Salta il menù

Invia | Commenta

La dimensione sacramentale della musica in Agostino

di Jordi-Agustí Piqué-Collado (15 luglio 2008)

In Agostino la musica non è intesa come un semplice mezzo, uno strumento o una chiave. Non perde di vista la sua ambivalenza, né dimentica la sua capacità di evocazione del trascendente. La Parola si unisce all'elemento sonoro, la melodia si unisce al senso. L'ineffabile si unisce all'esprimibilità sonora. Il festoso si manifesta nell'esperienza.

L'attenzione che nella sua opera sant'Agostino dedica alla musica non passa inosservata. Non possiamo cadere nella tentazione di proclamare il suo De Musica come il libro specifico del suo studio sulla materia.1 Non possiamo neppure cadere nel luogo comune secondo cui la concezione di Agostino della musica è diametralmente opposta alla nostra. Entrambe le affermazioni rispondono a preconcetti fondati sulla lettura parziale della produzione agostiniana. Attendendo alle quattro categorie che abbiamo individuato all'inizio del nostro lavoro (parola, melodia, ineffabile, festoso ndr), possiamo ottenere una lettura più precisa e rilevante della questione musicale in Agostino.

La bibliografia relativa al vescovo di Ippona è realmente impressionante, quasi sovrumana. Per darle una (semplice) occhiata si ha bisogno di tanto tempo quasi quanto per leggere l'opera di Agostino. Naturalmente dentro questa bibliografia appaiono numerosi studi sulla questione della musica in Agostino. In parte questa attenzione è giustificata dall'esistenza del De musica, che sollecita e presenta i due grandi problemi sulla comprensione di Agostino dell'arte musicale: quale comprensione della musica ha l'autore di questo trattato; che musica tratta, la musica matematica o la musica pratica? Come si spiega la frattura tra l'unità dei primi cinque libri, più filosofici, e il sesto che possiede un'impostazione più teologica?

Però, di fatto, la concezione agostiniana della musica è enunciata nei suoi Sermones e nelle Enarrationes in Psalmos. I punti culminanti si scoprono nelle Confessiones e nelle Retractationes. Come combinare la disparità degli approcci tra il presunto libro filosofico De Musica e gli approcci teologico-omiletico-esegetici delle opere relative all'epoca dell'Agostino vescovo? La domanda centrale è sempre la stessa: che comprensione ha Agostino della musica e di che musica parla nella sua opera?

Qualcuno degli autori che hanno trattato questa questione optano o per accentuare l'autorità dell'Agostino filosofo o per quella dell'Agostino teologo. Optano anche, e a volte in modo parziale come vedremo, nell'affermare che Agostino parli della musica semplicemente come di un'arte liberale in riferimento alla perfezione delle sfere -- sarebbe il caso del filosofo -- o intendono approfondire la speciale sensibilità psicologica di Agostino rispetto all'esperienza della musica, cadendo, crediamo, in una lettura mediata dallo spirito delle Confessiones che difficilmente può essere applicata all'opera del vescovo teologo.

Né l'una né l'altra opzione ci convincono. Basti segnalare che l'Agostino filosofo concepisce il De Musica dopo l'esperienza di Milano, possiamo dire, dopo l'esperienza -- in certa maniera musicale -- che lo porta alla conversione. Il riferimento alla musica matematica non sembra rispondere alle domande del giovane convertito al cristianesimo. D'altra parte l'Agostino vescovo proietta nei suoi discorsi e nei suoi commenti ai salmi, la sua comprensione -- la sua formazione -- filosofica della musica, senza nominarla evidentemente come tale, però analizzandola con alcune delle categorie filosofiche che paiono già abbandonate dall'infuocato/fervoroso vescovo d'Ippona.

E qui inizia il nostro cammino: la connessione tra la concezione cristiana della musica dell'Agostino filosofo e la concezione della musica del giovane vescovo che si intreccia intimamente alla prima. Osiamo dire che essa si converte in una concezione teologica. Tenteremo di dimostrare questa affermazione. Ci aiuteranno i lavori già classici di Marrou,2 Vagaggini;3 l'intuizione dei giovani nei lavori di Zorzi;4 in fine ci aiuterà lo stesso Agostino a comprendere con i suoi scritti l'evoluzione della sua concezione della musica, basata nella sua propria esperienza che si comprende come esperienziale, trascendente, indicatrice di sentimento e festosa; in definitiva di percezione misterica.

1. La musica come esperienza estetica nei Padri

Non possiamo iniziare il nostro itinerario senza tentare di inquadrare il tema nella cornice generale in cui si muove Agostino. Lo studio, forse un po' vecchio, però classico, di Théodore Gèrold5 sulla musica nei Padri della Chiesa, ci sarà di grande aiuto. Le proposte principali del suddetto lavoro delimiteranno il Sitz im Leben in cui si sviluppa la concezione della musica di Agostino in accordo o in disaccordo con alcuni dei principali Padri della Chiesa. Questo punto ci servirà per focalizzare l'attenzione sulla musica come elemento teologico che già si incontra negli scritti dei Padri.

Nella sua opera, Geróld non ha dubbi nell'affermare che l'affinità tra le arti e la religione è stato un fatto riconosciuto e studiato dai grandi pensatori di tutti i tempi. La musica, con la sua origine "divina", in tutte le epoche è stata legata al culto. Senza dubbio, nella storia del cristianesimo, il così detto "Editto di Milano" (313) corrisponde ad un intento serio di organizzazione pubblica del culto cristiano. Sarà Clemente di Alessandria uno dei primi autori cristiani a trattare questioni musicali e non a caso lo farà tanto dal punto di vista religioso come da quello pagano. Non bisogna dunque stupirsi se tra i secoli IV e V le citazioni dei Padri della Chiesa siano le fonti principali per la storia della musica di questa epoca.6

Geróld afferma che non ci sono dubbi tra gli autori sull'origine divina della musica e a causa di ciò essi lottano al fine di evitare tutte le impurità e le profanazioni nell'arte dei suoni. Questa concezione, già presente negli antichi filosofi, viene sviluppata diversamente nei vari padri. Nell'ordine morale la musica può avere un potere salvifico -- non molto lontano dagli effetti della nostra musico-terapia -- o al contrario nefasto per la seduzione che esercita sulle anime. Nei pensatori antichi ogni ritmo, ogni strumento, ogni modo, ogni melisma, è studiato e commentato. Gli autori cristiani non accetteranno queste teorie, se non in modo generale, però riconoscono la forza inerente alla musica, senza entrare in dettagli.7

Molti Padri ricevettero una formazione ampia in tutti i rami del sapere e delle arti liberarli. Pertanto conoscevano la musica come arte. In fondo svilupparono nel loro pensiero una solida concezione estetica del fenomeno musicale, ma non si occuparono della teoria musicale.8

Gérold segnala che questo si deve solamente ad una questione pratica. Secondo lui, nessun autore parla della musica a lui contemporanea, ma tratta in generale teoricamente qualche problema o concetto della pratica antica. Non siamo d'accordo con questa esposizione per il caso di Agostino, dato che in alcuni suoi discorsi Agostino si riferisce alla pratica del canto eseguito nella celebrazione in cui sta predicando.

Nell'epoca classica greca la musica era determinata dai governanti per "ragioni di stato" e per il grande influsso che questa poteva avere sui cittadini. Questa alta funzione, in un certo modo, passa alla chiesa e alla sua gerarchia. Però in questo travaso la musica perde il suo proprio valore, per convertirsi in un elemento meramente funzionale: la liturgia è limitata alla Parola.9 La musica dovrà contribuire all'edificazione dei fedeli, a consolidare la loro fede e ad accendere il suo zelo. La Parola passa ad essere l'elemento più importante: la musica strumentale, la musica sola, non incontra spazio né senso nell'ambito celebrativo.10

Il tema non rimane né risolto, né chiuso. Pare chiaro che il governo avesse ragioni fondate per temere il potere seduttore della melodia o della musica e la sonorità eccitante degli strumenti. Però gli strumenti erano presenti nelle narrazioni dei libri sacri. L'interpretazione allegorica e simbolica spiegheranno da una parte la presenza degli strumenti nelle narrazioni bibliche, e dall'altra gli attacchi della chiesa che organizza il suo culto.

Due correnti si vanno definendo rispetto alla presenza della musica nella vita dei fedeli. Coloro che da un opzione ascetica vogliono una ascesi anche musicale, cioè una austerità nel campo musicale e circoscriverlo all'ambito celebrativo. L'altra corrente che incontra il suo riflesso nei Padri e risponde a un modello più ampio che intendeva la musica come elemento formativo e pretendeva che la musica del culto informasse la vita dei fedeli e occupasse gli spazi di lavoro e della vita famigliare. Questi modelli ci risultano interessanti perché si ripeteranno in tutta la storia della musica e in quella della musica liturgica.

Un altro punto importante è che, accanto alla figura del teologo, appare nei Padri la figura dell'artista. L'uomo di chiesa è anche, in molti casi, un vero artista. Possiede uno spirito aperto a tutte le cose belle e cerca il modo di farle comprendere, di tradurle affinché giungano agli altri al fine di contribuire «attraverso di esse, alla gloria di Dio».11

Gérold trae alcune conclusioni. La maggioranza dei Padri e Dottori della Chiesa del secolo III al IV hanno prestato attenzione alla musica cultuale e hanno promosso il suo sviluppo.12 I Padri devono essere considerati più come organizzatori che come creatori, giacché organizzano il materiale musicale che trovano in uso: Efrem ad Edessa; Basilio a Nuova Cesarea; Ambrogio a Milano; e il più celebre, Gregorio Magno a Roma. Questo sviluppo e organizzazione inizia con il riconoscimento ufficiale del cristianesimo.

