processo del pensiero; il relativo tema dell'amore ricettivo (testimoniato concretamente da Maria Maddalena, come più in generale tramite la tradizionale idea che l'anima umana in relazione a Dio sia femminile: una tradizione che, come abbiamo visto, risale almeno all'idea di Origene circa la necessaria femminilità di ogni anima umana). Una volta sviluppati questi temi -- aggiungendovene altri di origine più moderna -- è possibile costruire una tesi della complementarità dei sessi che non implichi la superiorità dell'uno sull'altro; anche se nel caso dell'immagine di Dio, essa potrebbe implicare addirittura una certa superiorità della condizione femminile, almeno nel nostro stato decaduto.

Tommaso d'Aquino concepiva il matrimonio di Adamo e Eva, come ogni matrimonio, come una socialis coniunctio [unione sociale] (ST 1a. 93. 3 responsio): una condizione in cui la donna non ha autorità sull'uomo, ma allo stesso tempo non ne è schiava. Questa lettura aristotelica è ulteriormente sviluppata nella Summa Contra Gentiles (3. 124 -- 125) dove, nel respingere il matrimonio tra coloro che sono strettamente imparentati, l'Aquinate afferma che, per esempio, se un genitore sposasse un figlio, la subordinazione naturale di una delle parti all'altra, derivante dal rapporto precedente, potrebbe interferire con il «legame sociale» del matrimonio. Non consegue da nessuno di questi passaggi che i coniugi siano semplicemente «uguali».61 Il passaggio tratto da Summa Contra Gentiles spiega più esattamente -- ancora con un apparente riferimento ad Aristotele -- come si debba intendere socialis consortio: il matrimonio è una forma di amicizia tra persone libere. Non è una condizione servile bensì un tipo di uguaglianza (amicitia in quadam aequalitate ... consistit [l'amicizia consiste propriamente in una forma di uguaglianza]) che potrebbe essere distrutta dalla poligamia. L'aristotelismo su cui si basa l'Aquinate, tuttavia, implica che il matrimonio sia una sorta di amicizia, ma non tra eguali. Secondo Aristotele l'amicizia tra marito e moglie, che talvolta chiama «politica» e altrove «aristocratica», è tra reciproci beneficiari; quindi si tratta di un'amicizia di utilità.62 Ma se si dovesse chiedere a Tommaso d'Aquino perché tale amicizia non possa esistere tra eguali, riceveremmo solo una risposta culturalmente condizionata: questo implica che resta aperta la possibilità di perfezionare tale risposta.

Tommaso sottolinea che nel processo del pensiero la ricettività della mente non è semplicemente passiva bensì un'apertura alla verità. Si deve desiderare ricevere, il che è ben illustrato dal fiat [sia] di Maria «la quale conservava tutte queste cose nel suo cuore».63 In questo modo il pensare è analogo a quell'essere ricettivo nei confronti di Dio richiesto al cristiano, una ricettività testimoniata anche nelle Scritture, come riconobbe Tommaso d'Aquino, nel racconto di Maria Maddalena come prima testimone della Resurrezione di Cristo. Agostino, abbiamo visto, aveva sostenuto un'idea simile, affermando che Maria Maddalena era stata selezionata proprio poiché il suo amore era più forte (maior affectu).64 L'Aquinate cita Agostino asserendo che è a causa dell'amore di Maddalena che Cristo le è apparso.65

5. La strada da percorrere

5.1. La situazione attuale

Una revisionata ontologia aristotelica (piuttosto che una sorta di teoria patristica delle due-sostanze, concepita come se originariamente non fosse una teoria ontologica dell'uomo bensì morale/spirituale) è necessaria per rendere ragione della differenza strutturale tra uomini e donne nel composto anima-corpo -- anche se tale composto potrebbe variare sempre un po' caso per caso. Ma trattandosi di un'ontologia descrittiva -- e uno crederebbe che sia almeno libera dall'assunto secondo il quale un sesso debba essere intrinsecamente superiore piuttosto che complementare all'altro -- potrebbe non avere nulla da dire sulla controversa questione di quale sesso sia più vicino all'immagine di Dio. I cambiamenti delle strutture sociali ci hanno dato prova che molte donne sono in grado di agire efficacemente nella sfera pubblica, anche se tali osservazioni, essendo empiriche, non dicono nulla se non di una qualche abilità individuale o media.

Ciò significa che, per quanto la nostra conoscenza biologica e sociologica sia approfondita, nulla sostiene la tesi che le donne non siano create in ugual misura ad immagine di Dio. Non possono essere utilizzate, come in passato, ipotesi biologiche e sociologiche errate per dimostrare che le donne sarebbero esseri umani inferiori e quindi necessariamente o non create affatto ad immagine di Dio, o in maniera minore.

In passato tuttavia, tali presupposti sono stati usati regolarmente per riproporre interpretazioni apparentemente chiare di una serie di testi biblici che sembrano indicare l'originaria inferiorità femminile. Se tale tesi fosse stata del tutto esclusa dalle Scritture, sarebbe stato molto più difficile fare affidamento su ipotesi errate per sostenerla. Sebbene le Scritture siano divinamente ispirate, esse sono trasmesse dalla mano di uomini maschi caduti, condizionati essi stessi dalla società del loro tempo. Tuttavia anche se alcuni testi chiave sono stati scritti in modo fuorviante o letti tendenziosamente sotto l'influsso di pregiudizi derivanti da credenze sociali e biologiche, lo smascheramento di tali credenze deve essere privo di quell'altro soggettivismo che nega gli insegnamenti biblici a favore di cause sposate dall'esegeta -- come si tenta di fare attualmente da parte di chi difende gli atti omosessuali.

In questo caso nei suoi documenti ufficiali la Chiesa Cattolica oramai proclama l'uguaglianza dei sessi, in quanto creati allo stesso titolo ad immagine di Dio, sgravando l'esegeta da una presa di posizione personale: la sua interpretazione revisionata (e quindi i principi ad essa sottostanti) non sono la sua lettura personale ma quella della Chiesa la quale, come promise il suo fondatore, sarebbe stata condotta alla verità tutta intera. Quello che si richiede è che la spiegazione dei principi esegetici sia coerente e consistente. Se questo approccio significa anche che la Chiesa conosca la giusta risposta senza sapere (o senza sapere completamente) perché tale risposta sia giusta, si può replicare che ciò è già avvenuto per altri insegnamenti sia maggiori sia minori.66

5.2. Alcuni testi «paolini» incerti e relative spiegazioni

Riesaminando le tradizioni patristiche ho notato che, a parte la Genesi, un gruppo di testi «paolini» ha dominato il dibattito se la donna sia creata a immagine di Dio. I testi sono:

  1. 1 Corinzi 11, 7: l'uomo è immagine e gloria di Dio e la donna è gloria dell'uomo;
  2. 2 Corinzi 3, 18 -- 4, 6 (e Colossesi 1, 15) in cui si spiega che Cristo è l'immagine perfetta (la questione dell'importanza della sua mascolinità è lasciata irrisolta);
  3. Efesini 4, 13: dovremmo arrivare all'unità della fede e della conoscenza di Dio, «fino» (con riferimento a?) all'uomo perfetto (andra), alla pienezza di Cristo;67
  4. Galati 3, 28: In Cristo non c'è né maschio né femmina.

A questi aggiungo un altro, delle cui «conseguenze» non ho parlato, vale a dire Efesini 5, 12: la relazione tra marito e moglie è come quella tra Cristo e la Chiesa. Questo consente agli esegeti di mettere in parallelo i maschi (come Cristo e il nuovo Adamo) con le donne (come la Chiesa o come Maria la nuova Eva).

Dapprima prenderò in considerazione quest'ultimo passaggio. Il problema in questo parallelismo, se estremizzato, è che Cristo come capo della Chiesa (in quanto suo corpo) è superiore alla Chiesa (o a Maria). Ciò sarebbe una conferma -- a livello ontologico, non solo a livello sociale «decaduto» -- dell'ipotesi tradizionale della superiorità di Adamo su Eva. Ma qualunque sia l'intenzione cosciente di Paolo, non c'è bisogno di leggere il testo in modo così decontestualizzato. Era facile e naturale per Paolo usare la relazione matrimoniale secondo lo schema dei suoi tempi, quale analogia della relazione Cristo-Chiesa. Ciò non presenta problemi, se non quando l'analogia viene riletta anacronisticamente, dandole un'applicazione universale: quando si sostiene, cioè, che il rapporto gerarchico tra Cristo e la Chiesa -- indicante la superiorità di Dio, quale modello, sull'essere umano, quale immagine -- simbolizzerebbe una verità ontologica che riguarderebbe la superiorità dei maschi sulle donne, non da ultimo in riferimento anche all'essere originariamente e direttamente creati ad immagine di Dio.

Non c'è bisogno di interpretare così il significato più profondo di Paolo; di certo tale interpretazione fu respinta da Giovanni Paolo II nell'enciclica del 1989 Mulieris Dignitatem, dove il Papa, oltre a ricordare che la Chiesa -- cioè la donna (à la Origene) di Dio -- è fatta sia di uomini che di donne, implicitamente nega che Paolo consideri le donne come differentemente create ad immagine di Dio -- anche se la sua discussione non tiene conto di alcuni dei testi biblici addotti nei tempi patristici per dimostrare il contrario -- e afferma che la lettera agli Efesini insiste non solo sulla «sottomissione» della Chiesa, quindi di tutti gli esseri umani, a Cristo, ma anche sulla mutua e reciproca sottomissione di marito e moglie nel matrimonio (24): una rielaborazione audace del testo. A tale testo e alle sue basi, che sembrano necessarie, torneremo.

