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Il principio Deus virtutem suam non alligavit sacramentis nell'opera di Tommaso d'Aquino

di Francesco Nasini (8 marzo 2007)

1. Introduzione. Un principio «sempre saputo» e tuttavia «sempre ignorato» dalla teologia

Sin dall'epoca apostolica la chiesa ha avvertito sempre l'esigenza di ribadire, insieme alla necessità dei sacramenti per il raggiungimento della salvezza, la volontà universale salvifica di Dio (1 Tm 2, 4), che in Cristo è venuto per dare a tutti gli uomini la possibilità di conoscere il suo mistero di grazia.

La chiarezza dei testi evangelici (Gv 3, 5; Mt 28, 19-20), portò la Chiesa a sentire come così assoluta la necessità del sacramento del battesimo, che si pose fin dall'antichità il problema della sostituzione del battesimo di acqua (baptismus fluminis) con il martirio per Cristo (baptismus sanguinis) o con lo stesso desiderio del battesimo (baptismus flaminis), accompagnato da un pentimento pieno (forme sostitutive che conferiscono la grazia, ma non il carattere).

L'affermazione della necessità del battesimo per la salvezza, oltre a costituire un modello di esemplificazione estendibile a tutti gli altri sacramenti, ci pone di fronte a interrogativi teologici di notevole portata: perchè tale necessità? come conciliarla con la volontà salvifica universale di Dio? che ne è degli uomini che muoiono senza battesimo e quindi senza sacramenti?

La necessità dei sacramenti è motivata dal fatto che essi ci inseriscono nel mistero decisivo della salvezza che è il Cristo morto e risorto e si identifica con la necessità della mediazione salvifica della Chiesa.

D'altra parte questa necessità deve essere confrontata con l'affermazione biblica secondo cui: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 4). Di fronte al fatto che gran parte degli uomini non hanno ricevuto, senza loro colpa, il battesimo, «nasce una grande tensione, si pone un problema che investe direttamente la stessa figura di Dio, la sua potenza, bontà e giustizia... È chiaro che su questo versante l'idea della necessità salvifica del battesimo andrà realizzata: le possibilità di Dio sono indubbiamente maggiori di quelle di cui la sua Chiesa dispone».1 Alessandro VIII condannò, tra gli errori dei giansenisti, questa proposizione: «I pagani, i giudei, gli eretici e gente di questa specie non ricevono nessun influsso da Gesù Cristo, perciò si può giustamente concludere che in essi c'è una volontà nuda e inerme, senza alcuna grazia sufficiente» (DS 2305). E il Conc. Vat. II dichiara: «Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e che tuttavia cercano sinceramente Dio, e con l'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possano conseguire la salvezza eterna» (LG 16).

L'enciclica «Redemptoris missio» di Giovani Paolo II (7 dicembre 1990) parla così di coloro che non hanno la possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del vangelo: «Tra essi la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo: essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione» (n. 10).2

Risulta indicativo comunque che ogni volta che assistiamo all'emergere di questo tipo di problematiche (riguardanti la necessità del battesimo e, conseguentemente, dei sacramenti per il raggiungimento della salvezza) venga molto spesso citato un principio nei confronti del quale la tradizione cattolica avrebbe avuto sempre coscienza e convinzione. Si tratta dell'affermazione secondo cui Deus virtutem suam sacramentis non alligavit. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, parlando della necessità del battesimo, formula le seguenti considerazioni:

La Chiesa non conosce altro mezzo all'infuori del Battesimo per assicurare l'ingresso nella beatitudine eterna; perciò si guarda dal trascurare la missione ricevuta dal Signore di far rinascere «dall'acqua e dallo Spirito» tutti coloro che possono essere battezzati. Dio ha legato la salvezza al sacramento del Battesimo, tuttavia egli non è legato ai suoi sacramenti.3

E Luigi Sartori, nel relativo commento, ci dice che il fatto «che il battesimo è necessario alla salvezza per tutti quelli che hanno conosciuto il vangelo [...] non ha mai significato per la Chiesa che Dio abbia legato in maniera assoluta il dono della sua grazia ai sacramenti».4

Sorprende ogni volta il fatto che tale affermazione sia sempre data quasi come scontata e ovvia, e che non necessiti perciò di essere analizzata nelle sue possibili implicazioni. Si tratta di una consapevolezza antica, ma ci si può chiedere: da quali problematiche storico-teologiche e liturgico-pastorali ha avuto origine? Se la ponessimo in rapporto solamente con il vecchio problema del battesimo di desiderio (o di sangue), o in generale con quello della salvezza dei non battezzati, non ci sarebbe ancora del tutto chiaro il riferimento ai sacramenti in generale, che quel principio esprime.

Nella riflessione teologica alcuni riprendono l'affermazione con finalità che sembrerebbero diverse da quelle viste sin ora. H. Vorgrimler ad esempio la utilizza con l'intento di mostrare che la vita e l'attività missionaria della Chiesa non si realizzano e non si esauriscono nella dimensione liturgico-sacramentale.

La Chiesa cerca di attuare la sequela di Gesù per mezzo della liturgia, dell'annuncio, del servizio al prossimo e alla società, oppure attraverso la leiturgia, la martyria, la diakonia. C'è tuttavia la tentazione sempre ricorrente di rilevare unilateralmente uno di questi compiti, e cioè la liturgia, per svalutare in confronto ad essa gli altri. Quando la Chiesa viene vista non come un raggruppamento puramente umano, da interpretare sociologicamente, ma come Corpo di Cristo, vivente con il proprio capo e in dipendenza da esso, quando ogniattività riuscita della Chiesa viene ricondotta -- come deve essere -- all'iniziativa e all'aiuto dello Spirito divino, deve essere lasciato a Dio quel concreto compito della Chiesa che egli considera più importante. La liturgia, con il suo elemento essenziale, i sacramenti, non può essere considerata a priori come la più alta forma di realizzazione della Chiesa. La grande teologia lo ha saputo da sempre: Dio non ha «vincolato» la sua grazia ai sacramenti (Sum. Th. III q. 64. A. 7c.).5

Anche Vorgrimler fa riferimento ad un locus theologicus che è «da sempre» conosciuto, in questo caso da una «grande teologia» di cui il pensiero di Tommaso d'Aquino reppresenta l'espressione più alta. Vorgrimler non darebbe tuttavia un significativo contributo per una precisa e adeguata contestualizzazione di quel principio, se non per il fatto che lo fa risalire alla teologia sacramentaria dell'Angelico. Come vedremo nel successivo paragrafo, il pensiero di Tommaso ha frequentemente costituito un vero e proprio «luogo classico» col quale intere schiere di teologi, a partire dal grande K. Rahner, hanno inteso legittimare la validità di quel principio.

1.1. Karl Rahner e un principio di sacramentaria tomista

Secondo l'analisi compiuta da A. Grillo leggendo le opere manualistiche di alcuni teologi contemporanei ci si imbatte spesso in un «principio generale» divenuto ormai del tutto «ovvio» e «scontato» per la sacramentaria attuale.6 Grillo sottolinea il fatto che questi autori non traggono questo principio generale direttamente dalla lettura del testo di Tommaso, ma solo affidandosi all'insospettabile autorità di un celebre saggio di Rahner, citando da una citazione.

Nel suo saggio sulla dottrina sacramentaria generale di Tommaso, Rahner pretende di trarre dalla Summa Theologiae quel «principio» che gli permette di scovare, nel «centro» stesso del pensiero di Tommaso, la base più autorevole per quel capovolgimento dell'impostazione della sacramentaria tradizionale nel quale Rahner stesso concentra il cuore della sua teoria teologica sui sacramenti: in tale comprensione rahneriana, alla categorialità e storicità del qui ed ora del sacramento si sostituisce la trascendentalità e l'assolutezza di un ovunque del dono della grazia. La priorità dell'azione di Dio sull'azione dell'uomo, della libertà di Dio sull'adempimento dell'uomo, appare di una tale evidenza alla sensibilità moderna che l'argomentazione rahneriana, condotta con la solita finezza, ha potuto informare di sé un larghissimo ambito teologico, avvalorando anche indirettamente una lettura univoca (troppo univoca!) del brano di Tommaso. È comunque certo che per moltissimi manuali attuali di teologia sacramentaria, così come per numerosi scritti dello stesso Rahner, non appena entra in campo il ruolo del sacramento rispetto alla grazia di Dio, non si esita a far intervenire questo invocatissimo «principio generale» della sacramentaria di Tommaso, così solidale con le esigenze tipiche della prima svolta antropologica.7

Il principio che Rahner fa suo, a stendardo della propria posizione, si trova così espresso nell'originale della parte dedicata ai sacramenti in generale della Summa di Tommaso: «Deus virtutem suam non alligavit sacramentis quin possit sine sacramentis effectum sacramentorum conferre».8 Nell'affermazione tomista Rahner trova una legittimazione del proprio pensiero e di quella «svolta» che dona una visione rinnovata e capovolta della teologia sacramentaria, rispetto alla riflessione tradizionale. Ad avviso di Rahner partendo da quel principio, sempre «ignorato» e «disatteso» con troppa facilità nella storia della teologia, «è possibile vedere tutta la teologia sacramentale in direzione inversa a quella della concezione abituale: cioè, nei sacramenti giungerebbe a manifestarsi in maniera efficace nella dimensione della chiesa quella grazia che, a motivo della volontà salvifica universale di Dio, è all'opera in tutto il mondo, ovunque l'uomo non gli oppone un no assoluto».9