La trasmissione di questi modelli musicali sarà esclusivamente orale.13 Forma parte della formazione ecclesiale che ricevono gli incaricati -- ministri -- del canto. Dall'inizio si constata la pratica e l'esistenza degli inni, dei cantici e della salmodia.14 La finalità di questi, cioè della musica, è la glorificazione di Dio, l'edificazione dei fedeli, elevare il pensiero degli stessi alle cose celesti e confermare la loro fede. Appare anche come finalità l'esercitare un influsso salutare sui costumi. I canti acquistano una finalità evangelizzatrice, atta ad attrarre nuovi fedeli.15 Però sottolineano sempre che bisogna fuggire dalle seduzioni della musica profana. Anche le correnti eretiche possedevano il loro proprio repertorio per propagare le loro credenze.

I monaci si lamentavano della semplicità del canto nel culto, mentre Gregorio I reagiva nei confronti dei virtuosismi del canto dei diaconi di Roma. I Padri raccomandavano la semplicità e una certa austerità nel canto cultuale.16

Le idee dei Padri della Chiesa sulla musica sono alla base della comprensione e delle idee di San Tommaso e degli altri autori del Medioevo. Questo influsso giunge fino ai riformatori.17

Nel secolo XVII gli echi di questa diatriba risuonano negli attacchi dei "pietisti" contro gli spettacoli, specialmente contro la diffusione della forma teatral-musicale dell'opera. Per ciò che concerne la musica rituale, si dividono le opinioni tra i "quietisti" e gli "attivisti".18

Vediamo per tanto che il pensiero dei Padri per ciò che concerne la musica è un nucleo al quale si ritorna. Basta citare la riforma di Solesmes e il movimento di restaurazione polifonica ceciliano. La medesima concezione liturgica della musica del Vaticano II si fonda nelle sue concezioni.

Lo studio di Gérold, ci ha mostrato in modo generale come nel pensiero dei Padri della Chiesa la musica non fosse distante dalle loro riflessioni e dal loro pensiero teologico. Debitori alla formazione classica, percepirono l'importanza della musica nel culto, per il quale si convertono in organizzatori. La loro concezione, e qui è un punto in cui Gérold generalizza forse temerariamente, è contrapposta alla loro esperienza della musica profana.

Pensiamo esattamente l'opposto. L'esperienza della musica usata profanamente illuminò la sua successiva introduzione nel culto. I Padri conoscono l'ambivalenza della musica e il suo potere di muovere gli "affetti". Conoscono i poteri attraenti, seduttori della melodia strumentale e la forza performativa del canto come diffusore delle idee, come formatore del gusto e come conquistatore dell'intelletto. Tutti questi elementi, lontani dal provocare una reazione, provocano una profonda riflessione intorno alla musica: la sua ambivalenza, la sua capacità di evocare la trascendenza, la sua capacità di manifestazione festosa della trascendenza, come elemento unificatore, formatore e avvolgente dell'uomo. Questa attenzione si vede riflessa nei testi, che esprimono la preoccupazione di regolare l'uso della musica nel culto.

Agostino conosce e beve da questa tradizione. A Milano conosce anche Ambrogio e sperimenta l'uso della musica da parte della Chiesa nella sua lotta contro gli ariani. Conosce direttamente l'applicazione delle idee e delle concezioni dei Padri della Chiesa sulla musica. La sperimenta fattivamente. Poteva mantenersi alieno a questa corrente il giovane filosofo, con una formazione nelle arti liberali, e non interrogarsi sulla musica che tanto profondamente segnò l'esperienza della bellezza che lo portò alla conversione al cristianesimo? Azzardiamo a rispondere: indubbiamente no.

2. Sant'Agostino e la musica: "melos" e "giubilo"

Non pochi autori sono approdati allo studio della musica in Sant'Agostino. Però pochi hanno incontrato nella musica trattata da Agostino qualcosa di più di un elemento di discussione del giovane filosofo che si occupa delle arti liberali, secondo l'uso degli insegnamenti che ricevette, e che permane nell'attività del vescovo che, di volta in volta, commenta l'uno o l'altro aspetto musicale.

In realtà c'è molto di più. Certamente Zorzi lo segnala nel suo studio sullo "iubilus" nelle Enarrationes:

che sia proprio la musica a costituire il supporto metaforico di molti concetti della teologia agostiniana, lascia evidentemente capire che egli ebbe di questa disciplina una concezione molto alta, sicuramente molto più alta di quella che ne ebbero i suoi contemporanei.19

Continua ad incuriosire il fatto che Agostino dedichi un intero trattato alla musica al tempo in cui riceve il battesimo.20 Però ci domandiamo se questa attenzione alla musica da parte del neofita Agostino risponde solamente alla reminiscenza della formazione classica ricevuta o possiede qualche altro componente da convertirla in un "supporto" per molte delle sue opere teologiche. In altre parole, come si spiega che Agostino -- avendo la musica, come arte liberale, un livello inferiore nella scala della conoscenza -- giunga a spiegare la sua conversione attraverso un fatto musicale?

A queste domande proveremo a risponder analizzando l'articolo di Zorzi sullo "iubilus" e quello di Vagaggini sulla "laudatio" in Agostino.

2.1 "Iubilus" in Agostino: lo studio di Zorzi

L'interesse per lo "iubilus" in Agostino pare vincolato al recupero delle fonti patristiche nell'ambito specifico degli studi liturgici dei secoli XIX e XX. Grande studiosi come Marrou e Gérold aprirono già il passo sottolineando l'attenzione al tema della musica e del canto nella opera di Agostino. Vagaggini, come vedremo, ha stabilito un grande ambito per lo studio della lode nel vescovo di Ippona. Tra tutti, come vedremo anche più avanti e come segnala Zorzi, Marrou è colui che si è più occupato della musica in Agostino.21

Zorzi presenta uno stato della questione abbastanza coerente, centrandosi nella ricerca del tema "musica" attraverso la terminologia agostiniana. Questo procedimento, debitore dei mezzi informatici, la porta alla ricerca di una terminologia definita da ciò che si riferisce al fenomeno musicale nelle Enarrationes di Agostino. Così, seguendo Marrou, sostiene che per Agostino la musica è una «scienza matematica», idea della musica «pitagorica».22 E da questo punto deduce che la concezione di Agostino è molto distinta dalla concezione attuale del fatto musicale.

Secondo la mia opinione, una lettura attenta di Marrou mostra come l'autore francese contrappone l'esperienza musicale di Agostino con la propria, cioè, quella di un francese del secolo XX segnato dall'impressionismo. A questo livello sì che è valida l'affermazione. Però lo stesso Marrou non dubita nell'affermare che l'esperienza di Agostino nel campo musicale continua ad essere una esperienza "moderna" nel senso proprio della parola.23

Zorzi, nella sua ricerca filologica, constata che il termine "musica" nel senso esatto non appare in Agostino. Da qui la necessità che si debba centrare la ricerca su una terminologia sostitutiva: cantus, cantare, cantilena, e finalmente, il termine trattato specialmente dall'autrice, lo "iubilus". Come abbiamo segnalato, questo procedimento metodologico risponde più ai limiti della ricerca computerizzata che ad un procedimento teologico. Seguendo questa linea si perde di vista tutta l'intenzione teologica nel trattato o l'utilizzazione da parte di Agostino del tema della musica.

L'autrice ci offre un approccio teologico-musicale alle Enarrationes che può aiutarci nel nostro lavoro. Anche se, talvolta, questa sia competenza di un patrologo. Noi utilizzeremo il suo studio nello sviluppo di alcuni punti posteriori.

Zorzi concentra il nucleo del suo articolo sullo studio dello "iubilus" nelle Enarrationes seguendo i criteri che già abbiamo commentato. Realizza un'analisi filologica del tema. Sottolinea la modalità del canto senza parole, come vociferazione allegra e giubilosa.24 L'associazione di questo fenomeno musicale, quello del canto senza parole allo "iubilus", incontra in Agostino uno sviluppo speciale, come l'autrice dimostra nel suo articolo. Zorzi si domanda se esiste una relazione tra questa musica senza parole e la concezione musical-filosofica di Agostino. Di fatto Zorzi afferma che:

La musica nel suo enigma incomprensibile è stato sempre oggetto di una particolare attenzione da parte della filosofia, che cercando di svelare i segreti, si divise in due linee di interpretazione: teoria e pratica.25

L'insistenza da parte di Agostino su questo canto senza parole verrebbe ad essere come una riminiscenza plotiniana all'apice della concezione matematica della musica pura. Però Zorzi riconosce che analizzando l'idea della musica nella tradizione filosofica non si ottengono grandi risultati. Di fatto la filosofia non riconosceva un apporto spirituale alla musica ma la concepiva come motore delle passioni inferiori. Zorzi mira ad una delle questioni più importanti:

Sembra perciò che non siano tanto le concezioni musicali della tradizione filosofica, ma il concetto di «ineffabilità» e il collegamento di questo con l'esperienza del divino ad aprirci una chiave di lettura del concetto di iubilus agostiniano. .26

La relazione del canto senza parole con l'esperienza divina è sintetizzata dall'autrice nell'affermazione seguente:

conseguenza imprescindibile dell'ineffabilità di Dio nell'uomo era l'atteggiamento di silenzio, considerato l'unico vero culto a Dio.27

Il silenzio sarebbe l'unico luogo dove si permetterebbe, da parte del filosofo, una esperienza mistica attraverso il musicale:

lo "iubilus" in Agostino presenta le stesse caratteristiche del culto logico. È dunque possibile pensare che nel concetto agostiniano di "iubilus" si incontra per la prima volta la corrispondenza tra musica e culto fino a quel momento non manifestato.28

Lo studio del linguaggio musicale agostiniano giunge al punto che è analizzato come linguaggio mistico. Qui Zorzi comincia un ampio e documentato studio del termine "iubilus" nei Commenti ai salmi. Il "sacrificio di giubilo" è presentato analogicamente a En. in Ps. 26, II, 12: immolamum hostiam iubilationis, immolamus hostiam letitiae... quae verbis explicari non potest. È un primo indizio della ineffabilità enunciata, come ben segnala l'autrice.29 Però neanche ci si può ammutolire di fronte all'inneffabile.30