Questo ci porta alla lettera ai Galati 3, 28, la quale, anche se probabilmente dice solo che Cristo non fa distinzioni e che schiavi e liberi, uomini e donne, giudei e gentili sono tutti ugualmente apprezzati e amati, è spesso inteso in senso strettamente escatologico ovvero come dottrina che alla resurrezione non ci sarà più alcuna attività sessuale; o più in generale, come accade con diverse autorità patristiche, che in qualche senso «spirituale» saremo tutti maschi, anche se fisiologicamente le donne appariranno ancora come donne; o ancora -- con una più incerta applicazione sociale -- che benché nell'«epoca odierna» uomini e donne occupano differenti ruoli sociali, voluti da un'originaria inferiorità femminile, nel mondo futuro tali distinzioni sociali e istituzionali cesseranno di esistere -- così come l'idea che non ci saranno schiavi in paradiso, può suggerire che allora, ma non ora, saremo tutti padroni. Infine, come abbiamo visto, Galati 3, 28 ha incoraggiato la tesi secondo la quale se le donne diventano «non femminili» (semplicemente rinunciando all'attività sessuale o senza viverla del tutto, cioè diventando «maschi»), possono anticipare la condizione paradisiaca. A parte l'inadeguatezza di tale visione della sessualità -- identificata semplicemente in termini di atti genitali -- il testo non richiede tale esotica interpretazione. Esso potrebbe voler dire che proprio come nel principio tutti sono in Cristo, così questa condizione è ripristinata alla fine: la natura umana in quanto tale, sia maschio sia femmina, fu creata (come vogliono alcune interpretazioni del libro della Genesi) in assoluta parità ad immagine di Dio.

Dopo aver chiarito tali premesse, mi rivolgo ai due testi che hanno influenzato più direttamente il dibattito patristico -- o hanno confermato i pregiudizi dei Padri. La 1 Corinzi 11, 7, come abbiamo visto, fu analizzata da Agostino che, guidato dal desiderio di riconciliare Paolo con una interpretazione verisimile di certe parti di Genesi, difese una lettura meno verisimile del senso esplicito del testo, generando una interpretazione più vicina alla nostra dottrina contemporanea. Ma Agostino, come abbiamo visto, aveva la scusa di una concezione ontologica debole circa la relazione anima -- corpo attraverso la quale poteva separare la sessualità dall'anima, e difendere l'uguaglianza creazionale di maschi e femmine, riferendosi all'idea platonizzante che noi tutti siamo « in realtà» le nostre anime maschili (intese come asessuate).

In ogni caso, anche se Agostino ha cercato di sostenere l'idea che le donne (in quanto «reali» maschi con corpi femminili aggiunti originariamente per scopi riproduttivi) furono create a immagine di Dio, egli sembra concedere loro solo una versione inferiore dell'immagine -- poiché sono inferiori dal punto di vista strettamente corporeo, il che dopotutto pregiudica le loro capacità intellettuali -- senza sviluppare la sua tesi per cui le donne qua donne mostrano una serie di qualità superiori a quelle considerate tipicamente maschili: la superiore capacità di Maria Maddalena di amare le permise di essere la prima testimone della Resurrezione (e Agostino evita addirittura di dire che in questo caso ella si comporta in modo «virile»). Ma anche qui Agostino è troppo prigioniero della sua epoca per seguire la sua feconda idea; proprio come Clemente non era riuscito a fare un uso significativo della sua proposta secondo la quale nell'Incarnazione -- nella condizione di «salvezza» di Dio piuttosto che in una condizione «creazionale» -- Dio si sia fatto «femminile»: una «madre».68

Tutto questo ci porta al testo forse più problematico di tutti. Si è pensato che Efesini 4, 13 insegnasse che dobbiamo sforzarci ad essere come Cristo non in quanto perfetto essere umano ma come maschio perfetto. Ci sono una serie di approcci possibili a questo. Forse Paolo fu sfortunatamente poco cauto; egli voleva intendere un essere umano perfetto senza alcun riferimento specifico alla maschilità e fu mal interpretato da coloro che avevano motivi sociali per farlo: un certo numero di moderne traduzioni sembra indicare tale debole soluzione. O forse riferendosi al maschio perfetto, dava per scontato che la perfezione delle virtù sia in definitiva un fenomeno maschile e voleva che le donne raggiungessero uno stato «virile» che la loro originaria anatomia femminile (e quindi anche la loro condizione psicologica) rende più difficile da attuare. A favore di tale tesi ci sarebbe il passaggio della Prima Corinzi dove egli sembra negare alla donna la diretta somiglianza con Dio.

Qualcuno potrebbe tentare di salvare la situazione al limite negando la diretta paternità paolina della Lettera agli Efesini, ma questo è un percorso pieno di incertezze. In ogni caso la Chiesa ha sempre insistito che con o senza Paolo la Lettera agli Efesini è canonica. Una terza possibile lettura è che nella Lettera agli Efesini Paolo stia parlando solo, o comunque principalmente, ai maschi (forse in quanto capifamiglia) e forse addirittura per il fatto che solo loro possono essere eletti per certi ruoli all'interno della Chiesa. Ciò potrebbe essere respinto come interpretazione troppo forzata ed auto-referenziale anche se in effetti ci si riferisce in prima istanza a maschi. Eppure l'uso di Paolo del termine «uomo» (andra) nella 1 Corinzi 11, 2 -- 16 può riflettere una tradizione che, similmente al termine anthropos, si può riferire a tutti gli esseri umani, anche se «uomini» (anche a immagine di Dio) poteva -- in una certa misura -- includere «donne», ma «donne» non avrebbe incluso «uomini».

Concludo provvisoriamente, quindi, dicendo che o Paolo fu disattento in qualche maniera e quindi mal interpretato, o che, come molti scrittori patristici pensarono, ma che ora la Chiesa rivede, egli insegnò che le donne devono diventare, in qualche maniera, sessualmente -- o piuttosto a-sessualmente -- «maschi». Di queste due possibilità la seconda è di gran lunga la più probabile, ma anche se questo è corretto, è molto meno importante di ciò che è stato spesso pensato. Infatti, anche se l'uomo perfetto fu di certo fisiologicamente maschio, cioè Cristo, non ne consegue -- come fu ampiamente sostenuto -- che l'interpretazione di Paolo pilotata culturalmente, debba essere accettata come dottrina secondo la quale la mascolinità «asessuata» sarebbe la condizione sine qua non di ogni perfezione umana. Anzi, si potrebbe sostenere in base alla storia della spiritualità cristiana che per molti aspetti è stato il contrario.

Sarebbe stato simbolicamente meglio che Dio si fosse incarnato in un maschio; ritornerò a questa possibilità. Eppure se Dio per sue buone ragioni volle incarnarsi in Palestina nel primo secolo, e all'interno della società ebraica nella Palestina del primo secolo, sarebbe stato inconcepibile che si incarnasse in un predicatore di sesso femminile. E poiché Paolo viveva in una società nella quale le virtù erano normalmente pensate come idealmente «maschili» (come caratteristiche di un Dio tutto sommato maschile) mentre la natura «femminile» (come abbiamo visto in Filone) fu comunemente intesa come «sensuale», è inconcepibile che non avrebbe seguito la convenzione che supponeva e chiamava le virtù «virili», nonostante il corollario -- ovvio per noi -- che le donne sarebbero inferiori o che le eventuali virtù femminili sarebbero trascurate o sottovalutate.

Non c'è motivo di riflettere ulteriormente sulle intenzioni di Paolo. È sufficiente dimostrare che le sue parole possono essere interpretate ambiguamente: sia nel caso che la donna sia direttamente o no creata ad immagine di Dio, sia nel caso in cui la mascolinità di Cristo abbia una necessaria connessione con tutto ciò che riguarda l'immagine per noi. Conviene di più riferirsi a quanto suggerito da Agostino e Clemente di Alessandria -- per non parlare della tradizione derivata da Origene secondo il quale in rapporto a Dio tutte le anime sono femminili. Certo, è bene non iniziare da Paolo, e tanto meno con le interpretazione di Paolo, bensì con parole riportate e le azioni di Gesù: forse meglio di tutto con la sua conversazione avuta al pozzo con la Samaritana (Giovanni 4, 24).69

Il tema di questa conversazione era come (e dove) bisognasse adorare Dio. Gesù dice alla donna che Dio è spirito e che coloro che lo adorano lo fanno in spirito e verità. I discepoli, secondo Giovanni, erano stupiti soprattutto nel vedere Gesù che parlava con la donna -- il che conferma la nostra valutazione del tradizionale ruolo della donna nella Palestina dell'epoca. Potrebbe sembrare meno sorprendente che le dica che Dio è «spirito» se cerchiamo di vedere come i cristiani lo avevano inteso.

Se «spirito» è da intendere semplicemente in contrapposizione a «carne», ciò avrebbe causato poche difficoltà, ma è chiaramente più di questo. Per lungo tempo, come abbiamo visto, lo «spirito» fu considerato come una sorta di sostanza «non-materiale» (laddove il Nuovo Testamento lo limita all'idea di sostanza «invisibile»).

Poiché nel mondo futuro (considerato immateriale) non ci sarà matrimonio né dare in matrimonio e poiché le distinzioni sessuali non hanno qui valore genitale, era già sorta la tesi che la sessualità fosse o qualcosa di puramente fisico o al limite (perlomeno nelle donne) un segno di una umanità di seconda classe. Questa idea era già presente, prima ancora che arrivasse nel cristianesimo l'intera concezione di un contrasto tra mondo immateriale e intelligibile (cioè il mondo di Dio) e un mondo fisico dei sensi; il che era inevitabile non da ultimo a causa dell'opposizione tra spirito e carne (con la facile supposizione per cui l'attività sessuale sia in senso stretto corrotta).

Questo è il motivo per cui è necessaria una versione migliorata dell'«antropologia» aristotelica. In base a questa infatti la sessualità, se fisica, è anche psicologica, e se propriamente maschile, allora è anche propriamente femminile. In una tale concezione non si discute se sia più importante o più centrale il maschio o la femmina. Se Agostino (nella Città di Dio) era nel giusto quando ipotizzava che le donne sarebbero state resuscitate con corpi femminili, vuol dire che esse risusciteranno anche con anime femminili; insomma, essere maschio o femmina non ha di per sé nulla a che fare con il fatto se si è creati o no ad immagine di Dio.

Tommaso d'Aquino, nonostante la sua considerazione ontologicamente scorretta della natura femminile, definì l'immagine di Dio nel senso della capacità naturale di conoscere e amare Dio (ST 1a. 93. 4 responsio). E Dio, come disse la Samaritana, è «spirito» -- il che non va capito né in contrasto a ciò che si intende con (in senso dispregiativo) «carne», né semplicemente come una sostanza ontologicamente intelligibile. Nella misura in cui, poi, tutti noi possediamo la capacità di conoscere e amare questo spirito, e quindi di diventare come lui, è inconcepibile che le donne -- a meno che non vogliamo regredire alla vecchia posizione pagana per cui esse non sono in senso stretto esseri umani -- non siano create parimenti a sua immagine.

