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L'ecclesiologia personalistica ceca della seconda metà del XX secolo

di Vojtěch Novotný (2 marzo 2009)

Nel presente studio vorremmo delineare le vie intraprese, nella seconda metà del XX secolo, dall'ecclesiologia cattolica ceca.1 In particolare è nostro intento illustrare un fenomeno proprio di questa scienza, definito con il termine di «ecclesiologia personalistica», prendendo come esempio la riflessione teologica di Josef Zvěřina e di Antonín Mandl.2

1. L'aspetto ufficiale e quello clandestino dell'ecclesiologia cattolica ceca

Prima di affrontare il soggetto specifico del nostro lavoro, ci sembra importante ricordare che dal 1948 il potere è stato in Boemia in mano ai comunisti, che vi istaurarono un regime totalitario. Ciò influenzò tutta la popolazione, ma in particolare i cristiani. La Chiesa Cattolica più ancora fu soggetta ad una grande pressione. Per questo, anche l'ecclesiologia cattolica della seconda metà del XX secolo non si è basata sullo studio distaccato dei misteri della Chiesa in quanto tale, ma sull'esperienza della Chiesa locale, messa a confronto con gli avvenimenti -- ostili e sfavorevoli -- della situazione ecclesiale e politica, avvenimenti che ebbero un'influenza sulla riflessione teologica sia dal punto di vista dei contenuti che da quello delle forme. Il modo di affrontare quest'esperienza non fu però univoco: la differenza nella relazione dei singoli cristiani nei confronti del potere era tale da far sì che nella Chiesa locale si distinguessero diverse forme qualitative di questa relazione: dalla collaborazione con il regime all'aperta resistenza.

La coscienza dell'esistenza di tutta una serie di possibili posizioni nei confronti del regime comunista originava un corrispondente numero di maniere di «essere Chiesa». Questa considerazione ci obbliga a domandarci se ad una tale abbondanza di posizioni corrispondessero anche diverse concezioni ecclesiologiche. Per rispondere si dovrebbe, in primo luogo, chiaramente definire la delimitazione delle diverse forme di esistenza all'interno di un'unica Chiesa nelle terre ceche, nonché un criterio secondo il quale poter poi «catalogare» i diversi autori. Un tale approccio non è però spesso possibile: in alcuni casi è infatti particolarmente difficile individuare il limite tra collaborazione e coesistenza. Per questa ragione, per gli scopi di questo studio, saranno inclusi nella categoria di teologia «ufficiale» i due esempi precedentemente considerati, mentre la riflessione di persone che appartennero alla Chiesa nascosta sarà qui definita come teologia «non ufficiale». Questo modo di classificare non è da considerarsi a priori come un giudizio qualitativo dell'una o dell'altra riflessione teologica, ma piuttosto uno strumento per definire le circostanze esterne che hanno però influenzato anche il contenuto della successiva riflessione ecclesiologica.

2. Ecclesiologia «ufficiale»

L'anno 1950 significò per la teologia cattolica ceca un momento di chiara cesura: in aprile i comunisti internarono tutti i religiosi e chiusero tutti i centri d'insegnamento teologico tenuti dagli ordini, in giugno le due facoltà di teologia (Praga, Olomouc) furono distaccate dalle rispettive università, in luglio furono chiusi tutti i seminari diocesani con gli istituti teologici rispettivi, e infine anche la stessa facoltà di Olomouc. A partire da questo momento -- e fino al 1990 -- esistette in Boemia una sola via legale per studiare la teologia cattolica: la facoltà teologica di Praga, severamente controllata dagli organi statali e spostata, nel 1953, a Litoměřice, una citta resa quasi completamente atea.3

L'ecclesiologia era inserita nella teologia fondamentale e fu insegnata per tutto questo periodo su un unico manuale, le cui tesi fondamentali furono formulate dal suo autore -- Josef Kubalík (1911-1993) -- già nel corso della seconda guerra mondiale.4 Proprio questa concezione, che riflette la concezione manualistica della Chiesa, rappresenta l'ecclesiologia cattolica ceca «ufficiale» per tutta la durata della seconda metà del XX secolo, ad essere più precisi, per una durata di quasi sessant'anni!

Il trattato De Ecclesia aveva una forma canonica e degli accenti classici. Lo scopo era essenzialmente provare che la Chiesa fu fondata da Gesù Cristo. La novella del Regno di Dio era interpretata dall'autore essenzialmente come l'annuncio del regno interiore della misericordia di Dio, ma contemporaneamente anche nel suo aspetto visibile, sociale e già esistente, pur essendo questo indirizzato verso una pienezza escatologica. Questa forma visibile del regno di Dio non è stata soltanto annunciata da Cristo, ma anche istaurata da lui stesso. Fu proprio Cristo a dare alla Chiesa una struttura gerarchico-monarchica e una serie di segni distintivi (in particolare: una, sancta, catholica et apostolica). Il secondo punto essenziale del trattato consisteva poi nel dimostrare che soltanto la Chiesa romana -- con la sua struttura gerarchica (compreso il primato pontificio) e per i segni distintivi considerati -- è la Chiesa di Cristo, custode e maestra della verità. Questa dogmatica generalis doveva essere la premessa per tutte le riflessioni dogmatiche successive (dogmatica specialis), in quanto soltanto la dogmatica cattolica ha, in questa prospettiva, un fondamento spiegabile con la ragione.

Sono questi i principali concetti dell'ecclesiologia di Kubalík, il cui scopo non era riflettere sul mistero della Chiesa, ma dimostrare che soltanto la Chiesa cattolica romana è la vera Chiesa, istituita da Cristo. Si tratta d'una concezione apologetica e polemica, che presenta la Chiesa come la «società di Cristo». Fatto, questo, di cui era cosciente lo stesso Kubalík, che aveva perciò introdotto nella sua teologia fondamentale anche un breve capitolo riguardo alla struttura interna della Chiesa. In questo capitolo, l'autore parla della relazione tra la Chiesa, il Cristo e lo Spirito santo, nonché del corpo mistico del Cristo e dello Spirito, come l'anima di questo corpo mistico. In questo punto si riflette -- anche se soltanto per cenni -- lo sviluppo dell'ecclesiologia cattolica. Oltre la tradizione del trattato considerato, i concetti espressi dovevano essere influenzati dalla convinzione dell'autore secondo cui la teologia fondamentale -- nella sua funzione di difesa -- non presuppone una fede formalmente dogmatica e costituisce in questo modo una specie d'anticamera del santuario interiore della fede nella teologia dogmatica (sic!).