Rahner però, nota Grillo, nel presentare il suo pensiero sulla grazia e sui sacramenti, in relazione al principio tomista, afferma che quest'ultimo «viene continuamente ignorato e disatteso sia in teoria che in prassi».10 Ciò avrebbe dovuto, secondo l'autore, far sorgere più di un dubbio agli epigoni della teologia rahneriana. Come abbiamo visto, invece, Vorgrimler, diversamente dal maestro Karl Rahner, parla di un principio «sempre saputo». A tal proposito Grillo ritiene che «l'ovvietà con cui il principio è chiamato in campo e riferito ad una «grande teologia» che lo avrebbe sempre conosciuto, non può non destare perlomeno qualche sospetto sulla sua plausibilità».11

Come è possibile che un principio di tale rilievo per la sacramentaria di Tommaso abbia potuto passare quasi inosservato per tanto tempo? Come mai nessuno se ne era accorto prima? Se poi si tratta di un principio che può invertire la direzione di tutta la teologia dei sacramenti, che può far prevalere l'«ovunque e sempre» sul «qui ed ora», allora veramente occorre scegliere tra due ipotesi nettamente opposte: o ci troviamo di fronte ad un abbaglio clamoroso della tradizione, che avrebbe trascurato un principio così lampante facendo prevalere una visione dei sacramenti che sostanzialmente lo smentisce e lo tradisce, oppure si tratta di una interpretazione troppo ardita da parte di Rahner, suggerita dalle preoccupazioni unilaterali della (prima) svolta antropologica. Potrebbe darsi, in sostanza, che l'occhio moderno -- profeticamente assunto e rigorosamente interpretato da Rahner -- sia divenuto incapace di cogliere il senso della posizione tomista sui sacramenti e abbia tentato di scorgervi una mens del tutto diversa da quella intesa e difesa da Tommaso stesso. Se così fosse, rischieremmo di scoprire che il principio invocato da Rahner non è affatto un principio «di Tommaso», ma rappresenta piuttosto il criterio con cui Rahner vuol rileggere tutta la tradizione sacramentaria alla luce di una «ontologia del soggetto trascendentale», che entra inevitabilmente in crisi di fronte all'aspetto sacramentario della fede, dileguandone il livello «positivo», contro ogni intenzione di Tommaso.12

Grillo ritiene perciò utile un confronto tra la modalità con cui Rahner assume nel proprio orizzonte di riflessione l'affermazione tomistica e l'intenzione originaria con cui l'Angelico aveva formulato la sua proposizione. Rahner riprende un passo che appare nell'articolo 7 della quaestio 64 della parte III della Summa Theologiae. Nella questione 64 l'Aquinate tratta il tema delle «cause dei sacramenti», ovvero dell'auctoritas dei sacramenti, riflettendo sul soggetto che opera gli effetti del sacramento e su quale soggetto ne sia il minister. Il problema specifico affrontato nell'atricolo 7 riguarda in particolar modo utrum angeli possent sacramenta ministrare. É sorprendente, a giudizio di Grillo, che nessuno, nemmeno lo stesso Rahner, si sia preoccupato di precisare che il tanto citato principio generale della sacramentaria di Tommaso venga espresso proprio in questo contesto.13 La questione circa la possibilità per gli angeli di essere ministri dei sacramenti trova in Tommaso una soluzione negativa a motivo del principio, sostenuto dall'Angelico, del radicamento antropologico della natura del sacramento: tota vitrus sacramentorum a passione Christi derivatur, quae est Christi secundum quod homo. Cui in natura conformantur homines, non autem angeli.14 Questo principio, che conduce l'articolo ad una soluzione sfavorevole, viene citato solamente in obliquo, avendolo Tommaso diffusamente trattato in tutta la quaestio 61, sempre della III parte della Summa Theologiae, relativamente al tema De necessitate sacramentorum, nella quale viene sottolineato il ruolo decisivo svolto dalla dimensione antropologica nella realtà sacramentale.

La significatività dei sacramenti dipende dal legame intrinseco che essi intrattengono con l'umanità, la sensibilità, la materialità; è chiaro dunque che è propriamente agli uomini che compete di essere soggetti attivi e passivi del sacramento, e non agli angeli. Tommaso infatti dice: ad homines pertinet dispensare sacramenta et in eis ministrare, non autem ad angelos.15 Secondo Grillo, Tommaso fin qui non fa che ribadire il principio strutturale della sua teologia sacramentale, ma per ciò che riguarda gli angeli egli ritiene opportuno ricordare un diverso principio che invece Rahner cita in riferimento agli uomini. Ed è proprio in conformità con questo criterio distintivo che il santo fa la nota affermazione secondo cui Deus virtutem suam non alligavit... .16 Dice Grillo:

È chiaro, dunque, che la radicazione antropologica dei sacramenti cristiani non viene messa in discussione da Tommaso -- come vorrebbe far credere l'ermeneutica rahneriana -- ma piuttosto viene confermata, prospettando una eccezione limitata ad altri soggetti, non umani ma angelici.

Questa eccezione viene ammessa perché nei confronti degli angeli non sia esclusa la possibilità di far eccezione alla logica umana che guida il «significare efficace» del sacramento. Occorre dunque inquadrare l'affermazione di Tommaso circa la libertà di Dio di fronte ai sacramenti in un orizzonte profondamente segnato dalla differenza tra visibile e invisibile, tra i sacramenti sensibili e mondo intelligibile. In questo ambito il vero «principio» della sacramentaria di Tommaso appare decisamente diverso, addirittura contrario, rispetto a quello formulato da Rahner. In sintesi Rahner fa dell'eccezione la conferma del principio opposto.17

Di conseguenza, assumere l'asserzione per cui «Dio non ha legato la sua grazia ai sacramenti...» come «principio generale» invece che come «eccezione», comporta, per l'autore, uno stravolgimento dell'elaborazione sacramentale tomista, provocando uno squilibrio sia nella comprensione della dimensione sacramentaria, sia nei rapporti tra natura umana e grazia divina (vanificando anche il tentativo tommasiano di integrare natura e grazia).

Rahner, interpretando come «regola» della sacramentaria ciò che costituisce solamente un'«eccezione» all'interno del pensiero di Tommaso, ha concretamente dato il suo apporto alla formazione di una sacramentaria priva della sua giustificazione propter homines, decisiva in Tommaso. Una sacramentaria, quindi, mancante della

funzione di radicare antropologicamente la fede e di permettere alla rivelazione di potersi comunicare all'uomo concreto e non alla sua stilizzazione trascendentale. Un uomo che è già sè stesso al di là della eruditio della umiliatio e della exercitatio, che è se stesso al di là di se stesso, che è «già sempre» se stesso, finisce per essere ad un tempo il segno dell'utopia della prima svolta antropologica e lo svuotamento della radicazione antropologica dei sacramenti. Tale uomo stilizzato, che per Rahner dovrebbe essere affrontato secondo questo principio (fittizio) della sacramentaria, è in realtà un non-uomo, è solo l'ombra di un angelo. Una sacramentaria angelicata, una sacramentaria propter angelos, è l'esito inevitabile di una tale ipotesi teorica, che per rendere pienamente affine Tommaso al mondo moderno è costretta ad offrirne una immagine talmente modificata da cadere quasi nella caricatura.18

Come è possibile, si domanda Grillo, che uno dei principali promotori della «svolta antropologica» sia stato incapace di «vedere», ma abbia piuttosto quasi rovesciato una tra le più significative aperture di Tommaso all'antropologia?

Per l'autore, la riflessione teorica rahneriana sul sacramento va, in realtà, compresa «come caso tipico dello stile della «rimozione» del rito dal fondamento della fede nella comprensione del culto sacramentale cristiano».19

1.2. Le annotazioni di C. Scordato

Nella sua recensione al volume di A. Grillo,20 C. Scordato ritiene discutibile l'affermazione secondo cui Rahner avrebbe trasformato un'eccezione, prevista da Tommaso per gli angeli, in un principio generale della sacramentaria.

In verità, l'enunciato di Tommaso d'Aquino era un luogo comune nella teologia medioevale; Tommaso inizialmente lo ritrova e lo commenta a partire da Liber Sententiarum di Pietro Lombardo (in III Sent. 3. 1. 1c ra1; in IV Sent. 1. 1. 2a co; 2. 2. 4. ra3; 5. 2. 3b. co; 6. 1. 1b. co; 13. 1. 2b. co; riferito all'azione dello Spirito santo); lo riprende personalmente in altre sue opere (STh I-IIae 113. 3. ag1; III 27. 1. ra2; 64. 7co; 66. 6. co; 67. 5. ra2; 68. 2. co; 72. 6. ra1; 86 2. ag2; De Veritate 28. 3. ag3; In Hieremiam 1. 3; Super Ev. Matthaei 26. 3; citiamo dall'Index Thomisticus con le abbreviazioni: ag=argumentum; ra=responsio ad argumentum; co=in corpore).