Lo "iubilus" è associato al cantare bene. Il canto del giubilo in Agostino sempre è un canto collettivo, è il popolo intero che canta. Afferma Zorzi:

L'evidente differenza tra l'"ineffabile" del silenzio della mistica platonica-plotiniana e lo "ineffabile" del canto del "iubilus" suggerirebbe in questo punto un'opposizione tra le connotazioni dell'esperienza mistica filosofica e l'esperienza agostiniana.31

Per Agostino, secondo l'autrice, l'uomo non avrebbe una parola adeguata per esprimere l'ineffabile. L'incarnazione sarebbe la chiave per acquistare questo linguaggio, «pone l'uomo in condizione di rispondere a questa parola».32 Per questo, il nostro linguaggio sarà solamente "lode". Zorzi stabilisce:

Dal momento che Agostino dà al «sacrificio del giubilo» (En. in Ps. 26, 2, 12) le stesse caratteristiche del culto logico, è legittimo domandarsi se con questa identificazione Agostino non abbia aperto per la prima volta il cammino affinché la musica si costituisse a pieno diritto, indipendentemente dalla parola, come strumento sacro. In tal caso staremmo di fronte alla giustificazione teorica del cammino che la musica seguirà nel culto cristiano fino all'autonomia. Se fosse così, questa idea costituirebbe una novità nella storia della musica sacra.33

A noi sembra che Zorzi dimentica in questo punto alcuni dei passaggi della storia della musica. La musica meramente strumentale nell'epoca di Agostino, così come per l'Oriente cristiano fino ad oggi, era sinonimo di musica da circo e da giochi circensi o della corte di palazzo. Essa non ci sarà nella liturgia fino a quando la liturgia adotterà la musica e l'organo come elementi liturgici. Bisogna osservare che questo fenomeno non si dà, nemmeno attualmente, nella liturgia orientale. Né tanto meno la liturgia cattolica ha tenuto nella medesima stima il canto, sia monodico o polifonico, e la musica strumentale. Gli strumenti hanno avuto una entrata graduale e regolata nella liturgia.

Però dell'apporto di Zorzi ci pare interessante la deduzione che fa dell'osservazioni preliminari. Lo "iubilus" sarebbe inteso come un esempio della musica che si intende come sensus intellectusque particeps. Dice l'autrice:

Lo "iubilus" corrisponde pertanto a quella definizione della musica vista come sensus intellectusque particeps: si osserva come l'intelletto, i sensi e gli affetti entrano allo stesso livello come parte di un unico evento di fede. La musica di fatto apporta il dato emotivo al livello simbolico raggiungibile dall'intelletto espressandolo con i sensi.34

Anche in Agostino si incontrano elementi molto importanti riferiti al "melos" che possono essere considerati come elementi costitutivi di una teologia del canto.35 Il canto è compreso come il vertice di una esperienza umana della parola attraverso la sua «caratteristica ecclesiogenetica»,36 che colpisce anche gli affetti del corpo.

Secondo Zorzi, Agostino «fa entrare con pieno diritto la musica nel culto, accompagnando il canto» però nel fenomeno del "iubilus" la musica senza parole prenderà un cammino autonomo:

La musica sarebbe introdotta come protagonista del culto in una direzione autonoma rispetto alla parola, rispetto al ruolo subordinato di sevizio che dall'antichità aveva sempre avuto con rispetto alla parola.37

E infine conclude:

Se la teoria agostiniana sul canto con l'ombra della sua ambiguità probabilmente è stata quella che ha tenuto il maggior influsso sulla tradizione ecclesiastica occidentale, quella del "iubilus" si dimostra come la più feconda per tutte le future interazioni tra liturgia e musica.38

Come giustamente segnala l'autrice, la proposta è nuova. Però crediamo che proceda da alcune illazioni che possono essere prive di un certo fondamento. Le intuizioni di Zorzi sono sostenibili in quanto offrono una spiegazione dell'attenzione di Agostino nei confronti della musica.39 In questo senso ci pare forse più adeguata la proposta di Marrou che esporremo più avanti. Il problema, che la stessa Zorzi segnala, deriva dal fatto di voler circoscrivere le intuizioni teologiche di Agostino all'uso concreto di un termine, in questo caso quello del "iubilus". Questo procedimento sicuramente molto giustificato metodologicamente nello studio della patrologia, ci pare limitato nell'intento di un approccio alla teologia sulla musica di Agostino. Bisogna dire che il materiale che offre l'articolo è di prima qualità giacché estrae dalle Enarratoines i punti principali per farsi una idea della grande attenzione e dell'uso che Agostino fa della musica per sviluppare la sua teologia. Vagaggini farà lo stesso con la "lode" però forse con maggiore apertura a possibili risonanze, come vedremo.

Zorzi si lamenta della mancanza di studi profondi sull'esperienza e la riflessione del fatto musicale in Agostino. In questo senso il suo lavoro è un passo avanti. Stabilisce l'intuizione secondo la quale nella concezione del musicale agostiniano esiste un bilanciamento tra filosofico e teologico. Però non arriva a mostrare i motivi di questa relazione né a dimostrare il perché dell'accettazione in un Agostino convertito, segnato dalla formazione filosofica, della musica nel culto se è vero che questa accettazione si dà in Agostino. Crediamo che l'identificazione tra "iubilus" e musica "pura" sia priva di un fondamento tecnico-musicale solido. Il termine "iubilus" nel linguaggio musicale corrisponde a una certa forma d'esecuzione vocale che rispondeva più ad un equilibrio formale che a una espressione dell'anima. Che Agostino la identifichi con questa sembra dimostrato leggendo il suo commento ai Salmi. Intuiamo che la ragione sia più teologica che filosofica. Però questo tenteremo di dimostrarlo. Tentiamo per prima cosa di esaminare la visione di alcuni dei grandi studiosi che si sono preoccupati del tema.

2.2 La "laudatio" in Agostino: lo studio di Vagaggini

Cipriano Vagaggini elaborò un ampio articolo sulla teologia della lode in Agostino.40 In esso tocca alcuni aspetti che interessano il nostro tema, giacché in Agostino la lode va intimamente unita al canto. Lo studio di Vagaggini si deve leggere all'interno dell'orientamento generale in cui viene incluso l'articolo, cioè uno studio sulla preghiera nella Bibbia e nella tradizione patristica e monastica. Una delle caratteristiche che attraversano l'articolo è un preteso impegno di "psicologizzare" lo studio, sicuramente dovuto ai nuovi venti che soffiavano nell'immediato post-concilio Vaticano II, quando il libro fu pubblicato.

La finalità dell'articolo di Vagaggini è già espressa chiaramente dall'inizio:

Per questo, la necessità di cercare, prima di tutto, una teologia e una spiritualità della lode di Dio per incontrare lo spirito della liturgia e della spiritualità monastica antica.41

A tal fine l'autore non dubita di affermare che interrogare la tradizione antica e patristica è il migliore mezzo e che «S. Agostino è un testimone privilegiato».42 Come l'autrice precedente, egli centra il suo studio nell'opera della Enarrationes in Psalmos, però come già abbiamo detto con un metodo più ricco in referenze e concomitanze.

Questa lode si definisce o pretende di essere definita per mezzo della psicologia del soggetto che loda. Questo soggetto sperimenta la tensione interiore derivata da certi opposti: la grandezza e la sovranità di Dio di fronte alla relatività della miseria dell'uomo; i contrasti tra "l'alto" e il "qui in basso", tra "ora" e "allora", la "speranza" futura e la "cosa" attuale, tra il cambio-caducità e la stabilità; tra il non essere e l'essere della pienezza; e, infine, la massima tensione originata tra l'anelito e il bruciante desidero dell'eternità e il possesso della vita beata nella visione di Dio. Il nostro autore, andando molto più in là di questa categoria psicologica, mira al tema centrale, che si definisce come:

sguardo penetrante che in ogni segno e in ogni gesto della vita cristiana e del culto cristiano legge le realtà supreme che questi significano e alle quali sono dirette.43

Questa idea ci pare fondamentale per intendere lo spirito di Agostino e per tentare la ricerca della sua comprensione della musica. Se Agostino presta attenzione al musicale, e lo fa abbondantemente, può applicarsi al teologo-vescovo la penetrante definizione del Vagaggini, che vede in Agostino un esempio, un testimone esemplare che in ogni gesto della vita cristiana, nella musica e nel canto, scorge le più alte realtà.

Secondo Vagaggini, la lode a Dio in Agostino è intimamente legata all'amore. Agostino dirà che la lode è per l'uomo «Summum hominis opus»44 ed è legato all'amare Dio e a farlo amare.45 Però questa lode non aggiunge nulla alla gloria di Dio, ma fa crescere noi che lo lodiamo.46 La stessa lode è interpretata come un frutto dell'amore: «Laudare in amore, amare in laudibus».47

In questa lode si danno, secondo Vagaggini, tutti i punti di tensione propri di una lode che si muove tra il "qui e lì", tra "ora e l'eternità", tra la "realtà e la speranza". La lode della terra prefigura quella del cielo, come cammino e pellegrinaggio. Agostino tratta abbondantemente queste immagini. Per Agostino la lode ha una profonda dimensione cosmica: la bocca, il cuore, le opere debbono essere il motore di questa lode.

Vagaggini cerca la relazione in Agostino tra lode e canto. Pare che non esistesse al tempo di Agostino la recitazione silenziosa dei salmi, pertanto parlando di una teologia della lode in Agostino, Vagaggini si incentra sui punti in cui Agostino parla di canto, e di canto dei salmi.48 Vagaggini focalizza il suo studio sui termini agostiniani: canticum novum; alleluia; jubilus.