Il che non vuol dire che le donne siano «idealmente» identiche agli uomini; semplicemente -- come ora si pensa -- condividono parimenti con gli uomini la condizione e la dignità di essere create a immagine di Dio. Potrebbe essere utile qui considerare la proposta di Clemente secondo la quale nella creazione Dio è come un padre (nonostante i suoi assunti non del tutto scientifici di biologia), mentre nella redenzione egli si rende «femminile» come una madre. Potrebbero essere parimenti utili le intuizioni di Agostino (accettate da Tommaso) circa l'amore superiore di Maria Maddalena, come anche la tesi, comune tra i Padri, secondo la quale le martiri donne -- che non erano tutte vergini o vedove -- spesso mettono oscurano le loro controparti maschili per la devozione a Dio.

Tali considerazioni avrebbero dovuto avere maggiore influsso nello spiegare (piuttosto che semplicemente affermare) che la donna è creata a immagine di Dio, risptto alle aggiunte forzate derivanti dalle situazioni matrimoniali e sociali di mariti e mogli del primo secolo d. C., in cui -- per ragioni non pertinenti -- il maschio è paragonato a Cristo e la donna alla Chiesa. In relazione all'immagine di Dio, Pietro nei confronti di Maria Maddalena sarebbe un parallelo utile: Pietro poiché ci stiamo occupando di immagini dell'uomo in condizione di peccato, e similmente Maria Maddalena poiché -- che sia lei o no la peccatrice che in tutti i vangeli unge Gesù con unguento prezioso e asciuga i suoi piedi con i propri capelli -- pure lei ebbe bisogno di pentimento. Ma allora a Maria madre di Gesù -- che è un simbolo, ovviamente fondamentale, per l'umanità incorrotta e allo stesso tempo una donna autentica e non un angelo -- non si può negare il titolo di immagine creata di Dio. Ella sarebbe tipo di quella femminilità dell'anima che Origene, e la tradizione successiva, sostenne essere il giusto atteggiamento dell'umanità nel suo complesso in relazione a Dio.

Il cristianesimo ha ereditato (o acquisito) molte delle caratteristiche della religione patriarcale dell'antico Israele da cui deriva, compresa l'interpretazione estremamente maschilista che di tale religione propose Filone e che venne incoraggiata da varie tradizioni di pensiero strettamente elleniche.

Eppure esso portava in sé -- non da ultimo nella sua interpretazione dell'immagine di Dio -- i mezzi sia per accettare le intuizioni del patriarcalismo sia per trascenderle. Concludo con i recenti tentativi di avanzare ulteriormente su questa strada, anche se con persistenti limiti.

5.3. Alcune proposte da Karol Wojtyla e altri70

Karol Wojtyla, sia prima che dopo essere diventato Papa Giovanni Paolo II, sostenne che maschi e femmine sono complementari, suggerendo che la differenza sessuale pertiene non soltanto alla sfera fisiologica ma anche alla struttura psicologica di uomini e donne:71 «L'uomo è una persona, uomo e donna sono così uguali, poiché sono entrambi stati creati a immagine e somiglianza del Dio personale» (Mulieris Dignitatem 6). Il contesto di tale passaggio mostra che l'ambiguità che circonda certe forme di «parità» dei testi precedenti è stata eliminata. Più tardi, nello stesso documento, a proposito di matrimonio, egli rivendica una sottomissione reciproca dei partners, malgrado la Prima lettera di Timoteo 2, 11-15.

Trattando la complementarietà dei sessi, Wojtyla sottolinea la ricettività necessaria di tutti gli esseri umani -- così come essa è esemplificata dalla donna cananea e da Maria Maddalena -- nella misura in cui aspirano essere spose di Cristo.72 Ed insiste sul punto per cui la «una sola carne» del matrimonio indica il desiderio di Dio di un'unità a tutti i livelli dell'identità personale, senza che vi sia una parte superiore o inferiore, senza dominazione e sottomissione. Eppure nella Mulieris Dignitatem c'è ancora una marcata riluttanza nel parlare di un'anima femminile. Il Papa ha preferito parlare di soggetti femminili o di personalità femminile. Un cinico potrebbe pensare che questo gli ha permesso di evitare il formale rigetto (o una esplicita riscrittura) dell'inesatta tesi aristotelica di Tommaso d'Aquino e di gran parte della tradizione cattolica secondo la quale la fisiologia femminile indicava un'anima inferiore, e quindi una versione inferiore dell'immagine di Dio.

Wojtyla chiaramente non credeva che le anime delle donne fossero inferiori, né che le donne siano create ineguali ad immagine di Dio, quindi si suppone che avesse buone ragioni (forse tanto quanto cattive) per evitare di parlare di anima femminile preferendo il termine soggetto femminile. Una cattiva ragione avrebbe potuto essere -- in linea con la tendenza ricorrente all'interno del cattolicesimo -- di confondere la teologia con la storia della teologia e le verità implicite del «deposito della fede» con la loro formulazione esplicita, di credere (ma in tal caso sarebbe stato un errore) di condividerle la tesi di Tommaso e quindi di gran parte della tradizione cattolica.

Ma Wojtyla potrebbe aver avuto ragioni migliori -- connesse con un concetto revisionato e sviluppato di «persona» umana e della sua relazione con le persone divine della Trinità -- per preferire cautamente il termine persone femminili piuttosto che anime femminili. Prenderò in considerazione più diffusamente i recenti sviluppi del concetto cristiano di «persona» nell'ultimo capitolo, in particolare nel contesto della discussione in corso sui diritti umani.73 Per il momento, comunque, è sufficiente aggiungere due punti alla mia precedente discussione: in primo luogo che la scuola filosofica e teologica alla quale apparteneva Wojtyla ha sostenuto che caratteristica costitutiva della nostra umanità è essere in relazione con una o più persone, e che al loro meglio (in particolare nel matrimonio tra un uomo e una donna) tali relazioni rappresentino le relazioni interpersonali della Trinità, il Dio uno e trino. Ma le Persone divine sono tutte uguali; quindi le persone umane -- maschi e femmine, adulti e bambini -- i cui rapporti riflettono la Trinita devono essere ugualmente di pari dignità.

Il secondo punto, comunque, che è filosoficamente più importante, riguarda la relazione tra anime e persone, e il fatto che le relazioni implichino una sostanza soggiacente. Per essere una persona si deve avere un'anima, e il possesso di tale anima segna l'individuo in quanto animale umano. Essere un essere umano è più importante che essere maschio o femmina, anche se tutti gli umani sono o maschi o femmine. Concepire l'anima maschile o femminile -- in quanto distinta dalla «persona» umana -- potrebbe suggerire una versione riveduta della tesi primitiva per cui uomini e donne sono di specie diverse: una posizione insostenibile. Quindi, si deve forse concludere -- contro gran parte della tradizione -- che se l'anima non può essere femminile, non può essere nemmeno maschile: «asessuale» in nessun senso implica «maschile». Ma, come vedremo, c'è altro da dire.

In linea con l'idea di relazioni di Wojtyla, sono significative due sezioni del Catechismo della Chiesa Cattolica, dipendenti a loro volta dalla Gaudium e spes del Concilio Vaticano II: la prima sostiene che, per il fatto che ogni essere umano è creato a immagine di Dio, allora egli o ella può essere definito come «persona» (357); la seconda che uomo e donna hanno stessa dignità e pari valore, non solo perché ciascuno di essi, nella loro differenza (fisica e psicologica), è creato a immagine di Dio, ma più profondamente perché la dinamica della reciprocità che dà vita al «noi» nella coppia umana è un'immagine di Dio (369 -- 371).74

Tali «ufficiali» passi in avanti costituiscono uno sviluppo del tutto moderno, che riflette nella teologia un qualcosa delle nuove e consistenti problematiche della filosofia contemporanea. Sin dal XVII secolo, nei dibattiti -- che originariamente avvennero tra i cristiani -- circa l'identità personale e dell'io, sono costantemente evocati tre fenomeni, e l'assenza di uno di questi è stata usualmente criticata come una debolezza della teoria in questione: il «possesso» di un corpo, la capacità di riflettere e la capacità di entrare in rapporti umani.75 Quest'ultima questione ha implicato più che un rilancio della tesi di Aristotele secondo la quale siamo animali sociali e politici, o della formale «definizione» di «persona» fatta da Boezio come sostanza individuale di natura razionale, sebbene tali opinioni siano ancora giustamente dibattute a livello filosofico. A queste opinioni, in tempi recenti, è stata aggiunta quella che dà maggiore enfasi all'individuo, con un carattere individuale e personale sviluppato. Questo è un aspetto del pensiero contemporaneo che si tenta di giustificare tramite il concetto cattolico di persona umana individua, maschile o femminile, dotata dei poteri di ragione, di libero arbitrio e di autonomia, in quanto formato a immagine e somiglianza della Trinità.

Agostino, come abbiamo visto, conclude che «io non sono la mia anima». Tommaso d'Aquino concorda: l'anima non costituisce l'intero essere umano (Comm. a 1 Cor. 15, 1, 11). Eppure, tradizionalmente, si dice che è l'anima (almeno principalmente) ad essere formata a immagine di Dio. Alcune argomentazioni recenti -- influenzati da Jung -- tendono alla conclusione che tale tradizione necessiti ora di essere rivisitata riguardo alla ricettività, alle relazioni tra le persone e al fatto che tutte le anime devono essere Spose di Cristo, ribadendo che vi è un aspetto «femminile» in ogni personalità maschile ben strutturata (implicando un aspetto maschile corrispettivo femminile). Dobbiamo ammettere che l'anima -- sebbene certamente in quanto anima non sia né maschio né femmina -- in ogni caso singolo, come il corpo, è sessuata; e che il corpo, come l'anima, esprime in modo materiale l'immagine di Dio che è l'intera persona. Anima e corpo hanno caratteristiche complementari, riflettendo in modo complementare il modello originale divino. In realtà è fuorviante -- e ha tratto a lungo in inganno -- ritenere o l'anima o il corpo quali immagine di Dio. Una tesi propriamente «aristotelica» applicherebbe tale descrizione in prima istanza all'intera persona. La sessualità stessa -- che non è solo fisica o genitale -- è parte essenziale dell'essere umano in quanto immagine di Dio. Ciò sembra essere stata la tesi -- senza dubbio «sentita» anche se non espressa nei primi tempi -- di Edith Stein.76 È la stessa tesi di Scola, nonostante resti timorosa, la quale (in modo tradizionale) sovra-interpreta un po' la Mulieris Dignitatem.77 Essa presenta precedenti, ma nella sua completezza risulta nuova nella comprensione cattolica: qualcosa per cui l'Occidente secolare così come il più recente pensiero «cristiano» avevano preparato la via.