Solo una volta l'affermazione è riferita agli angeli; abitualmente le citazioni ricadono nei contesti più disparati; in verità Tommaso fa riferimento ad una economia della grazia che, pur protesa verso la massima espressione della celebrazione sacramentale, non si esaurisce in quella della grazia sacramentale. Ci sembra eccessivo, pertanto, insinuare in Rahner il capovolgimento della sacramentaria dal propter homines al propter angelos!21

Secondo l'indagine di Scordato, Rahner, contrariamente a ciò che pensa A. Grillo, non avrebbe trasformato in un principio generale della sacramentaria una affermazione formulata da Tommaso come eccezione, ma avrebbe in realtà ripreso un concetto ampiamente diffuso nel pensiero teologico medioevale, presente in diverse opere dell'Aquinate e che pertanto non costituirebbe solamente un'eccezione. Inoltre, ad avviso di Scordato, trattandosi di un affermazione che mira a ribadire l'economia di una grazia che non si esaurisce nella res della celebrazione sacramentale, essa non è ricordata solo in riferimento agli angeli, ma è riscontrabile in numerosi contesti e in relazione alle questioni più diverse.22

Non pensiamo sia oziosa, a questo punto, la domanda: quali sono questi diversi contesti, e quali le questioni specifiche? Scordato elenca con precisione molti luoghi dell'opera tomista in cui è rintracciabile la frase famosa, ma non dice a proposito di quali argomenti e a proposito di quali tematiche particolari Tommaso formula il suo principio sulla «libertà di Dio».

Riteniamo utile pertanto analizzare dettagliatamente i vari passi di Tommaso citati da Scordato con lo scopo di verificare in relazione a quali tipi di problematiche, oltre a quella degli angeli, l'Angelico ha ritenuto opportuno inserire la tanto discussa affermazione secondo cui «Dio non ha legato la sua grazia ai sacramenti, essendo libero di ottenerne l'effetto anche senza di essi».

2. Il principio Deus virtutem suam sacramentis non alligavit nella sacramentaria di Tommaso

È vero, come afferma C. Scordato, che il principio «Deus virtutem suam non alligavit sacramentis» era ormai un luogo comune nella teologia medioevale, ma poteva esserlo in quanto proveniente da una lunga e antica consapevolezza che la Chiesa aveva sempre avuto a partire dalla dottrina e dalla prassi della comunità cristiana dell'epoca apostolica. Se prendiamo come modello esemplificativo, estendibile a tutti gli altri sacramenti, il sacramento del battesimo, vediamo che «fin dai primissimi tempi della chiesa, p. es., assieme alla certezza che il battesimo è necessario c'è sempre stata anche la persuasione che il martirio, oppure una vita sinceramente animata dalla logica cristiana [...], costituivano una sicura via di salvezza per coloro che non avevano potuto ricevere il battesimo sacramento per cause indipendenti dalla loro volontà».23 Questa convinzione, «oltre a dirci che la necessità del battesimo [e quindi dei sacramenti, in generale], in ordine alla salvezza eterna, non era affatto assolutizzata, fa chiaramente intendere che la comunità primitiva sapeva cogliere con molto equilibrio lo strettissimo rapporto che intercorre tra una celebrazione sacramentale e la vita cristiana. La necessità del battesimo non era affermata a tal punto da far dimenticare l'efficacia salvifica di alcune testimonianze di vita suscitate e condotte dallo Spirito di Cristo».24 Ma bisogna aggiungere che «d'altra parte l'efficacia salvifica di queste testimonianze di vita non era considerata tale da legittimare una sottovalutazione o addirittura un superamento della celebrazione battesimale [e sacramentale]».25

La prospettiva con cui la Chiesa, dall'epoca antica sino al periodo della scolastica medioevale, considera la necessità dei sacramenti nell'attuale economia di salvezza, è, come giustamente osserva E. Ruffini, e come cercheremo di dimostrare a proposito di Tommaso, quella secondo cui essi «sono necessari nella misura in cui è necessaria un'incarnazione storica della salvezza o, se si vuole, nella misura in cui è necessaria l'edificazione della chiesa e l'appartenere ad essa per conseguire la salvezza. Se Dio ci chiede di arrivare alla grazia mediante i sacramenti non è perchè lui stesso si è preclusa la possibilità di giustificarci per vie extrasacramentali (già gli scolastici dicevano: «Deus non alligavit gratiam sacramentis»), ma perché vuole che l'elevazione soprannaturale e la stessa salvezza escatologica siano significate ed anticipate in termini di visibilità storica».26

Tommaso riprende l'affermazione «Deus virtutem suam non alligavit sacramentis» nel suo commento ai Liber Sententiarum di Pietro Lombardo, precisamente nei libri III e IV.

Se leggiamo la Dist. 1, a. 1 del libro IV del testo originale di Pietro Lombardo, si può notare come il teologo utilizzi il principio in oggetto all'interno dell'esposizione sul De causa institutionis sacramentorum, dove, richiamandosi a Ugo di San Vittore, enuncia tre motivi fondamentali per cui i sacramenti furono istituiti, ovvero propter humiliationem, eruditionem, exercitationem:

Propter humiliationem quidem, ut dum homo in sensibilibus rebus, quae natura infra ipsum sunt, ex praecepto Creatoris se reverendo subicit, ex hac humilitate et obedientia Deo magis placet, et apud eum mereatur, cuius imperio salutem quaerit in inferioribus se, etsi non ad ab illis, sed per illa a Deo.

Propter eruditionem etiam instituta sunt, ut per id quod foris in specie visibili cernitur, ad invisibilem virtutem, quae intus est, cognoscendam mens erudiatur. Homo enim, qui ante peccatum sine medio deum videbat, per peccatum a Deo habuit, ut nequeat divina capere nisi humanis exercitatus.

Propter exercitationem similiter instituta sunt: quia cum homo otiosus esse non possit, proponitur ei utilis et salubris exercitatio in sacramentis, qua vanam et noxiam declinet occupationem. Non enim facile capitur a tentatore qui bono vacat exercitio.27

Umiliandosi e sottomettendosi al regime delle realtà sensibili, che costituiscono la forma dei sacramenti, l'uomo può giungere alla salvezza che Dio offre anche attraverso queste «realtà inferiori».

Nell'osservazione esteriore delle specie visibili la mente umana impara a conoscere le virtù invisibili in esse nascoste, in quanto dopo il peccato l'uomo non riesce più a cogliere le realtà divine senza esercitarsi in e passare attraverso quelle umane.

Infine l'uomo esercitandosi nei sacramenti allontana altre occupazioni che possano essere vane e nocive.

Solo dopo aver esposto queste tre fondamentali spiegazioni sull'utilità dei sacramenti Pietro Lombardo riporta il principio che stiamo esaminando:

Cum igitur absque sacramentis, quibus non alligavit potentiam suam Deus, homini gratiam donare posset, praedictis de causis sacramenta insitituit.28

Nel commento fatto da Tommaso al brano del «Maestro», sopra esposto, nello Scriptum Super Sententiis, libro IV, Dist. 1, q. 1, a. 1, troviamo l'affermazione relativa alla libertà divina rispetto ai sacramenti inserita all'interno di una discussione, dove Tommaso si interroga sulla necessità dei sacramenti per la salvezza dell'uomo posteriormente alla sua caduta (Utrum sacramentis fuerint necessaria post hominis lapsum). Dopo aver risposto alle possibili obiezioni con l'affermazione secondo cui essendo «vulnus peccati devenerat humano genere usque ad corpus, in quo habitat lex peccati [...] debuit medicina etiam per aliqua corporalia ei parari», per cui «sacramentis homo in statu naturae lapsae indiget», la soluzione proposta dall'Aquinate è la seguente:

sacramenta non erant necessaria necessitate absoluta, sicut necessarium est Deum esse, cum ex sola divina bonitate instituta sint, sed de necessitate quae est ex suppositione finis; non ita tamen quod sine his Deus hominem sanare non posset, quia sacramentis virtutem suam non alligavit, ut in littera dicitur (sicut cibus necessarius est ad vitam humanam), sed quia per sacramenta magis congrue fit hominis reparatio; sicut equus dicitur necessarius ad iter, quia in equo facilius homo vadit. Hujusmodi autem congruitatis causa potest accipi ex hoc quod homo per peccatum praecipue circa sensibilia corruptus erat, eis detentus ne in Deum surgere posset. Erat autem praedicta corruptio quantum ad cognitionem: quia humana mens circa sensibilia tantum occupari noverat, intantum ut quidam nihil extra sensibilia crederent; et si qui ad cognitionem intelligibilium pervenirent, ea secundum modum rerum sensibilium judicabant. Similiter quantum ad affectionem: quia eis quasi summis bonis inhaerebant, Deo postposito. Similiter etiam quantum ad actionem: quia homo eis inordinate utebatur. Necessarium ergo fuit ad curationem peccatorum ut homo ex sensibilibus in spiritualia cognoscenda proficeret, et ut affectum quem circa ea habebat, in Deum referret, et ut eis ordinate et secundum divinam institutionem uteretur; et ideo necessaria fuit sacramentorum institutio, per quae homo ex sensibilibus de spiritualibus eruditur; et haec est secunda causa quam Magister ponit: per quae etiam affectum, qui sensibilibus subjicitur, in Dei reverentiam referret; et haec est prima causa: per quae etiam circa ea in honorem Dei excitaretur.29