Il canticum novum è associato alla carità. La relazione tra il canto e l'amore è già stata segnalata. Cantano solo coloro che permangono nell'unità e nella pace; in definitiva, nella Chiesa. Il cantico nuovo è il canto della Chiesa che fa suoi i salmi e li reinterpreta alla luce dell'amore. Dell'amore verso Dio e verso il prossimo. In questo punto viene citato l'importante testo del Commento al Salmo 66, 6:

Ambulate in via cum omnibus gentibus, ambulate in via cum omnibus populis, o filii pacis, filii unicae Catholicae; ambulate in via, cantate ambulantes. Faciunt hoc viatores ad solamen laboris. Cantate vos in hac via; obsecro vos per ipsam viam, cantate in hac via: canticum novum cantate; nemo ibi vetera cantet: cantate amatoria patriae vestrae; nemo vetera. Via nova, viator novus, canticum novum.

L'alleluja è definito come il canto del cielo, il canto di Pasqua che è per definizione il "tempo" di lode.49

Lo "iubilus" è analizzato come referente ed espressione della lode. Agostino ricorda che la sua origine procede dal canto profano dei seminatori, dei lavoratori del campo. Analizzando lo "iubilus", Agostino si domanda: cosa è il giubilo? «Gaudium verbis non posse explicare, et tamen voce testari quod intus conceptum est et verbis explicari non potest».50 Per Agostino questi movimenti intensissimi dell'anima incontrano un cammino di espressione solo nella lode. Vagaggini, più esattamente di Zorzi, associa queste considerazioni all'azione del giubilare, più che allo "iubilus". In questo punto siamo più d'accordo con l'interpretazione di Vagaggini che con quella di Zorzi, giacché questa scambierebbe la parte per il tutto.

Vagaggini fa un salto e segnala come Agostino possieda una profondità nelle analisi dell'esperienza spirituale della lode cantata a Dio, mai raggiunta quando incentra questa nell'atto liturgico comunitario. I motivi di questa lode a Dio sono la sua grandezza e bontà, le sue opere nel mondo, la creazione, la redenzione in Gesù Cristo, i diversi doni.51 Da parte di Agostino ognuno di questi punti trova il suo esempio corrispondente in un commentario ad uno dei salmi. Tra i doni, Agostino include la grazia che permette la stessa lode. Questa grazia conciliante è riferita a Cristo: Ipse quippe (= Christus) cantat in nobis cuius gratia cantamus" (Ep. 140, 44). E pertanto «psallamus illi: illi cor nostrum, illi lingua nostra: si tamen ipse dignabitur donare quod cantet» (En. in Ps. 34, I, 1). E la domanda affiora come conseguenza naturale: cosa cantare? Agostino lo dice chiaramente: la Scrittura.

La lode è intesa, come segnala giustamente Vagaggini, come elemento di unità. In realtà, va più in là e dice:

la lode esterna e comunitaria è un sacramento dell'unità, cioè, un'espressione sensibile e un fattore reale dell'unità concorde degli animi nella salvaguardia della giusta diverstità.52

L'articolo di Vagaggini ci pare un buon esempio di come far parlare teologicamente i testi di Agostino. L'autore tratta il tema musicale in Agostino in modo indiretto, quando associa la lode al canto e si rende conto che per analizzare teologicamente la preghiera di lode bisogna ricorrere alle espressioni musicali utilizzate da Agostino. Così appare chiaro come in Agostino il musicale è molto più che un aspetto aneddotico o semplicemente un concetto psicologico. Possiamo vedere, per la seconda volta, che in Agostino il teologico incontra nel musicale un linguaggio di espressione, uno sviluppo e una strutturazione. Vagaggini ci aiuta a leggere i testi polifonicamente, ascoltando qui e lì le continue risonanze tematiche che Agostino realizza nei suoi testi. Canto, musica, lode, tensione nel tempo, giubilo, salmo, incontrano il loro posto attraverso una sinfonia multisonica strutturata.

Se in qualcosa dobbiamo criticare Vagaggini, è nel poco profitto che trae da questa risonanza musicale. Pare non prestare attenzione a questi concetti che Agostino prende dalla prassi musicale per stabilire una teologia della lode. L'autore non estrae tutte le conseguenze della relazione lode -- canto -- Scrittura che non ci pare casuale nella teologia di Agostino.

Ancora una volta la ricerca filologica dei termini che aiutano a difendere una posizione, occultano o accantonano il tema importante della musica nella teologia. La nostra speranza, senza dubbio grazie al lavoro degli autori che abbiamo trattato, è poterlo far emergere.

2.3 La "musica" in S. Agostino: lo studio di Marrou

Marrou è un altro autore che ha trattato il musicale in Agostino offrendo, a nostro parere, alcune delle righe di interpretazione più originali.53 Nella sua importante opera S. Agostino e la fine della cultura antica, dedica vari paragrafi alla formazione filosofico-musicale di Agostino.

Marrou assicura che «sarebbe un controsenso molto grave tradurre "musica" (in Agostino) con il nostro termine "musica"».54 Già abbiamo puntualizzato che il concetto del quale parla Marrou con il qualificativo di "nostra musica" corrisponde a una concezione molto francese degli inizi del secolo XX e per tanto essenzialmente impressionista. In ogni modo, l'affermazione generale di Marrou non ci pare del tutto priva di fondamento.

Marrou aggiunge che «per noi la musica è un'attività artistica, estetica». Per Agostino, dice l'autore, «la musica è una scienza matematica nello stesso senso in cui lo è l'aritmetica o la geometria».55

Però lo stesso Marrou non dubita nel dire, a partire dalla sua personale esperienza estetica della musica:

Agostino ha al contrario una esperienza musicale nel senso moderno del termine. Una sensibilità fremente come la sua non poteva permanere insensibile alla potenza emotiva della musica.56

Nelle Confessiones Agostino esprime dunque che la musica esercita una fortissima attrazione su di lui.57 Agostino ha utilizzato i ricordi musicali per parlare dell'attrazione affascinante della musica, sempre esercitata ambivalentemente. Dice Marrou:

Ha saputo parlare con emozione delle melodie, delle "dolci cantilene", che pone allo stesso livello dello splendore della luce, del profumo dei fiori [...] "alimenti terreni" che incatenano il cuore dell'uomo e ai quali è necessario sapere anteporre l'amore divino.58

Secondo Marrou la definizione di musica in Agostino ha la sua origine in Varrone: «musica est scientia bene modulandi».59 Questa definizione, nella quale la musica è concepita come ricerca della propria perfezione esclude ogni dilettantismo. Rimangono esclusi da questa alta concezione della musica dal canto del passero fino al cantante lirico; dal dilettante a colui che esercita il virtuosismo, perché questi cercano altri fini distinti dalla stessa perfezione.60 Marrou afferma: «Non si può essere più chiari: la "musica" non è la nostra arte, è una scienza, un insieme organizzato di conoscenze razionali».61 Potremmo dire che secondo Marrou la concezione agostiniana della musica sarebbe quella che corrisponderebbe a una specie di teoria della musica.

Però Agostino non si chiude ad altre possibilità. Marrou riconoscerà che:

Al massimo accetta di ammettere che gli spiriti eletti, con grandi vedute, possono gustare il piacere che una moltitudine sperimenta nella musica, per esempio per riposare da una fatica; però non si tratta più che di una concessione che si deve circoscrivere nei suoi stretti limiti e naturalmente questo lascia fuori la musica.62

Tutta questa concezione è diretta a fare della musica una forma "elevata" di cultura degna di essere considerata tra le discipline liberali, che rafforzi l'espressione contundente del discepolo nel dialogo De Musica, che afferma: «ora vedo chiaramente, che oramai non esiste nulla di basso e vile in questa disciplina».63 Marrou segnala un aspetto importante, giacchè in questo disprezzo della musica convergono diversi elementi. Nel rifiuto, che può chiamarsi filosofico, della musica non si percepisce per nulla l'eco delle esigenze artistiche del cristianesimo. Piuttosto, scrive Marrou, si manifestano le idee e i pregiudizi antichi.64

Per la società romana la musica era estranea alla cultura delle classi alte, mentre al contrario, per la concezione moderna, la musica e l'arte in generale, sono in stretta relazione con l'alta idea che ci facciamo della sensibilità come fonte di esperienze ricche e originali. Segnala Marrou:

Però un filosofo antico impregnato di tradizione platonica, come Agostino, non possiede questo concetto di sensibilità. Non conosce se non il sensus, la sensazione, che è una cosa molto meno onorabile; è la forma meno elevata delle attività dell'anima, nella quale le esigenze del corpo costituiscono una remora.65

Secondo Marrou, Agostino, della musica, conosceva solamente la ritmica, cioè la parte che si studia nella grammatica associata alla metrica. La struttura del De Musica pare confermare l'affermazione:66

Però, come ben segnala Marrou, il trattato contiene anche alcuni elementi realmente estranei alla metrica. Sarebbero questi elementi eminentemente musicali come il silenzio e il suo valore e la teoria della omogeneità ritmica.67 In questo punto Marrou a proposito dell'intento di Agostino di passare dal corporeo all'incorporeo, di utilizzare lo studio del ritmo con un fine filosofico, dice:

Agostino parte dall'esperienza psicologica fondamentale che implica il suo studio del ritmo: noi siamo capaci di percepire gli elementi numerici che lo costituiscono.68

Lentamente appaiono le questioni che la musica pone: quello della conoscenza sensibile, «in «in che modo la vibrazione dell'aria ha un'azione sull'anima immateriale?». Appare la celebre teoria della sensazione, formulata da Marrou come segue:

La sensazione, questa forma elementare della vita dello spirito, non è come appare un'azione della materia su di una anima passiva: al contrario è l'effetto di una attività dell'anima sull'anima stessa; è la conseguenza dell'attenzione che l'anima porta alle necessità del corpo che quell'anima e le necessità della quale deve saziare.69