5.4. Perché il dibattito interessa adesso?

Questo capitolo è iniziato con una discussione circa l'influsso delle teorie e della realtà e ha ipotizzato fatti circa i rapporti sessuali e il concepimento sull'idea del «maschio» e della «femmina» nel pensiero giudaico e cristiano, così come nell'antichità greco romana. Esso si è anche occupato delle tendenze pagane più importanti -- riscontrabili anche in molte forme di neopaganesimo (come anche in altre forme di religione) -- circa il culto del sesso (Venere) e del potere (Giove o l'imperatore). Concludo tornando a questi temi.

Nella descrizione di Genesi sugli effetti della caduta, l'autore racconta di una profezia di Dio ad Eva sul fatto che l'uomo dominerà sulla donna (3, 16). Storicamente questa dominazione ha preso la forma della violenza fisica non solo da parte del marito sulla moglie, ma dello stupratore sulla donna in qualsiasi strada oscura o nelle spedizioni militari. Essa è anche apparsa nell'affermazione che le donne devono essere trattate come inferiori perché (fisicamente e mentalmente) esse sono inferiori. La terminologia degli atti sessuali, sia nell'antichità che più di recente, sia letteralmente che metaforicamente («è veramente fottuto» e altri usi gratuiti e sprezzante di queste «quattro lettere» della parola inglese), sottolinea quanto segue: una donna è conquistata, posseduta (cioè «scopata»); spesso ella è costretta ad accettare sessualmente ciò che non vuole78 (il che non significa che ella non manipoli il suo uomo o i suoi uomini).

Nell'antichità dalla Genesi a Paolo e anche successivamente, gli atti sessuali erano regolarmente considerati come (idealmente) l'esercizio del dominio maschile: nell'antica Grecia e a Roma se un proprietario coglieva un ladro nella sua casa poteva lasciarlo ai suoi schiavi perché fosse stuprato -- tanto per dimostrare sessualmente chi avesse il potere, chi fosse l'umiliato. Nell'Antico Testamento la profezia di Ezechiele (16, 37-38) prevede un'umiliazione sessuale per la donna depravata la quale «soffrendo la punizione della donna infedele» deve essere denudata e i suoi genitali esposti ai suoi «amanti» riuniti. Lo stesso vale per la moglie infedele di Osea (2, 3) la quale si sarebbe dovuta aspettare di essere denudata e lasciata a morire di sete nel deserto.79 Tutto questo non va sottovalutato come qualcosa di semplicemente metaforico: è una rappresentazione della sessualità femminile colpevole di somma brutalità e disprezzo. La mentalità -- non da ultimo la mentalità religiosa -- di una cultura è rivelata dai suoi simboli. Il matrimonio, così com'era concepito allora, era importante e fortemente stimato nell'Antico Testamento in quanto simbolo dell'Alleanza. La punizione delle peccatrici («puttane») dice anche qualcosa delle norme sociali. Se noi non comprendiamo più questo, Osama Bin Laden e quelli come lui certamente lo comprendono.

Da un punto di vista cristiano tutto questo è eccessivo, o potrebbe esserlo: Cristo ebbe un'idea diversa della colpa di una donna «sorpresa in adulterio», e a quanto pare perfino senza pretendere che si pentisse.80 Eppure un eccesso è sempre eccesso di qualcosa. Il «dominio» e il «possesso» maschile è un abuso di una caratteristica propria della relazione tra i sessi. Se possiamo proseguire ulteriormente su questa strada, potremmo capire un po' meglio perché fu così facile per l'erronea nozione, secondo la quale la donna potrebbe non essere creata a immagine di Dio, sostenersi sui testi biblici ambiguamente legati ad una certa cultura.

C'è anche la biologia erronea della teoria dell'unico seme (o anche dei due semi) l'influsso della quale ho già notato, e che trae gran parte del suo fascino e della sua facilità ad essere abusata, dalla comparazione del rapporto sessuale a quella di un uomo che semina un campo. Un campo è passivo, comunque, e questo è il punto in cui l'analogia si dovrebbe spezzare ma non lo fa. Dal momento in cui anche in una moderna teoria del concepimento, la donna può ancora ragionevolmente essere chiamata «inseminata», ella non riceve semplicemente il seme combinandolo (se è fertile) con il suo uovo (leggi seme femminile). Ella stessa desidera, va in cerca e accoglie l'entrata del maschio in una relazione d'amore -- a differenza di uno stupro e del semplice obbligo a cui è, in vario modo, obbligata a sottomettersi. Nel suo atteggiamento ella da una parte offre un modello dell'anima umana ricettiva, sia maschile che femminile, nell'accogliere l'iniziativa di Dio necessaria alla Salvezza, dall'altra mostra perché Cristo deve essere rappresentato come Sposo, e non come Sposa. Nonostante ciò, una tale ricettività nei confronti di Dio, che è giustamente superiore, non può propriamente essere usata per giustificare una superiorità matrimoniale che potrebbe essere di entrambi i coniugi, ma è più «naturalmente» assunta per il maschio che entra, e nel caso della sposa vergine penetra la donna. All'interno di un matrimonio che si dica propriamente umano la ricettività femminile non è sottomissione, ma esprime un atto di amore volontario.81

In recenti dibattiti su questo tema, inclusa la Mulieris Dignitatem, c'è una notevole area grigia. Ciò si può vedere nel commentario di Scola a Giovanni Paolo II, dove egli dice che ci sono tre aspetti di ciò che lui chiama «mistero nuziale»: differenza sessuale, amore in senso proprio (relazione all'altro, dono), e fecondità.82

È il secondo di tali punti che necessita ulteriori chiarimenti, perché qui incontriamo la nozione centrale (platonica) del desiderio di dare piacere all'altro. L'interpretazione di Scola non omette del tutto il desiderio, tuttavia rielabora una tradizionale distinzione tra «piacere» e «gioia» (gaudium)83 come anche la distinzione tomista tra «amore di desiderio» (amor cuncupiscientiae) e amore di amicizia (amor amicitiae).

Il cuore del problema -- per vedere il quale dovremmo muoverci verso una chiarificazione dell'area grigia -- va ricercata nella paura di credere che un desiderio di «godere», e in particolare di godere il piacere fisico, sia egoistico e autoreferenziale. Così il linguaggio tradizionale dell'amore è largamente sospetto: compresa la frase -- aperta ad abusi come abbiamo visto -- che l'amante (normalmente in questo contesto descritto al maschile) vuole «godere» della sua amata, vuole «conquistarla» o «possederla». Il finale riconoscimento da parte di Agostino del fatto che delle cose terrene, in generale, si può propriamente «godere» solo nel Signore ci indica la strada su cui proseguire.84 Sebbene il «possesso fisico» e il godimento di una donna spesso comporti una certa misura di egoismo -- a prescindere dalla possibile fecondità dell'unione -- si eliminerebbe qualora in tale possesso venisse rispettata la integrità personale dell'altro/a. Una donna è posseduta egoisticamente se l'uomo la vuole come oggetto di desiderio e niente più, ma nel reciproco amore umano -- simbolizzato dal pubblico impegno -- il desiderio di entrambe le parti è fuso con l'auto-donazione.85 A livello esperienziale questo significa che l'atto è parzialmente egoistico, sebbene non sia -- si spera -- a spese dell'altro. Gli atti sessuali, come tutti gli altri atti, sono nell'insegnamento cristiano, pervasi dagli effetti del peccato originale; non v'è via d'uscita: bisogna ammetterlo con umiltà.86

Scola ha ragione a sottolineare che la differenza tra i sessi, addirittura tra gli individui sessuati in quanto individui limitati, è causa in parte dell'impossibilità del raggiungimento del gaudium perfetto di cui vanno in cerca gli amanti. E se essi non riconoscono tale impossibilità non riusciranno a raggiungere nemmeno la gioia che è loro concessa. L'amore umano, anche quello matrimoniale, non può raggiungere la pienezza della gioia, perché dall'altro lato vi è solamente un'immagine decaduta del Dio, il quale solo è la fonte di una gioia perfetta e permanente. La transitorietà del piacere sessuale è solo un segno di questa inevitabile incompletezza.

Il riconoscimento di un amore verso l'altro in Deo denota la permanenza della di lui, o di lei, originaria peculiarità personale, che resiste sia alla tentazione di idealizzare l'amato (cioè di porlo, o porla, prima del benessere della propria stessa anima) sia di cercare di eliminare tale separazione tramite una forma di possesso dominante. Un giusto desiderio sessuale verso l'altro non solo facilita l'autodonazione, ma rappresenta un riconoscimento da parte dell'amante di una personalità reciproca o autonoma dell'altro, in quanto immagine personale di Dio: pieno di gioia perché simile a Dio, incompleto perché umano. Al suo meglio l'amor concupiscientiae non va considerato una versione povera dell'amor amicitiae ma una variante dell'amor amicitiae appropriata al matrimonio e nella misura in cui combatte l'egoismo, resta una fonte di ispirazione per le altre relazioni di amicizia.

La tradizione cattolica, come abbiamo visto, ha spesso tentato di trovare modi per affermare sia che la donna non era creata a immagine di Dio (ma poteva ottenere uno status maggiormente maschile) o, sebbene creata a immagine di Dio, lo era meno pienamente. A volte questa ineguaglianza (o complementarità ineguale) viene celata tramite traduzioni tendenziose di testi tradizionali (come per l'Aquinate).87 Questo lo rende contradditorio perché l'apparente «eguaglianza» va a collidere con la sua più generica idea della donna come emotivamente inadeguata a prendere decisioni virili. Le nozioni moderne di complementarità ineguale potrebbero sembrare una soluzione che rende giustizia alla tradizione, e se sono state l'idea dominante essendo in accordo con una tradizione ritenuta completa, forse così doveva essere. Ma così non è, e per vedere perché non è così, dobbiamo riconoscere che l'idea della creazione a immagine di Dio si è costituita storicamente, il che non vuol dire in maniera falsa, ma comunque incompleta.