In seguito al Concilio Vaticano II, Kubalík dichiarò negli studi pubblicati in varie riviste che sarebbe stato necessario modificare parzialmente la teologia fondamentale, un fatto che avrebbe toccato principalmente i trattati De Ecclesia e De fontibus revelationis. Questi ultimi sarebbero stati uniti in un trattato nuovo, il De Divinae Revelationis trasmissione, nel quale poter parlare in modo nuovo della collegialità dei vescovi e del popolo di Dio nel suo sacerdozio universale, rielaborando la riflessione sui segni distintivi della Chiesa in uno spirito ecumenico. Nelle sue dispense per i corsi, queste idee ebbero però come eco soltanto l'inserimento di due brevi capitoli e l'aggiunta della nuova costituzione, non commentata, Lumen gentium. La generale concezione pre-conciliare non fu invece toccata. Ciò avvenne malgrado l'autore seguisse lo sviluppo della sua disciplina in Europa occidentale. Questo fatto può essere in parte spiegato con la grave limitazione di stampa, imposta a tutti gli insegnanti della facoltà di teologia. Non si tratta però di una giustificazione sufficiente. Più semplicemente Kubalík non sentiva la necessità di cambiare e approfondire radicalmente la sua concezione. Un fatto evidente anche nelle sue pubblicazioni successive, nelle quali si occupò di ecclesiologia.

Tra i credenti e soprattutto tra i teologi, già all'epoca, una simile forma di ecclesiologia era considerata come inadatta. A partire dagli anni '30 cresceva infatti l'interesse per il mistero stesso della Chiesa, di cui il trattato considerato non si occupava che in modo marginale. Dopo il concilio questa sensibilità crebbe ancora. Un'altra ragione della decadenza dell'ecclesiologia «ufficiale» era il fatto che la pressione esercitata dal regime aveva conservato nel 1948 la sua argomentazione apologetica nello stato precedente alla guerra5 e che la teologia ecumenica -- che si stava sviluppando nel frattempo -- nonché la prassi, mostrarono quanto le sue conclusioni polemiche non fossero corrette. L'ecclesiologia apologetica ceca non aveva più una relazione con l'esperienza immediata della Chiesa, aveva perso il contatto con il proprio tempo e appariva come una concezione intellettuale priva di vita. Pagava in questo modo lo scotto della sua troppa accettabilità per il regime.

3. L'ecclesiologia «non-ufficiale»

Una forma molto più viva dell'ecclesiologia cattolica ceca è invece nata laddove la riflessione sui misteri della Chiesa non si basava, in primo luogo, sulla riflessione a proposito della Chiesa in quanto tale, ma invece sul suo essere hic et nunc -- cioè sul suo essere Chiesa locale. Si trattava innanzitutto di una teologia della spiritualità e della pratica ecclesiastiche, del concreto e responsabile agire «in quanto Chiesa», il cui nocciolo semantico era l'indagine su che cosa fosse realmente la Chiesa. Il fatto che i teologi cechi si avvicinassero al mistero della Chiesa partendo dall'esperienza della Chiesa locale, nonché il fatto che soltanto pochi di loro si occupassero di teologia dogmatica in modo costante, ebbe come conseguenza che -- con una sola eccezione6 -- non nacque nella seconda metà del XX secolo, in Boemia, nessun trattato completo sulla Chiesa. La maggior parte dei testi -- in gran parte samizdat -- ha una natura non sistematica e la concezione ecclesiologica dei diversi autori deve quindi essere ricostituita a posteriori. Tra i teologi più importanti di questo tipo devono essere annoverati: Bonaventura Bouše OFM (1918-2002), Silvestr Maria Braito OP (1898-1962), Felix Maria Davídek (1921-1988), Oto Mádr (1917), Antonín Mandl (1915-1972), Jan Evangelista Urban OFM (1901-1991), Josef Zvěřina (1913-1990).

Tutte queste concezioni avevano come fonte comune una riflessione storica sullo stato che attraversava la Chiesa locale. Il punto di partenza per questa riflessione era l'esperienza della Chiesa, fatta dagli autori menzionati, nel corso delle loro persecuzioni e degli imprigionamenti subiti; fatto, questo, confermato dalle seguenti testimonianze:

In altre parole, scontrandosi con l'odio dei potenti e con il peccato nella Chiesa10 la sola cosa ad aver retto è stata l'«essere Chiesa» personale, l'amore verso il Dio Trino che esce dai cuori umani, e rende la Chiesa ciò che essa è in realtà.

4. Josef Zvěřina (1913-1990)

4.1. Il rifiuto dell'ipostasi della Chiesa

Il primo passo per delineare l'ecclesiologia di Josef Zvěřina e rappresentato, oltre all'esperienza personale descritta sopra, da un'osservazione riguardo ad un uso linguistico riscontrabile nei suoi scritti. Quando Zvěřina, nel suo manuale sulla teologia dogmatica, introduce il trattato sul mistero della Chiesa, egli ne delinea la tesi principale con la seguente frase: «se l'amore e l'"essenza di Dio", allora è anche l'essenza della Chiesa della quale vogliamo discorrere». La spiegazione teologica del concetto di Chiesa come «comunità dell'agape» è introdotta dall'osservazione che è certamente impossibile dare una definizione della Chiesa, ma che nel seguito del testo la Chiesa verrà convenzionalmente considerata «come l'opera dell'amore del Padre, che istituisce nella storia il popolo di Dio, attraverso la grazia di Gesù Cristo, di cui la Chiesa è corpo misterioso, in comunione con lo Spirito santo, di cui la Chiesa è tempio». Le pagine successive di questo trattato discorrono pertanto del Popolo di Dio, del Corpo mistico del Cristo e del Tempio dello Spirito santo. A queste risposte alla questione «che cosa è la Chiesa», Zveřina aggiunge inoltre una risposta alla domanda «chi è la Chiesa»: Sposa dell'Agnello, un'espressione questa che «non l'identifica allo stesso modo con Cristo come l'espressione "Corpo di Cristo", e neppure come il Tempio dello Spirito, ma la pone come una persona indipendente, amante e amata, libera rispondente e responsabile».11

Questo procedimento mostra che Zvěřina ha naturalmente lavorato con le immagini bibliche; egli sentiva pero la necessità di sottolineare che una Chiesa, il cui fondamento fosse l'agape, non poteva essere osservata soltanto attraverso il prisma della domanda che cosa, perché in relazione all'amore è necessario privilegiare l'atteggiamento personalistico espresso dalla domanda chi. Nel testo considerato la risposta è data con l'immagine personificata della Sposa dell'Agnello. Tuttavia non si trattava certamente del tema preferito di Zvěřina, perché nella sua concezione anche quest'immagine puo indurre a confusione. La domanda «che cosa è la Chiesa», come pure la stessa immagine della Sposa, fanno della Chiesa un'ipostasi autonoma, al di fuori di Dio e dell'uomo e quindi ne fanno «un'astrazione estraterrestre», una realtà apersonale. Un tale modo di esprimersi passa però accanto a quanto è essenziale nella Chiesa. Se la domanda che cosa non è dunque esatta, diventa impossibile dare una qualsiasi definizione della Chiesa, visto che questa definizione presuppone appunto una domanda formulata in tale modo. La domanda chi, che cerca una persona concreta, sembra invece escludere una qualsiasi definizione generale. La Chiesa esiste così come «qualcosa» tra Dio e l'uomo, come esistere autonomo.