Il secondo libro del De Musica sarebbe dedicato al piacere estetico e alla sua riduzione alla contemplazione filosofica. Agostino lo riduce alla percezione delle relazioni matematiche. Così giunge ad incontrare una "musica" perfetta e razionale, non sottomessa alle impressioni sensibili. Marrou conclude:

Si può vedere dove ci porta il nostro studio della musica: a trascendere il suo stesso oggetto, passiamo dalla musica carnale, da quella musica dei bei versi che risuonano nel nostro udito, all'austera contemplazione delle verità eterne, alla contemplazione della bellezza matematica.70

Si osserva come, in un certo senso, il tono dello studio di Agostino nel De Musica diventi più religioso. Passiamo, dice Marrou, dal dio dei matematici, dal dio dei filosofi e degli scienziati, al Dio del Vangelo. Questo succede specialmente nel Libro VI del dialogo De Musica.71 Marrou scrive:

Passiamo al Dio che attende il nostro amore [...] Amiamo dunque Dio, l'unico bene certo e immutabile, non le cose terrene; verrà un giorno dopo la risurrezione nel quale potremo gioire di queste senza turbamento; per il momento cerchiamo, con l'acquisizione della virtù cristiana, di realizzare in noi l'ordine necessario.72

Il processo rimane materializzato nello sviluppo del De Musica. «A corporeis ad incorporea». Marrou segna un doppio livello di approfondimento:

ci ha fatto passare dalla gioia del piacere sensibile alla conoscenza del substrato matematico, e della contemplazione di questo amore beatifico a Dio.73

3. Una proposta di interpretazione sul tema della musica in sant'Agostino

Alla luce ciò che abbiamo esposto finora, ci pare chiara l'importanza del musicale e della musica in S. Agostino. Ci pare anche di avere manifestato che l'importanza di questo tema sia pari all'Agostino filosofo e all'Agostino teologo.

I metodi che sono stati utilizzati per individuare il tema della musica in Agostino passano per uno studio filologico sullo "iubilus" in Zorzi; uno studio spirituale-liturgico intorno al tema della lode in Vagaggini; lo studio di Marrou sulla concezione della musica di Agostino a partire dallo studio della sua formazione filosofica classica.

Gli uni e gli altri presentano il problema di come intendere e spiegare l'importanza del musicale nell'opera di Agostino. Zorzi e Marrou più direttamente, mentre Vagaggini lo tratta in modo indiretto. Marrou e Vagaggini analizzano il tema con un'attenzione ai testi che si allacciano tra loro. L'uno e l'altro mischiano esempi delle opere del filosofo o del vescovo a partire dalla deduzione che il primo parla della musica filosofica mentre il secondo, non trattando direttamente la musica, si serve di circonlocuzioni che utilizza per illustrare una teologia cristiana.

La domanda che ci facciamo è: perché tanto l'Agostino filosofo quanto l'Agostino teologo prendono la musica come centro della loro attenzione? Perché c'è una presenza costante della musica nel pensiero di Agostino? Si può separare alla leggera la concezione della musica del giovane filosofo e quella del maturo teologo? Queste visioni si oppongono o si completano? Qual è l'interpretazione della musica in Agostino?

Rispondere a queste domande ci pare importantissimo per iniziare il nostro lavoro; tentare di contribuire alla comprensione della musica come luogo di percezione estetica del mistero. Di fatto, lo stesso Agostino nel suo trattato De Musica ci spiega il processo.

L'educazione di Agostino resta circoscritta alla formazione classica della sua epoca. La musica, certamente, era considerata come una delle arti liberali, per il suo riferimento ai numeri. La pratica della musica era considerata come un ufficio servile. Però non può sfuggire alla nostra attenzione che teoria e pratica nascono da una medesima fonte: l'esperienza musicale. Da qui, proprio Agostino, come ben segnala Marrou, introduce elementi, come il valore del silenzio, che vanno al di là di un semplice trattato di metrica nel suo dialogo De Musica.

La formazione filosofica di Agostino, anche secondo Marrou, fu corta. Per questo il suo trattato De Musica è sviluppato poco dopo la sua conversione. Questa, come segnala Zorzi, incomincia in un momento di esperienza musicale, intesa come esperienza che pone in movimento l'interiorità del giovane filosofo. Il giovane neoconverso comincia lo sviluppo di ciò che acquistò nella sua formazione filosofica. E curiosamente comincia con il De Musica. La constatazione che le sue conoscenze filosofiche non sono capaci di rispondere alle nuove domande suscitate nella sua interiorità lo portano ad abbandonare i trattati filosofici.

L'Agostino teologo riprenderà il suo vecchio trattato De Musica concludendo il sesto libro. Però qui appare un'altra impostazione: la comprensione della musica già teologica e cristiana che passa dalla matematica delle sfere alle contemplazione dell'amore del Dio cristiano.

Questo processo non ci può essere indifferente. Alla luce dello stesso possiamo intendere che la musica in Agostino riveste un insieme comprensibile nella sua unità. Si può spiegare così perché l'Agostino teologo preferisca parlare in termini musicali ricchi di risonanze bibliche per riferirsi alla musica, però non per rinunciare alla sua comprensione filosofica che crediamo evolva fino ad una comprensione cristiana. Però qui si produce un salto importante. Se mentre l'Agostino filosofo trattava la musica in riferimento a se stessa, o al massimo alla perfezione numerica, l'Agostino teologo parla della musica in riferimento al Mistero. Mai abbandona un certo timore di fronte all'ambivalenza dell'attrazione musicale, però possiamo dire che si abbandona alla sua capacità "strumentale", come luogo di percezione misterica.

Se da i numeri passa a Dio, può anche pretendere di passare dallo "iubilus" all'esperienza.

Se dalla ritmica passa alla contemplazione, può anche passare dalla "lode" alla contemplazione.

Se dalla filosofia passa alla religione può anche passare dal "melos" alla confessione.

Perché in Agostino l'esperienza si riassume nell'assioma: non è possibile passare dal finito all'infinito; si può solamente partire dall'infinito per arrivare al finito. Azzarderemo a proporre la comprensione della musica in Agostino come modello di questo assioma. L'esperienza del Mistero che si realizza attraverso la musica porta ad una certa comprensione della realtà.74

Evidentemente alla luce di questa premessa ci sarà facile identificare in Agostino le quattro caratteristiche che definiamo come fondamentali per intendere la musica come capace di sacramentalità e di trascendenza.

A partire dalla comprensione agostiniana della musica tenteremo di identificare queste caratteristiche nei suoi testi.

4. Sant'Agostino o la musica dell'esperienza come "Sensus Intellectusque Particeps"

Ci poniamo di fronte all'Agostino già converso che presto sarà eletto vescovo di Ippona. Il giovane filosofo ha lasciato lo sviluppo delle sue conoscenze per aprirsi alla comprensione della sua esperienza che più che psicologica crediamo sapienziale. I salmi sono il nucleo delle sue Enarrationes e della sua riflessione sui canti di Israele, che strutturano la lode del nuovo popolo cristiano in cammino verso la lode definitiva pregustata nel canto de Sanctus nella liturgia terrena.

4.1 Ineffabilità annunciata: alcuni sermoni (trascendenza)

I Sermones costituiranno il commentario pubblico, dinamico, aperto e ispirato della Parola proclamata. La sua struttura letteraria, attenta e ben definita, l'utilizzazione degli elementi retorici, le richieste d'attenzione all'uditore-lettore, i ricorsi musicali onomatopeici, le allitterazioni e le metafore, ci danno ad intendere che ci troviamo in una opera di sintesi tra le arti liberali del filosofo e l'opera di un teologo-vescovo che tenta di convincere, attrarre, incantare ed elevare il suo uditorio. In questo magnifico mosaico non manca l'attenzione al fatto musicale. Ancora una volta l'esperienza di conversione di Agostino, la sua formazione filosofica nelle arti liberali, la perizia del teologo e la sensibilità straordinaria dell'autore, non lasciano da parte la musica, ma abbondantemente la chiamano in suo aiuto.

Siccome non possiamo essere esaustivi, in questo paragrafo ci incentriamo su quei riferimenti che sappiamo possano aiutarci a comprendere l'utilizzazione del musicale come "effabilità" di una ineffabilità che deve essere predicata. Noi ammutoliamo di fronte all'espressione verbale di quella percezione che non può essere verbalizzata. La musica aiuta il "retor" a passare dall'esperienza trascendentale del Mistero all'intento omiletico dell'analisi irrazionale dell'esperienza.

La lode di Dio è il centro dell'attività dell'uomo: «Summum hominis opus Deum laudare».75 La lode è già frutto dell'ammirazione e della sorpresa, della meraviglia e del timore, l'esperienza dell'ineffabile porta allo stupore che può essere vinto solo dalla proclamazione laudatoria di colui che è causa di tutta la meraviglia.

Questa esperienza del Mistero, in Agostino ha un retroscena musicale. La commozione all'udire i canti della Chiesa riunita in Milano, porta l'apprendista filosofo ad una considerazione dell'arte musicale che trascende quella numerica. Il canto fa vibrare le profondità dell'animo di colui che cerca. Ed è che secondo Agostino «cantare amantis est. Vox huius cantoris fervor est santi amoris. Non iam est labor, sed sapor»76. La comprensione è legata all'esperienza. L'esperienza dell'ineffabile porta al canto di lode che non è un dovere o un lavoro, ma una corrispondenza gratuita che a sua volta si apre a una maggiore comprensione e pertanto ad una maggiore lode.