Sarebbe impossibile trascinarsi attraverso l'intera storia del nostro tema;88 è sufficiente notare che l'immagine di Dio spesso è stata identificata nella «libera scelta» dell'uomo. Nel periodo medievale una tale libera scelta è caratterizzata, secondo il linguaggio classico di Pietro Lombardo (Sentenze 2, 24, 5) come una capacità (facultas) della ragione e «della volontà». Affermare quindi che le donne non sono create ad immagine di Dio o che lo sono effettivamente, ma meno pienamente, non significa affermare che esse abbiano alcune caratteristiche divine e non altre (in modo complementare alla debolezza e forza di un maschio) ma affermare che esse sono meno fornite di caratteristiche divine -- sebbene siano a sufficienza degne di meritarsi la salvezza, e certamente di resuscitare in forma femminile. Tentare di mal interpretare la storia di tali questioni può ben significare qualcosa a livello teologico, ma bisogna ammettere l'errore piuttosto che giustificarlo, se si vuole raggiungere un vero sviluppo.

Come abbiamo notato, e come noteremo in seguito, c'è stato molto interesse di recente rilanciare il dibattito tradizionale circa il concetto di immagine di Dio -- non da ultimo per dare un'interpretazione antropologica dell'uomo che renderebbe possibile i diritti umani e la dignità umana89 -- e se tale scopo va raggiunto la questione se la donna sia o no creata ad immagine di Dio diventa immensamente importante in un mondo dove ancora oggi altre religioni le negano eguale condizione e dignità. Se ella non è così creata, o non lo è in maniera eguale, può raggiungere pari gloria nel momento della resurrezione, ma meriterà meno rispetto dei suoi diritti e della sua dignità qui sulla terra. Per aspirare ad un tale rispetto ella dovrebbe essere capace di esercitare la sua «libera volontà» allo stesso modo e per gli stessi buoni fini di un uomo.

La dottrina della creazione ad immagine di Dio diventa comprensibile solo se «libero» viene inteso non come «libertà di indifferenza» -- il che si staccherebbe dalle inclinazioni propriamente umane verso il bene -- ma come una capacità di scelta non per il proprio tornaconto ma per una scelta deliberata a favore del bene sul male, a favore di Dio contro la megalomania umana. L'ultimo tipo di libertà che bisogna recuperare, se l'uomo deve essere proficuamente ad immagine di Dio, è stata completamente perduta nel Medioevo. Oggi -- forse come risultato di un revival patristico -- essa sembra essere riscoperta all'interno del cristianesimo.90 La sua perdita spiega in parte perché il concetto di immagine di Dio -- almeno fino a poco tempo fa -- abbia perso anche la sua centralità nel pensiero dichiaratamente cristiano. La sua riscoperta, se deve andare a beneficio delle donne quanto degli uomini, deve essere accompagnata da una ricognizione su come uomini e donne, anime in corpi, corpi in anime, riflettano nelle loro relazioni con i loro simili la libertà e le relazioni personali di Dio -- e che essi riflettono in modo parzialmente differente ma di pari valore.

Questo è stato un capitolo lungo e dettagliato ma la graduale riscoperta e l'ulteriore sviluppo della nozione della creazione dell'uomo a immagine di Dio è fondamentale per la difendibilità di una posizione cattolica sui problemi psicologici ed etici attuali -- e uno studio di questo sviluppo è allo stesso tempo uno studio di una delle basi essenziali, implicite od esplicite, dell'intera cultura del cattolicesimo. Tutto sommato le teorie cattoliche circa l'arte e la giustizia, circa la politica e l'etica, derivano da essa. Una nota finale: la libertà di indifferenza in Dio non sarebbe assolutamente d'aiuto per la dignità sia dell'uomo, sia della donna. Qualsiasi dignità essi avessero, sarebbe solo un riflesso di una «divina arbitrarietà».

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Note

  1. Cf. recentemente Behr, Asceticism and Anthropology 87. Un po' come Clemente (e molti altri primi scrittori cristiani precedenti), Ireneo considera Adamo ed Eva come infanti, e quindi non ancora sufficientemente maturi nel paradiso per la procreazione, ma a differenza di Clemente egli non associa il peccato originale con un'anticipazione del matrimonio. Il peccato originale è causato dalla loro immaturità; sono facilmente tentati di un orgoglio che li porta ad obbedire alle loro voglie (Dem. 15). La loro innocenza ingenua (o si trattava di infantilismo?), in cui erano nudi e non ne provavano vergogna, è stata così perduta. Sembra esserci una sorta di confusione (comune nel periodo patristico e oltre) tra ingenuità e immaturità infantile. Testo

  2. Cf. Hamman, L'homme, image de Dieu. Cf. successivamente l'anti-origenista Atenagora, De Resurrectione 15 [Perì anastàseos necròn], anche se il testo evita un diretto riferimento alla relazione dell'immagine al corpo: «L'uomo, che è composto sia dall'anima che dal corpo, deve sopravvivere per sempre; ma egli non può sopravvivere a meno che non venga risuscitato.» Per la completa discussione vedere G. Stroumsa, «Caro salutis cardo: Shaping the Person in Early ChristianThought», History of Religions 30 (1990) 25--50, in part. 42--43. Testo

  3. Cf. K. Børresen, «Imago Dei, privilège masculin? Interpretation augustinienne et pseudo-augustinienne de Gen. 1,27 et 1 Cor. 11,7», Augustinianum 25 (1985) 213--234; D. G. Hunter, «The Paradise of Patriarchy: Ambrosiaster on Womanas (not) God'sImage», JTS 43 (1992) 447--469. Cf. Ambrosiaster, Liber quaestionum veteris et novi testamenti 21, 24, 45, 2--3 (CSEL 50, 47--48 e 82--83), 106; Ad Corinthos prima 11, 7--10 e 14, 34 (CSEL 81/2, 121--123, 163), etc. Hunter pensa (p. 457) che Tertulliano possa aver influenzato l'interpretazione, in realtà diversa, di Ambrosiaster sull'inferiorità originaria della donna, anche se De cultu fem. 1.1, con il suo riferimento a «hominem Adam», non è di per sé una prova convincente del fatto che Tertulliano ritenesse solo il maschio essere creato a immagine di Dio. Testo

  4. Su Ammonio vedere J. M. Rist, «Pseudo-Ammonius and the Soul--Body Problem in Late Antiquity», AJP 109 ( 1988 ) 402--415. Per un interesse recentemente rinnovato sull'aristotelismo di Nemesio vedere B. Motta, La mediazione estrema: L'antropologia di Nemesio di Emesa fra Platonismo e Aristotelismo (Padova 2004), in part. 157--185; P. F. Beatrice, «L'union de l'AmeetleCorps: Némésiusd'Emèse, lecteur de Porphyre», in V. Boudon-Millot - B. Pouderon (eds.), Les Pères de l'église face à la science médicale de leur temps (Paris 2005) 253--285, in part. 261--263; M.-O. Boulnois, «L'union de l'Ame et du Corps comme modèle christologique de Némésius d'Emèse à la controverse nestorienne», ibid. 451--475, in part. 454--459. Testo

  5. Crisostomo cita Platone frequentemente (vedere P. R. Coleman-Norton. «St. Chrysostom and Greek Philosophy», CP 25 (1930) 305--317), ma disprezza i filosofi e identifica «la vera filosofia» (come stile di vita) con il monachesimo e la verginità, lasciando poco spazio all'attività intellettuale. La diatriba cinica fa parte del background degli scritti di Crisostomo; cf. A. Uleyn, «La doctrine morale de saint Jean Chrysostome dans le 'Commentaire sur saint Matthieu' et ses affinités avec la diatribe», Revue de l'Université d'Ottawa 27 (1957) 5*-- 25*, 99*--140*. Per l'atteggiamento di Crisostomo nei confronti della filosofia, si veda il capitolo 5. Testo

  6. Si veda in particolare McLeod, The Image of God; N. V. Harrison, «Women, Human Identity and the Image of God», JECS 9 (2001) 205--249 e «Woman and the Image of God according to St. John Chrysostom», in P. Blowers et al. (eds.), In Domenico Eloquio: In Lordly Eloquence: Essays in Patristic Exegesis in Honor of Robert Louis Wilken (Grand Rapids 2002) 259--279. Testo

  7. Per la naturale superiorità del maschio vedere Omelia. 26 su1 Cor. 4 (PG 61, 218); cf. Om. 2 su Gen. 2 (PG 54, 589). E. A. Clark (con altri) sostiene che Crisostomo sia ambivalente ogni volta che parla della subordinazione di Eva nello stato decaduto, ma conclude che l'idea principale nel suo ragionamento sia che la superiorità del maschio riguardava già la natura non corrotta (Jerome, Chrysostom and Friends(New York/Toronto 1979) 2--5). Probabilmente prima della caduta Eva era pari solo in onore (su cui più sotto) e il suo peccato serve solo a giustificare la sua posizione inferiore originaria. Abbiamo già incontrato l'ambigua e a frase, che fu a lungo sostenuta, «eguali in onore» in Basilio. Testo

  8. Cf. Om. 23 su Rom. 1 (PG 60, 615). Testo

  9. Om. 26 su 1 Cor. 2 (PG 61, 216; PG 62, 141ff.). Testo

  10. Così Crisistomo, Om. 4 sulla Gen. 1 (PG 54, 594), anche Om. 26 sulla 1 Cor. 2 (PG 61, 214--215). Testo

  11. Giustamente McLeod, The Image of God. V. Karras, «Male Domination of Women in the Writings of JohnChrysostom», Greek Orthodox Theological Review 36 (1991) 131--139 e D. C. Ford, Women and Marriage in the Early Church: The Full View of John Chrysostom (South Canaan 1996) suppone che Crisostomo a causa della sua tesi di riguardo all'uguale onore, deve aver sostenuto che la donna sia creata a immagine di Dio. Ciò è giustamente respinto da Harrison in «Women, Human Identity and the Image of God» e «Woman and the Image of God according to St. John Chrysostom». Testo