4.2. La Chiesa come un avvenimento personale dell'agape

Tutto ciò è solo accennato da Zveřina quando questi mette in guardia dinanzi all'uso della domanda «che cosa è la Chiesa», un uso linguistico con il quale ci esprimiamo riguardo alla Chiesa come riguardo a un essere ipostatico (la Chiesa fa questo o quest'altro, la Chiesa è fatta in un modo o nell'altro). In tal modo, poniamo però la Chiesa al di fuori di Dio e al di fuori dell'uomo.12 In realtà i fedeli ne parlano dall'interno del loro «essere la Chiesa» e in questo senso l'ecclesiologia è drammatica.13 Zvěřina risponde alla domanda «chi è la Chiesa» sottolineando sempre la relazione del Dio Trino e unico nei confronti dell'uomo attraverso Gesù Cristo, e la risposta dell'uomo attraverso lo stesso Cristo per iniziativa di Dio, e questo partendo dalle relazioni interumane cambiate, che si sono aperte in direzione di Dio. Zvěřina tenta percio di evitare in qualsiasi modo di celare l'immediatezza attorno alla quale si svolge l'avvenimento dell'agape. Al contrario, egli si sforza di costituire la propria ecclesiologia in categorie con le quali sottolineare la propria intenzione centrale. L'assioma di base è quindi il seguente: il principio della Chiesa è personale (l'uomo peccatore e il Dio trino) e relazionale (agape). Proprio il rapporto (inter)personale dell'amore rende la Chiesa ciò che essa è.14

Dio è l'amore essenziale, oppure essenzialmente l'amore. L'amore è la sua vita più interiore. Nella storia umana e nei cuori esso venne portato dal Figlio di Dio e ora viene attuato dallo Spirito Santo. Questo amore di Dio è in noi la sua presenza, la sua condivisione: Dio è in noi e noi in Lui. L'incontro di Dio con l'uomo si svolge nel punto più profondo di questo amore, nel quale tocca il suo apice anche la fede: nasce così un apparentamento degli esseri, che permette la nostra più profonda comunione con Dio e in Dio. L'amore introdotto dallo Spirito nei nostri cuori si apre ai nostri fratelli. Si tratta di una sola grande corrente, nella quale anche Dio è mio fratello. Questo amore costituisce delle nuove relazioni interpersonali, la fratellanza, una profonda relazione tra uomo e uomo, una comunità gratuita. Contemporaneamente esso è anche la via verso Dio, per entrare nella sua unità e nella sua pienezza.15

Ma l'amore non è qualcosa d'impersonale al di fuori di quelli che amano, esso non può essere capito in modo oggettuale, ma piuttosto come un avvenimento interpersonale. Zvěřina prediligeva pertanto la definizione della Chiesa come un «avvenimento di fede», come un'«opera», e parlava del fatto che la «Chiesa avviene», comprendendo l'avvenire come l'«agire», inseparabilmente umano e divino. «La Chiesa e opera di Dio e di coloro che il Cristo ha lasciato nel mondo affinché gli rendessero testimonianza, portassero frutti, e crescessero continuamente fino alla pienezza di Cristo»; «la Chiesa avviene là dove l'uomo peccatore opera come redento e dove opera Dio presente nella Chiesa».16 L'avvenire del quale si tratta qui è nella sua sostanza cristologico e pneumatologico. Mediante l'intervento dello Spirito si prende parte alla morte del Cristo, alla sua risurrezione, alla morte al peccato e ad una nuova vita nel Dio Trino e con lui.17

Il tentativo di evitare l'ipostatizzazione della Chiesa porta Zvěřina a descrivere l'avvenimento dell'agape come un avvenimento nell'uomo e un avvenimento tra gli uomini. Credere nella Chiesa significa credere che questa persona concreta (che queste persone concrete) è (sono) un avvenimento dell'agape, che in essa (in esse) si svolge l'opera trinitaria della salvezza, che attraverso di essa (di esse) si condivide nel mondo lo Spirito del Cristo:

Credere in questo modo nella Chiesa reale significa fondere la fede nell'uomo e in Dio, credere a Dio e all'uomo. Credere che quest'uomo peccatore è salvato, simul iustus et peccator. Che quest'uomo fragile viene chiamato dal Dio santo e forte a una grande cosa umana e divina. Credere che noi poveri uomini, siamo il popolo di Dio. Non da noi stessi abbiamo pensato questo, Dio pensò questo per noi; e il nostro Signore che uccise il peccato.18

4.3. Essere la Chiesa

Questa realtà può essere meglio compresa se ci si rende conto che parlare della Chiesa come del Corpo del Cristo significa intenderla come «l'incarnazione di Dio nella realtà umana», come realtà divino-umana (teandrica).19 La Chiesa del Figlio di Dio incarnato diventa così, in ultima analisi, una Chiesa incarnata: un altro modo, questo, per parlare di una Chiesa personale. Le conseguenze concrete di questa concezione della Chiesa appaiono però nuove. Il suo avvenire è qualcosa di personale oltre ogni limite anche per quanto riguarda il singolo cristiano e tutta la sua vita. Grazie al battesimo non vale dunque più soltanto che il cristiano entra a far parte della Chiesa, ma anche il fatto che la Chiesa entra in lui ed egli, in tutta la sua vita, deve essere la Chiesa: inserirsi nell'avvenire dell'amore trinitario e nel suo agire all'interno del mondo. Con il battesimo ha inizio nell'uomo il Regno di Dio, e questo diventa Chiesa, quando un uomo si apre, nello spirito del Cristo, ad un altro uomo.20

