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«Cent'anni di solitudine».
La lettura femminista della Scrittura

di Marinella Perroni (25 gennaio 2004)

Prima di iniziare, non posso fare a meno di rispondere a questa domanda: perché scrivere ancora una volta di lettura femminista della Bibbia mi ingenera ombre di perplessità e di disagio? Da molti anni ormai me ne occupo, e innumerevoli volte sono stata chiamata a rendere ragione di questa mia conoscenza specifica a voce e per iscritto.1 È proprio la troppa familiarità con il tema la causa del mio disagio e della mia perplessità?

Non credo. Il problema è che da molti anni spero che il mondo esegetico italiano smetta di considerare l'esegesi femminista come un'area protetta della ricerca teologica, una sorta di appendice riservata alle sole donne, e la accetti almeno come movente di interlocuzione critica.2 «È troppo presto», mi dico, «ci vuole ancora qualche decennio, processi storici così significativi incidono a distanza di generazioni e colpiscono di solito un centro almeno in parte diverso da quello rispetto al quale, all'inizio, si era presa la mira».

È certamente vero, e non avrei accettato di scrivere ancora una volta di questo tema se, in fondo, non fossi convinta che solo occasionalmente la maturazione di decisivi processi storici coincide con la loro visibilità e che la mutazione antropologico-sociale avviata dal femminismo impone lunghissimi tempi di gestazione, di fronte ai quali i cento anni di ricerca biblica delle donne e sulle donne rappresentano solo la fiammata iniziale. Ma è anche vero che, proprio guardando a questo secolo di letture femministe delle Scritture ebraico-cristiane e considerando soprattutto la ricaduta dei loro risultati sulla cultura teologica italiana, ma non solo, è difficile allontanare da sé la percezione che sono stati e restano «cent'anni di solitudine».3 È la sorte, in fondo, di tutte le grandi epopee: il passaggio dal vissuto al raccontato impone tempi lunghi di sedimentazione. Per noi, oggi, questa fase si chiama «post-moderno», un clima di pensiero e di sentimenti in cui tutto è uguale a tutto perché l'ordine di scuderia per la sopravvivenza è che tutte le vacche sono grigie, e solo pochi ostinati continuano a lanciare l'allarme che alcune vacche, invece, sono più grigie di altre. Ci raccontiamo che nell'epoca «post» sono finalmente cadute le ideologie, come se il neo-liberismo o il sessismo non fossero ideologie a tutto tondo!

Nonostante le ombre di perplessità e di disagio, è allora necessario, oggi più che mai, continuare a raccontare la lunga marcia con la quale le donne cristiane hanno cominciato, in questi primi cento anni, a riappropriarsi della Bibbia, cioè di quella Parola che Dio ha pronunciato nella storia anche attraverso di loro e per loro.

1. Una rivoluzione copernicana

L'immagine della rivoluzione copernicana, lo sappiamo bene, rischia di essere usurata da abusi di dubbio gusto. Credo però che, a proposito del nostro tema, essa possa essere richiamata senza rischiare banalizzazioni. L'impatto che le istanze femministe hanno avuto sulla tradizione ebraico-cristiana e sui mondi religiosi che essa ha espresso lungo i secoli è stato, in qualche modo, ancor più forte di quello che esse hanno avuto sull'assetto ideologico-politico delle diverse società che si affacciavano alla soglia del terzo millennio. Ne è riprova il fatto che le stesse difficoltà che le donne hanno dovuto e devono superare per vedere riconosciuta la loro soggettualità nei diversi ambiti sociali e politici continuano ad essere ancora del tutto insormontabili all'interno delle chiese e delle diverse istituzioni religiose. D'altro canto, la coscienza critica femminista non ha soltanto preteso di smantellare l'organizzazione patriarcale delle nostre società e delle nostre istituzioni religiose, ma ha portato alla luce il carattere strutturalmente androcentrico del nostro modo di pensare, e quindi anche di credere, prima ancora che di vivere.4

Il mondo occidentale e, in forma tutta particolare, la cultura ebraico-cristiana che ne ha rappresentato uno dei generatori vitali hanno prodotto universi religiosi androcentrici nei quali tutto, i testi sacri, il culto, le norme morali, perfino l'immagine di Dio, girava intorno al soggetto maschile che ne era criterio interpretativo, codificazione linguistico-concettuale, garanzia di accessibilità. L'assetto androcentrico dell'universo religioso ha comportato, tra l'altro, anche l'impossibilità di comunicazione diretta tra mondo delle donne e mondo delle Scritture sacre, costretti entrambi a percorrere la propria orbita satellitare rispetto alla centralità maschile.