  12. Per un commento più recente su Teodoro vedere F. G. McLeod, The Role of Christ's Humanity in Salvation: Insights from Theodore of Mopsuestia (Washington 2005) 138-142. Testo

  13. PG 80, 107--110. Così anche Diodoro a PG 33, 1564--5, dove viene respinta la tesi che l'immagine sia da identificarsi con la sola anima. Secondo la visione olistica di Diodoro sia il corpo sia l'anima sono maschile o femminile. Testo

  14. I martiri più di chiunque vivono vite «virili»; così Pelagia, che si buttò dal tetto per scappare allo stupro, è «femminile nel sesso, maschile nello spirito» (De S. Pel. 2 (PG 50, 585)); per ulteriori esempi vedere Clark, Jerome, Chrysostom and Friends 15 e nota 102. Testo

  15. De Op. Mon. 32.40; GenLitt. 3.22. Testo

  16. Vedere in generale K. Børresen, «In Defence of Augustine» e «Patristic Feminism: The Case of Augustine», AS 25 (1994) 139--152. Testo

  17. Cf. F. Masai, «Les conversions de s. Augustin et les débuts du spiritualisme en Occident», Le Moyen Age67 (1961)1--40; R.Teske,«VocansTemporales,FaciensAeternos:St.AugustineonLiberation from Time», Traditio 41 (1985) 24--47. Testo

  18. Si veda G. A. McCool, «The Ambrosian Origin of St Augustine's Theology of the Image of God in Man», TS 20 (1959) 62--79. Testo

  19. In un passaggio dell'83 Quaest.(51,2) Agostino sembra ancora disposto ad ammettere in un certo senso che il corpo potrebbe essere a immagine di Dio. Testo

  20. «Sexus in carne est», CD 14.22; cf. CFaust. 24.2.2; DeAgChr. 11.12; De Trin. 12.7.10; GenLitt. 3.22.34; 6.7.12. Secondo il Serm. 280.1 «l'uomo interiore» delle martiri cartaginesi Perpetua e Felicita non era né maschio né femmina -- il che mostra che Agostino cercasse quasi a tentoni un'idea più biblica del fatto che l'uomo interiore non fosse semplicemente l'intelletto (maschile), rispetto al quale egli ritiene le donne inferiori, ma qualcosa di più ampio, più «pneumatico» e tendente a trascendere maggiormente le differenze sessuali, comunque esse siano intese. Agostino non è l'unico scrittore patristico in cui l'esemplare comportamento delle martiri donne (spesso considerato superiore a quello maschile) abbia spinto a rivalutazioni circa le capacità mentali femminili. Purtroppo questi si sono soffermati poco a riflettere sulla natura della differenza sessuale. Anche la figura di Maria Maddalena spinse a tale speculazione, ma, come vedremo, anche in questo caso Agostino lascia tale allettante argomento senza sviluppo. Testo

  21. Cf. Solignac in BA 49, 519. Testo

  22. GenMan. 2.14.20--21; cf. Ambrogio, De Paradiso 2.11--3.12. Testo

  23. Per un simile linguaggio eccessivo anche altrove vedi J. M. Rist, Augustine: Ancient Thought Baptized (Cambridge1994) 272, nota 43. Testo

  24. Per una precedente insistenza di Agostino sulla razionalità dell'anima di Eva vedere Conf. 13.32.47. L'importanza e l'originalità della «neutralizzazione» da parte di Agostino di I Cor. 11:7 è ben messa in evidenza da Børresen, «God's Image, Man's Image?» 199--200. Testo

  25. Cf T. J. van Bavel, «Woman in the Image of God in St Augustine's 'De Trinitate XII'», Signum Pietatis (Würzburg1989) 267--288, in part. 269ff.; R. J. McGowan, «Augustine's Spiritual Equality: The Allegory of Man and Woman with Regard to Imago Dei», REA 33 (1987) 255--264; D. G. Hunter, «Augustinian Pessimism? A New Look at Augustine's Teaching on Sex, Marriage and Celibacy», AS 25 (1994) 153--177; Børresen, «Patristic Feminism». Testo

  26. Le ragioni di Agostino per questo argomento sembrano variare, oltre alla necessità di spiegare Genesi e Paolo. Esse derivano sia dalla femminile «sottomissione» psicologica nel rapporto (Conf. 13.32.47) -- per il quale cfr. anche sotto -- o perché la mente più debole deve essere asservita a quella più forte (QHept. 1.153), o, più in generale, poiché il sesso maschile è più onorevole: Gesù fu maschio «in quanto era giusto che avesse preso la natura umana di uomo, il più onorevole sei due sessi» (Quaest. 83.11). Perché più onorevole? Forse perché meno «passionale» e non primariamente voluto per atti riproduttivi; o più semplicemente perché -- come ho sottolineato -- anche se l'anima della donna è a immagine di Dio lo è meno in quanto è «attiva» più che «contemplativa».Cf. anche GenMan. 2.13.18; De Mor. Eccl. Cat. 1.30.63. Testo

  27. Cf. CD 12.24. Per lo sviluppo della spiegazione agostiniana dell'immagine vedere R. A. Markus, «'Imago' and 'Similitudo' in Augustine», REA 10 (1964) 125--143. La tesi matura di Agostino, la creazione di Adamo ed Eva a immagine di Dio si riferisce non solo alla divina immagine di Dio, che è Cristo, ma all'intera Trinità, possibilità offerta per vedere altri aspetti dell'anima più che della «mente» (ad esempio la forza di amare) come prova significativa dell'immagine (cfr. in particolar modo il De Trinitate). Per un confronto tra Agostino e Mario Vittorino (il quale pensò che si era solo ad immagine del Padre) cfr. P. Hadot, «L'image de la Trinité dans l'âme chez Victorinus et chez s. Augustin», Studia Patristica,TU 81 (Berlin1962) 409--442. Testo

  28. Sermo Guelf. 14.1 = 229L.1; IoEv. 121.1 (fortior affectu), ecc. Testo

  29. Rist, Augustine 320. Testo

  30. Cf. De Mor. Eccl. Cath. 1.4.6; GenMan. 2. 7.9; QuAn. 1.1; Sermo 128.7.9. Testo

  31. Per un ulteriore commento cf. Rist, Augustine 99--100. Testo

  32. Cf. De Mor. Eccl. Cath. 1.27.52. Testo

  33. Si veda L. Hölscher, The Reality of the Mind: Augustine's Philosophical Argumentsfor the Human Soul as a SpiritualSubstance (London/NewYork1986 )304, nota 8:cf. ImmAn.2.2; DeTrin.1.10.20. Testo

  34. Se tali siano state le latenti idee di Agostino, forse egli fu influenzato dal concetto plotiniano dell'«io» empirico (to hemeis) così dominante in Enneadi 1.1. Anche Plotino sapeva che la sfida stoica di come possiamo essere un composto materiale e immateriale doveva essere risolta, anche se la sua risposta è sicuramente più evanescente di quanto avrebbe accontentato Agostino. Testo

  35. Per idee parallele in Tertulliano si veda E. Osborn, Tertullian: First Theologian of the West (Cambridge 1997) 130--142. Testo

  36. Ma può essere più semplice per Nemesio, per il quale è inconsueto (tra i padri) che l'uomo abbia specificatamente caratteristiche aristoteliche (cfr. Motta, La mediazione estrema). Per un ulteriore commento cf. Rist, Augustine 100, e la nota 31, e in particolare H. Drobner, Person-Exegese und Christologie bei Augustinus (Leiden 1986), in part. 221--232. Testo

  37. Per un'ulteriore argomentazione cf. Rist, Augustine 121--129, 317--320. Testo

  38. Da notare la difesa dell'idea per cui Adamo (ed Eva) furono creati non come bambini (moralmente e fisicamente), come molti dei suoi predecessori hanno teorizzato, bensì nel pieno vigore della vita (GenLitt 6.15.26), Agostino esclude del tutto che il loro peccato fosse in ultima analisi un peccato di immaturità (come in Ireneo e Clemente) e quindi meno colpevole. Testo

  39. La mia lettura della interpretazione di Agostino del sogno di Perpetua deve molto al perspicace commento di G. Gillette, «Augustine and the Significance of Perpetua's Words: And I was a man», AS 32 (2001) 115--125. Sebbene potrebbero restare dubbi sul suo commento circa «sebbene 'vir' [della Lettera agli Efesini] intenda includere sia l'uomo che la donna», Gillette ha ragione nel proseguire che «mantiene il carattere maschile dal suo Capo che è Cristo» (p. 123) -- nella misura in cui Agostino intende dire che Perpetua si identifica con Cristo in quanto uomo forte (ma anche umilmente debole sulla croce). Tuttavia, la domanda di base -- per un ulteriore commento vedi sotto -- è perché nella Lettera agli Efesini Paolo ha scritto l'equivalente greco di vir quando, se avesse voluto sottolineare l'inclusività di uomo e donna, avrebbe potuto scrivere l'equivalente di homo. Agostino scrive come se Perpetua sapesse di essere ancora fisiologicamente femmina benché la sua umanità, la sua anima, sia maschile. Per un ulteriore commento di Agostino cf. AnOr. 4.18.26, in cui viene sviluppato un argomento contro la nozione di Vincenzo Vittore secondo il quale alla creazione dell'anima umana un Dio immateriale «soffia» una sostanza che si materializza; pure CD 22.18; Discorsi 64A3. Testo

  40. Per un'ulteriore discussione cf. Rist, Augustine III. Testo

  41. Così in K. E. Børresen, Subordination and Equivalence: The Nature and Role of Women in Augustine and Thomas Aquinas (Washington 1981) 30. Testo

  42. Cf. sopra in QHept. 1.153, etc. Testo

  43. Vedere, giustamente, Shaw, Burden of the Flesh 212. Testo

  44. Ambrogio era disposto avere un'ideale meno angelico della vita buona per la maggior parte dell'umanità, ma la sua prospettiva per i migliori di noi resta la vita angelica. Cf. M. Colish, Ambrose's Patriarchs: An Ethics for the Common Man (Notre Dame 2005). Testo