La vita di Dio si svolge infatti in modo concreto nell'uomo soltanto seguendo le categorie della vita umana, in un'unità indivisa e non mischiata (inconfuse, impermixte).21 L'amore di Dio diventa in lui l'amore per Dio, un amore che penetra e costituisce le relazioni umane e fa sì che «le strutture, nelle quali la Chiesa vive e si esprime, concretamente sono: l'amicizia, l'amore degli innamorati, il matrimonio, la famiglia; una comunità locale dei credenti, una comunità religiosa, la paternità e maternità spirituale e fisica».22 Da questo deriva che «credere nella Chiesa significa credere che la Chiesa avviene nell'amore e nell'amicizia, nell'unione del corpo e dell'anima. La Chiesa avviene anche nell'unione sessuale dell'uomo e della donna. Se comprendiamo questo, la Chiesa cessa di essere una strana istituzione che interviene con pedanteria nei rapporti umani più intimi! [...] La Chiesa è santa perché è il fondamento di Dio in noi. La sua santità penetra tutto: i baci degli innamorati, l'unione fisica degli sposi. L'unità della Chiesa accadrà in questi atti d'amore e in molti altri».23 Qualcosa di simile si può dire dell'apostolicità della Chiesa: il Signore risorto alita il proprio Spirito e trasforma la realtà umana -- l'individuo, la famiglia, i gruppi -- nella Chiesa apostolica.24

Con tali premesse si può anche capire la ragione per cui Zvěřina scrisse dell'uno o dell'altro stato di vita dei cristiani che non e tanto uno stato nella Chiesa, quanto piuttosto lo stato della Chiesa; non si tratta nel suo pensiero d'un tema costantemente riflesso, e spesso egli stesso parla tradizionalmente dello stato nella Chiesa; ciononostante quest'espressione è visibilmente costante e coerente con l'insieme della sua ecclesiologia. Infine, con le stesse premesse si può capire anche la ragione per cui Zveřina legava il fatto che partecipando alla morte e alla risurrezione di Cristo il cristiano muore al peccato e si rinnova per una vita nuova nello Spirito, con la morte e con il rinnovo della Chiesa in quanto tale.25

L'essere del cristiano non è solo un suo essere nella Chiesa, bensì l'essere -- la vita, il divenire -- della Chiesa in lui. La Chiesa trova in lui la sua espressione concreta. Il cristiano è la Chiesa. Tale idea non è nuova. Trovava la sua formulazione nel concetto dell'anima ecclesiastica. Pier Damiani ha addirittura sviluppato l'idea che la Chiesa è tanto unita dall'amore di Cristo, che nella molteplicità delle persone essa è una sola e negli individui è intera.26 La concezione ecclesiologica di Zvěřina e profondamente concorde con questa visione.

Zvěřina non ha in nessun caso sminuito la Chiesa in quanto istituzione. Il termine istituzione significa però, in ultima analisi, una rete di relazioni, la cui esistenza precede e supera l'individuo che entra in essa. Con esso indichiamo da una parte «i "luoghi d'incontro" dell'uomo con l'uomo in Dio che creano l'avvenimento [dell'agape] e nei quali sboccia l'azione» (istituzione nel senso della comunità locale, degli ordini, delle parrocchie, diocesi ecc.),27 dall'altra il fatto che queste relazioni sono definite, al loro interno, da una diversità di servizi, di responsabilità e di autorità (istituzione nel senso della gerarchia). In ogni caso non si tratta di una cosa, bensì sempre di una qualità della relazione, sicché l'istituzione e l'autorità non sono delle realtà arbitrarie bensì spirituali. Se usiamo un'analogia trinitaria, si può menzionare l'«istituzione» dell'autorità del Padre nei confronti del Figlio, un'autorità che è soltanto un'appropriazione relazionale dell'agape.28

La riflessione teologica di Zvěřina riguardo alla Chiesa e naturalmente molto più ricca di quanto possiamo qui suggerire. La sua base originale si pone però nella visione personalistica proposta, una base sviluppata grazie all'esperienza delle persecuzioni, un'esperienza che diede a Zvěřina la possibilita di vedere che le forme e le strutture nelle quali la Chiesa esiste e agisce sono tutte portate dall'avvenimento (inter) personale dell'agape.

5. Antonín Mandl (1917-1972)

5.1. La Chiesa come segno visibile del Corpo di Cristo

Il punto di partenza dell'ecclesiologia di Mandl si pone nel campo della cristologia. Gesù Cristo è grazie all'unità ipostatica delle nature, umana e divina, universalmente concreto: una persona assolutamente unica, concreta, storica, eppure con una portata universale. L'esistenza e l'agire di Gesù Cristo riguarda ogni uomo in quanto tale, ma anche tutta l'umanità in tutta la sua storia. Egli apre ad ogni umanità la pienezza del suo senso e delle sue possibilità, perché in lui il dinamismo dell'essere umano, della sua speranza e del suo agire si incontra con il dinamismo del Dio Trino e unico. In questo modo gli uomini diventano nel Figlio unigenito figli di Dio, senza per questo cessare di essere se stessi.

Da lì Mandl concludeva: il Cristo è «il Capo di tutta l'umanità e da essa plasma il suo Corpo misterioso, di cui la Chiesa è un segno visibile, per introdurlo nella gloria del suo Padre».29 Notiamo bene l'ordine degli elementi: il misterioso Corpo di Cristo è tutta l'umanità, perché il Figlio unigenito è diventato una sola cosa con tutta l'umanità e con tutti gli uomini, e la Chiesa è il segno visibile di questa unione, il cui fine ultimo è che tutti gli uomini siano introdotti nella gloria del Padre.

La Chiesa, però, non è soltanto un segno dell'unità dell'umanità sic et simpliciter, bensì in quanto il Verbo nell'incarnazione si è unito con l'umano e con l'umanità, ed in quanto quindi ogni uomo è raggiunto, in Gesù Cristo, dalla graziosa e amorevole attenzione del Dio Trino e unico. Ogni uomo: non soltanto quello che si dichiara di appartenere al Cristo, bensì tutti gli uomini di tutti i tempi, il cui esistere e agire è essenzialmente aperto alla grazia e in Cristo, poi, realmente toccato dalla grazia, che essi lo sappiano e lo accolgano o meno.30

Ed è proprio qui che si trova la differenza essenziale tra l'umanità come Corpo di Cristo e la Chiesa. La Chiesa è il segno visibile di questa apertura dell'umano al Dio Trino e unico e l'adempimento di questa apertura, da parte di questo Dio, in Gesù Cristo. Detto altrimenti (la formulazione non è di Mandl, ma si deduce dai suoi testi), la Chiesa è il segno visibile del Corpo di Cristo -- e solo in questo senso anche il Corpo di Cristo stesso. Tutto questo è, senza essere detto, un'originale meditazione dell'autore sulle tesi di Lumen gentium (n. 1 e 48), dove sta scritto: «La Chiesa è in Cristo come un sacramento oppure un segno e strumento di un'unione interiore con Dio e di un'unità di tutta l'umanità», universale sacramento della salvezza.