I sacramenti provengono dalla libera, sovrabbondante e incondizionata volontà divina di donare la grazia santificante all'uomo affinché questi non sia più sottomesso alla schiavitù del peccato. Quindi è vero che essi non sono stati istituiti da Dio per una necessità che vincolasse in qualche modo la sua potenza. Tuttavia Tommaso parla di una congruitas dei sacramenti per il perdono dei peccati, «sicut equus dicitur necessarius ad iter, quia in equo facilius homo vadit». La corruzione del peccato ha investito principalmente l'uomo nella sua realtà sensibile e corporea, la quale perciò è divenuta una prigione che impediva di riconoscere ed accogliere l'amore infinito di Dio per la sua creatura. Ed è allora che «necessaria fuit sacramentorum institutio, per quae homo ex sensibilibus de spiritualibus eruditur». Tommaso pur ammettendo la dismisura della grazia divina, non manca di sottolineare che nell'uomo, in quanto creatura visibile-corporea oltre che spirituale, essa agisce propriamente e necessariamente attraverso le realtà sensibili e anzi si serve di queste per condurre l'uomo al Dei reverentiam. E ciò avviene attraverso la realtà materiale e sensibile dei sacramenti, ai quali l'Aquinate riconosce una specifica radice antropologica. A tal proposito è opportuno il richiamo a ciò che A. Grillo dice commentando un brano della Summa Theologiae30 dedicato anch'esso alla Quaestio de necessitate sacramentorum, dove Tommaso

compie un'apertura antropologica di grande rilievo, ammettendo la radice umana della necessità sacramentale, il suo dipendere ex conditione humanae naturae, ex statu hominis ed ex studio actionis humanae: la condizione umana secondo Tommaso viene condotta per corporalia et sensibilia in spiritualia et intelligibilia; lo stato dell'uomo è di essere peccatore e come tale dedito alle cose corporali, il rimedio deve dunque essere corporale come la malattia: nam, si spiritualia nuda ei proponerentur, eius animus applicari non posset, corporalibus deditus; infine la considerazione dell'azione umana ha bisogno di corporalia exercitia in sacramentis per compensare con un'ascesi positiva quella negativa del peccato e della superstizione (...). È la condizione creaturale, storica e diveniente, peccatrice e bisognosa di esercizio, legata al sensibile e immersa nel contingente a determinare l'orizzonte di comprensione della necessità del sacramento.31

Se passiamo al brano successivo, ancora dal IV libro dello Scriptum Super Sententiis, troviamo Tommaso discutere la questione della possibilità per gli angeli di essere ministri del battesimo. Per la precisione l'argomentazione si trova inserita all'interno della problematica riguardante la possibilità di battezzare da parte del demonio (Utrum daemon in figura hominis apparens possit baptizare). Dopo aver affermato, nella Solutio al primo problema, che in nessun caso il diavolo, pur apparendo in figura di sacerdote, può conferire il sacramento «quia dispensatio sacramentorum non est concessa nisi hominibus, qui conveniunt cum Verbo incarnato, a quo sacramenta fluxerunt in natura assumpta; et etiam cum sacramentis, in quibus est spiritualis virus in corporeis elementis, sicut et homines ex natura spirituali et corporali compositi sunt», l'Angelico propone la seguente soluzione in relazione agli angeli:

Angelis bonis non est collata potestas baptizandi, propter duas rationes. Primo, quia non habent praedictam convenientiam cum sacramento, et cum Christo, qui est auctor sacramenti. Secundo, quia ad necessitatem Baptismi non valeret potestas eis concessa, cum non sint in promptu hominibus, ut per eos baptizentur. Sed sicut Deus potentiam suam sacramentis non alligavit, ita nec potestatem consecrandi sacramenta alligavit aliquibus ministris; unde qui dedit hanc potestatem hominibus, posset dare et Angelis. Nec Angelus bonus baptizaret nisi divinitus potestate sibi concessa; unde si baptizaret, non esset rebaptizandus, dummodo constaret quod bonus Angelus esset; sicut et judicatum est, templum quod per Angelos consecratum est, non oportere per hominem consecrari, ut legitur in historia dedicationis sancti Michaelis.32

Qui, come nel passo della Summa Theologiae, III, q. 64, a. 7, utilizzato da Rahner e ripreso da Grillo nella discussione sopra esposta, siamo in presenza di un'eccezione alla legge sacramentale, prevista per le creature angeliche, alle quali Dio, nella sua potenza infinita, potrebbe anche concedere la potestà di esercitare il ministero sacramentale, ma solo in via del tutto straorinaria. Si può notare infatti che Tommaso all'inizio della questiuncula afferma che agli angeli buoni «non est collata potestas baptizandi» a motivo di una «convenentiam cum sacramento et cum Christo» appartenente solamente agli uomini per la loro conformità alla natura umana di Cristo, e di cui gli angeli (come d'altra parte i demoni) sono sprovvisti. Inoltre il Dottor Angelico aggiunge che il potere concesso da Dio agli angeli non contempla per essi la possibilità di amministrare il battesimo, essendo quest'ultima a disposizione degli uomini. Ad ulteriore conferma di questo, ripetiamo ciò che Tommaso dichiara all'inizio del già citato passo della Summa Theologiae:

Tota virtus sacramentorum a passione Christi derivatur, quae est Christi secundum quod homo. Cui in natura conformantur homines, non autem angeli (...) Et ideo ad homines pertinet dispensare sacramenta et in eis ministrare, non autem ad Angelos.33

La convenienza e la peculiarità antropologica dei sacramenti è salvaguardata da Tommaso, distinguendo una dimensione visibile-corporea, propria dell'uomo, da una dimensione invisibile-immateriale propria degli angeli. Ciò è ancora precisato dal santo nella responsio ad argumentum dello stesso ariticulus 7:

Illud quod faciunt homines inferiori modo, scilicet per sacramenta sensibilia, quae sunt proportionata naturae ipsorum, faciunt Angeli, tanquam superiores ministri, superiori modo, scilicet invisibiliter purgando, illuminando et perficiendo.34

Prendiamo ora in considerazione un altro brano sempre dallo Scriptum Super Sententiis di Tommaso, presente nel libro III, d. 3, q. 1, a. 1. L'argomento specifico affrontato dal santo riguarda la questione della santificazione della Vergine Maria nel grembo materno (Utrum beata Virgo fuerit ante sanctificata quam conceptio eius finiretur); lo stesso tema è trattato da Tommaso in un altro brano dello Scriptum Super Sententiis,35 nonchè in un passo della Summa theologiae36 e in uno dello In Hieremiam.37 Nell'argumentum 1 della quaestiuncula 3 Tommaso cita una frase di Agostino secondo cui «santificatio qua singuli efficimur templum Dei, non nisi renatirum est», cioè «la santificazione che ci rende tempio di Dio, è solo dei rinati», relativa alla necessità del battesimo per la santificazione, ergo nullus habet gratiam antequam nascatur. Ma nella Solutio III, nella responsio ad argumentum 1, l'Angelico afferma:

Verbum Augustini intelligendum est de regeneratione quae fit per legem communem, quod notatur in hoc quod dicit: qua singuli efficimur templum Dei; haec enim sanctificatio fit per sacramenta, quae per ministros Ecclesiae dispensantur, quorum operationis qui in maternis uteris sunt, subjacere non possunt. Sed Deus sacramentis gratiam non alligavit; unde praeter hunc modum in maternis uteris aliquos quodam privilegio santificat.38

È importante notare che qui (come, in egual modo, negli altri due brani menzionati) si parla di una legge divina ordinaria (communem) della grazia, per la quale soltanto dopo la nascita si possono ricevere i sacramenti della rigenerazione, e di un privilegio speciale attraverso il quale Dio concede la sua grazia santificante ad alcuni soggetti, anteriormente alla loro nascita (antequam nascantur ex utero). Tra questi Tommaso contempla in modo esemplare la santificazione della Vergine Maria avvenuta nel grembo materno. Come si può notare si tratta di limitatissimi casi che hanno carattere di straordinarietà e di eccezionalità e riguardanti eventi per lo più miracolosi legati ad alcune figure chiave della storia della salvezza, come Maria Santissima, San Giovanni Battista e il profeta Geremia. Prescindendo da essi viene ribadita da Tommaso la necessità dei sacramenti per il dono della grazia santificante.

Esaminiamo un ultimo passo, sempre del IV libro dello Scrptum Super Sententiis, dove l'argomento generale sul quale riflette Tommaso riguarda la differenza tra il battesimo di Cristo e il battesimo di Giovanni Battista, o più precisamente, la questione se coloro che erano stati battezzati con il battesimo di Giovanni dovessero essere di nuovo battezzati con il battesimo di Cristo (Utrum baptizati Ioannis baptismate iterum baptizari debuerint). Nell'argumentum 1 Tommaso presenta l'ipotesi secondo cui per coloro che avevano ricevuto il battesimo di Giovanni non fosse necessario essere «ribattezzati» col battesimo di Cristo:

Videtur quod baptizati baptismo Ioannis, non debebant baptizari baptismo Christi. Actor. enim 8 dicitur, quod apostoli in Samariam venientes, illos qui baptizati erant in nomine Jesu, non baptizabant, sed tantum manus imponebant. Cum ergo Baptismus in nomine Jesu sine collatione spiritus sancti sit Baptismus Joannis, videtur quod baptizati Baptismo Joannis, non baptizabantur Baptismo Christi.39

Ma nella sua proposta di soluzione alla problematica Tommaso ritiene giusto ribadire la necessità dei sacramenti della Legge nuova ai fini dell'efficacia salvifica:

Unde quantumcumque spem suam aliquis ad Christum referret baptizatus baptismo Ioannis, baptismum novae legis non consequebatur; et ideo si baptismus novae legis est de necessitate salutis, oportebat quod iterum illo baptismo baptizaretur.40