Per questo, il femminismo, con la sua pretesa di rimettere in discussione l'occupazione maschile del centro dell'universo, ha portato con sé una rivoluzione che va ben al di là della stessa contesa per l'occupazione del centro. Esso ha riformulato con tagliente lucidità le questioni cruciali per ogni sistema religioso: un universo religioso teocentrico, come pretendeva il pensiero pre-moderno, non è forse un'astrazione mistificante con la quale il potere maschile ha reso intaccabile la sua centralità? ma una concezione antropocentrica dell'universo religioso, postulata e tenacemente difesa da tutto il pensiero moderno, non deve essere totalmente rettificata se l'anthropos non è più pensabile solo al maschile? Per questo, a mio avviso, il femminismo, più che a un rinnovamento, mira all'elaborazione di una prospettiva teoretica di insieme totalmente nuova. Esso infatti non postula tanto, come spesso si crede, un semplice passaggio di mano del potere, ma impone piuttosto di ripensare totalmente l'universo religioso con i suoi simboli e i suoi linguaggi, i suoi contenuti e le sue norme, le sue promesse e i suoi riti. Il riferimento alla rivoluzione copernicana, allora, non mi sembra indebito. Anche se, di fatto, la questione scottante oggi non è tanto chi o che cosa sta al centro, ma se l'universo religioso non può essere che policentrico o, addirittura, se esso non sia plausibile solo privo di centro.

Per quel che qui ci interessa da vicino, è certo che il superamento dell'estraneità tra donne e testi sacri ha rappresentato uno dei frutti maturi della modernità. Come tale va capito, e non solo per correttezza cronostorica. Ciò non significa assolutamente che, prima della nascita del pensiero critico, non ci sia stato alcun punto di contatto tra la spiritualità delle donne e la Bibbia. Il femminismo non ha certo inventato il rapporto donne-Scrittura ex nihilo perché, come ha giustamente sottolineato Adriana Valerio, le donne «pur nei mutevoli e complessi scenari della storia religiosa, hanno dovuto necessariamente relazionarsi con il testo sacro e con la sua interpretazione; sovente per compiere gli stessi percorsi, a volte per coglierne sensi altri, non raramente per opporvisi».5 Nella misura in cui è stato loro consentito di farlo e, soprattutto, di tramandarlo, anche prima della nascita del femminismo le donne credenti hanno offerto un contributo alla interpretazione dei testi sacri e sarebbe ora che esso venisse preso finalmente in considerazione all'interno dei manuali di storia dell'esegesi. È pur vero, però, che solo quando il femminismo è diventato un evento storico-culturale trasversale a tutte le società civili, ma anche a tutte le chiese cristiane e a tutte le religioni si può cominciare a parlare di interpretazione biblica delle donne nel senso di una prospettiva ermeneutica del tutto specifica e, soprattutto, condivisa.

2. La Bibbia delle donne e le donne della Bibbia

Ci è voluto un secolo perché, anche la chiesa cattolica, tra qualche dubbio e, soprattutto, tante paure, legittimasse come possibilità interpretativa delle Scritture cristiane ecclesialmente valida anche l'esegesi femminista, sia pure confinandola in quella sorta di guardaroba delle mode che sono gli approcci contestuali.6 Era il 1993. Superata già da un pezzo l'estraneità tra donne e Bibbia,7 cadeva finalmente anche l'interdizione formale.8 È un fatto non da poco, certo, anche se, da solo, non rende ragione della vivacità e della complessità del percorso di riappropriazione della Bibbia da parte delle donne né, tanto meno, della problematicità di cui tale percorso è testimone. Radicato nella modernità, esso rappresenta, infatti, uno dei punti di osservazione privilegiati a partire dal quale valutare l'incidenza della svolta postmoderna nella vita delle chiese cristiane.