L'uomo è creato per il Cristo e per questo soltanto in Cristo trova la propria pienezza. Questa struttura cristologica dell'umanità è legata, nei testi paolini del Nuovo Testamento, con il concetto di mysterion, che traduciamo come «mistero» e «sacramento». In primo luogo si intende, con il termine usato, tutta la res Christi, inserita tramite la divinità nella struttura della terra, nell'umanità e nella storia. E la Chiesa di Cristo visualizza e ri-presenta proprio questa res, nel secondo significato del termine mysterion, perché essa è «la comunità di quelli che hanno accolto l'invito di Cristo: "Fate questo in memoria di me", e che danno così alla sua integralità la completezza». La Chiesa, infatti, «eseguendo l'ordine "Fate questo in memoria di me", è il segno visibile di quella volontà di Dio che si ricollega a quel "qualcosa" di ogni uomo, e lo porta, con il concreto universale del Cristo, fino alle sue possibilità più remote».31

Mandl distingueva e univa due realtà. Da parte di Gesù Cristo è inserito, nell'umanità e nella storia, un segno visibile dell'intenzione di Dio con l'uomo e con tutta la creazione. Vi è qui però anche un secondo aspetto: si tratta dell'attiva e operosa accettazione del Cristo da parte degli uomini, fatto di cui parla appunto il comandamento «Fate questo in memoria di me». Ciò che è e deve essere specifico per la Chiesa, è il fatto che -- attraverso la fede viva e l'agire -- in ogni presente essa accolga l'umanità intera dell'uomo, con il suo dinamismo naturale e con il compimento che gli è dato in Gesù Cristo.32 In questo modo i fedeli danno all'integrità della Chiesa, che è opera di Gesù Cristo, la sua completezza.

5.2. La Chiesa come atto individuale

Con questo giungiamo a quell'aspetto dell'ecclesiosogia che era per Mandl il più importante. Tutte le idee espresse finora non sono in realtà, nell'opera di Mandl, altro che delle premesse. Egli voleva, infatti, soprattutto far notare che la Chiesa è una realtà della cooperazione libera e creativa dell'uomo e di Gesù Cristo, rispettivamente dell'uomo e dello Spirito Divino, ossia una realtà personale e dinamica.

I testi nei quali Mandl torna ad analizzare questo suo tema di fondo sono numerosi. Alcuni indicano che la base di questa personale insistenza è da ricercare nell'esperienza fatta nel «periodo d'istruzione», vissuto dopo l'imprigionamento.33 Nel momento dell'abbandono estremo, in cui dovette lottare duramente per conservare la propria fede e in cui si rese conto che la Chiesa ufficiale scende a compromessi compromettenti, in quel frangente sentì esistenzialmente di essere egli stesso la Chiesa e che la sua libertà interiore è anche la libertà della Chiesa, la quale -- nella sua coscienza -- non deve e non può compromettersi, perché tale è l'esigenza dell'attimo presente e tale è il bene che egli deve compiere hic e nunc.

Da questo punto di partenza e basandosi sulle premesse generali menzionate, Mandl dedusse la seguente conclusione: benché e senza dubbio «la Chiesa è sacramentale grazie al potere e alla forza di Dio, e per questo non ha bisogno di nessuno e nulla potrà sconfiggerla, nel tempo e nello spazio essa è viva grazie al nostro sforzo e alla nostra fede».34 Da una parte la Chiesa ha, per opera del potere Divino, una certa e peculiare con-sistenza, in modo che la comunità della Chiesa sia «qualcosa da noi indipendente, qualcosa che a causa del nostro tradimento non cessa di esistere, per se stesso, nella storia».35 D'altro canto però, questa Chiesa, se considerata concretamente, non esiste mai in nessun altro modo che negli individui come una certa qualità della loro vita e delle loro relazioni.36

Proprio questo Mandl amava esprimere con formulazioni di questo tipo: «La Chiesa sei tu e sono io, la Chiesa siamo noi in Cristo e il Cristo in noi, il popolo di Dio»; «La Chiesa sei tu e sono io e noi tutti assieme in Cristo, semplicemente il popolo di Dio. [...] La Chiesa sei tu e sono io e da noi dipende il suo destino nel tempo e nello spazio.» «Rappresento qui il Cristo e la sua Chiesa in me.»37 L'identificazione del singolo cristiano con la Chiesa è reale, anche se non esclusivo. Per questo si può dire: «Io sono la Chiesa, anche se non tutta, ma comunque completa, come la mano può dire: io sono l'uomo, se è in viva unione con il corpo.»38

Il modo personale di essere Chiesa è contemporaneamente un modo di essere dinamico. Mandl esprimeva ciò nei termini seguenti: «La Chiesa, anche se è un punto fisso, non è un punto immobile», «la Chiesa è un atto costante dello Spirito di Dio e dello sforzo umano, una costante venuta del Regno di Dio su questa terra», «la Chiesa è un costante atto della libertà umana e della grazia divina», «la Chiesa e l'incessante attività dello Spirito santo e della coscienza cristiana», essa è «un atto che nasce dall'amore e quindi anche dalla fedeltà, un atto che trasforma realmente la realtà e ne fa una pietra per la costruzione del Regno di Dio». Detto altrimenti, «siamo tutti Chiesa, un Chiesa vivente e creatrice», in modo che «la Chiesa è un costante movimento».39

5.3. La Chiesa come il realizzarsi dell'umanità

L'atto, che secondo Mandl definisce la Chiesa, è la fede viva, una vita tratta da Gesù Cristo, nel quale l'uomo incontra il Dio Trino e unico. Questo atto (la vita) non consiste tuttavia in una serie di operazioni straordinarie fatte accanto agli atti (la vita) quotidiani dell'uomo, bensì invece nel loro compimento perfetto, gratuito e gioioso, accompagnato dalla coscienza del loro senso ultimo. L'uomo non può infatti incontrare Dio diversamente che sul terreno del proprio essere, che è sia profano, sia sacro -- si tratta infatti di «diversi livelli di profondità di una stessa realtà».40 Dio, infatti, non è rispetto all'essere e agli enti creati (compreso l'uomo), un estraneo, bensì l'Altro, il Trascendente, e come tale anche l'Immanente.41 Egli è presente nella semplice realtà della vita. Così visse la sua vita terrena Cristo, aprendo tale cammino agli altri uomini.