Tuttavia l'aspetto della questione che ci interessa più direttamente è discusso da Tommaso in riferimento al battesimo degli apostoli. Dopo aver contemplato, nell'argumentum 3, la possibilità che agli apostoli non fosse necessario «quod baptismo Christi itrume baptizarentur», in quanto «post baptismum Ioannis solus Spiritus Sancti praenuntiatur», Tommaso così si esprime nella responsio ad argumentum 3:

Apostoli creduntur baptizati fuisse Baptismo Christi, quamvis scriptum non inveniatur, ut dicitur in Glossa Joan. 13 super illud: qui lotus est, non indiget nisi ut pedes lavet. Ex quo enim ipsi alios baptizabant, ut habetur Joan. 3, videtur quod et ipsi venientes ad Christum baptizati fuerint. Si tamen Christus, qui habuit potestatem remittendi peccata, et qui virtutem suam sacramentis non alligavit, eos sine Baptismo ex privilegio quodam sanctificare voluisset, non esset ad consequentiam trahendum.41

L'Aquinate ipotizza che anche qualora gli apostoli non avessero ricevuto il battesimo di Cristo, questi, che virtutem suam sacramentis non alligavit avrebbe potuto santificarli anche sine Baptismo, ma ciò, precisa Tommaso, non perché il battesimo ricevuto da Giovanni rendesse in qualche modo superflua la ricezione di quello di Cristo, ma soltanto ex privilegio quodam, concesso esclusivamente ad essi in quanto apostoli della fede, e a nessun altro. Questo ci fa capire chiaramente che Tommaso, ancora una volta, utilizza il principio relativamente ad un caso molto speciale, formulato per di più solo come ipotesi, che come tale esula dall'ordinario schema sacramentale, e che secondo l'autore non costituirebbe una prova contro la necessità del battesimo di Cristo rispetto a quello del Battista.

Affrontiamo adesso la lettura di alcuni brani presi dalla Summa Theologiae, esclusi quelli già incontrati.

Nell'articulus 6 della quaestio 66 della terza parte, dove parla della forma e dell'efficacia del sacramento del battesimo, Tommaso afferma:

Sacramenta habent efficacia ad institutione Christi. Et ideo, si praetermittatur aliquid eorum quae Christus instituit circa aliquod sacramentum, efficacia caret, nisi ex speciali dispensatione eius, qui virtutem suam sacramentis non alligavit.42

La validità e l'efficacia del sacramento (in questo caso del battesimo) dipendono dalla sua conformità alla forma voluta e stabilita per esso da Cristo; diversamente esso mancherebbe di efficacia, nisi ex speciali dispensatione da parte di Cristo stesso. Ancora un caso estremo in cui solo la volontà di Cristo può autorizzare uno specialissimo «strappo» alla regola sacramentale, la quale risulta perciò decisamente confermata da Tommaso nell'intenzione generale del discorso.

Nella quaestio successiva, all'articulus 5, l'argomento discusso da Tommaso è strettamente legato a quello dell'ultimo brano analizzato, trattandosi del problema se i non battezzati possano essere ministri del battesimo:

qui non est baptizatus, quamvis non pertineat ad Ecclesiam re vel sacramento, potest tamen ad eam pertinere intentione et similitudine actus, inquantum scilicet intendit facere quod facit Ecclesia, et formam Ecclesiae servat in baptizando, et sic operatur ut minister Christi, qui virtutem suam non alligavit baptizatis, sicut nec etiam sacramentis.43

Una persona non battezzata può amministrare il battesimo, e con ciò essere appartenente alla chiesa, qualora abbia l'intenzione di compiere ciò che compie la chiesa e nell'atto del battezzare osservi la forma prevista dalla chiesa. Se è vero che Cristo non ha legato la sua virtù ai battezzati e nemmeno ai sacramenti, resta il fatto che un non battezzato per essere ministro di Cristo deve operare in conformità dell'attività sacramentale propria di tutta la chiesa. Tommaso ci pone di fronte a un caso che per poter definirsi straordinario deve subordinarsi a ciò che è ordinariamente e formalmente previsto per la celebrazione dei sacramenti.

Nella quaestio 68, articulus 2, vediamo Tommaso cimentarsi nella problematica relativa a coloro che ricevono il battesimo in atto e coloro che hanno il battesimo di desiderio:

Potest sacramentum Baptismi alicui deesse re, sed non voto, sicut cum aliquis baptizari desiderat, sed aliquo casu praevenitur morte antequam Baptismum suscipiat. Talis autem sine Baptismo actuali salutem consequi potest, propter desiderium Baptismi, quod procedit ex fide per dilectionem operante, per quam Deus interius hominem sanctificat, cuius potentia sacramentis visibilibus non alligatur.44

Il battesimo di desiderio, può essere riconosciuto a quella persona che, data espressamente prova di una veritiera ed autentica testimonianza di fede, nonché del desiderio di ricevere la salvezza divina mediante il sacramento del battesimo, muore prima di poter effettivamente ricevere il sacramento. Non dovremmo dilungarci troppo per dire che siamo di fronte ad un famoso caso limite, per il quale d'altra parte Tommaso ammette la possibilità di fatto (re), ma non di proposito (voto). Nella prima di esse, infatti, Tommaso include i martiri e coloro che muoiono da catecumeni, come spiega nella seconda e terza responsio ad argumentum:

Ad secundum dicendum quod nullus pervenit ad vitam aeternam nisi absolutus ab omni culpa et reatu poenae. Quae quidem universalis absolutio fit in perceptione Baptismi, et in martyrio, propter quod dicitur quod in martyrio omnia sacramenta Baptismi complentur, scilicet quantum ad plenam liberationem a culpa et poena. Si quis ergo catechumenus sit habens desiderium Baptismi (quia aliter in bonis operibus non moreretur, quae non possunt esse sine fide per dilectionem operante), talis decedens non statim pervenit ad vitam aeternam, sed patietur poenam pro peccatis praeteritis, ipse tamen salvus erit sic quasi per ignem, ut dicitur I Cor. III.

Ad tertium dicendum quod pro tanto dicitur sacramentum Baptismi esse de necessitate salutis, quia non potest esse hominis salus nisi saltem in voluntate habeatur, quae apud Deum reputatur pro facto.45

Mentre per coloro che, oltre a non aver ricevuto il battesimo di fatto, lo rifiutano di proposito, Tommaso afferma:

Quod manifeste ad contemptum sacramenti pertinet, quantum ad illos qui habent usum liberi arbitrii. Et ideo hi quibus hoc modo deest Baptismus, salutem consequi non possunt, quia nec sacramentaliter nec mentaliter Christo incorporantur, per quem solum est salus.46

La necessità del battesimo per il conseguimento della salvezza, non è messa in discussione dall'Angelico, il quale tuttavia prevede, per particolarissime situazioni, «quelle cose che possono fare le veci del battesimo».47

Vediamo ora invece l'articulus 6 della quaestio 72, dove il santo indaga sul rapporto esistente tra il carattere battesimale e il carattere crismale, chiedendosi se il secondo presupponga necessariamente il primo. Nella responsio ad argumentum Tommaso afferma:

virtus divina non est alligata sacramentis. Unde potest conferri homini spirituale robur ad confitendum publice fidem Christi absque sacramento confirmationis, sicut etiam potest consequi remissionem peccatorum sine Baptismo. Tamen, sicut nullus consequitur effectum Baptismi sine voto Baptismi, ita nullus consequitur effectum confirmationis sine voto ipsius. Quod potest haberi etiam ante susceptionem Baptismi.48

Il potere spirituale di professare pubblicamente la fede in Cristo, ciò in cui consiste il carattere o l'effectus della confermazione, può essere conferito anche indipendentemente dal sacramento. Tuttavia Tommaso aggiunge che nessuno può conseguire l'effetto della confermazione sine voto confirmationis, ovvero senza il desiderio di riceverne il relativo sacramento. Ciò è spiegato dall'Aquinate evidenziando lo stretto legame che sussiste tra il battesimo e la confermazione, dal quale deriva che:

character confirmationis ex necessitate praesupponit characterem baptismalem, ita scilicet quod, si aliquis non baptizatus confirmaretur, nihil reciperet, sed oporteret ipsum iterato confirmari post Baptismum. Cuius ratio est quia sic se habet confirmatio ad Baptismum sicut augmentum ad generationem, ut ex supra dictis patet. Manifestum est autem quod nullus potest promoveri in aetatem perfectam nisi primo fuerit natus. Et similiter, nisi aliquis primo fuerit baptizatus, non potest sacramentum confirmationis accipere.49

Se il sacramento della confermazione presuppone il sacramento del battesimo, il potere spirituale di professare pubblicamente la fede (effectus confirmationis), pur potendosi avere prima della cresima, presuppone necessariamente a sua volta il carattere battesimale (effectum baptismi), ed è da questi ordinato alla ricezione del sacramento vero e proprio. Possiamo concludere quindi che anche qui Tommaso non nega la necessità del sacramento della cresima per ricevere il dono oggettivo dello Spirito santo con il quale si viene consacrati ecclesialmente a Gesù Cristo, pur riconoscendo ai battezzati il potere di professare pubblicamente la fede in Cristo anche prima e in vista di ricevere il sacramento della confermazione.