Questa lode è fondata sempre nella speranza di una partecipazione ad una comprensione maggiore. In questa speranza cantiamo: «in ipsa spe cantamus alleluia».77

In questa esperienza trascendente domandiamo l'ansia di raggiungere quello che solamente intuiamo. In un certo modo la risonanza del platonismo continua ad essere ancora viva nel giovane predicatore. Però ora questo desiderio di contemplazione della «perfezione numerica» incontra il giusto equilibrio tra la nostra condizione e l'alta realtà alla quale siamo chiamati. Non esiste più una separazione insuperabile.

L'esperienza del trascendente può incontrare un'eco nel nostro canto: «Ibi transiet labor et gemitus: ibi non oratio, sed laudatio; ibi Alleluia, Amen ibi, vox consona cum Angelis; ibi visio sine defectu, et amor sine fastidio»78

La lode della terra è intesa come prefigurazione di quella del cielo. Tutto un cammino, tutto un pellegrinaggio.79

Grazie a questo riferimento al canto che ci unisce con la liturgia della Gerusalemme celeste che nella speranza attendiamo di arrivare a vedere, non possiamo sentirci soli. La reminiscenza che il cosmo in sé è un gran concerto, e ci si consenta l'anacronismo, si trova dentro la predicazione di Agostino.

In questo modo non canta solamente tutto l'orbe ma in noi, nel soggetto attivamente passivo del canto, tutto canta: «Ore, corde et opere». L'alleluia che è il canto per eccellenza del cielo, è cantato dalla moltitudine esultante di coloro che celebrano la Pasqua. Però questa lode non deve essere solo vacale. Tende alla totalità:

Cantate vocibus, cantate cordibus, cantate oribus, cantate moribus [...] Laus cantandi est ipse cantator. Laudes vultis dicere Deo? Vos estote quod dicatis. Laus ipsius estis, si bene vivatis.80

Leggendo questo discorso ci si domanda dove siano rimaste le reticenze dell'Agostino filosofo di fronte alla bellezza della musica quando non è pura contemplazione matematica. Si ha l'impressione che la chiave d'interpretazione siano gli occhi nuovi acquistati nell'esperienza di conversione che passano per una pura e conosciuta esperienza musicale.

Però questa lode totale è lontana da un ottimismo mal inteso. Cantare la grandezza del Mistero che si rivela è contemplare la miseria nella quale ci muoviamo durante la nostra attesa. La lode comporta confessione: la confessione della grandezza di colui che deve essere sempre lodato e la confessione del peccato che ci fa incapaci di contemplare la trascendenza:

Ergo in confessione sui accusatio, Dei laudatio est. [...] Sive ergo nos accusemus, sive Deum laudemus, bis Deum laudamus. Si pie nos accusamus, Deum utique laudamus. Quando Deum laudamus, tamquam eum qui sine peccato est praedicamus: quando autem nos ipsos accusamus, ei per quem resurreximus, gloriam damus.81

Però questa confessione ci fa comprendere che dobbiamo cantare rinnovati. L'esperienza di trascendenza non può essere cantata con parole vecchie, l'ineffabile non può farsi patente con concetti segnati dalla limitazione del peccato. Agostino esorta al canto nuovo, «Admoniti sumus cantare Domino canticum novum», il canto nuovo che solo possiede coloro che appartengono al nuovo regno di giustizia e amore: «homo novus, caticum novum, testamentum novum».82

In questo punto ci riallacciamo alla dimensione trascendente. Il canto nuovo si identifica in Agostino con il canto apocalittico della liturgia celeste. Il canto nuovo è l'"alleluja" cantato una volta per sempre da coloro che contemplano il Mistero senza velo; non ci pare casuale che la relazione con il Mistero di coloro che contemplano sia una chiara relazione musico-dialogica. Un coro canta "Sanctus" e l'altro risponde "Sanctus" mentre tutti si inchinano di fronte all'Unico Santo. Ci troviamo di fronte una azione dialogale a tre parti, stereofonica. Esprimibile solamente con un figura musicale.83

Questo canto si materializza nel canto alleluiatico che si converte in giubiloso: «Laudemus ergo Dominum, carissimi, laudemus Deum, dicamus alleluia».84 Però «laudet lingua. Laudet vita; sed habeat charitatem infinitam».85 Però questo alleluia prende una dimensione speciale. Si converte in "iubilus".

Lo "iubilus" è definito da Agostino come la espressione di quello che non si può esprimere, l'irrompere festoso di una comprensione che va oltre l'esprimibile, il culmine gioioso di una contemplazione che va oltre l'esperienza mistica: «Quid est jubilare? Gaudium verbis non posse explicare, et tamen voce testari quod intus conceptum est et verbi explicare non potest».86

E questo non poter spiegare si converte alla fine in un "sacramento" dell'inesplicabile, in sacramento di unità.87 Perché uniti nella lode, incapaci di esprimere ciò che è infinitamente inesprimibile, il canto che funge da linguaggio d'espressione del nostro culto a Dio, ci fa immagine del Mistero che si celebra e ci converte in segno di quell'unità attraverso la quale cantiamo

4.2 Tria genera sonum: vox (mente), flatus (spirito), pulsus (corpo). Le Enarratioses (il senso)

Agostino inizia la stesura delle Enarrationes poco prima di essere consacrato vescovo. Ci troviamo di fronte all'autore maturo. Nella sua elaborazione sui Salmi incontriamo i principali temi del suo sapere teologico.

Ci pare molto opportuno che sia in questo momento che Agostino dedica la sua maggiore attenzione al musicale. Non bisogna dimenticare che i salmi sono concepiti come canti, canto teologico per eccellenza.88 Siamo dunque di fronte ad un Agostino che realizza la sua prima esperienza di Chiesa attraverso il canto. Possiamo dire che la musica senso dei sensi incontra nell'autore maturo lo spazio determinante per il suo sviluppo.89

Possiamo osservare che in questa opera Agostino sviluppa parallelamente una teologia della preghiera e della musica. Non ci pare giusto affermare che è evoluto solamente su alcuni termini come melos, "iubilus" o cantare, come abbiamo visto sostengono alcuni autori per l'inutilizzo della parola "musica" nella sua opera. Meglio possiamo parlare di una evoluzione, di una maturazione parallela della concezione generale della musica, interpretata come chiave di trascendenza o luogo di percezione misterica, come abbiamo segnalato nel paragrafo precedente. Agostino trova nella terminologia musicale laudatoria dei salmi il mezzo giusto per sviluppare la sua concezione teologica della musica senza ricorrere all'utilizzo del linguaggio filosofico.

Agostino parla di un canto totale: esteriore e interiore. Sempre terrà presente il pericolo di cadere in una idolatria melodica.90 Mai abbandonerà questa idea. Però sicuramente fedele alla sua propria esperienza giustifica il canto dei salmi. Ancor più, trova nei salmi stessi esempi con i quali ratificare la sua nuova concezione teologica della musica.

C'è un senso reale nel canto dei salmi. I commentari di Agostino lo prendono come qualcosa di presente, che si attualizza nel canto nella celebrazione, nel canto che si esegue o nel momento in cui si canta. Lo chiameremo vocem (mente). Intenderemo questa voce, come il mezzo fisico attraverso cui si emette il canto, base della fonazione, primo balbettamento del dono divino della parola. La voce come intimamente legata alla mente.91 Il canto utilizzerà nei salmi la stessa Parola ascoltata, proclamata e letta, per costruire il canto che si eleverà al suo proprio Ispiratore.

C'è un senso nel canto spirituale, un senso che si riferisce alla emissione dello spirito, dell'alito fonetico, immagine, incluso nella liturgia, dello Spirito creatore. Sarà il cantus animae, legato allo spirito. Effettivamente Agostino afferma: «non cantiamo solamente quando con la voce e le labbra proferiamo il canto: c'è anche un canto interiore».92

C'è un canto che esprime l'ineffabile.93 Il Mistero che risuona nella mente, nell'udito interiore, e che non può essere materializzato, che è ricordato senza che l'emissione della voce o il ritmo possano essere accennati al tempo, il quale continua ad essere quello che può essere percepito solo interiormente.94 Una certa concezione neoplatonica appare chiara in questa idea. Però questa è completata con un'altra di direzione ascendente: l'esperienza sonora di quello che non si può cantare, riprodurre e fissare, si trasforma in fonte di ispirazione del cantico nuovo che nasce dalla memoria della parola, dalla memoria dell'esperienza dell'ineffabile.95

C'è un terzo senso allegorico che suppone una espressione corporea, materiale, la quale si manifesta allegra, festiva e concorde con lo stesso ritmo del cuore che vivifica il medesimo vivere del corpo umano.96 «Canta la voce, canta la vita, cantino le opere».97 Lo stesso mistero della vita è espresso con la concezione ritmica della preghiera. Non invano i primi elementi musicali cultuali sono stati sempre i ritmi. In certe liturgie cristiane orientali il ritmo dei campanellini segnano il ritmo del canto mischiato con l'espandersi dell'odore dell'incenso.98

In quest'ambito entra la vibrazione, la prima delle caratteristiche della qualità sonora. Solo per mezzo della vibrazione dei corpi possono diffondersi le vibrazioni sonore. Il "concordare" sarà il termine lessicale che nel De Musica indica il ritmo.99 Questa consonanza, questa vibrazione avrà nel "cantore", per non dire nel musicista, il potere di consonare con il canto celeste dell'Apocalisse; con il canto, la melodia, la vibrazione e il ritmo della Gerusalemme celeste, che canta in una liturgia angelica la percezione festiva, ineffabile e piena di senso, del Mistero contemplato.100

Siamo nella sublimazione della idea referenziale matematica della musica pitagorica. Dalla contemplazione numerica siamo passati alla contemplazione angelica. Non credo che si possa trovare in questa evoluzione della concezione di Agostino alcuna rottura. Sarà la sua propria esperienza che lo porterà alla contemplazione globale, lineare e armonica, della musica come "sacramento" della trascendenza.