  45. La mancanza di comprensione del cambiamento di atteggiamento di Girolamo riguardo al superamento della sessualità, invalida la trattazione di Clark in Jerome, Chrysostom and Friends 55--56. Testo

  46. Cf. Brown, Body and Society 384, nell'Epistola 75 di Girolamo a Teodora. Testo

  47. Nel De Trinitate 12.7.10 possiamo ancora percepire i toni della versione pre-cristiana, e anche pre-Platonica, della perfezione maschile, sebbene nuova e attenuata: «La moglie con suo marito è immagine di Dio, in modo che la totalità di questa sostanza umana formi una singola immagine; ma quando la donna è considerata come compagna dell'uomo, uno stato che appartiene a lei sola, lei non è immagine di Dio. Al contrario, l'uomo è l'immagine di Dio essendo solo ciò che egli è, un'immagine perfetta, completa, a tal punto che quando la donna si unisce a lui si crea una sola immagine». Insomma, in quanto immagine, l'uomo è l'immagine perfetta, così che in quanto l'immagine la donna non aggiunge nulla, ma l'inverso non vale. Si deve ammettere, comunque, che il linguaggio di Agostino è quasi casualmente poco chiaro nelle sue esatte implicazioni: un segnale di mancanza di preoccupazione per le questioni implicate. Testo

  48. Per una introduzione di ampio respiro vedere R. Sorabji (ed.), Aristotle Transformed (Ithaca 1990). Testo

  49. Enn. 4.7.85; cf. le rapide osservazioni di Agostino in ImmAn. 10.17. Testo

  50. Per un ulteriore commento vedere le note precedenti e Rist, The Mind of Aristotle 152--153, 246--249. Testo

  51. Cf ST I a.92.1,ad1.; CGent. III .94, etc. Cf. A. Mitterer, «Mann und Weib nach dem biologischen Weltbild des hl. Thomas und demder Gegenwart», ZKTh 57 (1933) 491--556. Per una più recente interpretazione, ben documentata, ma sostanzialmente in contrapposizione alla posizione dell'Aquinate vedere C.J. Pinto de Oliveira, «Homme et femme dans l'anthropologie de Thomas d'Aquin», in P. Bühler (ed.), Humain à l'imagede Dieu (Geneva1989) 165--190. Testo

  52. «Principaliter», sebbene per l'Aquinate una repraesentatio dell'immagine esista anche nel corpo umano (in corpore hominis -- perciò presumibilmente sia maschile sia femminile); cf. 4 Sent.d.49,q.4,a.5b. Testo

  53. Cf. Scripta super Libros Sententiarum 2 d. 16,1,3, contra, sol.; ST I a.93.4.1 responsio. Come in Paolo, solo l'uomo è gloria di Dio. Testo

  54. Cf. nella prima Cor. lectio 2 (vir specialius dicitur imago Dei secundum mentem). ST 1a.92.1 responsio 2 è spesso interpolata semplicemente dicendo che nei maschi (errore per in homine) la potenza della ragione è più grande. Ma il senso non cambia correggendo la traduzione: il fatto che tra gli esseri umani alcuni sono più «ragionevoli» di altri è offerto come una spiegazione della superiorità psicologica maschile. Testo

  55. Cf. IIaIIae 149.4 (lei è più incline alla concupiscenza); SCG III.122. Testo

  56. Cf. In Sent. 4.44.1.3. L'importanza del contrasto tra natura particularis and natura universalis, nella misura in cui questo incide nelle conclusioni dell'Aquinate riguardo alla «possibile» incompletezza di ogni singola donna vista nel contesto aristotelico, è esagerato da M. Nolan, «The Defective Male: What Aquinas Really Said», New Blackfriars 75 ( 1994) 156-166. Nolan è seguito acriticamente da P. F. De Solenni, A Hermeneutic of Aquinas's Mens Through a Sexually Differentiated Epistemology: Towards an Understanding of Woman as Imago Dei (Rome 2003) 101-103. Testo

  57. J. M. Finnis (Aquinas: Moral, Political and Legal Theory (Oxford 1998) 172 ) «traduce» tam mulier quam vir estad imaginem dei in Aquinas STI q.93a.4 ad 1 (cf. In 1 Cor. 11.3 ad v.10) come «tanto nell'uomo che nella donna» piuttosto che «sia nell'uomo che nella donna». Da questo e altri passaggi egli deduce che Tommaso d'Aquino le accorda uguali diritti (in un certo senso «uguali»). Poiché secondo Finnis l'Aquinate «ha chiaro il concetto» di diritti (136). Questo perché, inter alia [tra l'altro], egli è a volte in grado di parlare di iura (diritti) come plurale di ius (diritto giuridico). Ma la scarsità assoluta di tali passaggi indica quanto poco importante dovesse essere l'accento posto sui diritti da Tommaso d'Aquino. Ciò che conta è la giustizia o l'ingiustizia di un agente morale; molto meno di un «partecipante» morale sono i «diritti» della vittima. Essi sono piuttosto l'ambito in cui la giustizia dovrebbe essere esercitata. Una dottrina dei diritti potrebbe essere sviluppata da Tommaso d'Aquino -- ciò non vuol dire che egli abbia pensato di svilupparla. La questione sarà ulteriormente affrontata nel capitolo 5. Testo

  58. ST I .92.2c; cf. 93.4 ad 1. Testo

  59. Con «in buona fede» intendo dire senza falsificare la storia della teologia, cioè senza il pio desiderio di correggere teologie del passato inadeguate o incomplete. Testo

  60. Più ampiamente forse De Solenni, Towards an Understanding. Testo

  61. Il testo è grossolanamente sovrainterpretato da De Solenni (ibid. 121--122) quando scrive che i coniugi dovrebbero essere «intrinsecamente uguali», concludendo così (erroneamente) che l'Aquinate «ha riconosciuto il mistero della complementarità tra uomo e donna». Sì, ma intesa come una complementarità ineguale. Testo

  62. Aristotele, E. E. 7.1238B; 1242A (dove la parola «comunione» (koinonia) è usata per tali amicizie di utilità); Pol. 1.1256a ff.; cf. Rist, The Mind of Aristotle 150--154. Testo

  63. Cf. De Solenni, Towards an Understanding 116--117. Testo

  64. Cf. Rist, Augustine 119. Testo

  65. S. Evan. S.Io. Lectura 20.1, citato (con altri testi) da De Solenni (Towards an Understanding 110--111). Testo

  66. Humanae Vitae è un interessante esempio dei tempi moderni. Quando fu scritta, gli argomenti che portarano alle sue conclusioni sembrarono per lo più incompleti e le affermazioni riguardo ai rischi di una «mentalità a favore della contraccezione» sembravano forzate. L'attuale catastrofe demografica che l'Europa occidentale sta affrontando (generata sostanzialmente dalla separazione degli atti sessuali dalla procreazione) indica che tali rischi erano tutt'altro che esagerati e che anche per le ragioni che ne conseguivano eravamo su un terreno scivoloso. Se passiamo da un livello morale ad uno «dogmatico», è difficile negare che sostanzialmente la maggioranza dei vescovi che hanno votato per le dottrine fondamentali del Concilio di Nicea avesse una comprensione limitata della «giusta» posizione («ortodossa») della divinità di Cristo, per non parlare degli argomenti a riguardo, come la storia ci ha mostrato successivamente. Testo

  67. Uno sguardo alle traduzioni e alle glosse riguardo andra mostra l'elusione degli interpreti su questo passaggio straordinariamente oscuro. Il retore del IV° secolo Mario Vittorino fornisce un esempio (non affrontato precedentemente) del tipo di conclusioni estreme alle quali il testo può portare. Nel suo Commentario ai Galati 4.4 (CSEL 83/2, 140) Vittorino afferma che nel nostro attuale stato decaduto viviamo come donne (imperfette), ma che quando saremo uniti a Gesù, maschio, saremo perfetti. Testo

  68. Si noti che Giovanni Paolo II richiamò l'attenzione sulla descrizione di Dio come «femminile» dell'Antico testamento, senza citare alcun commento patristico (Mulieris Dignitatem 8). Testo

  69. Questo e un altro passaggio del Vangelo sono messi in evidenza nella Mulieris Dignitatem 12--16. Testo

  70. Gli «altri» sono ovviamente importanti e richiederebbero un trattamento dettagliato in uno studio specificatamente dedicato al tema della moderna teologia «nuziale», ma considerati i miei più ampi scopi nell'attuale libro mi limito in gran parte alle dichiarazioni «ufficiali». Va osservato, tuttavia, come fa Scola (Il mistero nuziale 48--49), che sia Barth che Brunner, in maniere diverse, hanno pensato che la reciprocità della differenza sessuale indichi che la sessualità è parte essenziale dell'immagine di Dio. Ma la reciprocità in quanto tale, senza una qualche teologia «sponsale», non comporta la necessità di una particolare differenza fisica e sessuale. Certamente l'idea, a suo tempo sostenuta e poi respinta da Agostino, per cui prima della caduta la riproduzione non avrebbe incluso atti sessuali fisici (anche se Adamo ed Eva erano in qualche modo «sessualmente» differenziati), avrebbe soddisfatto la tesi di Barth, dal momento che la reciprocità sarebbe il solo criterio. Testo

  71. K. Wojtyla, Amore e resonsabilità, (New York 1981) 48; anche in Mulieris Dignitatem e altrove. Testo

  72. Mulieris Dignitatem 25. Testo

  73. Vedere al capitolo 5. Testo

  74. Per il ruolo della Gaudium et Spes nel fondare una meta-etica cattolica e di qui direttamente una moralità sul tema dell'Imago Dei (e l'influsso a questo riguardo durante il Concilio di Congar e (il patrologo) Daniélou), si vedano i commenti di C. J. Pinto de Oliveira, «Image de Dieu et dignité humaine», Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie 27 ( 1980 ) 425. Si veda successivamente al capitolo 5. Testo

  75. Per un resoconto sinottico J. Siegel, The Idea of the Self: Thought and Experience in Western Europe since the Seventeenth Century (Cambridge 2005 ). Testo

  76. Cf. Self-portrait in Letters (1916-1942) (trad. J.Coeppel, Washington 1993), lettera 100, con i commenti di S. Borden, Stein London/New York 2003) 76. Testo