Nell'articolo 2 della questione 86 il contesto della riflessione di Tommaso è il problema se il peccato possa essere rimesso senza penitenza. Nell'argumentum l'Aquinate esamina la possibilità di una risposta affermativa:

Videtur quod sine poenitentia peccatum remitti possit. Non enim est minor virtus Dei circa adultos quam circa pueros. Sed pueris peccata dimittit sine poenitentia. Ergo etiam et adultis.

Praeterea, Deus virtutem suam sacramentis non alligavit. Sed poenitentia est quoddam sacramentum. Ergo virtute divina possunt peccata sine poenitentia dimitti.50

Ma si tratta di un principio che pur avendo una sua coerenza teorica, non vale in ogni caso, come ha modo di precisare Tommaso nella prima responsio ad argumentum:

in pueris non est nisi peccatum originale, quod non consistit in actuali deordinatione voluntatis, sed in quadam habituali deordinatione naturae, ut in secunda parte habitum est. Et ideo remittitur eis peccatum cum habituali immutatione per infusionem gratiae et virtutum, non autem cum actuali. Sed adulto in quo sunt actualia peccata, quae consistunt in deordinatione actuali voluntatis, non remittuntur peccata, etiam in Baptismo, sine actuali immutatione voluntatis, quod fit per poenitentiam.51

Diversamente da come avviene nei bambini, negli adulti è possibile riscontrare peccati attuali derivanti da un disordine attuale della volontà. Tali peccati non possono essere rimessi senza una concreta modificazione della volontà, che si attua tramite la penitenza. Quest'ultima è ritenuta indispensabile da Tommaso per il perdono dei peccati attuali mortali, almeno se intesa come virtù:

impossibile est peccatum actuale mortale sine poenitentia remitti, loquendo de poenitentia quae est virtus. Cum enim peccatum sit Dei offensa, eo modo Deus peccatum remittit quo remittit offensam in se commissam. Offensa autem directe opponitur gratiae, ex hoc enim dicitur aliquis alteri esse offensus, quod repellit eum a gratia sua. Sicut autem habitum est in secunda parte, hoc interest inter gratiam Dei et gratiam hominis, quod gratia hominis non causat, sed praesupponit bonitatem, veram vel apparentem, in homine grato, sed gratia Dei causat bonitatem in homine grato, eo quod bona voluntas Dei, quae in nomine gratiae intelligitur, est causa boni creati. Unde potest contingere quod homo remittat offensam qua offensus est alicui, absque aliqua immutatione voluntatis eius, non autem potest contingere quod Deus remittat offensam alicui absque immutatione voluntatis eius. Offensa autem peccati mortalis procedit ex hoc quod voluntas hominis est aversa a Deo per conversionem ad aliquod bonum commutabile. Unde requiritur ad remissionem divinae offensae quod voluntas hominis sic immutetur quod convertatur ad Deum, cum detestatione praedictae conversionis et proposito emendae. Quod pertinet ad rationem poenitentiae secundum quod est virtus. Et ideo impossibile est quod peccatum alicui remittatur sine poenitentia secundum quod est virtus.

Sacramentum autem poenitentiae, sicut supra dictum est, perficitur per officium sacerdotis ligantis et solventis. Sine quo potest Deus peccatum remittere, sicut remisit Christus mulieri adulterae, ut legitur Ioan. VIII, et peccatrici, ut legitur Luc. VII. Quibus tamen non remisit peccata sine virtute poenitentiae; nam, sicut Gregorius dicit, in homilia, per gratiam traxit intus, scilicet ad poenitentiam, quam per misericordiam suscepit foris.52

Si può ben intuire che in tale contesto la preoccupazione di Tommaso è quella di distinguere tra l'azione del sacramento ex opere operato e ciò che può provenire solamente dall'apporto personale del penitente, «poiché nessuno potrà mai dispensare dal dolore dei peccati, e quindi dagli altri atti che esso almeno virtualmente comporta, quando la stessa grazia sacramentale consiste nell'approfondimento della virtù di penitenza».53 L'Aquinate non intende negare l'importanza del sacramento della penitenza in quanto amministrato e celebrato, ma vuole salvaguardare ciò che costituisce la dimensione della «pena» all'interno del processo di conversione. In quest'ultimo, come efficacemente osserva A. Grillo, la colpa del battezzato,

quando emerge alla coscienza grazie al nuovo incontro con la parola di grazia che Dio gli rivolge, porta con sé, proprio con l'essere perdonata, il rovello del cambiamento, la fatica della realizzazione corporea, storica e esistenziale di ciò che l'uomo ha scoperto riservato da Dio per lui. La confessione della colpa e la misericordia di Dio che scendono sull'uomo sono il principio e il definitivo cambiamento dell'uomo, ma non sono ancora -- non possono essere -- il mutamento storico della sua libertà, che resta libera (purtroppo e per fortuna) anche di fronte alla propria conversione. La fatica di questa trasformazione, il lavorio di questa nuova esigenza tra parola ascoltata e vita da decidere, il «patimento» di fronte a questa difficoltà è ciò che la tradizione ha chiamato pene del peccato. Le pene del peccato risultano così le conseguenze intossicanti e dolorose del peccato, che non sono superate dal semplice fatto della conversione del peccatore. Il perdono della colpa non è ancora -- considerato anche fenomenologicamente -- non è ancora remissione della pena e cessazione delle conseguenze del peccato.54

Ravvisando nella dolorosa discrepanza tra volontà «vecchia» e volontà «nuova» il luogo proprio delle pene del peccato,55 Tommaso dimostra di prendere sul serio il carattere concreto e corporeo della libertà e della storicità dell'uomo, la cui sensibilità e materialità svolgono un ruolo fondamentale nella risposta libera alla grazia del perdono.56 Il piano antropologico dei sacramenti risulta qui ancora una volta ribadito dall'Angelico.57

Infine va detto che in questo brano è possibile leggere, tra le righe, una certa «priorità» attribuita da Tommaso ai sacramenti di iniziazione rispetto al sacramento della penitenza. Quando l'autore parla di una remissione dei peccati che può attuarsi indipendentemente dal sacramento della penitenza, sia nei bambini che negli adulti, egli pensa ad un incontro tra la grazia di Dio e la libertà umana come già avvenuto in modo primario nel Battesimo, nella Confermazione e nella Eucaristia, e che può realizzarsi nuovamente e in maniera secondaria nel sacramento della riconciliazione.58 Ciò che Tommaso, contrariamente alla formae mentis moderna e contemporanea, ha ancora ben chiaro è che «la ragione specifica del sacramento della penitenza è [...] di offrire nuovamente questo rapporto con la misericordia di Dio in Cristo a chi, dopo averla conosciuta, se ne sia allontanato».59 Giustamente l'Aquinate non fa altro che inserire il sacramento della Penitenza nel quadro di una effettiva iniziazione cristiana già avvenuta che egli, nel periodo storico in cui viveva, poteva presupporre come ben strutturata e come luogo primario della esperienza del peccato e del perdono verso il quale la penitenza deve rinviare.60

3. Conclusioni

Quali dati certi emergono dall'analisi dei singoli brani in cui Tommaso inserisce il principio «Deus virtutem suam non alligavit sacramentis»? Possiamo schematizzare in questo modo le acquisizioni derivanti dall'analisi sopra effettuata:

  1. Tutte le affermazioni di Tommaso contenenti il principio secondo cui «Dio non ha legato la sua grazia ai sacramenti» riferiscono solamente delle eccezioni alla logica umana che presiede al significare efficace del sacramento. Le eccezioni riguardano casi che esulano dalla prassi sacramentale ordinaria, contemplando la possibilità di alcune situazioni limite aventi sempre carattere di straordinarietà e con le quali Tommaso conferma i principi generali della sua sacramentaria.
  2. In tutti i passi viene ribadita dall'Angelico la motivazione antropologica della necessità dei sacramenti, ovvero il suo dipendere ex condicione humane naturae, ex statu hominis ed ex studio actionis humanae. La situazione umana è tale che, ai fini della salvezza, dev'essere condotta per corporalia et sensibilia in spiritualia et intelligibilia. L'uomo che, in quanto segnato dal peccato, è dedito alle cose corporali, può trovare guarigione in una cura che sia anch'essa corporale, quanto la malattia. Inoltre l'attività umana necessita di corporalia exercitia in sacramentis che compensino tramite un'ascesi positiva le conseguenze negative del peccato.61
  3. Secondo il pensiero di Tommaso la necessità dei sacramenti non è da intendersi in modo assoluto, bensì ipotetico, cioè legata al fine da raggiungere, che è la salvezza dell'uomo.62 Questa può essere conseguita in una maniera veramente congrua (secondo quella che Tommaso chiama a volte congruitas, a volte convenientiam) alla condizione umana, proprio attraverso i sacramenti.63

Da tali principi generali desunti dalla lettura di alcuni importanti brani della sacramentaria di Tommaso possiamo affermare, con una certa sicurezza, che il pensiero dell'Angelico risulta, pur nella varietà delle problematiche sacramentali affrontate, costantemente fedele a quel dato antropologico che l'autore considera elemento imprescindibile per una adeguata comprensione della opportunità e della necessità dei sacramenti ai fini della salvezza. Per questo le diverse eccezioni previste da Tommaso nei passi in cui egli utilizza il principio del Deus virtutem suam non alligavit sacramentis, non hanno mai la funzione di sconfermare i principi basilari del suo pensiero sacramentale, bensì quella di ribadirli con maggiore efficacia.