5. Il paradosso di dire l'ineffabile: le Confessiones (il festoso)

Sebbene fino adesso abbiamo visto la comprensione della musica nell'Agostino che predica e prova a convincere, nelle Confessiones troviamo l'Agostino che "confessa", che centrandosi semetipsum presenta la sua esperienza di vita come massima apologia della sua fede. In questo racconto è presente anche la musica.

Nei capitoli delle Confessioni incontriamo l'intento dell'autore maturo di portare alla parola e alla scrittura, il racconto dell'inenarrabile, cioè di ciò che mosso dall'esperienza si trova oltre i limiti della espressione. Questa esperienza che porta alla più alta delle esperienze, in sé festiva, necessita delle metafore per essere espressa. È l'intento di descrivere l'ineffabile esperienza dell'ineffabile, l'intento di incontrare un linguaggio comunicativo della esperienza del Mistero.

Agostino confesserà quanto vivo sarà in lui l'affascinante incanto della musica.101 In questo punto l'autore passa da una dimensione biografica alla parte più speculativa, come ben segnala Roberta De Monticelli.102 La melodia continua ad essere un elemento di commozione interiore e profonda nel maturo teologo e nell'anziano filosofo.103 Nelle Confessioni Agostino trova lo spazio per ricordare, rivivere e lasciare risuonare i canti che tanto lo commossero nella sua esperienza di Milano.104 Il contatto con gli stessi inni ambrosiani, dei quali Agostino cita frammenti letterali nelle sue diverse opere, impressiona intimamente il filosofo. La percezione della forma, strutturata in ritmi larghi e brevi del cursus latino, incide nell'animo dell'impressionato Agostino, che è portato dall'ascolto della melodia di questi canti alla commozione delle lacrime.105 L'effetto catartico incide nella memoria di Agostino che scrive le Confessioni. Due dei momenti catartici fondamentali che si riflettono nelle Confessioni, il passaggio a Milano e il passaggio a Cassiciacum,106 trova un luogo nel racconto passato per la comune esperienza del musicale.

Pare come se il dominio della musica avesse conquistato un spazio importante nel teologo che riflette sulla propria esperienza. Di fatto, nelle Retractationes si lamenterà che i progettati libri sulla metrica e la melodia non giungessero ad essere realizzati. Li supplirà l'ultimo del De Musica, il sesto.107

Però appare anche nella maturità la prevenzione di fronte alla attrazione della melodia, la quale, nella sua ambiguità è capace di ubriacare i sensi. Arriverà a riconoscere che la Parola cantata giunge più profondamente all'interno di chi ascolta. Però in Agostino la lotta tra ciò che è sensibile e ciò che è esperienza, per ciò che concerne il canto e la musica, continua ad essere una fonte di tensione.108 Afferma: «quando mi capita di sentirmi mosso più dal canto che dalle parole cantate, confesso di commettere un peccato da espiare, e allora preferirei non udir cantare».109

È necessario sottolineare qui l'identificazione tra l'esperienza musicale che seduce i sensi e li ubriaca, e la Parola che si fonde con la musica che la sostiene, commenta e diffonde, penetrando anche interiormente. È ciò che in una frase molto fortunata, Sequeri, definirà come: «dare forma al festoso risuonare di un mondo contento di esistere».110 Per Agostino è necessaria una esperienza del Mistero, anche attraverso l'esperienza musicale, però a volte una comprensione lucida e sveglia che situi nel suo giusto posto la comprensione stessa dell'esperienza. È in questo punto che incontriamo una certa dimensione "sacramentale" della musica in Agostino.111

Con questa prospettiva possiamo interpretare il suo "canta e cammina", come una situazione dinamica. Colui che canta sperimenta la vibrazione sonora che lo muove, la fa risuonare in sé stesso e lo spinge a camminare fino all'incontro e alla comprensione di ciò che sta cantando.

Lo stesso Agostino darà a questo canto una comprensione trascendente, di movimento, di salita.112 In questo modo si può interpretare il favoloso sermone sull'Alleluia Pasquale, dove si dice che colui che canta alleluia lo fa per sé stesso, per colui che lo ascolta e per colui che è celebrato con il canto stesso. Il canto dell'alleluia diviene performativo, giacché fa bene a colui che canta e a colui che ascolta il canto. In questo passaggio si può incontrare una tridimensionalità comprensiva, interpretativa, relazionale e trascendente.113

In questa stessa prospettiva osiamo reinterpretare il suo famoso "fecisti nos ad te" dove la musica può essere una chiave per intendere l'intima nostalgia di riposo e quiete nella contemplazione del Mistero, alla quale ci sentiamo chiamati.

In Agostino la musica non è intesa come un semplice mezzo, uno strumento o una chiave. Non perde di vista la sua ambivalenza, né dimentica la sua capacità di evocazione del trascendente. La Parola si unisce all'elemento sonoro, la melodia si unisce al senso. L'ineffabile si unisce all'esprimibilità sonora. Il festoso si manifesta nell'esperienza.

L'apertura alla percezione del Mistero è servita. La sua interpretazione si sta per fare. Agostino lo manifesta nel suo «tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova...».114

[Tratto da Teología y música: Una contribución dialécto-trascendental sobre la sacramentalidad de la percepción estética del Misterio (Augustín, Balthasar, Sequeri; Victoria, Schönberg, Messiaen), Ed. Pontificia Università Gregoriana. Series: Tesi Gregoriana 132/ Serie Teologia, Roma 2006, cap. V: Sant'Agostino: Cantus Discantus et Organum, p. 87-121. Ringraziamo Flaviano Patrizi per la traduzione.]

I vostri commenti

Saremo felici di ricevere commenti a questo articolo. Nel caso abbiate dato l'assenso, il vostro commento potrà essere eventualmente pubblicato (integralmente o in sintesi). Grazie!

Note

  1. Cfr. H.J. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, Milano 1987. Per la consultazione dei tesi di Agostino e dei padri latini si è utilizzato il Cetedoc Library of Christian Latin Texts (CD-ROM). Per ragioni metodologiche citeremo solamente alcune edizioni speciali. Testo

  2. Cfr. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica. Testo

  3. C. Vagaggini, «La teologia della lode secondo S.Agostino» in La preghiera nella Bibbia e nella tradizione patristica e monastica, C. Vagaggini - G. Penco (edd.), Roma 1964, 399-467. Testo

  4. M.B. Zorzi, «Melos e Iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino. Una questione di mistica agostiniana»: Augustinianum 42 (2002), 383-413. Testo

  5. T. Gérold, Les Perés de l'Èglise et la musique, Paris 1931. Testo

  6. Gérold, Les Perés de l'Èglise et la musique, Preface VIII Testo

  7. Gérold, Les Perés de l'Èglise et la musique., Preface IX. Testo

  8. Ci possiamo già domandare se Agostino nel suo De Musica costituisca una eccezione e se è così, dovremmo chiederci il perché. Testo

  9. Non bisogna dimenticare che la musica strumentale entra solo in epoca tarda nella liturgia cristiana. Il suo riferimento al culto pagano, ai giochi di circo e alle feste di corte, l'allontanano dall'ideale cristiano. Nella liturgia della chiesa orientale è ammessa solo la musica vocale. Testo

  10. Gerold, Les Perés de l'Èglise et la musique, Preface X. Testo

  11. Gérold, Les Péres de l'Église et la musique, Preface XIV. Testo

  12. Gérold, Les Péres de l'Église et la musique, 209. Testo

  13. Cfr. Gérold, Les Péres de l'Église et la musique, 210. Isidoro di Siviglia dirà che la melodia ecclesiastica deve essere appresa a memoria giacché è impossibile la sua fissazione scritta. Cfr. Isidoro di Siviglia, Etymologiarum, 433. Testo

  14. Gérold, Les Péres de l'Église et la musique, 210. Testo

  15. Il caso di Agostino si inscrive in questo ultimo caso se prendiamo come momento chiave la sua esperienza di Milano. Curiosamente il passaggio della conversione va accompagnato anche a quello della cantilena dei bambini durante la famosa esperienza del giardino. Cfr. Agostino, Confessiones, VIII,12, 29. Zorzi, Melos e Iubilius, 383-384. Testo

  16. Questa bipolarità nelle opinioni sul canto e la sua complessità di prolungherà fino al Medioevo quando si produce la reazione del riformatore S. Bernardo di fronte agli usi e costumi, anche musicali, di Cluny. Cfr. Gérold, Les Péres de l'Église et la musique, 210. Nel secolo XV incontriamo un altro esempio con la Costituzione Apostolica Docta Sanctorum Patrum (1324-1325) di Giovanni XXII contro le nuove forme che entrano nel culto della chiesa. Anche oggigiorno troviamo alcuni impedimenti alle nuove correnti musicali che vogliono occupare il loro posto all'interno della musica liturgica. Cfr. Giovanni Paolo II, Chirografo (2003). Testo

  17. Lutero adotterà la polifonia e promuoverà il canto come mezzo di propaganda della sua riforma. Creerà e diffonderà il canto nella lingua volgare semplice, spina dorsale del nuovo culto riformato. Il pensiero di Calvino, così come lo espone nel prefazio al suo salterio, si ispira a Platone, Giovanni Crisostomo e sant'Agostino. Cfr. Opera Calvini VI, 170. Testo

  18. Cfr. Gérold, Les Péres de l'Église et la musique, 213. Testo

  19. Zorzi, Melos e Iubilus, 384. Testo

  20. Cfr. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 179. Testo

  21. Zorzi, Melos e Iubilus, 387. Cfr. J. Quasten, Musik und Gesang in den Kulten der heidnischen Antike und christlichen Frühzeit, Münster 1930. Testo