Si è trattato, a mio avviso, di un percorso molto frastagliato che però, colto nel suo insieme, mostra in tutta evidenza che ciascuna tappa ha di fatto rappresentato la condizione di possibilità dell'altra. Se le femministe americane della fine del XIX secolo non avessero rivendicato il diritto delle donne non soltanto a vagliare criticamente le interpretazioni della Bibbia per smascherarne la carica oppressiva nei confronti delle donne, ma anche a leggere criticamente il testo stesso,9 non sarebbe mai esploso l'interesse per le figure femminili che costellano la storia biblica: nel momento in cui la Bibbia è diventata anche delle donne, cioè, il protagonismo femminile all'interno del testo sacro stesso è emerso in tutta la sua evidenza e le donne della Bibbia sono state liberate dall'oblio e, soprattutto, dalla mistificazione. D'altra parte, oggi è aperto e ricco di potenzialità il confronto tra l'esegesi femminista che si capisce come ermeneutica liberazionista e quella che si capisce come recupero storico-critico della dinamica inclusione/esclusione che ha caratterizzato sia la composizione che la trasmissione del testo sacro.

I poli in cui la ricerca specialistica è particolarmente vivace e qualificata sono, inevitabilmente, il mondo germanico e quello anglo-americano, quelli cioè in cui molte donne sono ormai accademicamente accreditate, l'editoria è fortemente interessata alla loro produzione scientifica e il contesto culturale e religioso è aperto alle provocazioni di una investigazione coraggiosa.10 Radicate nelle loro tradizioni scientifiche di provenienza, le bibliste americane sono più attente ai metodi della nuova critica letteraria mentre quelle tedesche all'investigazione storico-critica.11 Non c'è dubbio però, che anche dalla Spagna vengono segnali incoraggianti soprattutto nell'area degli studi di genere,12 mentre in Africa e in America Latina forte è l'impegno ermeneutico in chiave di emancipazione e liberazione, dato l'impulso destabilizzante del testo sacro nei confronti del patriarcato e delle sue strutture di oppressione.

Fortemente radicate nelle diverse tradizioni culturali di appartenenza, dunque, le esegete femministe intaccano il mito epistemologico di una scientificità asettica e neutrale, baluardo di un pensiero androcentrico, di un assetto politico patriarcale, di un mondo religioso monosessita, ma anche vessillo della ragione scientifica moderna.

3. Alcuni risultati importanti

Non è possibile qui, evidentemente, dare conto in modo dettagliato di ambiti, temi, questioni e problemi che sono stati portati al centro dell'attenzione dall'indagine biblico-femminista in questi ultimi decenni. Mi limito a segnalare solo alcuni aspetti che ritengo, in quanto esegeta cristiana, più importanti.

3.1 Le Scritture ebraiche

Per quel che riguarda le Scritture ebraiche, mi sembra di poter dire che, dopo una prima fase centrata soprattutto sulla riscoperta delle figure femminili e del loro ruolo nella trama dell'epopea storico-salvifica di Israele, l'interesse si è andato precisando, da una parte, in senso linguistico-letterario, dall'altra, in senso socio-storico.13 Da una parte, cioè, sempre più forte è l'attenzione, da una parte, alle traduzioni del testo originale che, inesorabilmente androcentriche, hanno veicolato una falsa comprensione del racconto biblico; dall'altra, al centro dell'indagine c'è la storia della redazione del testo, anch'essa fortemente marcata da un pronunciato androcentrismo. D'altro canto, la formazione del canone, la trasmissione del testo nonché la sua Wirkungsgeschichte tradiscono passo dopo passo il carattere patriarcale della cultura ebraica con la sua sopravvalutazione delle tradizioni contrarie alle donne.

La prospettiva di fondo dell'esegesi femminista anticotestamentaria, comunque, si è andata chiarendo progressivamente anche attraverso precise convergenze con l'orientamento generale dell'esegesi femminista neotestamentaria. Se è vero che la perdita della storia significa perdita di potere, allora le donne che non vogliono rinunciare alla loro fede biblica devono fare propria la stessa convinzione dei movimenti di liberazione degli afro-americani che, nel corso degli ultimi decenni, hanno determinato la progressiva uscita dei neri dall'apartheid a cui erano costretti nel mondo occidentale: Back to the roots. È infatti ormai riconosciuto dalle esegete delle Scritture ebraiche che l'«ermeneutica del ricordo», che gioca un grosso ruolo nel lavoro di Elisabeth Schüssler Fiorenza sulle Scritture cristiane,14 si può dilatare anche alla storia delle donne di Israele. Back to the roots della loro storia biblica: questo è divenuto il primo vincolo programmatico per le esegete di entrambi i Testamenti.