Aveva una tale visione delle cose, che le vedeva nella loro pienezza [...], con il pieno sguardo di Dio, e per questo anche il suo meravigliarsi e il suo rendimento di grazia era tanto pieno, che soltanto nella corrente e nella forza della sua personalità ci si può raggiungere la pienezza [...] Diede la pienezza a tutta l'intuizione e a tutto il meravigliarsi umano mostrando che la forza buona che sta dietro a tutte queste cose, è l'amore di Dio, che vuole darsi a noi affinché ci sia possibile darsi a lui.42

È proprio quando il cristiano agisce come un vero uomo/Uomo, in modo eucaristico, che egli è coinvolto in un dinamismo, con il quale Dio riempie l'esistenza umana e la fa entrare nel dinamismo della sua vita trinitaria.

La grazia, che agisce in questo modo, è la vita divina del Cristo nell'uomo. Questo però non significa che la grazia porta l'uomo oltre all'umanità di Cristo, oppure all'infuori di essa. L'uomo raggiunge la vita trinitaria proprio e soltanto nell'umanità di Gesù Cristo, Figlio di Dio. «La grazia non cancella nulla ma conferma soltanto e innalza, divinizza [...]. La grazia non trasforma le cose, le fa esistere altrimenti, in modo divino. La grazia attualizza nel modo più completo l'uomo compiendo tutte le sue possibilità.»43 «L'uomo deve assomigliare [a Dio] non diventando dio -- questo lo porta al manicomio -- ma essendo pienamente uomo».44

Per questo l'assioma fondamentale della spiritualità cristiana è espresso nel modo seguente: «Conoscete ciò che fate. Non è importante farci, a qualsiasi prezzo, diversi dagli altri, bensì il vivere la vita con voglia e con gioia, perché è proprio lì che si cela il cammino della piena comprensione di quanto [in fin dei conti] facciamo noi e di quanto fanno anche gli altri.» Vivere pienamente la realtà umana porta a Dio.45 «Dio ha fatto la sua creazione in modo tale, che appunto l'insufficente sufficenza porta a lui. È attraverso l'immanenza, e soltanto per essa, che dobbiamo accedere alla trascendenza [...]. Attraverso l'uomo verso Dio, attraverso l'immanenza verso la trascendenza, con "qualcosa" verso la pienezza, con l'amore verso l'amore divino».46

Possiamo quindi dire che se la Chiesa è un atto personale della fede in Cristo, questo significa che il primo compito della Chiesa è di essere integralmente umana e che il suo ambito fondamentale e naturale -- il luogo primario della sua presenza -- è le realtà della vita quotidiana. Quello che è in lei specificamente «religioso» è soltanto uno strumento in servizio all'«umano», e inoltre molto esposto alla tentazione di pronunciare il nome di Dio invano, ossia di coprire la vita del vero uomo/Uomo con una sacralità apparente.47

Questa grande insistenza di Mandl sul cristianesimo come umanità pienamente compiuta (la quale è -- grazie alle fede in Cristo -- cosciente del suo senso ultimo e nella grazia ha raggiunto le ultime possibilità del proprio essere: la partecipazione alla vita trinitaria) è coerente con la sua concezione della Chiesa quale segno visibile del Corpo di Cristo, di cui abbiamo parlato in precedenza.

Questi sono i tratti essenziali dell'ecclesiologia di Mandl, se consideriamo questa come una riflessione su che cosa è la Chiesa. Si potrebbero ora concretizzare queste realtà e spiegare in quale modo Mandl capisse la sinergia dell'uomo e dello Spirito Divino, ossia parlare dell'ecclesiologia compresa nel senso di una riflessione su come la Chiesa deve -- ed eventualmente non deve -- essere. A questo argomento è dedicata la maggioranza dei suoi testi. Con un tale lavoro, tuttavia, allungheremmo oltre misura il presente studio.

[La stesura del presente saggio è stata possibile grazie al contributo dell'Agenzia GA ČR 401/08/1491.]

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Note

  1. Per dettagli si veda: Vojtěch Novotný (ed.), Česká katolická eklesiologie druhé poloviny 20. století (Opera Facultatis theologiae catholicae Universitatis Carolinae Pragensis: Theologica et Philosophica 10), Praha 2007. Testo

  2. Josef Zvěřina (1913-1990), laureato presso la Pontificia Universitas Lateranensis, prete cattolico, storico dell'arte e teologo, fu imprigionato per tredici anni dal regime comunista. Per lunghi anni fu privato della possibilità di esercitare il suo sacerdozio come pure di portare avanti attività accademiche. È autore di un'ampia opera filosofica, di teologia dell'arte, di teologia dogmatica oltre che di altre riflessioni teologiche. Dottore onorario della facoltà teologica di Tübingen. Le sue pubbliczioni in italiano sono: Josef Zvěřina, L'esperienza della Chiesa. Scritti per una «Chiesa della compassione», Milano 1971; Il coraggio di essere Chiesa, Bologna 1978; La gioia di essere Chiesa, Bologna 1990. In tedesco: Fünf Wege zur Freude. Theologische Reflexionen über eine kämpfende Kirche, Leipzig 1995; Ich habe mich entschieden. Mut zum Glauben, Freiburg-Basel-Wien 1980. Antonín Mandl (1917-1972), laureato presso la Pontificia Universitas Lateranensis e il Pontificium Institutum Orientale, prete cattolico e teologo. Per quindici anni fu imprigionato dal regime comunista, e fu per anni privato dell'autorizzazione di esercitare il suo sacerdozio. Ebbe la possibilità di pubblicare solo una parte dei suoi lavori (per lo più brevi articoli), mentre la maggior parte è rimasta sotto forma di samizdat (inventato negli anni '20 nell'URSS, lo samizdat è una forma di pubblicazione clandestina il più delle volte dattiloscritta e divulgata in poche copie; la produzione di tali pubblicazioni era soggetta a gravi ritorsioni da parte della polizia segreta, che lottava accanitamente di esse). Mandl amava servirsi, nei suoi scritti, di dialoghi. I suoi testi non furono mai pubblicati all'estero. Testo

  3. Oltre a questo fu fondata, nella clandestinità, una serie di gruppi che studiavano la teologia. Alcune persone furono condannate per questa loro attività. Cfr. Vojtech Novotný. Teologie ve stínu. Prolegomena k dějinám české katolické teologie druhé poloviny 20. století, Praha 2007, pp. 45-95. Testo