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Note

  1. T. SCHNEIDER, Segni della vicinanza di Dio. Compendio di teologia dei sacramenti, Queriniana, Brescia, 1989, p. 96. Testo

  2. Ciò però non significa sottovalutare la dottrina della necessità del battesimo. Lo stesso Concilio «insegna, appoggiandosi sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione, che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza, perchè il solo Cristo, presente in mezzo a noi nel suo Corpo, che è la Chiesa, è il Mediatore e la via della salvezza, ed egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cf. Mc 16, 16; Gv 3, 5), ha insieme confermata la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta» (LG 14). A questo proposito pensiamo che si debbano fare due precisazioni. Bisogna senz'altro ammettere che la via della salvezza tracciata da Dio è quella che passa per la Chiesa e il battesimo. In questa via devono in qualche modo convergere le strade di salvezza che comprendono sia il battesimo di desiderio (sacramentum in voto) strettamente detto, cioè quello di persone che si trovano già coscientemente orientate verso il sacramento, sia la ricerca della salvezza al di fuori (incolpevolmente) del cristianesimo. Per alcuni teologi, in quest'ultimo e più frequente caso, il cammino di salvezza deve contenere implicitamente il votum del battesimo, «perchè la grazia di Cristo, già nascostamente e germinalmente operante in chi non è ancora battezzato, postula di essere visibilizzata e totalmente realizzata nella comunità di salvezza che è la Chiesa» (E. RUFFINI, Il battesimo nello Spirito, Torino, 1982, p. 313). Un'altra considerazione da farsi è che essere battezzato ed essere salvato non è la stessa cosa. Dice bene su questo Schulte: «Ovviamente qui emerge anche un'importante distinzione, poiché, pur senza sfociare in un sacramentalismo battesimale, dovremo ammettere che il «votum baptismi» non coincide con il «baptismus» stesso... il battezzato, in quanto sacramentalmente morto e risorto con Cristo, in questo senso è giustificato e munito di ogni grazia battesimale (che è qualcosa di «ben più» e di «diverso» della giustificazione sulla quale in genere si pone l'accento). Non è lecito dunque formulare questa idea in termini inversi, quasi che ogni persona «giustificata», cioè per grazia di Dio e di Cristo sottratta alla dannazione eterna, debba essere considerata già un battezzato... Anche se in questi campi le valutazioni e i confronti riescono piuttosto difficili, bisogna comunque ammettere che esiste una differenza sostanziale fra la condizione di battezzato e quella di un individuo che si trova ancora sulla via del battesimo, anche se già sottratto alla dannazione eterna» (R. SCHULTE, "La conversione (metanoia) come inizio e forma di vita cristiana", in Mysterium salutis, X, Queriniana, Brescia, 1976, pp. 131-230, qui pp. 217-218). Quest'ultima considerazione riveste una grande importanza. Ci pone di fronte a una domanda che si riflette in tanti settori della teologia: chi è propriamente il cristiano (il battezzato?) Dalla risposta a questa domanda possono ricevere molta luce i problemi del disegno salvifico di Dio, della missione della Chiesa, della specificità della vita cristiana. Testo

  3. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1257. Corsivo nostro. Testo

  4. Ib., Commento Teologico, Piemme, 1993, p. 873. Corsivo nostro. Testo

  5. H. VORGRIMLER, Teologia dei sacramenti, Queriniana, Brescia, 1992, pp. 32-33. Testo

  6. A. GRILLO, Introduzione alla teologia liturgica, EMP, 1997, p. 99. Testo

  7. Ib., pp. 99-100. Corsivo dell'autore. Con l'espressione "prima svolta antropologica", Grillo intende "quella tendenza della teologia della prima metà del [secolo scorso], che è continuata anche nel post-concilio Vaticano II, in cui la correlazione tra natura e grazia, tra antropologia e teologia è stata proposta sulla base di una comprensione «trascendentale» del soggetto, in cui una «esperienza anonima» e trascendentale poteva e doveva garantire l'accesso alla determinazione religiosa categoriale" (ib., p. 100, nota 9.). Testo

  8. TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, III, q. 64, a. 7c. Testo

  9. K. RAHNER, Osservazioni introduttive sulla dottrina sacramentale generale di Tommaso d'Aquino, op. cit., pp. 493-508. Qui p. 506. Testo

  10. Ivi. Testo

  11. A. GRILLO, Introduzione alla teologia liturgica, op. cit., p. 95, nota 5. Testo

  12. Ib., p. 101-102. Testo

  13. Cfr. ib., p. 102, nota 13. Testo

  14. TOMMASO D'AQUINO, op. cit., III, q. 64, a. 7. Testo

  15. Ivi. Testo

  16. Cfr. A. GRILLO, Introduzione alla teologia liturgica, op. cit., p. 103. Testo

  17. Ib., p.104. Il corsivo è dell'autore. Testo

  18. Ib., pp. 105-106. Testo

  19. Ib., p. 106. Testo

  20. C.SCORDATO (rec.), A. GRILLO, Introduzione alla teologia liturgica, in "Ho Theologos", 17 (1999), pp. 138-144. Testo

  21. Ib., p. 143. Testo

  22. Cfr. ivi. Testo

  23. E. RUFFINI, "Iniziazione cristiana", in G. BARBAGLIO-S. DIANICH (edd.), Nuovo dizionario di teologia, Paoline, Roma, 1982, pp. 658-690, qui p. 674. Testo

  24. Ivi. Testo

  25. Ivi. Testo

  26. Ib., p. 675. Testo

  27. P. LOMBARDO, Liber Sententiarum, IV, d. 1. Testo

  28. Ivi. Corsivo nostro. Testo

  29. TOMMASO D'AQUINO, Scriptum Super Sententiis, IV, d. 1 q. 1 a. 2 qc. 1 co. Corsivo nostro. Testo

  30. ID., Summa Theologiae, op. cit., III, q. 61, a. 1. Testo

  31. A. GRILLO, Introduzione alla teologia liturgica, op. cit., pp. 80-81. Testo

  32. TOMMASO D'AQUINO, Scriptum Super Sententiis, op. cit., IV, d. 5, q. 2, a. 3, qc. 2 co. Testo

  33. ID., Summa Theologiae, op. cit., III, q. 64, a. 7 co. Testo

  34. Ib., III, q. 64, a. 7, ad. 1. Testo

  35. Nel libro IV, d. 6 q. 1 a. 1 qc. 2 co.: "Ad secundam quaestionem dicendum, quod sicut Deus non alligavit virtutem suam rebus naturalibus, ut non possit praeter eas operari cum voluerit quod in miraculosis actibus facit, ita non alligavit virtutem suam sacramentis, ut non possit sine sacramentorum ministris aliquem sanctificare; et ideo aliquos praeter legem communem quasi miraculose in maternis uteris sanctificasse legitur, illos praecipue qui immediatius ordinabantur ad ejus sanctissimam conceptionem; et ideo mater sanctificata creditur, et Joannes Baptista, qui ei in utero existenti testimonium perhibuit, et Hieremias, qui ipsius conceptionem vaticinio expresso praedixit: novum, inquit, faciet dominus super terram. Mulier circumdabit virum: Hierem. 31, 22; et ideo etiam in beata virgine fuit amplior sanctificatio, in qua fomes adeo debilitatus est vel extinctus, ut ad peccatum actuale nunquam inclinaretur; in aliis autem inclinavit ad veniale, non autem ad mortale; et in Joanne Baptista etiam fuit expressior quam in Hieremia cujus interior sanctificatio exultatione quadam in notitiam hominum prodiit, quia dictum est: exultavit infans in utero ejus, Luc. 1, 41, ut secundum gradum propinquitatis ad Christum sit gradus sanctificationis". In questo come negli altri brani in cui Tommaso tratta della questione della santificazione senza il sacramento del battesimo, gli unici soggetti ai quali Dio, per uno speciale privilegio, donerebbe la sua grazia anteriormente alla nascita, consacrandoli già nel grembo materno, sono per l'Aquinate tre figure chiave della storia della salvezza: il profeta Geremia, Giovanni Battista e la BeataVergine Maria. Testo

  36. In III, q. 27, a. 1, ad. 2: "Augustins loquitur secundum legem communem, secundum quam per sacramenta non regenerantur aliqui nisi pius nati. Sed Deus huic legi sacramentorum potentiam suam non alligavit, quin aliquibus ex speciali privilegio gratiam suam conferire possit antequam nascantur ex utero". Testo

  37. In Cap. I, lec. 3: "nullus potest renasci lege comuni, regeneratione quae est per sacramenta, antequam sit natus, quia nondum subjacere potest operationibus ministrorum Ecclesiae, per quos hujusmodi gratia dispensatur. Sed Deus potentiam suam non alligavit sacramentis; et ideo ipse potest speciali privilegio aliquem in utero santificare". Testo

  38. TOMMASO D'AQUINO, Scriptum Super sententiis, op. cit., III, d. 3, q. 1, a. 1, qc. 3, ad. 1. Testo

  39. Ib., IV, d. 2, q. 2, a. 4, arg. 1. Testo

  40. Ib., IV d. 2 q. 2 a. 4 co. Testo

  41. Ib.,, IV, d. 2, q. 2, a. 4, ad. 3. Testo

  42. ID., Summa Theologiae, op. cit., III, q. 66, a. 6 co. Testo

  43. Ib., III, q. 67, a. 5, ad. 2 Testo

  44. Ib., III, q. 68, a. 2 co. Testo

  45. Ib., III, q. 68, a. 2, ad. 2-3. Testo

  46. Ib., III, q. 68, a. 2 co. Testo

  47. DOMENICO SOTO, In IV Sententiarum, t. I, cit. in TOMMASO D'AQUINO, Somma Teologica, III, q. 60-72, tr. it. Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1984, vol. 27, p. 284, nota 1. Testo