Per quel che riguarda le Scritture ebraiche, però, questa ermeneutica della memoria richiede di muoversi su un doppio crinale. Da una parte, l'esegesi femminista deve procedere a partire dal sospetto: la ricostruzione della storia delle donne credenti nell'Altissimo, in quanto parte integrante della storia di Israele, può sembrare pura illusione, dato che essa soggiace al sospetto che la società israelitica e la religione israelitica avevano un'impronta profondamente patriarcale. Del resto, la ricostruzione storica della storia di Israele come storia di uomini e di donne che credono nell'Altissimo comporta, innanzi tutto, di avere a che fare con una «letteratura» geneticamente androcentrica. Ciò significa che, per quanto riguarda le donne, ci troviamo di fronte a «informazioni criptate» che vanno smascherate come tali e decodificate con l'aiuto di chiavi interpretative adeguate, come la ricerca di testi che ci forniscono rappresentazioni specifiche del mondo delle donne, oppure l'individuazione di elementi di polemica, di distorsione o di idealizzazione ideologica, per arrivare a far emergere informazioni importanti sulla vita quotidiana delle donne, la loro religiosità e la loro storia.

D'altra parte, però, è innegabile la presenza nella Bibbia ebraica di testi o anche di interi libri che si presentano come veri e propri annunci di liberazione per le donne come è accertabile la tendenza antipatriarcale che serpeggia in alcune tradizioni, sia più antiche che più recenti. Ciò impone di avere, anche nei confronti di un testo geneticamente androcentrico come il Testamento ebraico, una apertura di credito.

Solo la posizione di una problematica di tipo storico, allora, è in grado di sciogliere la tensione tra sospetto e credito e la questione centrale diviene quella di individuare quali sono stati i gruppi di pressione in grado di immettere nella tradizione scritta di Israele positive indicazioni su donne identificate come credenti nell'Altissimo oppure elementi di critica del patriarcato, per arrivare poi a chiarire in quali tempi, in forza di che cosa e come tali gruppi hanno operato.

Per l'esegesi delle Scritture ebraiche, infine, negli ultimi anni è diventato quanto mai importante il dialogo tra teologhe ebree e cristiane proprio riguardo alla considerazione in cui tenere il comune libro biblico.15 Judith Plaskow ha presentato un abbozzo di teologia giudeofemminista che è saldamente ancorato alla problematica storica.16 Dal canto loro, le esegete cristiane hanno imparato dalle ebree a considerare più seriamente la Wirkungsgeschichte dei testi e a cogliere la loro qualità di annuncio di liberazione cercando di leggerli non con una predisposizione scettica, ma con un'apertura di credito.

Per una ermeneutica del Primo Testamento che possa contare su una seria ricostruzione storica, però, le difficoltà sono molte, maggiori che non per le Scritture cristiane, perché alto è il numero degli scritti il cui tempo di composizione si prolunga per interi secoli.17 Se finora l'attenzione è stata attratta soprattutto da figure femminili, testi o da temi sulle donne, intere aree, come per esempio interi corpi di scritti (libri dei re, delle cronache, scritti profetici, ecc), attendono ancora di essere sottoposte ad esame critico. La scarsa investigazione sui testi giuridici, poi, costituisce un deficit rilevante, se si tiene conto dell'importanza della Torah tanto per la tradizione ebraica che per quella cristiana.

Inoltre, dal punto di vista sociologico, lo studio del patriarcato come complesso sistema di potere nel quale precisi uomini, ma anche donne di precise classi o gruppi esercitano il potere su altri uomini, donne e bambini, impone di rifiutare affermazioni generalizzanti di stampo ideologico per postulare e verificare specifiche differenziazioni: in una società contadina, per esempio, le donne possono essere escluse dalla vita politica e dal pubblico servizio, ma non per questo non prendono parte alla produzione e non occupano posizioni elevate. D'altra parte, l'esperienza attuale delle donne può aiutare a dare il giusto nome a situazioni che l'autore biblico presenta in termini funzionali alla sua narrazione, ma che hanno visto invece le donne coinvolte in una prassi di oppressione. Illuminante al riguardo l'esempio della storia delle figlie di Lot che, in primo piano, mostra due donne che si accaparrano con l'inganno la discendenza attraverso il concubinaggio con il loro padre, ma in realtà documenta sulla possibile esistenza della pratica dell'incesto. Tutto ciò comporta, evidentemente, che le dichiarazioni contenute nei testi biblici devono essere controllate e corrette non solo attraverso il confronto con altri testi biblici ma anche attraverso testi e reperti extra-biblici e ciò rimanda alla continguità tra esegesi biblica e Women's Studies.