  22. Zorzi, Melos e Iubilus, 389. Testo

  23. Crf. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 179. Testo

  24. Cfr. Zorzi, Melos e Iubilus, 292-293. Testo

  25. Zorzi, Melos e Iubilus, 292-293. Testo

  26. Zorzi, Melos e Iubilus, 395. Testo

  27. Zorzi, Melos e Iubilus, 395. Testo

  28. Zorzi, Melos e Iubilus, 398-399. Testo

  29. Zorzi, Melos e Iubilus, 398-399. Testo

  30. Cfr. Sal. 80,3. Testo

  31. Zorzi, Melos e Iubilus, 402. Testo

  32. Zorzi, Melos e Iubilus, 405. Testo

  33. Zorzi, Melos e Iubilus, 406. Testo

  34. Zorzi, Melos e Iubilus, 407. Testo

  35. Zorzi, Melos e Iubilus, 409. Testo

  36. Zorzi, Melos e Iubilus, 409. Testo

  37. Zorzi, Melos e Iubilus, 409. Testo

  38. Zorzi, Melos e Iubilus, 410. Testo

  39. Cfr. M.B. Zorzi, «L'esperienza del canto liturgico secondo le Enarrationes in Psalmos di Sant'Agostino»: Inter Fratres 52/1 (2002) 27-52; 52/2 (2002), 211-238. Testo

  40. Vagaggini, La teologia della lode. Testo

  41. Vagaggini, La teologia della lode, 402. Testo

  42. Vagaggini, La teologia della lode, 402. Testo

  43. Vagaggini, La teologia della lode, 403. Testo

  44. Cfr. En. In Ps. 44,9 Testo

  45. Cfr. En. In Ps. 72,73 Testo

  46. Cfr. En. In Ps. 134,1. Questa idea si raccoglie nel Prefazio comune IV del Tempo Ordinario, acquistando il suo pieno senso proprio prima di cantare il sanctus. Testo

  47. Cfr En.in PS.147,3. «Chi canta una lode, infatti, non soltanto loda ma loda con letizia. Chi canta una lode, non soltanto canta ma ama colui che canta. Nella lode c'è la voce esultante di chi elogia, nel canto c'è l'affetto di colui che ama» En in Ps. 72,1. Testo

  48. C. Vagaggini, "La teologia della lode secondo S. Agostino", 431. Testo

  49. Crf. Sermo 254,8 Testo

  50. Cfr. En. in Ps. 94,3 Testo

  51. Vagaggini, La teologia della lode, 453. Testo

  52. Vagaggini, La teologia della lode, 459. In Agostino l'esempio della concordanza musicale è un riflesso della unità che si dà nell'assemblea che loda. Già nel De Civitate Dei segnala: "diversorum enim sonorum moderatusque concentus concorsi varietate, compactam bene ordinatae civitatis insinuat unitatem" Cfr. De Civitate Dei, XVII, c. 14. Testo

  53. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica. Testo

  54. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 179. Testo

  55. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 179. Ancora una volta ci scontriamo con le difficoltà delle definizioni di musica, che normalmente coincidono con la esperienza del gusto del momento, della formazione e delle coscienze più o meno fondate dell'arte musicale. Testo

  56. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 179. Cfr. De libero Arbitrio, 2 13, 35 dove Agostino dimostra di avere conoscenze di altre esperienze della musica molto lontane dalla mera matematica: «Multi beatam vitam in cantu vocum et nervorum et tibiarum sibi constituunt, et cum ea sibi desunt, se miseros iudicant; cum autem adsunt, efferuntur laetitia» Testo

  57. Cf. Confessiones, X, 33,49-50. Testo

  58. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 180 Testo

  59. Cfr. De Musica, 1,2-3. Per "modulare" si intende il movimento regolato che non ha nessun altro fine che la propria perfezione. Di fatto questa definizione è passata a tutta la tradizione medioevale. Testo

  60. De Musica, 1,4 (5). Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 1085-1092. Testo

  61. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 181. Testo

  62. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 182. Testo

  63. De Musica, 1,6 (12). Marrou dimostra come questa idea è stata ricorrente nella storia e nel corso della tradizione: si può osservare che nella musica sempre si percepisce qualcosa di volgare, qualcosa che la allontana dalla nobiltà dell'arte. Testo

  64. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 182. Testo

  65. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 183. Testo

  66. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 232. Marrou dedica un esteso capitolo alla analisi del De Musica di Agostino, dal quale estraiamo gli schemi generali. Testo

  67. Cfr. F. Amerio, Il "De Musica" di Agostino, Torino 1998. Varie volte utilizzato nello studio di Marrou. Sostiene Amerio che è un controsenso considerare il De Musica come un trattato di metrica connesso con l'erudizione grammaticale. Secondo Amerio, il trattato sarebbe la volontà di Agostino di fare un trattato della ritmica relativo alla musica. Testo

  68. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 251. Testo

  69. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 251. Testo

  70. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 253. Testo

  71. Marrou dedica un preciso studio su ciò che egli definisce la doppia edizione del libro De Musica. Il tomo del sesto libro sarebbe meno filosofico e più religioso, più ecclesiastico. Lo stesso Agostino lo spiega nelle Retractationes, 1,6. La teoria di una seconda edizione del dialogo spiegherebbe i due livelli di riflessione. Testo

  72. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 253. Testo

  73. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, 254. Testo

  74. In questo punto azzarderemo ad esporre, nonostante sia a piè di pagina, il curioso schema che risulta se si prende il parallelismo tra la contemplazione dei numeri (i ritmi che Agostino divide in sensibili, che si dicono e che si ricordano, quelli del giudizio, dell'udito) che allude alla contemplazione della perfezione celeste e lo schema classico della dottrina sacramentaria dove la parola sugli elementi realizza il sacramento. Testo

  75. Cfr. Sermo 67,6. Testo

  76. Cfr. Sermo 336,1; 34,1. Testo

  77. Cfr. Sermo 255,5.6. Testo

  78. Cfr. Sermo 244,8. Citazione del Sal 85,11. Testo

  79. Sermo 255, 1-2; 256, 3. Testo

  80. Sermo 34,6. Testo

  81. Sermo 67,2-4 Testo

  82. Sermo 34,1. C. Vagaggini, La teologia della lode, 439-442. Testo

  83. «O felix illic Alleluia! o secura! o sine adversario! Ubi nemo erit inimicus, nemo perit amicus. Ibi laudes Deo, et hic laudes Deo; sed hic a sollicitis, ibi a securis; hic a morituris, ibi a semper victuris; hic in spe, ibi in re; hic in via, illic in patria». (Sermo 256,3) Testo

  84. En in Ps. 148,1. Testo

  85. Sermo 255, 1-5; 256,3 Testo

  86. En in Ps. 94,3. Testo

  87. C. Vagaggini, La teologia della lode secondo S. Agostino, 459. Testo

  88. Cfr. I.M. Fossas, «L'epistola ad Marcellinum di Sant'Atanasio sull'uso cristiano del salterio. Studio letterario, liturgico e teologico» Studia Monastica 39 (1997) 27-76. Testo

  89. Cfr. Zorzi, L'esperienza del canto liturgico, 31. Testo

  90. Cfr. Confessiones, X, 33,49. Testo

  91. Questo tema sarà molto amato dalla tradizione monastica. Lo stesso San Benedetto raccomanda ai suoi monaci che facciano concordare la loro mente con la voce nella salmodia, "et sic stemus ad psallendum, ut mens nostra concerdet voci nostrae" (RB XIX,7), che deve essere sapienziale, "Psallite sapienter" (RB XIX, 4). Testo

  92. En in Ps. 147,5. Testo

  93. En in Ps. 49,9. Testo

  94. En in Ps. 42,7. Testo

  95. Cfr. Zorzi, L'esperienza del canto liturgico, 44, che cita a sua volta Sequeri. Testo

  96. Cfr. En in Ps. 94, 1;67, 5. Testo

  97. Cfr. En in Ps.148, 2. Testo

  98. Attualmente si può fare esperienza del ritmo freneticamente avvolgente in qualsiasi discoteca o nell'ambito della musica classica ascoltando il ritmo sacrale della Consacrazione della Primavera di I. Strawinsky. Testo

  99. Cfr. Zorzi, L'esperienza del canto liturgico, 49. Testo

  100. Cfr. Zorzi, L'esperienza del canto liturgico, 51. Testo

  101. Cf. Confessiones, X, 33 (49-50). Testo

  102. Cfr. R. De. Monticelli, L'allegria della mente. Dialogando con Agostino, Milano 1981, 106. Testo

  103. Cfr. Confessiones. X, 28 (38). Testo

  104. Cfr. Confessiones. X, 50. Testo

  105. Cfr. G. Bader, Psalterium affectuum palestra. Prolegomeni zu einer Teologie des Psalters, Tübingen 1996, 142. Bader stabilisce una relazione di amplificazione tra gli inni e il canto dei salmi, accentuando l'affinità tra il canto di questi e la mozione all'affetto che nell'esperienza di Agostino passa per l'ascolto. Testo

  106. Cfr. Confessiones, VIII, 12, 29: "Parlava e piangeva nella amara situazione del mio cuore. Così parlavo e piangevo nell'amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: "Prendi e leggi, prendi e leggi". Testo

  107. Cfr. Retractationes, 1, 5-6. Testo

  108. Cfr. Confessiones, X, 33, 49. Testo

  109. Cfr. Confessiones, X, 33, 50. Testo

  110. Cfr. P.A. Sequeri, Divertimenti per Dio. Mozart e i teologi, Casale Monferrato 1991, 150. Testo

  111. In questo contesto di debbono leggere i timori che costantemente la Chiesa presenta sull'uso della musica. Cfr. E. Fubini, Estetica della musica, Bologna 1995, 82. Testo

  112. Cfr. En in Ps., 125, 15, commento ai salmi graduali. Zorzi, "L'esperienza del canto liturgico", 225. Testo

  113. Cfr. En. in Ps., 144, 1. Testo

  114. «Sero te amavi, pulchritudo tam antiqua et tam nova, sero te amavi!». Confessones, X, 27, 38. Testo