  4. Josef Kubalík, Teologia Fundamentalis, 1-2, Praha 1951 (1991). È necessario sottolineare che Kubalík era un sacerdote onesto e colto, che non entrò mai a patti con il regime comunista. Testo

  5. Un diretto confronto concettuale con il regime comunista non era -- soprattutto negli anni '50 -- possibile senza immediate conseguenze esistenziali per il teologo coinvolto. Negli anni '60 la relazione tra il marxismo e il cristianesimo era percepito in una prospettiva di dialogo. Uno scontro delle diverse opinioni si rivelò più chiaramente soltanto negli anni '70-'80, ma non nel campo di una resa dei conti apologetica con il marxismo, quanto piuttosto a livello degli essenziali principi dei diritti umani e religiosi. Testo

  6. Josef Zvěřina, Teologie agapé: dogmatika 2. Praha 1994, pp. 3-125. Negli anni comunisti nacque questo testo sotto forma di samizdat. Testo

  7. Josef Zvěřina, Odvaha být církví, Monaco 1983, pp. 42-43, 160-169; Id., Pět cest kradosti, Praha 2003, pp. 45, 100, 154, 171; Id., Vzdor ducha: z dopisů a kratších zamyšlení, Praha 2002, p. 46. Testo

  8. Oto Mádr, Slovo o této době: výbor zdíla, Praha 1992, pp. 52, 149. Testo

  9. Antonín Mandl, Alphaville. Na okraji našich dnů (samizdat); Id., lettera a Roodovi 11. 3. 1971. I testi in samizdat di Mandl nonché la sua corrispondenza sono nel Centro della storia della teologia ceca presso la KTF UK v Praze (Facoltà di teologia cattolica presso l'Università Carolina). Testo

  10. L'ecclesiologia personale non è nata soltanto da una fede provata. Il secondo importante motivo, quasi una forma secondaria della Chiesa dell'agape, è l'esperienza di cui Josef Zveřina (Odvaha být církví, p. 34) scrisse che «il più grande mistero è per noi il male all'interno della Chiesa [...]. Chi non ha sperimentato questo mistero, sa ben poco della Chiesa». I teologi dovettero confrontarsi con il fatto che molti cristiani -- comprese le gerarchie -- si macchiarono di compromessi con il regime e in questo modo danneggiarono la comunità ecclesiale. Particolarmente intensa era quest'esperienza negli anni '50 e '70. Non si trattava però soltanto di questo tipo di peccato nella Chiesa: che come sappiamo non è soltanto il fare del male ma anche omettere il bene (omissio). Per questo, all'esperienza negativa della Chiesa appartiene anche l'incontro con quelle sue espressioni che sono diverse dal bene che deve essere hic et nunc fatto. Particolarmente sensibili erano a queste Antonín Mandl e Bonaventura Bouše. Testo

  11. Josef Zvěřina, Teologie agapé: dogmatika 2, op. cit., p. 5, 47, 68. Tutta questa riflessione e il suo contesto sono un'eco chiara (ma non citata) di Hans Urs von Balthasar, Sponsa Verbi. Skizzen zur Theologie II, Einsiedeln 1961, pp. 148-202 (Wer ist die Kirche?) a pp. 203-305 (Casta Meretrix). Testo

  12. Josef Zvěřina, «Mrtvá církev?», in Katolické noviny 31 (1970), p. 1 (traduzione italiana L'esperienza della Chiesa. Scritti per una «Chiesa della compassione», Milano 1971, pp. 99-101); Id., Odvaha být církví, pp. 27ss. (traduzione italiana Il coraggio di essere Chiesa, Bologna 1978, pp. 36ss); Id., La gioia di essere Chiesa, Bologna 1990, p. 32. Testo

  13. Applico qui, in modo analogico, l'osservazione di von Balthasar riguardo all'antropologia teologica: Hans Urs von Balthasar, Theodramatik II/1, Einsiedeln 1976, p. 306. Testo

  14. Josef Zvěřina, Teologie agapé: dogmatika 2, op. cit., p. 5, 47; Id., Teologie agapé: dogmatika 1, Praha 1990, pp. 9-42; Id., Odvaha být církví, pp. 29, 30, 32 (traduzione italiana: Il coraggio di essere Chiesa, op. cit., p. 39, 40, 43). Testo

  15. Josef Zvěřina, Teologie agapé: dogmatika 1, op. cit., pp. 22-23. Testo

  16. Josef Zvěřina, Odvaha být církví, op. cit., pp. 29, 35 (traduzione italiana Il coraggio di essere Chiesa, op. cit., pp. 39, 43); Id., «Mrtvá církev?», op. cit. (traduzione italiana L'esperienza della Chiesa, op. cit., p. 101); Id., Vzdor ducha, op. cit., pp. 20, 27. Testo

  17. Il primo posto è pertanto occupato nella teologia di Zveřina dalla pneumatologia. Essa prende spunto dal fatto che «l'amore di Dio e versato, qui e ora, nei cuori degli uomini dallo Spirito Santo», ma anche perché la presenza dello Spirito ha come effetto anche la presenza hic et nunc di Gesù Cristo e del Padre. «La Chiesa è nata e vive da una doppia presenza: dal Verbo e dallo Spirito»: Josef Zvěřina, Teologie agapé: dogmatika 1, op. cit., pp. 92, 160, 161. Nel contempo vale però l'argomento che «la presenza di Cristo realizza nella Chiesa il suo Spirito» e grazie a questo essa stessa è «presenza straordinaria di Cristo», «Cristo presente nel mondo»: Id., Odvaha být církví, op. cit., p. 28 (Traduzione italiana Il coraggio di essere Chiesa, op. cit., p. 38); Id., Teologie agapé: dogmatika 2, op. cit., p. 59. Queste affermazioni sono unite, come mensionato, con la fondazione della Chiesa, ma non soltanto per quanto riguarda la concezione temporale di questa fondazione (initium), ma anche nel senso della sua fonte perpetua (origo). Testo

  18. Josef Zvěřina, Odvaha být církví, op. cit., p. 27 (traduzione italiana Il coraggio di essere Chiesa, op. cit., p. 37). Testo

  19. Josef Zvěřina, La gioia di essere Chiesa, op. cit., p. 32. Testo

  20. Josef Zvěřina, Odvaha být církví, op. cit., pp. 28-29 (traduzione italiana Il coraggio di essere Chiesa, op. cit., pp. 37-40). Testo