Infine, un'attenzione particolare va riservata ai contrasti, perché diversi testi possono presentare, riguardo allo stesso contenuto, diversi punti di vista. Si pensi ai modelli di purità attraverso i quali il circolo sacerdotale controllava la sessualità femminile, alla tendenza a diffamare l'eros e la sessualità da parte di alcuni circoli profetici, mentre dal Cantico dei cantici questa prospettiva risulta del tutto assente. Oppure anche al topos della «donna straniera» a cui, nel Cantico, viene consentito di parlare a nome proprio, nel libro di Ruth viene idealizzata, e che nella letteratura sapienziale viene invece presentata come il pericolo da cui i giovani uomini si devono guardare.

3.2 Le Scritture cristiane

Il terreno di indagine offerto dalle Scritture cristiane si presenta forse meno difficile, ma, inevitabilmente, più scottante, se non altro perché la questione dei ministeri ecclesiali -- se ne parli o no esplicitamente -- aleggia sempre sullo sfondo di qualsiasi indagine specifica. D'altronde, l'impulso che l'approccio storico-sociale ha dato alla critica storica comporta inevitabilmente che l'interesse sia centrato sul ruolo che ciascuna comunità primitiva ha avuto nella conservazione delle antiche tradizioni e nella composizione dei testi, ma anche sull'influsso che l'assetto comunitario di ciascuna comunità ha esercitato sull'elaborazione della cristologia e dell'ecclesiologia.

Anche nell'interpretazione del Testamento cristiano, a una prima fase più apertamente ideologica, ha fatto seguito l'incremento di analisi capillari, meno attratte dalla ricerca delle «eroine dimenticate» e più interessate alle dinamiche di inclusione/esclusione delle donne che innerva il dato letterario e ne determina l'orientamento teologico. Da questo punto di vista, l'approccio socio-storico ha garantito il superamento dell'impasse apologetica in cui gli studi sulle donne negli scritti neotestamentari rischiavano, in un primo tempo, di incagliarsi. Esso, infatti, ha richiesto lo sforzo di un'accurata ricostruzione dell'ordito socio-religioso della fede testimoniale dei discepoli di Gesù e degli agiografi della seconda generazione cristiana e ha contribuito così ad ampliare l'area delle conoscenze nonché, di conseguenza, a scardinare luoghi comuni tanto inveterati quanto infondati. Soprattutto, però, ha imposto di profilare le diverse figure neotestamentarie a partire dalla specificazione dei ruoli di genere.

A questo proposito, però, va anche segnalato che, se è vero che l'esegesi femminista ha ricevuto grande impulso dai Gender Studies, è anche vero che proprio in ambito femminista la discussione intorno ai limiti e soprattutto ai rischi dell'assunzione del paradigma di genere è oggi quanto mai vivace. Si tratta di una polemica che interpella anche l'osservatore esterno perché attiene al processo ermeneutico in quanto tale. Può esistere un'esegesi scientifica non schierata, che non comporti cioè anche un'implicazione politica? Per quanto concerne la lettura di genere, il rischio ravvisato da alcune esegete è che essa, invece di rompere il circuito sessista proprio dell'androcentrismo patriarcale, in fondo non faccia che confermarlo, sia pure spostandolo al livello sociologico invece che biologico.18 Nel momento stesso in cui l'esegesi femminista sembra aver trovato, proprio assumendo il paradigma di genere, una possibilità di legittimazione accademica, essa viene messa in discussione dal suo stesso interno in nome di un'istanza critica ancora più radicale.

Comunque, al di là di queste questioni ancora dibattute, alcuni risultati raggiunti sono ormai patrimonio acquisito. In particolare, la coscienza che l'inizio di quel processo di emarginazione delle donne dalla comunità credente che ha determinato la loro progressiva, ma vistosa interdizione dai ruoli ecclesiali è reperibile già all'interno degli stessi scritti neotestamentari. Discepole di Gesù a pieno titolo, battezzate nonché responsabili delle prime comunità domestiche e dell'incipiente evangelizzazione, esse divengono molto presto figure marginali. L'esclusione delle donne dai ministeri ecclesiali, insomma, è stato il prezzo che le comunità della seconda generazione cristiana hanno accettato di pagare in favore di una loro progressiva legittimazione e istituzionalizzazione.

4. Conclusione

Il cammino di duplice risarcimento (la Bibbia alle donne e le donne alla Bibbia), dunque, ha favorito lo sviluppo della ricerca specialistica nei più diversi ambiti tematici, l'affinamento di una molteplicità di approcci metodologici e la creazione di nuovi paradigmi di analisi e di interpretazione.