  48. ID., Summa Theologiae, op. cit., III, q. 72, a. 6, ad 1. Testo

  49. Ib., III, q. 72, a. 6 co. Testo

  50. Ib., III, q. 86, a. 2, arg. 1-2. Testo

  51. Ib., III. q. 86, a. 2, ad. 1. Testo

  52. Ib., III, q. 86, a. 2 co. Testo

  53. ID., Somma Teologica, op. cit., III, q. 86, a. 2 co., vol. 28, p. 94, nota 1. Testo

  54. A. GRILLO, "Le indulgenze e la penitenza sacramentale: verità dimenticate su un rapporto da riscoprire", in AA.VV, Riconciliazione e penitenza, Atti del Convegno tenuto ad Ancona e Fermo nei giorni 16 e17 marzo 1999, dall'Istituto Teologico Marchigiano di Ancona, Massimo, Milano, 1999, p. 114. Testo

  55. Cfr. ib., p. 115. Testo

  56. Lo stesso K. Rahner scrive: "La libertà dell'uomo è una libertà corporea, legata al mondo, vale a dire, la decisione di libertà che scaturisce direttamente dal soggetto libero in quanto tale è sempre e necessariamente (anche negli «atti interiori») una decisione che compie se stessa (non soltanto le sue conseguenze!) nella corporeità e nella «mondanità», e cioè «nell'altro»" (K. RAHNER, "Pene dei peccati", in K. RAHNER - A. DARLAP (edd.), Sacramentum Mundi, IV, op. cit., col. 288). Per cui "le pene del peccato sono le oggettivazioni persistenti della decisione moralmente cativa nella misura in cui esse stesse in quanto contraddicono la retta natura del soggetto libero creano sofferenza e attraverso di esse anche la contraddizione contro il retto ordine del mondo (ambiente materiale e umano del soggetto) si esplica in maniera altrettanto atta a creare sofferenza" (ib., col 289). Testo

  57. Nota Grillo: "In questo modo il Medioevo ha preso sul serio la storicità dell'uomo, mentre la nostra insensibilità al tema non è altro che un volto della scarsa considerazione che abbiamo per quella storicitè, che solo a parole diciamo di ritenere tanto decisiva" (A. GRILLO, "Le indulgenze e la penitenza sacramentale: verità dimenticate su un rapporto da riscoprire", in op. cit., p. 114). Testo

  58. Cfr. ib., p.116. Testo

  59. Ib., p. 116-117. Testo

  60. Cfr. ib. p. 117-118. Riferendosi alla prassi penitenziale che ha caratterizzato quella fase che inizia dalla fine del medioevo fino ai giorni nostri, Grillo afferma: "Le difficoltà sorgono invece dall'uso distorto (perché impropriamente sostitutivo della iniziazione) che la penitenza ha subito nel tempo. Altro infatti è parlare di una ripetitività della penitenza come penitenza di devozione, altro è la sua ripetizione a fronte di una iniziazione mancata. La continua ripetizione della iniziazione cristiana (come perdono del peccato e nuova offerta della grazia) si sposa con la mancanza di una iniziazione strutturale" (ivi). Testo

  61. Così Tommaso nella Summa Theologiae spiega le tre ragioni per cui i sacramenti sono necessari alla salvezza: "Sacramenta sunt necessaria ad humanam salutem triplici ratione. Quarum prima sumenda est ex conditione humanae naturae, cuius proprium est ut per corporalia et sensibilia in spiritualia et intelligibilia deducatur. Pertinet autem ad divinam providentiam ut unicuique rei provideat secundum modum suae conditionis. Et ideo convenienter divina sapientia homini auxilia salutis confert sub quibusdam corporalibus et sensibilibus signis, quae sacramenta dicuntur. Secunda ratio sumenda est ex statu hominis, qui peccando se subdidit per affectum corporalibus rebus. Ibi autem debet medicinale remedium homini adhiberi ubi patitur morbum. Et ideo conveniens fuit ut Deus per quaedam corporalia signa hominibus spiritualem medicinam adhiberet, nam, si spiritualia nuda ei proponerentur, eius animus applicari non posset, corporalibus deditus. Tertia ratio sumenda est ex studio actionis humanae, quae praecipue circa corporalia versatur. Ne igitur esset homini durum si totaliter a corporalibus actibus abstraheretur, proposita sunt ei corporalia exercitia in sacramentis, quibus salubriter exerceretur, ad evitanda superstitiosa exercitia, quae consistunt in cultu Daemonum, vel qualitercumque noxia, quae consistunt in actibus peccatorum. Sic igitur per sacramentorum institutionem homo convenienter suae naturae eruditur per sensibilia; humiliatur, se corporalibus subiectum recognoscens, dum sibi per corporalia subvenitur; praeservatur etiam a noxiis corporalibus per salubria exercitia sacramentorum." (TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, op. cit., III, q. 61 a. 1 co.). I tre motivi addotti da Tommaso sono sostanzialmente quelli indicati da Ugo di S. Vittore (e riferiti anche, come abbiamo già visto, da Pietro Lombardo nelle Sentenze) nella sua definizione dei sacramenti come remedia ad eruditionem, ad humiliationem, ad exercitationem, esplicitamente ricordati dall'Aquinate nella chiusa del corpus dell'articolo. Risulta assai interessante, su questo tema, ma anche ai fini del nostro studio, ciò che afferma un teologo domenicano in un articolo in cui si analizza il motivo vittorino (e poi lombardiano e tomista) della convenienza dei sacramenti come esercizio di umiltà. Parlando di quel tipo di persona colta che considera i sacramenti come dei gesti quasi magici, devozionalistici e supertiziosi l'autore dice: "Queste persone si considerano in pari con il Signore perché «adorano Dio in spirito e verità» e non si abbassano a compiere queste pratiche esterne e materiali, quasi macchinali. Ma se scaviamo a fondo dell'anima di questi tali, noi ci troviamo una buona dose di sottile orgoglio spirituale. Costoro si comportano di fronte alla prassi sacramentale come il lebbroso Naaam che in un primo tempo non voleva ubbidire al consiglio del profeta Eliseo di tuffarsi sette volte nel Giordano, sembrandogli una tale molteplice immersione in quel determinato fiume, un'azione troppo banale e inefficace allo scopo, e indegna della sua personalità. L'adorazione di Dio solamente in spirito e verità rappresenta la grande tentazione dell'intellettuale, dell'uomo superiore, del raffinato che non vuole far dipendere i suoi contatti con Dio da elementi, fisici, empirici, esteriori. La ribellione degli Angeli che rifiutarono di accettare il mistero dell'Incarnazione, cioè l'unione ipostatica dell'umano con il divino, può essere presa a simbolo della ripulsa da parte degli intellettuali di tutto l'ordine sacramentale: superbia dall'una e dall'altra parte" (I. COLOSIO, "La prassi sacramentale come esercizio di umiltà" in Rivista di Ascetica e Mistica, 2 (1964), pp. 101-116, qui pp. 101-102 ). Corsivo nostro. Testo

  62. Cfr. TOMMASO D'AQUINO, Scriptum super sententiis, op. cit., IV, d. 1, q. 1, a. 2, qc. 1. Testo

  63. In ciò risiede forse l'aspetto più «moderno» e interessante della sacramentaria di Tommaso, come ci fa osservare A. Grillo: "la condizione creaturale, storica e diveniente, peccatrice e bisognosa di esercizio, legata al sensibile e immersa nel contingente a determinare l'orizzonte di comprensione della necessità del sacramento: l'approccio metafisico non impedisce a Tommaso di cogliere una specificità antropologica che verrà tematizzata successivamente soltanto dalla «rinascita liturgica»" (A. GRILLO, Introduzione alla teologia liturgica, op. cit., p. 81). Sempre a proposito della questione della necessità dei sacramenti, dovrebbe essere inteso correttamente il principio tommasiano (e precedentemente anche agostiniano) secondo cui «i sacramenti sono necessari all'uomo e non a Dio». Le affermazioni dell'Aquinate relative al «Deus virtutem suam non alligavit sacramentis», si possono comprendere adeguatamente interpretando questa particolare attenzione per la dimensione antropologica dei sacramenti nel rispetto dell'autentica mens di Tommaso e in generale dei teologi dell'antichità. Nota a tal proposito A. Grillo che "questa apertura antropologica è stata poi usata a mo' di chiusura: se serve all'uomo, e non a Dio, allora è fondamentalmente ambigua e dunque dispensabile. Questo capovolgimento dell'apertura antropologica in una chiusura teologica mi pare da indagare a fondo. Il riferimento al fatto che i sacramenti servono all'uomo, e non a Dio, per gli antichi aveva tutt'altro senso rispetto ai moderni: per gli antichi significava che quindi erano necessari. Per la teologia moderna essa significa che quindi sono dispensabili! Questa inversione formidabile delle conseguenze, data una medesima premessa, mi pare di prim'ordine e in grado anche di spiegare la tipicità della vicenda moderna nella riflessione sui sacramenti, dove l'arretramento della teologia dai sette sacramenti, alla chiesa, a Cristo, rappresenta proprio questo allontanarsi dalla carne e dall'uomo" (ib., p. 90). Testo