  21. Josef Zvěřina, La gioia di essere Chiesa, op. cit., p. 33. Testo

  22. Josef Zvěřina, Odvaha být církví, op. cit., p. 30 (Traduzione italiana Il coraggio di essere Chiesa, op. cit., p. 40). Testo

  23. Josef Zvěřina, La gioia di essere Chiesa, op. cit., pp. 34-35. Testo

  24. Josef Zvěřina, Teologie agapé: dogmatika 2, op. cit., p. 62. Testo

  25. Il tema della morte della Chiesa appartiene ai momenti significativi dell'ecclesiologia ceca della seconda metà del XX secolo: cfr. Vojtech Novotný, «Modi moriendi Ecclesiae», in Internationale katholische Zeitschrift Communio 2008 (in stampa). Testo

  26. Petrus Damianus, Liber Dominus vobiscum ad Leonem eremitam (PL 145,235A,C): «Ecclesia siquidem Christi tanta charitatis invicem inter se compage connectitur; ut et in pluribus una, et in singulis sit per mysterium tota; adeo ut et omnis universalis Ecclesia non immerito una Christi perhibeatur singulariter sponsa, et unaquaeque anima per sacramenti mysterium plena esse credatur Ecclesia [...]. Ex his ergo manifeste colligitur, sicut superius dictum est, quia cum in una hominis persona tota designetur Ecclesia, et ipsa consequenter Ecclesia una dicatur virgo, sancta Ecclesia et in omnibus sit una, et in singulis tota: nimirum in pluribus per fidei unitatem simplex, et in singulis per charitatis glutinum, diversaque dona charismatum multiplex; quia enim ex uno omnes». Cfr. Henri de Lubac, Catholicisme. Les aspects sociaux du dogme, Paris 19837, p. 169-178, 396-400. Testo

  27. Josef Zvěřina, Odvaha být církví, op. cit., p. 32 (traduzione italiana Il coraggio di essere Chiesa, op. cit., p. 43). Testo

  28. Josef Zvěřina, La gioia di essere Chiesa, op. cit., p. 34. Testo

  29. Antonín Mandl, «České křesťanství», in Katolické noviny 17 (1968)1; cfr. Id., «Srdce věci», in Souvislosti 4(1990), pp. 13-14: «La Chiesa non è che un segno esteriore, anche se autentico, della segreta realtà di quell'unità dell'umanità che si chiama Corpo di Cristo, di quella forza Divina, che opera nella storia umana dall'inizio alla fine». Testo

  30. Antonín Mandl, «Srdce věci», op. cit., p. 15. Testo

  31. Antonín Mandl, «Srdce věci», op. cit., pp. 11, 12. Testo

  32. Cfr. per es. Antonín Mandl, Večer tříkrálový aneb Co je to vlastně křesťanství (samizdat): «Il cristianesimo è l'incontro dell'uomo con la vita del Dio Trino e unico, nella persona e realtà storica di Gesù Cristo. Non dobbiamo però soltanto imitarlo, soltanto seguirlo, dobbiamo letteralmente vivere di lui. Con questo egli non abolisce tutto quello che è nostro, umano -- e che si dirige da se verso questa unione, con i propri mezzi -- ma fa sì che questo possa essere completato dal gesto creatore dell'amore di Dio. Il cristianesimo è la rivelazione della profondità dell'unità delle tre persone e l'invito ad una partecipazione ad essa con una scelta libera». Testo

  33. [N.d.t. Il periodo d'istruzione coincideva nelle prigioni comuniste con i momenti più duri: il prigioniero si trovava spesso in cella d'isolamento, sottoposto a notevoli pressioni fisiche -- tortura, mancanza di cibo, di sonno -- e psichiche. Lo scopo era quello di spingerlo alla firma di una confessione definita in anticipo dal regime e alla denuncia di altre persone innocenti. A questo proposto si veda la biografia di Zvěřina: Marie Rút Křížková, Žít jako znamení, Praha, 1997, pp. 52-62; come modello per le pratiche carcerarie della Cecoslovacchia nel periodo d'istruzione venne usata la sperimentata prassi sovietica: Alexander Solženicin, Arcipelago Gulag, Milano, 1990, I-II, pp. 108-156.] Testo

  34. Antonín Mandl, «Srdce věci», op. cit., p. 15. Testo

  35. Don Formoso [= Antonín Mandl], «Smladými o křesťanství», in Katolické noviny 22 (1968) 6. Testo

  36. Notiamo a questo punto che il paradosso qui espresso, come pure la visione di Zvěřina, potrebbe arricchire la discussione sul rapporto fra la Chiesa universale e quella locale. Per essa si veda p. es. Medard Kehl, «Zum jüngsten Disput um das Verhältnis von Universalkirche und Ortskirchen», in Peter Walter -- Klaus Krämer -- George Augustin (Hgg.), Kirche in ökumenischer Perspektive (FS Walter Kasper), Freiburg 2003, pp. 81-101. Testo

  37. Antonín Mandl, «Srdce věci», op. cit., p. 15; Id., Budoucnost církve (samizdat); Id., «Hodina před audiencí aneb klerik či člověk», in Teologický sborník 3 (2002), p. 48. Testo

  38. Antonín Mandl, Budoucnost církve (samizdat). Testo

  39. Antonín Mandl, lettera alla famiglia Rechner 22/6/1969; Id., Budoucnost církve (samizdat); Id., lettera a Rood 14/12/1971; Id., «Hodina před audiencí», op. cit., pp 49, 50; Id., Alphaville. Na okraji našich dnů (samizdat). Testo

  40. Antonín Mandl, Přijď království tvé aneb Království Boží a hokej (samizdat). Testo

  41. Antonín Mandl, Dědečkova oslava aneb co je to náboženství (samizdat); Id., Blahoslavení čistého srdce, neboť oni budou viděti Boha (samizdat). Testo

  42. Antonín Mandl, Eucharistie (samizdat). Testo

  43. Antonín Mandl, «Srdce věci», op. cit., p. 14. Testo

  44. Antonín Mandl, Svědomí (samizdat); Id., Pomni, aby den sváteční světil (samizdat): «Dio vuole che tentiamo di assomigliargli non imitandolo, ma secondo le nostre proprie relazioni umane». Testo

  45. Antonín Mandl, «Srdce věci», op. cit., p. 7. Testo

  46. Antonín Mandl, «Otevřenost aneb apologie přirozených motivů», in Teologický sborník 3 (2002), p. 43. Testo

  47. Antonín Mandl, Nevezmeš jména Božího nadarmo (samizdat). Testo