Non soltanto, però. Esso non ha coinvolto unicamente gli ambiti accademici e la ricerca specialistica, ma si è anche tradotto in una costante attenzione alle istanze che emergono dalla lettura dei testi biblici da parte di donne credenti inserite nelle più diverse situazioni sociali. Anche questa «lettura dal basso» entra a pieno titolo a far parte dell'interpretazione femminista della Scrittura e va tenuta in conto per due diversi motivi.

Prima di tutto perché i molteplici mondi interiori delle donne, quelli reali e non quelli fittizi disegnati dalle fantasie maschili sulla base di una psico-sociologia di maniera che fa fatica a morire almeno quanto i privilegi patriarcali, fanno ormai da cassa di risonanza a una Scrittura sacra che, oltre che testo, è parola comunicativa: le speranze e le attese delle donne, non meno delle loro difficoltà e delle loro estraneità ai linguaggi della fede convenzionalmente codificati, delineano nuovi orizzonti ermeneutici sui quali ridisegnare l'immagine di Dio, le relazioni intraumane, la plausibilità di una storia della salvezza.

In secondo luogo, la lettura esistenziale e politica della Parola di Dio fatta dalle donne o dai gruppi di donne rappresenta a volte l'unico argine al processo di progressivo e pericoloso affrancamento dalle Scritture che si sta consumando nella cristianità, soprattutto in quella occidentale, in cui di nuovo prende il sopravvento il bisogno di affermazioni ideologiche autoreferenziali. Si può parlare, rispetto alle Scritture ebraico-cristiane, di un vero e proprio analfabetismo di ritorno.

In questo tempo di diffidenza organizzata nei confronti della storia, e quindi anche di disattenzione verso i fondamenti storico-letterari di ogni tradizione religiosa, in questo momento in cui proliferano le letture fondamentaliste, a volte addobbate addirittura con orpelli pseudo-scientifici, in questi anni in cui l'istituzione religiosa si capisce solo in termini autoreferenziali, il patrimonio delle Scritture ebraico-cristiane si sta raccogliendo nelle mani delle donne per essere conservato e custodito. C'è chi in ciò riconosce proprio la controprova che la Bibbia, oggi, non è più considerata un bene prezioso: quando cade un'interdizione e le donne possono avere libero accesso a quanto era loro precedentemente precluso, significa che esso ha perso di valore. È possibile, anche perché è verificabile in tanti altri campi del vivere civile. Questi primi «cent'anni di solitudine», allora, sarebbero stati solo l'ultimo insignificante rigurgito di una modernità che cedeva ormai il passo a un mondo in cui post-moderno coincide inesorabilmente con post-cristiano. È possibile pensare anche questo. È possibile, però, anche il contrario e cioè che in questa lunga transizione epocale, le donne non stiano scrivendo l'ultima parola di un mondo che se ne va, ma la prima di un mondo che comincia. E la loro ostinata fedeltà alla Bibbia potrebbe anche essere uno dei segnali che post-cristiano non significa affatto post-biblico. Anzi.

[Questo articolo è apparso originariamente in Servitium III, 150 (novembre-dicembre 2003)]

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Note

  1. Limitatamente alla questione dell'impianto metodologico dell'esegesi femminista si veda Lettura femminile ed ermeneutica femminista del NT: status quaestionis: RivBiblIt XLI, 1993, 315-339 [315]; Una valutazione dell'esegesi femminista: verso un senso critico integrale: StPat 43, 1996, 67-92; L'interpretazione biblica femminista tra ricerca sinottica ed ermeneutica politica: RivBiblIt XLV, 1997, 439-468. Testo

  2. Siamo lontani da altre realtà europee. Basti pensare che già alla fine del 1999 la Facoltà di teologia cattolica di Graz -- dove ormai il 40% degli studenti è donna -- ha promosso un convegno nel quale non soltanto venivano presentati i risultati della ricerca delle teologhe femministe nei diversi ambiti teologici, ma veniva anche aperto un dialogo con i docenti uomini impegnati per il superamento dell'androcentrismo e del sessismo nella scienza, nella chiesa e nella società: cfr. Anne Jensen -- Maximilian Liebmann (Hrsg.), Was verändert feministische Theologie? Interdisziplinäres Symposion zur Frauenforschung (Graz, Dezember 1999), Lit, Münster 2000. Per quel che ne so, si tratta del primo passo ufficiale fatto dalla teologia accademica europea per far uscire la teologia femminista dal confino. Testo