  77. Cf. Scola, Nuptial Mystery, 5, 9-10, 32-52: «Dobbiamo affermare il carattere totalmente umano, cioè personale, della sessualità. In questo senso il corpo esprime la persona, e lo esprime addirittura [sic] nel suo essere maschile e femminile». Con una caratterizzazione ambigua della «tradizione» Scola (5) parla di questo come «in continuità con il perenne insegnamento della Chiesa», ma amplia questo «insegnamento in modo originale». Eppure, in accordo con questa ambiguità a volte egli ancora esita: «la questione se la sessualità umana partecipi o no all'Imago Dei è, per certi versi, ancora aperta» (32). E la «continuità» alla quale Scola allude, come avviene di solito, può essere letta come una continuità di sviluppo di tipo logico, non di una personale presa di coscienza. Vedi A. Scola, «L'Imago Dei e la sessualità umana», Anthropotes 1(1992) 61-73. Il lavoro di Scola è di particolare interesse perché egli è cosciente della necessità di allineare la posizione cattolica con certi aspetti dell'ortodossia sociale nel mondo contemporaneo, cioè sfidando questa ortodossia, come quando egli nota (23): «In un mondo che cerca di eliminare Dio, diventa impossibile considerare le differenze sessuali». Si veda sotto al capitolo 6 succesivo e più in generale J.M. Rist, On Inoculating Moral Philosophy Against God (Marquette 2000). Testo

  78. Per una utile discussione di Agostino (e di Andrea Dworkin) circa questo tipo di «scopare» il problema è se il rapporto sia possibile senza la dominazione; Dworkin parlando quasi come uno stoico, il quale pensa che quasi tutti peccati siamo uguali, lo assimila allo stupro -- vd. J.C. Cavadini, Feeling right: Augustine on the passio and sexual desire AS36 (2005) 195 -- 217. Testo

  79. Cf. J. Cheryl Exum, Plotted, Shot and Painted: Cultural Representations of Biblical Women (Sheffield 1996) 102. Testo

  80. L'umiliazione sessuale violenta assume uno strano significato di von Balthasar. Avevo ormai completato gran parte di questo mio testo quando ho incrociato in uno «scandaloso» saggio di Tina Beattie («Sex, Death and Melodrama: A Feminist Critique of Hans Urs von Balthasar», The Way 44 (October 2005) 160-176) alcune idee che in parte erano in accordo con ciò che pensavo. Beattie nota nelle loro radicali distinzioni tra maschio e femmina una somiglianza tra Balthasar e Luce Irigaray. Ella ha ragione (sulla scia di Simone de Beauvoir) di percepire in Balthasar una sorta di definizione negativa della femminilità in quanto «altra» dalla mascolinità: un'idea che, come abbiamo visto, è ampiamente patristica. Tuttavia ella sbaglia quando sembra implicare che l'alternativa alla versione estrema di Balthasar nel separare i ruoli di genere sia un ideale androgina (platonizzante?). Beattie potrebbe aver ragione a dire che, nella sua interpretazione di Maria che diventa la Chiesa dal costato di Cristo come Eva è creata da Adamo, la Maria di Balthasar perde la sua identità. Questo sembra, secondo Beattie, dipendere dal fatto che la dipendenza letterale di Balthasar dalla Genesi (e da altri testi biblici) lo porta a supporre che la femminilità «procede» dalla mascolinità, e che il suo scopo è soltanto quello di rendere la mascolinità in grado di completarsi: in altre parole questa «complementarità» di Balthasar non è effettivamente reciproca (una mancanza che ho notato in molti scrittori antichi). Balthasar sembra avere una specie di idea «talebana» dell'umiliazione dell'uomo davanti a Dio analoga alla presunta umiliazione della donna nei confronti dell'uomo. La preoccupazione principale di Beattie, comunque, è che egli si sofferma sull'umiliazione sessuale (reale o immaginata) della donna costruendo fantasie teologiche. In effetti il suo apporto è che lo gnosticismo (o il manicheismo) stia rientrando così di soppiatto, sebbene l'intruso appaia più simile al neo-encratita Gregorio di Nissa che a Mani. Ho discusso sull'idea di umiliazione più avanti (nota 197), sottolineando come fa Beattie, l'influsso di quella strana donna che fu Adrienne Von Speyr. Testo

  81. Non è necessario turbarsi (come fa Beattie in «Sex, Death and Melodrama» 164) da come Irigaray intende questi atti «fallocentrici»; un tale linguaggio va preso in senso descrittivo più che valutativo o normativo. L'associazione moralmente ambigua tra sesso e violenza che giustamente disturba Beattie nell'uso che fa Balthasar delle analogie sessuali a livello teologico sembra derivare da una tendenza di far coincidere un rapporto sessuale «nobile» con lo stupro e l'umiliazione che ne consegue. L'idea di Balthasar (probabilmente derivata, come ho detto, da Gregorio di Nissa e citata sopra alla nota 2, 27, 115, 196) che la sessualità attiva non faccia parte dell'immagine divina sembra anche parzialmente dipendere dalla tradizionale associazione alla semina nonché dall'affermazione esperienziale di Adrienne von Speyr che l'atto sessuale sia sempre «umiliante» per la donna. Questo «sempre» è inaccettabile; potrebbe semplicemente dipendere da circostanze particolari o dall'»affetto» tra i coniugi. Nella Teodrammatica (in part. 382) Balthasar lascia aperto il problema sull'attività sessuale nello stato prelapsario: la differenza sessuale ora fa parte dell'immagine originaria (Adamo è maschio completamente «fino all'ultima cellula...» 365), ma il suo sviluppo fisico nel rapporto sessuale potrebbe essere solo un marchio del suo stato decaduto: si tratta di una versione corretta della posizione sostenuta in effetti da Gregorio di Nissa (e dai padri greci successivi) e rigettata dal maturo Agostino -- e successivamente da Tommaso. Si dovrebbe notare che rifiutando l'idea di Gregorio non necessariamente dobbiamo accettare l'idea contemporanea «liberale» che un'»attività sessuale moralmente buona» non comporta mai motivazioni miste. Come effetto della caduta, negli atti sessuali come in altri atti, persone buone provano ad eliminare le loro intenzioni cattive (come il desiderio di dominare o di manipolare) ma non può mai completamente sapere come riuscire bene o perché falliscono. Per evitare di intorbidare le acque, non intendo per esplicita intenzione commentare la eventuale correlata questione dell'ordinazione delle donne al sacerdozio. Siamo troppo lontani dall'avere chiare le idee circa le nature complementari di uomo e donna per essere in grado di discutere questa tematica a livello filosofico. Per altri commenti si veda (per es.) B. Ashley, «Gender and the Priesthood of Christ: A Theological Reflection», The Thomist 57 (1993) 343-379. Testo

  82. Scola, Nuptial Mystery xxiii Testo

  83. Scola, Nuptial Mystery, 123-126, 328-330, 397-399. Testo

  84. Cf. Rist, Augustine, 162-163. Testo

  85. Tanto da legittimare la denuncia che il Principe fa al suo confessore circa sua miglia nel Gattopardo di Tommasi di Lampedusa: «Sette figli ho avuto da lei, sette, e sapete che vi dico, padre? Non ho mai visto il suo ombelico.» Testo

  86. I presenti comenti sono necessariamente molto parziali e gran parte della loro protata è stata del tutto tralasciata. Una trattazione cristian completa dovrebbe implicare la discussione del sacramenteto del matrimonio e della verginità/celibato-nubilato come dono di una persona ancora sessuata come anche la tendenza in ogni analisi di essere ultra seria, di tralasciare la capacità tipicamente umana di «ironia» che è parte essenziale di una relazione proriamente sessaule. Questa trascuratezza (e la concomitante negligenza del peccato originale) spiega l'idolatria degli atti sessuali ritenuti peculiarmente perfettibili in tanta letteratura corrente. Testo

  87. Così Finnis scrive (Aquinas 171-172): «l'intelletto [mens], la ragione e la volontà, che ci rendono immagini del divino -- la nostra umanità di anima e spirito -- fanno parte senza distinzioni o differenze delle specie umane maschili e femminili; si trovano 'tanto negli uomini quanto nelle donne' [tam in viro quam in muliere]» (ST I q 93°,4 ad I etc). Qui -- come si diceva prima -- Finnis legge tam ... quam (normalmente tradotto semplicemente con tanto ... quanto) come se Tommaso avesse scritto tantum ... quantum. Testo

  88. L'enfasi di Bart sulle relazioni tra esseri umani e nella natura trinitaria di Dio è significativa, come ho già mostrato. La capacità dell'uomo di costruire relazioni è una parte importante della natura umana, e all'interno di tali relazioni quello tra marito e moglie (o almeno tra maschio e femmina; Adame ed Eva in Genesi) è il caso supremo virtuale (Dogmatica ecclesiale 3,1). Ma la relazione in se stessa (come Aristotele sa) dipende da soggetti postulato di un certo tipo , quindi la nozione di immagine di Dio in quanto relazionale non può sostituire il tentativo di trovare caratteristiche umane specifiche sulle quali tali relazioni si fondano. Come dice Gunton nel corso di una argomentazione contro il dualismo, «Le relazioni riguardano l'intera persona, non solo l'intelletto o i corpi ...» («Trinity, Ontology and Antropoloy: Towards a Renewal of the Theology of the Imago Dei», in C. Schwöbel -- C. Gunton (eds.), Persons, Divine and Human (Edinburgh 1991) 59). Ma concludere, con Gunton, che «Per essere ad immagine di Dio quindi significa essere conformi alla persona di Cristo» potrebbe dare meno spunti di quanto sembra, e sebbene ciò sia vero, appare evasivo nei riguardi dell'immagine della donna. Testo

  89. Per commenti meno «ufficiali» che ho citato sopra vedi (per es.) J. Moltmann, «Christian Faith and Human Rights», in On Human Dignity (London 1984) 19-36 e E. Fuchs, L'homme à l'image de Dieu (Geneva 1989) 309-320. Testo

  90. Per interessanti commenti sull'importanza della moderna libertà di indifferenza nel XIV sec. e sull'inversione dell'interpretazione della libertà (antica e medievale) cf. S. Pinckaers, «Le thème de l'image de Dieu en l'homme et l'anthropologie», in Bühler, Humain à l'image de Dieu 47-163, in part. 158-163. Testo