  3. Basta pensare, per esempio, che ancora recentemente una monografia di un noto biblista italiano come Mauro Orsatti presenta il vangelo di Luca come «vangelo al femminile» perché «i quadretti dell'infanzia, gli atteggiamenti di misericordia, la cura dei dettagli, gli spazi di gioia colorano al femminile tutto il racconto» e ancora si parla della «carica di tenerezza» e della «fragile tenacia» che caratterizza le donne che accompagnano Gesù! Testo

  4. Si veda al riguardo l'attenta presentazione di Rosino Gibellini, Teologia del XX secolo, Biblioteca di teologia contemporanea 69, Queriniana, Brescia 1992, 447-480, che insiste sulle radici critiche della teologia femminista sia nei confronti della teologia dominante sia però anche nei confronti delle istanze del femminismo moderno e, soprattutto, mette in luce le sue potenzialità rispetto alla de-patriarcalizzazione del sistema socio-culturale ed ecclesiale. Testo

  5. Claudio Leonardi -- Francesco Santi -- Adriana Valerio [ed.], La Bibbia nell'interpretazione delle donne. Atti del Convegno di Studi del Centro Adelaide Pignatelli (Istituto Universitario «Suor Orsola Benincasa») con la collaborazione della Fondazione Ezio Franceschini. Napoli 27-28 maggio 1999, Sismel, Firenze 2002, 5. Alla introduzione di Valerio che, sulla base dei risultati di una documentata ricognizione storica, rivendica l'antichità della traditio esegetica delle donne, fa seguito una serie di saggi che presentano una ricca galleria di donne la cui spiritualità ha tratto linfa proprio da una singolare e creativa, quando non addirittura trasgressiva interpretazione dei testi sacri. D'altro canto, le radici del pensiero critico delle donne sono certamente più antiche delle lotte per i diritti nell'Europa rivoluzionaria della fine del '700 o nell'America ottocentesca. Si veda al riguardo anche Elisabeth Gössmann (ed.), Archiv für philosophie- und theologiegeschichtliche Frauenforschung, I-II, München 1984-1985. Testo

  6. Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Città del Vaticano 1993, 57-62. La zona delle ideologie schedate come «liberazioniste» è, in effetti, sempre a rischio. Non a caso, lo stesso documento definisce gli approcci contestuali come quelli portati avanti da lettori che «accordano un'attenzione privilegiata ad alcuni aspetti e, senza nemmeno rendersene conto, ne trascurano altri» (57), come se questa non fosse la regola prima di qualsiasi processo interpretativo. Come se non bastasse, poi, la Commissione ha sentito anche il bisogno, almeno a grande maggioranza, di aggiungere un richiamo all'umiltà per il fatto che l'esegesi femminista rischia di essere strumentale alla ridiscussione della configurazione e della distribuzione del potere all'interno della chiesa! Testo

  7. Helen Schüngel-Straumann, Bibel: Wörterbuch der feministischen Theologie, Mohn, Gütersloh 1991, 49-54, richiama le cinque possibilità che hanno contraddistinto nel secolo XX il ritrovato rapporto delle donne nei confronti della Bibbia: 1. totale abbandono della Bibbia in nome di un femminismo post-biblico, di cui è certamente esemplare il lavoro di Mary Daly; 2. interpretazione lealista della Bibbia come Parola di Dio rispetto alla quale non è dunque possibile avanzare alcun tipo di dubbio; 3. lettura revisionista come critica alle prospettive androcentriche e ricerca delle tradizioni delle donne; 4. descrizione sublimatoria nella quale giocano un ruolo forte pregiudizi ideologici e in cui dominano le interpretazioni simboliche, sganciate da ogni contestualizzazione politico-sociologica; 5. interpretazione critico-femminista quale teologia della liberazione [50]. Testo

  8. Non va dimenticato che, soprattutto dopo la Riforma, l'interdizione alla libera lettura delle Scritture sacre da parte dei fedeli ha rappresentato un punto fermo del magistero cattolico-romano. Questa interdizione viene poi espressa in modo del tutto esplicito nei confronti delle donne. Significativa, al riguardo, la Costituzione Unigenitus Dei Filius (1713) in cui papa Clemente XI, su espressa pressione di Luigi XIV, condanna con toni altisonanti la lettura dei libri sacri da parte delle donne, alle quali invece il movimento giansenista guidato in quel momento da Pasquier Quesnel consentiva l'accesso alle Scritture sulla base di una motivazione che andrebbe, a mio avviso, rievocata più spesso: «È un inganno l'essere persuasi che la conoscenza dei misteri della religione non deve essere comunicata alle donne mediante la lettura dei libri sacri. Non dalla semplicità delle donne, ma dalla scienza superba degli uomini è sorto l'abuso delle Scritture e sono nate le eresie (Gv 4, 26)». Sarebbe il caso di leggere tutto l'insieme delle proposizioni riguardanti il diritto-dovere dei laici di leggere la Scrittura fatte oggetto di scomunica: cfr. Heinrich Denzinger, Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, [Dehoniane, Bologna 1995], 2479-2485. Testo

  9. Si tratta di un nodo metodologico della scienza esegetica quanto mai importante. Troppo facilmente, infatti, si tende a chiamar fuori le Scritture ebraico-cristiane dall'area delle contestazioni e delle polemiche per paura di intaccarne la qualità di parola rivelata. Tacciabili di antifemminismo sarebbero le interpretazioni successive, ma non i testi stessi. L'investigazione critico-femminista, invece, ha mostrato con tutta evidenza come già il testo sacro sia il portato di una cultura monosessista e che il canone scritturistico non può essere invocato come principio per accettare acriticamente un codice che sancisce l'emarginazione delle donne. Anche i singoli testi biblici, dunque, vanno passati al vaglio e ne va ponderata l'accettabilità sulla bilancia dell'esclusione-inclusione delle donne in quanto discriminante che li rende coerenti con l'universalità della salvezza promessa in Abramo e realizzata in Cristo. Testo

  10. Sfogliando il catalogo delle recenti pubblicazioni di una nota casa editrice tedesca [LIT Verlag], mi ha fatto impressione constatare l'altissimo numero delle pubblicazioni di esegesi e teologia biblica a firma di studiose e di docenti delle diverse accademie tedesche. Tra le altre, una specifica collana, Theologische Frauenforschung in Europa, documenta l'ampiezza e la profondità a cui si muove ormai la ricerca delle teologhe europee. Testo

  11. Due esempi illuminanti: Elisabeth Schüssler Fiorenza, Apocalisse. Visione di un mondo giusto, Biblioteca biblica 16, Brescia 1994 (ed. or. Minneapolis, MN 1991) e Luise Schottroff -- Silvia Schroer -- Marie-Theres Wacker, Feministische Exegese. Forschungsbeiträge zur Bibel aus der Perspektive von Frauen, Primus, Darmstadt 1997. Testo

  12. Si veda per esempio Mercedes Navarro [ed], 10 mujeres escriben Teología, Verbo divino, Estella (Navarra) 1993. Testo

  13. Seguo qui Silvia Schroer, Auf dem Weg zu einer feministischen Rekonstruktion der Geschichte Israels: cfr. n. 10, 83-172. Testo

  14. Nonostante abbia già vent'anni il suo In Memory of Her. A Feminist Theological Reconstruction of Christian Origins, Crossroad, New York 1983 (ed. it. Claudiana, Torino 1990) resta un punto di riferimento irrinunciabile per la metodologia esegetica femminista. Testo

  15. Il superamento dell'antigiudaismo che, in modo palese o latente, influenza l'esegesi biblica cristiana è un elemento discriminante dell'esegesi femminista: cfr. Luise Schottroff, Lydias ungeduldige Schwestern: feministische Sozialgeschichte des frühen Christentums, Kaiser, Gütersloh 1994. Testo

  16. Standing again at Sinai: Judaism from a feminist perspective, HarperCollins, New York, NY 1991. Testo

  17. Solo il Siracide è rapportabile a un autore conosciuto per nome; solo alcuni sono rapportabili a autori/autrici anonimi o pseudonimi (Ruth, Qohelet, Ester, Giuditta, Sapienza di Salomone), mentre la maggioranza degli scritti (Pentateuco, libri storici e profetici, letteratura sapienziale) sono composizioni che combinano insieme tradizioni diverse e quindi sono frutto di un processo di compilazione che dura nel tempo. Testo

  18. Cfr. Elisabeth Schüssler Fiorenza, Gesù figlio di Miriam, profeta della Sophia. Questioni critiche di cristologia femminista, Sola Scriptura 17, Claudiana, Torino 1997 (ed. or. New York 1994). Testo